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Dovere di fedeltà dell`avvocato

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Dovere di fedeltà dell`avvocato
SED LEX
Dossier anno 2 n. 12-2011
I doveri dell’avvocato:
il dovere di fedeltà,
correttezza e lealtà
Premessa: i riferimenti normativi...........................................................................................................................2
Il dovere di lealtà e correttezza...............................................................................................................................3
Il dovere di fedeltà........................................................................................................................................................4
Il dovere di lealtà e probità nel giudizio e il divieto di utilizzo di espressioni sconvenienti od
offensive............................................................................................................................................................................5
Le conseguenze della condotta infedele e/o sleale: il patrocinio infedele e le altre infedeltà del
patrocinatore o del consulente tecnico.................................................................................................................6
Le conseguenze della condotta infedele e/o sleale dell’avvocato: il procedimento disciplinare . .9
La competenza territoriale e i casi di conflitti di competenza.....................................................................................................9
L’avvio del procedimento disciplinare...................................................................................................................................10
L’istruttoria.......................................................................................................................................................................10
Il dibattimento..................................................................................................................................................................11
La conclusione del procedimento disciplinare: la decisione......................................................................................................12
Il ricorso al Consiglio Nazionale Forense...............................................................................................................................12
Il ricorso incidentale avanti al Consiglio Nazionale Forense.....................................................................................................13
Il giudizio avanti al Consiglio Nazionale Forense: l’istruttoria..................................................................................................13
Il giudizio avanti al Consiglio Nazionale Forense: la decisione.................................................................................................14
Il ricorso alle sezioni Unite della Cassazione..........................................................................................................................14
Riferimenti giurisprudenziali..................................................................................................................................16
Sul dovere di correttezza e lealtà........................................................................................................................................16
Sul dovere di lealtà e di probità: le espressioni sconvenienti ed offensive.................................................................................21
Sul reato di patrocinio infedele............................................................................................................................................21
Sulla natura del procedimento disciplinare............................................................................................................................21
Sulla modalità di contestazione degli addebiti nel procedimento disciplinare.............................................................................23
Sulla composizione del Consiglio dell’Ordine nel procedimento disciplinare...............................................................................23
Sull’istruttoria del procedimento disciplinare.........................................................................................................................23
Sul ricorso alle sezioni Unite della Cassazione.......................................................................................................................25
Dossier SED Lex – anno 2, n.12, dicembre 2011
©Editore Zadig via Ampére 59, 20131 Milano
www.zadig.it - e-mail: [email protected]
tel.: 02 7526131 fax: 02 76113040
Direttore: Roberto Satolli
Redazione:: Nicoletta Scarpa
Autore dossier: Katia Scarpa
I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
1.
Premessa: i riferimenti normativi
Gli avvocati e i praticanti avvocati, nell'esercizio della loro professione, anzitutto devono rispettare gli obbli ghi imposti dalle numerose disposizioni contenute nel codice di procedura civile, nel R.D.L. 27 novembre
1933 n. 1578 (sull’Ordinamento della professione di avvocato) nonché nel codice deontologico forense, ap provato dal Consiglio Nazionale Forense nella seduta del 17.04.1997 con le modifiche introdotte il 16.10.1999,
il 26.10.2002, il 27.01.2006, il 14.12.2006 e il 27.06.2008.
Le norme deontologiche sono da ritenere norme giuridiche vincolanti perché trovano il loro fondamento nell’art.12 della legge professionale forense R.D.L. n.1578/1933 (che impone agli avvocati di “…adempiere il loro
ministero con dignità e decoro come si conviene all’altezza della funzione che sono chiamati a esercitare
nell’amministrazione della giustizia”) e nell’art.38 della stessa legge, che prescrive che qualora gli avvocati
“si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non
conformi alla dignità e al decoro professionale”, essi “sono sottoposti a procedimento disciplinare”.
Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite, con la sentenza 20.12.2007 n.26810 ha precisa to che “In materia di responsabilità disciplinare degli avvocati, le norme del codice disciplinare forense costituiscono fonti normative integrative del precetto legislativo che attribuisce al Consiglio nazionale forense il
potere disciplinare, con funzione di giurisdizione speciale appartenente all'ordinamento generale dello Stato,
e come tali sono interpretabili direttamente dalla Corte di legittimità.”
Per quanto interessa in questa sede, vengono in rilievo gli artt.6 e 7 del codice deontologico, i quali, nel
tipizzare i comportamenti che costituiscono violazioni deontologiche, precisano:
“l' avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza”;
“…non deve proporre azioni o assumere iniziative in giudizio con mala fede o colpa grave”;
deve “…svolgere con fedeltà la propria attività professionale”;
“costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell'avvocato che compia consapevolmente atti
contrari all'interesse del proprio assistito”;
 “l'avvocato deve esercitare la sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone
verso la collettività per la salvaguardia dei diritti dell'uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro
potere.”
Lealtà, correttezza e fedeltà, sono perciò i principali obblighi a cui è tenuto l’avvocato che agisca nel rispetto
della dignità e decoro professionale.
I medesimi principi, peraltro, sono ripetuti anche dal codice di procedura civile, per quanto attiene agli obbli ghi di comportamento nel corso di giudizio .
L’art.88 del cpc infatti stabilisce che “Le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi in giudizio con
lealtà e probità . In caso di mancanza dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che
esercitano il potere disciplinare su di essi.”
Il successivo art. 89, poi, prescrive espressamente “Negli scritti presentati e nei discorsi pronunciati davanti
al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od offensive. Il giudice, in
ogni stato dell'istruzione, può disporre con ordinanza che si cancellino le espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla persona offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l'oggetto della causa”.
Appaiono all’evidenza, pertanto, le ragioni per cui la Corte di Cassazione a Sezioni Unite civili, con la sentenza n.2784/1989 abbia ritenuto che “La violazione da parte di avvocato o procuratore del dovere di lealtà e
probità, ovvero del divieto di usare espressioni sconvenienti e offensive, a norma degli artt. 88 ed 89 c. p.c.,
può dar luogo, oltre ai provvedimenti adottabili nel processo in cui tali fatti vengono commessi, anche all'irrogazione di sanzione disciplinare, ai sensi dell'art. 38 del R.D.L. 27 novembre 1933 n.1578, ove il relativo
comportamento non sia conforme alla dignità ed al decoro della professione”.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
2.
Il dovere di lealtà e correttezza
Come si è anticipato, l’obbligo di tenere un comportamento leale e corretto è anzitutto affermato dall’art.6 del
codice deontologico forense, il quale prescrive espressamente che: “L'avvocato deve svolgere la propria attività professionale con lealtà e correttezza. L'avvocato non deve proporre azioni o assumere iniziative in
giudizio con mala fede o colpa grave.”
In linea di massima, gli interpreti ritengono che integri la violazione di tale disposizione la condotta di colui
che utilizzi un linguaggio offensivo e trascuri di informare tempestivamente il cliente delle vicende processuali o stragiudiziali che lo riguardino.
E così, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 19.01.1991 n.520, ha ritenuto che “Ai fini di un corretto esercizio della professione forense, l'avvocato deve elevarsi al di sopra delle parti e, nel dare l'indispensabi le contributo tecnico per la risoluzione della lite in favore del proprio cliente, deve mantenersi nei limiti inva licabili risultanti dal contemperamento della libertà di pensiero e delle esigenze di difesa con il necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo. Viene pertanto meno al dovere di correttezza, con conseguente
lesione del decoro professionale (artt. 14 e 38 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578), oltre la violazione dell'art. 89
c. p.c., l'avvocato che in uno scritto difensivo si abbandoni a espressioni dispregiative per la controparte o per
altri soggetti, tanto più se estranei al giudizio, ove dette espressioni non siano attinenti alla materia del con tendere e tanto meno indispensabili per chiarire una situazione di fatto non diversamente rappresentabile,
restando in tal caso priva di valore esimente la soggettiva convinzione del professionista di dover reagire a
uno scritto difensivo della controparte”.
E’ stato ritenuto deontologicamente rilevante, inoltre, il comportamento dell'avvocato che non destini le
somme ricevute dal cliente allo scopo pattuito, ma le trattenga per sé e le restituisca solo successivamente,
alla denuncia di quest'ultimo; (così C.N.F., 15.07.2005, n.178 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24
Ore) ovvero quando il professionista, dopo aver difeso una parte, assuma nella medesima vicenda il patrocinio della parte avversa (Così Cass. SS.UU. 27.10.1995 n.11176 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24
Ore), nonché nel caso in cui l'avvocato, a seguito della revoca del mandato, invii numerose parcelle all'ex
cliente così chiedendo compensi eccessivi e usi in scritti difensivi espressioni offensive nei confronti di un
magistrato e nei confronti del consiglio dell'ordine e del suo presidente (così C.N.F., 01.09.2005, n.194 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore). Ed ancora, è stato ritenuto contrario ai doveri di lealtà e correttezza il comportamento dell’avvocato che falsamente affermi in una causa che la relazione di notifica della
comunicazione di deposito del decreto di sequestro era stata falsificata dall’ufficiale giudiziario allo scopo di
escludere il termine perentorio, così supponendo una intercorsa collusione tra il collega di controparte e l’uf ficiale giudiziario, mentre egli stesso era consapevole, perché avvertito dallo stesso pubblico ufficiale, delle
ragioni della correzione legittimamente effettuata. (così C.N.F., 14.10.2005, n.220 in Repertorio24, Banca
Dati Lex 24 del Sole24 Ore)
E’, invece, deontologicamente corretto il comportamento dell’avvocato che non comunichi al collega di con troparte lo svolgimento di un attività extragiudiziale svolta nell’interesse del proprio assistito. (Così C.N.F.,
03.11.2004, n.248 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore).
-3-
I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
3.
Il dovere di fedeltà
L’articolo 7 del codice deontologico forense dispone che “È dovere dell’avvocato svolgere con fedeltà la
propria attività professionale. I - Costituisce infrazione disciplinare il comportamento dell’avvocato che
compia consapevolmente atti contrari all’interesse del proprio assistito. II - L’avvocato deve esercitare la
sua attività anche nel rispetto dei doveri che la sua funzione gli impone verso la collettività per la salva guardia dei diritti dell’uomo nei confronti dello Stato e di ogni altro potere. ”
Consegue che l’avvocato rispettoso del dovere di fedeltà deve anzitutto rispettare la posizione della parte assi stita e non deve arrecarle pregiudizio nè colludere con la controparte.
Il Consiglio Nazionale Forense, con la decisione 12.06.2003 n.139 ha ritenuto “lesivo del dovere di fedeltà e
correttezza, il professionista che nel giudizio di separazione personale dei coniugi assuma la difesa di una
dei due, e nel giudizio di divorzio la difesa dell'altro.” Nel medesimo senso si era espresso, in precedenza,
con la decisione 29.05.2003 n.121.
Di interesse è, poi, la sentenza della Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite 10.01.2006 n.134, per cui
“L' avvocato che, dopo aver assistito congiuntamente i coniugi in una procedura di separazione non con clusasi con omologa, assuma la difesa di un coniuge contro l'altro nel giudizio di separazione personale,
pone in essere un comportamento deontologicamente scorretto, e quindi passibile di sanzione disciplinare,
in quanto l'art. 37, 3° comma, del codice deontologico pone per l'avvocato un obbligo assoluto di astensione
a prescindere se il conflitto di interessi è reale o solo potenziale”.
Esempi tipici di infedeltà (o prevaricazione ) sono, inoltre, “l’omissione della produzione di documenti, la
dolosa trascuratezza circa la scadenza dei termini, la soppressione di mezzi di prova, l’omissione di costitu zione in giudizio, l’omissione di difesa”, ma soprattutto la collusione e commistione che vengono create tra
gli interessi della parte assistita e la (contemporanea e successiva) difesa degli interessi della parte contrapposta.
Si pensi per esempio, al comportamento dell’avvocato che abbia assistito la parte civile in un processo penale
e poi assuma la difesa dell’imputato criticando la sentenza pronunciata (Consiglio Naz. Forense, 20 maggio
1991, n.87, in Rass. forense, 1994, 129); o dell’avvocato che abbia fatto sottoscrivere al proprio cliente “ uno
svantaggiosissimo contratto di mutuo in favore di una società di cui egli era socio fittizio” (Consiglio naz.
forense, 5 novembre 1996, n.146, in Rass. forense 1997, 542); o ancora al comportamento dell’avvocato “che
abbia compiuto contemporaneamente atti di patrocinio e di consulenza nell’interesse di clienti in contrasto,
consigliando e redigendo, finanche, le reciproche denuncie-querele” (Consiglio Naz. Forense, 24 maggio
1973, in Rass. forense 1975, 369).
Ancora, è stato deciso che costituisce violazione dei doveri professionali la condotta dell’avvocato che dopo
aver assistito nel giudizio di primo grado due clienti, in seguito a un incidente stradale, abbia assistito nel
giudizio di appello il primo cliente contro il secondo (Cons. naz. Forense, 7 marzo 1969, in Rass. forense,
1970, 147).
In senso conforme si è espressa anche la Suprema Corte di Cassazione a Sezioni Unite con la sentenza 22 giugno 1990, n.6326, per cui “Il comportamento dell'avvocato, il quale, dopo aver difeso una parte, assume
nella medesima vicenda il patrocinio della parte avversa, è lesivo della reputazione del professionista e della dignità della classe forense e, pertanto, configura un illecito che è sanzionabile sotto il profilo disciplinare, ai sensi dell'art. 38 del R.D. legge 27 novembre 1933 n. 1578, indipendentemente dalla circostanza che
tale condotta si sia o no rivelata dannosa per le parti.”
