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Il diritto/dovere d`ingerenza umanitaria
Progetto Liber@Web Area giuridica economica 11/12 DIRITTO DOVERE D’INGERENZA UMANITARIA Francesco Occhetta S.I. di «Aggiornamenti Sociali» L'ingerenza umanitaria indica azioni, anche a carattere militare, condotte all'interno di uno Stato sovrano, con l'esclusiva finalità di proteggere popolazioni civili vittime di gravi e prolungate violazioni dei loro diritti umani fondamentali. Il linguaggio corrente spesso confonde l'ingerenza umanitaria con l'intervento umanitario, che è un termine più generico e ampio. Quest'ultimo riguarda gli aiuti di tipo sanitario e alimentare e l'insieme degli interventi di cooperazione internazionale che hanno lo scopo di aiutare i Paesi in difficoltà afflitti da calamità naturali, guerre civili, sottosviluppo, povertà strutturale, debito internazionale, ecc. Si può parlare per la prima volta di intervento umanitario dopo la risoluzione n. 43/131 dell'Assemblea Generale dell'ONU dell'8 dicembre 1988, che ha stabilito il principio di libero accesso alle zone in cui si trovano vittime di una catastrofe naturale e in altre situazioni d'urgenza. Tuttavia, pur avendo gli stessi fini di tutela della persona umana, l'ingerenza umanitaria si differenzia dall'intervento umanitario poiché la prima entra in contrasto con il principio della sovranità degli Stati. La nuova concezione del diritto internazionale La risoluzione n. 688 del Consiglio di Sicurezza dell'ONU, del 5 aprile 1991, fortemente voluta dalla Francia, ha sancito per la prima volta il principio d'ingerenza umanitaria per difendere il popolo curdo dalla repressione esercitata dal Governo iracheno. E' solo da allora che il diritto internazionale accetta, sebbene ancora in forma non codificata, il principio dell'ingerenza umanitaria, in quanto per almeno quattro secoli ha sostenuto il principio opposto, quello della non ingerenza, che considerava la sovranità statale principio indiscutibile e assoluto goduto dallo Stato sul proprio territorio. Questa è garantito a sua volta dal principio di non ingerenza, regolato dall'art. 2, par. 7, del cap. I della Carta dell'ONU. Tuttavia, il venir meno del bipolarismo USA-URSS ha prodotto effetti destabilizzanti a livello internazionale, favorendo l'insorgere di numerosi conflitti locali e guerre civili, implicanti gravi violazioni dei diritti delle popolazioni civili. (…) Questo nuovo corso del diritto internazionale, tutt'altro che compiuto, ci permette di dedurre da alcuni principi generali che l'ingerenza umanitaria, pur non essendo codificata, è legittimata come consuetudine.(…) Progetto Liber@Web Area giuridica economica 11/12 Le condizioni che legittimano l’ingerenza In questo quadro di condizioni storiche mutate e di soggetti internazionali nati solo dopo la seconda guerra mondiale, un diritto d'ingerenza umanitaria non è più da mettere in dubbio. Tuttavia la dottrina prevalente del diritto internazionale, per poter legittimare l'ingerenza umanitaria, esige le seguenti condizioni: a) lo Stato colpito dall'azione di ingerenza deve essere colpevole di gravi e ripetute violazioni dei diritti umani di vasti gruppi della sua popolazione nelle loro varie forme: genocidi, crimini contro l'umanità, stupri, pulizia etnica, schiavitù; b) l'intervento non deve provocare conseguenze peggiori dei mali che si vogliono rimediare; c) l'intervento di ingerenza deve essere autorizzato dalla Comunità internazionale concretamente dal Consiglio di Sicurezza dell'ONU -, e solo quale extrema ratio, in seguito al fallimento di altre misure sanzionatorie, ad esempio l'embargo, il boicottaggio economico e sanzioni di vario tipo. La stessa Comunità deve inoltre esercitare un controllo sulle modalità dell'intervento; d) deve trattarsi di una operazione di polizia militare internazionale, non di un'operazione di guerra in senso stretto. Mentre le operazioni di guerra mirano a distruggere la potenza militare del nemico e le infrastrutture anche civili che le fanno da supporto, le operazioni militari di polizia internazionale hanno il solo scopo di proteggere le popolazioni civili vittime di ingiusta aggressione, disarmando l'aggressore. Concretamente la Somalia, la Bosnia, la Cambogia e il Kosovo sono alcuni territori su cui, con esiti diversi e talora discutibili, la Comunità internazionale ha voluto affermare la preminenza del diritto delle persone su quello degli Stati. La posizione della Santa Sede Negli anni '90 il ruolo internazionale della Santa Sede è stato determinante per chiarire l'ammissibilità e le condizioni dell'ingerenza umanitaria. Il 5 dicembre 1992 Giovanni Paolo II, nel suo discorso alla Conferenza internazionale sulla nutrizione nella sede romana della FAO, si pronunciò per la prima volta, in termini generali - anche se con trasparente riferimento alle atrocità che si stavano commettendo in Bosnia ed Erzegovina contro la popolazione civile -, a favore del diritto-dovere di ingerenza umanitaria. Egli affermò: «la coscienza dell'umanità [...] chiede che sia resa obbligatoria l'ingerenza umanitaria nelle situazioni che compromettono gravemente la sopravvivenza di popoli o di interi gruppi etnici: è un dovere per le nazioni e la comunità internazionale» (L'Osservatore Romano, 6 dicembre 1992 5). Ai membri del corpo diplomatico il 16 gennaio 1993 il Papa ribadì: «Esistono interessi che trascendono gli Stati: sono gli interessi della persona umana, i