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LA DOMANDA AGGREGATA E L’EQUILIBRIO 1 IL PRINCIPIO DELLA DOMANDA EFFETTIVA La quantità di beni e servizi prodotti e venduti in un sistema economico dipende dalla domanda proveniente da famiglie, imprese e Pubblica amministrazione, ossia dalla domanda aggregata. A nulla servirebbe infatti produrre più di quanto è domandato, perché la produzione in eccesso rimarrebbe invenduta. È questo il “principio della domanda effettiva”, dovuto a John Maynard Keynes. 2 Il principio della domanda effettiva stabilisce che la produzione delle imprese, ossia l'offerta di beni e servizi, tende sempre a adeguarsi alla domanda di beni e servizi che proviene dagli operatori economici. Quando la domanda e l'offerta sono uguali il sistema economico si trova in equilibrio, anche se non sempre si tratta di un equilibrio soddisfacente. Se al contrario la domanda supera l'offerta, o viceversa se l'offerta supera la domanda, si producono situazioni di disequilibrio economico. 3 L’EQUILIBRIO L'equilibrio indica una situazione in cui il volume della produzione, e quindi del reddito (Y), è esattamente uguale al valore della domanda aggregata (DA). Y = DA Tale espressione, che chiamiamo condizione di equilibrio, indica una situazione in cui la domanda delle famiglie, delle imprese e della Pubblica amministrazione assorbe completamente tutto ciò che è stato prodotto. 4 Ricordiamo che: DA = C + I + G Sostituendo, si ottiene che: Y= C+ I + G Può tuttavia accadere che i consumi delle famiglie (che come sappiamo dipendono dal reddito disponibile), sommati alle spese delle imprese e della Pubblica amministrazione, raggiungano un valore inferiore al reddito, oppure al contrario che famiglie, imprese e Stato vogliano acquistare più di quanto è stato prodotto. 5 L’equilibrio non si realizza sempre. Spesso la domanda è superiore o inferiore al reddito e dunque la situazione non è di equilibrio. Gli scostamenti del reddito dal suo valore di equilibrio dipendono spesso dall'andamento dei consumi. Questi ultimi dipendono direttamente dal reddito, così che quando il reddito aumenta, anche i consumi crescono, e quando il reddito diminuisce anche i consumi calano. Sappiamo inoltre che quando il reddito aumenta i consumi crescono, ma meno che proporzionalmente, perché una parte del reddito viene risparmiata. 6 Proprio il fatto che non tutto il reddito venga consumato, fa sì che domanda aggregata e reddito possano divergere e che esista un solo livello del reddito al quale le due grandezze sono uguali. Consideriamo ora la condizione di disequilibrio, distinguendo le due diverse situazioni. Y < DA: eccesso di domanda (sottoproduzione) Quando la domanda supera il reddito, il sistema economico sta producendo beni e servizi in misura inferiore a quanto è richiesto da famiglie, imprese e Pubblica amministrazione. Y > DA: eccesso di offerta (sovrapproduzione) Quando il reddito è maggiore della domanda, il sistema economico sta producendo beni e servizi in misura superiore a quanto è richiesto. 7 Nel primo caso, se esistono sul mercato fattori produttivi non impiegati, gli imprenditori li utilizzano facendo aumentare la produzione fino al livello della domanda. Se invece i fattori produttivi sono completamente utilizzati, non è possibile accrescere la produzione e l'eccesso di domanda porta il sistema economico all'inflazione. Nel secondo caso, invece, gli imprenditori vedono crescere le proprie scorte di merce invenduta, e, per smaltirle, riducono la produzione, anche attraverso una diminuzione della manodopera, producendo così disoccupazione. 8 La figura (detta croce keynesiana) fornisce una rappresentazione dell'equilibrio. La retta Y = DA, poiché è inclinata a 45°, rappresenta tutti i punti in cui la domanda è uguale al reddito, vale a dire tutti i possibili punti di equilibrio del sistema economico. La retta DA rappresenta invece i valori che la domanda aggregata assume in corrispondenza di ogni diverso livello di reddito. Infatti a ogni livello del reddito corrisponde un determinato valore dei consumi e di conseguenza un determinato valore della domanda aggregata. La domanda è uguale al reddito soltanto quando quest'ultimo è uguale a Ye, cioè nel punto E. Per valori di Y inferiori o superiori a Ye (come Ya e Yb) esiste una domanda che è rispettivamente superiore o inferiore al reddito (come si può osservare dai punti A e B). 