PAOLO SCARPA «Parma è sempre bellissima, ma deve tornare a
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PAOLO SCARPA «Parma è sempre bellissima, ma deve tornare a
13 SABATO 5 MARZO 2016 L'intervista La Parma che vorrei di Katia Golini P rofessione: ingegnere. Passioni: la musica classica, la lettura, la vita in campagna, i gatti. Il top: suonare il pianoforte nella casa di Albazzano, il suo «buen retiro» per eccellenza. Mente scientifica, sensibilità umanistica. Paolo Scarpa è da tre anni alla guida del circolo culturale «Il Borgo», storica associazione con sede in Oltretorrente, che sta vivendo una nuova giovinezza, grazie all'impronta inconfondibile impressa dal suo presidente («Tra un mese si chiude il mio mandato. Indipendentemente da chi sarà il nuovo presidente, il circolo rimarrà quel riferimento di serietà che è da sempre» sorride). Al «Borgo» dedica una fetta consistente della sua esistenza piena di energia. Nel circolo culturale Scarpa ha trovato la dimensione perfetta: dialogo e confronto sono all'ordine del giorno. Mettere intorno a un tavolo esperti, specialisti, professionisti, imprenditori, docenti universitari, appassionati a vario titolo di argomenti specifici, che magari non si erano mai parlati prima tra loro, è una delle più grandi soddisfazione della sua attività pubblica: «Se questo circolo vive e resiste dal 1977 un motivo c'è. Voluto da Andrea Borri, è nato per stimolare il confronto. Non è mai stato corrente di partito e non ha mai avuto connotazioni confessionali. Si rifà all'etica cristiana, ma è profondamente laico e rispettoso di ogni credo o ideologia, purché nel solco della democrazia e del rispetto della centralità della persona». Scarpa ha sempre avuto Parma nel cuore. Nato e vissuto in centro - via Farini, viale Duca Alessandro, infine via Repubblica -, ha visto cambiare questa città negli anni. «Amo Parma da quando ero bambino. Dopo la laurea all'Università di Genova, avevo iniziato un'attività universitaria dedicata all'analisi dei sistemi territoriali, mantenendo anche uno studio di ingegneria qui a Parma perché non volevo stare lontano per sempre. Per un po' ho cercato di mantenere faticosamente l'ubiquità, ma alla fine, complice anche un brutto incidente in auto alle porte di Genova, ho capito che dovevo scegliere e ho scelto la libera professione nella mia città». Qualche ripensamento? «Ho amato molto Genova e la Liguria spesso mi manca, ma non mi sono mai pentito. La mia carriera da ingegnere è stata ricca di soddisfazioni. Ho lavorato in città e in provincia e realizzato opere di cui sono orgoglioso ancora oggi». Una su tutte? «Il recupero del Seminario di Bedonia, un lavoro realizzato nell'arco di oltre dieci anni in tanti stralci preziosi, tra cui un piccolo museo di storia naturale e il museo dedicato al Cardinal Casaroli». Da un lato il lavoro, dall'altro l'impegno per la comunità. In sintesi: la passione per la politica. «Fuori dai partiti, però. Non perché non ritenga i partiti importanti, anzi. Ma ho preso atto tempo fa che la politica di partito non faceva per me. Io però sentivo la necessità di fare e dire qualcosa per la mia città. Viene da qui il mio impegno decennale nel Borgo. Ritengo la politica un esercizio nobile. Nel Borgo cerchiamo di dare un contributo a una dimensione "alta" della politica. Il circolo è un luogo libero per Statuto. E' il luogo del dialogo e del confronto, dove tutti hanno diritto di esprimersi, indipendentemente dagli schieramenti di appartenenza. Inoltre è venuta meno la capacità di rispettare gli avversari. Spesso i confronti sono becere manifestazione di incultura e maleducazione e questo allontana comprensibilmente i cittadini dall'impegno». Eppure Parma ha una storica