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Diapositiva 1 - Dipartimento Scienze Neurologiche Biomediche e

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Diapositiva 1 - Dipartimento Scienze Neurologiche Biomediche e
ADATTAMENTI FUNZIONALI
ALL’ESERCIZIO
Il rimodellamento (remodeling) dei
tessuti
Ogni tessuto va incontro a modificazioni:
•Embriogenesi: differenziazione dei tessuti e formazione di
organi e sistemi
•Sviluppo corporeo: aumento armonico delle dimensioni degli
organi (iperplasia: moltiplicazione cellulare; ipertrofia: aumento di volume delle
cellule o del tessuto interstiziale)
•Adattamenti funzionali: modificazioni indotte da fattori
patologici o fisiologici sui tessuti e sugli organi – rimodellamento
Meccanismi in parte comuni e in parte differenziati
L’omeostasi richiede variazioni omogenee di forma e funzione
Il rimodellamento spesso è morfo-funzionale ma non sempre i due
elementi coincidono nel tempo e nella fenomenologia
Prenderemo in considerazione:

Definizione di rimodellamento tessutale

Senescenza e longevità

Crescita e adattamento dei tessuti connettivi

Tendini

Tessuto adiposo

Muscolo scheletrico

Osso e cartilagine

Rimodellamento vascolare

Plasticità cardiaca
N.B.: tutto il materiale presentato è tratto da articoli reperibili in internet, di cui viene
sempre presentata la citazione.
BASI BIOLOGICHE DELL’INVECCHIAMENTO (E DELLA LONGEVITA’):
•Genetica
•Biologia
•Evoluzionismo
•Antropologia
Considerazioni personali:
invecchiare è brutto
non invecchiare è molto peggio
l’ideale: invecchiare senza diventare vecchi
Storiella del Sig. Pietro
Il Sig. Pietro ha una vita molto regolare: fa una discreta attività fisica
(va in bicicletta e non prende l’ascensore), non fuma, mangia poco, è
moderato nel bere e molto prudente nell’attività sessuale, evita di
arrabbiarsi e litigare, insomma fa una vita sana …
il tutto per vivere una settimana di più … e magari piove!
Letture introduttive utili e divertenti
Enzimi respiratori
Metabolismo lipidico
Molte reviews su invecchiamento e longevità nell’introduzione si
riferiscono alla figura storica di Juan Ponce de León. Per curiosità
mia (e spero vostra) ho cercato questo nome su Wikipedia
Juan Ponce de León (Santervás de Campos, 1474 circa – L'Avana, luglio 1521) è stato
un condottiero spagnolo che ricoprì la carica di Governatore di Porto
Rico dal 1508 al 1511 e dal1515 al 1519. Si arruolò ancora giovane per entrare in guerra e
liberare Granada, l'ultimo possedimento dei Mori nella Penisola iberica.
Nel 1493 accompagnò Cristoforo Colombo nel suo secondo viaggio verso il Nuovo Mondo.
Nel 1508 iniziò la colonizzazione di Porto Rico fondando il primo insediamento, Caparra, e
nel 1509, eletto dalla corona spagnola, divenne il primo governatore di Porto Rico.
Nel 1513, il 2 aprile, domenica di resurrezione, in spagnolo "Domenica della Pasqua
Florida" perché normalmente accadeva all'inizio della primavera, sbarcò in quella che è
l'attuale Florida e per questo motivo è considerato il primo esploratore europeo ad aver
messo piede negli Stati Uniti continentali. In Florida cercò a lungo la fonte della
giovinezza, un luogo leggendario il cui mito derivava dal Romanzo di Alessandro, un libro
del medioevo.
La Fonte dell'Eterna Giovinezza
Secondo una leggenda molto diffusa, Ponce de León scoprì la Florida mentre era
impegnato nella ricerca della Fonte dell'Eterna Giovinezza. Benché leggende di acque in
grado di restituire la giovinezza e la vitalità fossero diffuse su entrambe le sponde
dell'oceano Atlantico già da molti anni prima di Ponce de León, il racconto della sua
ricerca di queste acque non gli fu attribuito se non dopo la sua morte. Nella sua Historia
General y Natural de las Indias del 1535,Gonzalo Fernández de Oviedo scrisse che Ponce
de León era alla ricerca delle acque di Bimini nella speranza di curare la sua impotenza
sessuale. Poi, nel 1575, Hernando de Escalante Fontaneda, che, sopravvissuto a un
naufragio, si trovò a vivere per 17 anni con gli Indiani della Florida, pubblicò le sue
memorie in cui collocava la Fonte in Florida, e riferiva che Ponce de León probabilmente
l'aveva cercata in quei luoghi. Benché Fontaneda dubitasse che de León si fosse realmente
recato in Florida con l'intenzione di cercare la Fonte, questo racconto fu incluso
nella Historia general de los hechos de los Castellanos di Antonio de Herrera y
Tordesillas (1615).
Longevity - The naked mole rat is also of interest because it is extraordinarily
long-lived for a rodent of its size (up to 31 years)
Resistance to cancer Naked mole rats appear
to have a high resistance
to tumours; cancer has
never been observed in
them.
