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legge scientifica. - Corte d`Appello di Brescia
Leggi scientifiche e processo Il ruolo delle leggi scientifiche Il sapere scientifico costituisce un prezioso alleato del giudice nella ricerca della verità in quanto capace di offrire regole di inferenza particolarmente affidabili perché ottenute con il metodo della sperimentazione ripetuta, della resistenza ai tentativi di falsificazione, della sottoposizione al giudizio critico della comunità degli studiosi (F. Caprioli in Cass. Pen .2008 pag. 3520). Anzi, è stato detto: il futuro del processo penale sta nella adozione progressiva di modelli scientifici nella indagine sul fatto (M. Damaska: Il diritto delle prove alla deriva) Abbandonati i criteri su cui tradizionalmente si fondava la conoscenza umana (le credenze di tipo magico/religioso; il principio di autorità) il mondo del diritto ha ricavato non solo le proprie regole di ragionamento dal metodo scientifico, inteso come procedimento di ricerca basato sul rispetto di principi che garantiscono l'attendibilità e la verificabilità dei risultati ottenuti ma utilizza questi ultimi per giungere a risultati di verità processuale. Infatti, la prova scientifica introduce nel processo un sapere di conoscenze acquisite nel mondo della scienza e consente al giudice una interpretazione razionale del dato empirico. Prova scientifica e leggi scientifiche non sono concetti coincidenti: infatti la prova scientifica è quella che adotta il metodo della scienza, cioè il metodo che ricostruisce l'evento con l'esame analitico di ogni segmento dell'evento pervenendo alla sua spiegazione con l'utilizzazione del metodo induttivo che consente di ricostruire i frammenti della realtà in un quadro unico. A sua volta la induzione deve essere metodologicamente corretta cioè condotta con criteri comunemente accettati e verificabili e non su congetture e/o intuizioni del giudice. Perché la scienza si differenzia dalle altre forme di conoscenza? -E' conoscenza empirica che si fonda sulla esperienza e sulla ripetibilità di questa; -E' obiettiva nel senso che procede con osservazioni oggettive tali per cui un osservatore posto nella stessa situazione giungerebbe alle stesse conclusioni; -E' capace di autocorrezione perché si evolve grazie alla scoperta di nuovi dati che possono contraddire le conoscenze precedenti; -E' possibilista perché non afferma mai di possedere la verità, consapevole della sua fallibilità e della relatività delle proprie conclusioni. Karl Popper il più noto filosofo della scienza afferma che la conoscenza scientifica si contraddistingue per il suo carattere mutabile e la provvisorietà dei suoi risultati e la paragona ad una costruzione fondata non già sulla roccia ma su di una palude (Logica della scoperta scientifica). Ciò è sopratutto vero quando le evidenze sperimentali trovano fondamento su dati epidemiologici e statistici. Non vi è alcun modo di accertare la verità di una ipotesi scientifica: il controllo empirico dell'ipotesi può conferire un certo grado di conferma più o meno forte ma non assicura la definitività della conclusione. Abbandonata la illusione positivistica della scienza illimitata, completa, infallibile, é divenuta ormai comune affermazione (anche in giurisprudenza) quella per cui la scienza è - limitata: non sempre è in grado di spiegare tutti gli aspetti dei fenomeni; - incompleta; non sempre tutti gli aspetti sono conosciuti; - fallibile: ogni scienza ha un tasso di errore che deve essere ricercato: Tanto più queste conclusioni sono vere nel mondo delle scienze umane che hanno uno statuto epistemologicamente più debole (es: la psicologia; la psichiatria) i cui modelli di interpretazione della realtà sono costituiti da un paradigma teorico più che da leggi scientifiche e che sono peraltro oggetto di costante revisione (es. la adozione del manuale diagnostico e statistico dei disturbi mentali DSM IV e la Carta di Noto in tema di linee guida per la raccolta di informazioni da minori vittime di abusi sessuali) L'effetto del sempre maggiore impatto del sapere scientifico nella esperienza giudiziaria (Caprioli cit.) è il progressivo assottigliarsi del senso comune cioè del repertorio di conoscenze empiriche dell'uomo medio con uno spostamento della linea di confine fra il sapere comune ed il sapere specialistico (basti pensare alla difficoltà di valutazione della testimonianze dei minori). Nasce un problema: come può fare il giudice ad esercitare un controllo effettivo su di una attività probatoria in cui l'esperto impiega conoscenze che il giudice non possiede? E' il c.d. paradosso della prova scientifica. ll giudice non deve trasformarsi in scienziato ma deve saper valutare il tasso di scientificità della tecnica probatoria adottata sopratutto