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CHARLES SANDERS PEIRCE

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CHARLES SANDERS PEIRCE
CHARLES SANDERS
PEIRCE
"La parola o il segno che l’uomo usa è l’uomo stesso. Perché il fatto che ogni pensiero è un segno, insieme al fatto che
la vita è un seguito di pensieri, prova che l’uomo è un segno. Cosí, il fatto che ogni pensiero è un segno esterno, prova
che l’uomo è un segno esterno. In altri termini, l’uomo e il segno esterno sono la stessa cosa, nello stesso senso in cui
la parola homo e man sono identiche. Cosí il mio linguaggio è la somma totale di me stesso; poiché l’uomo è il
pensiero".
Quasi nello stesso tempo in cui si stava sviluppando l'idealismo
con Royce, negli Stati Uniti si assistette alla nascita della
corrente del pragmatismo, che costituisce il più originale
contributo americano alla filosofia novecentesca ed esercita una
vasta influenza anche sulla cultura europea: il
termine pragmatismo mette in rilievo la tesi fondamentale
secondo cui il significato di qualsiasi cosa è determinato dalla
sua rilevanza pratica. L'iniziatore di questa nuova corrente,
destinata a grande successo, é Charles Sanders Peirce, anche se
egli non tarderà a prendere le distanze dal movimento. Nato a
Cambridge nel Massachussetts nell'anno 1839, figlio di un famoso matematico che
insegnò fisica e astronomia ad Harvard, tentò con insistenza, senza riuscire, di
ripercorrere la carriera accademica paterna. Non ottenne successo neanche nella
pubblicazione delle sue opere che, fatta eccezione per alcuni importantissimi articoli,
rimasero inedite e uscirono solo quando Peirce era già morto (morì nel 1914 a Milford,
in condizione di miseria). Una prima antologia dei suoi scritti apparve, postuma, nel
1923 con il titolo di Caso, amore e logica . Le sue opere sono ora raccolte nei sei volumi
della Raccolta di scritti di Ch. S. Peirce (Collected Papers of Ch. S. Peirce), edite negli
anni 1931-1935. Benché sia uno dei più grandi filosofi americani, Peirce in vita non
pubblicò nemmeno un libro. Pubblicò solo articoli apparsi su giornali e riviste e molti
dei suoi scritti rimasero inediti fino a dopo la sua morte. La prima edizione di tutti i suoi
scritti sono i Collected Papers pubblicati tra il 1931 e il 1958 dall’Università di Harvard:
tutte le citazioni appresso riportate sono tratte da quest’opera e sono indicate con C.P., il
numero di volume, un punto e il numero di paragrafo. Dal 1982 sono in pubblicazione i
Writings of Charles Sanders Peirce. A chronological edition, a cura del Peirce Edition
Project, presso l’Università dell’Indiana. Charles Sanders Peirce (1839–1914) è con De
Saussure uno dei padri della «semiotica» moderna. Ma Peirce è anche il fondatore del
«pragmatismo», a cui cambierà poi il nome in «pragmaticismo» per differenziarsi da
William James. Infatti Peirce rimproverava James di aver impoverito il pragmatismo
attraverso l’esclusione del suo fondamento logico–semiotico, che per Peirce è parte
integrante di una teoria della conoscenza. Peirce afferma: "Il concetto di essere contiene
la mera unione del predicato con il soggetto, unione nell’esprimere la quale le due
accezioni della copula («è effettivamente» e «sarebbe») concordano. Il concetto di
essere, insomma non ha contenuto". (C.P. 1.547) Questa affermazione si spiega
attraverso il concetto di conoscenza di Peirce: non esiste una conoscenza che non sia
segnica. Il segno è sempre frutto di una mediazione interpretativa inferenziale. Il
concetto di "essere" viene quindi definito da Peirce come: "Un concetto che riguarda un
segno, cioè un pensiero o una parola, e dal momento che non è applicabile a ogni segno,
non è originariamente universale, sebbene lo sia nella sua applicazione mediata alle
cose" (C.P. 5.292). Per Peirce solo ciò che è pensabile è reale: il pensiero non può essere
altro che pensiero di segni e il concetto di essere è appunto un concetto che diviene
attribuibile solo attraverso una relazione inferenziale, in quanto i segni sono essi stessi
prodotto dell’attività inferenziale. Questa posizione è da Peirce chiamata Realtà Logica.
