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Psicologia dell’arco della vita psicologia dello sviluppo DALLA PSICOLOGIA DELL’ETÀ EVOLUTIVA ALLA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO • Età evolutiva: ad una fase di evoluzione seguono una fase di stabilità (età adulta) e una di involuzione (età senile) metafora dell’arco della vita. • L’adulto era considerato il riferimento normativo. CAMBIAMENTO DI PROSPETTIVA L’ età adulta non è un periodo di stabilità; sono possibili nuovi apprendimenti; non si raggiunge uno sviluppo ottimale; L’ età senile: grazie alla plasticità neuronale sono possibili nuove acquisizioni e nuovi apprendimenti; Nell’ età evolutiva (in senso stretto): ruolo attivo del bambino dalla nascita; percorso non lineare. PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO NELLA PROSPETTIVA DEL CICLO DI VITA O LIFE SPAN • Lo sviluppo riguarda tutta l’esistenza (Baltes e Reese, 1986). • La prospettiva del ciclo di vita mette in primo piano la dimensione tempo: • - non c’è più attenzione solo per il passato, ma anche per il presente e per il futuro; • - lo sviluppo non si identifica con il tempo, ma avviene nel tempo, lungo il quale si snodano le funzioni ed i processi psichici. • Ogni età è caratterizzata da diverse acquisizioni cognitive e affettive e da differenti motivazioni e influenze sociali. • Non si fa più riferimento ad un periodo di accrescimento ed uno di declino STUDIO DEI SISTEMI COMPLESSI • • La previsione meteorologica e l “effetto farfalla”: • «il battito delle ali di una farfalla in una • foresta tropicale può avere come effetto un ciclone dall’altra parte del pianeta» • Non esiste una causa sola. • Piccole cause possono nel tempo produrre grandi effetti. • LA PSICOLOGIA DELLO SVILUPPO OGGI: • • • • 1. Passaggio dalla psicologia dell’ETA’ EVOLUTIVA alla psicologia dello SVILUPPO 2. Passaggio dai modelli DETERMINISTICI o UNICAUSALI ai modelli PROBABILISTICI E MULTICAUSALI • 3. Passaggio dal concetto di STADIO al concetto di PERCORSI NDIVIDUALIZZATI • DI SVILUPPO • Ogni età è caratterizzata da diverse acquisizioni cognitive e affettive e da differenti motivazioni e influenze sociali. • Non si fa più riferimento ad un periodo di accrescimento ed uno di declino INFANZIA 9 L’Epistemologia genetica • Il bambino nasce con un patrimonio genetico che costituisce la base dello sviluppo sia biologico che mentale. • La crescita avviene nell’incontro tra strategie innate e rapporto con la realtà: da questo incontro, sulla base delle esperienze, le strategie iniziali non solo cambiano, ma diventano sempre più complesse. • Secondo Piaget esiste una stretta correlazione tra sviluppo somatico e mentale, sviluppo che si basa su due processi continuamente interagenti tra loro: l’adattamento e l’organizzazione. 10 L’Epistemologia genetica • Adattamento: ricerca attiva di un equilibrio ottimale tra l’individuo e l’ambiente • L’intelligenza è una forma superiore d’adattamento biologico che si attua attraverso due processi complementari 11 L’apprendimento • ASSIMILAZIONE: noi incorporiamo o assimiliamo le nuove esperienze agli schemi che già possediamo • ACCOMODAMENTO: noi adattiamo o accomodiamo gli schemi posseduti in relazione ad ogni singola esperienza 12 Relazione circolare • Assimilazione • Accomodamento • L’assimilazione consiste nell’interpretare le nuove esperienze in base agli schemi posseduti e l’accomodamento permette di modificarli in modo flessibile rispetto le 13 novità Sviluppo dell’intelligenza • L’intelligenza si sviluppa attraverso quattro stadi fondamentali secondo Piaget • • • • Stadio senso-motorio Stadio pre operatrorio Stadio operatorio concreto Stadio operatorio formale 14 Stadio senso motorio (0-24 mesi) Il bambino sperimenta il mondo tramite i sensi e azioni, primi movimenti volontari Caratteristiche: • Esercizio dei riflessi • Reazioni primarie,secondarie e terziarie (il bambino inizia a differenziare sé stesso dall’ambiente) 15 Stadio senso motorio (0-24 mesi) • Permanenza dell’oggetto ( l’oggetto esiste anche al di fuori dal suo campo percettivo) • Angoscia di fronte agli estranei • Egocentrismo infantile ( è reale solo ciò che lo riguarda) 16 Stadio senso motorio (0-24 mesi) • SOTTOSTADIO 1° (0-1 mese): • Motricità attivata dai riflessi. ESERCIZIO DI RIFLESSI (es: suzione, prensione, visione) • EGOCENTRISMO ASSOLUTO: il neonato non differenzia la realtà esterna da sé stesso quadro percettivo 17 Stadio senso motorio (0-24 mesi) • SOTTOSTADIO 2° (2-4 mesi): • REAZIONI CIRCOLARI PRIMARIE ripetizione di un’azione che il bambino indirizza verso il proprio corpo. Inoltre coordina tra loro alcuni schemi, es:coordinazione