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legge scientifica. - Corte d`Appello di Brescia

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legge scientifica. - Corte d`Appello di Brescia
Leggi scientifiche
e processo
Il ruolo delle leggi scientifiche
Il sapere scientifico costituisce un prezioso alleato
del giudice nella ricerca della verità in quanto
capace di offrire regole di inferenza
particolarmente affidabili perché ottenute con il
metodo della sperimentazione ripetuta, della
resistenza ai tentativi di falsificazione, della
sottoposizione al giudizio critico della comunità
degli studiosi (F. Caprioli in Cass. Pen .2008 pag. 3520).
Anzi, è stato detto: il futuro del processo penale
sta nella adozione progressiva di modelli scientifici
nella indagine sul fatto (M. Damaska: Il diritto delle prove
alla deriva)
Abbandonati i criteri su cui tradizionalmente si
fondava la conoscenza umana (le credenze di tipo
magico/religioso; il principio di autorità) il mondo
del diritto ha ricavato non solo le proprie
regole di ragionamento dal metodo scientifico,
inteso come procedimento di ricerca basato sul
rispetto di principi che garantiscono l'attendibilità
e la verificabilità dei risultati ottenuti ma utilizza
questi ultimi per giungere a risultati di verità
processuale. Infatti, la prova scientifica introduce
nel processo un sapere di conoscenze acquisite
nel mondo della scienza e consente al giudice una
interpretazione razionale del dato empirico.
Prova scientifica e leggi scientifiche non sono
concetti coincidenti: infatti la prova scientifica è
quella che adotta il metodo della scienza, cioè il
metodo che ricostruisce l'evento con l'esame
analitico di ogni segmento dell'evento pervenendo
alla sua spiegazione con l'utilizzazione del metodo
induttivo che consente di ricostruire i frammenti
della realtà in un quadro unico. A sua volta la
induzione deve essere metodologicamente
corretta cioè condotta con criteri comunemente
accettati e verificabili e non su congetture e/o
intuizioni del giudice.
Perché la scienza si differenzia dalle altre
forme di conoscenza?
-E' conoscenza empirica che si fonda sulla
esperienza e sulla ripetibilità di questa;
-E' obiettiva nel senso che procede con
osservazioni oggettive tali per cui un osservatore
posto nella stessa situazione giungerebbe alle
stesse conclusioni;
-E' capace di autocorrezione perché si evolve
grazie alla scoperta di nuovi dati che possono
contraddire le conoscenze precedenti;
-E' possibilista perché non afferma mai di
possedere la verità, consapevole della sua
fallibilità e della relatività delle proprie conclusioni.
Karl Popper il più noto filosofo della scienza
afferma che la conoscenza scientifica si
contraddistingue per il suo carattere mutabile e la
provvisorietà dei suoi risultati e la paragona ad
una costruzione fondata non già sulla roccia ma
su di una palude (Logica della scoperta scientifica). Ciò
è sopratutto vero quando le evidenze sperimentali
trovano fondamento su dati epidemiologici e
statistici. Non vi è alcun modo di accertare la
verità di una ipotesi scientifica: il controllo
empirico dell'ipotesi può conferire un certo grado
di conferma più o meno forte ma non assicura la
definitività della conclusione.
Abbandonata la illusione positivistica della
scienza illimitata, completa, infallibile, é
divenuta ormai comune affermazione (anche
in giurisprudenza) quella per cui la scienza è
- limitata: non sempre è in grado di
spiegare tutti gli aspetti dei fenomeni;
- incompleta; non sempre tutti gli aspetti
sono conosciuti;
- fallibile: ogni scienza ha un tasso di errore
che deve essere ricercato:
Tanto più queste conclusioni sono vere nel
mondo delle scienze umane che hanno uno
statuto epistemologicamente più debole (es:
la psicologia; la psichiatria) i cui modelli di
interpretazione della realtà sono costituiti da
un paradigma teorico più che da leggi
scientifiche e che sono peraltro oggetto di
costante revisione (es. la adozione del
manuale diagnostico e statistico dei disturbi
mentali DSM IV e la Carta di Noto in tema di
linee guida per la raccolta di informazioni da
minori vittime di abusi sessuali)
L'effetto del sempre maggiore impatto del
sapere
scientifico
nella
esperienza
giudiziaria (Caprioli cit.) è il progressivo
assottigliarsi del senso comune cioè del
repertorio
di
conoscenze
empiriche
dell'uomo medio con uno spostamento della
linea di confine fra il sapere comune ed il
sapere specialistico (basti pensare alla
difficoltà di valutazione della testimonianze
dei minori). Nasce un problema: come può
fare il giudice ad esercitare un controllo
effettivo su di una attività probatoria in cui
l'esperto impiega conoscenze che il giudice
non possiede? E' il c.d. paradosso della
prova scientifica.
ll giudice non deve trasformarsi in scienziato
ma deve saper valutare il tasso di
scientificità della tecnica probatoria adottata
sopratutto quando entrano in campo nuove
tecniche
di
accertamento
dei
fatti
(stilometria, simulazioni del fatto al
computer, Luminol, Bloodstain Pattern
Analysis). “Se infatti il processo viene deciso
sulla base di un responso non controllabile
dal giudice, esso diviene un processo
rassomigliante agli antichi riti ordalici, dove il
giudice sfugge alle proprie responsabilità
affidandosi a qualcosa che gli sta sopra, ieri
la divinità oggi la scienza” (Caprioli cit.)