The Retardation of Aging in Mice by Dietary Restriction: Longevity,
Cancer, Immunity and Lifetime Energy Intake1
RICHARD WEINDRUCH, ROY L. WALFORD, SUZANNE
FLIGIEL2 ANDDONALD GUTHRIE*
J. Nutr. 116: 641-654, 1986.
SPECIAL TOPIC: AGEING AND LONGEVITY
Annu. Rev. Physiol. 2013
Annu. Rev. Physiol. 2013. 75:617–19
Aging, Cellular
Senescence, and
Cancer
Riassunto
Citando il noto teorico dell’evoluzione George Williams: “È stupefacente che dopo gli
eventi quasi miracolosi della morfogenesi un metazoo complesso non sia capace di
assolvere al compito molto più facile di mantenere semplicemente ciò che è già
formato”. Come e perché invecchiamo è un mistero dai tempi dei tempi. Il “come” di
questo mistero è il punto di vista del biologo sperimentale che cerca di comprendere i
processi basilari che fanno decadere il mantenimento dei sistemi - dal livello delle
molecole a quello dell’intero organismo - , ciò che chiamiamo invecchiamento. Il
“perché” di questo mistero è il compito del teorico dell’evoluzione le cui idee formano
i quesiti che si pongono i biogerontologi, sulla base di premesse enunciate da un altro
insigne genetista e biologo dell’evoluzione, Theodosius Dobzhansky, secondo cui “nulla
in biologia ha senso se non alla luce dell’evoluzione”. Queste prospettive sperimentali
ed evoluzionistiche convergono nella scienza moderna dell’invecchiamento e della sua
curiosa controparte, la “longevità”, nello sforzo di unificare vaste conoscenze di diversi
campi della biologia.
È certamente chiaro che l’invecchiamento non procede secondo un programma
genetico, ma non c’è dubbio che l’interazione di processi determinati geneticamente
con fattori ambientali abbia un’influenza profonda sulla velocità e la qualità
dell’invecchiamento di ciascun individuo di una specie e fra diverse specie.
Un’osservazione basilare per ogni modello o teoria dell’invecchiamento è che vi sono
grandi differenze sulla durata media e massima della vita nel regno animale, differenze
che coprono cinque ordini di grandezza e vanno da giorni a secoli. Queste differenze di
larga scala dipendono completamente dall’intreccio inestricabile dei programmi
genetici che determinano la crescita e la fecondità degli individui di una specie e che
permettono l’esistenza di specie così diverse, dalla libellula alla balena.
Sembra che correlazioni generali fra la durata della vita e aspetti anatomici e
fisiologici, come le dimensioni e il metabolismo, indichino meccanismi fondamentali,
ma vi sono anche numerose ed importanti eccezioni che mostrano la complessità del
processo dell’invecchiamento e la difficoltà ad estrarre principi generali da semplici
variabili fisiologiche o dalla durata della vita.
La variabilità relativamente limitata della durata della vita all’interno di una specie
(almeno rispetto all’enorme differenza fra specie) conferma la robustezza delle reti di
segnali fisiologici che conservano cellule e tessuti. Ciononostante, il venir meno di
queste reti determina fenotipi invecchiati. Per di più, al contrario dello sviluppo
embrionario (che è quasi fisso), la velocità dell’invecchiamento all’interno di una
specie è altamente variabile. Anche individui geneticamente identici e mantenuti nelle
medesime condizioni ambientali vivono per periodi ampiamente variabili, il che
dimostra che vi è una componente stocastica*, oltre a fattori genetici e ambientali, che
influenza l’inizio e la velocità dell’invecchiamento. Questa variabilità induce a ritenere
che la risposta di cellule, tessuti, organismi agli stress ambientali non sia inevitabile,
ma vi sia una certa “malleabilità”, che può modificare il tempo di insorgenza
dell’insufficienza dei meccanismi omeostatici che portano al fenotipo invecchiato.
* Un evento stocastico avviene senza regole, quindi è casuale o occasionale
A queste osservazioni empiriche sulle variazioni relativamente piccole della lunghezza
della vita nell’ambito della stessa specie (a dispetto delle varianti stocastiche) fa
contrasto l’osservazione sperimentale che mutazioni genetiche ed interventi
ambientali, soprattutto riguardo all’assunzione calorica, possono alterare, in alcuni casi
anche di diverse volte, la durata massima della vita di individui della stessa specie.
Questi risultati nell’insieme dimostrano l’importanza di fattori interni ed esterni alla
cellula che si integrano nella regolazione delle risorse e delle energie investite da
ciascun organismo nel mantenimento di cellule e tessuti. Conosciamo oggi una gran
varietà di geni e segnali le cui mutazioni possono estendere la durata della vita.
Analogamente, variazioni ambientali come la restrizione calorica, la cui efficacia è nota
degli anni ‘30 del ‘900, possono aumentare notevolmente la durata della vita.
