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PAOLO SCARPA «Parma è sempre bellissima, ma deve tornare a

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PAOLO SCARPA «Parma è sempre bellissima, ma deve tornare a
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SABATO 5 MARZO 2016
L'intervista
La Parma che vorrei
di Katia Golini
P
rofessione: ingegnere. Passioni: la
musica classica, la lettura, la vita in
campagna, i gatti. Il top: suonare il
pianoforte nella casa di Albazzano, il
suo «buen retiro» per eccellenza.
Mente scientifica, sensibilità umanistica. Paolo
Scarpa è da tre anni alla guida del circolo culturale «Il Borgo», storica associazione con sede
in Oltretorrente, che sta vivendo una nuova giovinezza, grazie all'impronta inconfondibile impressa dal suo presidente («Tra un mese si chiude il mio mandato. Indipendentemente da chi
sarà il nuovo presidente, il circolo rimarrà quel
riferimento di serietà che è da sempre» sorride).
Al «Borgo» dedica una fetta consistente della
sua esistenza piena di energia. Nel circolo culturale Scarpa ha trovato la dimensione perfetta:
dialogo e confronto sono all'ordine del giorno.
Mettere intorno a un tavolo esperti, specialisti,
professionisti, imprenditori, docenti universitari, appassionati a vario titolo di argomenti specifici, che magari non si erano mai parlati prima
tra loro, è una delle più grandi soddisfazione
della sua attività pubblica: «Se questo circolo
vive e resiste dal 1977 un motivo c'è. Voluto da
Andrea Borri, è nato per stimolare il confronto.
Non è mai stato corrente di partito e non ha mai
avuto connotazioni confessionali. Si rifà all'etica
cristiana, ma è profondamente laico e rispettoso
di ogni credo o ideologia, purché nel solco della
democrazia e del rispetto della centralità della
persona».
Scarpa ha sempre avuto Parma nel cuore. Nato
e vissuto in centro - via Farini, viale Duca Alessandro, infine via Repubblica -, ha visto cambiare questa città negli anni. «Amo Parma da
quando ero bambino. Dopo la laurea all'Università di Genova, avevo iniziato un'attività universitaria dedicata all'analisi dei sistemi territoriali, mantenendo anche uno studio di ingegneria qui a Parma perché non volevo stare lontano per sempre. Per un po' ho cercato di mantenere faticosamente l'ubiquità, ma alla fine,
complice anche un brutto incidente in auto alle
porte di Genova, ho capito che dovevo scegliere
e ho scelto la libera professione nella mia città».
Qualche ripensamento?
«Ho amato molto Genova e la Liguria spesso mi
manca, ma non mi sono mai pentito. La mia
carriera da ingegnere è stata ricca di soddisfazioni. Ho lavorato in città e in provincia e realizzato opere di cui sono orgoglioso ancora oggi».
Una su tutte?
«Il recupero del Seminario di Bedonia, un lavoro
realizzato nell'arco di oltre dieci anni in tanti
stralci preziosi, tra cui un piccolo museo di storia
naturale e il museo dedicato al Cardinal Casaroli».
Da un lato il lavoro, dall'altro l'impegno per la
comunità. In sintesi: la passione per la politica.
«Fuori dai partiti, però. Non perché non ritenga
i partiti importanti, anzi. Ma ho preso atto tempo fa che la politica di partito non faceva per
me. Io però sentivo la necessità di fare e dire
qualcosa per la mia città. Viene da qui il mio
impegno decennale nel Borgo. Ritengo la politica un esercizio nobile. Nel Borgo cerchiamo
di dare un contributo a una dimensione "alta"
della politica. Il circolo è un luogo libero per
Statuto. E' il luogo del dialogo e del confronto,
dove tutti hanno diritto di esprimersi, indipendentemente dagli schieramenti di appartenenza. Inoltre è venuta meno la capacità di rispettare gli avversari. Spesso i confronti sono becere
manifestazione di incultura e maleducazione e
questo allontana comprensibilmente i cittadini
dall'impegno».