Conformemente
a
tale
orientamento
dottrinale la Cassazione (sez. IV, 18 marzo
2005 n. 18080), al fine di evitare che si
accrediti l'esistenza, nella regolazione
processuale, di un sistema di prova legale,
che limiti la libera formazione del
convincimento del giudice, ha affermato “Il
giudice deve dar conto del controllo
esercitato
sull'affidabilità
delle
basi
scientifiche del proprio ragionamento,
soppesando l'imparzialità e l'autorevolezza
scientifica dell'esperto che trasferisce nel
processo conoscenze tecniche e saperi
esperienziali”.
Nella valutazione della serietà del metodo
scientifico una guida è offerta dai c.d. criteri
Daubert della giurisprudenza statunitense
che sono stati accolti dalla Cassazione che
ha affermato (sent. 7 ottobre 2015 n.
51060): ” la c.d. verità scientifica,
introducibile all'interno della motivazione
come prova "idonea ad assicurare
l'accertamento dei fatti" (art. 189 cod. proc.
pen.) è tale solo se è provvista di base
scientifica”.
La Corte suprema Usa nella motivazione
della sentenza Daubert ha affermato che “il
giudice non ha il compito di analizzare
quello che l'esperto dice ma capire che
basi ha quello che dice... la Corte deve
garantire che in ogni passo l'esperto abbia
dato prova di avere seguito una valida
metodologia scientifica”. Dalla stessa
sentenza si evince il ruolo di “gatepeeker”
cioè di guardiano del metodo, delle regole di
ammissibilità della prova scientifica, in ciò
slegandolo dall'ipse dixit dell'esperto.
Corrispondentemente la dottrina italiana ha
abbandonato l'illusione del giudice “peritus
peritorum” per una visione in cui il giudice
deve essere informato sui presupposti di
validità della prova scientifica utilizzata nel
processo, deve essere pronto ad esaminare
contrapposte visioni scientifiche ed a
scegliere quella più convincente non in base
ad opzioni pregiudiziali ma dopo avere dato
spazio ampio al contraddittorio, tenendo
conto delle eventuali evidenze probatorie
atte a confermare o a smentire il giudizio
dell'esperto (Brusco: la prova scientifica nel processo
penale CSM 2009).
La sentenza Daubert individua come criteri per
l'apprezzamento della scienza valida (ossia
rilevante e affidabile) la possibilità di verificare e
falsificare il principio scientifico da impiegare; che
esso sia stato oggetto di una revisione paritaria da
parte dei componenti della comunità scientifica;
che i risultati delle ricerche siano stati pubblicati in
riviste specialistiche; che sia considerata la
percentuale di errore, nota o potenziale, della
teoria scientifica; che siano rispettati gli standard
di corretta esecuzione delle operazioni applicative
inerenti quel determinato principio scientifico; che
vi sia stata accettazione della teoria nella
comunità scientifica.
I CRITERI DI AFFIDABILITA' DELLA PROVA
SCIENTIFICA
- Falsificabilità: l'ipotesi deve essere confermata
sperimentalmente e non contraddetta da risultati
contrari;
-Peer rewiew: condivisione della comunità
scientifica di riferimento, pubblicazione su riviste
specializzate;
- Conoscenza del tasso di errore che il metodo
usato comporta : la conoscenza del tasso di
errore è l'unico indice che una teoria è stata
seriamente testata.
Nella sentenza della Cassazione 36080/2015 si
legge: "un risultato di prova scientifica può essere
ritenuto attendibile solo ove sia controllato dal
giudice,
quantomeno
con
riferimento
all'attendibilità soggettiva di chi lo sostiene, alla
scientificità del metodo adoperato, al margine di
errore più o meno accettabile ed all'obiettiva
valenza ed attendibilità del risultato conseguito.
Insomma, secondo un metodo di approccio critico
non dissimile, concettualmente, da quello richiesto
per l'apprezzamento delle prove ordinarie, al fine
di esaltare, quanto più possibile, il grado di
affidabilità della "verità processuale" o - se si
preferisce - ridurre a margini ragionevoli
l'ineludibile scarto tra verità processuale e verità
sostanziale".
Il ricorso ad un vaglio critico particolarmente
attento e rigoroso è finalizzato ad evitare
l'ingresso nel processo di metodi scientifici
inaffidabili (la c.d. scienza spazzatura) e ciò
può avvenire solo se il metodo proposto ha
superato positivamente valutazioni di
attendibilità da parte degli esperti del
settore, ha resistito a tentativi di
falsificazione, ha avuto una sufficiente
diffusione nella comunità scientifica di
riferimento senza che venissero individuate
critiche
fondate
su
argomentazioni
ragionevolmente motivate (C. Brusco: Scienza
e processo penale in Riv. Med Legale, 2012 pag.