prensione-visione 18 Stadio senso motorio (0-24 mesi) SOTTOSTADIO 3° (4-8 mesi) • REAZIONI CIRCOLARI SECONDARIE Il bambino indirizza le proprie azioni verso il mondo esterno es: produrre effetti sonori o visivi • ESPLORAZIONE E CONOSCENZA DEGLI OGGETTI Manca ancora la distinzione tra mezzo e fine 19 Stadio senso motorio (0-24 mesi) • SOTTOSTADIO 4° (8-12 mesi): • distinzione MEZZI-FINI (ad es. spostare un oggetto per afferrarne un altro, puntare il dito verso il biberon per farselo dare dalla mamma). • Forte incremento dell’attività esplorativa • PERMANENZA DELL’OGGETTO 20 Stadio senso motorio (0-24 mesi) • SOTTOSTADIO 5° (12-18 mesi): • SPERIMENTAZIONE ATTIVA ricerca di mezzi nuovi per ottenere gli effetti desiderati, attività di “piccolo scienziato” • REAZIONI CIRCOLARI TERZIARIE Le azioni del bambino sono rivolte all’ambiente, introduce variazioni sistematiche nelle azioni che ripete sugli oggetti; es. manipolare in tutti i modi un cucchiaio. 21 Stadio senso motorio (0-24 mesi) SOTTOSTADIO 6° (18-24 mesi): • comparsa della FUNZIONE SIMBOLICA o CAPACITA’ RAPPRESENTATIVA capacità di rappresentare mediante simboli (immagin (immagi nomi, pensieri) qualcosa che non è presente e che non si può percepire direttamente 22 Stadio preoperatorio (2-7 anni) • Il bambino è capace di rappresentare mentalmente le cose con le parole, ma non riesce ad usare la logica • Caratteristiche: – – – – Capacità rappresentativa Imitazione differita Pensiero unidirezionale o irreversibile Egocentrismo, realismo, animismo, artificialismo, finalismo 23 Stadio preoperatorio (2-7 anni) • Inizia la CAPACITÀ RAPPRESENTATIVA (dilatazione della dimensione spaziale e temporale, l’oggetto percepito in passato può essere riprodotto con le stesse caratteristiche della prima volta) 24 Stadio preoperatorio (2-7 anni) EGOCENTRISMO INTELLETTUALE: • tendenza ad assolutizzare il proprio punto di vista EGOCENTRISMO • E’ la tendenza ad essere “incentrato sull’io”. Il bambino guarda le cose unicamente dalla sua prospettiva non rendendosi conto che esistono molteplici punti di vista. Questo dato è evidente soprattutto nel linguaggio o comunque nella conversazione ove il bambino non tiene conto dell’interlocutore, come se l’altro conoscesse il suo stesso pensiero. 25 Stadio preoperatorio (2-7 anni) Fasi • 1° periodo il bambino pur sapendo parlare non arriva alla concettualizzazione • 2° periodo prelogico 26 Stadio preoperatorio (2-7 anni) • Dall’unidirezionalità del pensiero e dalla concentrazione sulle figure percettive e il non possesso del concetto di conservazione: • Se il bambino vede versare la stessa quantità di acqua da un bicchiere basso e largo ad un altro alto e sottile, egli dà per scontato che la quantità di acqua nel secondo bicchiere è maggiore, poichè ha incentrato momentaneamente l’attenzione sull’altezza raggiunta dal liquido. 27 Stadio preoperatorio (2-7 anni) Ragionamento primitivo • (trasduttivo) E’ la modalità di pensiero per cui due avvenimenti che avvengono per caso contemporaneamente, non solo sono strettamente collegati, ma uno è causa dell’altro. • Il bambino dunque ritiene il nesso cronologico necessariamente causale. • Questo tipo di ragionamento che è all’origine del pensiero magico, secondo l’Autore, tende a scomparire intorno ai sei anni. 28 Capacità di classificazione • Il bambino verso la fine dello stadio pre-operatorio (6 anni circa) è in grado di fare raggruppamenti sulla base di somiglianze più o meno complesse. • Manca comunque la capacità da Piaget chiamata “inclusioni di classi” che verrà acquisita verso i 7-8 anni. Capacità che permetterà al fanciullo di capire che alcuni oggetti sono sottoclassi di una classe comune. 29 Realismo • Piaget definisce “intuizione infantile” il fatto che il bambino “situa nell’universo o negli altri ciò che noi situiamo in noi stessi, e situa in se stesso ciò che noi situiamo in altri”. • E’ sensibile al mondo che lo circonda, ma essendo inconsapevole dei suoi processi mentali, finisce per considerare i suoi pensieri e i suoi sentimenti, obiettivi, come se ognuno di noi provasse le sue stesse emozioni e formulasse i suoi stessi pensieri. Io del bambino e Mondo coincidono. 30 Animismo • Per il bambino gli oggetti ed i fenomeni sono dotati di un anima • Fino all’età di 6-7 anni, tutti i corpi per il bambino sono “coscienti e vivi, anche quelli immobili. La coscienza è legata ad una attività qualsivoglia, sia che questa attività emani dagli oggetti stessi, sia che questi la subiscono dall’esterno”. 