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Diapositiva 1 - Italia Solidale
LA FORZA DI DIO NELLA CULTURA ROMANA Chi sono i Romani? Quando parliamo di Roma pensiamo di sapere di chi stiamo parlando. Dagli scavi archeologici conosciamo la presenza di primi insediamenti sul colle Palatino fin dall’VIII-IX secolo circa, sappiamo di Romolo e Remo, dei sette re, della cacciata dei Tarquini e della fondazione della Res Publica, delle guerre di conquista, di Augusto e della fondazione dell’Impero. Ma chi sono veramente i romani? E come si inseriscono nella storia di un uomo in cerca di risposte sul senso della propria esistenza ed in perenne ricerca di una relazione con un trascendente, che a volte desidera ed altre rifiuta in nome della libertà del proprio pensiero? L’identità dei romani Gli studiosi di storia romana hanno molte difficoltà ad individuare chi siano stati veramente i Romani e quando tentano di studiarne gli usi, i costumi, le istituzioni, i culti e le feste nel tentativo di arrivare ad un nucleo propriamente romano, restano delusi. Di “romano” non trovano nulla, trovano piuttosto quanto costoro hanno fatto proprio acquisendolo da altri popoli, prima da quelli che vivevano sul loro stesso territorio (latini, sabini, etruschi, equi, volsci), poi da quelli con cui venivano in contatto durante le guerre di espansioni (grecia e oriente). Sappiano che gli Etruschi hanno avuto una grandissima influenza su Roma e che da loro i Romani hanno appreso tecniche architettoniche come la costruzione dell’arco, la struttura del tempio e le decorazioni scultoree e pittoriche, alcune divinità come Giunone, Quirino, Minerva. Il culto di Giove e la duplicità delle magistrature, invece, lo fanno proprio dai Latini, il dio Marte lo acquisiscono dagli Aborigeni. La maggior parte poi di ciò che siamo abituati a considerare proprio della cultura romana, la letteratura, l’arte, la filosofia, l’oratoria, il teatro, la poesia, fioriscono successivamente al III sec a.c. quando l’influsso della Grecia sarà così forte e la soggezione culturale di Roma così grande da indurla a far propria tutta la produzione letteraria greca e su imitazione di questa cercare una propria espressione artistica. Senza identità Roma ed i Romani sono un’idea costruita pazientemente nel tempo attraverso un atteggiamento apparentemente positivo di fronte ai popoli stranieri, dai quali si poteva prendere, per farlo proprio, tutto ciò che si riteneva buono ed utile per Roma, ( divinità, leggi, magistrature, monumenti, tecniche di costruzione,) ma che nasconde la costruzione di un meccanismo di potere, forte ed autoritario, in mano di pochi, al funzionamento del quale tutto deve essere sottomesso, la religione, la storia, il diritto, la stessa identità. Infatti questa accondiscendenza e tolleranza di Roma nei confronti del diverso pur avendole permesso di progredire rapidamente in molti campi e di apparire non ostile nei confronti di ciò che era nuovo, mascherava in realtà una violenza: accettare il diverso solo a patto che divenisse romano e quindi utile e funzionale allo sviluppo dello Stato. Privando però l’altro della propria identità, perdevano nello stesso tempo la propria; questa infatti è ancora oggi la domanda degli storici: cosa è veramente romano? Quale religione romana? Gli storici delle religioni ritengono la religione romana un caso particolare ed unico: I Romani sembrerebbe un popolo politeista, che vive in un territorio circondato da popoli politeisti che avevano miti e che dunque vivevano una dimensione del sacro ridotta ma viva e comunque in relazione con l’inconscio. Perché allora non hanno racconti mitici che parlino della loro concezione del mondo e degli dei, perché venerano gli dei, hanno culti e celebrano feste, ma non hanno miti? Cosa ne hanno fatto? Dal mito alla storia Esistono pochi documenti di età arcaica ed anche questi ci parlano di culti, usi e costumi non veramente romani, quanto piuttosto dei popoli che vivevano in queste terre prima dei romani, i Siculi, gli Aborigeni, i Latini le cui tracce sono riscontrabili nei più antichi racconti che conducono fino alla vicenda di Romolo e Remo ed alla fondazione di Roma. Il nucleo del problema appare essere proprio questo. La vicenda di Romolo e Remo si colloca in punto di incontro e di passaggio tra racconti evidentemente mitici appartenenti alla tradizione religiosa di questi antichi popoli e la fondazione di Roma che viene