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Urgenze, crisi ed opportunità terapeutiche. Vincenzo MANNA DIPARTIMENTO SALUTE MENTALE AZIENDA U.S.L. ROMA H tel. cell. 333.3625218 URGENZE, EMERGENZE, CRISI IL PAZIENTE AGITATO TRATTAMENTO SANITARIO LA CRISI COME RISORSA CONCLUSIONI URGENZE, EMERGENZE, CRISI URGENZE, EMERGENZE, CRISI La definizione di urgenza, in ambito medico, non è agevole sebbene la maggior parte degli Autori tende a considerarla come « una situazione acuta e grave che richiede un intervento terapeutico immediato ». Un ruolo viene giocato nella definizione di urgenza da parametri diversi: quello descrittivo e nosografico (acuzie); quello prognostico (gravità); e quello terapeutico (necessità di un trattamento immediato). Cuzzolaro, 1982 URGENZE, EMERGENZE, CRISI Per altri Autori: «….non è il quadro clinico in sé che sembra caratterizzare la richiesta di intervento urgente, ma una serie di variabili dipendenti dal luogo dell’incontro medico-paziente, dal ruolo dei familiari, dal grado di “sopportazione” dell’ambiente di lavoro e dalle variabili sociali che condizionano, in genere, la tolleranza nei confronti dei comportamenti che si discostano dalla norma». Casacchia e Sconci, 1990 URGENZE, EMERGENZE, CRISI Per emergenza si intende: « una situazione in cui non si assiste tanto ad un peggioramento del paziente o ad uno scompenso acuto, quanto piuttosto alla rottura di un equilibrio con l’ambiente ». L’emergenza riguarda, perciò, più di uno scompenso nelle relazioni interpersonali e sociali in cui l’elemento psicopatologico giocherebbe un ruolo di secondo piano rispetto alle problematiche psicosociali. Cuzzolaro, 1982; Casacchia e Sconci, 1990 URGENZE, EMERGENZE, CRISI Il termine acuzie, in psichiatria viene riservato alla « insorgenza improvvisa di una sintomatologia psichica ritenuta dal soggetto o da chi vive con lui tale da richiedere un intervento terapeutico immediato ». Al contrario il termine crisi viene comunemente inteso come: « rottura di un equilibrio, sia a livello individuale, sia a livello relazionale, fino ad allora relativamente stabile ». De Martis e Vender, 1993 IL RISCHIO IN PSICHIATRIA A questo proposito è necessario distinguere le variabili che possono costituire un fattore di • rischio psicopatogenetico per un soggetto affettivamente fragile (adolescenza, senilità, gravidanza, lutti, malattia); • dai rischi comportamentali associati a quadri psicopatologici eclatanti, soprattutto relati a danni irreparabili per l’individuo o per altri (suicidio, omicidio, sperpero dei beni, ecc.). • • I fattori di rischio psicopatogenetico, capaci di indurre la rottura dell’omeostasi del soggetto, si possono distinguere fattori scatenanti (affettivi, economici e culturali) da fattori favorenti (emarginazione, età, emigrazione, processi maturativi, cambiamenti, eventi stressanti). De Martis e Vender, 1993 Urgenze che necessitano di risposta psichiatrica (sia essa farmacologica, psicologica o di contenimento e ricovero) Esse risultano essere prevalentemente legate al quadro propriamente psicopatologico (disturbi affettivi, depressivi e maniacali, disturbi d’ansia, scompensi deliranti, disturbi somatici su base funzionale). Sono in genere ad eziopatogenesi funzionale endogena ma talora anche esogena o mista, come nel caso di una intossicazione da farmaci, droghe o altre sostanze. In questo contesto rientrano anche le situazioni di grave conflittualità, con o senza specifici quadri psicopatologici, le reazioni psichiche abnormi ad eventi esterni (lutti, separazioni, violenze, arresti, etc.), o comunque le situazioni di crisi che vanno affrontate precocemente al fine di evitare lo strutturarsi di una patologia psichiatrica propriamente detta. Urgenze che necessitano di risposta somatica In esse la sintomatologia che richiede l’intervento immediato è quella organica, anche se è presente una patologia psichiatrica o vi sono sintomi psicopatologici. È il caso delle psicosi esogene e degli stati di scompenso nell’alcolismo, come nel caso del delirium tremens, che necessitano