Eppure Parma ha una storica vocazione per
la politica «buona».
«Non dovrebbe essere necessario parlare di “politica buona” e “politica cattiva”, purtroppo però
la storia ci insegna che va specificato. Parma ha
una profonda cultura politica. Ne sono una testimonianza persone come Andrea Borri, che da
presidente della Provincia ha governato con
una visione strategica di cui oggi avremmo ancora bisogno, e Mario Tommasini, che ha inventato un nuovo modo di fare welfare. E' ora
anche di rivalutare come merita un bravo sindaco come Stefano Lavagetto. Lo stesso Elvio
Ubaldi, nel suo primo mandato, ha fatto cose
buone. E, con tutti i suoi difetti, era un politico
vero. Poi però ha perso il senso del limite e ha
dato il via a un processo che ci ha portato a una
fase di decadenza di cui paghiamo le conseguenze ancora oggi».
Da presidente del «Borgo» qual è il progetto
realizzato di cui va più fiero?
«Sicuramente il Laboratorio di cittadinanza attiva, una scuola di formazione politica per i ra-
PAOLO SCARPA
«Parma è sempre bellissima,
ma deve tornare a volare alto»
Il presidente del circolo culturale «Il Borgo»: «Le nostre parole d'ordine? Dialogo
e confronto. Necessario ritrovare la voglia di prenderci cura della nostra città»
‘‘
che si possono fare, puntando all'eccellenza. Altra linea d'azione è l'ascolto della città per cercare
nuove forme di progettualità. Infine stiamo lavorando all'elaborazione di un progetto ambizioso sul tema dell'area vasta. Detto così forse non è
molto attrattivo, ma il futuro dei territori che non
siano aree metropolitane dipende dalla loro capacità di sviluppare reti vive tra città vicine, poli
culturali, sistemi economici, impianti infrastrutturali. Parma deve attivarsi non solo con Reggio e
Piacenza, ma anche con la Liguria e il sud della
Lombardia. Le potenzialità sono enormi».
«Il progetto di cui vado
più fiero? Sicuramente
il Laboratorio di cittadinanza
attiva, scuola di formazione
politica per ragazzi»
gazzi delle scuole superiori e dell'Università,
che ha come scopo principale quello di fare capire ai giovani il significato complesso della democrazia, della responsabilità civile, del valore
delle istituzioni. Crediamo che una comunità
come Parma debba investire sui giovani, stimolandoli ad avere una propria consapevolezza,
aiutandoli ad acquisire la coscienza che fare politica può essere bello, ma richiede studio e impegno. Cerchiamo di innestare nel tessuto sociale cittadino qualcosa che sfugga alla banalizzazione. Basta mediocrità al potere».
L'attenzione del «Borgo» non è rivolta solo ai
giovani, vero?
«Il Borgo si pone l'obiettivo di esprimere una
progettualità. Promuoviamo studi, approfondimenti e confronti, sulla città come sui grandi temi che riguardano la nostra convivenza civile. Invitiamo le persone a dialogare. E la nostra finalità
è guardare in termini concreti a prospettive di
futuro. Anche elaborando proposte per gli amministratori. Lo faremo presto anche dopo l'assemblea pubblica che abbiamo organizzato sulla
sicurezza in Oltretorrente. Un tentativo di applicazione dei principi di democrazia partecipata».
Di quali argomenti vi state occupando?