9 Y = DA DA B DA Yb Y E A Ya Ye Le scorte delle imprese svolgono un ruolo importante nella determinazione dell'equilibrio. Infatti, quando la domanda supera l'offerta, come nel punto A, le imprese temporaneamente coprono la carenza ricorrendo alle scorte di magazzino; in tal modo però le scorte si riducono, scendendo sotto il livello ottimale desiderato; ciò spinge le imprese a produrre di più. Viceversa, quando la produzione è maggiore della domanda, le scorte di prodotti invenduti si accumulano nei magazzini delle imprese, spingendo queste a ridurre l'offerta; in tal modo il reddito si riduce, adeguandosi al livello della domanda. 11 LA STRADA VERSO L’EQUILIBRIO DA > Y Quando la domanda aggregata è superiore al reddito, le imprese, vedendo diminuire il livello delle scorte, se possono trovare sul mercato fattori produttivi inutilizzati (lavoratori disoccupati, impianti non pienamente sfruttati), aumentano la produzione fino a raggiungere il livello della domanda. Tale variazione della produzione si ripercuote però sulla domanda: stimolata dai consumi, questa si porta a un livello ancora più alto. Il processo continua fino a quando il reddito genera una domanda che gli è uguale; soltanto a questo punto si ferma, dato che ormai il sistema ha raggiunto l'equilibrio. 12 Y > DA Quando invece il reddito è superiore al livello di equilibrio (cioè quando vi è eccesso di offerta aggregata) si produce una situazione analoga, ma opposta. In queste condizioni le imprese, vedendo crescere il livello delle scorte di beni invendute, tendono a diminuire la produzione, attraverso una riduzione dell'occupazione; il reddito così scende, provocando un'ulteriore caduta della domanda e il processo si arresta solo quando il reddito produce una domanda che gli è uguale. 13 Queste considerazioni consentono di trarre alcune conclusioni importanti: il sistema economico tende naturalmente verso una situazione di equilibrio; l'equilibrio è unico; l'equilibrio è determinato dal livello della domanda; l'equilibrio, se non intervengono fattori di disturbo (ovvero se il livello della domanda non muta), tende a mantenersi nel tempo. 14 La strada verso l’equilibrio. Consideriamo una situazione di eccesso di domanda aggregata. Nella situazione iniziale, con produzione pari a Y0 la domanda corrispondente DA0 risulta superiore; le imprese aumenteranno quindi la produzione, muovendosi nella direzione indicata dalle frecce; a ogni successivo passaggio la produzione crescerà, e la domanda anche, ma meno che proporzionalmente, dato che la propensione al consumo (c) è minore di uno (una parte dell’aumento del reddito sarà destinata al risparmio); in tal modo il sistema convergerà necessariamente all'equilibrio finale contraddistinto dal punto E. 15 LA STRADA VERSO L’EQUILIBRIO Y = DA DA DA DAe DA1 DA0 E A Y0 Y1 Ye Y REDDITO DI EQUILIBRIO E REDDITO DI PIENO IMPIEGO Non è detto che ogni posizione di equilibrio sia anche la migliore e quindi sia sempre desiderabile. Spesso accade che il valore del reddito di equilibrio sia ben al di sotto di ciò che l'economia sarebbe in grado di produrre utilizzando pienamente le risorse disponibili, che chiamiamo reddito potenziale o reddito di pieno impiego. Dunque il sistema può trovarsi in una situazione che chiamiamo equilibrio di sottoccupazione. 17 Consideriamo per esempio un Paese nel quale soltanto una parte della popolazione lavora e produce, mentre tutti gli altri sono disoccupati. È evidente che in questo Paese non ci sarà grande benessere. Se i disoccupati fossero inseriti nel circuito produttivo, il reddito nazionale potrebbe crescere e tutti potrebbero godere di un livello di consumi più elevato. La tendenziale stabilità che caratterizza la situazione di equilibrio di sottoccupazione può ostacolare il raggiungimento del reddito potenziale. Lasciato a se stesso, il sistema economico non possiede alcun meccanismo automatico che gli permetta di raggiungere spontaneamente il pieno impiego. 