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Che pace, la sera!

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Che pace, la sera!
LA NOTTE
Di Antonio Ferrentino e Filippo Simonelli
La Notte Poetica
Si potrebbe comporre un ampio elenco con le poesie dedicate, in ogni epoca, alla notte. Poeti di ogni
tempo si sono impegnati a descrivere ciò che la sera o la notte rappresenta per loro, cosa provano nel
vederla e nel viverla. Può prendere il significato di una dolce madre che ti accoglie alla fine di ogni
giornata o può essere intesa come l’ inevitabile morte che attende alla fine di un arco di tempo. Ogni
poesia cerca a suo modo di esprimere anche quello che ricorda al poeta questo momento della giornata,
come ricordi di infanzia o come ricordi di dolore e sofferenza. Con la poesia si può anche solo cantare i
pregi e i difetti che caratterizzano il momento e quindi cantare lo spettacolo della natura che ci
circonda.
Il tema della notte ha sempre intrigato non solo i poeti ma in generale tutti gli artisti sono sempre stati
affascinati da questa, soprattutto dal concetto che rappresenta. La notte può essere considerata come il
luogo, per via del buio che la caratterizza, dove la gente nasconde i propri segreti; oppure invece il
posto dove è custodita la verità ed il sapere che l’ uomo ricerca dall’ inizio dei tempi. Con la sua
particolare misteriosità attira i pensieri di chiunque si soffermi a pensare su di lei e su i suoi infiniti
possibili significati.
La notte può essere anche la maschera che i poeti possono usare per sognare perche durante la notte
tutto è permesso, ti puoi nascondere in essa e utilizzarla come sfondo di ragionamenti personali o
fantasiosi o irreali o usarla per poter sfogare ciò che provi o pensi.
Può essere infine considerata una cosa non benigna, che nasconde tutti i mali della società come gli
assassini, le prostitute, gli squilibrati che vivono in essa e la utilizzano per agire senza essere
individuati. Ciò, per poeti come D’ annunzio, è il peggior ruolo che la notte può assumere.
Quindi la notte per ognuno ha un significato diverso: per alcuni rappresenta la morte, per altri è solo un
modo per decantare una cosa in particolare come la luna, per altri può avere un ‘altro significato ancora
ed è questo che la rende un argomento senza mai fine che può essere ripreso più e più volte da
chiunque.
Ugo Foscolo
Niccolò Ugo Foscolo nacque sull'isola greca di Zante (nota anche come Zacinto: alla quale
dedicherà uno dei suoi 12 sonetti), il 6 febbraio del 1778, figlio del veneziano Andrea Foscolo e
della greca Diamantina Spathis ed ebbe due fratelli e una sorella, tutti più giovani di lui
Trascorse parte della sua fanciullezza nella Dalmazia e nel 1785 si trasferì con la famiglia
a Spalato, dove il padre esercitava la sua professione di medico con un salario modesto, e presso
il Seminario arcivescovile di quella città compì come esterno i suoi primi studi, fino a quando la
morte improvvisa del padre, avvenuta nel 1788, lo costrinse a ritornare a Zante dove continuò la
scuola e apprese i primi elementi del greco antico dimostrandosi però allievo ribelle alla
disciplina e non troppo propenso allo studio.
Nei primi mesi del 1789 la madre si trasferì a Venezia. Tra il1793 e il 1797 frequentò le Scuole
di San Cipriano a Murano.
Nel 1794 trascrisse una quarantina dei suoi componimenti poetici, in parte originali e in parte
frutto di traduzioni, che risentivano degli influssi arcadici soprattutto nel metro e nel linguaggio.
Ebbe diversi contatti con importanti autori sia veneziani che non, in particolare con poeti
bresciani e padovani, che contribuirono alla creazione della sua prima opera nel 1795 intitolata
Trieste.
Ma il 17 ottobre di quel 1797 così esaltante terminò con il Trattato di Campoformio con il quale
Bonaparte cedeva Venezia (fino a quel momento libera repubblica), all'Austria e il giovane Ugo,
pieno di sdegno, dimessosi dagli incarichi pubblici, partì in volontario esilio e si recò a Milano.
