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Il corpo nella storia dell`arte

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Il corpo nella storia dell`arte
Il corpo
nella storia dell’arte
A cura di
Mario Gori
Mario Gori
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"Il buon pittore ha da dipingere due cose principali. l'uomo e il concetto
della mente sua" (Leonardo da Vinci, Trattato della Pittura).
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L’opera d’arte è un testo il cui referente è la realtà raffigurata.
Come tutte le forme di raffigurazione delle forme artistiche, non
costituisce una semplice trasposizione con al massimo funzione
evocativa per chi si trovasse a guardarla.
La scelta di materiali, tecniche, modi, forme, dimensioni, etc.,
operata dall’artista ci offrono l’interpretazione che l’artista ha
della realtà.
Questa interpretazione è un filtro con molte sfaccettature:
estetica, umana, culturale, emotiva...
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Mario Gori
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Il corpo nella raffigurazione artistica
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La raffigurazione del corpo nella storia dell’arte ha sempre occupato
un posto di primaria importanza, ma gli scopi sono stati i più diversi:
- illustrare, documentare e quindi far partecipare chi guarda l’opera
d’arte a certe conoscenze o concezioni sul corpo e, estensivamente,
sull’uomo. Così facendo si dà a chi guarda il senso di appartenenza alla
comunità della cui cultura l’opera d’arte è espressione;
- promuovere, celebrare, definire ranghi e ruoli, e quindi ribadire
gerarchie, legittimare il potere, raccogliere consenso intorno ad esso;
- convincere, spiegare, “sedurre” (nell’accezione etimologica del
termine), indurre, e quindi rivestire una funzione pedagogica.
Mario Gori
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La figura umana, nell’iconografia artistica, può essere ottenuta semplicemente
tracciando segni, stendendo colore o dando forma (plastica) al materiale, secondo
modalità molto diverse (le principali sono l’imitazione e la costruzione),
indipendentemente della possibile somiglianza superficiale dei risultati.
Si può imitare il reale cui ci si riferisce, con maggiore o minore attenzione per i
particolari. Per fare questo si ripercorre la configurazione esteriore del corpo tramite
l’osservazione e si procede poi alla riproduzione di quanto compare nel nostro campo
percettivo.
Oppure si può costruire la figura seguendo regole procedurali che postulano la
costituzione del corpo in termini di:
- elementi geometrici
- elementi anatomici
- proporzioni matematiche4
. configurazione geometrica
. costituzione razziale
. fisionomia individuale
Mario Gori
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Nella raffigurazione del corpo, anche se in modo non sempre pienamente esplicito e
consapevole, l’artista tiene conto di diversi aspetti riguardanti:
Antropometria. Il corpo che raffigura dovrà pur avere delle misure complessive e
parziali, anche quando vengono scelte o decise senza un calcolo o una precisa
costruzione progettuale.
Biotipologia. Se si toglie al corpo raffigurato ogni marca di robusto/sottile,
alto/basso, maschio/femmina, etc., ci si riduce ad una sommarietà e ad uno
schematismo estremi, che di fatto si incontrano molto raramente; molto più probabile
una caratterizzazione molto spinta.
Simmetria. Letteralmente commisurazione, è il dimensionamento delle singole parti
che avviene in modo reciproco e integrato; ogni parte ha quella certa dimensione
perché così è stato deciso rispetto alle altre. Spesso confusa o usata in sinonimia con
chiralità, andrebbe distinta da quest’ultima che indica invece la ripetizione di un
elemento orientato (che presenta cioè una polarità) in modo invertito, speculare.
Euritmia. Si basa sulla simmetria, ma è qualcosa di diverso, che va oltre. La
commisurazione delle parti non deve rimanere fine a se stessa, deve generare la
bellezza dell’insieme, deve suscitare piacere e senso di appagamento in chi guarda.
Solo così l’opera diviene pienamente godibile.
Mario Gori
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Nudo
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Erotismo si intende la qualità di un’immagine (o, più in generale, di una situazione)
che allude e prelude, innesca la seduzione (intesa in senso strettamente etimologico di
attrazione verso di sé), usa espedienti iconografici e stilistici raffinati, come la sapiente
combinazione di linee curve e spezzate, per evocare sensualità e piacere, ma lasciando
un margine di decisione, di interpretazione, insomma di libertà all’osservatore e alla sua
immaginazione, che viene rispettata e rimane comunque in gioco, magari in una
dimensione “voyeuristica”, come accade per il “Bagno turco” di Ingres o per “Dati...”
di Duchamp.
Pornografia mostra, ostenta l’atto compiuto, esibisce in modo aggressivo, toglie
all’immaginazione dell’osservatore ogni margine di scelta, rende il corpo osceno, nel
senso etimologico di ob-scaenus, cioè per la scena; ma si tratta di una scena cruda e
bruta, che si impone, rispetto alla quale tanto il corpo esibito quanto lo spettatore sono
coinvolti in un meccanismo che toglie loro dignità di soggetti.
Mario Gori
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Età della pietra
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Le opere d'arte più antiche che sono giunte a noi risalgono a 30.000 anni a.C., e cioè alla fine
aurignaciana del paleolitico superiore.
Al paleolitico risalgono le figurazioni così sinteticamente e intensamente espressive, che alcuni dei
maggiori artisti moderni, in particolare Picasso, hanno considerato perfette opere d'arte (si tratta
di animali selvatici e graffiti dipinti sulle pareti e sulle volte delle grotte naturali, con finalità sia
magica che pratica).
Rappresenta anche se stesso, la propria compagna, i propri figli, il proprio gruppo, con sempre
maggiore realismo dovuto ad una sempre più evidente conoscenza di sé e degli altri.
Contemporaneamente giunge, attraverso disegni sempre più affinati, al simbolo grafico che sarà
alla base della scrittura.
Alpera, la più fedele al modello naturale;
Cestosomatico, molto allungato, con la parte inferiore più robusta di quella superiore, testa
rotonda e petto approssimativamente triangolare, fianchi sottili, gambe lunghe piuttosto grosse;
Pachipode, tozzo, basso, con arti inferiori robusti;
Nematomorfo, molto stilizzato, il cui corpo è ricondotto a un insieme di linee.
Mario Gori
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Egizi
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L'arte e la cultura egizia si ispirano al sentimento etico e religioso di un popolo
sostenuto da eccezionale attaccamento alla tradizione, sono prevalentemente animate
da un forte senso della collettività e della coralità e quindi ignorano o lasciano in
secondo piano l'uomo inteso come singolo, con le sue passioni e le sue speranze. In
particolare non accettano l'idea che la cultura e le strutture sociali e politiche sono
destinate ad evolversi progressivamente.
Gli Egizi resteranno fedeli alla loro idea di figura umana per tutta la durata della loro
storia artistica: corpo e gambe di profilo, tronco di fronte a mostrare l'ampiezza delle
spalle, ad eccezione delle figure femminili disegnate di profilo.
Questa tecnica contrasta con la rigorosa frontalità delle statue isolate.
È evidente che gli Egizi scelsero questa tecnica figurativa perché la raffigurazione del
corpo umano che ne risultava, sembrava più evidente ed esplicita. Molto usata la figura
umana anche negli ideogrammi della loro scrittura.
Mario Gori
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Arte greco-cretese
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I Cretesi, molto legati ai commerci e ai traffici sul mare, avevano una tradizione artistica in stretta
connessione con il fasto della vita di corte e con i rituali religiosi.
La donna aveva una posizione molto alta nella società cretese: la loro massima divinità era infatti
la Dea Madre raffigurata in molte piccole sculture che, nella loro definizione stilistica, presentano
caratteri analoghi alle pitture, in quanto concepite e realizzate per far risaltare, anziché il volume, il
contorno lineare, contorno che ne fissa il vivace atteggiarsi in posizioni rituali.
Nelle pareti delle splendide ville dei ricchi vengono raffigurate esili danzatrici, giochi taurini e
fantasie ginniche. Nell’arte minoica prevalgono le figure femminili negli affreschi e nelle statuette
di terracotta. Tale fatto non trova riscontro in nessun’altra civiltà antica.
Il prevalere delle immagini femminili, fa pensare ad una sopravvivenza di alcuni aspetti
dell’antichissimo matriarcato che per decine di millenni era stato tipico delle comunità
mediterranee. Così Creta appare come un’eccezione nel mondo antico.
La figura umana rifugge da ogni schema convenzionale e mira piuttosto a cogliere l’autenticità
istantanea degli atteggiamenti individuali, una spontaneità espressiva che fa pensare ad istituzioni e
costumi che permettevano libertà ed autonomia nella vita quotidiana.
Mario Gori
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Micene
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Nella rappresentazione della figura umana dell’arte di Micene, nonostante la maggiore
aggressività politica e militare di questo popolo, si nota in maniera evidente l’influsso
cretese. Ne sono chiaro esempio le scritture murali che decorano il palazzo della
cittadella di Tirinto. Si tratta di affreschi che, con tono più asciutto e stilizzato di quello
cretese, presentano cortei rituali e scene di caccia che rievocano i fasti di una vita di
corte regolata da un rigido cerimoniale.
L’arte micenea si fonde con la minoica; essa è però caratterizzata da aggressività
espressionistica. L’atteggiamento dell’artista cambia sia nella scelta dei soggetti
(combattimenti cruenti e scene di caccia grossa), sia nella tendenza ad aggregare forme
differenti (criniere, code, muscoli, vegetazione).
Nella pittura si nota una secca e rigida schematizzazione che diventa sempre più
geometrica (prepara al medioevo ellenico). Sono caratteristiche statuette e maschere
con pochi colori, di un realismo essenziale e di forte intensità espressiva; e gli idoletti a
carattere decorativo che accennano ad un propiziatorio scongiuro di terrori sovrumani.
Mario Gori
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Grecia
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L'arte antica sorge dall'incontro di una civiltà mediterranea (cretese) con una
sopravvenuta civiltà portata da genti indoeuropee che invasero la Grecia in successive
ondate durante il secondo millennio a.C.
Nell’arte greca il nudo viene rappresentato per la prima volta con fini intrinseci,
celebrativi del “bello” come segno o equivalente di “buono”, come indice di una natura
divina o semidivina. Il corpo è nudo non perché è quello di uno schiavo senza altre
risorse che i propri mezzi fisici, ma che è privo di dignità sociale, bensì mostra la
propria aristocratica virtù, la propria capacità di trionfare come atleta e come eroe.
Questo corpo, grande protagonista, merita l’attenzione anatomica dell’artista, ma la
sofisticata perfezione non indulge a contaminazioni o “difettucci” che farebbero di
quel corpo un corpo “hic et nunc”, quotidiano, presente.