18 Se il tasso di disoccupazione è elevato, i consumi, che come abbiamo visto dipendono dal reddito secondo la relazione C = f(Yd), saranno limitati e il sistema economico tenderà a stabilizzarsi in una trappola della povertà. Come si può uscire da questa situazione e raggiungere il pieno impiego? È possibile incrementare le componenti autonome della domanda aggregata, costituite dagli investimenti e dalla spesa pubblica, oppure stimolare i consumi tramite una riduzione della tassazione. 19 REDDITO POTENZIALE E PIENA OCCUPAZIONE Si potrebbe pensare che quando il sistema economico è al pieno impiego non esistono fattori produttivi inutilizzati e in particolare non esistono lavoratori disoccupati. In realtà le cose non stanno così e anche una situazione di pieno impiego è compatibile con la disoccupazione. Possiamo infatti distinguere diverse forme di disoccupazione. 20 La disoccupazione frizionale è compatibile con il pieno impiego. Si verifica quando le persone in cerca di occupazione possiedono competenze professionali diverse da quelle richieste dal mercato del lavoro oppure vivono in un'area distante da quella in cui si trovano le aziende disposte ad assumere o ancora cercano un lavoro per la prima volta o hanno da poco lasciato un lavoro per cercarne uno più consono alle proprie aspirazioni. 21 La disoccupazione strutturale è compatibile con il pieno impiego. E’ quel tipo di disoccupazione che dipende dalle caratteristiche strutturali del mercato, come un basso tasso di disoccupazione, la presenza di organizzazioni sindacali forti, una legislazione del lavoro che offre un alto grado di tutela ai lavoratori o ancora un grado di concentrazione che permette all'impresa di esercitare potere di mercato. Quando si verificano tali condizioni, è possibile che i lavoratori richiedano aumenti salariali maggiori di quelli che le imprese sono disposte a concedere. Tutto questo può indurre le imprese a limitare il numero delle assunzioni. 22 La disoccupazione ciclica o involontaria dipende dal basso livello della domanda aggregata. E’ costituita da quelle persone che non trovano lavoro perché il livello della domanda aggregata, e quindi della produzione, è troppo basso. Le persone sono disponibili a lavorare, ma le imprese, anche in conseguenza della fase sfavorevole del ciclo economico (recessione), non assumono. La situazione di pieno impiego ammette la presenza di disoccupazione strutturale e frizionale. Quando invece parliamo di disoccupazione in senso stretto facciamo riferimento alla disoccupazione ciclica o involontaria. 23 Quando il reddito di equilibrio non coincide con quello potenziale o di pieno impiego, vale a dire con il reddito che si ottiene quando la disoccupazione involontaria è nulla e gli impianti sono utilizzati al massimo delle loro capacità, è possibile colmare il divario attraverso politiche che stimolano la domanda aggregata. 24 Y = DA DA DA2 E2 DA1 E1 Ye Yp Y Un insufficiente livello della domanda aggregata (pari a DA1) genera un reddito di equilibrio (Ye) inferiore al pieno impiego. Affinché il reddito cresca fino a raggiungere il pieno impiego è necessario che la funzione della domanda aggregata si sposti verso l'alto (al livello DA2) fino a incontrare la retta dell'equilibrio nel punto in cui Y = Yp. A partire dalla Grande Depressione degli anni Trenta, uno dei compiti attribuiti allo Stato, tramite opportune misure di politica economica, è proprio quello di intervenire sulla domanda aggregata in modo che il sistema economico possa raggiungere il reddito potenziale. IL MOLTIPLICATORE DEL REDDITO E LE FLUTTUAZIONI CICLICHE Il livello del reddito di equilibrio dipende da quello della domanda aggregata. A parità di domanda, il reddito di equilibrio tende a mantenere stabilmente il proprio valore nel corso del tempo; ne consegue che la sua crescita può dipendere soltanto dalle seguenti ragioni: l'aumento di una delle componenti autonome della spesa (gli investimenti e la spesa pubblica); la riduzione dei tributi; l'aumento della propensione al consumo della collettività. IL REDDITO DI EQUILIBRIO CRESCE QUANDO: AUMENTA UNA COMPONENE AUTONOMA DELLA DOMANDA AGREGATA: INVESTIMENTI O SPESA PUBBLICA AUMENTA LA PROPENSIONE AL CUNSUMO DIMINUISCE LA PRESSIONE TRIBUTARIA L'aumento della spesa degli operatori economici stimola le imprese ad aumentare la produzione. Ciò porta a un aumento dell'occupazione, così che il reddito della collettività cresce ulteriormente. L'aumento