È stato, invece, ritenuto deontologicamente corretto, “…il comportamento dell'avvocato che, dopo aver difeso due parti in uno stesso giudizio penale, successivamente alla denuncia di una nei confronti dell'altra,
mantenga la difesa di una sola parte, ove i fatti oggetto della denuncia siano ontologicamente e storicamente diversi da quelli oggetti del primo procedimento. (Nella specie è stato assolto il professionista a cui
era stata inflitta la sanzione della censura).” (Così Cons. Naz. Forense 29.05.2003 n.120.)
-4-
I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
4.
Il dovere di lealtà e probità nel giudizio e il divieto
di utilizzo di espressioni sconvenienti od offensive
Nel corso del giudizio, “le parti e i loro difensori hanno il dovere di comportarsi … con lealtà e probità”.
Così prescrive l’art.88 del codice di procedura civile, che precisa, poi, al 2° comma che “in caso di mancanza
dei difensori a tale dovere, il giudice deve riferirne alle autorità che esercitano il potere disciplinare su di
essi.”
Il successivo art.89 (come si è accennato in precedenza) dispone che “negli scritti presentati e nei discorsi
pronunciati davanti al giudice, le parti e i loro difensori non debbono usare espressioni sconvenienti od of fensive” e ribadisce, al 2° comma, che il giudice ha il potere di disporre, con ordinanza, “che si cancellino le
espressioni sconvenienti od offensive, e, con la sentenza che decide la causa, può inoltre assegnare alla perso na offesa una somma a titolo di risarcimento del danno anche non patrimoniale sofferto, quando le espressioni offensive non riguardano l'oggetto della causa”.
In sede interpretativa, la Suprema Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con la sentenza 20.08.2010 n.18810
ha ritenuto che costituisca “violazione del dovere di lealtà e probità delle parti così come disciplinato dall'art.
88 cod. proc. civ. la condotta processuale di una parte caratterizzata dalla ripetuta contestazione della giuri sdizione del giudice adito in simmetrica opposizione alle scelte di controparte, unita alla richiesta, accolta, di
sospensione del giudizio ai sensi dell'art. 295 cod. proc. civ., trattandosi di un comportamento processuale
idoneo a pregiudicare il diritto fondamentale della parte a una ragionevole durata del processo ai sensi dell'art. 111 Cost. Pertanto tale condotta può determinare l'applicazione dell'art. 92, primo comma, ultima parte
cod. proc. civ., secondo il quale, il giudice, a prescindere dalla soccombenza può condannare una parte al
rimborso delle spese che, in violazione dell'art. 88 cod. proc. civ., ha causato all'altra parte”.
Con la sentenza 16.05.2006 n.11379, inoltre, il Supremo Collegio ha ritenuto costituisca violazione del dovere
di lealtà e probità delle parti processuali anche il comportamento dell’avvocato il quale - proposta da una
compagnia di assicurazione opposizione all'esecuzione, - abbia proceduto esecutivamente benché in precedenza gli fosse stato offerto (da controparte) un assegno circolare a soddisfazione del credito. Ciò, perché il
comportamento del creditore (e del suo difensore) si era posto in contrasto con i doveri di lealtà e probità di
cui all'art. 88 cod. proc. civ., avendo egli omesso di comunicare il proprio rifiuto di ricevere l'assegno prima
di dare inizio all'esecuzione, adducendo a giustificazione la mancanza del potere di riscuotere in capo al di fensore, così comportandosi in modo palesemente teso a lucrare anche le spese dell'esecuzione.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
5.
Le conseguenze della condotta infedele e/o sleale:
il patrocinio infedele e le altre infedeltà del
patrocinatore o del consulente tecnico
Dalla violazione dei doveri di fedeltà, lealtà e correttezza del professionista possono discendere non solo conseguenze sul piano disciplinare, ma altresì, da un lato la responsabilità civile per i danni eventualmente arre cati al cliente e, d’altro canto, sul piano penale, l’integrazione delle fattispecie di reato prescritte dagli artt.
380 (patrocinio infedele) e 381 del codice penale (altre infedeltà del patrocinatore o del consulente tecnico)
ovvero di appropriazione indebita, truffa, falso, abusi nella qualità di curatore, esecutore fallimentare, ecc..
Più precisamente, il menzionato art.380 prevede che “Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, rendendosi infedele ai suoi doveri professionali, arreca nocumento agli interessi della parte da lui difesa, assistita
o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria, è punito con la reclusione da uno a tre anni e con la multa
non inferiore a lire un milione. La pena è aumentata:
1) se il colpevole ha commesso il fatto, colludendo con la parte avversaria;
2) se il fatto è stato commesso a danno di un imputato .
Si applicano la reclusione da tre a dieci anni e la multa non inferiore a lire d ue milioni, se il fatto è commesso a danno di persona imputata di un delitto per il quale la legge commina la pena di morte o l'ergastolo
ovvero la reclusione superiore a cinque anni.”
Il successivo art.381 c.p. dispone, poi, che “Il patrocinatore o il consulente tecnico, che, in un procedimento
dinanzi all'Autorità giudiziaria, presta contemporaneamente, anche per interposta persona, il suo patroci nio o la sua consulenza a favore di parti contrarie, è punito, qualora il fatto non costituis ca un più grave
reato, con la reclusione da sei mesi a tre anni e con la multa non inferiore a lire duecentomila.
La pena è della reclusione fino a un anno e della multa da lire centomila a un milione, se il patrocinatore o
il consulente, dopo aver difeso, assistito o rappresentato una parte, assume, senza il consenso di questa,
nello stesso procedimento, il patrocinio o la consulenza della parte avversaria.”
Al riguardo, la Suprema Corte di Cassazione, sez. 2^ pen., con la sentenza 05.06.2008 n.22702 ha precisato:
 “Il reato di patrocinio infedele (articolo 380 comma 1, del Cp) è un reato che richiede per il suo
perfezionamento, in primo luogo, una condotta del patrocinatore irrispettosa dei doveri
professionali stabiliti per fini di giustizia a tutela della parte assistita e, in secondo luogo, un
evento che implichi un nocumento agli interessi di quest'ultimo, inteso questo non
necessariamente in senso civilistico di danno patrimoniale, ma anche nel senso di mancato
conseguimento dei beni giuridici o dei benefici di ordine anche solo morale che alla stessa parte
sarebbero potuti derivare dal corretto e leale esercizio del patrocinio legale. In questa prospettiva, la
condotta illecita può consistere anche nell'occultamento di notizie o nella comunicazione
di notizie false e fuorvianti nel corso del processo. (Da queste premesse, la Corte ha ritenuto
correttamente ravvisato il reato in una fattispecie nella quale la condotta dell'imputato si era
sostanziata nella comunicazione di una falsa notizia circa l'esito di un procedimento civile di rilevante
importo economico, condotta apprezzata come idonea a creare una falsa aspettativa nella parte
assistita, inducendola a comportamenti imprudenti e quindi pregiudizievoli; con la precisazione,
peraltro, che l'evento di danno non doveva comunque essere inteso in senso civilistico, non occorrendo,
quindi, in proposito, l'individuazione di un preciso pregiudizio patrimoniale).” (così Cass. sez. 2^ pen.
05.06.2008 n.22702);
 “Per la configurazione del reato di patrocinio infedele, di cui all'art. 380 c.p. - che e` reato proprio, nel
senso che soggetto attivo deve essere il "patrocinatore" - non e` sufficiente che l'avvocato si renda
genericamente infedele nell'adempimento dei doveri scaturenti dall'accettazione dell'incarico
affidatogli, essendo necessaria, al contrario, quale elemento costitutivo del reato, la pendenza
di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi
assunti con il mandato: la valenza penale dell'attività` del patrono deve ricondursi, infatti, al
momento effettivo dell'esercizio della giurisdizione. Tuttavia, neppure e` sufficiente che il
comportamento produca esclusivamente la lesione dell'interesse concernente il normale funzionamento
della giustizia, richiedendo anche la legge, ai fini della consumazione del reato, che sia arrecato un
nocumento al soggetto privato (Nella specie e` stata esclusa la sussistenza del reato nel comportamento
del patrocinatore il quale, assuntosi l'incarico di dare corso all'offerta di una somma per il rilascio di un
terreno agricolo e, in caso di mancata accettazione, di intimare il precetto per l'esecuzione del rilascio,
-6-
I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
aveva omesso il compimento di tali atti - ritenuti dalla Corte entrambi extragiudiziali - assicurando,
falsamente di avervi provveduto).” (Cass. sez. 6^ pen. 14.09.1998 n.9758).
Con particolare rifermento all’esistenza (quale necessario elemento costitutivo della fattispecie di reato) di un
nocumento agli interessi della parte, il Supremo Collegio ha poi chiarito:
 “Il delitto di patrocinio o consulenza infedele non è integrato dalla sola infedeltà ai doveri professionali,
occorrendo la verificazione di un nocumento agli interessi della parte, che, quale conseguenza della
violazione dei doveri professionali, rappresenta l'evento del reato.” (così Cass. 6^ sez. pen. 29.07.2008
n.31678);
 “Ai fini dell'integrazione della fattispecie criminosa del patrocinio infedele, l'evento di danno, e quindi il
nocumento agli interessi della parte difesa, assistita o rappresentata dinanzi all'Autorità giudiziaria,
non va inteso nel senso civilistico e quindi non è necessario che si verifichi un pregiudizio patrimoniale,
ben potendo consistere anche soltanto nell'adozione di comportamenti imprudenti in conseguenza della
comunicazione di una falsa notizia circa l'esito di un procedimento civile di rilevante importo
economico.” (Così Cass. 05.06.2008 n.22702).
Avendo riguardo, invece, alle modalità di estrinsecazione della condotta delittuosa, la Cassazione ha altresì
enunciato i seguenti principi di diritto:
 “Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la
pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti
con il mandato, anche se la condotta non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti
processuali” (Così Cass. 6^ sez. pen. 20.05.2009 n.21160);
 “Il delitto di patrocinio infedele è reato proprio, il cui soggetto attivo deve essere il "patrocinatore"; ne
consegue che, essendo detta qualità inscindibile dallo svolgimento di attività processuali, ai fini
dell'integrazione del reato non è sufficiente che un avvocato non adempia ai doveri scaturenti
dall'accettazione di un qualsiasi incarico di natura legale, ma occorre la pendenza di un procedimento
nell'ambito del quale si sia realizzata la violazione degli obblighi assunti con il mandato.” (Cass. sez. 2^
pen. 08.02.2008 n.6382);
 “Per la sussistenza del reato di patrocinio infedele è necessaria, quale elemento costitutivo del reato, la
pendenza di un procedimento nell'ambito del quale deve realizzarsi la violazione degli obblighi assunti
con il mandato, che peraltro non deve necessariamente estrinsecarsi in atti o comportamenti
processuali. (In applicazione di tale principio, la Corte ha ravvisato il reato di cui all'art. 380 cod. pen.
nella condotta del difensore, il quale avendo assunto l'incarico di patrocinare una parte per la
revocatoria di una donazione, aveva costituito con la parte avversaria rapporti societari aventi ad
oggetto il trasferimento di beni immobili, arrecando un nocumento al suo cliente, consistito nel fargli
perdere le garanzie sul patrimonio immobiliare della controparte).” (Cass. sez. 6^ pen. 18.12,2006
n.41370);
 “La disposizione di cui all'art. 380 del cod. pen. (Patrocinio o consulenza infedele) sanziona la condotta
del patrocinatore, infedele ai suoi doveri professionali, che arrechi nocumento agli interessi della parte
da lui difesa (assistita o rappresentata) dinanzi all'autorità giudiziaria: il testo della norma impone di
interpretarla letteralmente nel senso di ritenere che il legislatore abbia inteso riservare la sanzione
penale per quei comportamenti infedeli che abbiano luogo nell'ambito di un procedimento, escludendo
invece dalla portata della previsione le attività poste in essere prima dell'instaurazione del
procedimento e ad esso prodromiche.” (Così Cass. sez. 2^ pen. 12.04.2005 n.13489)
 “Perche` si abbia il reato di patrocinio infedele punito dall`art. 380 cod. pen., occorre una attuale e
effettiva pendenza del procedimento avanti all`autorità` giudiziaria e l`infedeltà` del patrocinio non
puo` essere riferita alle attività prodromiche alla sua instaurazione.(Nell`affermare il principio di cui
in massima la corte ha escluso che potesse integrare il reato di patrocinio infedele la omessa
presentazione di un ricorso per sequestro giudiziario e di un ricorso possessorio)” (così Cass. 01.09.1997
n.8420)
Seguendo gli insegnamenti dei giudici di legittimità, il Tribunale de L’aquila, con la sentenza 20.04.2010
n.186, ha ritenuto che “La condotta del difensore che indebitamente si appropri di somme spettanti alla
parte assistita, integra, nel contempo, sia il reato di patrocinio infedele di cui all'art. 380 c.p., che quello
d'appropriazione indebita previsto dall'art. 646 c.p.”.
Il Tribunale di Roma, sez. 4^ pen., con la sentenza 16.01.2006 n.26504, inoltre, ha ritenuto:
 “In tema di patrocinio o consulenza infedele, qualora l'avvocato con la sua condotta infedele, occultando
notizie o comunicando notizie false sul corso del processo, oltre a recare un danno al cliente si procuri
dolosamente un ingiusto profitto, deve ritenersi ipotizzabile il concorso materiale del reato di cui all'art.
