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Diapositiva 1
• Romano Guardini.
• Uno dei valori ai quali deve tendere sempre lo
spirito è l’amore decentrante che fa si che la
persona avverta il valore dell’Altro, la sua
essenza profonda. Quando questo non accade,
quando cioè l’uomo non si apre all’universo
delle possibilità dell’Altro, lo spirito si ammala
poiché si ritrova concentrato solo su se stesso;
“l’esistenza si muta in carcere. Tutto si rinserra.
Le cose opprimono. Ogni realtà diviene
estranea e nemica nell’intimo. Sparisce il senso
ultimo, evidente. L’essere non fiorisce più”.
• Guardini risolve la relazione Io-Tu specificando
che il Tu non può appartenere al mondo delle
cose, dal momento che il Tu, finché rimane
mero oggetto e non centro autonomo di un
proprio orizzonte di senso, non potrà mai
assurgere al ruolo di Tu per l’Io. L’Altro, allora,
si eleva alla condizione di Tu quando,
allontanata la prospettiva fattuale ed
esperienziale che lo vuole inglobato nell’Io,
nell’Altro finalmente vede la luce ovvero l’Io
che gli sta dinanzi.
• “Il primo passo verso il Tu è quel movimento
che ‘ritira le mani’ e lascia libero lo spazio in
cui può farsi valere il carattere della persona di
servire da fine a se stessa. L’amore personale
ha iniziato decisamente non con un
movimento che si dirige all’altro, ma che se ne
ritrae”. Finché l’Io si relaziona all’Altro come
oggetto, come un Esso, non ha la necessità di
dis-velarsi completamente, può rompere il
legame quando vuole. Ma quando l’Io vive
l’Altro come Tu, l’Io allora si trova coinvolto in
un impegno diverso, “rischia in un rapporto
che può consolidarsi in un destino.
• La manifestazione del volto: l’Io guarda l’Altro
senza volerlo più inglobare nei suoi sistemi di
riconoscimento, l’Io finalmente si apre e si
mostra nella sua essenzialità di volto
disarmato. Ma perché si compia questo
movimento fondamentale, è necessario che vi
sia come orizzonte di senso la circolarità: solo
quando l’Altro consente all’Io di diventare il
suo Tu così come è nella sua essenza, la
relazione diventa una relazione di senso
compiuto.
• “Nel guardare l’altro, il volto si apre e nasce
quel rapporto in cui gli occhi si guardano negli
occhi. Solo ora è presente l’atteggiamento
pieno di chi è persona… Ora soltanto si
annodano anche i destini nel senso
personale”.
• La persona ha si bisogno dell’Altro per
giungere alla pienezza di sé, ma non per
assurgere al ruolo di persona; la persona, in
altri termini, non emerge dall’incontro ma, pur
trovando in esso attuazione, la sua essenza
vive a prescindere dalla dimensione
relazionale.
• La peculiarità propriamente spirituale della
persona, allora, si realizza come parola e come
linguaggio. Il linguaggio rappresenta una sorta
di orizzonte di senso che esiste a prescindere
dalla volontà della persona e dal quale la
persona viene formata, in quanto l’uomo vive
nel linguaggio e dal linguaggio trae la vita. Il
Tu, in tale direzione, può risvegliare nell’Io
quella dimensione linguistica che l’Io già
possiede in potenza.
• Il termine follia, da un punto di vista
etimologico, deriva dal latino follis, un
termine che approssimativamente
significava: “soffietto, vescica, sacca,
pallone, borsa, sacco gonfio d’aria”.
Follia indicherà, così, la scarsa profondità
d’intelletto di una persona, dimensione
simile a quella di un pallone pieno d’aria
• In questa ottica, riferire il significato
semantico di questa parola ai “folli” nel senso
comune dell’espressione, risulta una impresa
metaforica che, invece, di suggerire risposte
riguardo alla complessità dell’animo umano,
apre ulteriori interrogativi. Infatti cosa è
“pieno d’aria”? La persona nella sua totalità?
La sua testa, vista nell’antichità come il fulcro
delle facoltà intellettive? Ma, soprattutto,
perchè “l’aria” dovrebbe essere assimilata ad
una dimensione di anormalità?
• Nel corso della storia filosofi, psicologi, medici,
psichiatri, non sono mai riusciti a stabilire se la
follia sia una dimensione esclusivamente
corporea o una dimensione legata alla sfera
mentale e sociale della persona. In questa
prospettiva la follia è stata vista nel corso dei
secoli, sia come una condizione patologica,
inferiore, e sia come una condizione superiore
in quanto aperta a dimensioni “altre”
dell’esistere, diverse dallo stato di normalità.
• In numerose comunità primitive, ancora
oggi, colui che è reputato “folle”, ben
lungi dall’essere visto come un deviato,
viene spesso considerato come un
individuo mosso da forze particolari.
Nell’età antica la follia si vestiva di abiti
simili, in quanto veniva assimilata ad uno
stato privilegiato; chi era folle era in
diretto contatto con la divinità.