del reddito si traduce ancora in un aumento dei consumi, instaurando un circolo virtuoso che alimenta il benessere di tutti. La capacità della domanda di innescare un meccanismo virtuoso in grado di fare crescere il livello del reddito può essere utilizzata nelle situazioni in cui il reddito di equilibrio si scosta dal reddito di pieno impiego. Se infatti il reddito di equilibrio è inferiore al reddito di piena occupazione, un aumento della domanda stimolerà la produzione delle imprese, che assumeranno nuova manodopera facendo così salire il reddito delle famiglie. A sua volta il maggiore reddito porterà a un aumento dei consumi che determinerà un'ulteriore crescita della produzione. Il meccanismo continuerà fino a che il reddito di equilibrio raggiungerà il reddito di pieno impiego. Oltre questo livello, la produzione non potrà più salire ed eventuali ulteriori incrementi della domanda finiranno per tradursi in un aumento dei prezzi, cioè nell'inflazione. Se I o G allora DA e quindi Y e C …Y e C … IL MOLTIPLICATORE DEL REDDITO Gli effetti di variazioni della componente autonoma della domanda sul livello del reddito sono mostrati nel grafico sotto: l'incremento della domanda determina uno spostamento verso l'alto della curva DA. La variazione della domanda può dipendere da una decisione delle famiglie, che a parità di reddito vogliono consumare di più, da una decisione delle imprese, che vogliono investire di più, oppure da una decisione dello Stato che aumenta la spesa pubblica o riduce i tributi. Y = DA DA DA2 E2 DA1 E1 100 Ye 300 Yp Y 33 Qualunque ne sia la causa, al crescere della domanda, da DA1 a DA2, anche il reddito cresce da Y1 a Y2. Il circolo virtuoso che abbiamo visto fa sì che l'aumento del reddito (Y2 – Y1) sia superiore all'aumento della domanda (DA2 – DA1). Variazioni della domanda aggregata generano variazioni multiple del reddito. Supponiamo che, in una situazione con un reddito di equilibrio pari a Y1, gli investimenti crescano di 100 unità. La domanda aggregata aumenterà. Aumenteranno dunque la produzione, l’occupazione e i consumi (questi in base alla propensione al consumo). Tale aumento farà crescere ulteriormente il reddito. Il meccanismo continuerà fino a quando il reddito avrà raggiunto il pieno impiego, con un incremento finale (500) che è di molto superiore a quello iniziale degli investimenti. L'aumento della domanda aggregata si traduce in reddito per altri operatori economici. Se per esempio gli investimenti aggiuntivi sono destinati all'acquisto di macchinari, le imprese che li producono aumenteranno la loro offerta e le 100 unità di nuova produzione saranno utilizzate per remunerare i fattori produttivi (imprenditori, lavoratori) impiegati nella produzione addizionale. Costoro spenderanno una parte del reddito ottenuto, ad esempio l’80% per i loro consumi (se la propensione al consumo è pari a 0,8), destinando la parte rimanente (20%) al risparmio. Questa spesa per consumi si tradurrà ancora in reddito aggiuntivo per altri soggetti, i quali, di nuovo, ne spenderanno l'80%, cioè 64 unità, per consumi, destinando le restanti 16 al risparmio. Il processo continuerà fino al raggiungimento del nuovo equilibrio. Ad ogni passaggio, poiché una parte di reddito aggiuntivo viene destinata al risparmio, l’incremento del reddito derivante dall’incremento dei consumi è via via più piccolo, così la somma dei successivi incrementi non continua all'infinito, ma si assesta su un valore determinato. L'incremento totale di reddito è uguale alla somma di ciò che è stato speso da ogni operatore nei diversi passaggi (100 + 80 + 64 + 51,2 + ... = 500). La crescita del reddito è tanto maggiore quanto maggiore è la propensione al consumo della collettività. Questo processo, mediante il quale l'incremento finale del reddito è un multiplo dell'incremento iniziale della domanda aggregata, prende il nome di moltiplicatore del reddito. Bisogna sottolineare quattro aspetti del moltiplicatore. 1 Il moltiplicatore non ha un carattere esclusivamente monetario (aumento dei prezzi e inflazione). Infatti, fino a quando nel sistema le risorse disponibili non sono pienamente utilizzate, l'aumento della domanda spinge le imprese ad aumentare la produzione. 