-7-
I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
380 c.p. con quello di truffa. (Nella fattispecie, l'ingiusto profitto conseguito dal patrocinatore è
rappresentato dall'avere incassato in più occasioni somme di denaro per spese e onorari a fronte del
mancato svolgimento dell'incarico conferitogli.)”;
 “In tema di reato di patrocinio o consulenza infedele, sul piano soggettivo non assume alcun rilievo la
volontà specifica dell'agente di nuocere alla parte. Invero, per la punibilità di tale fattispecie delittuosa
non è necessario che il comportamento del patrocinatore sia posto in essere con il preciso scopo di
recare pregiudizio al cliente nel senso che l'infedeltà venga indirizzata con l'intento di ledere gli interessi
del medesimo. Il reato deve ritenersi integrato sotto il profilo del dolo, semplicemente con la
consapevolezza e la volontà di violare l'obbligo di curare gli interessi della parte difesa, assistita o
rappresentata nel processo, in conformità al mandato da essa ricevuto e a quanto le regole e le
incombenze processuali richiedono per l'adempimento di tale incarico”.
Andando in senso contrario ai principi più volte affermati dalla giurisprudenza di legittimità, invece, il Tribu nale di Roma, con la medesima decisione n.26504/2006 ha concluso che “Il presupposto del reato di infedele patrocinio è l'esercizio della difesa, rappresentanza e assistenza davanti all'autorità giudiziaria, intese
come oggetto del rapporto di partecipazione professionale e non come estrinsecazione effettiva di attività
processuale. Ne consegue che, ad integrare l'elemento oggettivo del delitto è sufficiente che l'avvocato si
renda infedele ai doveri connessi all'accettazione dell'incarico di difendere taluno dinanzi all'autorità giudiziaria, indipendentemente dall'attuale svolgimento di un'attività processuale e della pen denza della lite, dal momento che il pregiudizio in danno della parte può concretarsi nella dolosa asten sione dalla doverosa attività processuale (In applicazione di tale principio, il tribunale in composizione
monocratica ha ritenuto pienamente responsabile l'imputato dei reati di patrocinio infedele e di quello connesso di truffa, sebbene il professionista non avesse mai avviato alcun procedimento giudiziale nell'interesse della parte offesa. Nella fattispecie, quest'ultima aveva conferito all'avvocato l'incarico di curare la pro cedura di sfratto dell'inquilino conduttore dell'appartamento di sua proprietà. Il legale tuttavia, nonostan te avesse percepito in più occasioni acconti in denaro a titolo di spese e onorari ed avesse dato ampie rassi curazioni sullo svolgimento del mandato in favore del cliente, non compiva di fatto alcuna attività, renden dosi infedele ai suoi doveri professionali e procurando al cliente un grave pregiudizio economico.”.
Con riguardo, invece, ai comportamenti dell’avvocato che integrano la fattispecie di reato di cui all’art.381
c.p., merita ricordare il principio affermato dalla Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 28.04.1936
(in Giust. Pen. 1936, II, 738) per cui è sanzionato ai sensi del menzionato art.381 c.p., il comportamento del l’avvocato che, sia pure con il proposito di far vincere il proprio cliente, rediga una comparsa nell’interesse
dell’avversario, nonché la decisione del Tribunale di Sant’Angelo dei Lombardi 04.05.2006 n.63, per la quale
“Ai fini della sussistenza del reato p. e p. dall'art. 381 c.p., la norma incriminatrice considera sufficiente an che lo svolgimento del patrocinio per interposta persona”.
E’ stato, invece, escluso il reato di cui all'art. 381 comma I, c.p. qualora le parti apparentemente contrapposte,
in favore delle quali l'esercente la professione legale presti contemporaneamente la propria opera, persegua no in realtà un unico e lecito fine ad esse comune, facendo difetto, in tal caso, l'evento tipico del suddetto rea to, identificabile o nel nocumento arrecato al patrocinato o nel perseguimento di un fine illecito. (In applicazione di tale principio, la Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza 02.04.2001 n.13106, ha escluso che
potesse affermarsi la responsabilità penale di un avvocato il quale, dopo aver predisposto, per il promissario
acquirente di un bene immobile, un atto di citazione per ottenere, ai sensi dell'art. 2932 c.c., l'esecuzione spe cifica del preliminare di compravendita, aveva redatto, in favore del convenuto promittente la vendita, una
comparsa di risposta in cui non si negava l'esistenza o la validità del suddetto preliminare, ma si allegava soltanto l'impossibilità di adempierlo a cagione di un provvedimento di sequestro conservativo gravante sull'immobile).
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
6.
Le conseguenze della condotta infedele e/o sleale
dell’avvocato: il procedimento disciplinare
In caso di comportamenti contrari alle disposizioni della legge professionale forense, gli avvocati – oltre a es sere sottoposti alle disposizioni del codice penale e di procedura penale, per il caso in cui le violazioni integri no ipotesi di reato - sono sottoposti altresì a procedimento disciplinare.
Art.38 RDL 27.11.1933 n.1578 dispone infatti, che “Salvo quanto è stabilito negli artt. 130, 131 e 132 del codice di procedura penale e salve le disposizioni relative alla polizia delle udienze, gli avvocati e i procuratori
che si rendano colpevoli di abusi o mancanze nell'esercizio della loro professione o comunque di fatti non
conformi alla dignità e al decoro professionale sono sottoposti a procedimento disciplinare”.
Il potere disciplinare spetta al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati.
La competenza territoriale e i casi di conflitti di competenza
La competenza territoriale del Consiglio dell’Ordine degli avvocati chiamato a decidere sull’applicazione di
un provvedimento disciplinare a carico di un avvocato è individuata, quale principio generale, dall’art.38/2°
comma del R.D.L. 27.11.1933 n.1578. La menzionata norma dispone “La competenza a procedere disciplinarmente appartiene tanto al direttorio che ha la custodia dell’albo in cui il professionista è iscritto, quanto
al direttorio nella giurisdizione del quale è avvenuto il fatto per cui si procede: ed è determinata, volta per
volta, dalla prevenzione. Il direttorio che ha la custodia dell’albo nel quale il professionista è iscritto è tenu to a dare esecuzione alla deliberazione dell’altro direttorio.”
Per determinare la competenza del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, pertanto, occorre avere riguardo (i)
al luogo in cui è custodito l'albo in cui il professionista è iscritto,ovvero (ii) al luogo in cui è avvenuto il fatto
per cui si procede. Il Consiglio dell’Ordine che ha la custodia dell’albo nel quale il professionista è iscritto è
tenuto, poi, a dare esecuzione alle deliberazioni dell’altro Consiglio.
In via generale, allora può affermarsi che vi sia una duplice competenza alternativa , determinata, volta per
volta, dal criterio della prevenzione.
Vi sono, però, alcuni casi particolari che, secondo parte della dottrina, costituirebbero una deroga alla com petenza alternativa prevista dall’art.38 del R.D.L. 27.11.1933 n.1578.
Più precisamente:
 (i) se l’azione inizia in base a comunicazione dell’autorità giudiziaria, in ordine all’esistenza di un processo
penale che può dar vita all’azione disciplinare, ovvero all’applicazione della sospensione cautelare, la
competenza appartiene al Consiglio presso cui il professionista è iscritto, poiché tale Consiglio è
competente a decidere. L’Art.44/3° comma RDL 27.11.1933 n.1578, con riguardo al caso in cui l’avvocato
sia stato sottoposto anche a procedimento penale, prevede infatti, che: “…Le autorità giudiziarie e le altre
autorità competenti danno immediatamente avviso al Pubblico Ministero presso il Tribunale ed al
Consiglio dell’ordine che ha la custodia dell’albo, in cui il professionista è iscritto, dei provvedimenti per
i quali sono stabilite l’apertura del procedimento disciplinare o l’applicazione della sospensione
cautelare.”;
 (ii) se l’azione è diretta contro un consigliere dell’Ordine, la competenza è del Consiglio avente sede presso
la Corte d’appello più vicina. L’art. 1 del D.Lgs. n.597/1947 dispone infatti che “La competenza a
procedere disciplinarmente in confronto dell'avvocato o del procuratore che è componente del Consiglio
dell'ordine, appartiene al Consiglio costituito nella sede della Corte d'appello. Se egli appartiene a
quest'ultimo, è giudicato dal Consiglio costituito nella sede della Corte d'appello più vicina.”
 (iii) se l’azione è diretta contro un avvocato straniero, la competenza è del Consiglio dov’è avvenuto il fatto
e se riguarda avvocati italiani all’estero è del Consiglio ove il professionista è iscritto.
In giurisprudenza, la Suprema Corte di Cassazione a sezioni unite, con la sentenza 30.06.2008 n. 17760, ha
ritenuto, invece, che “la disposizione del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 44, comma 3, prevede soltanto che le
segnalazioni vengano inoltrate al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati più facilmente identificabile come titolare di competenza a decidere sulla segnalazione stessa, senza che si debba far riferimento al, sovente incerto, criterio del “locus commissi delicti”. E non sussistono elementi per sostenere che da simile disposizio ne procedimentale discenda una deroga alla “competenza alternativa” prevista dalla norma che disciplina
specificamente il tema della competenza per territorio”.
In tali casi, talora, può sorgere un conflitto di competenza disciplinare fra i sindacati locali per quanto con cerne l’esercizio del potere disciplinare, la cui risoluzione è demandata al Consiglio Nazionale Forense.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
L’art.49 del R.D.L. n.1578/1933 prevede infatti che “Spetta altresì al Consiglio nazionale forense di pronunciarsi sui conflitti di competenza fra i sindacati locali per quanto concerne l'esercizio del potere disciplina re”. L’art.3 del D.Lgs n.597/1947, dispone, inoltre, che “Il Consiglio nazionale forense, oltre a esercitare le
altre funzioni demandategli dall'ordinamento sulle professioni di avvocato e di procuratore, decide:
 a) sui conflitti di competenza fra i Consigli degli ordini;
 b) sul reclamo del praticante avverso il diniego del rilascio di certificato di compiuta pratica”.
Un conflitto di competenza può verificarsi anche in senso negativo, quando nessuno dei due Ordini si ritenga
competente a decidere. Anche in questo caso, l’interessato potrà rivolgersi al Consiglio Nazionale forense, il
quale deciderà in ordine all’attribuzione del procedimento.
L’avvio del procedimento disciplinare
La fase di avvio del procedimento è disciplinata dall’art.38 R.D.L. n.1578/1933 e dall’art.47 RD. n.37/1934.
In particolare, il 3° comma dell’art.38 citato dispone che “Il procedimento disciplinare è iniziato di ufficio o su
richiesta del Pubblico Ministero presso la Corte d'appello o il Tribunale, ovvero su ricorso dell'interessato.”
L’art. 47 RD. n.37/1934, poi, precisa che “Il segretario del sindacato, presidente del direttorio deve dare immediata comunicazione all'interessato e al Pubblico Ministero dei procedimenti disciplinari che siano stati
iniziati a termini dell'art. 38 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578. La comunicazione deve contenere la
enunciazione sommaria dei fatti per i quali il procedimento è stato iniziato. Lo stesso Presidente, o un com ponente del Consiglio da lui delegato, raccoglie quindi le opportune informazioni e i documenti che reputa
necessari ai fini del procedimento nonché le deduzioni che gli pervengano dall'incolpato e dal Pubblico Mi nistero, stabilisce quali testimoni siano utili per l'accertamento dei fatti e provvede a ogni altra indagine. Il
Presidente nomina poi il relatore tra i componenti del Consiglio, e fissa la data della seduta per il giudizio,
ordinando la citazione dell'incolpato, con l'osservanza del termine prescritto nell'art. 45 del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578.”
Dalla lettura coordinata delle due menzionate disposizioni discende, perciò, che il procedimento disciplinare
inizia o d’ufficio o su istanza della parte interessata ovvero su richiesta del P.M..
E allora, non appena il Consiglio dell’Ordine ha notizia di un fatto che potrebbe essere sanzionato sul piano
disciplinare, svolge una sommaria valutazione dei fatti addebitati per valutarne la fondatezza e rilevanza, oltre alla propria competenza a decidere.
Se gli stessi risultano manifestamente infondati o irrilevanti il Consiglio delibera immediatamente l’archiviazione. Qualora invece i fatti abbiano una rilevanza deontologica, il Presidente del Consiglio dell’Ordine dispone l’apertura del procedimento disciplinare con la formulazione dei relativi capi di incolpazione e ne dà comunicazione all’interessato ed al P.M..
Tale comunicazione è di rilievo, perché:
 interrompe la prescrizione quinquennale;
 determina la competenza tra i due possibili fori alternativi.
L’istruttoria
Una volta avviato il procedimento disciplinare, in base al principio del contraddittorio, il Consiglio deve
ascoltare l’interessato e il P.M, i quali possono presentare deduzioni – anche scritte – memorie, documenti,
richiesta di escussione testi ovvero di acquisizione di ulteriore documentazione probatoria. Il legislatore, in fatti, non sembra aver posto alcuna limitazione di carattere probatorio.
L’art. 47 RD. n.37/1934, dispone, infatti, che “… Lo stesso Presidente, o un componente del Consiglio da lui
delegato, raccoglie quindi le opportune informazioni e i documenti che reputa necessari ai fini del procedi mento nonché le deduzioni che gli pervengano dall'incolpato e dal pubblico ministero, stabilisce quali testimoni siano utili per l'accertamento dei fatti e provvede a ogni altra indagine.”
Quindi, espletata l’attività istruttoria “Il Presidente …. fissa la data della seduta per il giudizio, ordinando
la citazione dell'incolpato, con l'osservanza del termine prescritto nell'art. 45 del R.D.L. 27 novembre
1933, n. 1578.” (così il citato art.47).