31 Pensiero magico • Il pensiero pre-operatorio è fondamentalmente un pensiero magico. Piaget definisce “magia” “l’uso che l’individuo crede di poter fare dei rapporti di partecipazione” per poter “modificare la realtà”. • Definisce “partecipazione” “il rapporto...fra due esseri o due fenomeni.....aventi una diretta influenza l’uno sull’altro, pur non esistendo fra loro nè contatto spaziale nè legame causale intellegibile”. 32 Stadio preoperatorio (2-7 anni) • Finalismo • Tutti gli oggetti ed i fenomeni hanno un fine • Es. La Luna esiste perché deve illuminare la notte 33 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) • Le azioni mentali diventano più mobili, astratte e coordinate in sistemi d’insieme. I bambini comprendono meglio le trasformazioni e compiono inferenze. • Le OPERAZIONI mentali sono definite come azioni mentali coordinate in sistemi d’insieme reversibili (ad ogni operazione corrisponde una operazione inversa che consente di annullare il risultato) SAPER ANDARE DAL PUNTO DI ARRIVO A QUELLO DI PARTENZA E VICEVERSA, TENENDO PRESENTI MENTALMENTE LE DUE CONDIZIONI 34 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) • Operazioni logiche • CLASSIFICAZIONE: capacità di classificare gli oggetti, persone e cose in insiemi in base a una o più proprietà comuni, anche in modo gerarchico. • Tutto ciò è possibile se l’oggetto è percepito direttamente dal bambino, in altre parole, egli è in grado di compiere una operazione logica complessa, quando l’oggetto è visibile. • Il fanciullo, non è in grado di ricostruire mentalmente un’immagine quando non è più da lui direttamente percepibile. L’esperimento della E. Markmann. 35 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) Operazioni logiche • SERIAZIONE: saper ordinare gli oggetti secondo un certo criterio (età, altezza,grandezza) • L’ordinamento in serie comporta l’acquisizione della transitività, ovverosia della operazione per cui se A è maggiore di B e B è maggiore di C, A è maggiore di C. 36 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) Operazioni spazio temporali • LA CONSERVAZIONE O INVARIANZA: Consiste nel comprendere che gli oggetti possiedono proprietà sostanziali che restano invariate anche se cambia la loro apparenza percettiva • Nello stadio preoperatorio i bambini non riconoscevano la conservazione quando veniva meno la somiglianza percettiva. Nello stadio operatorio concreto le relazioni vengono compensate 37 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) • Giudizio morale • Sviluppo intellettivo e la formazione del giudizio morale per Piaget sono strettamente legati, anzi il secondo è subordinato al primo • La morale nel bambino sarebbe frutto del condizionamento ambientale 38 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) Fasi della formazione del giudizio morale • Realismo morale, inizia intorno ai 5 anni, ed è caratterizzata da un assolutismo morale (le regole sono assolute ed immutabili) e da una giustizia immanente (ad una infrazione segue sempre il giusto castigo). • Inoltre, il giudizio morale è da lui considerato indipendente dalle motivazioni: ciò sembra collegabile all’incapacità di guardare oltre i fatti contingenti. 39 Stadio delle operazioni concrete (7-11anni) • Relazione con l’altro • Verso i 7 anni, comincia a svilupparsi una moralità diversa chiamata autonoma o della reciprocità. • Le regole del gioco non sono più immutabili, purchè tutti siano d’accordo nel cambiarle; la convinzione che la punizione segua sempre un cattivo comportamento si attenua fortemente. • Il bambino comincia a giudicare le azioni in base alle motivazioni, non solo agli effetti. • L’antinomia bene-male, giusto-ingiusto, assume, ora, la caratteristica di quello che sarà il senso morale dell’adulto.40 Stadio delle operazioni formali (11 – 12 anni) • Il pensiero lavora con contenuti espressi con qualsiasi linguaggio (parole, simboli matematici, ecc.) senza l’appoggio della percezione, dell’esperienza e delle convinzioni. • Nello stadio delle operazioni concrete i bambini risolvevano problemi concreti di seriazione, ora ragionano su proposizioni verbali 41 Stadio delle operazioni formali (11 – 12 anni) • Nel momento in cui il pensiero si libera dalla realtà, nasce l’immaginazione. In altre parole nasce la rappresentazione degli oggetti assenti, che equivale alla rappresentazione del reale. 42 Stadio delle operazioni formali (11 – 12 anni) • Le operazioni formali sono azioni mentali su proposizioni Consentono di ragionare in termini ipotetici deduttivi. • “Dopo gli undici o dodici anni, il pensiero formale diviene appunto possibile, e le operazioni logiche cominciano a venir trasposte dal piano della manipolazione concreta al piano delle idee pure espresse in un qualsiasi linguaggio (il linguaggio delle parole o quello dei simboli matematici ecc.),ma senza l’appoggio della percezione, ell’esperienza, o persino della convinzione .... il pensiero formale è quindi “ipotetico-deduttivo”, cioè in grado di trarre conclusione da pure ipotesi e non soltanto da una osservazione concreta”. 