Le concezioni dell’arte greca non possono tuttavia essere trattate come se fossero
rimaste immutate nel tempo. Si possono distinguere diverse fasi:
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Medioevo ellenico (II millennio a.C.)
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Vede prevalere uno spiccato geometrismo che privilegia l’angolo retto e il triangolo, sia nella
figurazione umana che nelle decorazioni (Cfr. la stessa “greca”). Bisogna aspettare l’VIII secolo
a.C. per un modellato del corpo più fluido, morbido, dinamico. Ma nei vasi di Dipylon le figure
sono di uno schematismo asciutto e geometrico, come nelle poche sculture coeve.
Si evidenzia la tendenza a schematizzare i rapporti ad angolo retto, secondo i temi della
triangolizzazione (anche il corpo dell'uomo è un triangolo) e dalla ripetizione simmetrica del
segno astratto (di cui la "greca" e la "svastica" che ritroviamo in tutte le civiltà primordiali del
mondo euroasiatico, sono il più comune esempio).
Il geometrismo, che aveva caratterizzato sia l'arte cretese che quella micenea, si evidenzia
maggiormente.
Solo nell'VIII sec. a.C., ricompaiono i tratti lineari che descrivono i corpi e che si muovono
innervandosi con un principio di modellazione che è l'avvio di un sempre più evidente
dinamismo.
Come possiamo vedere dai vasi del Dipylon, quando nel complesso sono inserite delle figurazioni,
esse vengono sottoposte al massimo processo di semplificazione. Al medesimo, schematico ideale
di geometrica astrazione della figura umana, si ispirarono le poche sculture di questo periodo,
quasi sempre di soggetto religioso. In questa divinità femminile di terracotta proveniente da
Korphi (Creta) appare interamente superata la vivace modellazione delle antiche statuette cretesi
per dar luogo ad una vigorosa definizione dei tratti essenziali del volto (sopracciglia, naso, mento)
che accentua l'enigmatica sacralità dell'immagine.
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Periodo arcaico
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Prende a riferimento e modello l’uomo, come veicolo ed espressione sia della razionalità che della
divinità.
Con il fiorire della democrazia ateniese nella statuaria scompaiono i segni (di abbigliamento) che
denotano lo status aristocratico della figura, così come questa esce dallo schematismo che la
definiva tramite forme geometriche, piane e curve. La forma del corpo acquista autonomia e
capacità di sprigionare la forza del movimento prendendo, in virtù di ciò, possesso dello spazio.
Così all’idea del puro essere nello spazio, succede quello di esercitare una forza nello spazio, e per
questo è necessario mettere in evidenza le sorgenti di questa forza, la struttura dinamica del
corpo: i muscoli.
Non è però una ricerca naturalistica, ma strutturale: le ossa, i tendini, i muscoli, sono considerati
come linee o correnti di forza che dall’interno determinano le espansioni e le contrazioni, le
sporgenze e le depressioni della massa. La concezione della centralità della figura umana rispetto
allo spazio, corrisponde anche all’evolversi del concetto di mito.
Mente lo stile dorico è di taglio severo e mantiene nelle sue forme il senso di una mitologia basata
sulle forze cosmiche preponderanti, nella corrente attica al contrario la figura umana è vista come
suprema forza della natura, che penetra nello spazio, vera e propria “misura di tutte le cose”
(Pitagora).
Policleto di Argo, nato intorno al 480 a.C., si pone a metà tra l’arte arcaica e quella classica; egli è
l’ideatore del "canone", cioè delle proporzioni teoriche tra le varie parti del corpo umano, che
assegna proporzionalmente all’interno, frazioni a ciascuna parte del corpo (al piede 1/6, alla mano
e al viso 1/10).
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Ragione e corpo costituiscono nel tempio decorato di statue, un tutto unico. La figura
umana è pensata come la più eletta delle forme naturali e la più prossima alla
perfezione ideale; essa compendia anche nell'armonia delle proprie forme, l'infinita
armonia del cosmo, perciò più che una ripetizione morfologica del corpo umano, la
statua greca è l'espressione mediante la figura umana, della natura come un tutto nello
spazio.
Quando fiorisce la civiltà democratica ateniese, si ha il definitivo superamento di tutti
gli inutili particolari aristocratici, la figura umana non è più concepita come la
risultante armonica di due forme geometriche piane e curve, ma come terzo tipo di
forma autonoma capace di sprigionare da sé la forza del movimento, di prendere
possesso dello spazio.
Così all'idea del puro essere nello spazio, succede quello di esercitare una forza nello
spazio, e per questo è necessario mettere in evidenza le sorgenti di questa forza, la
struttura dinamica del corpo: i muscoli.
Non è però una ricerca naturalistica, ma strutturale: le ossa, i tendini, i muscoli, sono
considerati come linee o correnti di forza che dall'interno determinano le espansioni e
le contrazioni, le sporgenze e le depressioni della massa.
La concezione della centralità della figura umana rispetto allo spazio, corrisponde anche all'evolversi
del concetto di mito.
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Età classica
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Fidia è il principale interprete della scultura: a lui furono affidati i lavori di
ricostruzione dell’Acropoli ateniese. Le “metope” del Partenone narrano la
Gigantomachia, l’Amazzomachia, la Centauromachia e la processione delle feste del
Partenone.
Gli artisti del IV sec. assumono in sé i problemi emergenti, sostituendo all’eleganza
manieristica, il senso dello sconvolgimento del precedente equilibrio umanistico e il
sentimento di grande malinconia nel porsi l’interrogativo della vita e della morte. Non
si ritrova più come in Fidia l’identità suprema, naturale e divina, ma un sentimento
aspro, quasi insofferente della condizione umana.
Nella scultura la figura umana conquista di forza lo spazio che la circonda, la superficie
è rudemente intagliata, il suo contatto con la luce e l’atmosfera vuole essere un urto, un
attrito.
Nell’arte ellenistica troviamo l’anticipazione della moderna ritrattistica. Pur con ovvie
differenze rispetto a quest’ultima, possiamo già notare come i tratti dei volto cerchino
di manifestare le qualità del pensiero e dell’animo per tramandare con le fattezze, la
memoria delle virtù intellettuali e morali dei grandi uomini. Forse il detto di Socrate
“conosci te stesso”, suggerì questo interesse per la figura.
Mario Gori
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Si assiste alla nascita di una scultura nella quale l’artista non si accontenta più di “presentare” il
fatto, ma lo vuole “rappresentare” con immagini che non sono soltanto idoli o materializzazioni
del divino, ma rappresentazioni del divino che presuppongono apparenza di vita e di movimento.
La figura umana è concepita come una forma capace di sprigionare la forza di movimento che
trae origine dalla struttura dinamica del corpo. Poiché però sono ancora minime le conoscenze
anatomiche interne, tale movimento viene rappresentato con effetti di chiaroscuro che prendono
le mosse dall’osservazione del modellato esterno e del drappeggio
Contemporaneamente si affina il concetto di equilibrio, calcolato come in un congegno di leve e
quale logica risultante di un sistema di forze in atto. Il cinquantennio compreso fra il 500 a.C.
vede in atto una vera rivoluzione, perché si rompono definitivamente quegli schemi formali
sostanzialmente geometrici che avevano costituito la caratteristica del primo arcaismo e che
avevano riassunto nei termini: frontalità, simmetria, linea di contorno nettamente delineata e
conchiusa.
Si assiste alla rottura definitiva della ieratica immobilità della figura maschile del Kouras. Nella
figurazione irrompono la possibilità di una visione sghemba e approcciabile in modo variabile, il
rigore statico diviene l’equilibrio morbido e più complesso della “ponderazione” (Efebo di
Kritios), per la quale il peso del corpo è sorretto da un solo arto inferiore; l’altro, scarico e
flessuoso, sfiora appena il terreno, il tronco aggiusta in modo asimmetrico il proprio equilibrio e
la testa si volge da un lato. Questa impostazione della figura avrà un lungo e fecondo seguito
nell’arte greca e non solo.
Mario Gori
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Il Discobolo, in cui ravvisiamo con più chiarezza lo stile di Mirone, rappresenta
l’atleta al termine di quel moto pendolare che precede il lancio del disco. Ogni
muscolo appare rilevato e irrigidito dallo sforzo e descritto con una minuzia analitica
che distrarrebbe dalla visione d’insieme se non intervenisse una logica costruttiva di
carattere geometrico. La statua appare concepita soprattutto in funzione di un punto
di vista secondo il quale si presentano il prospetto e le gambe di profilo, senza che
l’artista sfrutti gli effetti di scorcio che il tema potrebbe offrire. Di conseguenza
l’immagine è come appiattita in uno spazio di scarsa profondità, entro due ideali piani
paralleli. In essi le membra si dispongono come fossero inscritte in una serie
giustapposta di ideali triangoli (per esempio testa-braccia, testa-anca-ginocchio, ancaginocchio-piede. etc.). Questo metodo di razionalizzare la figura umana,
subordinandola ad uno schema esterno, rappresenta l’estremo sviluppo dello spirito
dell’arcaismo greco, l’effetto è di un’architettonica fermezza dell’immagine, in antitesi
con il tema del movimento. “Stasi nel moto” può essere quindi definito il risultato
stilistico dell’arte di Mirone. L’età classica, che dalla metà del secolo V si protrae a
tutto il IV secolo, realizza un raro equilibrio tra i due poli opposti, “elemento
naturale” e “idea”.
Mario Gori
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L’età ellenistica, che dal III secolo si svolge sino alla conquista romana (30 a.C.), pone
l’accento sugli aspetti più transitori ed effimeri dell’umanità, senza però mai
abbandonarvisi completamente, senza mai rinunziare a “tipizzare”. Una delle più
celebri creazioni della scultura di tutti i tempi è la Venere di Milo. “Per lungo tempo
quest’opera, ascritta erroneamente al secolo IV, fu considerata il simbolo stesso
dell’ideale bellezza classica; oggi la più documentata critica moderna ne ha individuato
i caratteri ellenistici e, pur riconoscendone l’altissimo livello artistico, le nega quel
ruolo tradizionale di “optimum” dell’arte greca. È da notare la torsione del corpo, la
pesantezza del drappeggio, la carnosità del piccolo volto; ed inoltre: la sognante
vacuità degli occhi fissi su un punto lontano, l’espressivo contrasto tra le fitte pieghe
del manto, la luminosità del corpo. Quest’ultimo, nel suo lento e sicuro svolgersi dal
drappo che recinge i fianchi, ha un’umana intensità e una calda vitalità che rispondono
al realismo particolarmente equilibrato della prima età ellenistica”. “Giunta così a
sfiorare i confini della realtà contingente, l’arte greca ha esaurito il suo compito e il
suo ciclo si conclude; perché l’arte si rinnovi, occorrerà che altri popoli, altre civiltà,
pongano su nuove basi il problema estetico, spostando la propria attenzione su motivi
più intimi e irrazionali, sottraendo l’uomo alla sua posizione di esclusivo predominio,
per inserirlo nel complesso mondo dei rapporti con la realtà terrena e con la sfera
ultraterrena"”
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Etruschi
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Influenzata anche dall'arte greca, l'arte etrusca è contraddistinta da acuto spirito di osservazione,
attenzione e interesse per la realtà e la realtà umana in particolare, fino a coglierne aspetti
contraddittori e grotteschi.