Nel 1798 il poeta si trasferì a Bologna dove iniziò la sua collaborazione a «Il Genio
Democratico», fondato dal fratello Giovanni e poi riassorbito dal «Monitore bolognese».
Foscolo nel frattempo si arruolò nella Guardia Nazionale e combatté con le truppe francesi fino
alla battaglia di Marengo. Ferito nella battaglia di Cento, venne arrestato durante la fuga e
liberato a Modena partecipando in seguito ad altri scontri.
Tra il 1801 e il 1804 ebbe un’ intensa attività letterale, infatti in quel periodo scrisse anche la
famosa ode “in morte del fratello Giovanni”. Proseguì la permanenza nell’ esercito francese e
nel 1806 ebbe una figlia con una donna inglese, questa figlia alla fine farà la sua unica
consolazione.
Nel 1808 prese la cattedra di eloquenza all’ università di Padova, lavoro che perse subito perché
Napoleone abolì la materia. Soggiornò per qualche tempo a Milano e a Bellosguardo dove
produsse molto. Dopo la caduta di Napoleone riparò prima in Svizzera e poi nel 1816 a Londra
dove morì nel 1827 povero e confortato solo da la figlia inglese ritrovata.
Tra i suoi componimenti più importanti ricordiamo “ultime lettere a jacopo hortis”, “sepolcri” e
“le grazie”, rimasta incompiuta.
Alla Sera – Ugo Foscolo
Forse perché della fatal quiete
tu sei l'immago a me sì cara vieni
o Sera! E quando ti corteggian liete
le nubi estive e i zeffiri sereni,
e quando dal nevoso aere inquiete
tenebre e lunghe all'universo meni
sempre scendi invocata, e le secrete
vie del mio cor soavemente tieni.
Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme
che vanno al nulla eterno; e intanto fugge
questo reo tempo, e van con lui le torme
delle cure onde meco egli si strugge;
e mentre io guardo la tua pace, dorme
quello spirto guerrier ch'entro mi rugge.
parafrasi
Forse perché tu sei l’immagine della morte, a me giungi cosi gradita, sia quando sei accompagnata
dalle nuvole e dai venti sereni sia quando dal cielo nevoso e conduci sulla terra notti lunghe e
burrascose, occupi le vie più segrete del mio animo, con la tua dolcezza che rassicura.
Mi fai a pensare alla morte e intanto se ne va via questo tempo malvagio, e insieme al tempo che se ne
và se ne vanno anche le preoccupazioni tralle quali il fatto che il tempo si consuma con me.
E mentre guardo la tua immagine di pace, dentro di me dorme l’ animo focoso che freme.
Giacomo Leopardi
Giacomo Leopardi, dal nome di battesimo Giacomo Taldegardo Francesco di Sales Saverio Pietro Leopardi
nacque a Recanati il 29 giugno 1798 in provincia di Macerata nelle Marche, da una delle più nobili famiglie
del paese. Il padre, il conte Monaldo, figlio del conte Giacomo e della marchesa Virginia Mosca di Pesaro,
uomo amante degli studi e d'idee reazionarie; la madre, la marchesa Adelaide Antici, era una donna energica,
legata alle convenzioni sociali e ad un concetto profondo di dignità della famiglia, motivo di sofferenza per il
giovane Giacomo, che non ricevette tutto l'affetto di cui aveva bisogno. Ricevette la prima educazione, come
da tradizione familiare, da due precettori ecclesiastici, il gesuita don Giuseppe Torres fino al 1808 e l'abate
don Sebastiano Sanchini fino al 1812, che influirono sulla sua prima formazione con metodi improntati alla
scuola gesuitica. Tali metodi erano incentrati non solo sullo studio del latino, della teologia e della filosofia,
ma anche su una formazione scientifica di buon livello contenutistico e metodologico. Il ruolo avuto dai
precettori non impedì comunque al giovane Leopardi di intraprendere un suo personale percorso di studi
avvalendosi della biblioteca paterna molto fornita (oltre 16000 volumi) e di altre biblioteche recanatesi.