suoi diritti. [...] I principi della sovranità degli Stati e della non-ingerenza nei loro affari interni - che conservano tutto il loro valore - non possono tuttavia costituire un paravento dietro il quale si possa torturare e assassinare» (L'Osservatore Romano, 17 gennaio 1993, 7). Progetto Liber@Web Area giuridica economica 11/12 Nonostante questa posizione, a noi chiara, da molte parti è stata criticata la mutata posizione della Santa Sede rispetto al periodo della guerra del Golfo, in cui il Papa condannò con fermezza l'uso delle armi. A tale riguardo va precisato che il Santo Padre ha continuato a riaffermare il no della Chiesa alla guerra come mezzo per risolvere i conflitti. Solo qualora ogni tentativo diplomatico o di ingerenza umanitaria pacifica fallisca, la Santa Sede non esclude un intervento armato della Comunità internazionale per ragioni umanitarie, che sarebbe peraltro da considerarsi legittimo, per analogia, solo nei casi in cui ricorrono i criteri fissati dal nuovo Catechismo della Chiesa Cattolica in tema di ricorso alla forza per la legittima difesa (parr. 2263-2267, 2306, 2308). Alla base di queste considerazioni c'è la convinzione della Santa Sede di ritenere il vero cuore della vita internazionale non tanto gli Stati, quanto la persona umana. Quindi l'ingerenza umanitaria trova la sua legittimazione in questa accresciuta valutazione della persona. Per gli uomini politici e per gli studiosi di diritto internazionale, dopo queste precise sollecitazioni, rimane aperta una ricerca etico-giuridica in grado di definire le motivazioni, i criteri, i limiti e i modi di concreta applicazione, nei singoli casi, dell'ingerenza umanitaria. La riflessione sugli aspetti etico-giuridici come segno di un cambiamento Riteniamo che una riflessione di tipo etico-giuridico prima che politico-militare sull'ingerenza, metta in luce l'ambito e i limiti del principio d'intervento e ne riveli, allo stesso tempo, il significato simbolico. L'ingerenza è infatti uno degli strumenti del nuovo corso del diritto internazionale. A tale riguardo la discussione etico-giuridica in corso può essere sintetizzata in due grandi posizioni. Nei Paesi occidentali l'opinione prevalente è affermare l'ingerenza umanitaria come un dovere della Comunità internazionale, fondato sul diritto delle vittime ad essere difese. A questa tesi oltre al Papa ha aderito anche il Dalai Lama. Non mancano, comunque, autorevoli voci nel mondo occidentale che, nella linea di un rigoroso pacifismo, considerano l'ingerenza una pratica di palese ingiustizia nel nome di un principio di giustizia. Tra i rappresentanti del Terzo Mondo i pareri sono discordi. Alcuni manifestano il timore che con nomi diversi si giustifichino, da parte occidentale, interventi militari e che l'ingerenza rischi di diventare un alibi umanitario per imporre ai Paesi in via di sviluppo una nuova forma di colonialismo. Per tutti, invece, rimangono aperte due questioni: quali violazioni specifiche di diritti fondamentali della persona giustifichino l'ingerenza e se oggi gli organi internazionali preposti ad autorizzare l'ingerenza siano in grado di decidere in maniera non discrezionale. Il filosofo statunitense John Rawls offre un contributo importante per stabilire quali diritti fondamentali sono da proteggere attraverso un'azione d'ingerenza. Riferendosi alla Dichiarazione Universale, identifica come diritti umani propriamente detti e universalmente condivisi quelli sanciti dall'art. 3 (diritto alla vita, alla libertà e alla sicurezza della propria persona) e dall'art. 5 (diritto a non dover subire punizioni inumane o degradanti), mentre Progetto Liber@Web Area giuridica economica 11/12 analizza quelli su cui ci sono divergenze interpretative tra i filosofi (diritto al riconoscimento della personalità giuridica, a non essere arbitrariamente arrestato, alla presunzione d'innocenza, ecc.). Ferrari da Passano, oltre ad offrire uno studio approfondito sul principio della sovranità e i suoi limiti, evidenzia perché il Consiglio di Sicurezza delle NU, che dovrebbe giudicare le condizioni d'intervento, non sia in grado di garantire la massima imparzialità. Infatti, i 5 Stati membri permanenti (USA, Francia, Gran Bretagna, Russia e Cina) non soltanto sono tra i primi produttori di armi, ma spesso, con i loro veti incrociati, bloccano le decisioni che dovrebbero prendere per il rispetto dell'ordine internazionale. In più, i Paesi del Terzo Mondo non sono significativamente rappresentati tra i dieci Stati membri eletti a turno ogni due anni. La lettura di questi limiti segnala l'evoluzione in corso del diritto internazionale, di cui alcune strutture portanti: la sovranità statale, i motivi d'intervenire in guerra, il significato di nazione, ecc., sono messe in discussione. In questo nuovo scenario l'ingerenza umanitaria, che, ancora timidamente, si fonda sulla tutela della dignità della persona, può essere paragonata a una piccola barca costruita sulla riva del diritto internazionale classico e diretta verso la riva del nuovo ordinamento internazionale. Per questo motivo, compito della società civile è di concorrere a realizzare una democrazia internazionale che fondi i suoi principi sul riconoscimento internazionale dei diritti umani e scelga la pace come via giuridica maestra di soluzione dei conflitti, riconoscendo il diritto-dovere di ingerenza umanitaria solo come estremo ricorso. FONTE: Aggiornamenti Sociali, Rivista, marzo 2001