Nella statua dell'Apollo di Veio l'artista rinnova originalmente la tipologia ionica, nei panneggi
appiattiti, nella capigliatura, nella struttura del viso, ma ne sottolinea alcuni elementi espressivi in
modo violento ed inconfondibile. La figura così trova il suo significato plastico nella
modellazione della massa muscolare, accentua l'arco delle cosce, nel possente slancio di tutta la
figura che avanza, quasi forza di natura, ed il suo significato espressivo nel misto di ironia e
ferocia che forza l'impassibile sorriso arcaico.
Tutta l'arte etrusca è influenzata dal pensiero ossessionante e dal timore della morte: essa è
quindi in gran parte destinata alle tombe poiché si ritiene che la tomba debba continuare a
mantenere qualcosa della vita.
L'arte etrusca nasce dalla pratica quotidiana e dalla vita di tutti i giorni che strappa, momento
dopo momento, alla morte.
Così è fondamentalmente realistica: nei sarcofagi il coperchio ha forma di letto e su di esso,
appoggiato su di un gomito, sta il defunto. Le figure, in particolare i volti, sono caratterizzati in
maniera accurata da una fedeltà realistica. Le deformità fisiche, i segni della vecchiaia, del vizio,
sono descritti senza ombra di pietà, ma anche senza il compiaciuto gusto del pittoresco.
La ritrattistica etrusca è la prima non celebrativa, commemorativa, interpretativa, perciò può dirsi
veramente realistica.
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Roma
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Dagli etruschi e dagli italioti prima e dai Greci poi, l'arte Romana assorbe molti
elementi pur rielaborandoli in modo originale con elementi suoi propri, come per
esempio il gusto spaziale.
Nelle figure di Aratacio persiste l'eco del mondo olimpico dei greci nel pesante
drappeggio che avvolge le figure, e nell'armonia delle pieghe ricorda il drappeggio
prassitelico: la romanità trionfa, invece, nella realistica resa dei tipi, e si esprime
nell'atteggiamento e nel carattere dei volti.
Si fonda soprattutto sul carattere che non si origina però come opera d'arte, quanto
come documento emozionale del personaggio rappresentato, da trasmettere alle
future generazioni.
Il ritratto nasce come esigenza del culto funebre dei morti illustri dei patrizi: alle
maschere in cera conservate nell'atrio della casa, succedono i ritratti in bronzo degli
antenati portati fuori solo in occasione delle cerimonie funebri di un discendente o di
particolari feste celebrativi. I ritratti romani, sia scultorici che pittorici, presentano
un'apparente deformità stilistica, ma alla base di tutti c'è la volontà dell'artista di
penetrare nel carattere del personaggio fissandone il "tipo".
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Il ritratto rientra nella nozione d'arte funeraria intesa come desiderio di sopravvivenza individuale
oltre la morte; questo contenuto esiste in tutti i ritratti, scolpiti o dipinti, che abbiano o meno
validità artistica e coerenza stilistica.
La caratterizzazione del volto dell’imperatore, che sormontava un corpo atletico e idealizzato,
costituiva una figura che aveva la funzione di celebrare il sovrano, consegnandolo a una
dimensione sovratemporale, di “Aeternitas”. L’identità somatica era necessaria per renderlo
riconoscibile e per far sì che la statua assolvesse la funzione di mantenere il legame tra le tante e
spesso lontane realtà dell’impero e la centralità del potere.
Proprio al corpo è affidata la funzione di esprimere tale potere, che non è su uno spazio di
valenze cosmiche e simboliche, ma è calato nella e sulla realtà, dall’alto dei privilegi concreti che
la posizione gerarchica concede. I significati del corpo non si esauriscono tuttavia qui: Marcus
Vitruvius Pollio (I secolo a.C.) nel suo “De achitectura” teorizza la bellezza del corpo come
eurythmia e symmetria. Il corpo è perfetto e completo e riunisce in sé il cerchio (simbolo del
cosmo) e il quadrato (simbolo del pensiero aristotelico).
L’arte romana si propone la resa realistica del personaggio ritratto, la caratterizzazione somatica
che ne fissi l’identità disambiguandola totalmente. È tuttavia una caratterizzazione che ferma la
sua attenzione sull’elemento fisionomico, senza addentrarsi nella natura propriamente psicologica
del soggetto. La preoccupazione è quella della riconoscibilità esteriore e delle particolarità
somatiche (faremmo meglio a dire idiosomatiche) che la rendono possibile.
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Arte paleocristiana
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La prima arte cristiana disprezza la forma plastica. L'arte paleocristiana dimostra un tale
disprezzo per il mondo esteriore, una così esclusiva preoccupazione del mondo interiore da
ridurre le proprie apparenze a semplici segni allusivi. Ovvero prende le forme in uso nell'arte
pagana, così come le trova, ma attribuisce loro un significato nuovo. L'Ermes Chryoforo,
conosciuto fin dall'arte greca arcaica, già presente a Creta, diveniva il Buon Pastore (Giovanni, X:
"Io sono venuto affinché gli agnelli abbiano la vita e vivano nell'abbondanza. Io sono il buon
pastore.. io do la mia vita per i miei agnelli...).
Il nudo resta sospeso tra grazia e peccato e solo con la consapevolezza della propria condizione
di nudità (Cfr. il libro della Genesi) l’uomo prova vergogna. La nudità non viene rifiutata
radicalmente, dato che si ritiene condizione anche dell’anima (indipendentemente dal fatto che sia
buona o cattiva) e la nudità del corpo nell’opera d’arte ha spesso la funzione di rendere visibile
ciò che non lo è. D’altronde nudo è il corpo per eccellenza: quello di Cristo sulla croce.
Il corpo viene comunque rappresentato senza attenzione per la sua plasticità o la sua struttura e
spesso è ridotto, sul piano formale, esteriore, ad un distratto uso di stereotipi.
Tertulliano, all’inizio del III secolo a.C. ci spiega che l’anima è la solidificazione del soffio divino
nello stampo del corpo.
Il medioevo realizza la confluenza del concetto teocratico (egizio-bizantino) con quello
metafisico-razionale (greco) e stabilisce la gerarchia Dio-uomo-natura.
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Arte bizantino-ravennate
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L'arte bizantina ha affidato la rappresentazione della figura umana soprattutto a grandi mosaici
come quello di S. Vitale a Ravenna.. I soggetti religiosi sono messi in evidenza da una
composizione razionale, da una stretta simmetria di gruppi che si corrispondono da un muro
all'altro, le scene si svolgono su un solo piano. Alberi, cose, montagne si raggruppano non
secondo i loro rapporti con lo spazio, ma con un ritmo decorativo che sottolinea l'importanza del
soggetto. La figura umana è rappresentata rigida e immobile, i gesti sono lenti e rari, solo le teste
sono modellate con un realismo impressionante e gli occhi smisuratamente grandi, dallo sguardo
fisso, tradiscono una vita interiore contrastante con la palma solenne degli atteggiamenti" (Cfr.
HUGHE, R., L'arte e l'uomo, tip. Torinese, 1960).
Nei mosaici compaiono numerosi personaggi di scene religiose, disposti secondo un ordine
rigoroso che è nello stesso tempo gerarchico e decorativo. Lo spazio è schiacciato nel piano della
rappresentazione ed enfatizza i soggetti rispetto all’ambiente. La loro figura è immobile, solo
pochi gesti misurati muovono le posture solenni, I grandi occhi spalancati e fissi lasciano solo
indovinare una intensa vita interiore, ma al contempo ci negano gelosamente l’accesso alle
profondità dell’anima, lontana e irraggiungibile.
Il canone schematico sostituisce la costruzione egizia e l’antropometria classica. Lo schema non
viene ricavato dalla natura, ma dalle regole manualistiche, senza studio anatomico e deve
assicurare un bello metafisico, mistico e regale al tempo stesso. Il manuale, riferimento obbligato
per gli artisti, è la “Guida della pittura” (del monaco Dionigi di Fourna del monte Athos), una
sorta di ricettario di dogmi iconografici.
Mario Gori
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Medioevo
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Il Medio Evo, che va dalla caduta dell'impero romano
d'occidente (476 d.C.) e si conclude in Italia con la fine
dell'Umanesimo nel XIV sec., determina il passaggio dalla
società basata sulla schiavitù, all'instaurazione del sistema
feudale di produzione.
Caduto l'impero romano, l'unica forza unitaria di riferimento è il
Cristianesimo che anche nell'arte lascia il suo segno preciso ed
inconfondibile: infatti l'arte fino al 1500 trova i suoi soggetti
nella dottrina cristiana e nel cristianesimo. Questo periodo è
caratterizzato dall'arte ravennate, bizantina, franca, longobarda,
ottomana, sveva, gotica, romanica. Attraverso queste principali
correnti artistiche si assiste ad un progressivo sviluppo relativo
alla concezione del movimento, senza però giungere a veri e
propri rivoluzionamenti.
Mario Gori
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Alto medioevo
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Dopo l'effimero fasto della civiltà bizantina a Ravenna,
l'invasione longobardica (568) dà inizio ad un oscuro e
travagliatissimo periodo in cui l'intera Italia soggiace ad una
gravissima crisi economica, politica, sociale. Solo nell'ambito dei
cenobi benedettini si può notare una maggiore vitalità creativa
per lo più limitata alla miniatura. Altra produzione dell'epoca è
quell'orafa spesso modesta per tecnica e gusto.
Il significato di quest'epoca è soprattutto quello di aver reso
definitiva la frattura con l'arte classica e di preparare il periodo
romanico. Nei rilievi e nelle sculture che troviamo soprattutto
nelle chiese, si trovano figure umane (di soggetto religioso) di
fattura goffa ed incerta.
Mario Gori
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Romanico
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Nelle croci dipinte che si usavano appendere nelle chiese si vede il Cristo
trionfante, ad occhi aperti, che denota la tipica iconografia romanica fino dal
1100.
