Il ruolo dell`azione di classe nel sistema: alcune riflessioni
by user
Comments
Transcript
Il ruolo dell`azione di classe nel sistema: alcune riflessioni
1/2011 Intervento Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni Ginevra Bruzzone XXV Convegno di studio Adolfo Beria di Argentine sui problemi attuali di diritto e procedura civile del Centro nazionale di prevenzione e difesa sociale “Class Action: il nuovo volto della tutela collettiva in Italia” Courmayeur, 1-2 ottobre 2010 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 1. La formulazione dell’articolo 140-bis in un quadro in evoluzione La disciplina dell’azione di classe introdotta nel nostro ordinamento, dopo un iter piuttosto travagliato, dall’articolo 49 della legge 23 luglio 2009, n. 99 è stata ormai oggetto di molte analisi, sia per i profili di diritto processuale che per le implicazioni di diritto sostanziale. La scelta di dotarsi di uno strumento di tutela collettiva per il ristoro dei soggetti danneggiati da illeciti plurioffensivi risponde principalmente a due esigenze: agevolare la tutela dei diritti nei casi in cui i singoli non avrebbero incentivo a intraprendere individualmente l’azione in giudizio perché i costi sarebbero superiori al beneficio atteso, e favorire l’efficiente amministrazione della giustizia e l’economia processuale razionalizzando il contenzioso seriale. I giudizi critici della soluzione fornita dall’articolo 140-bis del codice del consumo evidenziano che lo strumento ha una portata tutt’altro che generale e che vi sono ancora punti poco chiari nel percorso che deve essere intrapreso da un consumatore danneggiato per ottenere soddisfazione tramite l’azione di classe. Chi esprime, invece, una valutazione positiva della disciplina italiana perlopiù ritiene che le cautele con cui l’azione di classe è stata inserita nel nostro ordinamento siano opportune, soprattutto in una prima fase, e non siano tali da vanificarne l’utilizzo; esse sono volte ad evitare che lo strumento processuale collettivo renda azionabili pretese di dubbia fondatezza, con quegli effetti distorti che sono deleteri per le imprese e non sono funzionali a un’effettiva tutela del consumatore. Entrambe le prospettive colgono aspetti importanti. L’azione di classe come disciplinata dall’articolo 140-bis del codice del consumo indubbiamente arricchisce la gamma degli strumenti per la risoluzione delle controversie tra imprese e consumatori, ma ha una fisionomia ben precisa, che privilegia i profili di continuità con gli istituti del nostro sistema giuridico, e un ambito di applicazione limitato. Anzitutto, l’oggetto della tutela, nella formulazione della disciplina introdotta dalla legge n. 99/2009, non è un interesse collettivo come situazione soggettiva riferibile congiuntamente a un insieme di persone, ma la tutela dei diritti individuali omogenei di cui sono singolarmente titolari i consumatori colpiti da uno stesso illecito. L’obiettivo dell’azione è ottenere l’accertamento della responsabilità e la condanna al risarcimento del danno e alle restituzioni, ma lo strumento dell’azione di classe è applicabile solo in relazione a quattro ambiti: i diritti contrattuali; i diritti dei consumatori finali di un 2 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 determinato prodotto nei confronti del produttore (anche a prescindere da un diretto rapporto contrattuale); le pratiche commerciali scorrette; i comportamenti anticoncorrenziali. Anche l’ambito soggettivo di applicazione dell’articolo 140-bis ha precisi confini. L’azione di classe può essere avviata unicamente nei confronti di un soggetto che nel nostro ordinamento sia qualificabile come impresa. Inoltre, i soggetti tutelati sono solo consumatori e utenti nell’accezione del codice del consumo (articolo 3, comma 1, lettera a), ossia persone fisiche che agiscono per scopi estranei all’attività imprenditoriale, commerciale, artigianale o professionale eventualmente svolta1. Per questo profilo, l’azione di classe risarcitoria disciplinata dall’articolo 140-bis si differenzia dalla cosiddetta azione di classe nei confronti delle pubbliche amministrazioni e dei concessionari di servizi pubblici introdotta dal decreto legislativo 20 dicembre 2009, n. 198, che non ha funzione risarcitoria ma mira a “ripristinare il corretto svolgimento della funzione o la corretta erogazione del servizio”. L’azione di classe di cui al decreto legislativo n. 198/2009 ha come presupposto che la condotta inadempiente della pubblica amministrazione o del concessionario abbia determinato la lesione di “interessi giuridicamente rilevanti ed omogenei per una pluralità di utenti e consumatori”. La circostanza che la disciplina, a differenza dell’articolo 140-bis, non sia collocata all’interno del codice del consumo autorizza a ritenere che in questo caso la tutela non riguardi solo utenti e consumatori nell’accezione del codice del consumo, ma si estenda a tutti i fruitori di prestazioni rese nello svolgimento di funzioni amministrative e nell’erogazione di servizi pubblici, incluse le imprese. Tornando all’articolo 140-bis, la possibilità di avvalersi dell’azione di classe è limitata ai casi di identità/omogeneità dei diritti individuali da tutelare. La