presentata come vicenda storica. Gli antichi dei di questi popoli Giano, Saturno, Pico, Fauno e Latino si saldano con le vicende che portano alla fondazione di Alba Longa e ai due famosi gemelli, realizzando un passaggio ricco di conseguente, quello dal mito alla storia. Quale storia? Roma non possiede racconti riguardanti la nascita dell’universo, degli dei o degli uomini, non si chiede quale sia l’origine del mondo e se gli dei siano i creatori della terra e del cielo, si concentra invece esclusivamente su se stessa, sulla sua nascita, sulla sua storia, che assume le caratteristiche di una narrazione mitica che parla però di politica ed è sempre relativa alla vita della città stessa e delle sue istituzioni ed è, quindi, anche giuridica. La storia per Roma è res, fatti concreti e la storia di Roma è la storia della Res Publica, molto lontana dalla nostra concezione di storia, lontana dalla ricerca del vero e dell’oggettività, delle cause e degli effetti degli avvenimenti. Nasce l’ideologia Se i Greci avevano rifiutato il divino perdendosi in speculazioni filosofiche prive di consistenza, i Romani concentrano ogni loro attenzione sui fatti e sulle azioni, non degli dei ma degli uomini che hanno fatto e fanno continuamente grande Roma. A questo si può sacrificare tutto, la verità, la giustizia, l’umanità, Dio stesso, perché dietro c’è il desiderio di ottenere potere e denaro. La religione attraverso il mito trasformato in storia viene messo nelle mani dei Pontefici Massimi, che la sottomettono alla necessità apparente della grandezza della res Publica, ma che poi nasconde le necessità dei detentori del potere. I sacerdoti La più alta carica sacerdotale presso i Romani era il Pontefice Massimo, ma i suoi compiti più importanti erano : 1. scrivere gli Annales, le cronache degli avvenimenti dell’anno in corso, regolarmente manipolati a vantaggio della gens a cui appartenevano o comunque di Roma, custodire le norme, inizialmente orali, secondo le quali amministravano la giustizia, a vantaggio della propria gens o del proprio ceto gentilizio. 2. Il Pontificato era la carica più alta che un romano potesse ricoprire al termine della sua carriera politica. Ma la religione che c’entra? Se i Greci avevano teorizzato del relativismo, facendo dell’uomo la misura di ogni cosa, i Romani lo mettono in pratica, in nome della ragione di stato. I sacerdoti, custodi della storia e nello stesso tempo del diritto, compiono lo svuotamento della religione da ogni anelito trascendente di ricerca del divino ed attribuiscono invece valore religioso alla storia ed al diritto di cui si fanno custodi, in nome di Roma e del potere delle gentes. Fortemente calati nella realtà, concreti e decisi ad agire in essa per ottenerne il massimo vantaggio personale e di casta, tesi a proteggere la costruzione di un’idea di Stato, al di là della verità e della fede, procedono nella storia senza lasciarsi fermare od ostacolare da difficoltà e pericoli. Lo stesso concetto di sacro perde il senso che gli è proprio, ovvero di relazione con il divino, per andare ad indicare la perdita della condizione di cittadino soggetto alle leggi, in quanto appartenente al dio si è sottratti alla normale giurisdizione civile. E’ l’aspetto giuridico che balza in primo piano, non quello religioso, ma il diritto è emanazione dello Stato e ad esso sottomesso. Sacro e profano La parola sacro (lt. Sacer = dedicato al dio) indica tutto ciò che è pubblicamente sottratto all’azione giuridica degli uomini, mediante legislazione o senatoconsulto per iniziativa del popolo romano. L’Homo sacer è un uomo che il popolo giudica colpevole di un misfatto e che può essere ucciso da chiunque impunemente, in quanto perde la condizione di cittadino e non è più protetto dalle leggi della città. Profano è ciò che, sottratto all’ambito divino, è degli uomini ( pro= davanti Fanum= tempio) e quindi soggetto all’azione civile e giuridica. La religione ed il rito Aspetto peculiare dei collegi sacerdotali romani che erano molto numerosi, non era la ricerca di una relazione con la divinità, ma di custodire il rito con cui si celebravano le feste più importanti della città, per es. i Lupercalia, oppure con cui si agiva correttamente in alcune circostanze politiche e civili, per esempio nella dichiarazione di guerra presieduta ed officiata dal collegio sacerdotale dei Feziali. In realtà non vi era molta differenza tra azione festiva e politica, perché entrambe