Note raffinate di rosa e pallidi azzurri creano un'immagine suggestiva del
Cristo mentre le figure di Maria e Giovanni sono costruite robustamente
entro un segno che blocca la forma conservandole una suggestione plastica
tipicamente italiana. Un'immagine del Cristo che si evolve fino al crocifisso di
Arezzo di Cimabue dove la tensione compositiva e lo spasimo
espressionistico rivelano il mondo ossessivo delle prime esperienze
romaniche, ma dove una sfumatura di pathos più umano nel piano delle
figure poste sui bracci della croce e un'impressione più realistica del corpo
introducono il concetto Giottesco.
L’arte romanica, a cavallo del millennio, è portatrice di una significativa
rinascita culturale e artistica, di un ritorno all’ordine, in cui prevalgono i temi
religiosi.
Mario Gori
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Gotico
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L'arte gotica nasce in Francia sin dalla metà del 1100 e di qui si diffonde negli altri paesi europei.
Ma l'Italia si limiterà ad accogliere assai modestamente i modi tipici di questo stile e comunque
senza assimilarne l'ultimo significato, al quale rimane chiusa perché intenta ad una sua profonda
vicenda spirituale di maturazione, che la porterà verso il Rinascimento.
L'arte scultorea e pittorica, in Italia, giungerà ad un'evidenza formale che è l'espressione tangibile
del nuovo valore dell'individuo, della sua consapevolezza morale, di una spirituale
concentrazione, di una sintesi psicologica.
Questa umanità riconquistata si può vedere nella "Madonna col Bambino" della chiesa di S.
Giorgio alla Costa e il Crocifisso di Santa Maria Novella a Firenze.... Seduta su di un solido trono
di tipo arnolfiano, la Madonna è anch'essa inquadrata, insieme al Bambino, non ricamata dal
reticolo di dorate lumeggiature, che rendevano il corpo solo uno splendido manto luccicante,
senza un'architettura di sostegno, né idoleggiata in una lontana dimensione superumana, ma
contenuta, composta, donna costruita di dentro e di fuori con quelle semplicità e verità che
sembrano ovvie e sono faticosa conquista, novità raggiunta con tutta una ricerca formale sorretta
da un nuovo concetto della divinità del personaggio...Così nel Gesù Cristo, è il corpo dell'uomo
vero nella drammatica lenta agonia che Giotto ha evocato, non il chiaro, smaltato manichino
duecentesco, trionfante sul dolore con gli occhi spalancati, attoniti e vuoti, o la paurosa
rappresentazione, quasi brutale, di un urlo ridotto a segno, simbolo; ma il primo Gesù, prima di
essere infisso su quella croce era uno di noi, "un povero Cristo", anche fragile, come noi tutti.
Nel crocifisso di S. Maria Novella, Giotto rinuncia totalmente al senso di grandiosità che è invece
presente nel Cristo di Cimabue: il suo Cristo è un bellissimo giovane ucciso dai potenti malvagi,
una specie di simbolo della protesta contro la tirannia medioevale. In esso non c'è più la
rassegnazione e la pietà religiosa, ma la commozione e il giudizio umani.
Mario Gori
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Giotto
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Può essere considerato il ponte tra il medioevo e il rinascimento, dato
che prepara e in un certo qual modo inizia la grande trasformazione
della figurazione del corpo umano che si compirà di lì a poco. Infatti
Giotto inizia a mettere emozione nei volti e nelle figure che compaiono
sulla scena. Fino a poco prima il dipinto è un racconto, un semplice
resoconto di fatti, nel quale vengono inseriti contenuti simbolici e
religiosi. L’opera d’arte somiglia a un racconto verbale. Con il
rinascimento l’arte assumerà un carattere più specificatamente visuospaziale, con l’adozione di un compiuto metodo prospettico, di una
particolare attenzione all’ambientazione architettonica e paesaggistica.
La perfezione realistica diventa anche una “grande prigione” e l’opera
d’arte non è più “opera aperta” (per riprendere le definizioni di
Umberto Eco), offrendo la soluzione di ogni problema che può essere
suscitato dalla visione del dipinto o della scultura.
Mario Gori
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Quattrocento
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La bellezza del corpo umano ha anche, come tutta la natura, un fondamento matematico e
poggia sulla proporzione.
E però subito da chiarire che, se da un lato l'arte ha questa solida base scientifica, d'altro lato
questa stessa razionalità di indagine aveva la sua origine, e sfociava, in una lirica aspirazione ad
una bellezza certa; lo stesso processo razionale diveniva processo di trasfigumzione della realtà,
coerenza stilistica, aristocratica visione estetica. Queste caratteristiche si ritrovano tutte nel David
di Donatello.
L’iniziatore di questo processo è Leonardo da Vinci, portando nell’immagine dell’uomo la sua
natura non visibile, esprimendo nell’esteriorità l’interiorità, facendo emergere il profondo
attraverso la superficie, eleggendo il corpo segno dell’anima. “Farai le figure in tale atto il quale sia
sufficiente a dimostrare quello che la figura ha nell’animo; altrimenti la tua arte non sarà laudabile” (Leonardo
da Vinci)
Questa è un’operazione che ha implicazioni metapittoriche, dato che “quello che la figura ha
nell’animo” non può essere solo l’occasionale, circoscritto moto dell’animo, ma è qualcosa che si
estende alla dimensione interiore profonda. Lo stesso Leonardo, nel suo “Trattato della Pittura”,
scrive che “Il buon pittore ha da dipingere due cose principali, l’uomo e il concetto della mente sua.” L’uomo, il
soggetto per eccellenza! Citiamo ancora Leonardo, secondo cui l’uomo è “quella cosa che contiene in
sé più universalità e varietà di cose”.
Come la conoscenza dell’uomo si spinge nelle profondità dell’anima, così si addentra anche in
quelle del corpo. In polemica con una conoscenza somatica basata solo sull’osservazione
esteriore del corpo (come si ritrova, per esempio, fino a Donatello), Leonardo teorizza e pratica
un’indagine anatomica dissezionando e smembrando cadaveri, impossessandosi dei dettagli più
minuti. Questa avventura conoscitiva indica un processo di emancipazione teorica degli artisti
rinascimentali, capaci di costruire autonomamente le conoscenze che sono loro necessarie.
Mario Gori
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Tale concezione dell’uomo, eroe e dominatore, nodo, raccordo tra gli elementi della natura e tra
le conoscenze più disparate, è solo il decisivo punto di partenza di un processo di introspezione
che si spingerà sempre più in profondità nei secoli a venire. Il collegamento verticale che
Leonardo instaura tra corpo e anima non sarà altro che la porta di accesso ai recessi sempre più
profondi e particolari dell’uomo. Ci si allontana così sempre più dallo sforzo di dominio del reale,
sforzo che nel ‘400 raggiunge il culmine con la messa a punto del raffinato metodo prospettico,
che sembra capace di inscrivere tutto il visibile nelle proprie griglie di euclidea perfezione. Agli
studi prospettici si affiancano quelli anatomici e insieme ad essi collocano la raffigurazione del
nudo all’intersezione tra arte e scienza, dove la prima non è più sorella minore della seconda. La
figura umana esce dalla stereotipia e viene costruita in ossequio alla sua struttura fisica: prima si
dispone lo scheletro, poi lo si riveste di muscoli ed eventualmente si veste la figura così ottenuta.
Prospettiva e anatomia costituiscono un impianto scientifico per la raffigurazione del nudo
artistico, impianto che non scompare con la svolta leonardesca cui si accennava, ma la scansione
introspettiva ha una portata troppo vasta per non esser posta in primo piano.
Nel David di Michelangelo c’è un’attenzione profondissima per l’anatomia che, resa in un ritmo
serrato, esprime una vitalità organica e pulsante di portata addirittura cosmica. Ma la sua origine,
la sua fonte è nella coscienza eroica dell’uomo. Bastano il corrucciamento del volto o la flessione
del polso a far presagire la forza travolgente dello scatto imminente, anche se lo schema
compositivo della figura nel suo insieme è sereno ed equilibrato.
Nella Cappella Sistina Michelangelo celebra la natura divina del corpo umano. L’innocenza
primigenia della nudità permette a queste figure di mostrarsi integralmente senza violare nessuna
regola morale. Poco dopo il compimento dell’opera, per un malinteso senso di pudore di matrice
controriformista, si volle intervenire per coprire le “vergogne” con assurde “braghe” e
“mutanne”, come impietosamente i romani soprannominarono le aggiunte censorie.
Mario Gori
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Cinquecento
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Il David di Michelangelo può essere considerato come una specie di sintesi degli ideali del
Rinascimento Fiorentino". Il richiamo classico allo studio appassionato dell'anatomia, che porti a
scoprire nelle forme del corpo umano, nel serrato ritmo della loro composizione, sia la pulsante
vitalità organica dell'universo, sia l'espressione fisica, fenomenica della coscienza eroica della
dignità dell'individuo, trova in questo "superorganismo" la sua più esplicita e violenta espressione
figurativa.
Persino nelle dimensioni è energicamente dichiarato l'intento di questa ideale esaltazione
antropomorfica. Non più nell'ignudo la veemente esasperazione del moro o la determinatezza
descrittiva del "David" o degli "Ercoli" del Pollaiolo, del Verrocchio, di Bertoldo, di Donatello
stesso: la straordinaria potenza vitale del giovane eroe è invece contenuta, riassunta, nell'agio
ritmico in cui serenamente, ampiamente si dispone la figura. Lo scatto del volto corrucciato, la
torsione del polso, l'agilità dei profili, bastano ad esprimere la terribile violenza di David, una
volta che si muova.
Nelle figure scolpite per il monumento di Giulio II, "Prigioni" o "Schiavi" il non finito è usato da
Michelangelo con la chiara volontà di violare il limite della forma, mentre il volgersi del busto
pesante sul vacillante appoggio delle gambe già allude ad una forza che impedisce ogni equilibrio
di masse e volumi.
Nei "Prigioni" anticipa il suo concetto che solo nella morte potrà congiungersi l'esperienza
morale del cristianesimo con l'idea platonica, perché ciò è possibile solo con l'annullarsi supremo
dell'essere. Nella pittura del Raffaello, invece, l'incessante filtro stilizzatore delle conquiste
naturalistiche del tardo Quattrocento e del primo Cinquecento contiene in sé i germi
dell'intellettualismo Materialismo".
Mario Gori
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Seicento
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L'idillio cede il passo ad un'aggressiva spregiudicatezza nel S. Matteo e l'Angelo del
Caravaggio. Nulla di più dissimile dalle eleganze manieristiche di questi poteva
immaginare il Caravaggio, l'apostolo è ritratto come un semplice popolano, un
"analfabeta" che al solo pensiero di metter penna in carta ha fatto le rughe più
profonde, e ora deve stupire scorgendo in che stupenda calligrafia le letterone
ebraiche... si vadano allineando sotto la pressura della mano dell'angelo.. (Longhi). Il
Caravaggio mira al reale: il suo realismo non consiste nell'osservare e copiare la
natura, ma nell'accettare la dura realtà dei fatti, nello sdegnare le convenzioni, nel dire
tutta la verità, nell'assumere le massime responsabilità. Ciò significa escludere dalla
ricerca il bello, ma puntare al vero: egli dipinge popolane in vesti di madonne, famiglie
artigiane come famiglie sacre, giungendo addirittura a dipingere una Madonna morta
che fu rifiutata dal clero.