condizione è oggetto di vaglio da parte del giudice nella fase di giudizio sull’ammissibilità dell’azione. E’ opinione ormai ampiamente condivisa che per dare un significato ragionevole a questo requisito si debba andare oltre il richiamo letterale all’”identità” dei diritti e fare riferimento alla ratio della disposizione. Un vaglio dell’omogeneità delle situazioni ai fini dell’ammissibilità dell’azione di classe è previsto in numerosi ordinamenti, tra cui quello statunitense: l’idea sottostante è quella dell’azione di classe quale strumento per la 1 Anche altri Stati membri limitano ai consumatori la possibilità di avvalersi di forme di tutela collettiva. In materia antitrust, ad esempio, come osservato recentemente dal Commissario europeo per la concorrenza, la maggior parte degli Stati membri prevede forme di tutela collettiva per gruppi di consumatori ma solo sei Stati estendono tale tutela ad altre possibili vittime, quali ad esempio le piccole imprese. Cfr. Joaquin Almunia, Common standards for group claims across the EU, speech/10/554, 15 ottobre 2010. 3 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 razionalizzazione del contenzioso seriale. Quando le situazioni individuali presentano un tale grado di omogeneità sul piano giuridico e fattuale da consentire di parlare di “identità”, il processo collettivo può concentrarsi sulle questioni comuni e rispondere in modo efficiente alla domanda di giustizia della classe. Se, invece, le situazioni coinvolte sono significativamente diverse e occorrono accertamenti e valutazioni specifici per ciascuna di esse, l’aggregazione delle domande non produce apprezzabili vantaggi rispetto alla proposizione di una pluralità di autonome cause individuali. Quindi, ciò che occorre valutare ai fini dell’ammissibilità dell’azione è se vi sia una sufficiente omogeneità della causa del danno e del danno stesso, ossia della causa petendi e del petitum, sul piano di diritto e di fatto. E’ pacifico, ad esempio, che se le differenze nel pregiudizio subito dai singoli consumatori dipendono solo dalla diversa quantità del prodotto acquistata, l’eterogeneità delle situazioni non è sufficiente ad escludere il ricorso all’azione di classe. Nell’attesa che si sviluppi una giurisprudenza italiana sul requisito dell’identità/omogeneità dei diritti, e tenendo presente che il vaglio degli aspetti di omogeneità è particolarmente severo nei sistemi basati sull’opt-out, può essere interessante analizzare le valutazioni sulla sussistenza di sufficienti elementi comuni compiute dai giudici di altri ordinamenti nella fase di certificazione dell’azione di classe. In un recente caso in materia di pubblicità ingannevole, ad esempio, i giudici canadesi non hanno certificato un’azione di classe nei confronti di imprese che non avevano rappresentato correttamente il livello di protezione fornito dai loro prodotti solari in quanto non era stato dimostrato che questa scorretta base informativa avesse influenzato il comportamento degli acquirenti e ne fosse quindi derivato un pregiudizio per i componenti della classe2. Similmente, i giudici del New Jersey hanno respinto la richiesta di certification di un’azione di classe promossa da una consumatrice che sosteneva di essere tratta in inganno da un messaggio pubblicitario relativo alle proprietà di un prodotto dimagrante e di essere ingrassata invece che dimagrita. Non era infatti dimostrato che i consumatori della classe avessero acquistato e usato il prodotto sulla base del messaggio ingannevole, piuttosto che per altri motivi. E’ stato attribuito rilievo, in questo caso, alla circostanza che il messaggio pubblicitario contenesse più spunti potenzialmente rilevanti per il comportamento d’acquisto3. 2 3 Ontario Superior Court of Justice, Singer v. Schering Plough, 7 gennaio 2010. New Jersey Superior Court of Appeal, Lee v. Carter Reed, 14 agosto 2009. 4 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 Il limitato ambito di applicazione dell’articolo 140-bis e il requisito dell’omogeneità dei diritti oggetto di tutela contribuiscono a rendere l’azione di classe uno strumento che si presta alla soluzione solo di determinate controversie tra imprese e consumatori, certamente non idoneo a rimediare in via generale ad ogni pregiudizio. Non va però compiuto l’errore di ritenere l’azione di classe l’unico canale che l’ordinamento pone a disposizione del soggetto danneggiato da condotte plurioffensive da parte delle imprese. L’articolo 140-bis deve essere considerato nel più ampio contesto degli strumenti attraverso i quali il consumatore può ottenere ristoro. Anzitutto, oltre alla possibilità di ricorrere al giudice di pace, va ricordato che l’azione collettiva inibitoria disciplinata dall’articolo 140 del codice del consumo è utilizzabile, in alcune ipotesi, per ottenere misure di natura restitutoria o ripristinatoria. In secondo luogo, dal gennaio 2009 è applicabile il regolamento (UE) n. 861/2007 sugli small claims, che ha istituito un procedimento semplificato per la risoluzione delle controversie transfrontaliere in materia civile e commerciale di valore inferiore a 2000 euro. Soprattutto, negli ultimi anni si è arricchito il panorama degli strumenti alternativi di risoluzione