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Diapositiva 1 - A scuola di Guggenheim
L’importanza del vuoto nella rappresentazione artistica: la diversa risposta che un artista può dare all’inquietudine del suo tempo, anche attraverso la rappresentazione del vuoto ci ha affascinato: dall’ architettura del Barocco alla provocazione di Duchamp. Ogni quadro, scultura, costruzione racchiude in sé quell’inquietudine che spesso noi stessi proviamo di fronte alla realtà. Questo percorso che vi proponiamo dunque non è un semplice collage di opere, ma piuttosto un insieme di emozioni che abbiamo provato, è il tentativo di comprendere quello che il vuoto in sé e nell’arte esprime. Alla Guggenheim per ricostruire alcune tappe fondamentali dell’arte del ‘900, ispirate in particolare all’idea del vuoto e per verificare il rapporto tra arte, gusto, riflessione culturale e filosofica. Nel ’900, con l'avvento dell'arte astratta, il linguaggio artistico non figurativo, le forme, liberate dalla rappresentazione dell'oggetto fisico, non hanno più attinenza con alcunché di riconoscibile. L'arte deve contestare l'esistente e quindi essere disarmonica, dissolvendo le finzioni di un bello stereotipato e piegato alle regole dell'industria culturale. Per far ciò, l'arte è disposta a diventare parodia di se stessa. Ora le opere sono caratterizzate dalla loro riproducibilità tecnica, non distinguiamo più l'originale dalla copia, si ricerca la radice dell'esperienza. L’avanguardia artistica astratta è allora espressione di contenuti del pensiero metafisico, idee relative alla sostanza primigenia del tutto, o ai nodi principali dell'assoluto. Inoltre viene creato un ponte tra la cultura contemporanea ed il pensiero filosofico e religioso orientale per il quale il vuoto non equivale alla negazione dell'esistenza, ma rappresenta ciò che conserva in sé tutta la potenzialità dell'essere. Il vuoto non è quindi inteso come assenza ma come presenza di tutte le possibilità e l'essenza stessa della realtà caratterizzata dal suo continuo divenire e trasformarsi. •Nelle continue provocazioni; •Nella concezione stessa di arte; •Nel rifiuto di regole formali e accademiche; •Nel nuovo modo di rappresentare lo spazio e il tempo; La percezione del vuoto connota fortemente molte opere d’arte del ‘900: quali sono le radici di questa tematica? •L’idea di riaccostarsi alla realtà “dopo il naufragio”: nichilismo ed esistenzialismo sono le filosofie di riferimento di questo atteggiamento; •L’idea di una rappresentazione artistica semplificata fino alla pura concettualizzazione; •La suggestione nell’arte dei nuovi modi di percepire lo spazio e il tempo della fisica del ‘900; L’arte del ‘900 ripercorre tutte le tappe della crisi che genera la modernità e le sue contraddizioni. come intuizioni Le singole opere si possono leggere corrispondenti ad elaborazioni filosofiche e culturali. L’aggiunta di barba e baffi a una riproduzione della Gioconda di Leonardo da parte di Duchamp sottintende i numerosi punti in comune fra i due artisti, sia sotto il profilo culturale sia estetico, per entrambi l’arte deve essere più mentale che fisica. Anche se apparentemente può sembrare una provocazione, la trasformazione operata da Duchamp ripropone il tema del modello alchemico androgino e dell’uso alchimistico delle lettere per nascondere un insegnamento al profano. La decifrazione delle lettere, indicata dallo stesso artista, ci fornisce la chiave di lettura dell’opera, che simboleggerebbe in termini alchemici l’unione di ciò che è al di sopra (uomo-fuoco-terra) con ciò che è al di sotto (donna-acqua-luna), vale a dire la coniunctio oppositorum. L.H.O.O.Q. 1919 19,7x12,4cm Calder taglia, piega, perfora e curva i materiali a mano e l’enfasi sulla manualità contribuisce a far sì che le sculture evochino una forma naturale. Forma, dimensioni, colore, spazio e movimento si combinano e ricombinano in relazioni mutevoli e oscillanti. Creano un’equivalente visivo dell’armonia. Mondrian attraverso un processo di eliminazione di particolari dipinge senza soggetti. In questo quadro, che rappresenta un oceano con gli strumenti dell’astrazione, l’orizzonte non è dritto, ma curvo e la forma del tutto è ovale. Le linee orizzontali e verticali raffigurano il movimento del mare e la sua ritmicità. Le pennellate bianche vogliono rendere la schiuma prodotta dalle onde. Infine il colore arancio-marrone dello sfondo è la semplificazione concettuale del fondale marino: l’acqua è trasparente, l’oceano è il terreno su cui si trova. Oceano (Ocean) 1915 E’ un esempio delle composizioni astratte della maturità di Pollock realizzate versando, sgocciolando, spruzzando il colore su grandi tele senza