61)
E' alla luce di tali principi che deve essere
interpretato anche l'art. 189 c.p.p. in tema di
idoneità della prova atipica ad assicurare
l'accertamento del fatto e ciò presuppone
che:
- la tecnica sia utilizzata da un esperto
capace;
- la tecnica sia astrattamente idonea ad
accertare il fatto;
- sia ulteriormente idonea a concretamente
fornire risposte nel caso concreto;
Ovviamente
una
tale
approfondita
valutazione va compiuta non già quando
vengono utilizzate tecniche universalmente
conosciute ed apprezzate bensì allorché si
ricorra a metodiche probatorie nuove. Così,
a proposito della tecnica della analisi delle
macchie ematiche, la Cassazione (sent. 21
maggio 2008 n. 31456 relativa all'omicidio di
Cogne) ha rilevato come i giudici del merito
avessero ben motivato circa la riconosciuta
validità scientifica e pratica del metodo
combinatorio sul quale si fonda la c.d.
Bloodstain Pattern Analysis.
La Cassazione evidenzia come su tale tema
la sentenza avesse motivato in modo ampio
ed esauriente con specificazione dell'ormai
sperimentata ed abituale prassi applicativa
di detto metodo nei paesi anglosassoni ed in
Germania e avesse indicando la letteratura
sull'argomento, senza dimenticare di
considerare le possibili variabili in grado di
influenzare il risultato di prova, in tal modo
rispettando anche i rigorosi criteri di
validazione della prova scientifica (aventi per
l'a.g. Italiana natura meramente orientativa)
elaborati dalla giurisprudenza degli U.S.A.
Dunque, il vaglio di affidabilità del metodo
scientifico impone al giudice un duplice
onere, prima di tutto di acquisire gli elementi
di valutazione necessari per un consimile
giudizio
in
particolare
sfruttando
il
contraddittorio fra le parti, il contributo
dell'esperto, l'uso dei propri poteri officiosi,
e, in secondo luogo, di motivare
adeguatamente sul punto, a pena di
annullamento della sentenza per vizio di
giustificazione esterna (il saggiare la validità
della legge scientifica) o interna (la
dimostrazione della validità del risultato
conseguito adottando la regola- ponte).
Una recente sentenza della Cassazione (Sez V
27 marzo 2015 n.36080 relativa all'omicidio
Meredith Kercher) riguarda il ruolo del giudice a
fronte delle prove scientifiche sottoposte al suo
esame laddove si afferma “il giudice non può
riporre una fideistica accettazione sul
contributo peritale cui delegare la soluzione
del giudizio e quindi la responsabilità della
decisione” e più oltre: “il risultato di prova
scientifica può essere ritenuto attendibile solo ove
sia controllato dal giudice, quantomeno con
riferimento all'attendibilità soggettiva di chi lo
sostenga, alla scientificità del metodo
adoperato, al margine di errore più o meno
accettabile ed alla obiettiva valenza ed
attendibilità del risultato conseguito.
Ben consapevole del carattere relativo della
scienza la Corte aggiunge: “La prova
scientifica non può, infatti, ambire ad un
credito incondizionato di autoreferenziale
affidabilità in sede processuale, per il fatto
stesso che il processo penale ripudia ogni
idea di prova legale. D'altro canto, è a tutti
noto che non esiste una sola scienza,
portatrice di verità assolute ed immutabili
nel
tempo,
ma
tante
scienze
o
pseudoscienze, tra quelle ufficiali e quelle
non validate dalla comunità scientifica, in
quanto espressione di metodiche di ricerca
non universalmente riconosciute”
Prosegue la Corte affermando che in definitiva
nella valutazione della prova scientifica occorre
procedere “secondo un metodo di approccio
critico non dissimile, concettualmente, da quello
richiesto per l'apprezzamento delle prove
ordinarie, al fine di esaltare, quanto più possibile,
il grado di affidabilità della "verità processuale" o se si preferisce - ridurre a margini ragionevoli
l'ineludibile scarto tra verità processuale e verità
sostanziale”. In applicazione di questi criteri la
Corta ha poi escluso il carattere di prova indiziaria
dei risultati di un reperto raccolto e finalizzato
all'esame del DNA ma effettuato senza il rispetto
degli standard internazionali.
La stessa sentenza in altro passo riprende
un argomento caro alla giurisprudenza della
Corte: quello relativo all'essenza del
ragionamento giudiziario caratterizzato dal
collegamento razionale fra due o più fatti
collegati da un elemento che faccia da
ponte o collante fra luno e l'altro così da
consentire di risalire dal fatto noto a quello
ignoto secondo parametri di ragionevolezza
e buon senso. Nel caso della prova circa il
nesso causale questo elemento è costituito
generalmente da una legge scientifica.