Annu. Rev. Physiol. 2013. 75:621–44
Riassunto
La scoperta delle basi biologiche dell’invecchiamento è una delle più grosse
scommesse ancora valide par la scienza. La biologia dell’invecchiamento ha scoperto
una gamma di interventi e percorsi che controllano la velocità dell’invecchiamento e
ne emerge il quadro di una rete di segnali sensibili allo stato nutrizionale che controlla
la crescita, la resistenza alle insidie ambientali e l’invecchiamento; esempi importanti
sono il sistema insulina/IGF1 e il bersaglio (target) della rapamicina (TOR) che
probabilmente mediano gli effetti della restrizione dietetica sull’invecchiamento. Non
sono chiari però i processi biologici che stanno alla base di questo controllo della
durata della vita. Una classica assunzione di base afferma che l’invecchiamento è
causato da usura e consunzione (wear and tear) particolarmente a livello molecolare:
per esempio, le specie reattive dell’ossigeno (ROS), generate come sottoprodotti del
metabolismo, sarebbero un’importante causa di questo danneggiamento.
Questa teoria è però stata smentita da numerosi recenti risultati sperimentali, aprendo
la strada a nuovi scenari, fra cui spicca la teoria dell’iperfunzione: i processi che
provocano crescita e riproduzione continuerebbero anche negli stadi avanzati della
vita sfociando in patologie ipertrofiche e iperplastiche.
LA NATURA E LA MALLEABILITA’ DEL PROCESSO D’INVECCHIAMENTO
La perdita di vitalità nel corso del cammino di ogni organismo vivente lungo il percorso
necessariamente limitato della sua vita è una verità che non richiede conferme: è a tal
punto inesorabile ed inevitabile che si potrebbe considerarla impossibile da spiegare e
da sottoporre ad analisi sperimentale. Tutte le macchine fatte dall’uomo si rovinano e
alla fine si rompono: perché gli organismi viventi non dovrebbero seguire la stessa
sorte? D’altra parte, il processo d’invecchiamento è molto malleabile.
Non è proprio chiaro che cosa non vada bene durante l’invecchiamento e non
sappiamo quali siano le cause meccanicistiche di questo deterioramento. Infine, se
abbiamo trovato dei modi per rallentare l’invecchiamento in animali da laboratorio,
non abbiamo ancora capito come essi funzionino.
L’invecchiamento è davvero complicato perché avvengono molti cambiamenti
contemporaneamente in diverse parti del corpo e a diversi livelli di organizzazione
biologica: macromolecole, organelli, cellule, tessuti ed interi sistemi.
Un altro problema è distinguere fra effetti collaterali che probabilmente non
comportano diminuzioni funzionali, come l’incanutimento del pelo umano, ed effetti di
importanza vitale, compresi quelli responsabili di patologie legate alla vecchiaia. Vi
sono elementi comuni del processo d’invecchiamento in organismi diversissimi e interventi uguali possono migliorare la salute e le funzioni negli individui vecchi, proteggerli
dalle patologie specifiche e aumentare la durata della vita. Questa conservazione
evolutiva è stata confermata prima di tutto per gli effetti della nutrizione.
Una rete di segnali molto antica e conservata durante l’evoluzione, basata sul
riconoscimento dello stato nutrizionale, gioca un ruolo importante nella
regolazione dell’invecchiamento: a) vermi (Caenorhabditis elegans), b) insetti, c)
topo. Abbreviazioni: FOXO, forkhead box O transcription factor; IGF-1, insulinlike growth factor 1
Aminoacidi specifici giocano un ruolo chiave nell’aumento della vita legato alla
restrizione dell’assunzione di cibo (CR = calorie restriction). Le prime mutazioni di un
solo gene che prolungava la vita furono scoperte nel C. elegans ed era incluso nella via
insulina/IGF-1 (IIS = insulina/IGF-1 signaling pathway): una via che associa i processi
che consumano (crescita, metabolismo, riproduzione) con la disponibilità di nutrienti.
Topi mutanti per questi geni quando sono vecchi hanno una migliore gestione del
glucosio, un profilo immunitario migliorato e una buona performance neuromuscolare,
mentre sono protetti da osteoporosi, cataratta, dermatite ulcerosa: un miglioramento
a largo spettro delle condizioni di salute che assomiglia a quello della CR. Anche
nell’uomo, varianti genetiche naturali della via insulina/IGF-1 si associano ad un
prolungamento della vita.
La presenza di un uguale meccanismo sensibile ai nutrienti in tante specie animali
consente di studiare i meccanismi dell’invecchiamento che sono importanti anche per
l’uomo. La IIS è intimamente legata alla via TOR, in maniera reciproca.
COME FANNO LE VIE SENSIBILI AI NUTRIENTI A CONTROLLARE L’INVECCHIAMENTO?
CR e ridotta attività delle vie sensibili ai nutrienti devono in qualche modo alterare
meccanismi biochimici a valle o riducendo processi che danneggiano le funzioni e
peggiorano la salute oppure aumentando attività che proteggono dall’invecchiamen-
to: questo è causato dall’accumulo di danni cellulari e la sua velocità dipende
dall’intensità relativa dell’accumulo del danno e dai meccanismi somatici di
mantenimento.
Invecchiamento come iperfunzione
I processi che stanno alla base dell’accrescimento e della riproduzione nella prima
parte della vita continuano più avanti a livelli aumentati, provocando patologie e
morte: coinvolgono GH, IGF-1 e TOR*. Autofagia e riduzione della produzione proteica
potrebbero ritardare l’invecchiamento sopprimendo ipertrofia e iperplasia.