Apollo e Dafne del Bernini ben rappresenta questo modo di intendere l’arte, la
cultura, la vita. Le due figure invadono scompostamente lo spazio intorno a loro.
Anzi, il loro dinamismo travalica e rompe lo spazio inteso come estensione regolare e
misurata. È un volo che scioglie i due corpi da ogni vincolo compositivo, da ogni
necessità di equilibrio. La scena è attraversata tanto dal lampo del dinamismo quanto
dal fermento della metamorfosi. Si dissolve così anche la distinzione tra uomo e
natura. Le posizioni non descrivono una figurazione simmetrica, ma sono un attimo
fuggevole nel fluire travolgente della danza.
Mario Gori
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La seconda metà del '600 si identifica con il De Ribera che, avversando ogni realismo formale, come
il Caravaggio mette a nudo il lato fisico delle cose: la pelle flaccida di un vecchio corpo, lo spasimo
lancinante del martire. Uno dei suoi soggetti preferiti sono i filosofi antichi dipinti come straccioni e
vagabondi a significare che non c'è alcun ideale che possa riscattare la bestialità umana. Poesia e
realismo, ispirazione colta e ispirazione popolare, sono i temi che spesso si intrecciano, della pittura
del '600, soprattutto napoletana.
Il volto e il corpo campeggiano nell’opera d’arte in tutta la loro naturalezza (compresa la
denotazione dell’età) e, talvolta, la loro sensualità. Questo è il secolo in cui compaiono la
fisiognomica (scienza che vuole trovare il modo di conoscere l’animo per mezzo dei tratti
fisionomici, che suppone corrispondenti in modo univoco a certe caratteristiche interiori), la
caricatura e l’autoritratto. Quest’ultimo permette alla penetrazione nel profondo di procedere lungo
canali diretti (e quindi privilegiati), dato che è riflessiva, autoreferenziale, riallacciandosi tra l’altro al
cartesiano “Cogito ergo sum”.
Le tavole di anatomia, che nel secolo precedente avevano dato all’artista la piena dignità e autonomia
conoscitiva, acquistano ulteriore importanza, finendo con il togliere importanza ai canoni
proporzionali. Se finora canone e anatomia avevano convissuto, adesso il primo non solo perde
importanza, ma vede dissolversi anche la sua assolutezza. Giordano Bruno dice a questo proposito:
“non esistono regole. L’artista è il creatore delle proprie regole”, tanto da far presagire l’estetica moderna
fondata da Kant: “Non v’è una scienza del bello ma solamente la critica ad esso.”. Il Caravaggio riporta nei
suoi suggestivi nudi, a metà tra la luce della grazia e l’ombra del peccato, una sensualità di grande
impatto, che si spinge talvolta fino alla sgradevolezza (Sileno ebbro). Fedele al biblico “beati i
poveri”, prende come modello i poveri, quelli veri, delle strade, in carne e ossa, che possiamo
riconoscere nelle vesti di personaggi religiosi.
Mario Gori
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Settecento
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Con la Rivoluzione il Neoclassicismo entra in una seconda e più matura fase: esso viene scelto come arte
ufficiale della Rivoluzione stessa, sia perché appariva opporsi alle languidezze e frivolezza "degenerate" del
Rococò, sia soprattutto perché si presentava adatto ad esprimere gli ideali etici della Rivoluzione e della
Repubblica e ad essere, insomma, come si direbbe oggi, "arte militante.
Questa ispirazione è evidente nelle sculture che il Canova eseguì a scopo celebrativo per i Napoleonidi: di tutte
queste la più celebre è la "Paolina Borghese". L'immagine di una venere vincitrice è stata il prototipo di questa
composizione. In questa opera il richiamo alle carnali veneri del '500 veneziano gioca in modo così sottile e
malizioso con la posa Neoclassica, con la finezza un po' freddina di quelle forme tornite; per cui risulta molto
valida l'acuta definizione che Mario Praz ha dato dell'arte canoviana come di un "frigorifero erotico".
Contemporaneamente al Neoclassicismo sorge il movimento che introdurrà all'Ottocento: il Romanticismo.
La figura umana esce dai canoni di fredda proporzionalità estetica e perde la sua connotazione estetica,
vivendo soprattutto della loro forza interiore, ideale e di sentimenti. Delacroix, uno dei grandi pittori del
romanticismo francese, ha dipinto la famosa tela dedicata alla "Libertà che guida il popolo", le cui figure
eroiche e prorompenti di vitalità si dice che abbiano fatto affermare, a Ingres "voi chiamate quell'uomo
caposcuola!.Dite piuttosto un capo sommossa".
L’occhio dell’artista si rivolge anche a connotazioni sociali della figura umana: da un lato ricchezza e
dissoluzione, dall’altro povertà ed emarginazione. Il mondo entra nella scena dell’opera d’arte, e si tratta del
mondo pubblico o sociale, istituzionale o quotidiano, ma comunque appartiene alla vita vera e concreta. In
questo secolo Lavater teorizza la fisiognomica e il genere caricaturale acquista maggior forza.
Il neoclassicismo esalta la purezza del nudo, la iscrive nel lineare rigore dei suoi canoni, la rende pulita,
assoluta, di algida semplicità, nel tentativo di non cedere alla tentazione di una bellezza per gli occhi, per
seguire invece una bellezza che sia per la ragione, come esortava Mengs.
Mario Gori
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Ottocento.
Dal Romanticismo allo stile moderno.
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Il movimento romantico in arte, parte dal principio della rivalutazione dell'elemento psicologico come fondamento
dell'espressione artistica, contro il formalismo neoclassico e rivaluta i contenuti del sentimento umano. La vita e la morte
sono i temi su cui si imposta la concezione romantica dell'arte a cui si subordinano la realtà e la natura, la morale della
umana esistenza.
Dal Neoclassicismo e dal Romanticismo ci si avvia verso la realtà sociale e la natura. Infatti molti pittori (Palizzi, Mollet)
colgono soprattutto la figura dell'uomo, il contadino durante il quotidiano lavoro come specchio della realtà del
momento.
Fino ad ora il movimento era unicamente espresso dalle precise forme anatomiche e dalla gestualità dei personaggi; a
partire dall'Impressionismo, corrente in cui l'artista subisce passivamente la realtà, sono i colori, i segni, le pennellate a
determinare l'impressionismo del movimento.
Si ha così la comparsa di quadri che escludono la necessità della presenza umana per esprimere movimento invece solo
di visioni paesaggistiche.
. In Monet la massima espressione del movimento è data dalla fluidità della pennellata e per questo diventa un
significativo esponente di questa innovazione relativa alla rappresentazione del movimento.
I Macchiaioli affermano che il pittore deve rendere ciò che l'occhio percepisce e cioè macchie colorate di luce ed ombra
senza che la sua opera venga viziata da alcun condizionamento culturale: il campo dell'artista è il presente come assoluto.
L’ ‘800, in particolare, è il secolo in cui si assiste a una ripiegatura dai toni talvolta intimisti, che ricerca l’interno della
casa così come l’interiorità dell’uomo. Nasce la psicologia come scienza, e muove i suoi primi passi nella sfera del
positivismo e dei suoi miti deterministici. La fuga dall’umanità avviene più spesso rifugiandosi nelle pieghe, anche buie,
dell’interiorità, fino ai tortuosi meandri della follia, più raramente fuggendo verso un universo esotico. Gauguin è un
esempio, ma è da notare come alla fine riconduce quel mondo, così diverso e lontano, alla rassicurante consuetudine
domestica. In un curioso connubio nel quotidiano trova spesso spazio l’anormalità, la devianza, l’eccezione.
La caricatura diventa un’impietosa satira sociale. La stessa fisionomia, specialmente verso la fine del secolo, la vediamo
sfaldarsi.
Mario Gori
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Impressionismo
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Arte della borghesia che però rappresentava al meglio lo slancio e l'umanità nel tempo.
L'Impressionismo fu poi in parte superato da un movimento detto Divisionismo che passava dalla fase
della spontaneità a quella della scienza del colore: il puntismo, dove i colori puri erano inseriti a puntini
nella tela, senza mescolanza, in modo che a distanza si fondessero nell'occhio dell'osservatore.
Gli impressionisti si interessarono degli effetti di luce, delle impressioni di colori, ecc. Furono pertanto
molto più interessati ad ambienti e paesaggi che alla figura umana in quanto tale.
Dégas fu particolarmente appassionato dal teatro, dal circo e dal balletto dove il corpo umano rivela
interessanti possibilità espressive.
Nel dinamismo dell'immagine nulla deve fissarsi in quanto il corpo non è un'entità astratta e sempre
uguale: i suoi atti hanno movimenti fisici e psichici di cui non sempre si ha coscienza. L'obiettivo
dell'opera di Dégas è la ricerca della sintesi fra movimento e spazio: la sua quindi è un'arte
essenzialmente dinamica e quindi comunicativa in quanto non c'è distacco tra il soggetto che osserva e
l'oggetto osservato.
L’impressionismo porta in primo piano il processo percettivo della realtà, intesa sia come mondo, che
come raffigurazione artistica. Si dissolvono linee, contorni, forme, schemi, strutture, composizioni, per
lasciare, pura e assoluta, l’“impressione” di luce, unico vero evento che costituisce la visione. Diventa
così necessario e sufficiente che l’opera d’arte sappia cogliere e reinnescare questo evento. Il paesaggio,
più che il corpo, presenta una grande varietà di spunti e possibilità in tal senso. Per il pittore
impressionista il corpo è spesso solo un elemento del paesaggio e molte volte può essere assente dalla
scena.
Mario Gori
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Art Nouveau
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A cavallo tra il secolo scorso e l’attuale, tenta di esorcizzare la massificazione che la produzione
industriale impone a tutti gli oggetti e alla stessa architettura. In questo tentativo supera e nega la
vocazione naturalistica e descrittiva così come quella narrativa (dell’arte romantica), che hanno
preceduto questa corrente, per spingersi verso una stilizzazione sempre più marcata che ha dato presto
origine a due direzioni:
- avanguardista, che ha ricercato un astrattismo totale; la forma pura si è liberata di ogni compiacimento
edonistico; si rifà alle culture primitive e alla loro innocente brutalità;
- secessionista (klimtiana), che non rinuncia alla figurazione, al rapporto con il referente, nei riguardi del
quale conserva un potere evocativo in virtù di caratteristiche mimetiche; bello implica decorativo, fino a
scivolare nel gelido fascino di citazioni e riferimenti storici sofisticati ed evoluti.