Ciò che invece il giudice non può fare è
trasformarsi, da mero fruitore del sapere
scientifico, in scienziato lui stesso come avviene
quando:
- nel caso di contrasto fra più tesi controverse si
schiera a favore di una di esse senza dar conto
delle fonti e delle opinioni degli esperti alle quali è
andata la propria condivisione;
- a fronte della possibilità di ricostruire con perizia
tecnica un determinato fenomeno (nell'esempio di
Cass. 2 dicembre 2010 n.4369:: un incidente
stradale) vi procede lui stesso secondo propri
indimostrati parametri valutativi, con esame dei
danni riportati dai mezzi e disamina dei tempi
tecnici occorrenti per la esecuzione delle manovre
etc...
Sul tema del nesso causale va richiamata
innanzitutto la nota sentenza Franzese (S:U.10
luglio 2002 n.30328) che, reagendo ad una
tendenza dottrinaria che esigeva che la legge di
copertura idonea a provare il nesso causale
dovesse esprimere una probabilità eguale o
prossima al 100%, ha affermato che anche
coefficienti medio bassi di probabilità rivelati
da legge statistica, da rilevazioni epidemiologiche
e da generalizzazioni del senso comune possono
essere utilizzati per il riconoscimento giudiziale
del
nesso
di
condizionamento
quando
corroborati da positivo riscontro probatorio e
si escluda l'incidenza di cause alternative..
In altri termini: il coefficiente probabilistico che
supporta la legge di copertura stabilendo
correlazioni statistiche fra una classe di
antecedenti e una classe di eventi non è mai
decisivo ai fini della prova del nesso causale
perché ciò che è decisivo è la specifica
applicabilità della legge scientifica nella
fattispecie concreta, che dipende dalla
impossibilità di spiegare ex post l'evento
concreto come conseguenza di decorsi
causali alternativi ai quali sia estraneo
l'imputato.(così
F.Viganò,
in
Diritto
Pen,
Contemporaneo n..3/2013 pag. 380).
Pertanto il giudice deve necessariamente
confrontarsi
con le possibili spiegazioni
alternative dell'evento concreto e per pervenire a
convalidare la tesi dell'accusa dovrà pervenire alla
certezza processuale, secondo la regola dell'oltre
ragionevole dubbio, che tutte la possibili
spiegazioni alternative siano radicalmente
implausibili, in tal modo dimostrando di potere
resistere ai tentativi di falsificazione miranti a
spiegare diversamente l'evento. Dunque l'ipotesi
accolta si deve manifestare come l'unica
plausibile a fronte della inidoneità esplicativa delle
altre ipotesi discusse nel contraddittorio tra le
parti.
Cosa vuol dire escludere decorsi causali
alternativi?
Quando si tratta di applicare leggi statistiche si
hanno due casi:
1) se si conoscono tutte le possibili cause
scatenanti di un certo fenomeno (come nel caso
del mesotelioma pleurico) allora è possibile
escludere le cause alternative alla luce delle
evenienze del caso concreto;
2) se come nel caso dell'angiosarcoma del fegato
le cause note coprono solo il 20% dei casi non
sarà possibile escludere cause alternative perché
tale possibilità è data solo se si conoscono tutte le
cause.
Ma anche quando si conoscono tutte le possibili
cause i problemi non sono finiti perché più cause
possono concorrere e generare casi di più
complessa soluzione (R. Bartoli: il problema della
causalità penale; ed Giappichelli 2010):
1) multifattorietà lineare: es. il soggetto che ha
contratto l'infezione ha avuto contatti sessuali con
Tizio affetto da HIV ma anche ha subito una
trasfusione infetta che è idonea ma in percentuale
minore a cagionare la malattia. In genere si tende
ad adottare la soluzione per cui va escluso il
nesso causale tra malattia e contatto sessuale.
Ma in dottrina vi sono anche voci contrarie che
valorizzano la diversa percentuale probabilistica.
2) multifattorietà cumulativa che si ha quando il
cumulo è progressivo (la stessa causa opera
ripetutamente come nel caso della esposizione
pluriennale a fibre di amianto) ovvero sinergico
(una delle causa opera accoppiata ad un'altra
come nel caso classico amianto + tabacco).
In questi casi si tratta di individuare una legge di
copertura che affermi la dose - dipendenza del
fattore nocivo ovvero la fattiva collaborazione fra
le due cause come è stato dimostrato nel caso del
tabagismo che è fattore di rischio ampliativo del
tumore polmonare da amianto.
I decorsi causali ipotetici nel caso dei reati
omissivi impropri
Di solito si afferma che il giudice deve valutare
che cosa sarebbe avvenuto se il comportamento
doveroso atteso fosse stato realizzato ma si
obietta che si tratterebbe di un giudizio del tutto
sganciato dalla realtà, completamente immaginato
in un mondo dove tutto è possibile (Bartoli op, cit.
pag.88): Al contrario la condotta doverosa omessa
va valutata al momento in cui doveva essere
tenuta dandosi così rilievo ad elementi di fatto
storicamente verificatisi e quindi mantenendo un
rapporto verificabile fra realtà e condotta.