delle controversie. Molte imprese hanno potenziato i sistemi di gestione dei reclami e in vari settori, tra cui ad esempio quello delle comunicazioni elettroniche, sono stati creati nuovi sistemi di alternative dispute resolution. E’ ormai operativo l’arbitro bancario finanziario presso la Banca d’Italia, in attuazione dell’articolo 128-bis del Testo unico bancario. Questo sistema, al quale gli intermediari sono obbligati ad aderire, permette ai clienti di ottenere in modo semplice, rapido e poco costoso una decisione imparziale su reclami, relativi a importi non superiori a 100.000 euro, che non abbiano trovato soluzione nel rapporto diretto con l’intermediario. Presso la Consob è stata creata una specifica procedura di conciliazione e arbitrato per le controversie tra gli investitori e gli intermediari nei casi di violazione da parte di questi ultimi degli obblighi di informazione, correttezza e trasparenza. Per le controversie in materia di contratti assicurativi, bancari e finanziari, il decreto legislativo 4 marzo 2010 n. 28 prevede l’esperimento del procedimento di mediazione come condizione di procedibilità della domanda giudiziale. Sta quindi emergendo tutta una serie di strumenti complementari di tutela che, anche in quegli ambiti in cui in teoria potrebbe essere applicato l’articolo 140-bis, in alcune ipotesi possono fornire una soluzione più efficiente e rapida rispetto all’azione di classe. Come sostenuto da Christopher Hodges, in Europa si sta affermando un nuovo modello di collective redress composto da tre pilastri: il primo include le varie forme di 5 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 settlement su base volontaria (compresi la gestione dei reclami, gli strumenti della mediazione e in generale dell’alternative dispute resolution anche a livello settoriale); il secondo vede il coinvolgimento delle autorità pubbliche come soggetti che facilitano il ristoro; il terzo pilastro, che in ogni caso costituisce il canale di ultima istanza, è l’azione in giudizio4. Una questione diversa è se, nel proprio ambito di applicazione, l’azione di classe come strutturata dall’articolo 140-bis rappresenti uno strumento soddisfacente o se sia già indispensabile una modifica della norma. A giudizio di chi scrive, anche effettuando una comparazione con i modelli di azione collettiva che stanno emergendo in altri Stati europei l’attuale formulazione della disciplina italiana non appare inadeguata. La circostanza che non vi sia ancora stata un’azione di classe portata a termine (la prima a superare il vaglio di ammissibilità, con ordinanza del Tribunale di Milano del 20 dicembre 2010, riguarda ipotesi di pratiche commerciali scorrette o comportamenti anticoncorrenziali in relazione alla vendita di test anti-influenzali) sembra da ricondurre più a motivi contingenti che a carenze strutturali della normativa. In questa fase, rimettere in discussione l’impostazione della disciplina dell’azione di classe in Italia sarebbe poco utile e rifletterebbe il pernicioso vizio di intervenire ripetutamente sulle disposizioni senza arrivare mai a curare la fase di attuazione. Vari problemi, quali ad esempio l’accezione da attribuire al requisito dell’identità, possono essere risolti a livello interpretativo; l’articolo 140-bis consente inoltre una flessibilità nella gestione delle procedure che potrà essere utilizzata dai tribunali competenti per trovare soluzioni alle numerose domande che restano ancora aperte riguardo ai profili processuali. E’ importante, in questa prospettiva, che in base all’articolo 140-bis l’azione di classe possa essere presentata solo in undici tribunali sul territorio nazionale: questa scelta, infatti, favorisce la formazione di un adeguato know-how nella gestione, anche procedurale, di cause così complesse. Vi sarà probabilmente un momento, nei prossimi anni, in cui sarà necessaria una revisione della disciplina italiana dell’azione di classe. Ciò accadrà se verranno adottate disposizioni in materia di azione collettiva a livello europeo, in generale per tutte le controversie con i consumatori o limitatamente all’antitrust. Tra le iniziative che la Commissione europea si propone di intraprendere nel prossimo biennio per rilanciare il progetto del Mercato unico vi è una consultazione pubblica 4 Christopher Hodges, Collective Redress in Europe: the New Model, “Civil Justice Quarterly”, febbraio 2010. 6 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 sull’approccio europeo al collective redress. L’obiettivo è identificare “le misure che potrebbero essere introdotte nel sistema giuridico dell’Unione europea e in quelli degli Stati membri”5. Sul fronte dell’antitrust europeo, i servizi della Commissione avevano iniziato a lavorare a una proposta di direttiva sul risarcimento del danno derivante da violazioni delle disposizioni del Trattato in materia di intese e di abuso di posizione dominante, che conteneva anche previsioni relative a forme di collective redress negli Stati membri. Quella proposta non distingueva tra il danno ai consumatori e il danno ad altri soggetti: se adottata, essa avrebbe comportato la necessità di modificare la disciplina italiana dell’azione di classe, almeno per le violazioni antitrust, per