Parte degli interpreti, con riguardo alla funzione a cui adempia tale attività istruttoria (così G. ORSONI, in
L’ordinamento professionale forense, Padova, 2005, pp.76 e ss.) ha osservato che l’art.47 cit. attribuisce il
potere istruttorio unicamente al Presidente del Consiglio, ovvero a un suo delegato (e cioè a un organo monocratico e non collegiale), il quale non ha il potere di “rilevazione e raccolta delle prove”, bensì di “raccolta
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
degli elementi reputati utili ai fini dell’accertamento dei fatti”. Si tratterebbe, cioè, di un’attività di carattere
sommario e monocratico, con funzione prodromica e inerente al successivo dibattimento, che “… non trova
quale momento conclusivo la prospettazione (per quanto generica e sommaria) di un’ipotesi di responsabilità disciplinare, quanto, invece, la mera esposizione (rappresentativa) delle contestazioni svolte, in sede di
esercizio dell’iniziativa procedimentale. E cioè in sede di avvio del procedimento”. (Così G. ORSONI, in op.
cit., p.77.) D’altra parte, anche il successivo art.48 RDL n.37/1934, tra gli elementi essenziali dell’atto di cita zione contiene unicamente la “menzione circostanziata degli addebiti” e “l'elenco dei testimoni che saranno
presentati in giudizio”, senza alcuna previsione di includervi gli esiti di un’attività di accertamento e verificazione delle contestazione.
La fase istruttoria termina o con una deliberazione di archiviazione (qualora - già a una prima valutazione
sommaria – emerga la palese insussistenza dei presupposti necessari a configurare un’ipotesi di responsabili tà disciplinare) ovvero con il successivo rinvio a giudizio e la citazione dell’incolpato.
Se viene disposto il rinvio a giudizio, il Presidente nomina il Consigliere relatore e notifica all’incolpato la
data di fissazione del dibattimento, concedendogli un termine di comparizione non inferiore a 10 giorni e ordinandone la citazione con un atto (art.48 RDL n.37/1934) che contiene:
 le generalità dell’incolpato;
 l’indicazione precisa e determinata degli addebiti (a pena di nullità);
 il luogo, il giorno e l’ora della comparizione;
 l’avviso che l’incolpato potrà farsi assistere da un difensore;
 l’avviso che si procederà al giudizio anche in caso di mancata comparizione;
 l’elenco dei testi che saranno escussi;
 il termine entro il quale l’incolpato, il suo difensore ed il PM, potranno prendere visione degli atti,
presentare deduzioni ed indicare testi;
 la data di emissione e la sottoscrizione del Presidente.
L’atto di citazione deve essere notificato anche al PM.
Il dibattimento
La fase dibattimentale del procedimento è disciplinata dagli artt. 49 e 50 del RDL n.37/1934.
Più precisamente, l’art. 49 dispone che “L'incolpato e il Pubblico Ministero, qualora inducano testimoni a
termini del n. 5 del precedente articolo, debbono esporre sommariamente le circostanze sulle quali intendono che i testimoni siano esaminati. Il segretario del sindacato, presidente del direttorio, ordina la citazione
dei testimoni indicati. Qualora non sia possibile provvedere tempestivamente per la citazione dei testimoni
indicati, il Presidente ordina il rinvio del giudizio ad altra prossima seduta, dandone immediatamente co municazione all'incolpato, al Pubblico Ministero e ai testimoni già citati.”
Il successivo art.50 precisa poi che “Nella seduta stabilita, il relatore espone i fatti e le risultanze del procedimento. Viene interrogato quindi l'incolpato, sono esaminati i testimoni e il difensore è ammesso a esporre
le sue deduzioni. L'incolpato ha per ultimo la parola, se la domanda. Qualora l'incolpato non si presenti né
giustifichi un legittimo impedimento, si procede in sua assenza”.
L’attenzione del legislatore nella disciplina della prova per testimoni evidenzia che la fase dibattimentale è
caratterizzata dall’oralità dell’istruttoria. In dottrina, da tale constatazione un autore ha osservato che “all’oralità dell’istruttoria non può che conseguire – vista la sua determinante incidenza, nella fase dibattimen tale – la configurazione dell’oralità dell’intero procedimento. E a una tale teorizzazione soccorre, altresì,
un’ulteriore circostanza. Qualora, infatti, nel corso del dibattimento, abbia luogo l’emersione di elementi
idonei a supportare un nuovo ed ulteriore addebito, in tal caso, è sufficiente procedere ad una contestazio ne formale nei confronti dell’incolpato a prescindere da qualsiasi adempimento di carattere documentale.
E il diritto di difesa, si ritiene tutelato, consentendo il mero rinvio dell’udienza dibattimentale.” (Così G. ORSONI, in L’ordinamento professionale forense, Padova, 2005, p.80.).
L’udienza è presieduta dal Presidente del Consiglio dell’Ordine, ovvero (in sua assenza) dal Consigliere anziano e non è pubblica.
Per la validità della delibera, il quorum costitutivo deve essere della maggioranza dei membri del Consiglio.
L’udienza può essere rinviata su richiesta dell’interessato, il quale ha anche facoltà di non presentarsi. Può
presenziare il PM, con facoltà di presentare le sue conclusioni.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
Il consigliere incaricato apre l’udienza dando lettura della sua relazione, cui segue l’interrogatorio dell’incolpato, l’esame dei testi, le deduzioni della difesa. In ogni caso, l’incolpato, ove lo richieda, ha diritto ad avere
per ultimo la parola.
Chiusa la discussione e dopo aver allontanato l’interessato ed il difensore, il Consiglio delibera a maggioranza
dei voti. In caso di parità il voto del Presidente vale il doppio.
La conclusione del procedimento disciplinare: la decisione.
Al termine della fase dibattimentale, dopo la discussione, il Consiglio dell’Ordine adotta la decisione.
L’art.51 RDL n.37/1934 prevede, al riguardo, che “Chiusa la discussione, il direttorio delibera fuori della
Presenza dell'incolpato e del difensore. Si osservano, in quanto applicabili, le disposizioni dell'art. 473 del
codice di procedura penale. La decisione è redatta dal relatore e deve contenere la esposizione dei fatti, i
motivi sui quali si fonda, il dispositivo, l'indicazione del giorno, del mese e dell'anno in cui è pronunziata e
la sottoscrizione del Presidente e del segretario. Essa è pubblicata mediante deposito dell'originale negli uffici di segreteria.”
La decisione può essere di archiviazione ovvero di inflizione di sanzione.
Quale atto attraverso cui si estrinseca un potere amministrativo proprio del Consiglio dell’ordine, si tratta di
un provvedimento amministrativo. Elemento essenziale della decisione è, pertanto, la motivazione, redatta
dal Consigliere relatore, la quale deve contenere l’esposizione dei fatti, i motivi a sostegno della decisione, il
dispositivo, l’indicazione dell’anno, mese e giorno della pronuncia e la sottoscrizione anche del Presidente e
del segretario.
La giurisprudenza di legittimità ha precisato, al riguardo, che poiché la funzione disciplinare, di cui sono tito lari i Consigli dell’Ordine è manifestazione di un potere amministrativo, attribuito dalla legge per l’attuazione
del rapporto che si instaura con l’appartenenza all’Ordine, per quanto i Consigli operino con la garanzia di un
procedimento, ciò non vale ad attribuire ad esso alcun connotato giurisdizionale (così Cass. SS. UU.
n.10688/2002, ma si veda anche TAR Abruzzo, 09.01.2003 n.166).
La pubblicazione della decisione avviene con il deposito in segreteria e la notificazione di copia integrale al l’interessato e al pubblico ministero presso il tribunale, entro 15 giorni (art.50 l.p.f.).
Il ricorso al Consiglio Nazionale Forense
La decisione del Consiglio dell’Ordine può essere impugnata con ricorso al Consiglio Nazionale Forense.
Legittimati all’azione sono unicamente due soggetti: il professionista incolpato ed il P.M. presso la Corte
d’Appello. Le disposizioni contenute negli artt.50, 56 – 65 della legge sull’ordinamento forense, infatti, non
contemplano alcuna forma di intervento del terzo esponente.
L’art.50 del RDL 27.11.1933 n.1578 dispone, che “Le decisioni del direttorio del sindacato nazionale e del direttorio di un sindacato locale sono notificate in copia integrale entro quindici giorni all'interessato ed al
Pubblico Ministero presso il Tribunale, al quale sono comunicati contemporaneamente anche gli atti del
procedimento disciplinare. Il Pubblico Ministero presso il Tribunale riferisce entro dieci giorni con parere
motivato al Pubblico Ministero presso la Corte d'appello. Quest'ultimo e l'interessato possono, entro venti
giorni dalla notificazione di cui al comma precedente, proporre ricorso al Consiglio superiore forense…”.
Perciò, dopo aver ricevuto copia della decisione, il pubblico ministero riferisce (entro dieci giorni) con parere
motivato al Procuratore Generale presso la Corte d’Appello, il quale (come pure l’incolpato) può proporre ri corso al Consiglio Nazionale forense entro venti giorni dalla notificazione della decisione.
Merita evidenziare che il ricorso non deve essere notificato, ma deve essere depositato (“presentato”) negli
uffici del Consiglio dell’Ordine che ha emesso il provvedimento impugnato entro il suddetto termine di venti
giorni dalla notifica della decisione (art.50, 2° comma l.p.f. e 59 RDL n.37/1934).
L’art.59 del RDL n.37/1934 prescrive, poi, che: “Il ricorso alla commissione centrale è presentato negli uffici
del direttorio che ha emesso la pronuncia, e deve contenere l'indicazione specifica dei motivi sui quali si
fonda, ed essere corredato della copia della pronuncia stessa, notificata al ricorrente. Agli effetti della decorrenza del termine per il ricorso incidentale preveduto nell'art. 50, comma terzo, R.D.L. 27 novembre
1933, n. 1578, si ha riguardo alla data in cui è stata fatta la notificazione del provvedimento impugnato al
professionista interessato e, nel caso di più professionisti, alla data dell'ultima notificazione. L'ufficio del
direttorio comunica immediatamente, in copia, alle altre parti il ricorso che sia stato presentato a norma
del comma primo del presente articolo. Al Pubblico Ministero è anche comunicata la data dell'ultima notifi -
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
cazione del provvedimento impugnato ai professionisti interessati. Il ricorso e gli altri atti del procedimento rimangono depositati negli uffici del direttorio per il termine di dieci giorni dalla scadenza di quello stabilito per ricorrere. Nel caso di cui all'art. 50, comma terzo, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578, il termi ne del deposito decorre dalla scadenza di quello stabilito per il ricorso incidentale. Fino a quando gli atti ri mangono depositati le parti interessate possono prenderne visione, proporre deduzioni ed esibire docu menti. Il ricorso e gli altri atti nonché le deduzioni ed i documenti di cui al comma precedente sono quindi
trasmessi alla Commissione centrale”.
Gli atti, perciò, dopo essere stati depositati negli uffici del Consiglio dell’Ordine, vengono trasmessi alla segreteria
del Consiglio Nazionale forense, che li comunica al procuratore generale presso la Corte di Cassazione. Quest’ultimo dovrà curare la restituzione non oltre 15 giorni dalla ricezione (artt.59 e 60 RDL n.37/1934).
Contemporaneamente la stessa segreteria comunica al ricorrente e alle altre parti interessate (e cioè al Consiglio
dell’Ordine che ha emesso il provvedimento e al procuratore generale presso la Corte di Cassazione) che gli atti rimarranno depositati negli uffici del Consiglio Nazionale Forense <per il termine di dieci giorni a decorrere dal
giorno successivo a quello in cui il pubblico ministero deve effettuarne la restituzione>.
Per poter ricevere tempestivamente le comunicazioni in parola (oltre che ai fini delle notificazioni ex lege), l’art.60
del menzionato R.D.L. n.37/1934 prevede che le parti eleggano “il proprio domicilio in Roma presso una persona od un ufficio e darne avviso alla segreteria della Commissione. In mancanza della elezione di domicilio, le comunicazioni e le notificazioni sono fatte mediante deposito nella segreteria del Commissione centrale”.
Durante il termine dei dieci giorni successivi al deposito degli atti da parte del PM, il ricorrente, il suo difensore e le altre parti (e così il procuratore generale della Cassazione) possono prendere visione degli atti, pro porre deduzioni ed esibire documenti (art.61 RDL n.37/1934).
Il Presidente del Consiglio Nazionale forense nomina quindi il relatore tra i componenti del Consiglio e fissa
la data della seduta per la discussione del ricorso.
Anche questo provvedimento deve essere comunicato a tutte le parti (incolpato, pubblico ministero e consiglio dell’ordine).
Il ricorso incidentale avanti al Consiglio Nazionale Forense
L’art.50 del RDL 27.11.1933 n.1578 dopo aver fissato il termine di venti giorni dalla notificazione della deci sione per la proposizione del ricorso prevede che “Nel caso che abbia ricorso soltanto il professionista, il
Pubblico Ministero può proporre ricorso incidentale entro quindici giorni dalla scadenza del termine di cui
al comma precedente. Per effetto del ricorso incidentale la commissione centrale può, limitatamente ai
punti della decisione ai quali si riferiscono i motivi proposti, infliggere al professionista ricorrente una
pena disciplinare più grave, per specie e durata, di quella inflitta dal Consiglio dell'ordine. Il ricorso incidentale mantiene efficacia nonostante la successiva rinuncia del professionista al proprio ricorso. Il ricorso
ha effetto sospensivo. Gli effetti del ricorso sono limitati ai professionisti che lo hanno proposto”.
Il giudizio avanti al Consiglio Nazionale Forense: l’istruttoria
Dopo il deposito del ricorso e degli atti, con le deduzioni del ricorrente, il Presidente del Consiglio Nazionale
forense nomina il relatore tra i componenti del Consiglio e fissa la data della seduta per la discussione del ricorso.