Inoltre la individuazione della condotta a carattere
ipotetico è pur sempre una ipotesi che necessita
di una verifica senza che si possa utilizzare il
criterio della esclusione di decorsi alternativi
perché in questo caso la causa dell'evento è ben
nota. Qui vale il secondo criterio dettato dalla
sentenza Franzese: quello della corroborazione
dell'ipotesi.
La
efficacia
impeditiva
del
comportamento omesso deve essere valutata
tenendo conto di tutte la circostanze concrete (es,
le condizioni generali del paziente, l'andamento
della patologia reale, lo stadio in cui si colloca la
condotta omissiva etc.) Fatto è che uscire dal
probabilismo è impossibile.
Problema :secondo il prof. Viganò la sentenza
Franzese non risolve la questione della prova del
nesso causale nei reati omissivi di evento (reati
omissivi impropri) perché in tali casi lo schema di
accertamento del nesso non è in grado di operare:
infatti in questi reati la causa dell'evento è ben
nota mentre la verifica probatoria è di natura
predittiva inerendo a ciò che sarebbe successo
nell'ipotesi in cui l'imputato avesse posto in essere
la condotta che, proprio per non essere stata
posta in essere, non ha avuto nessuna influenza
sul concreto decorso degli avvenimenti. Parlare di
esclusione di cause alternative in questo caso è
impraticabile.
Alla domanda se la condotta attesa avrebbe dato
il risultato di neutrallzzare l'evento negativo che
invece si è in concreto verificato si può rispondere
- afferma Viganò – solo con affermazioni di tipo
probabilistico perché il massimo che la scienza
(quella medica nella più parte dei casi) potrebbe
dire è che la condotta attesa avrebbe diminuito
significativamente le chanches di verificazione
della morte.
E una tale probabilità può bastare per giustificare
una condanna per omicidio colposo? Finora la
giurisprudenza avrebbe risposto al quesito con
meri artifizi retorici. La proposta Viganò si fonda
sulla osservazione che...
La norma di cui all'art. 40 comma 2 c.p. non richiede
affatto che si accerti una causalità fra omissione ed
evento (ex nihilo nihil fir) ma stabilisce una mera
equivalenza normativa fra causalità reale (di cui al
primo comma) e l'omesso impedimento di un evento
che si aveva l'obbligo giuridico di impedire e fissa così
una regola di imputazione giuridica di un evento ad un
soggetto che per definizione non
lo ha causato.
L'accertamento della efficacia salvifica della condotta
attesa ma in concreto omessa si imporrebbe invece ai
fini della valutazione della colpa perché le regole
cautelari in quanto dirette in genere a ridurre il rischio
(non ad eliminarlo) giustificano la imputazione dell'evento
in capo a chi, in posizione di garanzia, non ha ridotto il
rischio nella misura indicata dalla regola cautelare .
Un secondo ordine di problemi si pone in
relazione ai processi per esposizione ad agenti
nocivi idonei a cagionare patologie di carattere
mortale a volte caratterizzate da lunghi tempi di
latenza, perché:
- si tratta talvolta di patologie multifattoriali come i
tumori;
-quando si tratta di patologie monofattoriali (come
il mesotolioma pleurico da asbesto) si tratta di
verificare il tempo dell'innesco per individuare il
titolare della posizione di garanzia e, se ciò non è
possibile,di accertare se le successive esposizioni
al fattore nocivo hanno accelerato il processo
morboso e/o abbreviato il periodo di latenza.
In proposito è ancora aspro il dibattito
scientifico
La Cassazione ha osservato che il proprio giudizio
non può riguardare la bontà della legge scientifica
cui ha prestato affidamento il giudice del merito
perché non ha la competenza per valutare se la
legge scientifica utilizzata è esatta. La Corte non
è – afferma - il giudice del sapere scientifico e
non detiene proprie conoscenze privilegiate. Essa
deve valutare la logicità del percorso
argomentativo esposto in sentenza e le ragioni
dell'apprezzamento
del
sapere
scientifico.
Dunque, quando il sapere scientifico non è
consolidato o non è comunemente accettato
spetta al giudice di merito scegliere quale fra le
tesi in irrisolto conflitto sia meritevole
di
preferenza (Sez IV 17 aprile 2015 n. 22379).Ma
come si orienta il giudice del merito?
Una risposta sta nella sentenza della Sez IV 17
settembre 2010 n.43786 (c.d. sentenza Cozzini)
laddove si indica che il giudice deve accertare:
- se presso la comunità scientifica sia radicata
una legge scientifica (nel caso concreto sull'effetto
acceleratore di esposizioni all'amianto);
- se si tratti di legge universale o probabilistica;
- ove si tratti di legge probabilistica, se l'effetto
acceleratore si sia verificato nel caso concreto alla
luce di significative evidenza fattuali;
- se per le condotte precedenti l'iniziazione possa
essere
dimostrata
una
sicura
relazione
condizionalistica
rapportata all'innesco del
processo carcinogetico.