Quindi il concetto di essere, in assoluto, sciolto cioè dalle relazioni segniche, non ha
contenuto, né significato e neppure senso, come del resto qualunque altro concetto.
L’essere di un segno insomma è proprio il suo sviluppo semiosico, il suo essere in
relazione con gli altri segni. Non esiste al di fuori della semiosi altro modo di concepire
la realtà Si può conoscere, e quindi si considera reale, solo una relazione segnica e non
un supposto oggetto assoluto, in sé irrelato. Ma perché per Peirce il pensiero è solo
pensiero di segni? Peirce rifiuta l’intuizione. Col termine “intuizione” si indica "Una
cognizione non determinata da una cognizione precedente dello stesso oggetto, e perciò
determinata da qualcosa fuori dalla coscienza. [...] Intuizione sarà qui quasi la stessa
cosa che «premessa, che non è a sua volta conclusione». [...] Proprio come una
conclusione (giusta o sbagliata) è determinata nella mente di chi ragiona dalla sua
premessa, cosi anche cognizioni che non sono giudizi possono essere determinate da
cognizioni precedenti; e una cognizione non determinata in questo modo, e quindi
determinata direttamente dall’oggetto trascendentale, dovrà essere chiamata una
«intuizione»". (C.P. 5.213) Nel saggio “Questions Concerning Certain Faculties Claimed
for Man” pubblicato sul Journal of Speculative Philosophy nel 1868 (C.P. 5.213 – 263)
Peirce, dimostra che sia la conoscenza del mondo esterno al soggetto sia quella del
mondo interiore del soggetto, come la propria autocoscienza e la conoscenza dei propri
moti interiori, dipendono da mediazioni inferenziali di fatti esterni. Egli ritiene che tutta
la nostra conoscenza della mente e dei processi mentali - della nostra mente e di quella
degli altri - deriva dalla conoscenza di certi fatti fisici “esterni”: E alla domanda “se
possiamo pensare senza segni” risponde in C.P. 5.250 “Se ci basiamo sui fatti esterni, i
soli casi di pensiero che possiamo trovare sono quelli di pensiero in segni. È chiaro che
nessun altro pensiero può essere evidenziato da fatti esterni. Ma abbiamo visto che il
pensiero si può conoscere solamente attraverso i fatti esterni, dunque, il solo pensiero
che è possibile conoscere è, senza eccezione, il pensiero in segni. Ma il pensiero che non
può essere conosciuto non esiste. Perciò ogni pensiero deve necessariamente essere
pensiero di segni”. (C.P. 5.260) "L’unico modo in cui si può conoscere […] è per
inferenza ipotetica da fatti osservati. Ma citare la cognizione dalla quale una cognizione
è stata determinata, significa spiegare le determinazioni della cognizione in causa. Ed è il
solo modo di spiegarle. Poiché qualche cosa completamente fuori dalla coscienza, che si
può supporre che la determini, può, come tale, essere riconosciuta e citata solo nella
determinata cognizione in questione. [,..] Inoltre le facoltà cognitive di cui siamo a
conoscenza sono relative, e conseguentemente i loro prodotti sono relazioni. Ma la
cognizione di una relazione è determinata da cognizioni precedenti. Dunque, nessuna
cognizione non determinata da una cognizione precedente può essere conosciuta. Essa,
allora, non esiste, primo, perché è assolutamente inconoscibile, secondo, perché una
cognizione esiste solo in quanto è conosciuta". (C.P. 5.262). Non esiste per Peirce un
termine primo, una causa prima, un fondamento su cui si basa la conoscenza. Essa è un
processo autoalimentantesi: il pensiero è una serie continua ed infinita di termini. In
questo orizzonte, conoscere è inteso come dare significato ad un evento, applicando ad
esso regole e criteri di classificazione appresi precedentemente. Non esiste un punto di
partenza, nel modello della conoscenza peirciana, ma per ogni singolo individuo, la
nascita è l’inizio del suo processo mentale di conoscenza, con l’ingresso nella Realtà
Logica, costituita dall’insieme di segni in uso alla comunità degli interpretanti, di cui
l’individuo viene a fare parte. Si è detto sopra che il segno, e quindi la conoscenza, è il
risultato di un processo inferenziale. Si analizzerà ora quali sono le tipologie di inferenza
attraverso cui si costruisce la conoscenza: Peirce distingue tre specie di inferenza:
Deduzione, Induzione ed Abduzione. Non sono però riducibili l’una all’altra, perché
sono governate da diversi principi logici, ma tuttavia appartenenti ad un unico genere.