Cessata la formazione nel 1812 dell'abate Sanchini, il quale ritenne inutile continuare la formazione del
giovane che ne sapeva ormai più di lui, Leopardi si immerse totalmente in uno studio “matto e disperatissimo”
(come egli stesso definisce), della durata di sette anni, che assorbì tutte le sue energie e che recò gravi danni
alla sua salute. Senza l'aiuto di maestri apprese il greco e l'ebraico e, seppure in modo più sommario, altre
lingue e compose poi opere di grande impegno ed erudizione. Iniziò le prime pubblicazioni e lavorò alle
traduzioni dal latino e dal greco dimostrando sempre di più il suo interesse per l'attività filologica. Man mano
che si allargano gli interessi culturali, cresce anche l’ insofferenza per l’ ambiente recanatese gretto e
meschino. L’ amicizia con lo scrittore Pietro Giordani, rompendo l’ isolamento del giovane, gli fa desiderare
ancor di più di uscire da quel mondo ristretto. Intanto egli va maturando le sue convinzioni politiche,
filosofiche e poetiche. Il 1819 è un anno cruciale dal momento che l’ aggravarsi della malattia agli occhi gli
impedisce per molti mesi di leggere e scrivere, accentuando la sua disperazione e il suo pessimismo. Questa
dolorosa condizione interiore non blocca la sua vocazione poetica e infatti agli anni 1829-1821 risale la
composizione degli Idilli: come Alla Luna, L’ infinito, La vita solitaria, Il sogno e La sera del dì di festa. Il
piacere della poesia è del resto l’ unico antidoto contro la noia e l’ insofferenza provocati dalla vita a Recanati
che lo portano più volte ma invano a tentare la fuga da casa.
Finalmente nel 1822 Leopardi riesce ad allontanarsi dal paese natio e si reca a Roma, ospite degli zii
materni. Ma l’ ambiente sociale e la vita culturale della città lo deludono profondamente, così dopo pochi
mesi decide di ritornare a Recanati dove rimarrà fino a tutto il 1824. Si accentua ulteriormente durante
questo soggiorno il pessimismo del poeta che dà una chiara sistemazione al suo pensiero nelle Operette
Morali, dialoghi satirici in prosa nei quali l’ autore medita sulla condizione dell’ uomo. Risale al 1825 la
seconda uscita da Recanati, e questo sarà appunto uno dei periodi più fervidi della vita di Leopardi il quale
si reca a Milano, a Bologna, a Firenze e a Pisa dove incontra importanti intellettuali e riceve manifestazioni
di stima e di ammirazione. Rientrato nel 1828 a Recanati, vi ritrova l’ atmosfera degli anni giovanili che,
osservata con occhi nuovi, suscita in lui emozioni e ricordi. Da questo avvenimento e dallo stato d’ animo
che ne scaturisce nascono alcune delle sue liriche più alte come: A Silvia, Il sabato del villaggio, La quiete
dopo la tempesta, Il passero solitario, Le ricordanze, Il canto notturno di un pastore errante dell’ Asia. La
permanenza a Recanati dura due anni; nel 1830, grazie a una sottoscrizione degli amici toscani che lo
sovvenzionano economicamente, Leopardi può partire per Firenze. Qui incontra Fanny Targioni Tozzetti,
una donna della quale si innamora senza essere corrisposto. Questa passione gli ispira cinque
componimenti d’ amore, il cosiddetto Ciclo di Aspasia. Nel capoluogo toscano Leopardi rivede anche
Antonio Ranieri che aveva già conosciuto qualche anno prima e con lui si trasferisce prima a Roma e poi a
Napoli dove trascorre gli ultimi anni della sua vita. Muore nel 1837 durante un’ epidemia di colera per l’
aggravarsi dei mali che da tempo lo affliggevano, senza aver ottenuto in vita quella fama che gli sarebbe
stata ampliamente tributata solo dopo la morte.
Alla Luna-Giacomo Leopardi
O graziosa luna, io mi rammento
che, or volge l’anno, sovra questo colle
io venia pien d’angoscia a rimirarti:
e tu pendevi allor su quella selva
siccome or fai, che tutta la rischiari.