43 Stadio delle operazioni formali (11 – 12 anni) • Nuovo tipo di egocentrismo: sopravvalutare il proprio pensiero Anche in età adulta non sempre viene utilizzato il pensiero ipoteticodeduttivo 44 Stadio delle operazioni formali (11 – 12 anni) • Operazioni formali Operazioni di COMBINAZIONE (tutte le combinazioni possibili) Primato del POSSIBILE sul reale (ventaglio di possibilità) Scoperta di leggi fisiche mediante il CONTROLLO e la VARIAZIONE SISTEMATICA delle variabili 45 ADOLESCENZA La teoria di Piaget • Piaget dipinge l’adolescente, allo stadio del terzo egocentrismo, che sogna di trasformare il mondo con la sola forza del suo pensiero. Tuttavia, la teoria di Piaget, che rivaluta l’importanza degli aspetti cognitivi dello sviluppo e soprattutto afferma che l’adolescente mentalmente sta alla pari con gli adulti, fornisce premesse importanti per considerare l’adolescente come adulto marginale. ADOLESCENZA – sviluppo emotivo • l‘Adolescenza è stata inventata dalla società tecnologica per tenere ubbidienti e sottomessi soggetti che sono già giovani adulti, al fine di controllarli e istruirli • non importa se poi si ribellano o diventano depressi, questo viene considerato "normale“ • la crisi dell’adolescenza non esiste nelle società primitive • ci si occupa di adolescenza solo dal XX secolo, prima il concetto è pressoché inesistente, indica solo la pubertà Nel XIX secolo vari autori si erano occupati della psicologia religiosa dei giovani giustificando la pratica del tentativo di conversione religiosa dei giovani promossa dalle chiese protestanti Le prime concezioni sull’adolescenza di orientamento positivistico (Hall, 1904) riconducevano gli aspetti che caratterizzano tale fase di passaggio alle trasformazioni biologiche proprie di questa età e perciò indipendenti da variabili culturali e ambientali. L’imporsi delle pulsioni sessuali, le tensioni emotive estreme, i sentimenti contrastanti, renderebbero l’adolescenza una fase di vita drammatica seppur inevitabile. In un epoca in cui nasceva l’adolescenza sotto l’influsso dell’industrializzazione, Stanley Hall forniva una razionalizzazione della dipendenza imposta ai giovani, una teoria normativa di questa nuova fase della vita, teoria che fu accolta con favore dai genitori, insegnanti e dirigenti dei movimenti giovanili, tutti provenienti dalla classe media La psicologia tedesca degli anni Venti Dopo la prima guerra mondiale e la rivoluzione russa iniziò la politicizzazione di molti giovani proletari e borghesi Il sistema scolastico entrò in crisi e la classe dominante sentì la necessità di riformarlo per riprendere il controllo sui giovani. La psicologia accademica fornì loro gli strumenti ideologici necessari a questa impresa, presentando una teoria normativa dell’adolescenza. Lo scopo ideologico di questa psicologia era esplicito: il marxismo è disprezzato, si danno ai genitori consigli per togliere le idee rivoluzionarie dalla testa dei giovani, si esalta il ruolo della religione, presentata come un sentimento innato che si manifesta con intensità proprio durante l’adolescenza. • L’oggetto degli studi quasi esclusivamente la gioventù borghese, quella dei ginnasi e dei Wandervogel, presentata come ideale, una gioventù introversa, ripiegata su se stessa, romantica, amante della natura, disimpegnata e disinteressata dalle lotte sociali e politiche (Friedrich e Kossakowski, 1962). • Negli anni Venti si moltiplicano i libri sulla psicologia dei giovani: citiamo tra i più noti quelli di Ch. Büehler (1927) e di Spranger (1929). I metodi utilizzati per la ricerca sui giovani erano funzionali agli scopi ideologici di questi psicologi, metodi astorici e asociali, rivolti a un individuo astratto che non vive in una società determinata, né fa parte di una classe sociale ben precisa • Certi autori, come Spranger, avevano un orientamento idealista, non si preoccupavano di fare ricerche empiriche ma elaboravano una psicologia a tavolino sulla base di idee filosofiche preconcette con qualche dato selezionato come prova. Per loro, lo sviluppo psichico non dipende da condizioni storiche concrete ma da uno scopo inerente ad ogni individuo. • Nel raggiungimento di questo scopo, ogni stadio ha un senso e un compito specifico. L’adolescenza è dominata dal valore dell’io che viene scoperto nella solitudine e fuga dal mondo. La presa di coscienza di sé porta