* Il riconoscimento di una specifica via genica implicata nella regolazione dell’invecchiamento non indica
necessariamente quale sia l’effetto specifico, anzi talvolta gli effetti sono contraddittori
Annu. Rev. Physiol. 2013. 75:645–68
I due rami principali del mantenimento del genoma e i loro effetti sul fenotipo
Per instabilità del genoma si intende la sua naturale tendenza ad alterarsi in condizioni
fisiologiche, in 3 modalità: a) danno chimico al DNA (rotture ad una o entrambe le
eliche, legami crociati fra basi, anche fra eliche, depurinazione o depirimidinazione
degli zuccheri); b) mutazioni (aggiunta, sottrazione o scambio di pezzetti di codice
genetico); c) epimutazioni (alterazioni del DNA senza mutazioni). L’invecchiamento è
causato dall’accumulo di mutazioni del DNA.
DANNO, RIPARAZIONE E MUTAZIONE DEL DNA. Il danno modifica la struttura chimica
mentre la mutazione cambia il contenuto di informazioni. I danni sono provocati da
cause interne (acqua e ossigeno) ed esterne (radiazioni). I sistemi di riparazione del
DNA ne controllano continuamente la composizione e mantengono alti livelli di
integrità genomica in condizioni fisiologiche.
La risposta cellulare ai danni del DNA è di due tipi: le cellule in proliferazione si
arrestano temporaneamente per riparare il danno; invece l’arresto definitivo della
mitosi è denominato senescenza ed è associato alle manifestazioni biologiche
dell’invecchiamento. Alla fine, la cellula senescente può essere eliminata per apoptosi.
Descrizione schematica dei principali meccanismi di riparazione del DNA nelle cellule di
mammifero suddivise sulla base di specifiche forme di danno.
Molte cellule muoiono nei tessuti durante lo sviluppo ma nell’adulto la frequenza di
apoptosi è bassa: in effetti un maggiore grado di apoptosi prolunga la vita. Gli errori
avvengono durante la riparazione del DNA, sia in fase di replicazione sia in cellule che
non si dividono. La riparazione del DNA e il mantenimento del genoma sono un
meccanismo di sopravvivenza fondamentale, che però spesso avviene a costo di
mutazioni. Modificazioni casuali del DNA hanno spesso effetti negativi: le malattie
ereditarie sono conseguenza di mutazioni nelle cellule germinali, così come i cancri, la
principale malattia legata alla vecchiaia. Ci si chiede perciò perché le mutazioni non
sono completamente soppresse? Una buona ragione è che se tutti gli alleli fossero fissi
gli organismi non potrebbero adattarsi alle modificazioni ambientali e non ci sarebbe
vita nella terra.
L’invecchiamento non è controllato da un programma genetico specifico, come invece
lo è lo sviluppo: non porta alcun vantaggio e sembra solo una conseguenza logica della
tendenza della selezione naturale a rimandare le azioni dannose dei geni fino a tarda
età; non c’è selezione contro i geni pericolosi della tarda età.
INSTABILITÀ DEL GENOMA E INVECCHIAMENTO: L’IMMORTALITÀ DELLA LINEA
GERMINALE
Se l’instabilità genica è il principale meccanismo dell’invecchiamento, ci si deve
aspettare che: a) i vari tipi di danno al DNA si accumulino con l’età; b) gli organismi più
longevi abbiano un sistema di mantenimento migliore; c) la longevità sia associata a
varianti polimorfe dei geni del mantenimento.
Nell’embrione, composto di cellule non definitive, le opportunità per il mantenimento
dei geni sono più efficaci: questo spiega perché le linee germinali sfuggano
all’estinzione dovuta a mutazioni spontanee. La selezione si prolunga fino alla fine
della gestazione: soltanto il 30% dei concepimenti arriva alla nascita e più di metà dei
feti abortiti ha anomalie cromosomiche, e probabilmente questo numero è
sottostimato. Insomma, la frequenza delle mutazioni all’inizio della vita è molto
elevata, ma le conseguenze funzionali sono limitate dalla selezione.
ACCUMULO DI ALTERAZIONI GENETICHE CON L’ETÀ
Alla fine dello sviluppo, la divisione cellulare diminuisce molto, ma non cessa
completamente, nemmeno negli organismi considerati postmitotici: nei mammiferi le
divisioni cellulari sono necessarie per mantenere stabile il numero delle cellule,
soprattutto in tessuti che proliferano rapidamente, come l’intestino, il tessuto
emopoietico e l’epidermide. Con il passare del tempo, si accumulano alterazioni
geniche che non possono più essere controllate dalla selezione, benché i sistemi di
riparazione del DNA siano molto efficienti: vi è una situazione omeostatica fra la
comparsa di lesioni e la loro riparazione. Può darsi che negli anziani la capacità di
riparare le lesioni sia compromessa. Al contrario del danno al DNA, che è reversibile,
gli errori che sopravvengono durante la riparazione sono irreversibili e si accumulano
con l’età.
Siccome le mutazioni si accumulano a caso, i tessuti somatici diventano in realtà un
mosaico di genotipi. La variazione del numero di coppie (CNV) è la principale causa di
polimorfismo e quando i geni modificati si associano a quelli normali possono
provocare difetti funzionali.
Le modificazioni somatiche si amplificano per clonazione e possono essere la causa
delle malattie legate all’età.