avevano risvolti civili e servivano a ristabilire e riconfermare la costituzione dello Stato romano. Ancora una volta religione, diritto e storia appaiono strettamente correlate e le figure dei sacerdoti sono addetti alla gestione del potere attraverso la custodia della storia, del diritto e della religione quale strumento di questo potere. Dalla fede al rito Rito è una parola che deriva dal sanscrito (rtà) e che indica per gli Ritus per i romani diviene azione sacra, ovvero esecuzione di atti indiani l’ordine del cosmo, della società e dell’uomo, stabilito dagli dei. che debbono essere svolti secondo un preciso ordine, accompagnati da formule anch’esse rituali, esaurendo in questa procedura la sacralità di gesti che non tendono ad un fine, il collegamento con il divino, ma che sono fine essi stessi. Deviando o sbagliando la procedura si rompe l’ordine e si possono generare conseguenze dannose per tutti. Trattandosi della salute della res publica, la non corretta esecuzione di un rito poteva procurare la rovina o la sconfitta di Roma. Si più ricordare come esempio la sconfitta di Canne attribuita ad un errore rituale commesso da uno dei consoli prima della battaglia. Dal rito alla superstizione In realtà non è la corretta esecuzione di una procedura a conferire efficacia ad un rito, ma i suoi contenuti profondi, la fede di chi lo celebra, il senso ed il fine trascendente a cui esso tende. Superstizione è attribuire efficacia ad una sequenza di azioni di per sé, privi di senso e senza un fine, ai quali si associa un esito positivo o negativo e, stabilendo un nesso causa-effetto, si cerca la ripetizione dei gesti per ottenere il medesimo effetto. La magia stessa presume di poter manipolare le forze presenti nella natura e la volontà delle persone eseguendo riti che debbono essere ripetuti alla perfezione per avere efficacia, accompagnati da formule precise, che escludono l’intervento divino e che spesso sono contro l’uomo ed il suo benessere. Il pensiero magico e la superstizione caratterizzano alcune forme di disturbi mentali quali la schizofrenia ed il disturbo ossessivo compulsivo Noti sono la molteplicità di incantesimi ed anche di maledizioni che comunemente si facevano a Roma, per le più diverse necessità, dal favorire un amore, a nuocere ad un nemico, contro la fecondità. Quanti oggi si rivolgono a maghi e stregoni? La superstizione e la magia presuppongono un rito che è negazione di Dio, lasciano l’uomo in balia di forze senza nome che lo travolgono, lo lasciano preda del diavolo che vuole la sua distruzione e non la sua salvezza, fino a condurlo alla follia ed alla perdita della ragione. I disturbi mentali che sono caratterizzati da superstizione e dal pensiero magico sono tra i più gravi, spesso causati da traumi molto forti proprio nelle relazioni, dovuti ad una mancanza totale di amore e quindi di assenza di Dio, che è Amore e Vita. Dal rito alla legge Svincolato il rito dalla tensione al divino, vincolato invece a logiche economiche e di potere, esso assume da subito e proprio attraverso le figure dei sacerdoti che ne erano i garanti, i caratteri fortemente vincolanti della legge, che si può dire nasca a Roma, ma che confonde le sue origini proprio con il rito e nel rito. I Pontefici erano i detentori delle norme (i mores), delle formule giuridiche cioè che saranno poi pubblicate nelle XII Tavole, ma che dovevano essere pronunciate davanti alla figura del pretore secondo un procedimento che vedeva strettamente connesso azione e diritto; questo procedimento chiamato legis actiones, consisteva nella pronunzia di un formulario che variava col variare delle circostanze e che consentiva il pronunciamento del giudizio solo se le formule erano enunciate correttamente. La rigidità di questo sistema era quella propria del rito e la sua efficacia risiedeva non solo nel corretto pronunciamento delle formule, ma anche nella loro conoscenza. Il nostro diritto deriva dal diritto romano, i nostri processi hanno le loro origini nelle legis actiones, il malfunzionamento della nostra giustizia risiede anche nell’eccessivo peso attribuito alle procedure, ai vizi di forma e non alla sostanza, alla burocrazia che da qui trae la sua origine e che rende lo Stato una struttura ed un’organizzazione impossibile da fermare, che non guarda mai alla persona, ma solo ai regolamenti ed alle leggi, che diventano non uguali per tutti. La religione di Stato Il mito dunque trasformato