estendere l’accesso allo strumento di tutela collettiva dai soli consumatori a tutti i soggetti danneggiati, incluse le imprese. In base alle dichiarazioni del Commissario Almunia, comunque, una proposta specifica sulle azioni di risarcimento del danno in materia antitrust verrà presentata solo quando sarà stato definito più in generale l’approccio europeo agli strumenti collettivi di ristoro del danno6. Un tema classico nei dibattiti sui modelli nazionali di azione collettiva, che sarà centrale anche in vista di eventuali iniziative dell’Unione europea, è se sia preferibile un modello che richiede all’individuo di manifestare espressamente la volontà di essere incluso nell’azione (cosiddetto sistema di opt-in) o uno basato sull’opt-out, in cui il singolo che non vuole essere coinvolto deve manifestare la propria volontà in tal senso. In Europa i paesi che hanno adottato sistemi di opt-out, con diverse varianti, sono una netta minoranza. Lo strumento più simile al modello statunitense è l’azione popolare introdotta in Portogallo nel 1995. Nei Paesi Bassi, se associazioni dei consumatori e imprese sottopongono una proposta di accordo transattivo al giudice, quest’ultimo può decidere che l’accordo sia vincolante per tutti i componenti della classe ad esclusione di quelli che eserciteranno l’opt-out. In Danimarca, accanto alla regola generale dell’opt-in è previsto un sistema basato sull’opt-out per le azioni collettive risarcitorie 5 Comunicazione della Commissione europea, Verso un atto per il mercato unico - Per un'economia sociale di mercato altamente competitiva - 50 proposte per lavorare, intraprendere e commerciare insieme in modo più adeguato, COM(2010) 608 def. (cfr. in particolare la proposta n. 46). A conferma di un approccio non incentrato esclusivamente sulla tutela collettiva in giudizio, nel piano della Commissione l’annuncio della consultazione sul collective redress è accompagnato da proposte volte a potenziare l’utilizzo degli strumenti di ADR in Europa, compresa una raccomandazione sulla rete dei sistemi di ADR relativi ai servizi finanziari, e a facilitare la risoluzione on-line delle controversie per le transazioni digitali. 6 Joaquin Almunia, Competition Policy: State of Play and Priorities, relazione al Comitato affari economici del Parlamento europeo, 30 novembre 2010, speech/10/703. 7 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 promosse da un’autorità pubblica e relative a pretese di importo minimo. Anche in Norvegia la regola generale è l’opt-in, ma il giudice ha il potere di disporre il passaggio all’opt-out qualora le pretese non sollevino questioni che richiedono una valutazione individuale e siano di valore tanto esiguo che verosimilmente non saranno fatte valere in via autonoma dai singoli danneggiati. Nel Regno Unito, le azioni rappresentative basate sulla Rule 19.6 delle Civil Procedure Rules prevedono un meccanismo di optout ma sinora non hanno trovato un significativo utilizzo rispetto agli strumenti basati sull’opt-in. Negli altri paesi dell’Europa continentale che si sono dotati di sistemi di tutela collettiva, inclusa l’Italia, è stato adottato l’approccio più tradizionale dell’opt-in, che richiede l’espressa adesione da parte degli individui e sicuramente non pone problemi di compatibilità costituzionale in relazione al diritto del singolo di decidere se agire in giudizio e da chi farsi rappresentare. In Italia, oltre al meccanismo dell’opt-in, è stata prevista l’unicità dell’azione di classe: una volta scaduto il termine assegnato dal giudice per l’adesione dei consumatori non sono infatti più proponibili ulteriori azioni di classe per i medesimi fatti nei confronti della stessa impresa. Le azioni proposte prima della scadenza di tale termine sono riunite d’ufficio o comunque rimesse al giudice adito per primo. Questa caratteristica dell’azione di classe nella disciplina italiana consente di sfruttare appieno le potenziali efficienze connesse alla trattazione in un’unica azione del contenzioso seriale, con evidenti vantaggi sia per l’amministrazione della giustizia sia per le imprese. Nel dibattito dottrinale, alcuni autori sottolineano che per importi veramente esigui gli individui possono non avere incentivo ad aderire attivamente alle azioni di classe, secondo quanto richiesto dai sistemi di opt-in. Per queste ipotesi, quindi, sarebbe preferibile un sistema di opt-out7. Si tratta di argomentazioni indubbiamente interessanti. Tuttavia, per avere un impatto sull’evoluzione dei sistemi nazionali che sinora hanno rifiutato l’opt-out per incompatibilità con i principi costituzionali (incluse Germania e Francia) non basta una considerazione astratta di possibili lacune dei sistemi di protezione. Occorre verificare se sia possibile rafforzare la tutela, in modo efficiente e senza rilevanti controindicazioni, con riferimento al concreto funzionamento del sistema giuridico. In particolare, bisogna accertare se sia possibile, e come, istituire meccanismi di opt-out mirati alle ipotesi in cui i soggetti danneggiati non avrebbero 7 Cfr. da ultimo Charlotte Leskinen¸ Collective Antitrust Damages Actions in the EU: the opt-in v. the optout model, Working Paper IE Law School WPLS10-03, 24 aprile 2010. 