vocazione per la politica «buona». «Non dovrebbe essere necessario parlare di “politica buona” e “politica cattiva”, purtroppo però la storia ci insegna che va specificato. Parma ha una profonda cultura politica. Ne sono una testimonianza persone come Andrea Borri, che da presidente della Provincia ha governato con una visione strategica di cui oggi avremmo ancora bisogno, e Mario Tommasini, che ha inventato un nuovo modo di fare welfare. E' ora anche di rivalutare come merita un bravo sindaco come Stefano Lavagetto. Lo stesso Elvio Ubaldi, nel suo primo mandato, ha fatto cose buone. E, con tutti i suoi difetti, era un politico vero. Poi però ha perso il senso del limite e ha dato il via a un processo che ci ha portato a una fase di decadenza di cui paghiamo le conseguenze ancora oggi». Da presidente del «Borgo» qual è il progetto realizzato di cui va più fiero? «Sicuramente il Laboratorio di cittadinanza attiva, una scuola di formazione politica per i ra- PAOLO SCARPA «Parma è sempre bellissima, ma deve tornare a volare alto» Il presidente del circolo culturale «Il Borgo»: «Le nostre parole d'ordine? Dialogo e confronto. Necessario ritrovare la voglia di prenderci cura della nostra città» ‘‘ che si possono fare, puntando all'eccellenza. Altra linea d'azione è l'ascolto della città per cercare nuove forme di progettualità. Infine stiamo lavorando all'elaborazione di un progetto ambizioso sul tema dell'area vasta. Detto così forse non è molto attrattivo, ma il futuro dei territori che non siano aree metropolitane dipende dalla loro capacità di sviluppare reti vive tra città vicine, poli culturali, sistemi economici, impianti infrastrutturali. Parma deve attivarsi non solo con Reggio e Piacenza, ma anche con la Liguria e il sud della Lombardia. Le potenzialità sono enormi». «Il progetto di cui vado più fiero? Sicuramente il Laboratorio di cittadinanza attiva, scuola di formazione politica per ragazzi» gazzi delle scuole superiori e dell'Università, che ha come scopo principale quello di fare capire ai giovani il significato complesso della democrazia, della responsabilità civile, del valore delle istituzioni. Crediamo che una comunità come Parma debba investire sui giovani, stimolandoli ad avere una propria consapevolezza, aiutandoli ad acquisire la coscienza che fare politica può essere bello, ma richiede studio e impegno. Cerchiamo di innestare nel tessuto sociale cittadino qualcosa che sfugga alla banalizzazione. Basta mediocrità al potere». L'attenzione del «Borgo» non è rivolta solo ai giovani, vero? «Il Borgo si pone l'obiettivo di esprimere una progettualità. Promuoviamo studi, approfondimenti e confronti, sulla città come sui grandi temi che riguardano la nostra convivenza civile. Invitiamo le persone a dialogare. E la nostra finalità è guardare in termini concreti a prospettive di futuro. Anche elaborando proposte per gli amministratori. Lo faremo presto anche dopo l'assemblea pubblica che abbiamo organizzato sulla sicurezza in Oltretorrente. Un tentativo di applicazione dei principi di democrazia partecipata». Di quali argomenti vi state occupando? «Ci stiamo muovendo su tre filoni principali. Prima di tutto la cultura. Dobbiamo tirare fuori e fare fruttare le potenzialità straordinarie che abbiamo. Abbiamo avviato momenti di discussione e da qui vogliamo ripartire. Parma non deve rinascere, ma deve valorizzare i suoi tesori, le sue esperienze, la sua memoria collettiva. In una sola parola: la sua cultura. Senza puntare ad essere capitale di niente. Credo sia meglio fare le cose L'ingegnere urbanista che ama scrivere II Ingegnere, classe '57, sposato, padre di due ragazzi («Pietro ha 24 anni ed è già un cervello in fuga. Laurea alla Bocconi, poi master alla