La segreteria provvede a comunicare tempestivamente al ricorrente, al Pubblico Ministero e al Consiglio dell’Ordine il provvedimento del Presidente del Consiglio Nazionale forense.
L’udienza è pubblica (salvo che l’interessato chieda espressamente l’udienza a porte chiuse) e si svolge attra verso la relazione, l’intervento dell’incolpato e le conclusioni.
La legge sull’ordinamento professionale forense non prevede alcuna specifica attività istruttoria da parte del
Consiglio Nazionale Forense. E’, perciò, rimessa alla discrezionalità del ricorrente proporre eventuali dedu zioni istruttorie o esibire documenti ed alla discrezionalità del Consiglio Nazionale Forense di procedere a
“tutte le ulteriori indagini ritenute necessarie per l'accertamento dei fatti.” (così art.63 RDL n.37/1934). E’
evidente, pertanto, che si tratta di un’istruttoria meramente “eventuale”, che può trovare ragione esclusiva mente nella necessità di integrare le risultanze del precedente giudizio avanti al Consiglio dell’Ordine.
In dottrina, al riguardo, vi è chi ha evidenziato che si tratta di un’ulteriore anomalia del procedimento avanti
al Consiglio Nazionale Forense ove si consideri che la struttura appare quella tipica dei giudizi di impugnazione, però, il giudizio avanti al Consiglio Nazionale Forense non può qualificarsi quale giudizio di impugna-
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zione in senso proprio, “in quanto oggetto di cognizione non è un provvedimento giurisdizionale, emesso da
un organo titolare di una tale funzione, ma, invece, si tratta di un provvedimento amministrativo. Provvedimento adottato a conclusione di un procedimento amministrativo, nell’esercizio di tale potestà. Tutto ciò
fa sì che il giudizio avanti il CNF non sia idoneo ad assumere la configurazione di un giudizio di secondo
grado. Senza dimenticare che, come ha rilevato un autore [L. Mazzarolli, Riflessione sul procedimento di sciplinare, in Rass. Forense, 1996, 445] il ricorso proposto avanti il CNF non può intendersi quale impugnazione, in senso stretto, in quanto non è preordinato ad un giudizio volto all’eliminazione di un provvedimento che si ritiene affetto da vizi, ma piuttosto ad un giudizio volto a non vedere inciso il suo status pro fessionale per effetto di un atto non legittimamente adottato.” (Così G. ORSONI, in L’ordinamento professionale forense, Padova, 2005, p.110.).
Il giudizio avanti al Consiglio Nazionale Forense: la decisione
L’art.64 del R.D.L. n.37/1934 dispone che “Le decisioni della commissione centrale sono pronunciate in
nome del Re, sono redatte dal relatore e devono contenere l'indicazione dell'oggetto del ricorso, le deduzio ni del ricorrente, le conclusioni del Pubblico Ministero, quando sia intervenuto, i motivi sui quali si fondano, il dispositivo, l'indicazione del giorno, del mese e dell'anno in cui sono pronunziate, la sottoscrizione del
Presidente e del segretario. Esse sono pubblicate mediante deposito dell'originale nella segreteria della
Commissione. Una copia ne e comunicata immediatamente al Procuratore generale presso la Corte di cassazione, al quale debbono essere comunicate anche le date in cui siano state eseguite le notificazioni delle
decisioni stesse alle altre parti interessate”.
Dalla lettura del menzionato art.64 del RDL n.37/1934 emerge che il dispositivo della sentenza non viene let to in aula, perché costituisce parte della decisione, la quale contiene, più precisamente:
 l’oggetto del ricorso;
 le deduzioni del ricorrente;
 le eventuali conclusioni del Procuratore Generale;
 i motivi;
 il dispositivo;
 le indicazioni dell’anno, mese e giorno della pronuncia;
 la sottoscrizione del segretario e del Presidente.
La decisione viene pubblicata mediante deposito in segretaria ed è notificata in copia autentica entro 30 giorni all’interessato, al Consiglio dell’Ordine ed al Pubblico Ministero presso il Tribunale e la Corte d’appello cui
appartiene l’incolpato.
Discussa è, tra gli interpreti, la natura delle decisioni del Consiglio Nazionale Forense.
Secondo alcuni si tratterebbe di un provvedimento giurisdizionale, immediatamente esecutivo (Così G. ORSONI, in op. cit., p.111.). Indurrebbe a tale conclusione la lettura sia dell’art.64 citato (nella parte in cui dispone che la decisione in parola è pronunciata “in nome del Popolo Italiano”), sia dell’art.56 del RDL
27.11.1933 n.1578 (laddove chiarisce che “Gli interessati ed il Pubblico Ministero possono proporre ricorso
avverso le decisioni della Commissione centrale alle sezioni unite della Corte di cassazione, entro
trenta giorni dalla notificazione, per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge. Il ricorso non ha effetto sospensivo. Tuttavia l'esecuzione può essere sospesa dalle sezioni unite della Corte di
cassazione, in camera di consiglio, su istanza del ricorrente ….”).
La Cassazione, a sezioni Unite, con la sentenza n.596/76 ha rilevato l’inammissibilità del ricorso proposto
avanti le Sezioni Unite della Cassazione avverso una decisione del Consiglio Nazionale Forense che, risolvendo un conflitto di competenza, si sia limitata ad indicare il Consiglio dell’Ordine competente per territorio
giustificata dal fatto che la mancata statuizione su posizioni giuridiche di diritto soggettivo andrebbe a privare le decisioni del Consiglio Nazionale Forense del carattere giurisdizionale, dando luogo a meri provvedi menti amministrativi, non impugnabili.
Il ricorso alle sezioni Unite della Cassazione
Avverso la decisione del Consiglio nazionale Forense, tutte le parti del giudizio possono proporre impugna zione innanzi alle Sezioni Unite della Cassazione.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
Le decisioni sono ricorribili per: (i) incompetenza, (ii) eccesso di potere e (iii) violazione di legge, in relazione
ad un difetto di motivazione, quando questa manchi, non sia logicamente ricostruibile o sia priva di congruenza logica.
Al riguardo, è di interesse la sentenza 22.02.2007, n. 4114 della Suprema Corte di Cassazione Sezioni Unite
civili con la quale è stato affermato il principio per cui “ai sensi dell'art. 56 comma 3, del R.D.L. n. 1578 del
1933, convertito nella legge n. 36 del 1934 e dell'art. 68 comma 1, del R.D. n. 37 del 1934 le decisioni del
Consiglio Nazionale Forense nella materia disciplinare sono ricorribili per Cassazione soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che avverso dette decisioni non possono
essere denunziati vizi motivazionali riconducibili all'ambito dell'art. 360, comma 1, n. 5 c.c., limitandosi il
controllo di legittimità sulla motivazione ai casi in cui si configuri una assoluta mancanza o una mera ap parenza o una totale illogicità o perplessità di essa, tale da non consentire di individuare la ratio decidendo
e quindi da integrare una inosservanza dell'obbligo imposto al giudice dall'art. 132, comma 2, n. 4 c.c. di
esporre concisamente i motivi in fatto e in diritto della decisione (v. per tutte in tal senso S.U. 2005 n.
4802; 2004 n. 23234; 2003 n. 5072; 2002 n. 8144; 2002 n. 1732; 2002 n. 487).”
In sede di ricorso in Cassazione (secondo quanto prescrive l’art.56 del RDL 27.11.1933 n.1578), è possibile an che chiedere la sospensione della esecutività della decisione del Consiglio Nazionale Forense. La decisione
della Suprema Corte, sull’istanza di sospensione, è presa in Camera di Consiglio, prima della discussione del
ricorso principale.
Il ricorrente, entro 30 giorni deve notificare il ricorso a tutte le altre parti interessate, a pena di inammissi bilità. Esso deve contenere l’esposizione dei fatti e dei motivi sui quali si fonda, evidenziando in particolare
l’incompetenza, la violazione di legge o l’eccesso di potere che giustificano l’impugnazione.
Nei 15 giorni successivi alla notificazione, l’originale del ricorso dev’essere depositato nella cancelleria
della Suprema Corte, unitamente a copia della decisione impugnata, notificata al ricorrente, a pena di improcedibilità.
Nei 20 giorni successivi alla notificazione, gli interessati possono depositare le loro deduzioni.
La Cancelleria comunica copia del ricorso al Procuratore Generale e richiede gli atti del processo alla segreteria del Consiglio Nazionale Forense.
Il Primo Presidente della Corte di Cassazione nomina un relatore, fa comunicare gli atti al Procuratore Generale e fissa l’udienza di discussione del ricorso che notifica alle parti almeno 15 giorni prima.
L’interessato può presenziare e svolgere la propria difesa anche personalmente ovvero può farsi assistere da
un avvocato, purché abilitato all’esercizio innanzi alla Cassazione, al quale avrà conferito mandato speciale,
L’interessato, inoltre, elegge domicilio in Roma (diversamente si considera domiciliato presso la segreteria
del Consiglio Nazionale Forense).
All’incolpato deve essere concesso un termine minimo inderogabile di almeno 10 giorni per comparire all’udienza ed un termine di meno di 10 giorni per prendere visione degli atti del procedimento.
Negli stessi termini presenta le sue conclusioni il Procuratore Generale.
Il procedimento segue le disposizioni del processo civile innanzi alla Corte di Cassazione.
Il giudizio deve concludersi entro 90 giorni.
Se la Suprema Corte annulla con rinvio, il Consiglio Nazionale Forense deve provvedere uniformandosi alla
decisione della Corte sul punto in cui vi è stata la pronuncia.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
7.
Riferimenti giurisprudenziali
Sul dovere di correttezza e lealtà
Cass. sez. 3^ civ.16.05.2006 n.11379, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Proposta da una compagnia di assicurazione opposizione all'esecuzione, qualora il creditore abbia proceduto
esecutivamente benché in precedenza fosse stato inviato al suo difensore (e coniuge) un assegno circolare a
soddisfazione del credito, risulta corretta la motivazione della sentenza di merito che, nel definire con il riget to l'opposizione, disponga la integrale compensazione delle spese rilevando che il comportamento del creditore si era posto in contrasto con i doveri di lealtà e probità di cui all'art. 88 cod. proc. civ., avendo egli omesso di comunicare il proprio rifiuto di ricevere l'assegno prima di dare inizio all'esecuzione, adducendo a giustificazione la mancanza del potere di riscuotere in capo al difensore, così comportandosi in modo palese mente teso a lucrare anche le spese dell'esecuzione.
Cass. SS.UU. 10.01.2006 n.134, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
L'avvocato che, dopo aver assistito congiuntamente i coniugi in una procedura di separazione non conclusasi
con omologa, assuma la difesa di un coniuge contro l'altro nel giudizio di separazione personale, pone in es sere un comportamento deontologicamente scorretto, e quindi passibile di sanzione disciplinare, in quanto
l'art. 37, 3° comma, del codice deontologico pone per l'avvocato un obbligo assoluto di astensione a prescin dere se il conflitto di interessi è reale o solo potenziale.
Cass. SS.UU. 17.04.2003 n.6188, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
La violazione del dovere di informazione, discendente dai primari doveri di correttezza e lealtà, nonché dal
dovere di colleganza, costituisce illecito disciplinare.
Cass. SS.UU. 10.08.1996 n.7401, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
L`avvocato costituisce un collaboratore della giustizia, sicche` la sua condotta, anche se estranea all`attivita`
professionale da lui svolta, deve in ogni caso conformarsi a criteri di correttezza, dignita` e decoro (nella specie, la S.C. ha confermato, siccome adeguatamente motivata, la decisione del giudice disciplinare che aveva
inflitto la sanzione ad un avvocato il quale, incontrata la moglie da cui viveva separato per le strade di un pic colo centro, l`aveva ingiuriata e percossa, cosi da suscitare commenti sfavorevoli o riprovevole curiosità in
grado di riflettersi sull`intera classe forense).
Cass. SS.UU. 27.10.1995 n.11176, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Il comportamento dell'avvocato, il quale, dopo avere difeso una parte, assume nella medesima vicenda il pa trocinio della parte avversa, e` lesivo della reputazione del professionista e della dignità della classe forense,
in quanto la cura degli interessi della controparte rende possibile l'uso delle informazioni acquisite a causa
del precedente incarico, creando una situazione non conforme alla dignità di avvocato ed al dovere di lealtà
connesso alla delicatezza delle funzioni espletate, suscettibile di riflettersi sull'intera classe forense. Tale
comportamento configura, pertanto, un illecito sanzionabile ai sensi dell'art. 38 del R.D.L. 27 Novembre 1933
n.1578, indipendentemente dalla circostanza che la condotta in oggetto si sia o no rivelata dannosa per le
parti e che la difesa della parte avversa sia stata assunta solo nella fase esecutiva ed a distanza di alcuni anni
da quando era cessata l'attività difensiva in favore della parte originariamente assistita.
Cass. SS.UU. 09.06.1989 n.2784, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
La violazione da parte di avvocato o procuratore del dovere di lealtà e probità, ovvero del divieto di usare
espressioni sconvenienti ed offensive, a norma degli artt. 88 ed 89 c. p.c., può dar luogo, oltre ai provvedi menti adottabili nel processo in cui tali fatti vengono commessi, anche l'irrogazione di sanzione disciplinare,
ai sensi dell'art. 38 del r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578, ove il relativo comportamento non sia conforme alla
dignità ed al decoro della professione (alla stregua di valutazioni di merito, in ordine alle quali il sindacato
delle sezioni unite della corte di cassazione, su ricorso contro pronuncia del consiglio nazionale forense, e`
circoscritto ad eventuali vizi della motivazione).