2 La domanda aggregata svolge un ruolo fondamentale nella determinazione del reddito di equilibrio: nel breve periodo la causa fondamentale dello sviluppo economico e delle fluttuazioni cicliche è l'evoluzione della domanda. 3 La variazione del reddito è tanto più elevata quanto maggiore è la variazione della parte della domanda che non dipende dal reddito e quanto maggiore è la propensione al consumo. 4 L'operare completo del moltiplicatore richiede tempo; le variazioni del reddito che si verificano oggi sono in parte il risultato di variazioni della domanda realizzatesi in passato. UNA FORMULAZIONE ALGEBRICA DEL MOLTIPLICATORE DEL REDDITO Per comprendere meglio il legame che intercorre tra variazioni della domanda aggregata e del reddito possiamo formalizzare algebricamente la determinazione del reddito di equilibrio. Y = C + I + G = C0 + c (Y – T) + I + G Sviluppando l’equazione e chiamando con A la spesa autonoma (C0 + I + G – cT), si ottiene che: Y= 1 1–c 1 A 1–c = moltiplicatore Ricordiamo che 0 < c < 1, e quindi 0 < (1 – c) < 1. Pertanto il moltiplicatore è sempre maggiore di 1. Ricordiamo che 0 < c < 1, e quindi 0 < (1 – c) < 1. Pertanto il moltiplicatore è sempre maggiore di 1. FLUTTUAZIONI CICLICHE E RUOLO DELLO STATO Le diverse componenti della domanda aggregata variano continuamente. Talvolta i loro incrementi sono sostenuti, talaltra sono meno consistenti. Tutto ciò fa muovere di conseguenza il livello del reddito, dando vita alle fluttuazioni cicliche dell'economia. Le fluttuazioni cicliche individuano un'alternanza di periodi di crescita più o meno tumultuosa, di lenta espansione o di vera e propria recessione. Y ESPANSIONE RECESSIONE ESPANSIONE Tempo 45 Gli scostamenti del reddito effettivo dal suo valore potenziale, vale a dire dal valore che il reddito assume quando tutti i fattori produttivi sono pienamente impiegati, prendono il nome di output gap e costituiscono un indice importante per capire la situazione economica di un Paese. D'altronde, nel corso del tempo, anche il reddito potenziale si modifica poiché aumenta la disponibilità di fattori produttivi (lavoro e capitale) e migliorano le tecniche produttive; così anche gli output gap si modificano costantemente. Quando lo scarto tra il reddito potenziale e quello effettivo è elevato, il sistema economico si viene a trovare in una grave situazione di crisi da cui potrebbe essere molto difficoltoso uscire. In questa situazione assume un ruolo rilevante lo Stato che, attraverso la manovra della spesa pubblica o della tassazione o lo stimolo degli investimenti privati, può innescare il meccanismo del moltiplicatore e trainare il sistema economico fuori dalla crisi. L'insieme dei provvedimenti con cui lo Stato interviene nell'economia per garantirne lo sviluppo equilibrato costituisce la politica economica. La politica economica è la parte dell’economia che studia l’intervento dello Stato nel sistema economico. Lo Stato interviene anche attraverso le politiche economiche (politica fiscale e politica monetaria). Attraverso questi interventi lo Stato cerca anzitutto di raggiungere il pieno impiego delle risorse e in particolare della forza lavoro. Altri obiettivi rilevanti sono una crescita continua ed equilibrata del reddito e la stabilità dei prezzi. OBIETTIVI DI POLITICA ECONOMICA PIENO IMPIEGO E RIDUZIONE DELLA DISOCCUPAZIONE CRESCITA CONTINUA ED EQUILIBRATA DEL REDDITO, RIDUZIONE DELL’AMPIEZZA E DELLA DURATA DELLE FLUTTTUAZIONI CICLICHE STABILITA’DEI PREZZI E CONTROLLO DELL’INFLAZIONE LE POLITICHE ECONOMICHE POLITICA FISCALE POLITICA MONETARIA La politica fiscale è la politica economica che utilizza come strumenti di intervento la spesa pubblica e i tributi. La politica monetaria è la politica economica che, attraverso l’impiego di diversi strumenti monetari, ha come obiettivo il controllo della quantità di moneta in circolazione. POLITICHE ECONOMICHE ESPANSIVE E RESTRITTIVE POLITICA ESPANSIVA: la politica economica si pone come obiettivi quello di quello di favorire l’espansione del reddito e quello di ridurre la disoccupazione. POLITICA RESTRITTIVA: la politica economica si pone come obiettivi quello di contenere un aumento eccessivo della domanda aggregata e quello di ridurre l’inflazione. La politica fiscale è espansiva quando consiste nell'aumento della