Un caso concreto di applicazione di una
pluralità di leggi di copertura: la sentenza
della Corte di Appello di Brescia (29 aprile
2016) relativa ai casi di mesotelioma in
danno di esposti a fibre di amianto nello
stabilimento Montedison di Mantova
Il
mesotoliema
è
una
patologia
sostanzialmente monofattoriale? La Corte
risponde positivamente chiarendo che gli
studi sul contributo genetico della patologia
ne hanno messo in evidenza la natura di
concausa con effetti di aumento degli effetti
patologici e che secondo la letteratura l'80%
di mesoteliomi ha una patologia da
esposizione all'amianto mentre il residuo
20% ha una altra eziologia pure nota.
La esposizione all'amianto ha uno o più di questi
effetti?: iniziante (trasformazione neoplastica della
cellula
bersaglio),
promuovente
(moltiplicazione
incontrollata
delle
cellule
trasformate
e
loro
sopravvivenza), acceleratore (accelera l'iniziazione o
riduce la latenza). La Corte fa proprie le osservazioni del
perito di ufficio, convalidate dalla pubblicazione IARC del
2012 e da uno studio interdisciplinare americano
commissionato dal Senato USA che definiscono
l'amianto come un cancerogeno completo e che la
cancerogenesi è un processo a più stadi nel corso del
quale le cellule acquisiscono progressivamente le
caratteristiche della cellula neoplastica fino ad iniziare a
replicarsi all'interno dell'organismo e a dar luogo ad un
tumore clinicamente rilevabile.
Il mesotelioma è dose – dipendente cioè le
dosi successive accelerano la iniziazione e
abbreviano la latenza? La Corte risponde
positivamente alla domanda sulla base degli studi
epidemiologici che hanno posto in evidenza che a
maggior esposizione corrisponde una maggior
incidenza del mesotelioma, concludendo che la
maggior esposizione anticipa il momento di
insorgenza della malattia e abbrevia i tempi di
latenza. Inoltre, la Corte esamina criticamente la
contraria tesi difensiva e ne enuncia i limiti che ne
inficiano la attendibilità.
Infine la Corte, preso atto che si tratta di processo
in cui la legge di copertura a fine della prova del
nesso causale non è a carattere universale,
precisa che ciò che è decisivo è che nel caso
concreto non vi siano altri decorsi causali in
grado di spiegare il fatto. Nell'ambito del
giudizio concreto è possibile superare la
probabilità statistica per giungere ad un giudizio di
certezza come credibilità razionale sulla base
delle peculiarità del caso, evidenziando le
contingenze del caso concreto. Ciò equivale a
dire che la legge di copertura può essere smentita
solo laddove emergano situazioni che indichino
che il decorso causale possa essere stato diverso
da quello della regola statistico/epidemiologica.
Leggi di copertura della causalità psichica?
Il caso della Commissione Grandi Rischi e il
terremoto de L'Aquila del 6 aprile 2009.
La sentenza del Tribunale dell'Aquila 22
ottobre 2012
Ai componenti della Commissione Grandi
Rischi, riunitasi pochi giorni prima del
terremoto, venne mosso l'addebito di avere
cagionato, per colpa consistita anche in
rassicuranti comunicazioni, la morte di
numerosi cittadini aquilani che, pur dopo
alcune scosse avvenute la sera fra il 5 ed il
6 aprile 2009, erano rimasti presso le
proprie abitazioni venendo così travolti dal
crollo degli edifici seguito al sisma delle ore
3.32 del 6 aprile 2009.
Fenomeni
di
condizionamento
psichico
rappresentano manifestazione delle interazioni fra
soggetti all'interno della comunità di cui il diritto
penale mostra di tenere conto come nella
disciplina del concorso morale nel reato ed in
quelle fattispecie di reato nelle quali la condotta
tipica
è descritta in termini di induzione,
determinazione, istigazione et similia.
La dottrina fa riferimento ad un legame di natura
mentale che lega due eventi ed evidenzia il
problema del rapporto fra condizionamento
psichico e libertà di autodeterminazione.
Il problema si risolve alla luce della usuale regola
della eliminazione mentale che verifica la
sufficienza dell'azione in valutazione sul nesso
causale: cioè si elimina la condotta di (pretesa)
determinazione e se il comportamento non è
spiegabile altrimenti significa che la condotta di
chi lancia il messaggio è causa dell'azione del suo
destinatario. Ciò che è necessario e sufficiente è
che il messaggio sia stato valutato nella mente
del soggetto a cui si rivolge e che sia stato
ritenuto un valido motivo per tenere un certo
comportamento
Nella sentenza di condanna il tribunale de
L'Aquila fa riferimento, per collegare i due eventi
(comunicazione ascritta alla Commissione e
condotta delle vittime), ad una analisi condotta dal
c.t. dell'accusa che viene definita ”legge
scientifica di copertura di matrice sociologica”
ma che in realtà, essendo stata la tesi del c.t.
ricavata dall'esame delle testimonianze dei parenti
e degli amici delle vittime, non riveste alcun
carattere di scientificità, sia perché priva di ogni
coefficiente di probabilità e quindi priva di
conclusioni dimostrabili, sia perché l'episodio
preso in considerazione per la formulazione della
legge è lo stesso che la legge dovrebbe spiegare.