I colti scelsero l’avanguardia, il pubblico meno colto rimase attaccato al più rassicurante verismo
ottocentesco. La modernità di Klimt rimase così senza spazio e senza prospettive di sviluppo. Ma
l’autore, convinto della propria arte, senza mai preoccuparsi di piacere, continua a raffigurare corpi
spesso magri, quasi anoressici, logori, inquietanti e tormentati o dai toni melanconici, che in qualche
modo preludono già a Francis Bacon.
Il nudo di Klimt abbandona definitivamente la pudicizia che, sia pure in modo disinvolto e
apparentemente casuale, introduceva un drappeggio, un oggetto o una posa che escludesse dalla vista le
parti “sconvenienti”. La naturalezza e il realismo dei nudi di Klimt prende a soggetto figure tutt’altro
che selezionate esteticamente o idealmente. Uomini e donne sono a volte anziani, grassi o emaciati,
senza alcun tentativo di attenuazione. Altre volte l’erotismo trabocca fino ai limiti della pornografia.
Mario Gori
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Novecento
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I movimenti del '900 non assumono valori di rigida catalogazione o di scuole, indicano piuttosto un clima, una
atmosfera che fu generata spesso in un profondo travaglio culturale, sociale e morale o dalle crisi politiche che
portano a conflitti e guerre. È nella immagine della personalità, del carattere dell'individuo che oltre i confini
delle astratte teorie si deve ricercare il valore e le caratteristiche dell'arte.
È così palese l'insufficienza di una formula a contenere personalità libere che esularono spesso per un dato
imprevisto o solo per volontarietà dai confini dello stabilita.
Con l'Espressionismo, corrente del primo '900, si ribalta la concezione dell'artista che non è più atteggiamento
passivo nei confronti della realtà, come nell'Impressionismo, ma si ritrova in una posizione attiva in quanto
oggettivandosi si proietta nella realtà. Si tratta quindi di un movimento essenzialmente comunicativo.
La comunicazione sarà il punto focale dell'opera di Kandisky, che insieme a quella di Klee, assume una
rilevante importanza. Si tratta però di due diverse concezioni, infatti Kandisky si rifà al primo stadio del
grafismo infantile, quello degli scarabocchi; ciò nel tentativo di riportarsi intenzionalmente allo stadio iniziale
di una volontà espressiva priva di ogni esperienza visiva e linguistica.
Kandisky ricerca il valore espressivo delle forme e dei colori e le loro combinazioni; egli sostiene che "il punto
è un elemento in sé, la linea e un elemento di tensione dinamica; mentre la linea orizzontale ha però una
potenzialità di movimento fredda, la verticale acquista invece una potenzialità calda".
A questo livello un'impressione visiva si traduce immediatamente in stimolo motorio: uno stimolo da cui si
libera traducendo il moto interiore in segni visibili. Anche per Klee è fondamentale il ricorso all'attività grafica
dell'infanzia: egli ritiene però che questa non sia affatto una condizione di primitività assoluta, di non
esperienza, bensì il documento di una autoeducazione estetica.
Mario Gori
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Nel ‘900 l’arte si sfalda, suddividendosi in molte direttrici indipendenti e riflettendo il
disorientamento che la psicanalisi ha portato nel panorama culturale dell’inizio del
secolo. La scoperta, nella geografia dell’anima (o della psiche che dir si voglia), di
regioni sommerse, nascoste, oscure, incontrollabili (l’inconscio), ma che tuttavia
determinano la nostra vita, smuove le fondamenta di ogni certezza.
Ciò corrisponde a un panorama culturale e scientifico in cui si assiste ad una diaspora
delle varie conoscenze, compare la frammentazione e la specializzazione di ambiti
particolari (con concreti rischi di isolamento e di decontestualizzazione dagli altri
settori culturali). In campo formale ciò corrisponde al dissolvimento definitivo di
euritmia, proporzione, simmetria e prospettiva. Si deve però registrare anche la
tendenza, in direzione opposta, alla costruzione di un intreccio, di una tessitura
organica dei vari saperi. È di questi ultimi decenni la definizione di nuovo umanesimo
inteso come la nuova fisionomia di una cultura che coniuga (senza per questo
banalizzare o confondere) l’ambito “umanistico” e quello “scientifico” (così come
erano definiti nelle etichette tradizionali). La cultura di questo secolo, in sintesi, ha
conosciuto una grande fluidità, ha visto nascere il “pensiero debole”, ha dato spazio a
grandi rinnovamenti ed ha avuto il coraggio di scavare fino alle proprie radici per
ripensarle e rivederle.
Mario Gori
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Il fauvismo, prima avanguardia del nostro secolo, abbandona ogni
ricerca o attenzione per la verosimiglianza delle sue figure, nude o
vestite che siano, e si preoccupa solo dell’atto puro del dipingere, dello
stato d’animo che questo atto esprime e suscita, della forza che può
raggiungere.
L’espressionismo si pone in linea con il fauvismo e si fa interprete
delle angosce dell’uomo, avverte il peso della tragedia della prima
guerra mondiale e trasforma questi terribili stati d’animo (unica realtà
a cui pone attenzione) nella deformazione dei corpi e nella violenza
del colore. Visioni che nascono e si legittimano integralmente in quel
“vedere interno” che gli espressionisti oppongono anche
polemicamente al “vedere esterno” della realtà percepibile. Il corpo,
anche se in queste opere conserva un qualche aspetto di riconoscibilità
somatica, è solo un pretesto per esprimere l’interiorità e i suoi spettri.
Mario Gori
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Futurismo
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Fra i diversi movimenti artistici che cambiarono il mondo dell'arte ai primi del '900, il futurismo
fu quello che rinnegando di più il passato, prestò attenzione all'area meccanica dove tutto si
muove, tutto corre, tutto volge rapido.
Esso nacque come movimento culturale, a partire dalla pubblicazione di un manifesto
programmatico di F.T. Marinetti sulle diverse arti (architettura, pittura, scultura, musica,
letteratura): "...come i nostri antenati trassero materia d'arte dall'atmosfera religiosa che
incombeva sulle loro anime, così noi dobbiamo ispirarci ai tangibili miracoli della vita
contemporanea, alla ferrea rete di velocità che avvolge la terra, ai transatlantici, ai voli
meravigliosi che solcano i cieli, alle audacie dei navigatori subacquei, alla lotta spasmodica della
conquista dell'ignoto".
Il primo futurismo nasce dalla consapevolezza dei suoi aderenti, che l'arte era diventata ormai
incapace di esprimere le trasformazioni, anche del pensiero, originate dalle nuove tecnologie e
dallo sfruttamento delle diverse fonti energetiche: il motore, la macchina, la radio, il cinema,
l'aeroplano, non solo avevano modificato la vita dell'uomo, ma ne avevano anche trasformato la
sua visione del mondo.
La teoria dei pittori futuristi, cerca di diventare pittura di movimento: le tele rappresentano
composizioni articolate, dinamiche, con linee e forme molteplici e spezzettate, ai limiti
dell'astrazione, con una raffigurazione simultanea delle varie fasi del movimento.
G. Balla (1874-1958), C. Carrà (1881-1966), U. Boccioni (1882-1916), G. Severini (1883-1966),
Russolo (1885-1947).
Mario Gori
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Stile moderno
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Tra le origini dello stile moderno e la sua espressione storica esiste una differenza sostanziale:
all'inizio si profila un'imitazione delle cose della natura, successivamente questi aspetti perdono il
loro carattere di origine e diventano linee astratte, curve della sensibilità, rappresentazioni del
pensiero.
L'evoluzione dello stile moderno, dalle origini alla sua decadenza, apprezzabile sul piano teorico
come sviluppo dal momento spontaneo alla riflessione e quindi all'attuazione, non va di pari
passo con la bidimensionalità e tridimensionalità del pensiero.
Lo stile tridimensionale o volumetrico del modernismo, si riconosce dalla compattezza delle
forme, dal valore timbrico e di rapporto bianco-nero dei corpi scontornati e fuggenti verso un
fondo indefinito.
Ma in entrambi gli aspetti di questo stile, vi è sempre di più la tendenza a far assumere alle
primitive forme organiche, ispirate dalla natura, il carattere di tensione dinamica spiegabile
all'interno della crescita della società industriale.
Per De Chirico l'arte non rappresenta né interpreta la realtà: si pone come un'altra realtà
metafisica o metastorica. Il quadro "Le muse inquietanti", hanno la natura ambigua di una
colonna, di una statua, di un manichino. Le forme geometriche sono all'origine simboli spaziali:
la prospettiva è il sistema in cui si coordinano geometricamente figure e oggetti in uno spazio
unitario.
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Il quadro di Pablo Picasso "Guernica", appare come la risposta all'atrocità e alla viltà dell'eccidio
che vi fu commesso. Guernica è il primo deciso intervento della cultura nella lotta politica.
Da quel momento gli intellettuali eserciteranno una forma di pressione sui governi, là dove la
democrazia viene calpestata o è in pericolo. Le figure dei caduti sono in primo piano, non c'è
colore, ma bianco e grigio; non c'è rilievo (eliminare il rilievo e il colore significa tagliare il
rapporto dell'uomo con il mondo, non c'è più natura né vita).
Per Lager, nel suo quadro "I costruttori", la nuova natura è la macchina, il prodotto della società
che cresce: dal rapporto ottocentesco uomo-natura, si passa in questo secolo al rapporto uomomacchina. Se il primo tendeva all'armonia, ed un accordo poetico e distensivo con il paesaggio, il
secondo si trasferisce invece nel contrasto, nella disarmonia di toni e di una forma dissociata.
Il quadro "Il quarto stato", di G. Pellizza, che fa parte del divisionismo, è il manifesto artistico
socialista con il quale si apre il secolo nuovo.
Il quarto stato, che sarebbe il proletariato in confronto al terzo della rivoluzione francese che è la
borghesia, ci presenta, in un villaggio padano, bruciato dal sole, la marcia di riscossa dei poveri
che diventano sempre più poveri contro i ricchi che diventano sempre più ricchi.
L'unità della composizione ha un carattere morale che consiste nel concetto di lotta di classe.
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Verso l'astrazione
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Uno dei movimenti di avanguardia è quello dei Fauves (selvaggi) i
quali propongono di sottomettersi al mondo esterno con le sue gioie
di colori, di natura, con godimento.