più di un ricovero in reparto internistico che in reparto psichiatrico, in quanto il prevalente bisogno è sul piano fisico. Altre situazioni di questo gruppo sono costituite dalle intossicazioni volontarie da farmaci, le lesioni autoprovocate a scopo suicidario e le urgenze somatiche legate alla tossicodipendenza. Urgenze che necessitano di risposta socio-ambientale e/o assistenziale. Esse rappresentano quelle condizioni cliniche in cui l’intervento va fatto in tempi rapidi, ma con risposte di tipo sociale più che medico, sui bisogni della quotidianità (cibo, igiene, alloggio), del supporto e dell’assistenza, sulle relazioni familiari e sociali critiche o infine su quegli stati psicologici alterati ma non legati a vera psicopatologia, che non necessitano di un supporto psichiatrico propriamente detto. Per questo tipo di urgenze viene spesso coinvolto lo psichiatra, sia per la presenza di sintomi di tipo psichico sia per far da collegamento tra istituzione sanitaria, famiglia e istituzioni sociali. Urgenze che necessitano di risposte di tipo giudiziario sono quelle situazioni legate all’espressione di comportamenti violenti, aggressivi e/o anti-sociali. In questi casi viene spesso richiesto impropriamente un intervento psichiatrico. Tali comportamenti devono essere affrontati e contenuti dalle forze dell’ordine a ciò preposte. La comparsa di crisi d’ordine psicopatologico, ad esempio, dopo un fermo di polizia (crisi di agitazione, crisi d’ansia, atti violenti auto oppure eteroaggressivi) possono talora avvantaggiarsi di un intervento medico, in questi casi, rivolto esclusivamente al contenimento del quadro sintomatico presente. Eventuali valutazioni di tipo psichiatrico, rispetto ad atti delittuosi commessi, possono essere richiesti, come perizia, solo successivamente e al di fuori della condizione d’urgenza. Valutazione clinica in psichiatria d’urgenza In seguito alla richiesta di aiuto immediato da parte di una o più persone (paziente, familiari, ambiente sociale e professionale, forze dell’ordine, assistenza sociale, figure sanitarie, organi di giustizia), • con l’invito più o meno esplicito ad effettuare un ricovero in • • • • tempi rapidi, i tempi spesso brevi di consultazione, il carattere drammatico e spesso pubblico dello scompenso, la frequente scarsa compliance del paziente designato, nonché la scarsità di informazioni o la loro contraddittorietà, è opportuno strutturare le priorità secondo il seguente schema. SCHEMA DI PRIORITÀ 1. Raccolta delle informazioni disponibili sul paziente da tutte le fonti utilizzando: - colloquio attento con il soggetto, i familiari e conoscenti accompagnatori e quanti richiedano l’intervento; - documenti clinici a disposizione (cartelle cliniche, certificazioni, ricettazioni, ecc.); 2. Valutazione medica attenta al fine di accertare ogni possibile eziologia organica del quadro psicopatologico (danni organici neurologici o sistemici, intossicazioni, astinenza): - accurata anamnesi con domande su eventuale uso-abuso di sostanze e farmaci o di esposizione a prodotti tossici; - valutazione attenta delle funzioni cognitive (vigilanza, coscienza, orientamento, ecc.); - esame neurologico; SCHEMA DI PRIORITÀ 3. Informazioni sull’esordio dei sintomi ed i fattori scatenanti (anche su informazioni di più persone): - organici o biologici; - relazionali-sociali; - psicologici; 4. valutazione tipologica della crisi: - ansiosa; - depressiva; - delirante allucinatoria; - aggressivo- comportamentale; 5. formulazione diagnostica presuntiva, con attenzione alla comorbidità; 6. valutazione dei rischi connessi al tipo di crisi e di diagnosi (in particolare agiti e violenza auto-eterodiretta); 7. valutazione del sostegno sociale e della tolleranza ambientale alla crisi; 8. valutazione di compliance del paziente e del supporto terapeutico dei familiari. Aspetti psicologici dell’urgenza Sempre più spesso l’utenza tende ad utilizzare l’ospedale come punto di riferimento per la cura del proprio disagio, qualunque esso sia. All’ospedale ed in particolar modo al pronto soccorso