telaio. La costruzione più densa di colore stratificato è dilatata con il respiro di larghe zone di bianco in mezzo al reticolo della linea che si muove a si allarga. La gamma di colori è poi ridotta a oro, nero, rosso e bianco. Forma e colore sono bilanciati con l’alternanza di linee che si agitano, si ingrossano, si ritraggono e sostano solo un poco prima di lanciarsi di nuovo in un continuo movimento. Più che tracciare una forma, tali linee diventano esse stesse forma continua. Enchanted Forest, 1947 Henry Moore amava ispirarsi al corpo umano. Le sue statue rappresentano corpi primitivi e deformati, spesso dalle lunghe membra innaturalmente distese ma dinamiche nel gioco dei movimenti. Spesso raffigurano donne, simbolo di fertilità, o figure supine che sottolineano come l'uomo appartenga alla natura. Questo tema è stato interpretato come un segno di speranza e di fede nell'umanità, messaggio positivo che ha contribuito al successo di cui l'artista ha goduto dopo la seconda guerra mondiale. Il suo stile influenzato dall'arte primitiva e tribale rompe con i canoni classici tradizionali. Family Group 1944 c. Bronzo, 14,2 x 13,8 x 7,5 cm Giacometti introduce il problema dello spazio e della sua delimitazione, che si precisa come una costante della ricerca estetica dell’artista. Pone l'idea della scultura come costruzione trasparente, corrispondente plastico dello spazio illusionistico della pittura. L'oggetto invisibile rappresenta un punto di riferimento: il parallelepipedo su cui poggia la donna e l'incastellatura alle sue spalle prefigurano la strutturazione di molte sue opere pittoriche successive, nelle quali ricompare la stessa delimitazione dello spazio a inquadrare le immagini. Il suo interesse si sposta dal mito e dal sogno all'osservazione diretta della realtà, che si accompagna a una più consapevole preoccupazione per i materiali e le tecniche e implica una notevole trasformazione stilistica che lo conduce ad una sorta di naturismo schematico. Donna in piedi (1947) Nell’arte di Giacometti la distanza non è isolamento volontario o distacco ma un esigenza, una cerimonia e un senso delle difficoltà. Si può concepire persino come il prodotto tra forze di attrazione e repulsione. Nelle sue opere le figure sono sì solitarie ma al contempo si uniscono in una società magica. Il vuoto è ovunque, ogni creatura secerne il proprio vuoto. Giacometti lo percepisce come una parte di sé e quindi se viene colmato sente una mancanza, come se lui stesso venisse “corroso”. L’inquietudine, la ricerca di un modo nuovo di vedere la realtà e di esprimerla attraverso l’arte non caratterizzano soltanto il ‘900, ma altre epoche, di cui esprimono la modernità: ad esempio il ‘600 (periodo che stiamo studiando e di cui abbiamo avuto a Venezia e a Torino diretta esperienza) In questo periodo tutti gli equilibri secolari e gli antichi modelli vengono distrutti e sostituiti da prospettive innovative e vitali. Si crea così un disorientamento profondo, ampliato dalle nuove scoperte scientifiche, geografiche e dai cambiamenti politici e culturali che modificano il rapporto tra “umano” e “divino” e “imperfetto” e “perfetto”. I centri di diffusione delle nuove idee diventano le università, tra cui Padova, che con Galileo Galilei si apre alla ricerca e alla sperimentazione per colmare il vuoto conoscitivo. La Chiesa invece, apparentemente distante dalle forme d’arte e di letteratura, sfrutta questo movimento per dar sostegno alla sua Controriforma utilizzandone i caratteri scenografici, spettacolari ed emozionali. “Non so chi mi abbia messo al mondo, né che cosa sia il mondo, né che cosa io stesso. Sono in un’ignoranza spaventosa di tutto. Non so che cosa siano il mio corpo, i miei sensi, la mia anima e questa stessa parte di me che pensa quel che dico, che medita sopra di tutto e sopra se stessa, e non conosce sè meglio del resto. Vedo quegli spaventosi spazi dell’universo, che mi rinchiudono; e mi trovo confinato in un angolo di questa immensa distesa, senza sapere perché sono collocato qui piuttosto che altrove, né perché questo po’ di tempo che mi è dato da vivere mi sia assegnato in questo momento piuttosto che in un altro di tutta l’eternità che mi ha preceduto e di tutta quella che mi seguirà. Da ogni parte vedo soltanto infiniti, che mi assorbono come un atomo e come un’ombra che dura un istante, e scompare poi per sempre. Tutto quel che so è che debbo presto morire; ma quel che ignoro di più è, appunto, questa stessa morte, che non posso evitare.” “ Con la teoria copernicana non soltanto il cosmo cessò di volgersi intorno alla terra e all’uomo, ma fu privo di centro, riducendosi a una somma di parti simili e di uguale valore, la cui unità