in storia, la storia sottomessa all’azione dei Pontefici, l’amministrazione della giustizia rituale e rigida anch’essa strettamente in mano delle autorità “religiose”, tutto apparentemente per la grandezza di Roma, tutto invece per il mantenimento del governo nelle mani dei pochi che amministrano veramente lo stato e che alla fine utilizzano religione, storia e diritto per la salvaguardia dei propri privilegi, ma in nome di un ideale più alto: la Res Publica. A questo i Romani, i “pochi” Romani che avevano veramente il potere, erano disposti a sacrificare tutto anche la propria identità, purchè fossero chiare tre cose: il potere era di Roma, il denaro andava a Roma attraverso la riscossione delle tasse e gli uomini abili entravano nelle legioni romane, unica forza in grado di proteggere questo sistema politico. Chi era la Res Publica? La città è sempre stata governata dai più ricchi, che costituivano l’assemblea più importante della città: il Senato; costoro prendevano le decisioni più importanti ed i Senatori venivano mandati nelle regioni conquistate per amministrarle, cosa che molto spesso significava depredarle di ogni bene e ricchezza, naturale, economica ed artistica, sia attraverso la riscossione delle imposte che attraverso veri e propri furti e rapine. Del resto lo stesso esercito romano aveva la sua primaria fonte di guadagno nelle ruberie che era autorizzato a compiere ovunque arrivasse come vincitore. Chi si opponeva al potere del Senato trovava la morte: quando i famosi fratelli Caio e Tiberio Gracco ( II sec a.c.) cercarono di ottenere una più equa ridistribuzione delle terre pubbliche di proprietà dello Stato, date in affitto per pochi soldi ai Senatori, essi furono uccisi, da sicari incaricati dal Senato. Grandi personaggi come Silla e Pompeo, che detengono un potere simile all’assoluto, in realtà governano sostenuti dal Senato e grazie al favore del Senato. Dalla Res Publica all’Impero: cosa cambia? Cesare conquista per primo il potere senza l’appoggio del Senato, anzi sostanzialmente contro i senatori e Pompeo, fidandosi del favore della plebe e verrà tradito e ucciso dagli esponenti di una aristocrazia senatoria che non intendeva cedere i propri privilegi ad uno solo. Augusto trasformerà la Res Publica in Impero senza farlo sapere al Senato, anestetizzandolo con una ulteriore serie di favori, ricchezze e privilegi, amministrando di fatto da solo lo stato ed aprendo il via ad una trasformazione in realtà solo apparente, perché nell’impero potere ricchezze e privilegi resteranno sempre alla famiglia dell’imperatore, al suo entourage ed ai senatori che a lui saranno asserviti. Religione ed inconscio In tutti i popoli che abbiamo incontrato vi è uno spazio riservato all’inconscio come modalità privilegiata di avvicinamento al divino ed al trascendente, che ovviamente risente dei limiti e delle difficoltà di queste popolazioni politeiste di percepire la Verità di Dio, ma che comunque testimonia una tensione ed un desiderio di Dio, più o meno ampio, ma presente, nel mito, nella scrittura, nella funzione sacerdotale potenziata dall’uso di sostanze psicotrope, negli oracoli e nei culti misterici molto diffusi nelle aree mediterranee. A Roma invece l’inconscio viene bandito dall’ufficialità religiosa e tutte quelle forme di divinazione che ne prevedevano l’utilizzo, sia pure inconsapevole, (oracoli, sogni, incubazione) vengono esclusi dalla pratica religiosa ufficiale e relegati, anche se non vietati, all’uso privato. Le uniche pratiche divinatorie ammesse ed utilizzate esclusivamente dai magistrati erano gli auspici ed il pullarium, ovvero la lettura del volo delgi uccelli (Romolo e Remo) e l’osservazione del comportamento delle oche custodite in Campidoglio (invasione dei Galli) La forza dei Romani Essere così concreti e calati nella realtà, saper affrontare e gestire rischi e difficoltà e creare da un villaggio di pastori un impero, sapendo volgere di volta in volta gli avvenimenti a proprio vantaggio, tenendo saldo anche con la violenza il potere conquistato, senza cedere mai neanche di fronte a ciò che a volte è parso loro irrecuperabile, è certamente il nucleo della forza dei Romani e certamente molto più efficace e positivo della mente greca staccata da Dio e dall’anima che si perde nei discorsi e nelle parole. La forza però, esercitata ed anche rafforzata in questo modo, se è svincolata da Dio e dall’anima produce molta sofferenza, perché