spesa pubblica o nella riduzione dei tributi, mentre è restrittiva in caso contrario. La politica monetaria è espansiva quando consiste in un aumento dell'offerta di moneta in circolazione, mentre è restrittiva in caso contrario. In particolare, quando vi sono risorse produttive inutilizzate e la domanda aggregata è insufficiente, lo Stato può adottare provvedimenti di politica fiscale espansiva o di politica monetaria espansiva: aumentando la spesa pubblica, riducendo la tassazione o aumentando l’offerta di moneta. In questo modo esso può attivare il meccanismo del moltiplicatore e portare il sistema all'equilibrio di pieno impiego. D'altro lato, quando la domanda aggregata supera la produzione potenziale, cosicché nel sistema aumenta il rischio di inflazione, lo Stato può adottare politiche economiche restrittive, per ridurre la domanda aggregata: tagli alla spesa pubblica, aumenti dei tributi, riduzione dell’offerta di moneta. Gli obiettivi della politica economica spesso si presentano tra loro come contrastanti. Così, per esempio, un aumento del reddito e dell’occupazione può accompagnarsi a una maggiore inflazione, mentre un tentativo di ridurre l'inflazione può provocare un aumento della disoccupazione. Le autorità che governano il Paese si trovano in tal caso a dovere scegliere tra situazioni alternative, nessuna delle quali in grado di risolvere tutti i problemi in modo definitivo. LA CRISI ECONOMICA DEL 1929 I primi interventi di politica fiscale si svilupparono durante gli anni Trenta del secolo scorso, in risposta a una delle più violente crisi economiche dell'età contemporanea: la crisi del 1929, nota come la Grande Depressione. Tra le cause della crisi che nel 1929 travolse tutte le economie occidentali va ricordato innanzitutto il forte squilibrio che caratterizzava lo sviluppo economico degli Stati Uniti e dell'Europa. L'Europa, infatti, usciva dalla prima guerra mondiale con pesanti perdite economiche. In Europa la guerra aveva devastato il sistema delle infrastrutture e molti impianti erano obsoleti. Era necessario affrontare la riconversione produttiva delle industrie da militari a civili. La disoccupazione e l’inflazione erano alle stelle e le spese belliche avevano determinato pesanti deficit dei bilanci pubblici. I Paesi europei dovevano restituire agli Stati Uniti i 10 miliardi di dollari che erano stati loro anticipati. La sola Germania doveva risarcire le potenze vincitrici con 132 miliardi di marchi oro. Gli Stati Uniti uscirono invece dal conflitto mondiale come la vera potenza vincitrice: erano un Paese giovane, ricco di risorse naturali, dotato di impianti e infrastrutture all'avanguardia con una produttività elevata. La popolazione era cresciuta di 17 milioni, tutto era diventato più grande: i grattacieli, le metropoli, le strade erano invase da 27 milioni di automobili, i consumi aumentarono in misura esponenziale. L'unico problema per un'economia tanto fiorente era trovare mercati di sbocco per i suoi prodotti. E l'Europa costituiva un importante mercato di sbocco per le aziende americane, tanto che, pur di esportare, esse furono disposte a prestare agli europei il denaro necessario per acquistare le loro merci. Gli Stati Uniti diventarono il principale creditore del mondo intero. Molto aggressiva verso i mercati esteri, la politica economica americana era invece fortemente protezionistica sul versante interno. Nel 1921 il Governo repubblicano del Presidente Hoover introdusse pesanti dazi doganali per limitare le importazioni di prodotti stranieri. Così, poiché i flussi commerciali che dagli Stati Uniti raggiungevano l'Europa non potevano ritornare in forma di merce, i pagamenti venivano regolati in oro, fin che l'oro del vecchio continente si spostò quasi interamente nei forzieri americani. Un flusso che si alimentava anche degli investimenti di capitali, che oltreoceano trovavano remunerazioni più alte che in Europa. Davanti al calo consistente delle loro riserve, i Governi europei ottennero dalla Federal Reserve una riduzione del tasso di sconto. Aumentò quindi la speculazione in Borsa e si arrivò alla bolla del 1929. Il boom azionario di Wall Street era iniziato nel 1924, grazie ai buoni risultati delle società americane. Nel 1927 iniziò la speculazione: i prezzi