riposava esclusivamente sulla validità universale della legge di natura […] Il terrore del giudice universale cede al “brivido metafisico”, […] allo stupore per il lungo, ininterrotto respiro dell’universo. Questo brivido, l’eco degli spazi infiniti, l’intima unità dell’essere pervadono tutta l’arte barocca. E simbolo dell’universo diventa l’opera d’arte nella sua totalità, in quanto organismo coerente, vivo in ogni sua parte. […] Le repentine diagonali, gli improvvisi scorci prospettici, gli effetti di luce accentuati, tutto esprime una possente, insaziabile brama di infinito. Ogni linea conduce l’occhio lontano, ogni forma in movimento pare che voglia sorpassare se stessa, ogni motivo rivela una tensione, uno sforzo, come se l’artista non fosse mai del tutto sicuro di riuscire veramente a esprimere l’infinito.” Nella chiesa, completamente realizzata in marmo bianco, a pianta centrale ottagonale con un'abside ellittica disposta trasversalmente, Longhena raccoglie la lezione Palladiana e Sansoviniana per trasformarla in chiave barocca data dal movimento e dallo sfarzo decorativo. Le decorazioni plastiche arricchiscono lo spazio e sono soprattutto da osservare le volute radiali che sono poste come raccordo tra la parte bassa della chiesa e la grandiosa cupola sovrastante. L'interno, solenne e grandioso si articola attorno ad una pianta ottagonale , coperta da una slanciata cupola. Il presbiterio e l'altare maggiore disegnati dal Longhena stesso, dominano su tutto. Lo sguardo può spaziare negli infiniti chiaroscuri che la chiesa offre nei suoi spazi verticali. E’ emozionante la percezione dello spazio vuoto centrale che sembra dar vita, con l’illusione del movimento creata dalla pavimentazione, alla struttura muraria circostante. La cappella, opera di Guarini, è posta nella parte absidale del Duomo di Torino a contatto con il Palazzo Reale. Sul corpo cilindrico si innestano tre pennacchi che reggono il tamburo dove sei finestroni si alternano a nicchie convesse; la stessa cupola è definita da costoloni che si intrecciano frantumando la superficie e dalla luce diffusa per mezzo di numerose finestre che emergono curiosamente all'esterno della struttura, dove il tamburo è chiuso da una linea sinuosa che racchiude i finestroni. (Recentemente la costruzione è stata pesantemente danneggiata da un incendio, e pertanto oggetto di un restauro ricostruttivo particolarmente difficile.) Tra il 1668 e il 1687 Guarini realizza per i Teatini la chiesa di San Lorenzo a pianta centrale ottagonale. Lo spazio, al livello inferiore, è definito dalla presenza di ampie serliane che delimitano le cappelle laterali; la copertura è costituita da una cupola a costoloni che si intrecciano fino a formare l'ottagono sul quale poggia la lanterna. E’ ancora una volta un’architettura di spazi e di luce. Opera del Borromini, la piccola chiesa di sant'Ivo alla Sapienza ha un perimetro bizzarro, mistilineo,che si conserva,via via restringendosi, fino al sommo della cupola. Come l'interno della cupola non è la chiusura ma il proseguimento della forma del vano,così all'esterno è avvolta da un tamburo lodato, che si sviluppa nell'aria e nella luce con un chiaroscuro tenue, ma continuamente interrotto dalle lumeggiature vive degli spigoli delle lesene. Il ritmo seguita nell'alta lanterna e nel lanternino, che conclude tutte le spinte dell'edificio nel ritmo rotatorio, sempre più rapido, della decorazione a voluta. Bernini, con gli allineamenti e gli sfasamenti delle colonne del portico della piazza di San Pietro, ha realizzato una scena che può essere paragonata ad un grande teatro in cui, con accorta regia, vengono predisposti innumerevoli effetti prospettici, capaci di prolungare l'iniziale meraviglia di chi, giungendo dalle anguste vie di accesso sul perimetro, si trova improvvisamente immerso nella dilagante vastità della piazza. Muovendosi nella piazza le file delle colonne formano infinite possibilità di aggregazione visiva, che portano la struttura da una completa opacità (pieno) a un'assoluta trasparenza (vuoto). Realizzato dalla classe 4N Liceo Scientifico “Leonardo da Vinci ” Treviso Martina Basile, Federico Bastianon, Giorgia Bincoletto, Francesca Carozzi, Martina Dal Pozzo, Alice Dalfovo, Sara Dugo, Giacomo Durigon, Silvia Feltrin, Leonardo Fontana, Francesco Gatto, Ivan Kovacevic, Eugenio Marino, Gabriele Mattiuzzo, Mattia Pezzato, Damiano Piccolo, Elettra Ricci, Luca Rusalem, Alessandra Scinni, Valentina Vendrame, Luca Vidotto, Chiara Viscuso, Dario Zago, Giovanni Zaniol Elaborazione grafica di: Giorgia Bincoletto Alice Dalfovo Silvia Feltrin Su iniziativa di: Maria Lorenza Mattiuzzo (Storia dell’arte) Antonella Lorenzoni (Filosofia e storia)