Questa critica è stata fatta propria dai giudici dell'appello
che hanno definito la tesi della pretesa legge
sociologica priva di validazione scientifica con
riferimento ai criteri della falsificabilità e delle
verificabilità, sottolineando come la legge di copertura
fosse stata elaborata dal c.t. ex post in funzione di
riscontro e corroborazione di una ipotesi anticipatamente
prospettata. Tuttavia, hanno confermato la sentenza,
riconoscendo la realtà del nesso di condizionamento
psichico sia pure in relazione ad uno solamente degli
imputati (che aveva partecipato alla riunione ma non
faceva parte della Commissione) il quale aveva rilasciato
alla TV una intervista in cui, senza averne la
competenza, sosteneva tesi priva di fondamento
scientifico, tuttavia idonea ad ingenerare senso di
sicurezza fra la popolazione dei residenti.
La Corte di Cassazione ( sent. 19 novembre 2015
n.12478)) nel confermare la sentenza ha
precisato che il ritenuto nesso di condizionamento
psichico deve essere provato sulla base di
consolidate
massime
di
esperienza
(generalizzazioni esplicative delle condotte
individuali) selezionando le condotte condizionanti
da sottoporre all'accertamento causale ex post. Le
massime di esperienza,
come ogni sapere
incerto, possono essere utilizzate allo scopo di
alimentare la concretezza di un ipotesi causale
secondo il procedimento logico dell'abduzione cui
deve far seguito il rigoroso vaglio critico fornito
dalle evidenze probatorie del caso concreto
idonee a convalidare o falsificare l'ipotesi
originaria .
Le nuove prove scientifiche
Con questo termine si intendono sia le le prove
ottenute con l'adozione di criteri innovativi in un
determinato campo scientifico e che dunque non
fanno parte del patrimonio comune degli studiosi
del settore sia quelle derivanti da metodiche di
elevata specializzazione ormai almeno in parte
collaudate in taluni ambiti scientifici ma delle quali
non non sia stato fatto ancora ricorso nel contesto
giudiziario. In relazione ad esse è necessaria la
massima vigilanza per evitare l'ingresso nel
processo della c.d. “junk science” o scienza
spazzatura della letteratura americana.
Il criterio di ammissione delle nuove prove
scientifiche è rappresentato dall'art.189
c.p.p. che da un canto vieta l'assunzione di
prove che limitano la libertà morale della
persona (ad es. il poligrafo o più
modernamente
la
sottoposizione
dell'imputato a test di verità basati su
tecniche di brain imagining) e dall'altro
richiede che la prova sia idonea ad
assicurare l'accertamento del fatto. Quindi è
necessario che il giudice verifichi la capacità
dell'esperto ad utilizzare quella particolare
tecnica e che questa sia efficace ad
assicurare risposte nel caso concreto.
Alcuni esempi di nuove tecniche di indagine
scientifica
1) la nuova frontiera dell'indagine dattiloscopica e
rappresentata dalla analisi poroscopica che per
oggetto i singolarismi
poroscopici cioè le
particolarità che circoscrivono gli orifizi sudoriferi
delle estremità papillari;
2) l'analisi grafica basata sul principio che la grafia
implica una serie di movimenti accessori
involontari che si sottraggono al potere di controllo
da parte di chi scrive. Essa può avvalersi di
strumentazioni informatiche che forniscono nei
casi più sofisticati immagini in 3D.
3) la analisi delle immagini sui fotogrammi estrapolati da
riprese video, che consiste nella sovrapposizione della
figura o del volto ripreso con altre già note (come le
fotosegnaletiche) grazie ad ingrandimenti e rotazione dei
singoli fotogrammi.
4) l'indagine stilometrica basata sull'accertamento dello
stile linguistico presente in uno scritto confrontato con
quello usato dall'indagato, E' lo studio statistico delle
caratteristiche degli stili letterari, quali le scelte lessicali,
la lunghezza delle parole, le costruzioni sintattiche, il
modo di collocare le parti del discorso (anche con
appositi softwares);
5) il sonogramma che consente di misurare frequenza,
durata ed intensità di un segnale vocale e il raffronto con
altro campione vocale. Utilizzato in concreto per
escludere la corrispondenza di due voci e non per
l' affermazione di identità.
6) un accenno più approfondito merita la
neuroscienza cognitiva che studia i meccanismi
neuronali delle attività della mente umana con
riguardo particolare alla percezione, memoria,
emozione, linguaggio e apprendimento, attraverso
strumenti, quali la tomografia assiale e la
risonanza magnetica, che consentono una
conoscenza
particolareggiata
del
sistema
nervoso. Si tratta di tecnica che in campo
processuale ha trovato le prime applicazioni per
accertare, in sede di perizia sulla imputabilità, le
eventuali lesioni di alcune aree cerebrali, Studi
recenti sono in corso per osservare possibili
vulnerabilità genetiche a carico di soggetti
connotati da condotte aggressive.