quando entrano in campo nuove tecniche di accertamento dei fatti (stilometria, simulazioni del fatto al computer, Luminol, Bloodstain Pattern Analysis). “Se infatti il processo viene deciso sulla base di un responso non controllabile dal giudice, esso diviene un processo rassomigliante agli antichi riti ordalici, dove il giudice sfugge alle proprie responsabilità affidandosi a qualcosa che gli sta sopra, ieri la divinità oggi la scienza” (Caprioli cit.) Conformemente a tale orientamento dottrinale la Cassazione (sez. IV, 18 marzo 2005 n. 18080), al fine di evitare che si accrediti l'esistenza, nella regolazione processuale, di un sistema di prova legale, che limiti la libera formazione del convincimento del giudice, ha affermato “Il giudice deve dar conto del controllo esercitato sull'affidabilità delle basi scientifiche del proprio ragionamento, soppesando l'imparzialità e l'autorevolezza scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo conoscenze tecniche e saperi esperienziali”. Nella valutazione della serietà del metodo scientifico una guida è offerta dai c.d. criteri Daubert della giurisprudenza statunitense che sono stati accolti dalla Cassazione che ha affermato (sent. 7 ottobre 2015 n. 51060): ” la c.d. verità scientifica, introducibile all'interno della motivazione come prova "idonea ad assicurare l'accertamento dei fatti" (art. 189 cod. proc. pen.) è tale solo se è provvista di base scientifica”. La Corte suprema Usa nella motivazione della sentenza Daubert ha affermato che “il giudice non ha il compito di analizzare quello che l'esperto dice ma capire che basi ha quello che dice... la Corte deve garantire che in ogni passo l'esperto abbia dato prova di avere seguito una valida metodologia scientifica”. Dalla stessa sentenza si evince il ruolo di “gatepeeker” cioè di guardiano del metodo, delle regole di ammissibilità della prova scientifica, in ciò slegandolo dall'ipse dixit dell'esperto. Corrispondentemente la dottrina italiana ha abbandonato l'illusione del giudice “peritus peritorum” per una visione in cui il giudice deve essere informato sui presupposti di validità della prova scientifica utilizzata nel processo, deve essere pronto ad esaminare contrapposte visioni scientifiche ed a scegliere quella più convincente non in base ad opzioni pregiudiziali ma dopo avere dato spazio ampio al contraddittorio, tenendo conto delle eventuali evidenze probatorie atte a confermare o a smentire il giudizio dell'esperto (Brusco: la prova scientifica nel processo penale CSM 2009). La sentenza Daubert individua come criteri per l'apprezzamento della scienza valida (ossia rilevante e affidabile) la possibilità di verificare e falsificare il principio scientifico da impiegare; che esso sia stato oggetto di una revisione paritaria da parte dei componenti della comunità scientifica; che i risultati delle ricerche siano stati pubblicati in riviste specialistiche; che sia considerata la percentuale di errore, nota o potenziale, della teoria scientifica; che siano rispettati gli standard di corretta esecuzione delle operazioni applicative inerenti quel determinato principio scientifico; che vi sia stata accettazione della teoria nella comunità scientifica. I CRITERI DI AFFIDABILITA' DELLA PROVA SCIENTIFICA - Falsificabilità: l'ipotesi deve essere confermata sperimentalmente e non contraddetta da risultati contrari; -Peer rewiew: condivisione della comunità scientifica di riferimento, pubblicazione su riviste specializzate; - Conoscenza del tasso di errore che il metodo usato comporta : la conoscenza del tasso di errore è l'unico indice che una teoria è stata seriamente testata. Nella sentenza della Cassazione 36080/2015 si legge: "un risultato di prova scientifica può essere ritenuto attendibile solo ove sia controllato dal giudice, quantomeno con riferimento all'attendibilità soggettiva di chi lo sostiene, alla scientificità del metodo adoperato, al margine di errore più o meno accettabile ed all'obiettiva valenza ed attendibilità del risultato conseguito. Insomma, secondo un metodo di approccio critico non dissimile, concettualmente, da quello richiesto per l'apprezzamento delle prove ordinarie, al fine di esaltare, quanto più possibile, il grado di affidabilità della "verità processuale" o - se si preferisce - ridurre a margini ragionevoli l'ineludibile scarto tra verità processuale e verità sostanziale". Il ricorso ad un vaglio critico particolarmente attento e rigoroso è finalizzato ad evitare l'ingresso nel processo di metodi scientifici inaffidabili (la c.d. scienza spazzatura) e ciò può avvenire solo se il metodo proposto ha superato positivamente valutazioni di attendibilità da parte degli esperti del settore, ha resistito a tentativi di falsificazione, ha avuto una sufficiente diffusione nella