Soas di Londra, ora lavora sul microcredito a Buenos Aires. Silvia studia Economia a Bologna, è quindi ancora vicina, e deciderà lei se prendere il volo o cercare in Italia una sua strada»). Paolo Scarpa, laureato in Ingegneria civile con indirizzo urbanistico all'Università di Genova, è libero professionista. E l'urbanistica è la disciplina che lo interessa ancora maggiormente. Ha realizzato opere pubbliche in vari Comuni del parmense, e svolge attività intensa di consulenza tecnico legale. Ama scrivere. Sta per uscire un libro curato dall'urbanista Edoardo Salzano sulle città italiane e il pezzo su Parma sarà suo. Tra le vicende di vita più significative, mette un'esperienza in Kenya nella missione di don Domenico Pozzi. © RIPRODUZIONE RISERVATA Per esempio? «Perché non cominciare a pensare alla promozione di un percorso culturale medievale che vada da Bobbio a Canossa, passando dalla Parma di Antelami o da Berceto o Torrechiara? O creare uno scambio fattivo con Mantova: loro Giulio Romano e Mantegna e noi Correggio e Parmigianino. Parma non può pensare di essere un'isola. Soprattutto ora che non ci sono più le Provincie e le città metropolitane fanno la parte del leone quanto a reperimento di risorse». Come è cambiata Parma negli anni? «Parma è sempre bellissima. Ha avuto momenti “up” e momenti “down”. Un periodo felice lo abbiamo forse vissuto all'inizio degli anni Duemila. Poi la città si è slabbrata, complice anche una politica urbanistica ingorda che a un certo punto ha, in un certo senso, deragliato. A un certo punto è iniziato un degrado sociale, urbanistico e di decoro. La città di oggi vive un disorientamento, da cui però vuole sollevarsi. Certo, stiamo pagando le conseguenze di avere avuto al potere una classe dirigente corrotta, ‘‘ «Basta scelte ideologiche come, tanto per fare un esempio, la linea dura sui rifiuti. I cittadini vogliono essere ascoltati» ma i bisogni delle persone devono restare al centro. A partire dalle questioni rifiuti e sicurezza». Cosa fare quindi? «Innanzi tutto bisogna ricucire lo scollamento che stiamo vivendo tra cittadini e politica. A Parma tante ottime iniziative stanno nascendo, ma c'è bisogno di unità di intenti tra chi gestisce la cosa pubblica e la gente». Che Parma vorrebbe? «Parma ha tutto per diventare un modello da imitare. Intanto deve ricordarsi la sua vocazione europea. Collegio europeo e Efsa non sono qui per caso, ma sembrano corpi estranei alla città, purtroppo. Averli qui è una risorsa enorme su cui occorre lavorare e a cui bisogna credere. Poi Parma può diventare una città prototipo di innovazione, nel campo della sostenibilità, come nelle modalità di affrontare i problemi degli ultimi. Abbiamo intelligenze, una grande università, grandi imprese. Non possiamo che volare alto, molto alto. Ma Parma deve prima recuperare il senso democratico della condivisione, superando divisioni anacronistiche o personalismi che la frenano. Vorrei una città europea, in cui tutti si sentano parte della comunità e protagonisti di un'idea di futuro. Una città capace di elaborare progetti a medio e lungo termine e non solo orientati a raccogliere consenso. Poi vorrei una città in cui si possa girare per le strade senza avere paura, in cui chi ha bisogno viene aiutato, in cui ci siano incentivi a innovare più che multe per colpire le persone. Io abito dietro il Don Gnocchi e vedo tante persone in carrozzella che non hanno marciapiedi in cui andare, tra parcheggi selvaggi e sacchetti dei rifiuti. Ecco, vorrei una città che pensasse anche a loro, prima che ai target di raccolta differenziata. Dobbiamo tornare ad avere cura della nostra città. E con “cura della città” intendo amore, rispetto e attenzione».u © RIPRODUZIONE RISERVATA