7) altra applicazione è quella del metodo
finalizzato alla verifica dell'attendibilità di una
prova dichiarativa che ha già trovato una
sporadica applicazione in un procedimento per
violenza sessuale svoltosi davanti al Gup di
Cremona nel quale è stata valutata la attendibilità
della teste- persona offesa (sotto l profilo della
corrispondenza fra il ricordo testimoniato e la
realtà). Si tratta del cd. Test – a-IAT in cui
mediante risonanza magnetica funzionale viene
misurato il flusso cerebrale attivato dalla risposta
a certe domande in cui si evocano i fatti per cui è
processo e si confrontano fra loro la velocità delle
risposte. .
La predetta tecnica suscita perplessità soprattutto
perché appare in contrasto con il precetto che
vieta il ricorso a prove che influiscono sulla libertà
di autodeterminazione del soggetto: in quanto
preordinato ad ottenere da parte del soggetto
esaminato dichiarazioni veridiche a prescindere
dalla sua coscienza e volontà. In tale procedura
viene inibita al soggetto la facoltà di determinarsi
liberamente a fronte degli stimoli ed in pratica si
attua un controllo del comportamento che tende a
cercare risposte al di fuori del dominio
dell'interessato. Infine, si è osservato che la
tecnica impone di proporre domande di carattere
suggestivo idonee ad incidere sulla spontaneità
dei meccanismi di risposta.(L.Algeri in Riv. Med.
Leg. 2012 pag 903).
Altro caso di prova discussa che ha fautori negli
Usa è la c.d. F.A.C.S. (Facial Action Coding
System) ovvero la tecnica che in base ai
movimenti facciali di tipo involontario durante
l'esame analizza se il soggetto ha fornito risposte
mendaci. Gli Stati Uniti, soprattutto dopo
l’attentato del 2001, utilizzano simili tecniche di
osservazione nell’ambito della
sicurezza
pubblica: lo stesso Department of Homeland
Securityha, ha infatti promosso diversi progetti
come il Transportation Security Administration,
che nel
più
ampio
sistema di Screening
Passengers
by
Observation Technique, ha
previsto l’impiego negli aeroporti di ufficiali
addestrati a cogliere comportamenti “a rischio”.
Nel nostro sistema la prova FARC si è
affacciata quando davanti al tribunale di
Venezia (sent. 22 agosto 2013, n. 31) il
consulente tecnico della difesa ha applicato
il metodo F.A.C.S. all’esame della persona
offesa compiuto in sede di incidente
probatorio:
attraverso
l’analisi
dei
fotogrammi dell’audizione ha sostenuto
l’incongruenza delle manifestazioni del
linguaggio non verbale rispetto alle risposte
fornite dalla persona offesa.
L’organo giudicante non ha escluso in termini
espliciti il metodo, ma ha affermato che la
valutazione dello stesso avrebbe richiesto «la
nomina di un consulente d’ufficio egualmente
specializzato nella medesima disciplina di
riferimento, e di almeno pari livello professionale,
non potendo il giudice fare ricorso al proprio
autonomo bagaglio culturale, neppure nella veste
di peritus peritorum, per introdurre direttamente in
motivazione
conoscenze,
valutazioni
e
apprezzamenti di natura altamente specialistica,
in tal modo sottratte a un preventivo
contraddittorio tra le parti e i loro esperti».
REVISIONE E PROVE SCIENTIFICHE NUOVE
Dopo un decennio dall'entrata in vigore del codice
di rito 1989 in cui aveva tenuto un orientamento
negativo, la Cassazione a far tempo dal 1997 si è
espressa per l'ammissibilità del processo di
revisione quando si prospetta una perizia
nuova (cioè non meramente ripetitiva di un
accertamento già eseguito) che tale sia per
metodologia e conclusioni.
Così è stato per l'ammissione del test DNA su di
un reperto pilifero dianzi esaminato solo
morfologicamente; della prova di caratterizzazione
micro morfologica delle superfici ai fini della
indagine sulle impronte di proiettili.
Il predetto orientamento è conforme all'opinione
della CEDU per la quale ciò che conta ai fini
dell'ammissibilità è la concreta idoneità del mezzo
di prova a pervenire a risultati probatori
sostanzialmente diversi e suscettibili di mutare il
contenuto
dell'accertamento
espletato
nel
precedente giudizio.
Dunque, l'accertamento della verità stabilizzatosi
nel giudicato rimane tuttavia aperto alla potenziale
futura revisione sulla sfondo epistemologico del
razionalismo critico imperniato sul metodo
falsificazionista che caratterizza la ricerca
scientifica (G. Canzio: la revisione del processo in
Scienza e Processo, Cedam 2010).
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