8 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 altrimenti protezione e capaci di assicurare una loro reale compensazione, in modo da superare le obiezioni di natura costituzionale. Queste ipotesi “mirate” di ricorso all’optout andrebbero definite dalla legge, almeno in termini di criteri la cui applicazione potrebbe poi essere demandata al giudice. Appare comunque probabile che nei paesi europei si resterà lontani da un sistema di opt-out generalizzato8. Nei prossimi anni in Europa, grazie alla varietà di soluzioni adottate nei diversi Stati, sarà possibile sperimentare concretamente i punti di forza e di debolezza dei diversi modelli di tutela degli individui danneggiati da illeciti plurioffensivi. Da questa sperimentazione emergeranno spunti per una possibile maggiore convergenza tra i modelli nazionali. Sarebbe prematuro, in questa fase, che eventuali iniziative legislative a livello europeo sulla tutela collettiva andassero oltre la fissazione di principi comuni e pretendessero di uniformare le soluzioni. 2. La funzione compensativa e non punitiva del risarcimento del danno: motivi e implicazioni pratiche Un tema rispetto al quale è importante evitare equivoci è quello dell’effetto deterrente che l’azione di classe può avere sui comportamenti delle imprese. Indubbiamente il private enforcement, se assicura un’efficace compensazione (l’articolo 140-bis parla di restituzione e risarcimento), di fatto esercita una funzione di deterrenza dei comportamenti illeciti rispetto a uno scenario in cui l’impresa si aspetta di non essere tenuta a ristorare i consumatori. L’azione di classe svolge quindi, in questo senso, un ruolo complementare rispetto ai sistemi pubblici di enforcement. La questione da approfondire è se anche la disciplina dell’azione risarcitoria, così come quella del public enforcement, debba essere improntata a criteri volti ad assicurare l’ottimalità della sanzione, evitando gli opposti rischi della sovradeterrenza e della sottodeterrenza. Al di là dell’interesse teorico del tema, dalla risposta discendono importanti implicazioni pratiche. 8 Cfr. in tal senso Ada Pellegrini Grinover, Uno sguardo comparativo su altre esperienze nei paesi di civil law, negli Atti di questo Convegno. 9 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 Il principale interrogativo da porsi è se, laddove l’ordinamento riconosce che a un illecito corrisponde un interesse pubblico a una sanzione (amministrativa o penale), accanto ai canali tipici di irrogazione della sanzione si debba attribuire all’azione privata, oltre alla funzione compensativa, anche una funzione punitiva/sanzionatoria per accrescere la deterrenza. Con la conseguenza di attribuire al consumatore più della compensazione del pregiudizio subito, nell’interesse del sistema. E’ noto che in Italia la Corte di Cassazione, anche di recente, ha adottato posizione di cautela rispetto alla prospettiva dell’introduzione nel nostro ordinamento di danni punitivi: “alla responsabilità civile è assegnato il compito precipuo di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, mediante il pagamento di una somma di denaro che tenda ad eliminare le conseguenze del danno arrecato”; “nel vigente ordinamento l’idea della punizione e della sanzione è estranea al risarcimento del danno”9. Negli altri Stati membri vi sono posizioni differenti nei confronti di sistemi di danni punitivi, accettati nel Regno Unito ma non, ad esempio, in Germania. La Corte di giustizia europea ha avuto occasione di pronunciarsi sul tema nella sentenza Manfredi, intervenendo in una materia come quella del diritto della concorrenza in cui l’idea della sanzione in ottica pubblicistica è ben presente. In tale contesto, la Corte di giustizia ha sostenuto che per assicurare l’effetto utile del diritto europeo gli Stati membri devono assicurare la piena compensazione del danno subito dalle vittime (danno emergente, lucro cessante e interessi dal momento in cui è sorto il danno a quello della sua compensazione), mentre non è necessario andare oltre, prevedendo danni punitivi10. Anche le proposte della Commissione europea volte a delineare un insieme di “misure equilibrate con radici nella cultura giuridica e nella tradizione europea” in materia di risarcimento del danno antitrust distinguono chiaramente tra il ruolo del public enforcement delle regole antitrust e quello del private enforcement11. Nel sistema europeo il ruolo di assicurare la deterrenza specifica (rispetto all’impresa che ha commesso la violazione) o generale (rispetto alle imprese che in futuro potrebbero commettere analoghe infrazioni) resta affidato alle autorità di concorrenza, che si 9 Corte di Cassazione, sezione III civile, 19 gennaio 2007, n. 1183. Corte di Giustizia, 13 luglio 2006, cause riunite C-295-298/04, Manfredi, punti 93-95 e 99-100. 11 Commissione Europea, Libro bianco in materia di azioni di risarcimento del danno per violazione delle norme antitrust comunitarie, 2 aprile 2008, COM(2008) 165 def. Sul tema, cfr. anche Paolo Cassinis e Carla Rabitti Bedogni, La class action nei rapporti tra imprese e consumatori: la prospettiva dell’antitrust, negli Atti di questo Convegno. 