non vede l’altro, non lo rispetta, non tiene conto della dignità della persona e del suo valore La condizione delle donne Le donne erano trattate alla stregua di oggetti, venivano letteralmente comprate. Secondo la legge delle XII Tavole, uno dei modi per acquistare una cosa era l’uso della stessa per un anno se era una cosa mobile, di due anni se era cosa immobile; così era anche per le donne, tanto che spesso, per non cadere in possesso del marito, si allontanavano per tre giorni prima dello scadere dell’anno, evitando l’acquisto. Una simile azione era in genere decisa dal padre per ragioni patrimoniali. Se si atteneva a tutte le regole pensate per lei, aveva alti riconoscimenti pubblici: era la matrona, la moglie fedele che alleva i figli, futuri cittadini romani, che resta in casa e fila la lana ed è degna di grandissimo rispetto da parte di tutti. Comunque il marito poteva decidere in qualunque momento di restituirla al padre e se si era resa colpevole di adulterio poteva essere uccisa dal padre stesso e dai fratelli o dal marito. Le donne non avevano diritti, non disponevano di sostanze e non potevano ricevere eredità. Non avevano diritto neanche ad un nome, infatti venivano chiamate con il nome della gens al femminile e se erano più di una si aggiungeva un soprannome, Maggiore, Minore, Prima. Le donne cominciano un loro percorso di emancipazione, quando di fronte all’impoverimento della popolazione maschile, per necessità, cominciarono a ricevere le eredità delle loro ricchissime famiglie decimate dalle guerre civili. Alcune di loro cercarono di usare il sesso ed il denaro per ottenere potere ed influire sulla vita politica romana attraverso relazioni o matrimoni utili e convenienti. E’ il caso di Clodia, famosa amante del poeta Catullo, che tradisce più volte e che si vociferava fosse l’amante incestuosa del fratello. Di altre abbiamo notizie pungenti ed ironiche da Marziale e Giovenale che le descrivono come adultere, corrotte, frivole ed ormai senza più alcun pudore Per le altre ancora rimane il silenzio di sempre e l’epigrafe funebre che dice: domi mansi, lanam fecit, perché la società degli uomini non le accetta se non così, oggetti silenziosi di cui disporre. Le conseguenze sulla sessualità Anche in questo periodo di maggiore libertà e affrancamento soprattutto dai padri ( I sec. d.c), le donne restano comunque oggetti di compravendita. Infatti Roma aveva dei grandissimi problemi demografici legati a problemi di fertilità delle donne e all’alto tasso di mortalità infantile. In questa nuova e più grande libertà le donne romane facevano largo uso di contraccettivi trasmessi segretamente di generazione in generazione, abortivano e quando si sposavano non sempre avevano figli. Avere una moglie che sapesse generare era considerata una fortuna invidiabile ed accadeva spesso che gli uomini ne ripudiassero una sterile per chiedere ad un marito fortunato di concedergli la propria moglie feconda in sposa. La compravendita continua comunque. E’ nota la vicenda della moglie di Catone, Marzia, richiesta per avere dei figli dal noto avvocato Ortensio e la più nota vicenda di Livia, moglie di Augusto, che viene richiesta al marito, Tiberio Claudio Nerone, mentre era incinta del suo secondo figlio, che nascerà quando ormai era diventata sposa di Augusto. Oltre alle donne si compravano e vendevano anche i figli, che in tali circostanze erano considerati beni preziosi necessari per la prosecuzione di una gens, a patto che avessero superato infanzia e adolescenza. La pratica dell’adozione era una necessità e si adottavano giovani adulti quando non si avevano discendenti legittimi. Ancora Ottaviano è un esempio di tale pratica, adottato da Cesare due anni prima della sua morte. La compravendita degli dei Anche le divinità venivano in qualche modo acquistate da Roma e questo spiega come in questa città vi fossero un altissimo numero di divinità straniere, anzi possiamo dire che per quel meccanismo di cui abbiamo detto, non vi sono divinità che non siano straniere. Era previsto anche uno specifico rito, l’ ”evocatio”, con il quale si invitava il dio straniero a passare a Roma, dove avrebbe trovato sacrifici e ricche offerte, dopo questo rito in genere la città veniva conquistata e la divinità straniera veniva portata con solenne cerimonia a Roma. Tutto è acquistabile a Roma, purchè sia efficace alla politica espansionistica della res publica e purchè preveda la corretta