«Ci stiamo muovendo su tre filoni principali. Prima di tutto la cultura. Dobbiamo tirare fuori e
fare fruttare le potenzialità straordinarie che abbiamo. Abbiamo avviato momenti di discussione
e da qui vogliamo ripartire. Parma non deve rinascere, ma deve valorizzare i suoi tesori, le sue
esperienze, la sua memoria collettiva. In una sola
parola: la sua cultura. Senza puntare ad essere
capitale di niente. Credo sia meglio fare le cose
L'ingegnere
urbanista
che ama scrivere
II Ingegnere, classe '57, sposato, padre
di due ragazzi («Pietro ha 24 anni ed è
già un cervello in fuga. Laurea alla
Bocconi, poi master alla Soas di Londra, ora lavora sul microcredito a Buenos Aires. Silvia studia Economia a Bologna, è quindi ancora vicina, e deciderà lei se prendere il volo o cercare
in Italia una sua strada»). Paolo Scarpa, laureato in Ingegneria civile con
indirizzo urbanistico all'Università di
Genova, è libero professionista. E l'urbanistica è la disciplina che lo interessa ancora maggiormente. Ha realizzato opere pubbliche in vari Comuni
del parmense, e svolge attività intensa
di consulenza tecnico legale. Ama scrivere. Sta per uscire un libro curato
dall'urbanista Edoardo Salzano sulle
città italiane e il pezzo su Parma sarà
suo. Tra le vicende di vita più significative, mette un'esperienza in Kenya
nella missione di don Domenico Pozzi.
© RIPRODUZIONE RISERVATA
Per esempio?
«Perché non cominciare a pensare alla promozione di un percorso culturale medievale che vada da Bobbio a Canossa, passando dalla Parma di
Antelami o da Berceto o Torrechiara? O creare
uno scambio fattivo con Mantova: loro Giulio
Romano e Mantegna e noi Correggio e Parmigianino. Parma non può pensare di essere un'isola. Soprattutto ora che non ci sono più le Provincie e le città metropolitane fanno la parte del
leone quanto a reperimento di risorse».
Come è cambiata Parma negli anni?
«Parma è sempre bellissima. Ha avuto momenti “up” e momenti “down”. Un periodo felice lo
abbiamo forse vissuto all'inizio degli anni Duemila. Poi la città si è slabbrata, complice anche
una politica urbanistica ingorda che a un certo
punto ha, in un certo senso, deragliato. A un
certo punto è iniziato un degrado sociale, urbanistico e di decoro. La città di oggi vive un
disorientamento, da cui però vuole sollevarsi.
Certo, stiamo pagando le conseguenze di avere
avuto al potere una classe dirigente corrotta,
‘‘
«Basta scelte ideologiche
come, tanto per fare
un esempio, la linea
dura sui rifiuti. I cittadini
vogliono essere ascoltati»
ma i bisogni delle persone devono restare al
centro. A partire dalle questioni rifiuti e sicurezza».
Cosa fare quindi?
«Innanzi tutto bisogna ricucire lo scollamento
che stiamo vivendo tra cittadini e politica. A
Parma tante ottime iniziative stanno nascendo,
ma c'è bisogno di unità di intenti tra chi gestisce
la cosa pubblica e la gente».
Che Parma vorrebbe?
«Parma ha tutto per diventare un modello da
imitare. Intanto deve ricordarsi la sua vocazione europea. Collegio europeo e Efsa non sono
qui per caso, ma sembrano corpi estranei alla
città, purtroppo. Averli qui è una risorsa enorme su cui occorre lavorare e a cui bisogna credere. Poi Parma può diventare una città prototipo di innovazione, nel campo della sostenibilità, come nelle modalità di affrontare i problemi degli ultimi. Abbiamo intelligenze, una
grande università, grandi imprese. Non possiamo che volare alto, molto alto. Ma Parma deve
prima recuperare il senso democratico della
condivisione, superando divisioni anacronistiche o personalismi che la frenano. Vorrei una
città europea, in cui tutti si sentano parte della
comunità e protagonisti di un'idea di futuro.
Una città capace di elaborare progetti a medio e
lungo termine e non solo orientati a raccogliere
consenso. Poi vorrei una città in cui si possa
girare per le strade senza avere paura, in cui chi
ha bisogno viene aiutato, in cui ci siano incentivi a innovare più che multe per colpire le persone. Io abito dietro il Don Gnocchi e vedo tante
persone in carrozzella che non hanno marciapiedi in cui andare, tra parcheggi selvaggi e sacchetti dei rifiuti. Ecco, vorrei una città che pensasse anche a loro, prima che ai target di raccolta differenziata. Dobbiamo tornare ad avere
cura della nostra città. E con “cura della città”
intendo amore, rispetto e attenzione».u
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