10 10 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 avvalgono a tal fine dello strumento sanzionatorio, mentre l’obiettivo delle azioni risarcitorie resta la piena compensazione del danno (corrective o compensatory justice), così da porre chiunque abbia subito un tale danno il più possibile nella situazione in cui si troverebbe se la violazione non fosse stata posta in essere. Nel disegno della Commissione europea in vista di eventuali iniziative legislative volte a rendere più efficaci le azioni risarcitorie antitrust, l’impatto in termini di deterrenza dell’azione privata, anche collettiva, dovrebbe quindi esistere solo in via indiretta, sul piano fattuale. In un recente discorso su quali standard adottare per la tutela collettiva nell’Unione europea, il Commissario Almunia ha ribadito la posizione con chiarezza: l’iniziativa “must ensure that victims obtain full compensation of the actual loss incurred. But not more than full compensation. This is not about punishment, it is about justice”12. Peraltro, in campo antitrust la coesistenza tra il private enforcement e il public enforcement a cui è affidata, come accennato, la funzione di deterrenza, rende problematica l’applicazione di danni punitivi anche in quegli Stati membri in cui è prevista in generale la possibilità di questo tipo di rimedi. E’ chiarissima al riguardo la sentenza della High Court of England and Wales nel caso Devenish Nutrition, in cui il giudice Lewison osserva che nelle azioni risarcitorie follow-on in materia antitrust (precedute da una decisione riguardo all’illecito da parte della Commissione europea o dell’autorità di concorrenza), il riconoscimento di danni punitivi comporterebbe una potenziale violazione del principio del ne bis in idem13. La stessa sentenza sottolinea come un sistema di danni punitivi, che per definizione vanno oltre la compensazione del singolo, possa sollevare gravi problemi nei casi in cui vi sia una pluralità di soggetti danneggiati e questi non siano tutti coinvolti nell’azione risarcitoria14. Vari autori hanno osservato, più in generale, che anche nei casi di azione risarcitoria non preceduta dalla decisione di un’autorità di concorrenza (c.d. azioni stand-alone) il danno punitivo può comportare un’indesiderabile e inefficiente sovrapposizione di 12 Cfr. Joaquin Almunia, Common standards for group claims across the EU, 15 ottobre 2010, cit. High Court of England and Wales, Devenish Nutrition Ltd. & others v. Sanofi-Aventis SA (France) & others (2007), EWHC 2394 (Ch), confermata da Court of Appeal, Devenish Nutrition Ltd. & others v. Sanofi-Aventis SA (France) & others (2008) EWCA Civ 1086. Il giudice Lewison sottolinea inoltre che il riconoscimento del danno punitivo in presenza di una decisione della Commissione europea sul medesimo caso può risultare in contrasto con l’articolo 16 del regolamento (CE) n. 1/2003, in quanto pone in discussione l’adeguatezza delle scelte sanzionatorie compiute dalla Commissione. 14 Sentenza Devenish Nutrition, cit. 13 11 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 competenze tra giudici e autorità del public enforcement, con possibili effetti distorsivi e pregiudizievoli per l’efficace azione amministrativa15. E’ interessante, a questo riguardo, l’esempio fornito dall’esperienza statunitense in tema di antitrust. I vertici della Federal Trade Commission da tempo sostengono che l’atteggiamento della Corte suprema degli Stati Uniti, che ha delimitato strettamente la portata del divieto delle condotte anticoncorrenziali in applicazione del diritto antitrust, dipende dal timore delle conseguenze che in quell’ordinamento accompagnerebbero sul piano civilistico un’interpretazione estensiva (“the Supreme Court’s rational underlying these decisions is, I believe, a justifiable concern about the toxic combination of treble damages and class actions”)16. In questo contesto, per ampliare i propri spazi di intervento la Federal Trade Commission si sta orientando in alcuni casi ad applicare il divieto di metodi concorrenziali scorretti (unfair methods of competition) contenuto nella Section 5 del Federal Trade Commission Act separatamente dalle disposizioni dello Sherman Act e del Clayton Act, per evitare lo scenario del private enforcement punitivo. La scelta di un approccio strettamente basato sulla funzione compensativa del risarcimento del danno ha importanti implicazioni. La prima è che qualunque soggetto direttamente o indirettamente danneggiato deve avere diritto a chiedere il risarcimento e a ottenerlo, a condizione che fornisca prove adeguate e che sussista un sufficiente nesso di causalità. Per altro verso l’autore dell’infrazione non deve essere tenuto a risarcire il proprio acquirente diretto che abbia trasferito a valle il sovrapprezzo (cosiddetta passing-on defense). Per consentire concretamente agli acquirenti indiretti di provare il danno subito a causa del trasferimento del sovrapprezzo, la Commissione europea nel Libro bianco propone di ricorrere a una presunzione (confutabile) di integrale passing-on del sovrapprezzo. L’approccio basato sulla compensazione comporta la possibilità che una pluralità di soggetti situati in fasi successive del processo di acquisto chiedano di essere risarciti, con il rischio di una sovracompensazione dei danni. Ad oggi non sono state individuate efficaci soluzioni a questo problema, che esigerebbe una visione complessiva e 15 Sul tema cfr. Marco Boccaccio, Sanzioni e risarcimento del danno antitrust: quali rapporti? – Note e studi Assonime n. 6/2008, disponibile su www.assonime.it, e Wouter P. J. Wils, The Relationship between Public Antitrust Enforcement and Private Actions for Damages, in World Competition, 32, n. 1, 2009. 