Fauves perché il colore se ne va per proprio conto, senza rapporto
diretto con il vero, acquistando un'autonomia tale che fu appunto
chiamata "fauve" (selvaggia, da coloro che si erano ormai abituati alle
tonalità impressionistiche).
Nel 1907, quando incomincia ad esaurirsi il movimento fauve, inizia la
più grande avventura intellettuale antirealista della storia dell'arte: il
cubismo che mette in crisi il sistema stesso in cui era stata effettuata
l'arte in tutti i secoli precedenti.
Nel succedersi di tanti altri movimenti artistici (impressionismo
germanico, anglosassone, ecc.), si arriva al termine della seconda
guerra mondiale, alla pittura naif. I pittori naif, privi di ogni
preparazione artistica e di qualunque movente estetico, si esprimono
con figurazioni dettate unicamente da sollecitazioni emotive.
Mario Gori
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Cubismo
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Spezzetta la figura, la scompone, le toglie, insieme all’unicità del punto di vista,
l’individuabilità rispetto all’ambiente con cui tende a confondersi. Le certezze che, pur
evolvendosi, hanno sostenuto l’arte di tanti secoli, si sono dissolte, i fondamenti
concettuali ed estetici hanno perso ogni consistenza. Lo smembramento della struttura
unitaria, sistemica, logica della figura rende quest’ultima a stento riconoscibile, non
dissezionata dalla cesura paziente e precisa di un bisturi, ma travolta dai pesanti
fendenti di un macete. Il logocentrismo ha definitivamente abdicato a favore di un
delirio incoerente e schizoide, ma che tuttavia non giunge mai al distacco totale e
irreversibile dalla realtà, prova ne è che persiste la ritrattistica, che per definizione
impone la riconoscibilità del soggetto. Nella ritrattistica cubista si osserva che lo spazio
vuoto è inesistente, tutto è in primo piano. La figura si individua bene in alcuni
particolari, con difficoltà in altri, e richiede in ogni caso un’osservazione attenta, che
sappia andare oltre ciò che è scontato. Il processo di elaborazione della realtà che si
riscontra nell’opera cubista rimane percorribile a ritroso dall’osservatore.
Mario Gori
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Surrealismo
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Celebra l’incontro tra psicanalisi e arte. La psicanalisi, con lo scopo di rimuovere le patologie psicosomatiche,
ne ricerca le cause e ciò la conduce nei recessi più profondi e bui dell’anima, una sorta di territorio al di fuori di
ogni legge sociale o logica, oltre il potere degli imperativi della volontà e delle luci della coscienza.
Nell’inconscio scorrazzano le nostre pulsioni, contro le quali nulla si può, se non differirne a stento e in parte la
soddisfazione, rimuovendole provvisoriamente o sublimandole, cioè dirottandole in direzioni moralmente e
socialmente più accettabili. Il surrealismo attinge a piene mani dal mondo del sogno e dell’inconscio,
dell’irrazionalità e delle alienazioni mentali
Con De Chirico il corpo diventa un manichino muto e nudo, ma nel rapporto che instaura con il contesto
emergono le contraddizioni dell’anima, come lo scontro tra Eros e Thanathos. Non a caso la componente
erotica e simbolica è il tratto distintivo dell’arte surrealista, che anche in Magritte, Henri Rousseau, Chagall, Dalì
si ritrova in modo spiccato.
Il ‘900 è il secolo in cui nell’arte trova grande spazio la malattia, fisica e mentale. Angosce e dolori si
impossessano del corpo rappresentato nell’opera d’arte, in cui si abbandonano pretese e attenzioni formali per
lasciare campo aperto alle deformazioni, ai segni della patologia.
In “Ein Gestalter” (1940) di Paul Klee spiccano le mani rattrappite dalla terribile malattia che ha colpito
duramente il pittore. La stessa cosa si nota nell’“Autoritratto” (1914) di Auguste Renoir.
Comunque, nel ‘900, l’uomo dominatore, di Leonardesca concezione, è ormai infinitamente lontano. Le due
guerre mondiali attraversano il nostro secolo, riversandovi una potenza distruttiva senza precedenti. L’angoscia
collettiva che generano non è solo fisica, va oltre l’oggettività degli eventi, aleggia come uno spettro
sull’umanità del ventesimo secolo. Il ritratto diventa la rappresentazione di un puro stato d’animo, fino a
giungere, con Bacon, a un’immagine dell’uomo ridotto a un cumulo di carne straziata.
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Arte visuale e cinetica e arte concettuale
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A partire dal 1960, con l'inizio della revisione critica dei sistemi sociali, economico, dopo la grande
contestazione del 1968, si evidenziano in arte due tendenze opposte.
La prima si orienta verso una programmazione ed una realizzazione tecnologica e scientifica delle arti visuali;
come l'arte antica o "optical art" che studia gli stimoli visivi prodotti da colori, linee, figure geometriche piane o
solide. O come l'arte cinetica che, sfruttando svariati mezzi (come l'accostamento di diversi segni grafici e colori
alla meccanica o all'elettricità), approfondisce la ricerca dell'arte ottica attraverso sistemi meccanici luminosi,
elettromagnetici ed anche quella che viene chiamata arte computerizzata con l'ausilio del cervello elettronico.
V. Vasarely (1908), a partire dal 1944 si dedica alla pittura e in particolare all'arte concreta che il manifesto Jaune
del 1955, definirà come arte cinetica.
Le sue opere riguardano le modalità della percezione basandosi su precise geometrie e colori puri (spesso solo il
bianco e il nero) creando effetti di movimenti e intercambiabilità delle strutture.
All'opposto di queste tendenze scientifiche, geometriche e visuali, possono essere raggruppate, col nome di
Arte Concettuale, una serie di correnti che rifiutano l'oggetto per cercare di esprimere in pensieri anche come
rifiuto della commercializzazione dell'arte.
E questa una corrente artistica d'avanguardia formatasi negli ultimi anni. Essa ha spostato l'attenzione dal
prodotto (opera d'arte), al progetto, al processo col quale esso si forma esprimendosi con varie forme (schizzi,
frasi, materiali diversi, fotografie, registrazioni su nastro e su videotape, ecc.).
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Gli anni ’60 vedono nascere le cosiddette arti
concettuali che, basandosi sulle conoscenze
scientifiche, sulle leggi dell’ottica geometrica e delle
modalità percettive del nostro occhio, cercano proprio
di sollecitare queste ultime ricercando o creando effetti
visivi particolari. L’arte ottica (detta optical art o, per
brevità, op art) si rivolge non tanto alla fisicità di un
referente che si stenta ad individuare, ma alla natura e
alla realtà del soggetto percepente.
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Il 1969 è considerato l’anno di nascita della Body Art, centrata sull’esibizione del corpo che,
opportunamente preparato, viene ad assumere la funzione dell’oggetto (realizzato per scopi diversi da
quello artistico e preso bell’e pronto) dei dadaisti, con i quali questa corrente ha in comune l’intento
polemico e provocatorio. Per i dadaisti l’operazione che porta a coincidere l’opera d’arte con il suo
referente è completamente diversa dall’atto creativo con cui l’artista manipola la materia (pittorica o
scultorea) per realizzare il suo lavoro. Artista non equivale più a “facitore”, dato che adesso egli delega
all’inconsapevole e casuale artigiano (o addirittura all’industria) il compito di produrre materialmente
ciò che diventerà (nel momento in cui l’artista la sceglie e la esibisce come tale) opera d’arte.
La Body Art altera il rapporto di identità di genere (maschile e femminile) e nel corpo, nudo (ma non
necessariamente) ed esposto, mescola il tragico e il comico.
Nell’ottica dell’uso del corpo come tabula rasa su cui incidere un segno o, meglio, un testo, può essere
collocata la grande onda di diffusione del tatuaggio e del “piercing”. Produrre modificazioni in un certo
qual modo indelebili sul proprio corpo ha il significato di inserirsi nell’opera di creazione del proprio
corpo, di proseguirla, senza soluzione di continuità, e di completarla secondo la propria volontà e le
proprie scelte. Al di là di varie motivazioni (quali la vanità di perseguimento di un aspetto esteriore
desiderabile o in qualche modo sensazionale, il semplice gusto di trasgressione fine a se stessa, o il voler
sperimentare qualcosa di dilettevole) il significato della trasformazione del proprio corpo in un testo
scritto in maniera indelebile si rifà alla millenaria tradizione di culture antiche e/o esotiche. In tutte
queste culture il denominatore comune di pratiche di tatuaggio, “piercing”, cicatrici ornamentali,
mutilazioni rituali è l’iniziazione del soggetto e il suo inserimento nel ruolo sociale che gli compete.
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Dinamismo
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Disegno, colore, forma plastica, sia pure in modo virtuoso,
rappresentano il corpo immobile. L’incongruenza tra
l’immobilità dell’iconografia tradizionale e il dinamismo del
corpo vivo e vero (cui l’iconografia si riferisce) ha sempre spinto
gli artisti alla ricerca del modo di ottenere immagini che
presentassero anche questo carattere connaturato alla figura
umana. La proiezione dell’ombra delle mani o delle sagome
appositamente predisposte, che è stata usata verosimilmente fin
dagli albori della storia, le lanterne magiche del XVII secolo e
altri artifici, per quanto genialmente e scrupolosamente ideati e
realizzati, non hanno potuto competere con il cinema, le cui
qualità illusorie hanno presto raggiunto livelli pressoché assoluti.
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L’ ‘800 è il secolo in cui fa la comparsa la fotografia, destinata a lasciare un segno profondo nelle arti
figurative tradizionali, così come ne riceve l’influsso. La fotografia non è un mezzo semplice e neutro di
ripresa di immagini: è un ulteriore occhio attraverso cui guardare e vedere la realtà. Nessun artista in questo
secolo può dirsi del tutto fuori da questa influenza.
La fotografia continua a fare progressi e offre possibilità sempre nuove. Presto le lunghe pose non sono più
necessarie e già intorno al 1870, con tempi di apertura dell’obiettivo uguali o inferiori a 1/1000 di secondo,
può dirsi nata l’istantanea. Fermando immagini e movimenti rapidi, permise di capire che la pittura
tradizionale li aveva fino a quel momento resi in modo “falso”, ma che era stato adottato come convenzione
perché convincente, dato che corrispondeva alle modalità interpretative umane.
Un esempio tipico è quello del galoppo del cavallo. Muybridge con The horse in motion (1878) rivelò posizioni
sotto la soglia di percezione dell’occhio e suscitò incredulità.
Gli studi di Muybridge si rivolsero successivamente ai movimenti fisiologici e patologici dell’uomo, che
interessarono, più tardi, anche Francis Bacon.
Impressionismo, cubismo, futurismo, sebbene in modi profondamente diversi, colsero l’opportunità di
ampliare le possibilità percettive dell’occhio “nudo”.
