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Il medico-ricercatore con il pancreas nel mirino

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Il medico-ricercatore con il pancreas nel mirino
VITA DI RICERCATORE
LL
Davide Melisi
In questo articolo:
pancreas
resistenza ai farmaci
clinico ricercatore
Il medico-ricercatore
con il pancreas nel mirino
Conciliare laboratorio e assistenza ai malati
non è affatto semplice, ma il giovane medico
partenopeo, dopo una parentesi texana,
ha imparato a mettere insieme il meglio
di ogni disciplina al servizio del malato
a cura di FABIO TURONE
accento è rimasto quello napoletano, ma in certi momenti Davide Melisi nel suo
reparto al Policlinico universitario di Verona si sente
quasi più texano, tanto che per descrivere l’eccezionalità del lavoro che porta
avanti con passione, grazie allo Start-up
grant di AIRC, ricorre spesso a
un’immagine particolare: “Qui
mi sento come nel mio piccolo
MD Anderson”.
Il riferimento è a uno dei
templi dell’oncologia mondiale, il famosissimo MD Anderson Cancer Center di Houston, in cui si è formato e ha
lavorato per quattro anni dal
2005 al 2009, dopo aver conseguito il diploma di specializzazione in oncologia, con
lode, all’Università Federico II
di Napoli, dove si era laureato
in medicina, pure con lode,
nel 2001. Un bell’exploit, per
un figlio di operai che è il
primo in tutta la famiglia ad
arrivare al diploma universitario, e che
ancora oggi è ansioso di bruciare le
’
L
Il cancro
del
pancreas
resta un
nemico
tenace da
battere
4 | FONDAMENTALE | OTTOBRE 2013
tappe nella battaglia contro i tumori del
tratto gastroenterico e, in particolare,
contro quello del pancreas.
Da Houston con amore
I quattro anni trascorsi nella città
americana, famosa perché sede del
primo dialogo tra la Terra e la Luna,
hanno lasciato un segno profondo,
Davide Melisi con Melissa Frizziero,
Eleonora Lucchini, Silvia Cottini
e Lorenzo Calvetti
anche perché sono stati molto intensi
pure sul piano extraprofessionale. La
moglie Alessandra, anche lei napoletana,
a Houston si trovava talmente bene da
voler mettere radici: “Se fosse stato per
lei non saremmo qui” racconta Melisi.
“Lei non voleva tornare”. E, mentre parla
del Texas, le origini napoletane riaffiorano quando, con un pizzico di imbarazzo,
ma appena un pizzico, si ritrova a spiegare il senso dissonante dell’immagine che
gli viene in mente parlando del primogenito Lorenzo, nato a Houston nel 2009:
“È un piccolo Longhorn” dice, riferendosi
alla razza bovina simbolo del Texas,
amata anche per le caratteristiche corna
lunghe e affusolate che possono superare i due metri di ampiezza, aprendosi in
un sorriso divertito “però qui da noi fa
un effetto diverso”.
In un certo senso anche Napoli fa un
effetto diverso quando Melisi vi fa ritorno con la famiglia, accolto dal clamore
dei mass-media neanche fosse tornato
da una passeggiata sul suolo lunare:
“Accadde che una mia ricerca sulla proteina TAK1 presentata alla fine di settembre del 2009 al congresso della Società europea di oncologia medica, a
Berlino, fu segnalata come promettente
e finii sulle prime pagine di tutti i giornali italiani, locali e nazionali”. Ai giornali piaceva la storia del giovane ricercatore partenopeo che tornava alla Fon-
dazione Pascale di Napoli per mettere a
frutto le cose imparate negli Stati Uniti,
ma a lui piaceva la sua ricerca ancor più
dell’idea di ritrovarsi a casa.
Sempre in movimento
Forse per questo, il piacere di sentirsi
a casa non è durato molto: dopo aver
vinto il concorso di dirigente medico all’Istituto dei tumori, e aver aggiunto al
già ricchissimo curriculum anche il titolo di dottore di ricerca in oncologia ed
endocrinologia molecolare, sente che
qualcosa non funziona, e comincia a
guardarsi intorno. Dopo aver rifiutato
un posto al Royal Marsden Hospital di
Londra vince il concorso di ricercatore
all’Università di Verona, e così la famiglia – che nel frattempo è cresciuta con
l’arrivo nel 2010 della piccola Miriam –
si trasferisce nella città di Romeo e Giulietta, dove si trova subito molto bene:
“È una città molto bella, a misura dei
bambini”, spiega.
Melisi diventa responsabile dell’Unità
di oncologia clinica molecolare dell’apparato digerente presso l’Università degli
studi di Verona. “All’inizio fui accolto
con un pizzico di diffidenza, perché ero
nuovo e arrivavo con un ricchissimo finanziamento per le mie ricerche, assicurato dallo Start-up grant di AIRC, ma ben
presto ho avuto la conferma di essere circondato da colleghi molto corretti e
molto bravi, sia nell’ambito della clinica
sia in quello della ricerca” racconta.
Tre piani
di separazione
Per la sua formazione di clinico ricercatore, una struttura in cui il laboratorio
– attrezzatissimo – si trova ad appena tre
piani di distanza dal reparto è l’ideale per
portare avanti le ricerche sui meccanismi che permettono al carcinoma pancreatico di resistere all’effetto dei farmaci
chemioterapici e antiangiogenetici: un
MD Anderson in piccolo, appunto.