comunità scientifica di riferimento senza che venissero individuate critiche fondate su argomentazioni ragionevolmente motivate (C. Brusco: Scienza e processo penale in Riv. Med Legale, 2012 pag. 61) E' alla luce di tali principi che deve essere interpretato anche l'art. 189 c.p.p. in tema di idoneità della prova atipica ad assicurare l'accertamento del fatto e ciò presuppone che: - la tecnica sia utilizzata da un esperto capace; - la tecnica sia astrattamente idonea ad accertare il fatto; - sia ulteriormente idonea a concretamente fornire risposte nel caso concreto; Ovviamente una tale approfondita valutazione va compiuta non già quando vengono utilizzate tecniche universalmente conosciute ed apprezzate bensì allorché si ricorra a metodiche probatorie nuove. Così, a proposito della tecnica della analisi delle macchie ematiche, la Cassazione (sent. 21 maggio 2008 n. 31456 relativa all'omicidio di Cogne) ha rilevato come i giudici del merito avessero ben motivato circa la riconosciuta validità scientifica e pratica del metodo combinatorio sul quale si fonda la c.d. Bloodstain Pattern Analysis. La Cassazione evidenzia come su tale tema la sentenza avesse motivato in modo ampio ed esauriente con specificazione dell'ormai sperimentata ed abituale prassi applicativa di detto metodo nei paesi anglosassoni ed in Germania e avesse indicando la letteratura sull'argomento, senza dimenticare di considerare le possibili variabili in grado di influenzare il risultato di prova, in tal modo rispettando anche i rigorosi criteri di validazione della prova scientifica (aventi per l'a.g. Italiana natura meramente orientativa) elaborati dalla giurisprudenza degli U.S.A. Dunque, il vaglio di affidabilità del metodo scientifico impone al giudice un duplice onere, prima di tutto di acquisire gli elementi di valutazione necessari per un consimile giudizio in particolare sfruttando il contraddittorio fra le parti, il contributo dell'esperto, l'uso dei propri poteri officiosi, e, in secondo luogo, di motivare adeguatamente sul punto, a pena di annullamento della sentenza per vizio di giustificazione esterna (il saggiare la validità della legge scientifica) o interna (la dimostrazione della validità del risultato conseguito adottando la regola- ponte). Una recente sentenza della Cassazione (Sez V 27 marzo 2015 n.36080 relativa all'omicidio Meredith Kercher) riguarda il ruolo del giudice a fronte delle prove scientifiche sottoposte al suo esame laddove si afferma “il giudice non può riporre una fideistica accettazione sul contributo peritale cui delegare la soluzione del giudizio e quindi la responsabilità della decisione” e più oltre: “il risultato di prova scientifica può essere ritenuto attendibile solo ove sia controllato dal giudice, quantomeno con riferimento all'attendibilità soggettiva di chi lo sostenga, alla scientificità del metodo adoperato, al margine di errore più o meno accettabile ed alla obiettiva valenza ed attendibilità del risultato conseguito. Ben consapevole del carattere relativo della scienza la Corte aggiunge: “La prova scientifica non può, infatti, ambire ad un credito incondizionato di autoreferenziale affidabilità in sede processuale, per il fatto stesso che il processo penale ripudia ogni idea di prova legale. D'altro canto, è a tutti noto che non esiste una sola scienza, portatrice di verità assolute ed immutabili nel tempo, ma tante scienze o pseudoscienze, tra quelle ufficiali e quelle non validate dalla comunità scientifica, in quanto espressione di metodiche di ricerca non universalmente riconosciute” Prosegue la Corte affermando che in definitiva nella valutazione della prova scientifica occorre procedere “secondo un metodo di approccio critico non dissimile, concettualmente, da quello richiesto per l'apprezzamento delle prove ordinarie, al fine di esaltare, quanto più possibile, il grado di affidabilità della "verità processuale" o se si preferisce - ridurre a margini ragionevoli l'ineludibile scarto tra verità processuale e verità sostanziale”. In applicazione di questi criteri la Corta ha poi escluso il carattere di prova indiziaria dei risultati di un reperto raccolto e finalizzato all'esame del DNA ma effettuato senza il rispetto degli standard internazionali. La stessa sentenza in altro passo riprende un argomento caro alla giurisprudenza della Corte: quello relativo all'essenza del ragionamento giudiziario caratterizzato dal collegamento razionale fra due o più fatti collegati da un elemento che faccia da ponte o collante fra luno e l'altro così da consentire di risalire dal fatto noto a quello ignoto secondo parametri di ragionevolezza e buon senso. Nel caso della prova circa il nesso causale questo elemento è costituito generalmente da una legge scientifica. Ciò che invece il giudice