Con il futurismo si cerca comunque di cogliere e di rendere non tanto l’idea, quanto piuttosto la realtà del
movimento. Sullo sfondo non si può ignorare la massiccia industrializzazione del ‘900 che spinge
inevitabilmente l’immaginario artistico verso il movimento e la velocità, fino a farne un mito. La linea
diagonale o altri espedienti ora sembrano ingenui e insufficienti. Per non parlare delle figurazioni statiche che,
adatte per rappresentare la struttura della gerarchia e la stabilità del potere, non possono in alcun modo
incarnare lo spirito inquieto del nostro secolo. Si arriva persino a produrre opere d’arte mobili, che quindi non
rappresentano il movimento ma lo realizzano.
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Motricità e corpo in architettura
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Un altro aspetto della produzione culturale che implica fortemente il corpo, anche oltre quanto si potrebbe in prima
analisi pensare, è l’architettura.
La realizzazione di opere architettoniche ha assunto nelle varie epoche e nelle varie civiltà le funzioni, le valenze, i
significati e gli scopi più diversi, ma sostanzialmente si è sempre caratterizzata come intervento di modifica
dell’ambiente e realizzazione di strutture stabili. È qui impossibile per ragioni innanzitutto di spazio ripercorrere le
tappe della storia dell’architettura. Ci limiteremo ad alcune indicazioni di massima
È difficile, nell’opera architettonica distinguere un aspetto estetico (correlato alla visibilità) e un aspetto pratico (di
fruizione, di uso).
La visibilità è la caratteristica che si coglie per così dire in “modalità remota”, quando siamo fuori dall’edificio, ad una
distanza sufficiente per apprezzarlo visivamente. La fruizione segue, quasi senza soluzione di continuità,
all’approssimarsi, introdursi, percorrere l’edificio stesso, eventualmente stazionare in esso, con implicazioni sensoriali
più variate e complete.
A cominciare dall’apprezzamento visivo che, con il continuo cambio di punto di vista, diventa dinamico, articolato e
completo, l’avvicinamento-introduzione nell’edificio permette di apprezzarlo per le risonanze acustiche, le impressioni
termiche e olfattive, tattili, motorie…
Tutto ciò corrisponde al modo di essere e di vivere del soggetto implicato e presente nella situazione, al suo stile
cognitivo, alla sua fisionomia emotiva, alle sue tensioni ideali, fattori di fondo e occorrenti che si intrecciano in una
dinamica complessa, in un’esperienza vissuta.
Per capire la struttura e la conformazione di certi elementi architettonici proponiamo alcuni esempi, iniziando dalla
colonna, che ha affinità con la persona in stazione eretta.
Citiamo Rudolf Arnheim (studioso d’arte): “Abbiamo portato gravi pesi ed abbiamo conosciuto pressioni e contropressioni. Siamo
crollati al suolo quando non abbiamo più avuto l’energia occorrente per opporci all’attrazione verso il basso, esercitata dal peso del corpo.
Ecco perché abbiamo potuto apprezzare l’orgogliosa felicità della colonna e capire la tendenza di tutta la materia a espandersi senza forma
sul terreno.”
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Potremmo poi interpretare il tetto degli edifici come una sicura protezione contro tutti gli accidenti
atmosferici.
Le mura perimetrali sono il limite di separazione di due spazi (interno ed esterno). Separazione che non può
essere però totale e assoluta: le aperture (porte e finestre) sono i punti di comunicazione e di scambio tra fuori
e dentro.
Le scale possono rappresentare il collegamento verticale tra spazi, la frantumazione del dislivello complessivo
in tanti gradini dall’evidente regolarità: un invito a percorrerla, così sapremo tra l’altro se è agevole.
La praticabilità degli ambienti in genere, può essere considerato uno dei principali riferimenti al corpo
umano da parte dell’architettura. Ma anche le ispirazioni estetiche non mancano: da sempre molti architetti
si sono rifatti a Policleto o Fidia (grandi scultori dell’antica Grecia) o a Vitruvio, che citiamo: “L’analogia con il
corpo umano non è dunque soltanto riferita alla palese simmetria speculare, bensì, soprattutto, ai rapporti modulari. La
simmetria risulta dalla proporzione...La proporzione è la commisurazione tra il tutto e le varie parti che lo costituiscono”.
Francesco di Giorgio, architetto del ‘400, sovrappone in modo significativo la figura di un uomo alla pianta a
“croce latina” di una chiesa: ciò rispecchia la concezione dell’epoca, anche nel far corrispondere le parti alle
parti della chiesa. Lo stesso di Giorgio dice: “Ed avendo le basiliche misura e forma del corpo umano, siccomei l capo
dell’uomo è principalmente membro di esso, così la maggior cappella formar si debba come principale membro e capo del tempio;
come ha cinque linee e parimenti così cinque cappelle aver debba “.
Un grande architetto francese contemporaneo, Le Corbusier, assume come misura di tutte le sue creazioni il
corpo dell’uomo: “Il dimensionamento di ogni cosa entro il dispositivo urbano, non può essere regolato che sulla scala umana.
La misura naturale dell’uomo deve servire di base a tutti i canoni che siano in rapporto con la vita e le diverse funzioni
dell’essere.”
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L’architettura come segno di
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PRESENZA (dell’uomo) nell’ambiente. Tale presenza si caratterizza in modo radicale come antropica e
culturale, creando una “diversità” netta rispetto alla “naturalezza dell’ambiente in cui si inserisce e col
quale si rapporta. Si crea così una sorta di tensione dialettica tra due poli che, volta volta, possono
essere denominati <natura/cultura>, <humanitas/ferinitas>, <antropicità/fisicità>, <kaos/kosmos>.
La cosmicità ordinatrice della geometria, del logos, della ratio si fanno spazio nell’arruffata caoticità
primigenia, insediano la città nel mondo, città intesa come luogo che l’uomo crea, abita e governa, che
si sottrae alla imprevedibilità e all’ostilità della natura. La natura, tale e quale si dà prima di ogni
intervento umano, non può essere la casa dell’uomo. L’intervento architettonico la fa “riveduta e
corretta” quel poco o quel tanto che basta per farsi riconoscere, per dare le necessarie garanzie, per
costituire riferimento e orientamento.
Capacità di CONTROLLO dell’ambiente e della materia, capacità che si esprime nella sfida alle
difficoltà, prima fra tutte la gravità, e alla resistenza della materia. Il grado di “addomesticamento” della
materia, anzi delle materie impiegate, può essere più o meno elevato, ma in ogni caso è tale da renderle
idonee alla funzionalità e all’aspetto della struttura.
Possesso di CONOSCENZE teoriche e pratiche, razionali ed estetiche. La tecnica costruttiva, più o
meno dissimulata dal risultato finale, si integra in vario modo con le concezioni estetiche. La struttura
generale, lo stile, le decorazioni e quant’altro creano o corrispondono ad un uni-verso, ad un modo di
intendere il mondo, ma anche l’uomo e la sua esistenza, il suo modo cioè di comportarsi, di rapportarsi
alle varie circostanze ed ai vari elementi dell’ambiente.
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Concezione dello SPAZIO. Quello che la struttura architettonica esprime più specificamente è il modo di
intendere lo spazio: lo spazio che si vede e quello che si “ascolta” (le risonanze, gli echi e tutte le caratteristiche
acustiche contribuiscono a definire lo spazio architettonico), lo spazio che si percorre e quello in cui si trova
una collocazione, lo spazio che si tocca (le superfici, i materiali, le forme possono essere apprezzati con il
contatto diretto del corpo o con un contatto “virtuale”, immaginato, ma altrettanto efficace nel lasciarci delle
forti impressioni) e quello che si concettualizza, facendolo corrispondere alle nostre rappresentazioni
cognitive. Lo spazio viene definito da forme, distanze, ordini e gerarchie di disposizione, estensioni, pieni e
vuoti, localizzazioni e direzioni, chiusure e aperture, inviti ed esclusioni, simmetrie ed asimmetrie (avantidietro, alto-basso, lontano-vicino…), ripetizioni e diversità…
In altri termini l’architettura esprime il POTERE dell’uomo sotto molteplici punti di vista, variamente
intrecciati:
- Tecnologico, per l’arditezza o il virtuosismo delle realizzazioni,
- Politico, per il carattere celebrativo dell’autorità o per la soggezione che cerca di suscitare,
- Religioso, per la celebrazione
- Culturale, per l’affermazione dell’identità di una certa cultura,
- Militare, dimostrando invulnerabilità, potenzialità offensive, imponenza.
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Conclusione
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I punti fondamentali della rappresentazione del corpo e del movimento nella storia dell’arte possono essere
così individuati:
- L’inizio. Fin dagli albori della storia e della storia dell’arte il corpo e il movimento hanno trovato spazio nelle
raffigurazioni. Si pensi alle scene di caccia dipinte sulle pareti delle grotte preistoriche.
- Nella Grecia antica Il corpo acquista dignità, nobiltà, attenzione per la sua anatomia e per l’armonia che lo
domina anche nella tensione e nel movimento. Si celebra il corpo e la sua bellezza, anche se su un piano di
astratta universalità, certi che tale bellezza corrisponda alla bontà.
- Nel ‘400 prospettiva e anatomia sono il correlato e il supporto scientifico della rappresentazione del corpo e
della sua funzionalità motoria; si acquista la massima padronanza nella rappresentazione della sua struttura e di
tutte le sue possibili posizioni. L’aspetto esteriore è sufficiente all’artista, anche perché il corpo è considerato
opera di Dio e questo offre la garanzia del fatto che merita di essere rappresentato con la massima perizia.
- Nel ‘500 con Leonardo inizia la concezione del corpo come finestra sull’anima, come esteriorità di
un’interiorità, come espressione visibile di un contenuto invisibile.
- Nel ‘600-’700 ci si sofferma con compiacimento sulla sensualità, cogliendo momenti intimi di personaggi la
cui identità mitologica è spesso un pretesto. L’occhio dell’artista si fa quasi indiscreto. La bellezza della carne
viene celebrata come motivo che da solo giustifica l’immagine.
- Nell’ ‘800 l’impatto realistico e il riferimento alla realtà si fa più forte e, soprattutto, l’artista riesce a fare a
meno di giustificazioni religiose o mitologiche.
- Nel ‘900 il corpo si sfalda (tanto nei particolari fisionomici che somatici), si deforma, si metamorfizza. Il
movimento, specie con il futurismo non è che una di queste metamorfosi, spinta talvolta verso l’esasperazione
e l’ossessione del patologico o del violento.
Il percorso dal ‘500 all’inizio del ‘900 è quello che conduce alla nascita della psicologia scientifica e della
psicanalisi.
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