VARIAZIONI DELL’EPIGENOMA
L’epigenoma - lo strato di informazione genica sovrapposto all’elica del DNA – può ben
essere più esposto a modificazioni del DNA stesso. Durante la replicazione e la
riparazione del DNA, l’epigenoma che regola l’organizzazione della cromatina deve
essere smontato e riassemblato: può cambiare con l’età la conformazione del DNA, ma
si è posta molta attenzione a fenomeni di metilazione, che certamente si modificano
molto con l’età. Nell’invecchiamento, certe risposte fisiologiche, per esempio allo
stress, possono richiedere modificazioni sistematiche della metilazione, che sono
certamente esposte a variazioni casuali più del DNA stesso.
MUTAZIONI DEL DNA MITOCONDRIALE
Infine, c’è stata grande discussione sul possibile ruolo di mutazioni del genoma
mitocondriale (mtDNA) come causa del processo di invecchiamento: l’interesse deriva
dell’esposizione di questo genoma ai ROS, dato che nei mitocondri avviene la
fosforilazione ossidativa, di cui i ROS sono un inevitabile sottoprodotto. La frequenza di
mutazione del mtDNA è molto elevata, ma ogni cellula ne contiene tantissimo, per cui
la probabilità che ne derivino danni funzionali è bassa; però l’accumulo di mutazioni
può superare una soglia e manifestare effetti fisiologici, in particolare alterazioni delle
catene respiratorie.
CONSEGUENZE DELLE VARIAZIONI CASUALI DEL GENOMA
Benché si sia sempre pensato che le modificazioni delle sequenze di proteine fossero
alla base dell’evoluzione, in un articolo del 1975 King & Wilson facevano notare che la
composizione media dei polipeptidi umani è identica per il 99% a quella dello
scimpanzé e quindi le differenze fra queste specie devono essere attribuite a
modificazioni genetiche del controllo dell’espressione genica. Oltre alle cellule
germinali, anche quelle somatiche partecipano alla selezione naturale attraverso la
regolazione dell’espressione genica. Ma com’è possibile che modificazioni molecolari
casuali delle cellule provochino simili fenotipi specifici dell’invecchiamento? La
maggior parte delle mutazioni appaiono in piccoli numeri e quindi come possono
mutazioni di scarsa abbondanza portare a variazioni fenotipiche comuni? Soltanto una
piccola percentuale delle cellule dovrebbe essere interessata alle mutazioni di un gene
critico. D’altra parte, le funzioni di cellule e tessuti dipendono da reti di regolazione dei
geni e un danno in un punto qualunque della rete può avere effetti negativi. Ecco
perché le conseguenze di una singola mutazione casuale si possono propagare a tutta
la rete e compromettere la funzione. Questo conduce a fenotipi di invecchiamento
molto simili.
GENETICA DELL’INSTABILITÀ GENOMICA
L’invecchiamento e la longevità sono determinate geneticamente, almeno in parte, ed
è logico che variazioni genetiche in punti che codificano per geni coinvolti nel
mantenimento del genoma siano legate ad alterazioni della durata della vita.
Considerando la grande variabilità fra specie, dai 30 giorni dei vermi ai 100 anni
dell’uomo, si deve pensare che questa rifletta importanti differenze nel genoma, e se
la longevità dipende dal livello di instabilità del genoma, allora i sistemi che se ne
fanno carico devono giocare un ruolo fondamentale nel determinare la durata della
vita.
Ci sono sindromi di invecchiamento precoce nell’uomo, sempre dovute a difetti
ereditari del mantenimento del genoma, e l’alterazione di questi geni nei topi
riproduce il fenotipo di invecchiamento precoce; sarebbe importante dimostrare che
l’inattivazione degli stessi geni responsabili dell’invecchiamento prolunghi la vita.
La longevità ha una componente genetica di circa il 25%.
Alcuni tipi comuni di mutazione. Mutazioni puntuali riguardano un paio di basi; la
trasposizione sposta segmenti di DNA lungo lo stesso cromosoma o verso un altro;
quando si tratta di segmenti lunghi si parla di traslocazione. La cancellazione o
l’inserzione può limitarsi ad un singolo paio di basi o coinvolgerne milioni.
Nell’inversione, segmenti di DNA hanno invertito la loro direzione. Oltre a queste
mutazioni semplici, ve ne sono di molto complicate, per le quali è difficile riconoscere
l’origine.
L’accumulo di alterazioni genomiche trasformano i tessuti in mosaici genetici.
L’aumento delle mutazioni è rappresentato da un codice a colori: può accadere
che alcune cellule accumulino una combinazione particolarmente sfortunata di
alterazioni geniche e si trasformino in tumore (cellule grigie)
L’impatto di variazioni dei geni che presiedono al mantenimento genomico sul fenotipo a
livello cellulare, di tessuto/organo, dell’intero organismo
Annu. Rev. Physiol. 2013. 75:669–84
Abstract
Gli organismi viventi, uomo incluso, invecchiano: col passare del tempo la capacità di
eseguire lavoro fisico o intellettuale diminuisce, aumenta la suscettibilità a malattie
infettive, metaboliche e neurodegenerative, il benessere generale declina e arriva la
morte. Manipolazioni genetiche e ambientali possono evitare molte malattie associate
all’età, migliorare la salute in età avanzata ed aumentare la durata della vita. La
restrizione calorica (CR) (consumo di diete povere di calorie ma contenenti tutti gli
alimenti essenziali) è il tipo di manipolazione genetica o ambientale più efficace per
estendere la durata della vita e migliorare gli indicatori di salute in animali da
esperimento. Tuttavia nella vita reale la CR ha effetti molto meno sicuri. Comprendere
i meccanismi è importante: le sirtuine, enzimi dipendenti da NAD+ mediano numerose
risposte metaboliche e comportamentali alla CR.