giungono non solo le reali emergenze ma anche le richieste d’aiuto più regressive (da quelle sul piano somatico, alle domande di passività, dipendenza, etc.) in cui il soggetto assume un ruolo di completa passività, rispetto alla soluzione delle sue problematiche, con un atteggiamento mentale infantile, in cui ci si aspetta che la sanità, in un ruolo inconsciamente materno, dia accoglienza e sostegno, soprattutto per quelle situazioni soggettivamente allarmanti, per le quali procrastinare una risposta non sembra soggettivamente tollerabile. Aspetti psicologici dell’urgenza « La situazione acuta, consentendo la soddisfazione di bisogni regressivi così immediati che difficilmente riescono ad essere mentalizzati, può favorire una sorta di tossicomania dell’urgenza » secondo De Martis e Vender (1993). L’ospedale viene esperito, infatti, tanto come la struttura più idonea a dare una risposta globale (corporea, psichica, sociale) ad ogni domanda d’aiuto, quanto come l’unico contenitore capace di dare un “limite” (scientifico, organizzativo, ecc.) a difficoltà e bisogni esplosi e trattati in un contesto territoriale, meno definito e visibile. Il pronto soccorso può svolgere per il paziente quella funzione di “pelle temporanea” capace di contenere l’angoscia e la disgregazione emergente. Aspetti psicologici dell’urgenza L’ospedale esprime anche una funzione paterna collegata al ruolo attivo, normativo, decisionale, che mette ordine alla fusioneconfusione dando un nome ad eventi e disturbi, storicizzando l’emergenza e stabilendo dei limiti spazio-temporali precisi con ricoveri e prescrizioni. Aspetti psicologici dell’urgenza La situazione di urgenza, con il suo carattere di drammatica impellenza, richiede decisioni immediate che spesso mettono in crisi l’operatore. Quadri sindromici particolarmente intensi di tipo ansioso, delirante-allucinatorio, maniacale o depressivo, oppure di tipo aggressivocomportamentale, mettono chiunque le osservi in contatto con le proprie parti angoscianti, psicotiche, confuse, scisse. Ciò può indurre nei familiari, negli accompagnatori e negli operatori psichiatrici stessi l’uso di modalità difensive che possono condizionare il tipo di risposta. Aspetti psicologici dell’urgenza Tali modalità difensive possono includere reazioni di rifiuto ed espulsione, reazioni di negazione, reazioni di controllo e di stanziamento, reazioni fusionali e riparative, reazioni di empatia e contenimento. È frequente che, a fronte di spinte così forti ad intervenire da parte del paziente stesso, dei familiari, degli operatori sociali, delle forze dell’ordine, dei colleghi medici o anche degli stessi psichiatri, l’operatore si senta costretto ad agire e subito, spesso con un ricovero o con farmaci, senza dare un primo contenimento mentale alle angosce del paziente. È importante una presa in carico immediata del problema ed una risposta in termini di presenza e sostegno a chi fa la richiesta, potendo rimandare anche ad un secondo tempo ulteriori misure terapeutiche. Aspetti psicologici dell’urgenza Prima di agire non è sbagliato pensare, anche e soprattutto in urgenza/emergenza. In alcuni casi l’azione terapeutica più efficace può essere l’attesa. È ovvio, naturalmente, che ci sono delle situazioni in cui è impossibile rimandare un intervento come nel caso delle grosse crisi di agitazione psicomotoria, nel caso di suicidio, di grave violenza su persone e cose e/o di sperpero di beni. In questi casi il contenimento e l’assistenza necessaria al soggetto è resa possibile solo da una condizione di degenza ospedaliera. Se tali misure non vengono accettate dal paziente si deve procedere al Trattamento Sanitario Obbligatorio (TSO). Approccio al paziente ed ai familiari La prima fase dell’intervento psichiatrico in urgenza / emergenza consiste necessariamente in un tentativo di drammatizzare la situazione, trasformandola da contesto di emergenza in cui è necessario fornire una risposta immediata e non dilazionabile, in un contesto in cui è possibile parlare dei problemi, cercando di capire ciò che sta