L’oggetto della sua ricerca continua a
essere la proteina TAK1 e più in generale
il complesso meccanismo di resistenza
in cui è coinvolta insieme a tanti altri,
che fa sì che il carcinoma del pancreas risponda così poco alle terapie. Sente di
avere una sorta di missione, che non sarà
“
AGGIRARE LA RESISTENZA
l gruppo diretto da Davide
Melisi si occupa dello sviluppo
preclinico e clinico di terapie
oncologiche sperimentali, in
particolare per i tumori
dell’apparato digerente. Il
progetto per cui si è aggiudicato
il finanziamento AIRC studia
i meccanismi di resistenza
ai farmaci chemioterapici
e antiangiogenetici, con
l’obiettivo di trovare finalmente
la strada per cronicizzare una
malattia che oggi è difficile da
curare.
Il cancro pancreatico, che in
Italia colpisce ogni anno circa
800 persone, è infatti uno dei
pochissimi tumori contro i quali
le terapie non riescono ancora
a incidere significativamente. Il
I
compiuta finché il quadro non sarà diventato progressivamente più chiaro:
“Per me la ricerca ha un valore soprattutto quando si sviluppa nel tempo, esplorando l’oggetto di studio in modo sempre più approfondito, aggredendolo da
ogni parte, raccontando con sempre
maggiore dettaglio una storia, che ha un
”
tumore ha infatti un’insolita
capacità di resistere sia ai
farmaci citotossici usati nella
chemioterapia classica sia ai
più innovativi farmaci
antiangiogenetici. Ma
l’approccio combinato su cui
sta lavorando il gruppo di
Davide Melisi fa ben sperare
che un giorno non lontano si
possa trovare uno strumento in
grado di frenare anche il
carcinoma del pancreas,
allungando la sopravvivenza:
poiché Melisi ama ricorrere
alla metafora della ricerca
come una storia da raccontare,
si può dire che l’obiettivo è
riscrivere il finale, in cui il
cattivo viene messo nelle
condizioni di non nuocere.
inizio e procede verso una fine”.
L’oggetto di studio è in laboratorio, ma
il pensiero è sempre concentrato sui malati: “Il nostro è un gruppo impegnato
nell’assistenza come nella ricerca e c’è un
gran fermento tra il reparto e il laboratorio. Ma quando i ragazzi si scontrano con
i classici problemi della vita di laborato-
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VITA DI RICERCATORE
Davide Melisi con la moglie Alessandra
e i figli Lorenzo e Miriam
“
I
I GIOVANI DELLA START-UP
l lavoro di ricerca è portato
avanti da un gruppo di giovani
promettenti, che in parte lo
hanno seguito da Napoli, e in
parte si stanno formando
all’Università di Verona, dove
Melisi insegna oncologia nel
corso di laurea in medicina e
chirurgia e nelle scuole di
specializzazione in oncologia,
gastroenterologia e chirurgia
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”
generale. Ecco la formazione
completa: Carmine Carbone,
Anna Tamburrino (nella foto) e
Geny Piro, PhD, postdoc; Maria
Mihaela Mina, tecnico di
laboratorio; Silvia Zanin,
infermiera di ricerca; Melissa
Frizziero e Lorenzo Calvetti,
specializzandi in oncologia;
Guendalina Bardella e Raffaella
Colella, studenti interni.
rio, con un esperimento che non va come
sperato, io ricordo loro che il nostro problema non è nella centrifuga o nel vetrino: il nostro problema è al terzo piano”. I
pazienti di cui si occupa sono per lui persone, con un nome, una storia e una famiglia, che si trovano ad affrontare una
situazione durissima per chiunque. Da
come ne parla, si capisce che Melisi sente
profondamente anche il suo ruolo di medico che deve aiutare i pazienti e le famiglie a fare i conti con la malattia: “Solo
chi si pone domande vere trova risposte
vere” continua a ripetere ai suoi ragazzi.
“La sostanza per noi è l’urgenza quotidiana del problema clinico”.
Dipendente dal lavoro
Le domande sono pressanti e le risposte non sono facili da trovare, percui la
vita è scandita dal lavoro: “La mia giornata media? È fatta di una settimana”
scherza Melisi, che spesso tra un turno di
reperibilità in Pronto soccorso e una
notte di guardia si ritrova a fornire consulenze anche telefoniche a colleghi e
pazienti (che cerca ogni volta di reclutare in qualche sperimentazione) e, come
ogni ricercatore che si rispetti, a lavorare
per alcune riviste internazionali molto
importanti (Clinical Cancer Research, Molecular Cancer Therapeutics e Annals of Oncology) come revisore degli articoli presentati per la pubblicazione. Non di rado
gli capita di ritrovarsi a casa, anche nei
week-end, a discutere i dettagli delle ricerche in corso, davanti a una pizza, un
risotto o un piatto di spaghetti alle vongole con i suoi ragazzi.
Per un bambino che da piccolo faceva
i primi esperimenti scientifici con le boccette e i flaconi di profumo della mamma
e che da grande ha scoperto di voler fare
il medico-ricercatore, il destino del workaholic – del “lavorodipendente” – era da
tempo segnato: “Voler fare entrambe le
cose nel modo migliore è molto impegnativo. Ma io sono contento così”. In
fondo, a Houston lo hanno dimostrato
tanti anni fa che, con le persone giuste,
una volontà ferrea, i soldi necessari e
tanto lavoro si può arrivare sulla Luna.
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