• Nel periodo storico medievale, molti erano i
modi di intendere e
raffigurare la follia.
Il carnevale medievale, ad esempio,
rappresentava una festa del popolo che si
contrapponeva alle festività religiose ufficiali.
Era una festa in cui vigeva la più assoluta
libertà e tutto diveniva lecito: venivano
dimenticate le gerarchie sociali per lasciare
spazio alle maschere, al riso, allo scherzo e al
rovesciamento dei ruoli.
• La coscienza occidentale ha definito, in molti
casi, la follia in modo non medico o
patologico ma, anzi, ne è prevalsa una
interpretazione della stessa come una sorta
di dimensione alternativa, di protesta ad un
mondo individuale e sociale per molti versi
insoddisfacente; nell’individuo alienato,
l’individuo “normale” sembra riconoscere la
persona in qualche modo in grado di vivere
fuori dal sistema, lontano dalle sue regole.
• Quando Erasmo da Rotterdam scrive L’elogio
della follia (1509), ha in mente una sorta di
“interpretazione culturale” della stessa. Nel
pensiero di Erasmo la follia non è una
patologia ma una diversità rispetto ad una
condizione di presunta normalità considerata
ingiusta e assurda. La follia erasmiana si
definisce, così, come una “ironia
smascheratrice” letta nei termini di un
pensiero critico rispetto alle condizioni
ingiuste e ai costumi corrotti dell’epoca.
• Con l’avvento dell’Età Classica, la dimensione
medioevale di intendere la follia comincia a
cambiare volto e la supremazia della ragione
comincia a prevalere sull’interpretazione
metaforica della follia.
• La follia comincia ad essere relegata ai margini
della società, e ben presto i privilegi culturali
ed il potere di fascinazione del folle verranno
sostituiti da una dimensione della follia letta
nei termini minaccia, in quanto il folle è un
individuo da allontanare, da cancellare dalla
coscienza sociale.
• Le strutture sanitarie nelle quali venivano
rinchiusi i malati, si troveranno ad
accogliere tutte quelle persone respinte
dalla società, trasformandosi in ospedali
e carceri per individui di ogni tipo ed
estrazione sociale. Emblema delle nuove
strutture di isolamento è l’Hopital
General di Parigi, fondato nel 1656 e che
Foucault definirà come “il terzo stato
della repressione”.
• l’Hopital General fu uno dei primi ospedali
destinati “correggere” la follia e l’alienazione
rivelando, fin da subito, la sua natura non di
istituzione medica ma di una sorta di
“creatura” amministrativa munita sia di poteri
autonomi e sia del diritto di giudicare
direttamente applicando le sue leggi
all’interno dei propri confini. Nasce, così,
l’esperienza dell’internamento e le case di
correzione cominceranno a diffondersi
dappertutto, in Francia ed in Europa, fino a
diventare strumento del potere.
• Con la problematica dell’internamento
scompariranno le concezioni etiche e religiose
che avevano caratterizzato il Medioevo e si
assisterà ad un nuovo atteggiamento della
Chiesa riformata nei confronti della
dimensione della carità. La povertà e la follia
verranno considerate come dimensioni
dell’esistere da temere e da allontanare.
• Povertà e follia saranno ritenute, da una parte
come aspetti della vita umana da
sottomettere e conformare all’ordine in
quanto accettando l’internamento, i poveri e i
folli possono trovare la pace, e dall’altra come
luoghi del male, come luoghi, cioè, rispetto ai
quali emerge quell’aspetto della povertà che
tenta di ribellarsi a quest’ordine meritando,
quindi, l’internamento.
• Una diversa interpretazione della follia
che si fa avanti nell’Illuminismo,
circoscrive questa dimensione
esistenziale dell’uomo all’ambito della
patologia e del disturbo. E’
nell’Illuminismo, infatti, che comincia a
farsi avanti una sorta di
“naturalizzazione” dell’uomo; si
cominciarono ad accostare fenomeni
reputati come “devianti”, al metodo
empirico-analitico
• Il sapere illuministico, in tale senso, ricondurrà
gli stati di salute e di sofferenza mentale alla
dimensione corporea. Sarà la scienza a ridurre
la follia a malattia e a creare pratiche di
internamento e di esclusione di tutte quelle
manifestazioni “altre” della natura umana.
• Si fa avanti una diversa modalità di intendere
la follia, una nuova dimensione che finirà con
l’emarginare i folli rinchiudendoli in strutture
lontane dalla società.
• Nella seconda metà del secolo, uno dei
padri fondatori della psichiatria
moderna, Philippe Pinel, affermerà che
l’uomo è un essere materiale e corporeo.
Di conseguenza tutte le caratteristiche
della vita dipendono dallo stato del suo
organismo. Una parte della fama di Pinel
è, comunque, legata più che al suo
pensiero scientifico, ad un gesto
simbolico: liberò i folli dalle catene con le
quali erano spesso legati
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