non può fare è trasformarsi, da mero fruitore del sapere scientifico, in scienziato lui stesso come avviene quando: - nel caso di contrasto fra più tesi controverse si schiera a favore di una di esse senza dar conto delle fonti e delle opinioni degli esperti alle quali è andata la propria condivisione; - a fronte della possibilità di ricostruire con perizia tecnica un determinato fenomeno (nell'esempio di Cass. 2 dicembre 2010 n.4369:: un incidente stradale) vi procede lui stesso secondo propri indimostrati parametri valutativi, con esame dei danni riportati dai mezzi e disamina dei tempi tecnici occorrenti per la esecuzione delle manovre etc... Sul tema del nesso causale va richiamata innanzitutto la nota sentenza Franzese (S:U.10 luglio 2002 n.30328) che, reagendo ad una tendenza dottrinaria che esigeva che la legge di copertura idonea a provare il nesso causale dovesse esprimere una probabilità eguale o prossima al 100%, ha affermato che anche coefficienti medio bassi di probabilità rivelati da legge statistica, da rilevazioni epidemiologiche e da generalizzazioni del senso comune possono essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale del nesso di condizionamento quando corroborati da positivo riscontro probatorio e si escluda l'incidenza di cause alternative.. In altri termini: il coefficiente probabilistico che supporta la legge di copertura stabilendo correlazioni statistiche fra una classe di antecedenti e una classe di eventi non è mai decisivo ai fini della prova del nesso causale perché ciò che è decisivo è la specifica applicabilità della legge scientifica nella fattispecie concreta, che dipende dalla impossibilità di spiegare ex post l'evento concreto come conseguenza di decorsi causali alternativi ai quali sia estraneo l'imputato.(così F.Viganò, in Diritto Pen, Contemporaneo n..3/2013 pag. 380). Pertanto il giudice deve necessariamente confrontarsi con le possibili spiegazioni alternative dell'evento concreto e per pervenire a convalidare la tesi dell'accusa dovrà pervenire alla certezza processuale, secondo la regola dell'oltre ragionevole dubbio, che tutte la possibili spiegazioni alternative siano radicalmente implausibili, in tal modo dimostrando di potere resistere ai tentativi di falsificazione miranti a spiegare diversamente l'evento. Dunque l'ipotesi accolta si deve manifestare come l'unica plausibile a fronte della inidoneità esplicativa delle altre ipotesi discusse nel contraddittorio tra le parti. Cosa vuol dire escludere decorsi causali alternativi? Quando si tratta di applicare leggi statistiche si hanno due casi: 1) se si conoscono tutte le possibili cause scatenanti di un certo fenomeno (come nel caso del mesotelioma pleurico) allora è possibile escludere le cause alternative alla luce delle evenienze del caso concreto; 2) se come nel caso dell'angiosarcoma del fegato le cause note coprono solo il 20% dei casi non sarà possibile escludere cause alternative perché tale possibilità è data solo se si conoscono tutte le cause. Ma anche quando si conoscono tutte le possibili cause i problemi non sono finiti perché più cause possono concorrere e generare casi di più complessa soluzione (R. Bartoli: il problema della causalità penale; ed Giappichelli 2010): 1) multifattorietà lineare: es. il soggetto che ha contratto l'infezione ha avuto contatti sessuali con Tizio affetto da HIV ma anche ha subito una trasfusione infetta che è idonea ma in percentuale minore a cagionare la malattia. In genere si tende ad adottare la soluzione per cui va escluso il nesso causale tra malattia e contatto sessuale. Ma in dottrina vi sono anche voci contrarie che valorizzano la diversa percentuale probabilistica. 2) multifattorietà cumulativa che si ha quando il cumulo è progressivo (la stessa causa opera ripetutamente come nel caso della esposizione pluriennale a fibre di amianto) ovvero sinergico (una delle causa opera accoppiata ad un'altra come nel caso classico amianto + tabacco). In questi casi si tratta di individuare una legge di copertura che affermi la dose - dipendenza del fattore nocivo ovvero la fattiva collaborazione fra le due cause come è stato dimostrato nel caso del tabagismo che è fattore di rischio ampliativo del tumore polmonare da amianto. I decorsi causali ipotetici nel caso dei reati omissivi impropri Di solito si afferma che il giudice deve valutare che cosa sarebbe avvenuto se il comportamento doveroso atteso fosse stato realizzato ma si obietta che si tratterebbe di un giudizio del tutto sganciato dalla realtà, completamente immaginato in un mondo dove tutto è possibile (Bartoli op, cit. pag.88): Al contrario la condotta doverosa omessa va valutata al momento in cui doveva essere tenuta dandosi così rilievo ad elementi di fatto storicamente verificatisi e quindi