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
C.N.F., 15.07.2005, n.178 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che non destini le somme ricevute
dal cliente allo scopo pattuito ma le trattenga per sé e solo successivamente, alla denuncia di quest'ultimo, le
restituisca. (Nella specie, nei confronti dell'avvocato che si era fatto consegnare e aveva trattenuto per sé
somme del cliente prospettandogli falsamente la conclusione di un accordo transattivo, la sanzione della sospensione per mesi sei è stata ridotta a mesi quattro in considerazione dei buoni precedenti e del fatto che
l'avvocato aveva restituito le somme al cliente con l'aggiunta, peraltro di un pur lieve risarcimento). (Accoglie
parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Ravenna, 19/1/1996).
C.N.F., 01.09.2005, n.194 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che a seguito della revoca del man dato invii numerose parcelle all'ex cliente così chiedendo compensi eccessivi, usi in scritti difensivi espressio ni offensive nei confronti di un magistrato e nei confronti del consiglio dell'ordine e del suo presidente. Il
professionista, infatti, nell'espletamento della sua attività può manifestare la massima fermezza tanto negli
scritti, quanto negli interventi orali pur sempre però nella rigorosa osservanza dei principi di probità e cor rettezza propri della classe forense. (Nella specie è stata confermata la sanzione della sospensione per mesi
due). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 14/12/2001).
C.N.F., 14.10.2005, n.220 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che falsamente affermi in una causa che la relazione di notifica della comunicazione di deposito del decreto di sequestro era stata falsificata
dall’ufficiale giudiziario allo scopo di escludere il termine perentorio, così supponendo una intercorsa collu sione tra il collega di controparte e l’ufficiale giudiziario, mentre egli stesso era consapevole, perché avvertito
dallo stesso pubblico ufficiale, delle ragioni della correzione legittimamente effettuata. (Nella specie è stata
confermata la sanzione dell’avvertimento. (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Padova, 14/2/2003).
C.N.F., 03.11.2005, n.240 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di dignità e decoro,
l’avvocato che assuma ingiustificate plurime azioni processuali a carico dei debitori provocando, peraltro, un
aumento delle spese processuali, a nulla rilevando ai fini disciplinari che tale comportamento sia processual mente consentito. (Nella specie è stata confermata la sanzione della censura). (Rigetta il ricorso avverso deci sione C.d.O. di Torino, 15/1/2003).
C.N.F., 03.11.2004, n.248 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente corretto l’avvocato che non comunichi al collega di
controparte lo svolgimento di un attività extragiudiziale svolta nell’interesse del proprio assistito. (Nella spe cie è stato ritenuto non responsabile disciplinarmente l’avvocato che nell’ambito di un procedimento contenzioso di separazione fra due coniugi, a mezzo di una procura notarile rilasciata dal suo cliente aveva provveduto ad estinguere i conti intestati ai due coniugi e, dopo la redazione dell’inventario, ad aprirne uno nuovo
intestato al suo assistito).
C.N.F., 03.11.2004, n.244 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di fedeltà e correttezza il professionista che assuma un incarico difensivo contro ex clienti, specie specie quando il giudizio successivamente instaurato, pur avendo un petitum diverso, scaturisca da un identico rapporto. (Nella specie,
anche in considerazione della rinuncia al secondo mandato la sanzione della censura è stata sostituita dalla
più lieve sanzione dell’avvertimento nei confronti dell’avvocato che dopo aver difeso una parte nel giudizio di
sfratto aveva assunto la difesa della controparte nel successivo giudizio per il risarcimento del danno).
C.N.F., 03.11.2004, n.243 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché in violazione del dovere di lealtà e
correttezza, l’avvocato che chieda il pagamento del compenso professionale al proprio cliente pur avendo già
ottenuto il pagamento della parcella dalla compagnia di assicurazione. (Nella specie è stata confermata la
sanzione della sospensione per due mesi).
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
C.N.F., 03.11.2004, n.242 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che, in presenza del cliente e di
terzi estranei, usi nei confronti del collega di controparte espressioni sconvenienti e denigratorie. (Nella specie è stata confermata la sanzione dell’avvertimento per l’avvocato che aveva usato nei confronti della collega
di controparte la seguente frase per l’avvocato “…Lei è giovane non ha esperienza”)
C.N.F., 03.11.2004, n.241 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del rapporto di colleganza e del
dovere di correttezza a cui ciascun professionista è tenuto, l'avvocato che produca in giudizio copia di un
esposto disciplinare presentato dalla propria assistita nei confronti del collega di controparte. (Nella specie è
stata confermata la sanzione dell'avvertimento). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Perugina,
22/5/2003).
C.N.F., 18.10.2004, n.238 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di lealtà, correttezza
e difesa l'avvocato che abbandoni il giudizio all'insaputa del cliente e successivamente al fine di occultare l'omesso svolgimento del mandato sottoponga al cliente un documento falso. (Nella specie è stata confermata la
sanzione della sospensione per mesi due nei confronti dell'avvocato che aveva abbandonato il giudizio e suc cessivamente aveva sottoposto al cliente un atto di quietanza, per un presunto risarcimento, risultato successivamente falso). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lecce, 12/7/2000).
C.N.F., 14.10.2004, n.234 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che nominato difensore di fiducia,
non sia presente alle udienze, sebbene le nomine per la difesa gli fossero state regolarmente notificate, e non
eserciti pertanto l'attività difensiva omettendo così di svolgere il mandato ricevuto. (Nella specie la sanzione
della sospensione per mesi quattro è stato ridotta a mesi due). (Accoglie parzialmente il ricorso avverso deci sione C.d.O. di Vicenza, 27/10/2003).
C.N.F., 14.10.2004, n.232 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che nominato commissario liquidatore in una amministrazione coatta di società disponga illegittimamente di rilevanti somme della stessa e
omettendo altresì ogni controllo nei confronti dei suoi collaboratori consenta anche a questi di accedere illegittimamente ai fondi liquidi della società. (Nella specie è stata confermata la sanzione della cancellazione
dall'albo). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Genova, 23/10/2002).
C.N.F., 13.10.2004, n.217 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che notifichi alla controparte un
atto di precetto e un pignoramento malgrado la stessa avesse riconosciuto il credito professionale vantato dal
professionista e avesse inviato un assegno circolare in adempimento e che trattenga somme avute dal proprio
cliente per l'esecuzione del mandato ricevuto giustificando tale comportamento con una unilaterale e non autorizzata compensazione di crediti professionali. (Nella specie, vista la richiesta della procura e considerata la
fattispecie la sanzione della sospensione per mesi quattro è stata ridotta a mesi due). (Accoglie parzialmente
il ricorso avverso decisione C.d.O. di Bari, 25/9/2002).
C.N.F., 01.09.2004, n.195 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l’avvocato che abbandoni un giudizio senza
comunicarlo alla parte nel cui interesse lo aveva intrapreso, rifiuti la consegna di un documento affidatogli fiduciariamente in custodia e che dopo aver assistito congiuntamente più parti presti assistenza a favore di una
contro l’altra. (Nella specie anche in considerazione dei buoni precedenti è stata confermata la sanzione della
sospensione per due mesi nei confronti del professionista che dopo aver assunto l’incarico di agire nell’inte resse delle parti promettenti, acquirente e venditrice, per l’annullamento di un testamento, nel quale veniva
disposto del bene oggetto del contratto preliminare di compravendita, abbandoni l’azione e successivamente
assuma la difesa della parte promittente venditrice contro la parte promittente acquirente, per la risoluzione
della promessa di vendita). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Ravenna, 3/12/2001).
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
C.N.F., 15.07.2004, n.185 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che non depositi il fascicolo di par te, anche dopo la rinuncia al mandato, non dia informazioni alla parte e al suo nuovo difensore, rendendosi
irreperibile, e ometta di dare chiarimenti al C.d.O. sul suo comportamento. (Nella specie è stata confermata
la sanzione della censura). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Roma, 5/10/1999).
C.N.F., 15.07.2004, n.184 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di correttezza e pro bità propri della classe forense, il praticante abilitato che sottoscriva una lettera con il titolo di avvocato, pe raltro utilizzando una carta intestata con la dicitura ingannevole di studio legale, che ai fini della determina zione della parcella affermi falsamente al vero di aver depositato un ricorso, che chieda onorari in misura su periore a quella dovuta per legge, e sottoscriva un atto per il quale non era professionalmente qualificato,
perché superiore in valore ai limiti della propria competenza professionale, a nulla rilevando, peraltro, che
tale atto fosse sottoscritto anche da un avvocato. (Nella specie è stata confermata la sanzione della sospensione per mesi due). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Monza, 20/1/2003).
C.N.F., 05.07.2004, n.149 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo dei principi di decoro e probità
a cui ciascun professionista è tenuto, l'avvocato che emetta assegni non onorati, minacci e si appropri di somme di spettanza del cliente, ometta di svolgere il mandato ricevuto, avendo peraltro incassato delle somme in
acconto, ometta di provvedere al pagamento delle prestazioni procuratorie affidata al collega, partecipi ad
una estorsione tentando di convincere telefonicamente la vittima al pagamento e recandosi nel luogo dell'ap puntamento per incassare le somme illegittimamente richieste. (Nella specie è stata confermata la sanzione
della radiazione). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 18/11/2002).
C.N.F., 14.06.2004, n.141 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di correttezza e pro bità l'avvocato che concordi con un collega plurime costituzioni di parte civile al solo fine di aggravare le spe se processuali. (Nella specie è stata confermata la sanzione della censura nei confronti dell'avvocato che, in
una causa per omicidio colposo a seguito di incidente stradale aveva indotto i parenti della vittima a costituirsi parte civile ognuno attraverso un proprio legale per costituire un collegio di difesa, quando, in realtà, visti i
criteri che segue il risarcimento in relazione al grado di parentela che lega la vittima ai familiari, non vi erano
motivi per la costituzione di un collegio di difesa che, invece, aveva avuto come unica conseguenza quella di
aumentare ingiustificatamente le spese processuali). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Lucca,
17/1/2003).
C.N.F., 04.12.2003, n.387 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che assuma un incarico professionale con il preciso intento di porre in essere attività di favoreggiamento e, allo stesso scopo, riveli a terzi l'esi to degli interrogatori effettuati dalla pubblica autorità. (Nella specie, l'avvocato e stato ritenuto responsabile
ed è stata inflitta la sanzione della sospensione per anni uno). (Accoglie il ricorso avverso decisione C.d.O. di
Padova, 15/12/1999).
C.N.F., 28.11.2003, n.365 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che utilizzando una firma falsa di
girata apposta su un assegno di spettanza del cliente incassi e trattenga le somme così percepite, che non ot temperi all'accordo transattivo a cui era pervenuto con la controparte, che richieda compensi eccessivi rispet to alle somme indicate nel preventivo di spesa comunicato al cliente, e dichiari in misura inferiore al vero
l'entità delle somme percepite quali acconti. (Nella specie è stata ritenuta congrua la sanzione della sospen sione per mesi quattro). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Genova, 15/6/2002).
C.N.F., 28.11.2003, n.362 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
È deontologicamente rilevante il comportamento privato del professionista se lo stesso abbia rilevanza esterna e possa incidere negativamente sul prestigio, la dignità e il decoro dell'intera classe forense. Pertanto, l'av - 19 -
I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
vocato che compia atti sessuali con un minore pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di probità dignità e decoro che il professionista deve tenere sia nella professione
che nella vita privata. (Nella specie è stata ritenuta congrua la sanzione della sospensione per mesi tre). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Torino, 10/7/2002).
C.N.F., 21.11.2003, n.359 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
L'avvocato che ometta di adempiere alle obbligazioni assunte nei confronti dei terzi, restituisca somme di
spettanza del cliente solo dopo un notevole corso di tempo, trattenendone altre a compensazione di onorari,
pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo della dignità e decoro dell'inte ra classe forense. (Nella specie la sanzione della sospensione è stata ridotta da mesi quattro a mesi due). (Accoglie parzialmente il ricorso avverso decisione C.d.O. di Milano, 6/10-8/11/1999).
C.N.F., 21.11.2003, n.353 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che violi il dovere di correttezza e
riservatezza usando espressioni volgari ed offensive in una missiva inviata a più persone in cui dava la notizia
del tradimento di un coniuge nei confronti dell'altro. (Nella specie è stata confermata la sanzione dell'avvertimento). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Modena, 3/3/1997).
C.N.F., 24.12.2002, n.207 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante l'avvocato che trattenga somme avute in ragione del mandato, in parte giustificando tale trattenimento con la compensazione degli onorari, peraltro
non autorizzata, e che richiesto non dia informazioni al C.d.O. sul suo comportamento. (Nella specie è stata
confermata la sanzione della sospensione per mesi sei). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Catania, 12/6/2001).
C.N.F., 20.09.2002, n.211 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante perché lesivo del dovere di probità dignità e
decoro propri della classe forense, l'avvocato che richieda al cliente denaro da consegnare illegittimamente
ad un pubblico ufficiale per la definizione di una pratica, a nulla rilevando l'eventualità che quelle somme fossero inferiori al credito vantato dall'avvocato per l'attività svolta e in realtà fossero state richieste per ottenere
il pagamento delle proprie spettanze professionali. (Nella specie è stata confermata la sanzione della sospen sione per mesi due). (Rigetta il ricorso avverso decisione C.d.O. di Siracusa, 8/7/2003).
C.N.F., 05.03.2001, n.25 in Rass. Forense, 2001, 733
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di lealtà e fedeltà, il
professionista che assuma a breve distanza di tempo l'incarico contro un suo ex- cliente e utilizzi contro lo
stesso documenti e notizie avute del mandato precedentemente svolto. (Nella specie è stata confermata la
sanzione dell'avvertimento).