esecuzione del rito di acquisizione. La compravendita degli uomini Tutto il sistema economico romano era basato sulla schiavitù. Si diveniva schiavi per debiti o attraverso le guerre e si perdeva oltre alla libertà la legittimità della propria dignità umana. Gli schiavi erano considerati cose e non persone, oggetti in balia dell’arbitrio del proprio padrone. Quando i senatori diventano sempre più ricchi e si appropriano di un numero sempre maggiore di territori, solo il lavoro degli schiavi è in grado di assicurare la coltivazione dei campi e tutta l’attività produttiva delle ville, mentre i signori sono in città a fare politica. Si poteva essere liberati, ma questo accadeva raramente in epoca arcaica, accadrà più di frequente in epoca imperiale quando l’inflazione riguarderà anche gli schiavi, talmente numerosi, da potersi permettere di liberarne alcuni per acquistarne di nuovi. I divertimenti I Ludi erano necessari per intrattenere la plebe di Roma ed il loro allestimento diviene ben presto parte integrante della carriera politica, più i giochi organizzati erano grandiosi più ci si procurava il favore della plebe alle successive elezioni. Le corse delle quadrighe, le cacce, le naumachie, fino al grande successo dei giochi gladiatori, tutte prevedevano un certo spargimento di sangue e alti premi in denaro per i vincitori. Già dal I sec. d.c. nel Colosseo i combattimenti di animali e le battute di caccia erano intervallate dall’esecuzione di schiavi e criminali che avevano tentato la fuga e che potevano essere sbranati dagli animali feroci, crocifissi o arsi vivi. Per riflettere… Molti di questi comportamenti ci appartengono, sono i nostri. Governanti che ascoltano inni nazionali davanti a bandiere che sventolano, parlano del bene e della grandezza del proprio paese, mentre in realtà pensano al proprio, chiamano in causa valori religiosi solo quando sono loro utili, usano la legge, che non è uguale per tutti, fanno esperimenti e provano armi chimiche e nucleari a danno dei propri soldati, uccidendoli o menomandoli. La violenza è anche da noi divertimento ed intrattenimento, abbiamo problemi demografici, di fertilità e fecondità, usiamo contraccezione ed aborto e li chiamiamo emancipazione. La forza dei romani senza scrupoli, reale e concreta, ma senza Dio e senza anima, tutta tesa alla conquista di potere e denaro, è quella delle multinazionali e delle organizzazioni che per interessi economici distruggono la produttività del suolo nel sud del mondo, che creano OGM, che abbattono le foreste ed inquinano le acque, che si oppongono al contenimento delle emissioni inquinanti, causa dell’effetto serra… La conquista della Grecia Quando Roma sconfigge Cartagine e nello stesso anno (146 a.c.) conquista definitivamente la Grecia, si avvia un processo lento ma irreversibile, che porterà ad un indebolimento sempre più evidente della forza romana, minata dalla speculazione teorica che Roma non aveva mai conosciuto. La filosofia, l’omosessualità, il culto per una bellezza esteriore priva di contenuti e di sostanza sia nella poesia che nell’arte si coniugheranno per un po’ ancora con l’ideologia del potere e con la forza rappresentata sempre più soltanto dagli eserciti e dalla violenza, per poi lasciare definitivamente il posto ai barbari, gli unici in grado di sostenere un impero così strutturato. Adriano può essere un esempio dell’ellenizzazione dell’Impero e nello stesso tempo dello svuotamento dell’ideologia che dietro vi risiedeva, grande cultore della grecità, è famoso per aver abbellito Roma di edifici e per essersi perdutamente innamorato di un giovinetto al quale dedicò numerose statue . Il cristianesimo Sotto la dominazione Romana della Galilea nasce Gesù Cristo, ma passeranno diversi decenni prima che l’Impero si accorga dei cristiani e anche quando se ne accorgerà in realtà li ignorerà. Roma era abituata ai culti stranieri, alle divinità straniere, alla diversità dei costumi. Sono due mondi che apparentemente corrono paralleli, indisturbati, fino a quando con le persecuzioni sarà necessario imporre l’autorità politica e ormai divina dell’imperatore, messa in discussione dal cristianesimo. Saranno però le persone ad accorgersi di Cristo, quelle persone comprate e vendute, le donne e gli schiavi innanzitutto, quelle considerate senza dignità e libertà, le cui anime erano però meno condizionate dal potere e dal denaro. Queste persone troveranno in Cristo la gioia della