mantenendo un rapporto verificabile fra realtà e condotta. Inoltre la individuazione della condotta a carattere ipotetico è pur sempre una ipotesi che necessita di una verifica senza che si possa utilizzare il criterio della esclusione di decorsi alternativi perché in questo caso la causa dell'evento è ben nota. Qui vale il secondo criterio dettato dalla sentenza Franzese: quello della corroborazione dell'ipotesi. La efficacia impeditiva del comportamento omesso deve essere valutata tenendo conto di tutte la circostanze concrete (es, le condizioni generali del paziente, l'andamento della patologia reale, lo stadio in cui si colloca la condotta omissiva etc.) Fatto è che uscire dal probabilismo è impossibile. Problema :secondo il prof. Viganò la sentenza Franzese non risolve la questione della prova del nesso causale nei reati omissivi di evento (reati omissivi impropri) perché in tali casi lo schema di accertamento del nesso non è in grado di operare: infatti in questi reati la causa dell'evento è ben nota mentre la verifica probatoria è di natura predittiva inerendo a ciò che sarebbe successo nell'ipotesi in cui l'imputato avesse posto in essere la condotta che, proprio per non essere stata posta in essere, non ha avuto nessuna influenza sul concreto decorso degli avvenimenti. Parlare di esclusione di cause alternative in questo caso è impraticabile. Alla domanda se la condotta attesa avrebbe dato il risultato di neutrallzzare l'evento negativo che invece si è in concreto verificato si può rispondere - afferma Viganò – solo con affermazioni di tipo probabilistico perché il massimo che la scienza (quella medica nella più parte dei casi) potrebbe dire è che la condotta attesa avrebbe diminuito significativamente le chanches di verificazione della morte. E una tale probabilità può bastare per giustificare una condanna per omicidio colposo? Finora la giurisprudenza avrebbe risposto al quesito con meri artifizi retorici. La proposta Viganò si fonda sulla osservazione che... La norma di cui all'art. 40 comma 2 c.p. non richiede affatto che si accerti una causalità fra omissione ed evento (ex nihilo nihil fir) ma stabilisce una mera equivalenza normativa fra causalità reale (di cui al primo comma) e l'omesso impedimento di un evento che si aveva l'obbligo giuridico di impedire e fissa così una regola di imputazione giuridica di un evento ad un soggetto che per definizione non lo ha causato. L'accertamento della efficacia salvifica della condotta attesa ma in concreto omessa si imporrebbe invece ai fini della valutazione della colpa perché le regole cautelari in quanto dirette in genere a ridurre il rischio (non ad eliminarlo) giustificano la imputazione dell'evento in capo a chi, in posizione di garanzia, non ha ridotto il rischio nella misura indicata dalla regola cautelare . Un secondo ordine di problemi si pone in relazione ai processi per esposizione ad agenti nocivi idonei a cagionare patologie di carattere mortale a volte caratterizzate da lunghi tempi di latenza, perché: - si tratta talvolta di patologie multifattoriali come i tumori; -quando si tratta di patologie monofattoriali (come il mesotolioma pleurico da asbesto) si tratta di verificare il tempo dell'innesco per individuare il titolare della posizione di garanzia e, se ciò non è possibile,di accertare se le successive esposizioni al fattore nocivo hanno accelerato il processo morboso e/o abbreviato il periodo di latenza. In proposito è ancora aspro il dibattito scientifico La Cassazione ha osservato che il proprio giudizio non può riguardare la bontà della legge scientifica cui ha prestato affidamento il giudice del merito perché non ha la competenza per valutare se la legge scientifica utilizzata è esatta. La Corte non è – afferma - il giudice del sapere scientifico e non detiene proprie conoscenze privilegiate. Essa deve valutare la logicità del percorso argomentativo esposto in sentenza e le ragioni dell'apprezzamento del sapere scientifico. Dunque, quando il sapere scientifico non è consolidato o non è comunemente accettato spetta al giudice di merito scegliere quale fra le tesi in irrisolto conflitto sia meritevole di preferenza (Sez IV 17 aprile 2015 n. 22379).Ma come si orienta il giudice del merito? Una risposta sta nella sentenza della Sez IV 17 settembre 2010 n.43786 (c.d. sentenza Cozzini) laddove si indica che il giudice deve accertare: - se presso la comunità scientifica sia radicata una legge scientifica (nel caso concreto sull'effetto acceleratore di esposizioni all'amianto); - se si tratti di legge universale o probabilistica; - ove si tratti di legge probabilistica, se l'effetto acceleratore si sia verificato nel caso concreto alla luce di significative evidenza fattuali; - se per le condotte precedenti l'iniziazione possa essere