16 Jon Leibowitz (2008), Remarks on “Tales from the Crypt. Epysodes ’08 and ’09: The Return of Section 5”, disponibile nel sito internet della Federal Trade Commission http://www.ftc.gov/bc/workshops/section5/docs/jleibowitz.pdf. 12 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 coordinata delle richieste di risarcimento. Il rilievo pratico della questione è in parte ridotto dalla necessità per gli acquirenti indiretti di dimostrare un sufficiente nesso di causalità tra il comportamento illecito e il pregiudizio subito, requisito che consente di escludere le richieste nei casi in cui il rapporto sia troppo remoto17. Va osservato che, riguardo al diritto degli acquirenti indiretti ad essere risarciti, esistono tuttora visioni divergenti da parte dei giudici nei diversi Stati membri. Ad esempio, nella sentenza della High Court of England and Wales nel caso Emerald Supplies v. British Airways, recentemente confermata in appello, che riguardava un’azione rappresentativa per il risarcimento del danno subito a causa di un’intesa restrittiva della concorrenza dagli acquirenti diretti e indiretti di servizi di trasporto aereo di merci, la Corte ha osservato in via incidentale che nel Regno Unito, diversamente da quanto avvenuto negli Stati Uniti con la sentenza Illinois Brick v. Illinois (1977, 431 US 720), non è possibile limitare agli acquirenti diretti il diritto ad ottenere il risarcimento ed escludere la passing on defense18. Un atteggiamento opposto è stato adottato dai giudici tedeschi della Karlsruhe Higher Regional Court in una sentenza dell’11 giugno 2010 relativa a un’azione avviata da un’impresa tipografica ottenere il risarcimento del danno derivante da un’intesa restrittiva della concorrenza relativa alla carta auto-copiante (Carbonless Paper), già sanzionato dalla Commissione europea19. L’impresa tipografica aveva acquistato la carta auto-copiante da una società interamente posseduta da una delle società partecipanti al cartello. In questo caso i giudici tedeschi hanno ritenuto che la posizione dell’impresa fosse equiparabile a quella di un acquirente diretto del soggetto che ha commesso la violazione; nella sentenza, però, viene sostenuto che, al di fuori di questa particolare situazione, l’acquirente indiretto non ha diritto al risarcimento del danno perché questo approccio solleverebbe rilevanti problemi pratici di delimitazione dei soggetti aventi diritto. Coerentemente, la Corte ha escluso l’applicazione della passing 17 Il documento di lavoro che accompagna il Libro bianco della Commissione europea, nel riconoscere il diritto al risarcimento degli acquirenti indiretti, sottolinea che le norme nazionali o la giurisprudenza ben possono precludere le azioni intentate da determinati acquirenti indiretti “for reasons of remoteness”. Commission Staff Working Paper, SEC (2008) 404, punto 37. 18 England and Wales High Court, Emerald Supplies Limited v. British Airways [2009] EWHC 741 (Ch), confermata da UK Court of Appeal, Emerald Supplies Limited v. British Airways [2010] EWCA Civ. 1284. L’azione rappresentativa, basata su un meccanismo di opt-out, è stata peraltro ritenuta improcedibile dalla Corte per assenza del requisito di identità degli interessi tra gli acquirenti diretti e indiretti membri della classe. 19 Causa 6 U 118/05. 13 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 on defense. Questa sentenza dei giudici di Karlsruhe, rispetto alla quale è pendente un ricorso su punti di diritto alla Corte suprema federale, nel negare il diritto degli acquirenti indiretti alla compensazione del danno sembrerebbe in contrasto con l’orientamento della Corte di giustizia europea che ha sancito il diritto di ogni soggetto danneggiato alla piena compensazione del pregiudizio subito a causa di violazioni delle norme di concorrenza contenute nel Trattato20. Attribuire al risarcimento del danno una funzione strettamente compensativa non significa solo rifiutare un sistema di danni multipli, tipo i treble damages: significa più in generale, come ben chiarito nella sentenza Devenish Nutrition, non assegnare al risarcimento alcuna funzione diversa da quella della compensazione del danno subito. In particolare, se si adotta un approccio di tipo compensativo non si può assimilare al risarcimento del danno la restituzione dei profitti illeciti conseguiti dall’impresa, che avrebbe una funzione diversa, riconducibile a una nozione di danno che va oltre la mera compensazione. In questa prospettiva, sarebbe ad esempio inappropriato per il risarcimento del danno da comportamenti anticoncorrenziali fare riferimento all’articolo 125 del codice della proprietà industriale, che apre la via a una nozione di danno più ampia di quella compensativa. In base a questa norma, infatti, per le violazioni dei diritti di proprietà industriale