Ma nebuloso e tremulo dal pianto
che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci
il tuo volto apparia, che travagliosa
era mia vita: ed è, né cangia stile,
o mia diletta luna. E pur mi giova
la ricordanza, e il noverar l’etate
del mio dolore. Oh come grato occorre
nel tempo giovanil, quando ancor lungo
la speme e breve ha la memoria il corso,
il rimembrar delle passate cose,
ancor che triste, e che l’affanno duri!
Parafrasi
Oh leggiadra luna, io mi ricordo che si compie adesso un anno, sopra questo colle da quando venivo pieno
d’angoscia a contemplarti: e tu stavi allora su quella selva come fai ora, che tutta la rischiari. Ma ai miei occhi il
tuo volto appariva velato, offuscato e tremulo a causa delle lacrime che mi bagnavano gli occhi, perché la mia vita
era travagliata, piena di tormenti e continua ad esserlo né cambia stile o mia diletta luna. E tuttavia mi procura
piacere il ricordo, e il richiamare alla memoria il tempo del mio dolore. Oh com’è gradito negli anni della
giovinezza, quando la speranza ha dinanzi a sé una lunga serie di anni e invece breve è il passato da ricordare,
ricordare gli eventi passati, sebbene il ricordo sia doloroso, e le sofferenze durino ancora e ci facciano soffrire.
Giovanni Pascoli
Giovanni Pascoli nacque nel 1855 a San Marco di Romagna. Fu il quarto di dieci figli e trascorse una
adolescenza serena fino all’ uccisione del padre il 10 agosto 1867. Da quel momento in poi Pascoli fu segnato
profondamente e questo episodio lo cambiò molto. Alla morte del padre dedicherà poi anche una poesia.
Nonostante le difficoltà economiche, finì gli studi fino all’ università, dove si avvicinò al socialismo. Arrestato
nel 1879 perché partecipò d un convegno anarchico. Si laureò nel 1882 e iniziò a insegnare latino e greco nei
licei e in seguito a comporre poesie. Nel 1891 pubblicò per la prima volta con Myricae, seguiti da altre
raccolte. Insegno all’ università di Messina e Pisa dove sostituì Carducci, Quindi si dedicò alla poesia per
descrivere la campagna; ricordiamo Odi e inni, Pomi Italici. Pubblicò anche delle raccolte di poesie latine
“Carmi”. Si ammalò nel 1908 e morì nel 1912 a Bologna.
La mia sera – Giovanni Pascoli
Il giorno fu pieno di lampi;
ma ora verranno le stelle,
le tacite stelle. Nei campi
c'è un breve gre gre di ranelle.
Le tremule foglie dei pioppi
trascorre una gioia leggiera.
Nel giorno, che lampi! che scoppi!
Che pace, la sera!
Si devono aprire le stelle
nel cielo sì tenero e vivo.
Là, presso le allegre ranelle,
singhiozza monotono un rivo.
Di tutto quel cupo tumulto,
di tutta quell'aspra bufera,
non resta che un dolce singulto
nell'umida sera.
E', quella infinita tempesta,
finita in un rivo canoro.
Dei fulmini fragili restano
cirri di porpora e d'oro.
O stanco dolore, riposa!
La nube nel giorno più nera
fu quella che vedo più rosa
nell'ultima sera.
Che voli di rondini intorno!
Che gridi nell'aria serena!
La fame del povero giorno
prolunga la garrula cena.
La parte, sì piccola, i nidi
nel giorno non l'ebbero intera.
Né io ... che voli, che gridi,
mia limpida sera!
Don ... Don ... E mi dicono, Dormi!
mi cantano, Dormi! sussurrano,
Dormi! bisbigliano, Dormi!
là, voci di tenebra azzurra ...
Mi sembrano canti di culla,
che fanno ch'io torni com'era ...
sentivo mia madre ... poi nulla ...
sul far della sera.
.
parafrasi
Il giorno fu pieno di lampi, ma ora verranno le stelle, le stelle silenziose. Nei campi si sente
un breve gracidio di ranelle. Una brezza leggera fa tremare, come un brivido di gioia, le foglie
dei pioppi.