propria anima e spesso prenderanno la croce del martirio cantando davanti ai ricchi e potenti attoniti e sempre insoddisfatti. Le persone convertite in Gesù riacquistavano dignità e identità, indipendentemente dalle leggi, dai riti e dalle religioni degli uomini. Un’umanità sofferente, ferita ed oppressa da guerre, distruzioni, torture e uccisioni di ogni tipo, ritrovava attraverso il Figlio, il proprio Padre, un Dio Unico e Vero, il nutrimento per la propria anima e la forza di una sessualità per l’amore fuori da tutte le deviazioni Nell’immagine e somiglianza a Dio, tutti gli uomini e le donne, liberi e schiavi, ricchi e poveri potevano sperimentare una comunione che univa tutti al di là delle culture, delle varie religioni e dei vari costumi; chiamava gli uni alla solidarietà verso gli altri, restituendo umanità ad un mondo che stava annegando nella violenza e nel sangue. La persona, ritrovando la Forza e l’Amore di Dio, rimetteva l’anima nell’Albero della Vita, e formava famiglie e comunità nell’Amore, solidali e sussistenti. Le radici cristiane dell’Europa Il cristianesimo costituisce una svolta determinante nella storia dell’occidente; silenzioso arriva nella profondità del cuore dell’uomo e lo cambia radicalmente, entra nel territorio dell’impero romano e piano piano si afferma anche a livello di amministrazioni locali, creando comunità attente ai bisogni le une degli altri, unica realtà che sopravvivrà alla caduta dell’impero e che riuscirà ad arginare la violenza dei nuovi invasori che, dal nord e dall’est, scenderanno distruggendo ed uccidendo, realizzando conversioni e nascita di nuove civiltà. I primi cristiani però non nascevano cristiani: erano chiamati ad un profondo cammino per liberarsi dai condizionamenti di quel mondo corrotto. Per dirsi convertiti dovevano testimoniare la fede con la loro vita e, al di là dei riti, essere incarnati, crocifissi, risorti e in comunione come Cristo. Il battesimo Prima di ricevere i battesimo il candidato veniva introdotto nella comunità da un fideiussore e dopo l'esame delle sue condizioni di vita veniva avviato alla preghiera, al digiuno ed alla penitenza. Di regola seguiva una formazione triennale da parte di un maestro per lo più laico; la contemporanea partecipazione alla preghiera ed al culto divino comunitario della parola gli dava modo di sperimentare la vita spirituale della comunità. Un nuovo esame della condotta di vita introduceva alla preparazione immediata degli eletti, detti catecumeni, per i quali l'istruzione scritturale quotidiana come la vita di preghiera, penitenza e testimonianza era accompagnata da imposizioni delle mani di carattere esorcistico. In questo ultimo periodo di preparazione, che durava alcune settimane prima della data pasquale del battesimo, entrava sempre più in scena il vescovo come guida dei catecumeni. Ricevendo il battesimo il credente si impegnava a vivere nel mondo, ma a non essere di questo mondo (Gv 7, 14-16). Il digiuno, come rinuncia al cibo, o l'elemosina, come distacco dai beni, rappresentavano una richiesta proposta a tutti i cristiani. Un dono particolare di grazia presupponeva invece la forma di vita verginale. Molti hanno testimoniato il battesimo nel martirio, quando nei periodi delle persecuzioni i cristiani erano catturati, torturati nelle arene dei circhi, lapidati ed uccisi. I governanti ed i potenti, gli stati e le nazioni però non si convertono, sono gli uomini che singolarmente decidono di iniziare un percorso di conversione, accogliendo Cristo. Gesù chiama ogni persona ad una relazione personale con Lui, accogliendo ciascuno la propria croce per cercare la libertà dai condizionamenti che impediscono di vivere una vera relazione con Dio. Per questo lo Stato, l’Impero non possono accorgersi di Lui. Con le parole si può anche affermare di credere, come si può proclamare ad alta voce la supremazia dei diritti umani, della giustizia, della dignità umana e poi di fatto si può vivere come se non ci fossero. Questo è quanto accade all’impero dopo la nascita di Cristo Costantino Quando l’Imperatore Costantino dichiarerà la libertà di culto per i cristiani non cambierà molto per l’impero, che continuerà ad inseguire potere, conquiste, supremazia e che in realtà sarà costretto a riconoscere l’importanza del cristianesimo, non per il messaggio di salvezza che portava, quanto piuttosto perché i cristiani ricchi e potenti erano molti e le continue donazioni alla