dimostrata una sicura relazione condizionalistica rapportata all'innesco del processo carcinogetico. Un caso concreto di applicazione di una pluralità di leggi di copertura: la sentenza della Corte di Appello di Brescia (29 aprile 2016) relativa ai casi di mesotelioma in danno di esposti a fibre di amianto nello stabilimento Montedison di Mantova Il mesotoliema è una patologia sostanzialmente monofattoriale? La Corte risponde positivamente chiarendo che gli studi sul contributo genetico della patologia ne hanno messo in evidenza la natura di concausa con effetti di aumento degli effetti patologici e che secondo la letteratura l'80% di mesoteliomi ha una patologia da esposizione all'amianto mentre il residuo 20% ha una altra eziologia pure nota. La esposizione all'amianto ha uno o più di questi effetti?: iniziante (trasformazione neoplastica della cellula bersaglio), promuovente (moltiplicazione incontrollata delle cellule trasformate e loro sopravvivenza), acceleratore (accelera l'iniziazione o riduce la latenza). La Corte fa proprie le osservazioni del perito di ufficio, convalidate dalla pubblicazione IARC del 2012 e da uno studio interdisciplinare americano commissionato dal Senato USA che definiscono l'amianto come un cancerogeno completo e che la cancerogenesi è un processo a più stadi nel corso del quale le cellule acquisiscono progressivamente le caratteristiche della cellula neoplastica fino ad iniziare a replicarsi all'interno dell'organismo e a dar luogo ad un tumore clinicamente rilevabile. Il mesotelioma è dose – dipendente cioè le dosi successive accelerano la iniziazione e abbreviano la latenza? La Corte risponde positivamente alla domanda sulla base degli studi epidemiologici che hanno posto in evidenza che a maggior esposizione corrisponde una maggior incidenza del mesotelioma, concludendo che la maggior esposizione anticipa il momento di insorgenza della malattia e abbrevia i tempi di latenza. Inoltre, la Corte esamina criticamente la contraria tesi difensiva e ne enuncia i limiti che ne inficiano la attendibilità. Infine la Corte, preso atto che si tratta di processo in cui la legge di copertura a fine della prova del nesso causale non è a carattere universale, precisa che ciò che è decisivo è che nel caso concreto non vi siano altri decorsi causali in grado di spiegare il fatto. Nell'ambito del giudizio concreto è possibile superare la probabilità statistica per giungere ad un giudizio di certezza come credibilità razionale sulla base delle peculiarità del caso, evidenziando le contingenze del caso concreto. Ciò equivale a dire che la legge di copertura può essere smentita solo laddove emergano situazioni che indichino che il decorso causale possa essere stato diverso da quello della regola statistico/epidemiologica. Leggi di copertura della causalità psichica? Il caso della Commissione Grandi Rischi e il terremoto de L'Aquila del 6 aprile 2009. La sentenza del Tribunale dell'Aquila 22 ottobre 2012 Ai componenti della Commissione Grandi Rischi, riunitasi pochi giorni prima del terremoto, venne mosso l'addebito di avere cagionato, per colpa consistita anche in rassicuranti comunicazioni, la morte di numerosi cittadini aquilani che, pur dopo alcune scosse avvenute la sera fra il 5 ed il 6 aprile 2009, erano rimasti presso le proprie abitazioni venendo così travolti dal crollo degli edifici seguito al sisma delle ore 3.32 del 6 aprile 2009. Fenomeni di condizionamento psichico rappresentano manifestazione delle interazioni fra soggetti all'interno della comunità di cui il diritto penale mostra di tenere conto come nella disciplina del concorso morale nel reato ed in quelle fattispecie di reato nelle quali la condotta tipica è descritta in termini di induzione, determinazione, istigazione et similia. La dottrina fa riferimento ad un legame di natura mentale che lega due eventi ed evidenzia il problema del rapporto fra condizionamento psichico e libertà di autodeterminazione. Il problema si risolve alla luce della usuale regola della eliminazione mentale che verifica la sufficienza dell'azione in valutazione sul nesso causale: cioè si elimina la condotta di (pretesa) determinazione e se il comportamento non è spiegabile altrimenti significa che la condotta di chi lancia il messaggio è causa dell'azione del suo destinatario. Ciò che è necessario e sufficiente è che il messaggio sia stato valutato nella mente del soggetto a cui si rivolge e che sia stato ritenuto un valido motivo per tenere un certo comportamento Nella sentenza di condanna il tribunale de L'Aquila fa riferimento, per collegare i due eventi (comunicazione ascritta alla Commissione e condotta delle vittime), ad una analisi condotta dal c.t. dell'accusa che viene definita ”legge scientifica di copertura di matrice sociologica” ma