necessariamente a un conflitto con la società. La stessa sottovalutazione delle condizioni sociali si ritrovano in autori di orientamento biologico come Büehler (1927) e Kroh (1944). Per la prima, ad esempio, tutti i sentimenti dei giovani – il sentimento di solitudine, il distacco dai genitori, l’odio contro l’ambiente, la curiosità sessuale e lo slancio – sono un bisogno biologico che subisce poco l’influsso dell’ambiente. • Durante l’era nazista Jaensch (1939), diventato presidente della società tedesca di psicologia, propose una tipologia dei giovani: quelli nobili e integrati, identificati con i giovani hitleriani, egli altri, disintegrati e decadenti, tra i quali gli ebrei. • Il tipo del giovane nazista, eroico combattente, che trovava in Hitler il suo ideale, fu celebrato, mentre le ragazze erano poco citate in queste pubblicazioni e erano ridotte alla loro funzione riproduttrice di futuri eroi (Friedrich e Kossakowski, 1962). Prime teorie psicanalitiche sull’adolescenza • la prima analisi sistematica dell’adolescenza è dovuta alla figlia di Freud, Anna, la quale tuttavia considera Bernfeld “il vero esploratore della giovinezza”. Questo autore aveva rilevato l’incidenza dei fattori socio-economici sull’adolescenza, periodo che egli considerava importante perché vi si manifestavano tendenze verso la produzione letteraria, artistica e scientifica e una forte inclinazione verso mete idealistiche e valori spirituali. • Bernfeld (1923) metteva anche in risalto le differenze nell’adolescenza dei giovani operai, che accettano più facilmente i cambiamenti somatici della pubertà e vengono più presto considerati come adulti, e dei giovani borghesi che vivono con panico questo periodo. • Anna Freud (1936) riprende l’idea del padre sulla pubertà come ricapitolazione del periodo pregenitale in cui riesplodono i conflitti a causa dell’aumento delle pulsioni, contro le quali l’adolescente si protegge utilizzando vari meccanismi di difesa, in particolare l’ascetismo e l’intellettualizzazione. A. Freud sostiene che l’adolescenza “costituisce per definizione l’interruzione di una crescita pacifica” e “assomiglia, in apparenza, ad una varietà di altre turbe emotive e si avvicina molto alla formazione sintomatica di ordine nevrotico, psicotico e sociale”. Per difendersi dall’angoscia derivante dalla rottura dei legami con i precedenti oggetti di amore, l’adolescente ricorre alla fuga dalla famiglia, all’investimento dell’affetto sul gruppo dei coetanei, all’inversione di libido su se stesso con conseguenti fantasie di potere illimitato. È normale che per un lungo periodo l’adolescente si comporti in modo incoerente e imprevedibile. • Tuttavia in casi non patologici è sufficiente concedere all’adolescente “tempo e spazio per elaborare una sua soluzione” • Sono i genitori piuttosto ad avere bisogno di aiuto e di consiglio per essere in grado di sopportarlo • Le prime teorie psicoanalitiche presentano varie analogie con le teorie finora esaminate. L’importanza data agli aspetti biologici della pubertà, l’insistenza sul carattere critico e patologico di questo periodo, contribuiscono a razionalizzare la subordinazione dei giovani. L’adolescenza, inoltre, viene presentata come fase universale dello sviluppo psichico. • L’esperienza della classe medio-borghese occidentale, che fornisce alla psicoanalisi i casi clinici sui quali costruisce la sua teoria, viene universalizzata in una teoria centrata soprattutto sui maschi. • Colpisce in tutte le teorie dell’inizio di questo secolo, la prospettiva astorica con cui vengono elaborate proprio mentre l’adolescenza si sta formando in funzione di fattori storici. Psicologia dell’adolescenza dopo II guerra mondiale • Erikson (1950, 1968) vede lo sviluppo come un prodotto dell’interazione fra fattori biologici, psichici e sociali. Per lui, il problema centrale dell’adolescenza è l’acquisizione di un’identità socialmente riconosciuta. • Questo periodo, infine, è una fase necessaria, una “moratoria” psicosociale” che la società offre ai giovani perché possano sperimentare ruoli diversi e integrare le identità degli anni precedenti in una prospettiva più vasta di quella familiare. Solo l’individuo che ha un’identità sociale ha raggiunto la maturità. • Anche Redl (1969) sottolinea l’incidenza dei fattori socio-economici e dell’appartenenza a una classe sociale sui vissuti adolescenziali. Accetta e riconosce anche lui la necessità di una moratoria sociale ma fa notare che nella realtà essa è soffocante e infantilizza gli adolescenti anche perché la società non offre più alla maggior parte di essi prospettive professionali interessanti • Meltzer (1968), che si riconosce nella scuola kleiniana, rivede la teoria freudiana affermando che il problema fondamentale degli adolescenti non è di natura sessuale bensì conoscitiva Studi etnologici e empirici negli Stati Uniti • Negli Stati Uniti le teorie biologiche della scuola di Hall furono presto contrastate sia dagli studi della Mead (1928; 1935) e di altri etnologi, sia dalle ricerche sperimentali di Thorndike (1926), Hollingworth (1928), Brooks (1929) e altri. • Gli studi etnologici mettevano in risalto le grandi variazioni che esistevano nello sviluppo umano in culture diversificate, al punto che in alcune società non esisteva l’adolescenza. • Contraddicevano anche, con la descrizione di adolescenze tranquille, le teorie diffuse della crisi adolescenziale derivante dalla pubertà fisiologica. • Gli studi quantitativi di Brooks e altri sull’evoluzione di funzioni psichiche, quali l’intelligenza, fecero apparire uno sviluppo progressivo e graduale che venne interpretato come negazione della crisi. • Alla concezione naturalistica si oppose allora una concezione culturale in cui l’adolescenza veniva considerata come una fase di preparazione allo status adulto nelle società complesse la cui sopravvivenza esigeva una formazione tecnica e burocratica approfondita. • Le difficoltà e crisi, quando appaiono, vengono attribuite non più alla pubertà fisiologica ma al modo incoerente con cui la società tratta gli adolescenti Ricerche sociologiche Nelle loro analisi sia Parsons che Eisenstadt tendono privilegiare gli aspetti di stabilità del sistema sociale e i giovani vengono visti in funzione della “riproducibilità” del sistema attraverso il processo di socializzazione. I gruppi giovanili assolvono fondamentalmente questa funzione di integrazione tra modelli contrastanti, anche se occasionalmente, e per ragioni comunque esterne al sistema stesso, essi possono dar luogo a manifestazioni conflittuali nella sfera della devianza. • Anche Coleman (1961) vede nella gioventù americana, e soprattutto negli studenti, un centro di tensione come risposta alle difficoltà del diventare adulti, ma anziché fare ricorso alla nozione di ambiguità del sistema di ruoli o alla pressione contrastante dei modelli culturali, insiste piuttosto sulle difficoltà di apprendimento che si impongono in una società altamente differenziata, e quindi sull’esigenza di un’istruzione formale molto prolungata. • Alla famiglia si sostituisce la scuola, come luogo privilegiato in cui si compie la socializzazione. In questa situazione il giovane vive la maggior parte del suo tempo a contatto con altri giovani della sua stessa età, dando luogo ad una specie di società “separata” all’interno della società globale. • Alla “società degli adolescenti” l’industria dei teen-agers si rivolge per sollecitare tendenze di consumo e di occupazione del tempo libero, contribuendo così alla formazione di una vera e propria “subcultura giovanile” • Secondo Matza (1961), i giovani sono rispetto agli adulti in una posizione di ambivalenza di fronte al sistema di norme imposto dalla società. Gli adolescenti, e in particolare gli studenti, si trovano in una condizione educativa più tollerante che in passato. • Nello stesso tempo sono in una situazione di dipendenza sociale prolungata, di marginalità e incertezza di status, il che permette l’emergere di forme culturali devianti più o meno convenzionali rispetto al modello culturale dominante. • Il giovane delinquente, il rivoluzionario, secondo Matza, sono soltanto le forme più estreme di un comportamento di non accettazione delle norme sociali che trova i suoi corrispondenti conformistici: a) nella cultura dei teen-agers che valorizza la gratificazione immediata e lo spirito di avventura; b) nell’esistenzialismo piccolo-borghese alla ricerca di un’autenticità dell’esperienza di vita fuori dalle condizioni di alienazioni imposte dalla società centralizzata; c) nel “radicalismo” politico in cerca di prospettive di trasformazione del mondo sociale ed economico. Compiti evolutivi nell’adolescenza Secondo G. E. Gardner l’adolescente si trova a dover affrontare quattro compiti evolutivi: 1) Modificare il loro concetto inconscio delle figure dei genitori, che nell’infanzia sono idealizzati • L’adolescente sposta l’interesse su se stesso e cerca nuovi modelli da idealizzare e con i quali identificarsi. • Il gruppo dei coetanei assolve questa funzione: ogni membro è visto dall’adolescente come una parte di sè 2) Acquisire modelli di moralità accettabili ed adatti alla società adulta. L’adolescente esige modelli di moralità universalmente accettati e che lui stesso possa osservare 3) Scelta