L’abduzione è un’ipotesi probabile che si formula della causa di un effetto osservato.
L’induzione fornisce, con la scelta corretta dei campioni, regole per formulare notizie
corrette su essi, fino a prova contraria. La deduzione rimane analitica, ma l’analisi
dipende ora dalle ipotesi scelte, per cui non è rigidamente necessaria. L’Abduzione o
Ipotesi permette di ipotizzare quindi una regola che dia spiegazione di un evento o di un
fatto. Essa "Procede come se si conoscessero tutti i caratteri richiesti per la
determinazione di un dato oggetto o di una data classe". C.P. 5.272 In pratica, osservati
alcuni caratteri di un dato oggetto, gli si attribuiscono ipoteticamente ulteriori caratteri
che lo fanno riconoscere come occorrenza di una legge. Questo modo di procedere
implica la possibile fallibilità della conoscenza, ma anche che i ragionamenti fallaci si
adeguano alla forma dell’inferenza valida. Peirce afferma: " Nessun pensiero, nessun
sentimento, in sé considerati, contengono altri pensieri o altri sentimenti, ma sono
assolutamente semplici e non analizzabili. […] Ogni pensiero […] in quanto
immediatamente presente, è un sentire puro, senza parti, e quindi, in sé, senza similarità
con nessun altro, anzi, non comparabile e assolutamente sui generis". (C.P. 5.284) Se
consideriamo il pensiero in sé, irrelato, non facciamo altro che prendere in
considerazione la sua peculiare qualità che lo distingue da tutti gli altri pensieri
precedenti e successivi e che scomparirà irrimediabilmente con lo scomparire di quello
specifico pensiero. Questa qualità, essendo qualcosa di unico ed irripetibile, non è in sé e
per sé esprimibile come caso di una regola più generale e quindi risulterà inesprimibile.
Continua però Peirce: Nessun pensiero presente in atto (che è un mero sentimento) ha
alcun significato, né valore intellettuale; perché il significato non sta in ciò che è pensato
nell’atto in cui è pensato, ma in ciò a cui questo pensiero può essere connesso da pensieri
successivi nella rappresentazione; cosicché il significato di un pensiero è qualcosa di
virtuale. […] In nessun istante, nel mio stato mentale, vi è cognizione o
rappresentazione, ma essa consiste nella relazione dei miei stati mentali in istanti diversi.