che in realtà, essendo stata la tesi del c.t. ricavata dall'esame delle testimonianze dei parenti e degli amici delle vittime, non riveste alcun carattere di scientificità, sia perché priva di ogni coefficiente di probabilità e quindi priva di conclusioni dimostrabili, sia perché l'episodio preso in considerazione per la formulazione della legge è lo stesso che la legge dovrebbe spiegare. Questa critica è stata fatta propria dai giudici dell'appello che hanno definito la tesi della pretesa legge sociologica priva di validazione scientifica con riferimento ai criteri della falsificabilità e delle verificabilità, sottolineando come la legge di copertura fosse stata elaborata dal c.t. ex post in funzione di riscontro e corroborazione di una ipotesi anticipatamente prospettata. Tuttavia, hanno confermato la sentenza, riconoscendo la realtà del nesso di condizionamento psichico sia pure in relazione ad uno solamente degli imputati (che aveva partecipato alla riunione ma non faceva parte della Commissione) il quale aveva rilasciato alla TV una intervista in cui, senza averne la competenza, sosteneva tesi priva di fondamento scientifico, tuttavia idonea ad ingenerare senso di sicurezza fra la popolazione dei residenti. La Corte di Cassazione ( sent. 19 novembre 2015 n.12478)) nel confermare la sentenza ha precisato che il ritenuto nesso di condizionamento psichico deve essere provato sulla base di consolidate massime di esperienza (generalizzazioni esplicative delle condotte individuali) selezionando le condotte condizionanti da sottoporre all'accertamento causale ex post. Le massime di esperienza, come ogni sapere incerto, possono essere utilizzate allo scopo di alimentare la concretezza di un ipotesi causale secondo il procedimento logico dell'abduzione cui deve far seguito il rigoroso vaglio critico fornito dalle evidenze probatorie del caso concreto idonee a convalidare o falsificare l'ipotesi originaria . Le nuove prove scientifiche Con questo termine si intendono sia le le prove ottenute con l'adozione di criteri innovativi in un determinato campo scientifico e che dunque non fanno parte del patrimonio comune degli studiosi del settore sia quelle derivanti da metodiche di elevata specializzazione ormai almeno in parte collaudate in taluni ambiti scientifici ma delle quali non non sia stato fatto ancora ricorso nel contesto giudiziario. In relazione ad esse è necessaria la massima vigilanza per evitare l'ingresso nel processo della c.d. “junk science” o scienza spazzatura della letteratura americana. Il criterio di ammissione delle nuove prove scientifiche è rappresentato dall'art.189 c.p.p. che da un canto vieta l'assunzione di prove che limitano la libertà morale della persona (ad es. il poligrafo o più modernamente la sottoposizione dell'imputato a test di verità basati su tecniche di brain imagining) e dall'altro richiede che la prova sia idonea ad assicurare l'accertamento del fatto. Quindi è necessario che il giudice verifichi la capacità dell'esperto ad utilizzare quella particolare tecnica e che questa sia efficace ad assicurare risposte nel caso concreto. Alcuni esempi di nuove tecniche di indagine scientifica 1) la nuova frontiera dell'indagine dattiloscopica e rappresentata dalla analisi poroscopica che per oggetto i singolarismi poroscopici cioè le particolarità che circoscrivono gli orifizi sudoriferi delle estremità papillari; 2) l'analisi grafica basata sul principio che la grafia implica una serie di movimenti accessori involontari che si sottraggono al potere di controllo da parte di chi scrive. Essa può avvalersi di strumentazioni informatiche che forniscono nei casi più sofisticati immagini in 3D. 3) la analisi delle immagini sui fotogrammi estrapolati da riprese video, che consiste nella sovrapposizione della figura o del volto ripreso con altre già note (come le fotosegnaletiche) grazie ad ingrandimenti e rotazione dei singoli fotogrammi. 4) l'indagine stilometrica basata sull'accertamento dello stile linguistico presente in uno scritto confrontato con quello usato dall'indagato, E' lo studio statistico delle caratteristiche degli stili letterari, quali le scelte lessicali, la lunghezza delle parole, le costruzioni sintattiche, il modo di collocare le parti del discorso (anche con appositi softwares); 5) il sonogramma che consente di misurare frequenza, durata ed intensità di un segnale vocale e il raffronto con altro campione vocale. Utilizzato in concreto per escludere la corrispondenza di due voci e non per l' affermazione di identità. 