di identità sessuale ed identificazione con il ruolo sociale del proprio sesso. Questo presuppone la rinuncia alla fantasia onnipotente di essere come ognuna delle due immagini interiorizzate dei genitori, cioè essere contemporaneamente maschio e femmina • 4) Scelta del proprio futuro nell’ambito dell’istruzione e delle scelte professionali INVECCHIAMENTO • Se l’intero arco della vita (life-span) è un processo costantemente evolutivo, nell’esistenza di ciascuno di noi si alternano "periodi di stabilità" e "periodi di transizione"; questi ultimi esigono un compito evolutivo che è quello di valutare nuove possibilità di cambiamento, a partire da ciò che si è, che si è diventati. • Il cambiamento è visto dunque come sempre possibile, anzi necessario. L'anziano e il vecchio hanno di fronte a sé compiti evolutivi, prospettive; devono ripensare a ciò che è stato, ma non in termini di mero rimpianto, o di depressivo abbandono: secondo questa prospettiva, c'è sempre altro lavoro evolutivo da compiere per creare una vita più adatta a sé. • Abbiamo appena considerato come il mondo della ricerca scientifica abbia smesso di badare solo a quello che si perde con l’avanzare dell’età per guardare di più a quello che si mantiene, si acquista o si deve trasformare e ci ha permesso di abbandonare (almeno in via teorica) una concezione pessimistica della vecchiaia secondo la quale vecchiaia = fatale decadimento. • Ciò non esclude in ogni modo la descrizione dei principali problemi legati all’invecchiamento da tre diversi punti di vista: l’invecchiamento biologico, psicologico e sociale. L’invecchiamento dal punto di vista biologico • Sicuramente nell’individuo anziano si compiono una serie di cambiamenti sfavorevoli e talvolta irreversibili dal punto di vista fisiologico. Al fattore età si possano collegare con certezza i seguenti problemi fisici: 1) diminuzione della funzionalità degli organi di senso (acuità visiva e acustica) 2) calo della potenza muscolare, rallentamento dei movimenti, minore resistenza alla fatica 3) diminuzione della potenza sessuale (nel maschio) e riduzione della libido in entrambi i sessi 4) diminuzione della rapidità di reazione agli stimoli (rapidità percettivo-motoria) • Ma anche per tutti questi aspetti negativi si possono prendere in considerazione i fattori che ne ridimensionano il danno. • E’ stato dimostrato infatti che alcuni deficit possono essere compensati attraverso vari tipi di accomodamento: • i deficit sensoriali possono essere compensati con l’abitudine a ripetere determinate azioni • il rallentamento dei movimenti è compensato con la precisione e l’attenzione • in generale gli anziani sono svantaggiati nei lavori che richiedono frequenti spostamenti e cambi di strategie, mentre si adattano più facilmente .alle attività che richiedono esperienza, costanza, attenzione. • Nella maggior parte dei casi, non sono le trasformazioni biologiche a creare direttamente dei danni e dei disagi nella vita dell’anziano, ma le difficoltà ad adattarsi al cambiamento fisiologico, ambientale o sociale. • Se l’anziano non diventa consapevole che ha perso molte risorse, ma che contemporaneamente può ricorrere a capacità sostitutive e compensare la diminuita funzionalità, vivrà una situazione di grande frustrazione che intaccherà il proprio senso di autostima e di integrità. • In generale, possiamo affermare che i fattori degenerativi non sono mai esclusivamente di carattere biologico, ma le diminuite funzionalità trovano le proprie cause nell’interazione tra fattori fisici, psicologici e sociali • L’invecchiamento dal punto di vista psicologico • Si considerano i cambiamenti sia sul piano cognitivo sia sul piano emotivo-affettivo. • Area cognitiva: • indebolimento della memoria a breve termine • riduzione della capacità di apprendimento di nozioni nuove • riduzione della capacità di selezione degli input • In generale, si può dire che a livello cognitivo diventa più difficile imparare cose del tutto nuove rispetto alle esperienze precedenti , mentre non ci sono difficoltà ad apprendere novità nei campi già sperimentati. • L’invecchiamento dal punto di vista sociale Area emotivo-affettiva: Accentuazione dell’egocentrismo e della tendenza centripeta. Diminuisce la sensibilità emozionale e relazionale verso gli altri Abbandono di capacità progettuali In generale si può dire che la persona anziana tende sempre di più a concentrarsi su i suoi problemi fisici, economici, sociali mentre diminuisce la sensibilità emozionale verso gli altri. L’invecchiamento dal punto di vista sociale • Numerose sono le problematiche derivanti dalla collocazione sociale e ambientale