(C.P. 5.284) Aggiunge poi in nota: Di conseguenza, esattamente come si dice che un
corpo è in movimento e non che il movimento è in un corpo, si dovrebbe dire che siamo
in pensiero e non che i pensieri sono in noi. La virtualità del significato di un pensiero,
cui accenna Peirce nel passo precedente, è relativa alla sua idea di semiosi; infatti un
pensiero segno ha una sua vita, un suo sviluppo che altro non è che il percorso della
costruzione della conoscenza; questo processo ha uno sviluppo certo intersoggettivo, ma
anche intrasoggettivo. Infattti: "Non vi è […] cognizione che non sia determinata da
cognizioni precedenti [quindi] l’irruzione di una nuova esperienza non è mai un fatto
istantaneo, ma è un evento che occupa del tempo e che passa attraverso un processo
continuo. Perciò il suo emergere nella coscienza deve probabilmente essere il
coronamento di un processo di crescita. [invece] se un filo di pensiero si spegne
gradualmente, con ciò nella sua durata segue liberamente la propria legge di
associazione e non vi è nessun momento in cui, a un pensiero appartenente a questo filo,
non succeda un pensiero che lo interpreti o lo ripeta". (C.P. 5.284) Tutta la conoscenza
per Peirce è dunque conoscenza di segni; a partire dalla sensazione, non esiste altra
modalità conoscitiva che quella inferenziale. E’ attraverso serie intersecantesi di
inferenze che gradualmente si sviluppa in maniera sempre più precisa l’interpretante di
un segno. Peirce così definisce un segno: "[qualcosa che] sta per qualcuno al posto di
qualcos’altro sotto certi aspetti o capacità" (C.P. 2.228). Questa definizione sottolinea il
rapporto triadico tra il segno, l’oggetto che questo segno sta ad indicare e la concezione
che ne ha colui che interpreta, detta interpretante. Possiamo però prendere in
considerazione almeno due tipi di oggetti: 1. la cosa bruta, la cui presenza hic et nunc
scatena la semiosi, che è L’Oggetto Immediato; 2. la relazione segnica da cui parte
l’elaborazione cognitiva, che è l’Oggetto Dinamico. La conoscenza si sviluppa a partire
dall’oggetto immediato che non sarà mai toccato dal processo inferenziale, ma che ne è
la molla che ne provoca l’inizio. L’oggetto reale del segno, che è comunque segno a sua
volta perché non possiamo pensare altro che segni, è l’oggetto dinamico. Questo si
trasformerà nella concezione della comunità degli interpretanti man mano che il suo
interpretante logico acquisterà sempre maggiori e nuovi significati grazie al processo di
semiosi che è poi il processo stesso della conoscenza. Questo è il significato per Peirce
del concetto di Semiosi Illimitata. E solo alla luce di questi chiarimenti si comprende il
significato delle seguenti parole di Peirce: In ogni momento siamo in possesso di certe
informazioni, cioè di cognizioni che sono state logicamente derivate per induzione e
ipotesi da cognizioni precedenti che sono meno generali, meno distinte, e delle quali
abbiamo una conoscenza meno viva. Queste a loro volta sono state derivate da altre
ancora meno generali, meno distinte, e meno vivaci; e così via a ritroso fino a quel primo
ideale, che è assolutamente singolare, e assolutamente fuori dalla coscienza.( C.P. 5.311)
Ma perché conoscere? Charles Sanders Peirce è il fondatore del Pragmatismo. Egli
elabora questa massima pragmatica: Consideriamo quali effetti, che possano avere
concepibilmente conseguenze pratiche, pensiamo abbia l’oggetto della nostra
concezione. Allora la nostra concezione di questi effetti è l’intera nostra concezione
dell’oggetto. (C.P. 5.2) Lo sviluppo semiosico di un segno lo porta ad avere come
Interpretante Logico Finale un abito di comportamento. Questo è una legge che permette
di regolare il comportamento, appunto, in base alle concepibili conseguenze pratiche
determinate dagli effetti che nell’inferire si attribuiscono all’oggetto-segno. Ad esempio
è possibile fare una torta di mele perché le concepibili conseguenze pratiche degli effetti
del segno-ricetta sono proprio la realizzazione di quel dolce. La prova di tutto questo è
l’induzione sperimentale, cioè la realizzazione della torta di mele. Il segno-ricetta è così
il segno dell’idea di torta, che è una legge. La torta ottenuta sperimentalmente è così
un’occorrenza di quella legge. Ovvero, se a parità di conoscenze e di condizioni di
attrezzature sperimentali, la ripetizione di un esperimento porterà i medesimi risultati, la
legge ipotizzata come quella regolante l’esperimento è considerata certa dalla Comunità
degli Interpretanti. Questa comunità è il garante intersoggettivo di una nozione di verità
non intuitiva, non ingenuamente realistica, bensì congetturale. Questa concezione
dinamica della verità permette l’elaborazione di strategie comportamentali creative in
risposta agli stimoli dell’ambiente ed è portatrice di una concezione non teleologica e
non necessaria del mondo e del destino umano.
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