INTRODUZIONE
Ha circa 80 anni la dimostrazione inattesa ed illogica che ritardare la crescita di topi
attraverso la restrizione calorica allunga la loro vita; in seguito questo concetto è stato
esteso a numerosi organismi, come lieviti, vermi, mosche, ragni, topi e probabilmente
scimmie. All’allungamento della vita si associa la prevenzione o il ritardo e la minore
aggressività di molte patologie legate all’invecchiamento. Nell’uomo non è affatto
facile mantenere un regime di restrizione calorica per tutta la vita e gli inconvenienti
possono essere maggiori dei benefici: per questo si può pensare a terapie basate sui
meccanismi molecolari della CR. I meccanismi consistono in alterazioni del
metabolismo energetico, della risposta al danno ossidativo, della sensibilità insulinica,
dell’infiammazione e dei sistemi neuroendocrino, paracrino e riproduttivo.
Vi devono essere dei regolatori metabolici che analizzano l’introduzione calorica e
influenzano i segnali cellulari che inducono invecchiamento e malattie. Le sirtuine
sono enzimi dipendenti dal NAD+, che ne fa un meccanismo capace di legare lo stato
nutrizionale con i programmi genetici delle cellule.
In molte specie, la CR riduce la fertilità e la temperatura: si è proposto un legame fra
metabolismo basale, temperatura e longevità. La CR riduce anche l’incidenza dei
cancri.
RUOLO DELLE SIRTUINE NELLA FISIOLOGIA E NEL METABOLISMO
La sirtuina più studiata è la SIRT-1, che agisce sugli adipociti attraverso il PPAR
(peroxisome proliferator-activated receptor) e attiva il metabolismo ossidativo nel
muscolo, grasso e fegato aumentando la sensibilità all’insulina e bloccando
l’invecchiamento. SIRT-1 controlla la gluconeogenesi epatica e attiva i geni necessari
per il digiuno prolungato, incentivando la formazione di corpi chetonici. Controlla
l’infiammazione.
RUOLO DELLE SIRTUINE NELL’INVECCHIAMENTO E MALATTIE AD ESSO ASSOCIATE
Considerato che l’invecchiamento è il principale fattore di rischio per malattie
cardiovascolari, diabete, sindromi neurodegenerative e cancro, SIRT-1 media gli effetti
di CR nell’aumento della longevità; la sua concentrazione aumenta nella restrizione
calorica cronica. Pertanto, la manipolazione genetica di SIRT-1 o il digiuno riducono
l’incidenza della malattia di Alzheimer, di Hungtington, di Parkinson e della sclerosi
laterale amiotrofica.
SIRT-1 INFLUENZA PROCESSI NEUROLOGICI: MEMORIA, UMORE, COMPORTAMENTO
Animali con eliminazione genetica di SIRT-1 hanno funzioni cognitive compromesse.
SIRT-1 è coinvolta anche nei ritmi circadiani. I ratti sottoposti a CR diventano meno
aggressivi e hanno una minore attività sessuale, mentre le scimmie deprivate di cibo
sono più aggressive durante i pasti. Lo stato nutrizionale dei genitori può avere effetti
duraturi sul comportamento della prole, che tende ad essere depressa.
La restrizione calorica influenza molte funzioni
fisiologiche, che possono modificare la salute
e la durata della vita. I principali geni coinvolti
sono quelli che codificano i sensori
nutrizionali, come le sirtuine, AMPK, TOR e
sensibilità insulinica. Gli effetti di CR
comprendono la riduzione dei cancri, la
soppressione della riproduzione, alterazioni di
funzioni metaboliche (maggiore ossidazione
dei grassi), alterazioni comportamentali (ansia
e depressione, maggiore aggressività),
migliore riparazione del DNA.
Le sirtuine sono una famiglia di proteine molto comuni (dai batteri all’uomo): hanno
diverse attività enzimatiche e localizzazioni intracellulari.
SIRT-1 media la risposta epatica al digiuno. All’inizio, CREB/CRTC2 aumentano la
gluconeogenesi e stimolano la produzione di SIRT-1: con meccanismo a feedback
negativo, questa deacetila la CRTC2 inattivandola, mentre attiva la PGC-1 e FOXO,
fattori trascrizionali che producono geni necessari per la risposta al digiuno
prolungato.
SIRT-1 e -6 sopprimono l’infiammazione e riducono la formazione di geni
proinfiammatori.