dell’anziano: • collocazione dell’anziano in un nuovo modello di famiglia: il nuovo assetto della famiglia nucleare. Nelle società industriali o postindustriali la famiglia è rappresentata dalla famiglia nucleare e urbana (in Italia circa il 65% delle famiglie). • Questo tipo di organizzazione familiare si distingue dal modello di famiglia allargato, diffuso nel passato. In questa forma di organizzazione, insieme ai figli vivevano altre persone imparentate o no tra loro e personale di servizio. Questo tipo di famiglia era presente nelle civiltà rurali dove era funzionale ai sistemi di conduzione della terra, ai sistemi produttivi, ai modi di organizzazione del lavoro, alle tipologie insediative che connotavano il paesaggio agrario italiano (bracciantato o mezzadria). La famiglia nucleare si rivelò invece più funzionale della famiglia allargata alle esigenze della società borghese nascente e alla produttività di tipo industriale. Nella famiglia contadina dove prevaleva il modello allargato, esisteva una netta definizione e separazione dei ruoli sociali. In questa struttura l’anziano poteva ancora assumere delle funzioni importanti come quelle di detentore di regole morali e sociali, di custode del patrimonio delle tradizioni, dispensatore di nozioni utili all’esecuzione di attività produttive • Oggi all’interno della famiglia nucleare l’anziano non trova più specifiche funzioni da svolgere. Se accanto a questa situazione si aggiunge l’allontanamento dei figli sia in senso fisico ed economico e talvolta anche in senso affettivo, si capisce il senso di emarginazione che l’anziano può provare. • Nel passato l’anziano poteva contare su una rete di relazioni più estesa, ora dopo il distacco dei figli, in un contesto famigliare molto ristretto, l’anziano potrebbe trovarsi di fronte al problema della solitudine e dell’isolamento. • allontanamento dal ciclo lavorativo: uno dei fattori più significativi che determinano il fenomeno dell’invecchiamento è senza dubbio la condizione di pensionato che cancella quella rete di rapporti sociali in cui il soggetto aveva sviluppato la parte centrale della sua vita, determina la diminuzione del reddito e provoca un brusco passaggio da una vita consacrata al lavoro all’ inattività forzata. • L’individuo anziano si trova all’improvviso di fronte ad una grande quantità di tempo libero che spesso non sa utilizzare perché mancano la disponibilità economica, le strutture e la mentalità per sfruttare al meglio questo tempo affrancato dal lavoro. • L’anziano medio aspirerebbe ad avere un’occupazione. Secondo un’inchiesta condotta dall’Ufficio internazionale del lavoro, l’85% dei pensionati desidera lavorare regolarmente o saltuariamente, mentre solo una piccola parte è soddisfatta di riposarsi ma trova insufficienti le possibilità finanziarie. • il problema dell’alloggio: il problema dell’alloggio deve essere inquadrato nella problematica più ampia che riguarda i rapporti familiari e sociali dell’anziano. Infatti, l’abitare dell’anziano è fortemente condizionato da alcuni aspetti relazionali: • se l’anziano vive in coppia col coniuge o col convivente tenderà a vivere nella casa in cui risiede da tempo • se l’anziano è solo o vive ancora in coppia l’abitare potrebbe essere il frutto di strategie di vicinanza o di avvicinamento tra la famiglia “vecchia” e quella dei figli adulti. Quelle che sembrano solitudini sono solo “anagrafiche” poiché l’anziano gode in realtà di una rete di appoggi. • se il vecchio è solo e la salute è precaria allora l’alloggio diventa un problema.Ne è testimonianza magari la casa “degradata” che esprime l’impossibilità e il declino del vecchio ed è lo specchio disarmante delle difficoltà di chi vi abita. • Il problema allora di molti vecchi che vivono da soli è che essi non sono in grado di provvedere a sé stessi e alla cura della loro casa. Per molti anziani si apre la triste prospettiva del ricovero in ospizio. Oltre alla emarginazione famigliare, alla distanza dei figli, alla diminuita autosufficienza e alle precarie condizioni di salute, esistono altri fattori che potrebbero provocare l’allontanamento dell’anziano dalla propria casa e il trasferimento verso luoghi di ricovero. Si tratta soprattutto di condizioni economiche e ambientali: situazione immobiliare degli alloggi (arduo trovare case in affitto) specie se l’anziano vuole trasferirsi in abitazioni più piccole insufficiente reddito pensionistico per far fronte ad affitti o trasferimenti rischio di sfratto terziarizzazione delle aree urbane centrali (insediamento di uffici) e la conseguente migrazione della popolazione anziana nelle zone periferiche della città