Nel giorno, che lampi! Che scoppi! Ma poi, che pace la sera!Si devono vedere le stelle in un
cielo così tenero e vitale. Presso le allegre ranelle un ruscello produce un suono monotono. Di
tutto il rumore fragoroso, di tutta quella cupa bufera non resta che un dolce singhiozzo nella
sera umida. E quella bufera infinita si spegne in un canto sonoro. Dei fulmini che si
infrangono restano solo nuvolette sottili color porpora e d'oro; o stanchezza, riposa!La nube
che nel giorno fu la più nera, ora è la più rosa: mentre la sera sta per finire. Che belli i voli di
rondini intorno! Che gridi nell'aria serena!La fame accumulata nel giorno, rende più festosa e
più lunga la cena. La porzione di cibo così piccola, gli uccellini nei nidi non l'ebbero intera, e
nemmeno io. Mia limpida sera, un dolce DonDon di campane, mi dice: dormi!Le voci nella
notte azzurra, mi sembrano canti di culla, che mi riportano all'infanzia: sentivo mia
madre...poi nulla...sul far della sera.
Giuseppe Ungaretti
Giuseppe Ungaretti nacque ad Alessandria d'Egitto, nel quartiere periferico di Moharrem Bey, l'8 febbraio 1888 (ma
venne denunciato all'anagrafe come nato il 10 febbraio, e festeggiò sempre il suo compleanno in quest'ultima data) da
genitori lucchesi. Il padre, operaio allo scavo del Canale di Suez, morì due anni dopo la nascita del poeta, nel 1890. La
madre, Maria Lunardini, mandò avanti la gestione di un forno di proprietà, con il quale garantì gli studi al figlio, che si
poté iscrivere in una delle più prestigiose scuole di Alessandria, la Svizzera École Suisse Jacot. L'amore per la poesia
nacque durante questi anni di scuola e si intensificò grazie alle amicizie che egli strinse nella città egiziana, così ricca
di antiche tradizioni come di nuovi stimoli, derivanti dalla presenza di persone provenienti da tanti paesi del mondo;
Ungaretti stesso ebbe una balia originaria del Sudan, ed una domestica croata. In questi anni, attraverso la rivista
Mercure de France, il giovane si avvicinò alla letteratura francese e, grazie all'abbonamento a La Voce, alla letteratura
italiana: inizia così a leggere le opere, tra gli altri, di Rimbaud, Mallarmé, Leopardi, Nietzsche, Baudelaire,
quest'ultimo grazie all'amico Moammed Sceab. Ebbe anche uno scambio di lettere con Giuseppe Prezzolini. Nel 1906
conobbe Enrico Pea, da poco tempo emigrato in Egitto, con il quale condivise l'esperienza della "Baracca Rossa", un
deposito di marmi e legname dipinto di rosso che divenne sede di incontri per anarchici e socialisti. Lavorò per qualche
tempo come corrispondente commerciale, ma realizzò alcuni investimenti sbagliati; si trasferì poi a Parigi per svolgere
gli studi universitari. Nel 1912 Ungaretti, dopo un breve periodo trascorso al Cairo, lasciò l'Egitto e si recò a Parigi. Nel
tragitto vide per la prima volta l'Italia ed il suo paesaggio montano. A Parigi frequentò per due anni le lezioni del
filosofo Bergson, del filologo Bédier e di Strowschi, alla Sorbonne e al Collège de France. Nel 1913 morì l'amico
d'infanzia Sceab, suicida nell'albergo di rue des Carmes che condivideva con Ungaretti. In Francia Ungaretti filtrò le
precedenti esperienze, perfezionando le sue conoscenze letterarie e il suo stile poetico. Quando nel 1914 scoppiò la
Prima Guerra Mondiale, Ungaretti partecipò alla campagna interventista, per poi arruolarsi volontario nel 19°
reggimento di fanteria, quando il 24 maggio l'Italia entrò in guerra. Combatté sul Carso e in seguito a questa esperienza
scrisse le poesie che, raccolte dall'amico Ettore Serra (un giovane ufficiale), vennero stampate in 80 copie presso una
tipografia di Udine nel 1916, con il titolo “Il porto sepolto”. Al termine della guerra il poeta rimase a Parigi dapprima
come corrispondente del giornale Il Popolo d'Italia, ed in seguito come impiegato all'ufficio stampa dell'ambasciata
italiana. Nel 1920 il poeta sposò Jeanne Dupoix, dalla quale avrà due figli, Anna Maria, detta Ninon (17 febbraio
1925) e Antonietto (19 febbraio 1930).