Chiesa avevano reso i beni ecclesiastici ambiti e necessari all’Impero. Questo riconoscimento poi non farà bene neanche alla Chiesa che comincerà a trovarsi sempre più imbrigliata in questioni di beni terreni e di possedimenti, iniziando il suo lungo percorso di gestione di un potere non più spirituale, ma temporale, sempre più Stato invece che comunità di credenti. I popoli antichi sentivano la presenza di Dio, ma non riuscivano a riconoscerlo, i Greci ne negano l’esistenza in nome della ragione e di una discussione sterile ed inconcludente che li porterà ad una rapida fine, i Romani possiedono una grande forza, sono nella realtà e costruiscono un grande impero, ma non hanno Dio, lo riducono, svuotano la fede per sottometterla alle loro necessità. Cristo nasce nella storia, si fa uomo-Dio per mostrarci la Via, la verità e la Vita, nella realtà, ma strettamente uniti al Padre, ma anche dopo la Sua venuta si può vivere senza di Lui. MESSAGGIO URBI ET ORBI DI SUA SANTITÀ BENEDETTO XVI NATALE 2006 "Salvator noster natus est in mundo“ (…) ha ancora valore e significato un "Salvatore" per l’uomo del terzo millennio? Si muore ancora di fame e di sete, di malattia e di povertà in questo tempo di abbondanza e di consumismo sfrenato. C’è ancora chi è schiavo, sfruttato e offeso nella sua dignità; chi è vittima dell’odio razziale e religioso, ed è impedito da intolleranze e discriminazioni, da ingerenze politiche e coercizioni fisiche o morali, nella libera professione della propria fede. C’è chi vede il proprio corpo e quello dei propri cari, specialmente bambini, martoriato dall’uso delle armi, dal terrorismo e da ogni genere di violenza in un’epoca in cui tutti invocano e proclamano il progresso, la solidarietà e la pace per tutti. Oggi, proprio oggi, Cristo viene nuovamente "fra la sua gente" e a chi l’accoglie dà " il potere di diventare figlio di Dio"; offre cioè l’opportunità di vedere la gloria divina e di condividere la gioia dell’Amore, che a Betlemme si è fatta carne per noi. Oggi, anche oggi, "il nostro Salvatore è nato nel mondo", perché sa che abbiamo bisogno di Lui. Malgrado le tante forme di progresso, l’essere umano è rimasto quello di sempre: una libertà tesa tra bene e male, tra vita e morte. E’ proprio lì, nel suo intimo, in quello che la Bibbia chiama il "cuore", che egli ha sempre necessità di essere "salvato". E nell’attuale epoca post moderna ha forse ancora più bisogno di un Salvatore, perchè più complessa è diventata la società in cui vive e più insidiose si sono fatte le minacce per la sua integrità personale e morale. Cristo è il Salvatore anche dell’uomo di oggi. Chi farà risuonare in ogni angolo della Terra, in maniera credibile, questo messaggio di speranza? Chi si adopererà perché sia riconosciuto, tutelato e promosso il bene integrale della persona umana, quale condizione della pace, rispettando ogni uomo e ogni donna nella propria dignità? (…) Una nuova cultura per incontrare Cristo Tutti noi siamo chiamati a rispondere in prima persona agli interrogativi aperti del Santo Padre, noi in particolare che abbiamo avuto la Grazia di poter sperimentare questa nuova cultura di cui padre Angelo ci ha voluto rendere partecipi, dall’inconscio alla missione, per poter sperimentare in noi stessi la Pace e l’Amore per i quali siamo stati creati e vivere il nostro battesimo, incarnati nella realtà, ma uniti al Padre, figli di Dio, con la nostra croce unita alla Croce di Cristo, ma finalmente liberi e capaci di portare Cristo agli uomini di oggi senza dignità e senza pace. Anche oggi è infatti necessaria una nuova cultura, un cammino profondo che permetta alla persona di incontrare Cristo nella libertà dai condizionamenti culturali che sono ancora attuali a distanza di secoli Benedetto XVI: La persona umana è “il cuore della pace” “Rispettando la persona umana si promuove la pace e costruendo la pace si pongono le premesse per un autentico umanesimo integrale.(…) Il cristiano è chiamato ad essere infaticabile operatore di pace e strenuo difensore della dignità della persona umana e dei suoi inalienabili diritti. (…) La pace è insieme un dono ed un compito, dono da invocare con la preghiera, compito da realizzare con coraggio senza mai stancarsi. In Cristo noi cristiani riconosciamo il Principe della pace. Egli si è fatto uomo, è nato nella grotta di Betlemme per portare la sua pace agli uomini di buona volontà, a coloro che lo accolgono con fede e amore.”