il danneggiato può chiedere in alternativa al risarcimento del lucro cessante o nella misura in eccesso rispetto a tale risarcimento, la restituzione degli utili conseguiti dall’autore della violazione. Il modo in cui è stata recepita nel nostro ordinamento la direttiva 2004/48/CE sull’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale non appare per questo profilo strettamente conforme al testo della direttiva stessa21; se utilizzato in materia antitrust, esso comporterebbe l’ulteriore problema della sovrapposizione del ruolo dell’azione privata con quello pubblicistico affidato alle sanzioni delle autorità di concorrenza. Al di là di questo aspetto, è importante tenere presente che per la proprietà intellettuale perlopiù gli utili illecitamente conseguiti dall’autore della violazione che si è appropriato abusivamente della proprietà altrui costituiscono un indicatore affidabile delle conseguenze economiche negative per il soggetto danneggiato; in materia antitrust, il legame tra profitti illeciti e danno subito dagli attori è meno univoco e diretto. 20 Corte di Giustizia, 20 settembre 2001, causa C-453/99, Courage; Corte di Giustizia, 13 luglio 2006, cause riunite C-295-298/04, Manfredi. 21 Direttiva 2004/48/CE del 29 aprile 2004, del Parlamento europeo e del Consiglio sulle misure, le procedure e i mezzi di ricorso necessari ad assicurare il rispetto dei diritti di proprietà industriale. 14 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 Da ultimo, appare utile soffermarsi sullo scenario di valutazione equitativa del danno richiamato dalla normativa italiana sull’azione di classe. In base al comma 12 dell’articolo 140-bis il tribunale, se accoglie la domanda, pronuncia sentenza di condanna con cui “liquida, ai sensi dell’art. 1226 del codice civile le somme definitive dovute” oppure stabilisce il criterio omogeneo di calcolo per la liquidazione di tali somme. Come noto, l’articolo 1226, letto nella sua interezza, consente la valutazione equitativa se il danno non può essere provato nel suo preciso ammontare. Secondo una lettura, l’espresso riferimento alla valutazione equitativa compiuto dall’articolo 140-bis, comma 12, indicherebbe che la disciplina sta muovendo verso un sistema di danni punitivi22. Tuttavia, i motivi sin qui illustrati che suggeriscono di distinguere nettamente tra la funzione compensativa dell’azione privata e la funzione deterrente da affidare ai sistemi pubblici di enforcement23 sono sufficientemente seri da indurre a ritenere che un semplice richiamo alla valutazione equitativa non basti a mutare l’impostazione del sistema. Secondo una diversa lettura che appare preferibile, il riferimento all’articolo 1226 del codice civile (che sarebbe stato comunque applicabile) sottolinea che nelle azioni di classe, in ragione delle difficoltà pratiche connesse al coinvolgimento nell’azione di un grande numero di soggetti, la liquidazione del danno sarà di svolta di norma non attraverso una puntuale quantificazione, ma attraverso metodi approssimati e presuntivi. In tal senso, è stato sottolineato come “la norma non intenda apportare alcuna deroga ai principi generali limitandosi invece a ribadire, con chiara valenza rafforzativa, la possibilità di ricorrere ad una valutazione equitativa qualora la prova dell’effettivo danno subito, seppur astrattamente possibile, risulti difficile in un giudizio collettivo. (…) In altre parole, qualora, nonostante la natura collettiva dell’azione, gli aderenti possano fornire la prova del danno (o delle somme comunque dovute a titolo restitutorio), il Tribunale dovrà liquidarlo secondo i canoni dell’art. 1223 c.c.. Se invece le caratteristiche dell’illecito o la numerosità della classe rendono, seppur non impossibile, di notevole difficoltà la liquidazione, essa potrà avvenire secondo equità”24. 22 Uno spunto in tal senso si trova, ad esempio, in Renato Rordorf, L’azione di classe nel novellato articolo 140-bis del codice del consumo: considerazioni (e qualche interrogativo), in Foro italiano, 2010, V, 183 ss. 23 Cfr. anche Francesco Denozza e Luca Toffoletti, Compensation Function and Deterrence Effects of Private Actions for Damages: The Case of Antitrust Damage Suits, 2008. Disponibile su SSRN: http://ssrn.com/abstract=1116324. 24 Cfr. Claudio Scognamiglio, Risarcimento del danno, restituzione e rimedi nell’azione di classe, negli Atti di questo Convegno. 15 Il ruolo dell’azione di classe nel sistema: alcune riflessioni 1 / 2011 Sarà l’esperienza giudiziaria a indicare, nei singoli casi, i metodi più consoni per la stima del danno25. L’obiettivo a cui il giudice deve tendere nella liquidazione resta comunque quello della compensazione, evitando per quanto possibile rilevanti scostamenti per eccesso o per difetto. 25 In tal senso Massimo Scuffi, La class action in funzione antitrust, Il diritto industriale n. 4/2009. Per una rassegna dei metodi economici, cfr. Luigi Prosperetti, Elisa Pani, Ines Tomasi (2009), Il danno antitrust: una prospettiva economica, Bologna: Il Mulino, e OXERA(2009), Quantifying antitrust damages – Towards non-binding guidance for courts, disponibile nel sito internet http://ec.europa.eu/competition/antitrust/actionsdamages/quantification_study.pdf. 16