salivano in modo incontrollato, indipendentemente dai risultati industriali. Nel 1928 le quotazioni andarono alle stelle. Tutti comperavano, sicuri che avrebbero rivenduto a un prezzo più alto. Chi non aveva denaro ricorreva ai prestiti. I primi segnali della crisi arrivarono dall'economia reale. l prezzi del prodotti agricoli americani iniziarono a scendere, perché i Paesi europei iniziarono a essere più autonomi. Il calo delle esportazioni di prodotti agricoli spinse gli agricoltori a diminuire le proprie spese con effetti importanti sul settore industriale. Nel giugno del 1929 cominciarono a scendere gli indici della produzione industriale; la produzione superava la domanda e le merci si stavano accumulando nei magazzini. La situazione in Borsa precipitò giovedì 24 ottobre 1929, il famoso giovedì nero, quando 12.894.650 azioni cambiarono di mano a prezzi sempre più bassi. Tutti si precipitarono a vendere all'impazzata, facendo crollare il valore dei titoli. Il crollo della Borsa e la depressione si alimentarono reciprocamente. La caduta del valore dei titoli coinvolse tutti i settori produttivi e in poco tempo travolse anche l'Europa. Crollarono i consumi e aumentò la disoccupazione. Il minor potere d'acquisto delle famiglie si trasformò in un ulteriore calo dei consumi e l'economia si avvitò in una spirale depressiva con effetti devastanti. Solo negli Stati Uniti, tra il 1929 e il 1933 fallirono più di 95.000 imprese e la disoccupazione arrivò al 27%. L'economista americano John Kenneth Galbraith individua alcuni punti critici dell'economia americana, che possono spiegare la Grande Depressione. 1 La cattiva distribuzione del reddito. Alla fine degli anni Venti il 5% della popolazione disponeva di un terzo del reddito personale. Una distribuzione del reddito tanto sbilanciata era un potente volano per gli investimenti e i consumi di beni di lusso, ma non sosteneva le spese per i consumi delle famiglie. Così, poiché cresceva la capacità produttiva, ma non crescevano i consumi, il sistema si era venuto a trovare in una condizione di sovrapproduzione. D'altronde la spesa per investimenti e beni di lusso è ben più sensibile ai risultati della Borsa della spesa per consumi, così il crollo di Wall Street finì per ripercuotersi pesantemente sull'economia reale. 2 La cattiva struttura bancaria, che era costituita da un gran numero di banche indipendenti, legate tra loro da rapporti di credito. Così, quando una banca falliva, poteva innescare un processo a catena. 3 Lo stato della bilancia dei pagamenti degli Stati Uniti. Gli Usa erano i principali creditori internazionali, ma attraverso politiche protezionistiche costringevano gli altri Paesi a pagare i propri debiti solo in oro. Finito l’oro, il vecchio continente si trovò costretto a ridurre le importazioni, con forti ripercussioni sull'economia americana. 4 Fiducia nel pareggio di bilancio. Infine si sbagliarono gli interventi di politica economica. Si credeva che, per uscire dalla crisi, fosse necessario mantenere il pareggio del bilancio pubblico, attraverso aumenti dei tributi e tagli alla spesa. Una misura che aggravò la depressione. IL NEW DEAL Il Governo repubblicano si mostrò incapace di affrontare la situazione. L’inasprimento delle barriere doganali si rivelò una misura destinata solo a moltiplicare i problemi. Nel 1932, davanti ad un Paese stremato, il Presidente democratico Franklin Delano Roosevelt avviò un nuovo programma di interventi pubblici (New Deal). La nuova politica economica segnò la fine del liberismo puro e l'inizio di un'epoca in cui la guida del sistema economico diventava uno dei compiti fondamentali dello Stato. Il New Deal comprendeva un pacchetto di provvedimenti legislativi di sostegno al settore agricolo, di tutela dei diritti dei lavoratori e di aiuto alle categorie più deboli. Il New Deal avviò anche un vasto programma di opere pubbliche, realizzate in buona misura per ridurre la disoccupazione. Sicuramente Keynes e la suo opera principale, la Teoria generale, esercitarono un’influenza determinante sulle decisioni di politica economica. In realtà Keynes invitò il presidente americano ad applicare integralmente le sue idee. La teoria keynesiana fu applicata con maggiore decisione solo dopo la seconda guerra mondiale.