C.N.F., 16.02.2000, n.7 in Rass. Forense, 2000, 605
L'avvocato che trattenga illegittimamente somme avute in ragione del mandato, e non le utilizzi in linea con
le disposizioni ricevute, pone in essere un comportamento disciplinarmente rilevante perché lesivo del dove re di fedeltà e lealtà propri della classe forense. (Nella specie la sanzione della sospensione per mesi 2 è stata
sostituita dalla sanzione della censura).
C.N.F., 09.12.1999, n.249 in Rass. Forense, 2000, 597
Pone in essere un comportamento deontologicamente rilevante, perché lesivo del dovere di lealtà e fedeltà, il
professionista che utilizzi contro un ex cliente documenti avuti in ragione del mandato precedentemente
svolto. (Nella specie il professionista aveva redatto un atto transattivo e lo aveva fatto firmare dalla parte;
successivamente, malgrado il mandato di custodia ricevuto e l'incarico di perfezionare la transazione, aveva
utilizzato l'atto contro la parte stessa).
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
Sul dovere di lealtà e di probità: le espressioni sconvenienti
ed offensive
Cass. Civ. sez. 1^ civ., 12.02.2009 n.3487 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Il potere del giudice di merito di riferire alle autorità che esercitano il potere disciplinare sui difensori in caso
di violazione del dovere di comportarsi in giudizio con lealtà e probità, ovvero di ordinare la cancellazione di
espressioni sconvenienti ed offensive utilizzate negli scritti presentati o nei discorsi pronunciati davanti al
giudice, costituisce un potere valutativo discrezionale volto alla tutela di interessi diversi da quelli oggetto di
contesa tra le parti, ed il suo esercizio d'ufficio, presentando carattere ordinatorio e non decisorio, si sottrae
all'obbligo di motivazione e non è sindacabile in sede di legittimità.
Cass. Civ. sez. lavoro, 29.03.2007 n.7331 in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
L'apprezzamento del giudice di merito sul carattere sconveniente od offensivo delle espressioni contenute
nelle difese delle parti e sulla loro estraneità all'oggetto della lite, nonché l'emanazione o meno dell'ordine di
cancellazione delle medesime, a norma dell'art. 89 cod. proc. civ., integrano esercizio di potere discrezionale
non censurabile in sede di legittimità.
Cass. SS.UU. 19.01.1991 n.520, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Ai fini di un corretto esercizio della professione forense, l'avvocato deve elevarsi al di sopra delle parti e, nel
dare l'indispensabile contributo tecnico per la risoluzione della lite in favore del proprio cliente, deve mantenersi nei limiti invalicabili risultanti dal contemperamento della libertà di pensiero e delle esigenze di difesa
con il necessario rispetto verso tutti i protagonisti del processo. Viene pertanto meno al dovere di correttezza,
con conseguente lesione del decoro professionale (artt. 14 e 38 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578), oltre la vio lazione dell'art. 89 c. p.c., l'avvocato che in uno scritto difensivo si abbandoni ad espressioni dispregiative per
la controparte o per altri soggetti, tanto più se estranei al giudizio, ove dette espressioni non siano attinenti
alla materia del contendere e tanto meno indispensabili per chiarire una situazione di fatto non diversamente
rappresentabile, restando in tal caso priva di valore esimente la soggettiva convinzione del professionista di
dover reagire ad uno scritto difensivo della controparte.
Sul reato di patrocinio infedele
Cass. Pen. 27.04.1995 n.4668, in Repertorio24, Banca Dati Lex 24 del Sole24 Ore
Per la sussistenza dei delitti di patrocinio o di consulenza infedele (art. 380 cod. pen.) e le altre infedeltà del
patrocinatore o del consulente tecnico (art. 381 cod. pen.) e` strutturalmente necessaria la instaurazione di
un procedimento dinanzi all`Autorità` giudiziaria, quale elemento costitutivo del reato, cosicché ritenere
compresa nella previsione legislativa anche "le attività prodromiche" alle cause poi instaurate tra le parti integra una violazione del principio di tipicità del precetto penale”.
Cass. Pen. 28.04.1936, in Giust. Pen. 1936, II, 738
Integra il reato di cui all’art.381 il comportamento dell’avvocato che, sia pure con il proposito di far vincere il
proprio cliente, rediga una comparsa nell’interesse dell’avversario.
Sulla natura del procedimento disciplinare
Cass. civ. SS.UU., 05.10.2007, n. 20843 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli locali dell'Ordine degli avvocati, e il relativo procedimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale, sicché la disciplina procedimentale non è mutuabile, nelle sue forme, dal codice di procedura penale e, in particolare, non è prevista né la fase delle inda gini preliminari, conseguente alla ricezione della notizia dell'infrazione disciplinare, né una fase istruttoria
vera e propria. Ne consegue che, nel caso in cui il Consiglio dell'Ordine proceda a raccogliere informazioni e
documentazione, ex art. 47 r.d. n. 37 del 1934, non sussiste alcun obbligo di informarne l'incolpato con avvisi
o convocazioni, prima dell'atto di citazione di cui al successivo art. 48.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
Cass. civ. SS.UU., 10.01.2006, n. 138 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Nel procedimento disciplinare che si svolge dinanzi al Consiglio dell’Ordine degli avvocati, non è ravvisabile
alcuna incompatibilità tra lo svolgimento di attività da parte dei consiglieri nella fase preliminare e la loro
partecipazione alla fase decisionale, in quanto la natura amministrativa del procedimento non consente l'applicazione delle disposizioni in materia d'incompatibilità proprie dei giudizi che si svolgono dinanzi agli organi della giustizia ordinaria o amministrativa.
Cass. civ. SS.UU., 03.05.2005, n. 9097 in Banca-dati lex24&Repertorio24
In materia di giudizi disciplinari, i Consigli locali dell'ordine degli avvocati esercitano funzioni amministrative e non giurisdizionali, svolgendo i relativi compiti nei confronti dei professionisti appartenenti all'ordine
forense a livello locale e, quindi, all'interno del gruppo costituito dai professionisti stessi e per la tutela degli
interessi della classe professionale rappresentata a quel livello. Pertanto, la funzione disciplinare esercitata
da tali organi, così in sede di promozione come in sede di decisione del procedimento, risulta manifestazione
d'un potere amministrativo, attribuito dalla legge per l'attuazione del rapporto che si instaura con l'apparte nenza a quel medesimo ordine dal quale sono legittimamente stabiliti i criteri di conformità o meno dei com portamenti tenuti dai propri appartenenti rispetto ai fini che l'associazionismo professionale intende perseguire per la più diretta ed immediata protezione di tali fini e soltanto di essi. Ne consegue che è manifesta mente inammissibile, attesa la non pertinenza dei parametri invocati, la questione di legittimità costituzionale sollevata in riferimento agli artt. 25 e 102 della Costituzione, con specifico riguardo ai principi di terzietà
del giudice e di separazione tra la funzione requirente e quella giudicante svolte dai Consigli degli ordini ter ritoriali.
Cass. civ. SS.UU., 01.04.2004, n. 6406 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli locali dell'Ordine degli avvocati, e il relativo proce dimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale; è perciò manifestamente inammissibile, in riferimento al principio del giusto processo, sancito dall'art. 111 Cost., la questione di legittimità costituzionale
dell'art. 38 del regio decreto - legge 27 novembre 1933, n. 1578 (convertito dalla legge 22 gennaio 1934, n.
36), e degli artt. 47, 50 e 51 del regio decreto 22 gennaio 1934, n. 37, nella parte in cui non prevedono la di stinzione tra organo che delibera sull'incolpazione disciplinare e organo che stabilisce l'apertura del medesimo procedimento, e ciò stante la non pertinenza del parametro, attesa la riferibilità della norma costituzionale evocata alla sola attività giurisdizionale.
Cass. civ. SS.UU., 23.01.2004, n. 1229 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Le funzioni esercitate in materia disciplinare dai Consigli locali dell'Ordine degli avvocati, e il relativo proce dimento, hanno natura amministrativa e non giurisdizionale; è perciò manifestamente inammissibile, in riferimento alle disposizioni costituzionali (art. 24 e 111 della Costituzione) e convenzionali (art. 6 della Conven zione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali) che garantiscono il diritto
di difesa e il giusto processo, la questione di legittimità costituzionale delle norme, contenute nell'Ordina mento professionale forense (R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578), relative alla posizione del Consiglio locale
dell'Ordine e al procedimento che dinanzi ad esso si svolge, trattandosi di questione sollevata sul presupposto della natura giurisdizionale del relativo procedimento e accampando la violazione dei principi che connotano la giurisdizione.
In tema di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, il potere di applicare la sanzione, adeguata alla
gravità ed alla natura dell'offesa arrecata al prestigio dell'ordine professionale, è riservato agli organi disciplinari; pertanto, la determinazione della sanzione inflitta all'incolpato dal Consiglio nazionale forense non è
censurabile in sede di giudizio di legittimità, con conseguente inammissibilità del motivo di ricorso per cassazione che tenda ad ottenere un sindacato sulle scelte discrezionali del Consiglio in ordine al tipo e all'entità
della sanzione applicata.
C.N.F., 27.06.2003, n. 205 in Rass. forense 2004, 117 (s.m.)
La natura amministrativa e non giurisdizionale del procedimento disciplinare che si svolge davanti al C.d.O.
locale impedisce che, in presenza di una diversa disciplina, si applichino automaticamente ad esso le norme
proprie del procedimento giurisdizionale; pertanto, nel procedimento disciplinare, essendo il termine di
comparizione specificamente disciplinato dagli art. 45 r.d. n. 1578/33 e 47 r.d.l. n. 37/34, non è applicabile
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
analogicamente l'art. 163 bis c.p.c. e quindi la concessione all'imputato di un termine di comparizione minore
di dieci giorni non determina la nullità del procedimento.
C.N.F., 20.02.2003, n. 2, in Rass. forense 2003, 574 (s.m.)
Il procedimento disciplinare che si svolge davanti al C.d.O. ha natura amministrativa e non giurisdizionale e
pertanto deve escludersi l'applicabilità dei principi e delle garanzie riservati alla sola fase giurisdizionale, e
deve ritenersi infondata la questione concernente il contrasto tra la normativa interna, in materia di ordini
professionali, e quella comunitaria, posto che l'art. 6 della convenzione europea dei diritti dell'uomo attiene
ai soli procedimenti aventi carattere giurisdizionale. Non costituisce violazione del diritto di difesa ed è legittimo il rinvio d'udienza comunicato all'interessato a mezzo fax e a mezzo telegramma inviato lo stesso giorno.
Nel procedimento disciplinare davanti al C.d.O. non sussiste l'obbligo di pubblicità delle udienze. Nella fase
delle indagini preliminari al procedimento disciplinare la comunicazione e l'audizione dell'interessato sono
auspicabili ma non obbligatori, non essendo previsti da alcune disposizione normativa.
C.N.F. 08.11.2001 n.227 in Rass. forense 2002, 289 (s.m.)
Il procedimento disciplinare davanti al C.d.O. ha natura amministrativa, ed è regolato, "in primis", da norme
proprie; pertanto non rileva ai fini della validità della decisione l'omessa lettura del dispositivo in udienza.
Sulla modalità di contestazione degli addebiti nel
procedimento disciplinare
Cass. civ. SS.UU. 23.01.2004 n.1229 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Nel procedimento disciplinare a carico degli esercenti la professione forense, la contestazione degli addebiti
non esige una minuta, completa e particolareggiata esposizione dei fatti integranti l'illecito, essendo sufficiente che l'incolpato, con la lettura dell'imputazione, contenente la chiara contestazione dei fatti addebitatigli, sia posto in grado di approntare la propria difesa in modo efficace, senza rischi di essere condannato per
fatti diversi da quelli ascrittigli.
C.N.F., 29.03.2003, n. 40 in Rass. forense 2003, 583 (s.m.)
Nel procedimento disciplinare davanti al C.d.O. l'atto di citazione a comparire all'udienza dibattimentale ri volto all'imputato deve essere sottoscritto dal presidente, in quanto di sua competenza (ex art. 47 r.d.l. n. 37
del 1934).
Sulla composizione del Consiglio dell’Ordine nel
procedimento disciplinare
Cass. civ. SS.UU. 4.05.2004, n. 8431 in Foro it. 2004, I,1710
L'irregolare composizione del Consiglio dell’Ordine degli avvocati, nel procedimento disciplinare a carico di
un iscritto, se non dedotta nel corso di tale procedimento non può essere prospettata come motivo d'impugnazione del provvedimento disciplinare avanti il Consiglio nazionale forense, né, a maggior ragione, per la
prima volta nel ricorso alle sezioni unite della Corte di cassazione contro la decisione consiliare.
Sull’istruttoria del procedimento disciplinare
Cass. civ. SS.UU., 1.04.2004, n. 6406 in Giust. civ. Mass. 2004, f. 4
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, l'art. 45 r.d.l. 27 novembre 1933 n. 1578 prevede la
concessione all'incolpato - chiamato a rispondere all'udienza di discussione davanti al Consiglio dell'Ordine
professionale - di un termine minimo inderogabile di almeno dieci giorni per comparire all'indicata udienza
"per essere sentito sulle sue discolpe", mentre, non essendo prevista una durata minima, è lasciata alla di screzionalità dell'Organo disciplinare la determinazione del termine entro il quale l'incolpato medesimo e il
suo difensore possono prendere visione dei documenti acquisiti, tale termine dipendendo dalla natura degli
atti da esaminare e dal complessivo svolgimento dell'iter procedimentale.
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
Cass. civ. SS.UU, 26.07.2002, n. 11100 in Rass. forense 2003, 391 (s.m.)