SIRT-3 controlla il funzionamento dei mitocondri, attivando molti enzimi del
metabolismo e la detossificazione dei ROS
SIRT-1 nel cervello entra in numerosi processi che controllano lo stato di salute, la
neurogenesi e il comportamento
Aging, Cellular Senescence, and Cancer
Judith Campisi
Buck Institute for Research on Aging, Novato, California 94945;
Lawrence Berkeley National Laboratory, Berkeley, California 94720;
Annu. Rev. Physiol. 2013. 75:685–705
L’invecchiamento è una caratteristica universale degli organismi biologici ed è
caratterizzato da un declino progressivo delle funzioni di cellule e tessuti; quando
questi sono rinnovabili, aumenta l’iperplasia, la cui forma più grave è il cancro.
Perché questo avviene?
Gli eventi naturali colpiscono singoli individui di una specie, limitando il numero di
quelli che arrivano ad un’età avanzata e perciò sono pochi quelli su cui può operare
la selezione naturale per eliminare geni e alleli con effetti deleteri legati all’età, in
particolare quelli che invece hanno effetti positivi nei giovani. Cioè, la selezione
naturale non elimina geni che promuovono la sopravvivenza all’inizio della vita ma
causano danni in tarda età (pleiotropia antagonistica)
La degenerazione che provoca graduale perdita di funzioni va dal livello molecolare a
quello dell’intero organismo e colpisce quasi tutte le specie, anche se la suscettibilità a
diverse patologie è variabile. La comparsa di patologie legate all’età ha un andamento
esponenziale, a partire da circa la metà della durata media di vita (50-60 anni
nell’uomo).
Fra gli organismi multicellulari con tessuti rinnovabili vi è un’altra caratteristica legata
all’età: l’aumento di funzione che fa proliferare le cellule (iperplasia) in maniera
inappropriata e l’instabilità genomica che accentua la propensione delle cellule a
proliferare, migrare e colonizzare siti ectopici, diventando più resistenti agli insulti
ambientali e sfuggendo al sistema immunitario. I fenotipi che ne derivano sono
naturalmente segni tipici del cancro.
C’è almeno un processo – denominato senescenza (cellulare)– che lega diversi aspetti
dell’invecchiamento, che sia degenerativo o iperplastico.
La senescenza cellulare è un arresto irreversibile della proliferazione di fronte a stimoli
potenzialmente oncogeni: la senescenza potrebbe essere proprio un’essenziale difesa
contro lo sviluppo di cancri. È un processo irreversibile perché non si conoscono stimoli
fisiologici che possano interromperla (cioè far rientrare le cellule nel ciclo
riproduttivo).
Stimoli potenzialmente oncogeni: danni al DNA; intensi segnali mitogeni, compresi
quelli attivati da oncogeni; alterazioni dell’epigenoma; espressione ectopica di
certi soppressori dei tumori. Molteplici conseguenze: soppressione della
tumorigenesi; promozione della riparazione ottimale dei tessuti; ma anche
stimolazione della produzione di cancri e di malattie degenerative.
Le cellule senescenti subiscono ampie variazioni dell’organizzazione della cromatina e
dell’espressione genica, con secrezione di citochine proinfiammatorie, chemochine,
fattori di crescita e proteasi, costituendo il cosiddetto fenotipo secretorio senescente
(SASP): questo ha molte attività paracrine, che lo indicano non soltanto come un
sistema dedicato alla prevenzione dei cancri, perché può anche promuovere la
riparazione dei tessuti e la rigenerazione dopo danneggiamento.
Danni
genomici
o
epigenomici
attivano la risposta al danno del DNA
(DDR), che innesca una serie di
meccanismi, compresa l’attivazione di
SASP, controllata a feedback negativo,
e
infine
cellulare
l’arresto
della
crescita
Le mille attività del SASP, che dipendono dal contesto fisiologico: stimolazione
dell’angiogenesi, stimolazione e inibizione della crescita cellulare, chemioresistenza dei
tumori, transizione mesenchimale-epiteliale, infiammazione cronica, influenza sulla
trasformazione di cellule staminali, ottimizzazione della riparazione dei tessuti.
CAUSE DELLA SENESCENZA CELLULARE
La senescenza fu riconosciuta in vitro da Hayflick circa 50 anni fa, che si accorse che
colture di fibroblasti non proliferano indefinitamente, quindi queste cellule hanno una
vita riproduttiva limitata e poi vanno incontro a senescenza.
Accorciamento dei telomeri. Le terminazioni di molecole di DNA lineari non possono
essere replicate completamente e perciò i telomeri, i frammenti di proteine del DNA
che terminano i cromosomi, si accorciano ad ogni divisione cellulare, se non sono
ripristinati da specifici enzimi (telomerasi) presenti solo in alcuni casi. Quindi, divisioni
cellulari ripetute in assenza di telomerasi finiscono per rendere mal funzionanti i
telomeri e questo stimola la risposta al danno del DNA (DDR), ma blocca la riparazione
del danno. Il DDR blocca la divisione cellulare e limita l’instabilità genomica. Ma i
telomeri rotti non possono essere riparati e quindi il meccanismo non si interrompe e
la cellula diventa senescente.
Molti segnali mitogeni (es. MAPK) che stimolano la proliferazione inducono
senescenza quando sono esagerati. Anche perturbazioni dell’epigenoma possono
indurre senescenza.