6) un accenno più approfondito merita la neuroscienza cognitiva che studia i meccanismi neuronali delle attività della mente umana con riguardo particolare alla percezione, memoria, emozione, linguaggio e apprendimento, attraverso strumenti, quali la tomografia assiale e la risonanza magnetica, che consentono una conoscenza particolareggiata del sistema nervoso. Si tratta di tecnica che in campo processuale ha trovato le prime applicazioni per accertare, in sede di perizia sulla imputabilità, le eventuali lesioni di alcune aree cerebrali, Studi recenti sono in corso per osservare possibili vulnerabilità genetiche a carico di soggetti connotati da condotte aggressive. 7) altra applicazione è quella del metodo finalizzato alla verifica dell'attendibilità di una prova dichiarativa che ha già trovato una sporadica applicazione in un procedimento per violenza sessuale svoltosi davanti al Gup di Cremona nel quale è stata valutata la attendibilità della teste- persona offesa (sotto l profilo della corrispondenza fra il ricordo testimoniato e la realtà). Si tratta del cd. Test – a-IAT in cui mediante risonanza magnetica funzionale viene misurato il flusso cerebrale attivato dalla risposta a certe domande in cui si evocano i fatti per cui è processo e si confrontano fra loro la velocità delle risposte. . La predetta tecnica suscita perplessità soprattutto perché appare in contrasto con il precetto che vieta il ricorso a prove che influiscono sulla libertà di autodeterminazione del soggetto: in quanto preordinato ad ottenere da parte del soggetto esaminato dichiarazioni veridiche a prescindere dalla sua coscienza e volontà. In tale procedura viene inibita al soggetto la facoltà di determinarsi liberamente a fronte degli stimoli ed in pratica si attua un controllo del comportamento che tende a cercare risposte al di fuori del dominio dell'interessato. Infine, si è osservato che la tecnica impone di proporre domande di carattere suggestivo idonee ad incidere sulla spontaneità dei meccanismi di risposta.(L.Algeri in Riv. Med. Leg. 2012 pag 903). Altro caso di prova discussa che ha fautori negli Usa è la c.d. F.A.C.S. (Facial Action Coding System) ovvero la tecnica che in base ai movimenti facciali di tipo involontario durante l'esame analizza se il soggetto ha fornito risposte mendaci. Gli Stati Uniti, soprattutto dopo l’attentato del 2001, utilizzano simili tecniche di osservazione nell’ambito della sicurezza pubblica: lo stesso Department of Homeland Securityha, ha infatti promosso diversi progetti come il Transportation Security Administration, che nel più ampio sistema di Screening Passengers by Observation Technique, ha previsto l’impiego negli aeroporti di ufficiali addestrati a cogliere comportamenti “a rischio”. Nel nostro sistema la prova FARC si è affacciata quando davanti al tribunale di Venezia (sent. 22 agosto 2013, n. 31) il consulente tecnico della difesa ha applicato il metodo F.A.C.S. all’esame della persona offesa compiuto in sede di incidente probatorio: attraverso l’analisi dei fotogrammi dell’audizione ha sostenuto l’incongruenza delle manifestazioni del linguaggio non verbale rispetto alle risposte fornite dalla persona offesa. L’organo giudicante non ha escluso in termini espliciti il metodo, ma ha affermato che la valutazione dello stesso avrebbe richiesto «la nomina di un consulente d’ufficio egualmente specializzato nella medesima disciplina di riferimento, e di almeno pari livello professionale, non potendo il giudice fare ricorso al proprio autonomo bagaglio culturale, neppure nella veste di peritus peritorum, per introdurre direttamente in motivazione conoscenze, valutazioni e apprezzamenti di natura altamente specialistica, in tal modo sottratte a un preventivo contraddittorio tra le parti e i loro esperti». REVISIONE E PROVE SCIENTIFICHE NUOVE Dopo un decennio dall'entrata in vigore del codice di rito 1989 in cui aveva tenuto un orientamento negativo, la Cassazione a far tempo dal 1997 si è espressa per l'ammissibilità del processo di revisione quando si prospetta una perizia nuova (cioè non meramente ripetitiva di un accertamento già eseguito) che tale sia per metodologia e conclusioni. Così è stato per l'ammissione del test DNA su di un reperto pilifero dianzi esaminato solo morfologicamente; della prova di caratterizzazione micro morfologica delle superfici ai fini della indagine sulle impronte di proiettili. Il predetto orientamento è conforme all'opinione della CEDU per la quale ciò che conta ai fini dell'ammissibilità è la concreta idoneità del mezzo di prova a pervenire a risultati probatori sostanzialmente diversi e suscettibili di mutare il contenuto dell'accertamento espletato nel precedente giudizio. Dunque, l'accertamento della verità stabilizzatosi nel giudicato rimane tuttavia aperto alla potenziale futura revisione sulla sfondo epistemologico del razionalismo critico imperniato sul metodo falsificazionista che caratterizza la ricerca scientifica (G. Canzio: la revisione del processo in Scienza e Processo, Cedam 2010).