succedendo. Non è possibile seguire in questa prima fase schemi preordinati. Approccio al paziente ed ai familiari E’ importante che ogni operatore abbia consapevolezza del fatto che tutto ciò che egli farà nel corso di questo primo contatto segnerà inevitabilmente i suoi successivi rapporti con il paziente e con i familiari. E’ utile, perciò: – evitare inganni o sotterfugi circa il proprio ruolo e le finalità dell’intervento; – utilizzare un linguaggio semplice, chiaro, facilmente accessibile e che non sia ambiguo; – trasmettere la disponibilità ad ascoltare e capire quanto sta succedendo; – tranquillizzare le persone che si sentono minacciate, spaventate o in colpa; – allontanare i presenti coinvolti sul piano emotivo, rimanendo, se opportuno, soli con il paziente; – evitare ogni collusione con familiari o altri accompagnatori; Approccio al paziente ed ai familiari E’ importante che ogni operatore abbia consapevolezza del fatto che tutto ciò che egli farà nel corso di questo primo contatto segnerà inevitabilmente i suoi successivi rapporti con il paziente e con i familiari. E’ utile, perciò: – non assumere atteggiamenti moralistici o punitivi verso il paziente o i familiari; – creare un’atmosfera di rispetto per la condizione di sofferenza del paziente e di partecipazione attenta ai problemi presentati; – accettare che sia il paziente a stabilire di cosa parlare, cercando di portare poi il discorso sulla crisi attuale e sulle sue eventuali motivazioni; – evitare commenti diretti sulle “convinzioni” del paziente e sui suoi comportamenti bizzarri; – manifestare sicurezza nelle decisioni, pieno controllo della situazione. Approccio al paziente ed ai familiari Di fronte ad un paziente particolarmente agitato o violento, è importante che l’operatore eviti di mettersi in situazioni potenzialmente pericolose, di assumere atteggiamenti eccessivamente direttivi o minacciosi, di ostacolare la possibilità del paziente di allontanarsi dalla stanza. Quando nonostante tutte queste precauzioni il paziente continui ad essere agitato, l’obiettivo immediato dovrà essere quello di ricorrere alla sedazione farmacologica, da attuare, se possibile, in maniera non drammatica ed evitando la contenzione fisica. La necessità di adottare questi provvedimenti dovrebbe essere spiegata in maniera esplicita e decisa al paziente e ai suoi familiari. Definizione del problema Una volta ridotta la tensione, è necessaria la raccolta delle informazioni anamnestiche, con particolare attenzione a: – le condizioni del paziente prima dell’insorgenza della sintomatologia (pregressi episodi psicopatologici, personalità premorbosa, adattamento sociale e lavorativo, sintomi prodromici); – il ruolo di eventuali fattori stressanti; – l’uso di farmaci o droghe; – la concomitanza di specifiche patologie somatiche; – le modalità di esordio e l’evoluzione delle manifestazioni cliniche; – gli interventi terapeutici già attuati (adeguatezza e specificità dei trattamenti, dosaggi, durata, effetti collaterali, compliance); – l’eventuale presenza di malattie psichiatriche o neurologiche tra i familiari. IL PAZIENTE AGITATO, MINACCIOSO, VIOLENTO IL PAZIENTE AGITATO, MINACCIOSO, VIOLENTO Quadri di intossicazione da sostanze si esprimono talora con comportamenti particolarmente violenti ed aggressivi, per cui il paziente senza controllo e nel suo stato confusionale mostra aggressività nei confronti di cose e di persone, tra cui il medico, di cui disconosce ogni autorità. Con particolare frequenza tale intossicazione è indotta da alcolici. Spesso, ma non necessariamente, tali comportamenti sono appannaggio di soggetti con tratti personologici disfunzionali prevalentemente antisociali e borderline. IL PAZIENTE AGITATO, MINACCIOSO, VIOLENTO L’evoluzione tipica dello stato di intossicazione, caratterizzato da disinibizione ed euforia, correlata all’alcolemia del soggetto, può associarsi a perdita di capacità critica, atteggiamenti aggressivi ed impulsivi sia auto- che etero-diretti, rischio di incidenti stradali, infortuni e traumi. In seguito il soggetto può