Nel 1921 si trasferì a Marino (Roma) e collaborò all'Ufficio stampa del Ministero degli Esteri. Gli anni venti
segnarono un cambiamento nella vita privata e culturale del poeta. Egli aderì al fascismo firmando il Manifesto degli
intellettuali fascisti nel 1925. In questi anni egli svolse una intensa attività su quotidiani e riviste francesi (Commerce
e Mesures) e italiane (sulla La Gazzetta del Popolo), e realizzò diversi viaggi in Italia e all'estero per varie conferenze,
ottenendo nel frattempo vari riconoscimenti di carattere ufficiale. Furono questi gli anni della maturazione dell'opera
Sentimento del Tempo; prime pubblicazioni di alcune sue liriche avvennero su L'Italia letteraria e Commerce. Nel
1923 venne ristampato Il porto sepolto presso La Spezia, con una sbrigativa prefazione di Benito Mussolini, che aveva
conosciuto nel 1915, durante la campagna dei socialisti interventisti. Nel 1928 maturò invece la sua conversione
religiosa, evidente nell'opera Sentimento del Tempo. Nel 1933 il poeta aveva raggiunto il massimo della sua fama. Nel
1936, durante un viaggio in Argentina su invito del Pen Club, gli venne offerta la cattedra di letteratura italiana presso
l'Università di San Paolo del Brasile, che Ungaretti accettò; trasferitosi con tutta la famiglia, vi rimarrà fino al 1942. A
San Paolo nel 1939 morirà il figlio Antonietto, all'età di nove anni, per un'appendicite mal curata, lasciando il poeta in
uno stato di grande prostrazione interiore, evidente in molte delle poesie. Nel 1942 Ungaretti ritornò in Italia e venne
nominato Accademico d'Italia e professore di letteratura moderna e contemporanea presso l'Università di Roma, ruolo
che mantenne fino al 1958. Nel secondo dopoguerra Ungaretti pubblicò nuove raccolte poetiche, dedicandosi con
entusiasmo a quei viaggi che gli davano modo di diffondere il suo messaggio. Nella notte tra il 31 dicembre 1969 e il
1º gennaio 1970 scrisse l'ultima poesia, L'Impietrito e il Velluto, pubblicata in una cartella litografica il giorno
dell'ottantaduesimo compleanno del poeta. Morì a Milano nella notte tra l’ 1 e il 2 giugno 1970 per broncopolmonite.
Il 4 giugno si svolse il suo funerale a Roma, nella Chiesa di San Lorenzo fuori le Mura, ma non vi partecipò alcuna
rappresentanza ufficiale del Governo italiano.
O notte – Giuseppe Ungaretti
Dall'ampia ansia dell'alba
Svelata alberatura.
Dolorosi risvegli.
Foglie, sorelle foglie,
Vi ascolto nel lamento.
Autunni,
Moribonde dolcezze.
O gioventù,
Passata è appena l'ora del distacco.
Cieli alti della gioventù,
Libero slancio.
E già sono deserto.
Preso in questa curva malinconia.
Ma la notte sperde le lontananze.
Oceanici silenzi,
Astrali nidi d'illusione,
O notte.
Parafrasi
Dall' ampia ansia del primo mattino gli alberi si iniziano a
intravedere. Risvegli che portano sofferenza. Foglie, sorelle
foglie vi ascolto mentre vi lamentate. Autunni, dolcezze
moribonde. Gioventù, è appena passata l'ora del distacco. I
cieli alti della gioventù sono un libero slancio. E sono già
diventato un deserto.
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