Il danno genomico attiva il DDR, che mette in moto la via p53/p21, con un andamento
iniziale rapido e intenso, che può persistere a bassi livelli se la risposta non è adeguata.
CARATTERISTICHE DELLA SENESCENZA CELLULARE
Le cellule senescenti, oltre che per il blocco permanente della crescita, sono
identificate da diverse caratteristiche e marcatori molecolari, benché nessuno sia
esclusivo. Quindi mancano i marcatori della crescita, le cellule sono dilatate e
appiattite e manifestano il SASP, che comprende un gran numero di citochine,
chemochine, fattori di crescita e proteasi: alcuni di questi fattori possono avere effetti
sia benefici sia deleteri. Il SASP può stimolare la proliferazione cellulare e la
neoformazione di vasi, ma molte proteine hanno effetti complessi sulle cellule, come i
modulatori di WNT (group of signal transduction pathways made of proteins that pass
signals from outside of a cell through cell surface receptors to the inside of the cell), e
promuovono l’infiammazione anche cronica e diffusa.
Il SASP è stimolato dai segnali DDR quando sono persistenti e si sviluppa lentamente.
È sempre più evidente che i fenomeni dell’invecchiamento sono dovuti all’accumulo di
cellule senescenti, che danneggiano i tessuti e inducono patologie associate all’età
tramite SASP.
ESEMPI:
L’aggiunta di fibroblasti senescenti a colture di epitelio mammario distrugge la tipica
struttura e la produzione di proteine del latte, in particolare tramite MMPs.
Cellule muscolari lisce polmonari senescenti fanno aumentare lo spessore delle arterie
e sono alla base dell’ipertensione polmonare. Cellule senescenti sono state trovate
nella cute invecchiata .
Le cellule senescenti possono anche condurre a patologie degenerative e
iperplastiche. Quindi le cellule senescenti si accumulano con l’età e creano un
microambiente tessutale favorevole per lo sviluppo e la progressione dei cancri. Nello
stesso tempo, alcuni elementi del SASP limitano la proliferazione di cellule tumorali e
ne arrestano la crescita.
Le cellule senescenti attraverso il SASP stimolano il sistema immunitario ad eliminare
cellule che esprimono oncogeni e controllano anche in questo modo lo sviluppo dei
cancri. Contemporaneamente però le cellule senescenti possono essere meno esposte
al sistema immunitario e quindi accumularsi: ecco perché gli anziani sono più esposti
alle malattie infettive.
Il SASP però può anche promuovere la riparazione ottimale di altri danni tessutali, per
esempio limitando lo sviluppo di fibrosi.
SOMMARIO
1. L’invecchiamento è caratterizzato da numerosi fenotipi e malattie, molti dei quali
derivano da alcuni processi comuni di invecchiamento
2. La senescenza cellulare è una risposta all’insulto che sopprime i cancri all’inizio
della vita ma può diventare un processo basilare dell’invecchiamento che
determina fenotipi specifici delle malattie della vecchiaia
3. Le cellule senescenti si accumulano con il passare degli anni in molti tessuti e sono
presenti in concomitanza con patologie della vecchiaia sia degenerative sia
iperplastiche
4. Le cellule senescenti esprimono uno specifico fenotipo secretorio (SASP) che
provoca l’abbondante secrezione di numerose citochine proinfammatorie,
chemochine, fattori di crescita e proteasi
5. Il SASP ha effetti sia deleteri sia utili, a seconda del contesto fisiologico
6. Fra gli effetti deleteri c’è l’induzione di uno stato infiammatorio cronico locale e
talvolta sistemico, la scomposizione delle strutture e della funzione dei tessuti e la
facilitazione di cancri ricorrenti e della tarda età
7. Fra gli effetti benefici c’è l’arresto della crescita tumorale, la stimolazione
dell’asportazione immunitaria delle cellule senescenti, l’ottimizzazione della
riparazione di tessuti danneggiati
8. La presenza transitoria di cellule senescenti può essere benefica mentre la
presenza cronica può essere dannosa
In conclusione, il progressivo sviluppo del “fenotipo invecchiato” presenta aspetti
contraddittori, dove alla perdita di funzione e alle modificazioni strutturali si
accompagnano sia meccanismi distruttivi (cancro e minore difesa dalle infezioni) sia
meccanismi protettivi (prevenzione del cancro, migliore riparazione delle ferite per
ridotta fibrosi). La scommessa sarebbe di sfruttare gli aspetti positivi evitando quelli
negativi attraverso interventi specifici.
L’esercizio fisico cronico (allenamento), anche se iniziato in tarda età, offre molteplici
spunti per vincere la scommessa.
ULTERIORI LETTURE CONSIGLIATE:
PLOS Medicine www.plosmedicine.org November 2012 | Volume 9 | Issue 11 | e1001335
Leisure Time Physical Activity of Moderate to Vigorous
Intensity and Mortality: A Large Pooled Cohort Analysis
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Patricia Hartge 1 , I-Min Lee 8
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LIVED COMPARED WITH THAT OF RELATIVELY SHORT LIVED ANIMALS
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The biological clock keeps ticking, but exercise may turn it back
O relógio biológico não para, mas o exercício físico pode atrasar o tempo
Andrea Deslandes
Arq Neuropsiquiatr 2013;71(2):113-118
Caloric restriction and its mimetics
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