presentare instabilità affettiva ed emotiva con oscillazioni dell’umore che può giungere ad una profonda depressione; in questa fase non è raro il suicidio. A rischio di comportamenti aggressivi e minacciosi è il soggetto che, con atteggiamento smarrito, a volte atterrito, confuso e diffidente entra nella fase di astinenza, dopo cessazione (o riduzione) di una abbondante e prolungata assunzione di alcolici e ancora più nell’evenienza, nei casi più gravi, di un delirium tremens. IL PAZIENTE AGITATO, MINACCIOSO, VIOLENTO Stati di delirium, condizioni di confusione mentale, con disturbi formali e di contenuto del pensiero, spesso con tratti deliranti persecutori, possono conseguire a: 1. Condizioni mediche quali: intossicazioni, traumi cranici, lesioni cerebrali focali, episodi convulsivi; 2. Effetti delle sostanze che devono essere comunque tenuti presenti nella fase diagnostico-terapeutica. IL PAZIENTE AGITATO, MINACCIOSO, VIOLENTO Un comportamento agitato e non collaborativo può essere evenienza frequente in emergenza / urgenza. Nella eterogeneità delle condizioni psicopatologiche e delle sintomatologie presentate, diverse entità diagnostiche possono convergere verso una via finale comune di lotta e fuga contro una realtà minacciosa che i soggetti sentono gravemente porre in pericolo la loro stessa incolumità. IL PAZIENTE AGITATO, MINACCIOSO, VIOLENTO Alcune variabili cliniche possono essere considerate predittive di comportamenti violenti: giovane età, sesso maschile, basso livello intellettivo, culturale, economico ed occupazionale, ambiente familiare deviante, imponenti eventi stressanti, una pregressa storia di comportamenti violenti nell’anamnesi. Un corretto approccio sanitario all’urgenza / emergenza può permettere di gestire adeguatamente il rapporto con un paziente in stato di agitazione psicomotoria potenzialmente violento e non collaborante. T.S.O. - TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO In medicina il rapporto tra urgenza, intervento medico e ricovero ospedaliero è logico ed accettato, in psichiatria e nella medicina delle dipendenze la proposta di ricovero va sempre ponderata, considerando il carico di valenze negative che esso può assumere nella storia individuale del soggetto, ma soprattutto non sempre viene accettato da paziente. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO Nel determinare la necessità di un ricovero in regime di TSO possono giocare un ruolo di rilievo diversi fattori sociali oltre alla sola gravità sintomatologica. Infatti, è stato osservato che non è la gravità del quadro psicopatologico la principale caratteristica del paziente in TSO. Il fallimento delle capacità di contenimento del soggetto di un ambiente familiare e/o microsociale con scarsa accettazione della disabilità del paziente sembra direttamente correlato al ricovero coatto. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO La legge 180/78 ha prodotto il superamento della precedente legislazione che si fondava su di un concetto custodialistico e di pericolosità del malato di mente. Tale cambiamento ha permesso di elaborare un nuovo concetto di ricovero coattocce è un provvedimento non più difensivo da parte dell’ambiente, ma uno strumento terapeutico per il paziente, in situazioni di urgenza, che non possono essere gestite diversamente. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO All’art. 34 della legge 833/78, che ha recepito la legge 180/78 viene stabilito che il medico, dopo aver eseguito ogni tentativo di convincimento del paziente, può richiedere il ricovero contro la volontà del malato se sussistono le seguenti tre condizioni: l’esistenza di alterazioni psichiche tali da richiedere urgenti provvedimenti terapeutici; la non accettazione di tali provvedimenti da parte del paziente; l’assenza delle condizioni e delle circostanze che consentono di adottare tempestivamente idonee misure sanitarie extraospedaliere. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO Il provvedimento di TSO viene adottato in base ad una proposta motivata, di un medico che ha visitato il paziente (art. 33 della legge 180/78), redatta in triplice copia (una copia è per il reparto psichiatrico, una copia è per il Sindaco ed una copia per il Giudice Tutelare). Si propone il TSO in modo consono all’attuale legislazione e motivato con chiara descrizione sintomatologica delle condizioni psicopatologiche del paziente. Nella compilazione della certificazione è preferibile, non indicare semplici definizioni diagnostiche, ma offrire notizie cliniche relative al paziente e la descrizione delle condizioni del soggetto e delle circostanze rilevate, così da rispettare il concetto di “proposta motivata” propria della certificazione stessa. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO Tali condizioni e circostanze che rendono necessario il provvedimento costituiscono una diagnosi di stato che va oltre la patologia psichica di cui è affetto il paziente e può essere comune a varie categorie diagnostiche dalla schizofrenia, ai disturbi dell’umore, dalla dipendenza da sostanze alla sindrome astinenziale da alcool, ecc. IL TRATTAMENTO SANITARIO OBBLIGATO La proposta di TSO deve essere convalidata dal medico dell’Unità Sanitaria Locale (USL) competente per il territorio (art. 34 della legge 180/78). In genere è a ciò preposto un medico del Servizio Psichiatrico o della Direzione Sanitaria dell’ospedale ove si trova il Servizio Psichiatrico di Diagnosi e Cura (SPDC) competente. Il provvedimento di TSO viene disposto dal Sindaco in qualità di autorità sanitaria locale (art. 35). LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA La crisi è ...« uno stato che si verifica quando una persona si trova a fronteggiare un ostacolo che le impedisce il raggiungimento di importanti obiettivi vitali; questo è, per un certo lasso di tempo, insormontabile tramite l’utilizzazione di metodi abituali di risoluzione di problemi. Ne consegue un periodo di disorganizzazione, un periodo di sconvolgimento, durante il quale vengono fatti molti tentativi verso la risoluzione del problema, che però abortiscono. Alla fine viene raggiunta una qualche forma di adattamento, che può rivelarsi o meno come la soluzione più utile per la persona e per chi le sta vicino » Caplan, 1961 LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA La crisi, in questa prospettiva, innesca un processo suddivisibile in quattro fasi identificabili: 1. iniziale ascesa della tensione connessa con la messa in atto degli abituali meccanismi di risoluzione dei problemi; 2. il fallimento di queste strategie comporta un aumento della tensione, tale per cui l’individuo ne risulta sconvolto ed incapace di agire; 3. vengono tentate nuove strategie. Possono essere presi in considerazione aspetti del problema prima trascurati ed utilizzati strumenti già sperimentati in passato. La persona può anche rassegnarsi e rinunciare alla soddisfazione del bisogno; 4. il fallimento di ogni tentativo porta ad un ulteriore aumento della tensione ma, dopo un periodo di circa 4-6 settimane, la crisi tende spontaneamente a concludersi, ed una risposta, qualunque essa sia, viene trovata. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA All’interno del modello teorico di Caplan trova ampio spazio una vera e propria teoria sulla crisi, che si fonda sul concetto di omeostasi emozionale, secondo il quale l’individuo deve continuamente fronteggiare situazioni che minacciano di sconvolgere il modello stabilizzato ed equilibrato del suo funzionamento emozionale. Solitamente queste minacce durano poco e la situazione viene affrontata con gli abituali mezzi di risoluzione dei problemi della vita. Durante il periodo precedente l’acquisizione di una strategia di fronteggiamento le persone sperimentano uno stato di tensione che è generalmente sopportabile perché il periodo è breve e le persone sanno, dalle loro precedenti esperienze, che la risoluzione è vicina. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA Caplan in tal modo: enfatizza la possibilità di trattare gli episodi psichiatrici acuti; sviluppa e concettualizza una concezione interpersonale della psichiatria; valorizza gli aspetti intrapsichici delle reazioni agli eventi. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA Principi di Bellak e Small (1965) per l’intervento di crisi: 1. Presa di contatto con la realtà, intellettualizzazione e percezione cognitiva appropriata alla situazione critica; 2. Counseling e guida nell’orientare il comportamento e nel trovare strade alternative; 3. Repressione e maggior controllo sulle pulsioni; 4. Sostegno (riduzione dell’ansietà mediante gratificazione del bisogno di dipendenza, ascolto, rassicurazione diretta, supporto alle difese nevrotiche); 5. Interpretazioni; 6. Catarsi. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA Bancroft (1984), partendo dalla teoria dell’apprendimento di Lazarus, ha definito quattro modelli di comportamento di fronte ad una situazione critica: 1. il problem solving, comportamento maturo ed adattativo; 2. la regressione, intesa come il ricorso a comportamenti appresi in fasi precedenti dello sviluppo; 3. la negazione; 4. l’inerzia, che si osserva quando l’individuo non ritiene possibile alcuna soluzione utile od efficace. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA Principi di Bancroft (1979) per l’intervento di crisi: 1. Facilitare l’espressione dei sentimenti; 2. Facilitare la comunicazione; 3. Facilitare la comprensione intellettuale; 4. Dimostrare sollecitudine ed empatia; 5. Facilitare il problem solving. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA Principi di Flegenheimer (1978) per l’intervento di crisi: 1. Facilitare la comprensione intellettuale degli elementi di realtà; 2. Accettare i bisogni di dipendenza e la posizione regressiva del paziente; 3. Incoraggiare l’espressione delle emozioni; 4. Aiutare nella ricerca di nuove difese e strategie; 5. Manifestare empatia nei confronti dei bisogni attuali del paziente; 6. Interpretare esclusivamente, qualora necessario, i meccanismi di difesa maladattativi e dannosi. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA Si può quindi osservare che, nei contributi di diversi Autori, la conduzione dell’intervento di crisi si ispira ad alcuni principi largamente condivisi: è prontamente utilizzabile e breve; è focalizzato sul problema attuale; mira a favorire la comprensione intellettuale degli elementi che hanno determinato la crisi; mira a favorire l’espressione dei sentimenti; mira a favorire un miglior controllo sulla situazione. L’atteggiamento del terapeuta è realistico (uso di un contratto terapeutico su obiettivi ragionevolmente raggiungibili), “supportivo” e mira ad instaurare una relazione significativa con il paziente, che possa essere esperita da questi come una relazione di aiuto. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA L’intervento di crisi non si pone l’obiettivo: - di modificare dei tratti stabili della personalità - di risolvere situazioni conflittuali strutturate. L’obiettivo è quello di aiutare la persona a superare la crisi evitando i rischi immediati: - sintomi psicopatologici, - condotte autolesive, - agiti distruttivi verso le relazioni significative, permettendo che il paziente compia un’esperienza soggettiva, in cui è stato possibile tollerare ed integrare un dolore mentale. LA CRISI COME RISORSA TERAPEUTICA L’intervento di crisi si connota come un trattamento di “psicoterapia breve di sostegno”, che si presenta come uno strumento di lavoro duttile ed elastico in cui vengono utilizzati prevalentemente fattori terapeutici di sostegno. Tra i fattori utilizzati, oltre a quelli di tipo cognitivo, occupa una posizione preminente l’uso finalizzato e controllato della relazione terapeuta-paziente. L’intervento di crisi va utilizzato in tutte quelle situazioni in cui nasce una richiesta di aiuto. La richiesta stessa può essere ridefinita con il paziente proprio attraverso l’interazione che questo tipo di intervento consente di instaurare. L’obiettivo, che a volte può rivelarsi ambizioso, è di trasformare tale richiesta di aiuto in una domanda di ascolto e comprensione. Grazie per l’attenzione !