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, la mancata immediata comunicazione all'interessato dell'apertura del procedimento disciplinare, prescritta dall'art. 47 del r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, non com porta nullità del procedimento e della decisione del Consiglio dell'ordine degli avvocati allorché la fase delle
indagini preliminari, conseguente alla ricezione della notizia dell'infrazione disciplinare, non necessiti di al cuna istruttoria e questa non venga concretamente effettuata, in tal caso essendo possibile notificare all'incolpato la delibera di apertura del procedimento contestualmente alla citazione a giudizio, con l'osservanza dei
termini di cui al comma 3 del citato art. 47.
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati, la nullità della decisione del Consiglio locale del l'ordine discendente dall'omessa immediata comunicazione, all'interessato e al p.m., dell'apertura del procedimento disciplinare, prescritta dall'art. 47 r.d. 22 gennaio 1934 n. 37, è soggetta al principio generale della
conversione dei motivi di nullità in motivi di gravame (art. 161 c.p.c.), e può essere fatta valere soltanto nei limiti e secondo le regole proprie del mezzo di impugnazione cui la decisione è soggetta.
Cass. civ. SS.UU., 24.02.1998, n. 1988 in Giust. civ. Mass. 1998, 422
Nei procedimenti disciplinari contro avvocati si devono seguire, quanto alla procedura, le norme particolari
che, per ogni singolo istituto, sono dettate dalla legge professionale, in mancanza delle quali si deve far ricorso alle norme del codice di procedura civile, mentre del codice di procedura penale sono applicabili solo quelle cui la legge professionale fa espresso rinvio, ovvero quelle relative ad istituti (amnistia, indulto) che trova no la loro regolamentazione soltanto nel codice anzidetto. Consegue che la verifica della legittimità dell'azione amministrativa dell'ordine professionale relativamente al diritto di difesa va condotta con precipuo riguardo alla speciale procedura delineata dal r.d.l. n. 1578 del 1933 e dal r.d. n. 37 del 1934 In particolare, in
tema di termine dilatorio da accordare all'incolpato per le sue esigenza di difesa, il combinato disposto degli
art. 47, comma 3 del r.d. n. 37 del 1934 e 45 del r.d.l. n. 1578 del 1933 impone che fra la data della citazione e
quella della comparizione dell'interessato dinanzi al Consiglio dell'ordine per rendere le sue discolpe inter corra un termine non inferiore a dieci giorni. (Nel caso di specie si è esclusa la violazione del diritto di difesa
per essere stata effettuata la notificazione della citazione in data 21 luglio 1994 e disposta la comparizione per
il 17 ottobre).
Cass. civ. SS.UU 17.05.1995, n. 5394 in Giust. civ. Mass. 1995, 1014
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocati e procuratori, l'art. 45 del r.d.l. n. 1578 del 1933
prevede la concessione all'incolpato - chiamato a rispondere all'udienza di discussione davanti al Consiglio
dell’Ordine professionale - di un termine minimo inderogabile di almeno dieci giorni per comparire all'indi cata udienza "per essere sentito sulle sue discolpe; mentre può essere inferiore a dieci giorni il termine che, a
norma dell'art. 48 del regolamento di cui al r.d. n. 37 del 1934, il Consiglio dell’Ordine deve indicare (nella ci tazione da notificare all'incolpato), entro il quale l'incolpato medesimo, il suo difensore ed il pubblico mini stero potranno prendere visione degli atti del procedimento, proporre deduzioni ed indicare testimoni.
Cass. civ. SS.UU., 16.03.1995, n. 3056 in Giust. civ. 1996, I, 834
La natura amministrativa e non giurisdizionale del procedimento disciplinare che si svolge davanti al Consiglio dell'ordine locale impedisce che, in presenza di una disciplina diversa, si applichino automaticamente ad
esso norme proprie del procedimento giurisdizionale; pertanto, nel procedimento disciplinare, essendo il termine di comparizione specificamente disciplinato dagli art. 45 r.d. 27 novembre 1933 n. 1578 e 47 r.d. 22
gennaio 1934 n. 37, non è ammissibile l'applicazione analogica dell'art. 163 bis c.p.c.
Cass. civ. SS.UU, 12.11.1988, n. 6129 in Foro it. 1989, I,1537.
Per la regolare instaurazione del procedimento disciplinare dinanzi al Consiglio dell’Ordine degli avvocati e
procuratori è sufficiente che l'incolpato sia stato citato a comparire, senza che sia necessario l'invito a nomi narsi un difensore.
Cass. civ. SS.UU., 21.05.1986, n. 3374 in Giust. civ. Mass. 1986, 5
In tema di procedimento disciplinare a carico di avvocato o procuratore, il diritto di difesa dell'inquisito, che
deve essere tutelato anche nella fase di istruzione preliminare davanti al consiglio dell'ordine, diretta a stabilire se sussistano o meno elementi per il giudizio disciplinare, rende necessaria la contestazione dei fatti sui
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
quali viene svolta detta istruzione. Peraltro, la nullità derivante dall'inosservanza di tale obbligo resta soggetta ai principi fissati dall'art. 185 c.p.p. (nel testo fissato dall'art. 6 della l. 8 agosto 1977 n. 534), e deve quindi
ritenersi sanata ove non dedotta prima del compimento delle formalità di apertura del dibattimento.
C.N.F. 12.06.2003 n.148, in Consiglio Nazionale Forense, Sito Ufficiale CNF
Nel procedimento disciplinare l'espletamento della fase istruttoria non è indispensabile e pertanto è legittima
la contestuale notifica della delibera di apertura del procedimento disciplinare con la citazione in giudizio, ex
art. 47, 3° comma, R.D. n. 37/1934 essendo con ciò rispettato il contraddittorio ed il diritto di difesa.
Nel procedimento disciplinare davanti al C.d.O., avente natura amministrativa, l'esistenza dell'avviso di apertura del procedimento disciplinare, della tempestiva citazione per il giudizio, della facoltà dell'incolpato di
prendere visione degli atti del procedimento, produrre deduzioni e indicare testimoni, soddisfano le esigenze
di partecipazione e di difesa dell'interessato.
La richiesta degli atti di tutti i procedimenti disciplinari relativi a fatti analoghi a quelli contestati al richie dente, è inammissibile non potendo individuarsi a carico del consiglio alcun obbligo di fornire documentazione attinente a provvedimenti disciplinari afferenti a professionisti diversi, anche nel rispetto della sensibilità
dei dati e della privacy.
C.N.F., 20.02.2003, n. 2, in Rass. forense 2003, 574 (s.m.)
Nel procedimento di cancellazione dall'albo per incompatibilità, l'omesso rispetto del termine di 10 giorni
concesso all'iscritto, per fornire chiarimenti e proprie deduzioni, determina l'invalidità del provvedimento
adottato.
C.N.F., 29.11. 2001, n. 248 in Rass. forense 2002, 294 (s.m.)
La mancata assunzione della delibera di apertura del procedimento disciplinare con la contestuale omessa
notifica della delibera medesima all'interessato e al p.m., come previsto dall'art. 47 r.d. n. 37/1934, e la con sequenziale omessa specifica contestazione dei fatti, assunti come rilevanti sotto il profilo disciplinare, determinano la nullità del procedimento disciplinare per violazione del diritto di difesa e del principio del contraddittorio.
C.N.F, 13.07.2001, n. 157 in Rass. forense 2002, 120 (s.m.)
Nel procedimento disciplinare l'espletamento della fase istruttoria non è indispensabile e pertanto è legittima
la contestuale notifica della delibera di apertura del procedimento disciplinare con la citazione in giudizio, ex
art. 47, comma 3, r.d. n. 37/1934, essendo con ciò rispettato il contraddittorio ed il diritto di difesa.
C.N.F, 2009.2000, n. 93 in Rass. forense 2001, 141
La sentenza penale di patteggiamento non fa stato nel procedimento disciplinare e non può neppure essere
recepita acriticamente come fondamento per una affermazione di responsabilità; i fatti e i documenti raccolti
nel procedimento penale possono, infatti, e debbono essere valutati discrezionalmente dal C.d.O. Nel procedimento disciplinare il termine minimo di comparizione di dieci giorni è previsto in modo puntuale dall'art.
45 r.d.l. n. 1578 del 1933 e dell'art. 47 r.d. n. 37 del 1934, e non deve pertanto applicarsi, vista la presenza del l'esplicita previsione normativa, il termine civilistico ex art. 163 bis c.p.c. L'azione disciplinare si prescrive in
cinque anni dalla commissione del fatto se questo integra una violazione deontologica di carattere istantaneo
che si consuma o si esaurisce al momento in cui la stessa viene posta in essere. Ove, invece, la violazione
deontologica risulti integra da una condotta protrattasi nel tempo, la decorrenza del termine ha inizio dalla
data di cessazione della condotta medesima (e tale deve essere considerato il trattenimento di somme del
cliente).
Sul ricorso alle sezioni Unite della Cassazione
Cass. civ. SS.UU. 04.02.2009 n.2637 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Le decisioni del consiglio Nazionale forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni
Unite della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 56, terzo comma, del r.d.l. 27 novembre 1933, n. 1578, con vertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36, per incompetenza, eccesso di potere e violazio ne di legge, nonché, ai sensi dell'art. 111 Cost., per vizio di motivazione: tale vizio, peraltro, deve tradursi in
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I doveri dell’avvocato: il dovere di fedeltà, correttezza e lealtà
omissioni, lacune o contraddizioni incidenti su punti decisivi, dedotti dalle parti o rilevabili d'ufficio, sicché
risultano inammissibili le doglianze con cui il ricorrente intenda far accertare in sede di legittimità i presupposti integranti una situazione di necessità, scriminante, in presenza della quale il medesimo non avrebbe
potuto non tenere il comportamento censurato dall'organo disciplinare, risolvendosi in accertamenti in pun to di fatto e valutazioni delle risultanze processuali che non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità.
Cass. civ. SS.UU. 28.09.2007 n.20360 in Banca-dati lex24&Repertorio24
In materia di procedimento disciplinare a carico degli avvocati, con riguardo alla concreta individuazione
delle condotte costituenti illecito disciplinare, il controllo di legittimità non consente alla Corte di Cassazione
di sostituirsi al Consiglio Nazionale Forense nell'enunciazione di ipotesi di illecito nell'ambito della regola generale di riferimento, se non nei limiti di una valutazione di ragionevolezza, atteso che l'apprezzamento della
rilevanza dei fatti rispetto alle incolpazioni appartiene alla esclusiva competenza dell'organo disciplinare.
(Fattispecie in cui la S.C. ha ritenuto che i ripetuti comportamenti del professionista altamente provocatori,
offensivi e lesivi dell'onorabilità di avvocati, magistrati, ufficiali di polizia giudiziaria e pubblici ufficiali, immotivatamente accusati di reati assai gravi, in quanto tenuti nell'esercizio dell'attività difensiva, erano in contrasto con la prudenza ed il rigore imposti dalle norme deontologiche al professionista forense e, perciò, inte gravano un vero e proprio abuso del diritto di difesa riconosciuto alla parte, con la conseguenza che andava
esclusa l'invocata scriminante dell'esercizio del medesimo diritto, non potendo questo travalicare i limiti della corretta e decorosa manifestazione di dissenso verso la controparte).
Cass. civ. SS.UU. 22.02.2007 n.4114 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Ai sensi del R.D.L. n. 1578 del 1933, art. 56, comma 3, convertito nella L. n. 36 del 1934 e del R.D. n. 37 del
1934 art. 68 comma 1, le decisioni del Consiglio Nazionale Forense nella materia disciplinare sono ricorribili
per cassazione soltanto per incompetenza, eccesso di potere e violazione di legge, con la conseguenza che avverso dette decisioni non possono essere denunziati vizi motivazionali riconducibili all'ambito dell'art. 360
c.p.c., comma 1, n. 5, limitandosi il controllo di legittimità sulla motivazione ai casi in cui si configuri una as soluta mancanza o una mera apparenza o una totale illogicità o perplessità di essa, tale da non consentire di
individuare la ratio decidendi, e quindi da integrare una inosservanza dell'obbligo imposto al giudice dall'art.
132 c.p.c., comma 2, n. 4 di esporre concisamente i motivi in fatto e in diritto della decisione.
Cass. civ. SS.UU. 07.03.2005 n.4802 in Banca-dati lex24&Repertorio24
Poiché le decisioni del Consiglio Nazionale Forense in materia disciplinare sono impugnabili dinanzi alle Sezioni Unite della Corte di cassazione, ai sensi dell'art. 56 comma terzo, del R.D.L. 27 novembre 1933, n. 1578,
convertito, con modificazioni, dalla legge 22 gennaio 1934, n. 36 soltanto per incompetenza, eccesso di potere
e violazione di legge, l'accertamento del fatto, l'apprezzamento della sua rilevanza rispetto alle imputazioni,
la scelta della sanzione opportuna e, in generale, la valutazione delle risultanze processuali non possono essere oggetto di controllo in sede di legittimità, salvo che si traducano in palese sviamento di potere, ossia nell'u so del potere disciplinare per un fine diverso da quello per il quale è stato conferito. (Nella specie, la Corte
Cass. ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso la decisione del Consiglio Nazionale Forense,
con il quale il ricorrente, pur denunciando violazione di legge in relazione a numerose disposizioni del codice
deontologico, ha omesso ogni indicazione sia circa l'interpretazione data dalla sentenza impugnata delle disposizioni del codice deontologico, sia su quale fosse la corretta interpretazione delle medesime disposizioni,
così limitandosi ad assumere un apprezzamento delle emergenze istruttorie diverso da quello compiuto dal
Consiglio Nazionale Forense, in particolare quanto alla provenienza dalla parte personalmente della richiesta
di documentazione, non adempiuta dal professionista sanzionato disciplinarmente).
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