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Gregorio Magno La fine del mondo è vicina (in Ezechiele, II,6): “Dovunque vediamo lutti, dovunque sentiamo gemiti. Distrutte le città, invasi i villaggi, devastate le campagne, la terra è stata ridotta a un deserto. Non è rimasto nessun abitante nei villaggi; quasi nessuno nelle città; e tuttavia anche questi piccoli resti del genere umano sono colpiti continuamente ogni giorno. E i flagelli della giustizia celeste non hanno termine, perché neppure in mezzo ai flagelli si emendano le colpe. Vediamo alcuni deportati come schiavi, alcuni mutilati, altri uccisi… voi vedete come è ridotta Roma stessa, che un tempo sembrava la dominatrice del mondo. Schiacciata in tanti modi da immensi dolori, dalla desolazione dei cittadini, dall’assedio dei nemici, dalle continue rovine.” Il contesto storico • 540 nascita di Gregorio (durante la guerra greco-gotica 535-553) • 569 arrivo dei Longobardi in Italia (Pavia, Spoleto, Benevento) • 573 morte del padre di Gregorio, che sceglie la vita monastica • 579-587 Gregorio è inviato da papa Pelagio II a Costantinopoli come apocrisario. Qui conosce Leandro di Siviglia è padrino di battesimo di un nipote dell'imperatore Maurizio • 589 in autunno: piena del Tevere, carestia, peste. Il 7 febbraio 590 muore Pelagio II, Gregorio diventa papa, una settimana dopo la processione del popolo di Roma verso S.Pietro. Come vivere il vangelo in tempi di crisi? • "Il mondo è logorato dallo stato di vecchiezza e angustiato da affanni continui per la morte imminente; per questo, fratelli, non amate il mondo, di cui intuite l'instabile e fragile vita [...]. Rinnovate la vita, trasformate i costumi, lottate costantemente contro gli stimoli del male, distruggete nel pianto i peccati compiuti" (Homiliae XL in Evangelia, I, 5). dai Moralia in Job Spesso avviene che un povero dormendo si vede ricco in sogno e ci trova tanta gioia, si sente divenuto una persona importante e comincia a guardare con disprezzo quelli da cui prima gli dispiaceva d’essere disprezzato. Ma ad un tratto si sveglia, e gli dispiace d’essersi svegliato dal momento che, almeno in sogno, si sentiva ricco. Geme sotto il peso della povertà e si sente oppresso dall’angustia della sua miseria, e tanto più perché per un momentino ebbe l’illusione d’essere ricco. Lo stesso avviene per i ricchi di questo mondo, che son gonfi della (569) loro ricchezza. Non sanno far opere buone colla loro abbondanza, sono come ricchi addormentati; ma quando si svegliano trovano la loro povertà, perché non hanno niente da portare a quel giudizio che dura sempre, e quanto più ora per breve tempo si sono creduti importanti, tanto più in perpetuo gemono contro se stessi... Aprono là occhi per vedere i supplizi, mentre qui li tenevano chiusi per non vedere la misericordia. Aprono gli occhi e non vedono frutti di pietà, mentre li tennero chiusi quando trovarono l’occasione di praticarla. Troppo tardi li aprono... Una volta perdute, vedono che erano vili e fuggevoli le cose che tenevano strette, mentre quando le avevano parevano grandi e durature ai loro cuori stolti. Tardi apri gli occhi il ricco, quando vide Lazzaro che riposava, quello stesso di cui egli non si era curato quando giaceva davanti alla Sua porta. Allora capì quel che qui non volle fare; nella sua dannazione fu costretto a comprendere che cosa aveva perduto quando non riconobbe come suo prossimo quell’indigente. 30. Vediamo adesso la miseria del ricco tra le fiamme, dopo aver goduta tanta abbondanza nei suoi banchetti... Dalle parole del ricco si vede come per finissimo giudizio di Dio la pena corrisponde perfettamente alla colpa. Infatti spinto dalla sua inopia fu costretto a chiedere una piccolissima cosa lui, che qui, colla sua avarizia fin le minime cose aveva negate". Chiese una goccia d’acqua lui che aveva rifiutate le briciole di pane. [Gregorio Magno, Moralia in Job, lib. XVIII, 29-30] Giovanni il Battista: condividere anche il necessario Continua il testo evangelico: [Giovanni] diceva loro in risposta: chi ha due tuniche ne doni una a chi non ne possiede, e chi ha dei cibi faccia altrettanto (Luc., 3, 11). Siccome la tunica ci è più necessaria, nell’uso, del mantello, rientra nei degni frutti di penitenza il dovere di dividere col prossimo non solo gli oggetti esterni e non del tutto necessari, ma anche quelli indispensabili, come i cibi che sostentano la vita o la tunica con cui ci copriamo. Siccome nella legge sta scritto: amerai il prossimo tuo come le stesso (Matt., 22, 39) 12, dovrà invece dire di amare meno il prossimo chi non è pronto a dividere con chi si trova nelle strettezze anche ciò che gli è necessario. Viene quindi dato il precetto di dare al prossimo una delle due tuniche, perché una isola non potrebbe essere divisa fra due, a meno di lasciar senza vesti l’uno e l’altro: con mezza tunica si sa che non può coprirsi né chi ha dato né chi ha ricevuto. Da tutto questo risulta chiaro il valore delle opere di misericordia che vengono comandate più di ogni altra cosa per produrre degni frutti di penitenza. Per questo anche la stessa Verità afferma: date in elemosina ed ecco che tutto si purifica per voi (Lc 11, 41). Ed ancora: date e vi sarà dato (Lc., 6, 38). Come pure sta scritto: l'acqua spegne il fuoco che divampa e l’elemosina purifica dai peccati (Eccl., 3, sgg). Come anche: nascondi la tua elemosina in grembo al povero ed essa diverrà preghiera per te (Eccl., 29, 15). Cosi il buon padre esorta il figlio innocente: se avrai in abbondanza, donerai con generosità; se ti resterà poco, dovrai cercare di dare volentieri quel poco che ti rimane (Tob., 4, 9). [Gregorio Magno, Omelia XX, 11] La preoccupazione personale per i poveri • [Gregorio] il primo giorno di ogni mese distribuiva a tutti i poveri la parte dei redditi della chiesa pagati in natura: nella stagione adatta, il frumento e, a seconda delle stagioni, vino, formaggio, legumi, lardo, animali commestibili, pesce e olio venivano così assegnati con la massima discrezione da questo capo della famiglia del Signore.... Inoltre ogni giorno servendosi di corrieri adibiti a tale mansione inviava per vie e crocicchi di ogni regione della città alimenti cotti per i malati e gli invalidi. Prima di prendere lui stesso il cibo, aveva cura di inviare una scodella della sua mensa ai più poveri che non avevano coraggio di mostrarsi tali, di porta in porta, con la benedizione apostolica, sino al punto che la benevolenza di quel misericordioso distributore non escludeva assolutamente nessuno di coloro che la conoscenza dell’onnipotente creatore aveva portato alla fede. • Giovanni Diacono, La vita di Gregorio Magno, in PL 75, I, 24-28. L'esempio di Servolo Stava sotto il portico per il quale passa chi va alla Chiesa di S. Clemente un uomo chiamato Servolo, che molti di voi hanno conosciuto: povero di sostanze ma ricco di meriti, distrutto ormai da una lunga infermità e dalla paralisi che lo rese immobile dalla fanciullezza sino al termine della vita. Non poteva in alcun modo reggersi, sorgere dal lettuccio o porsi a sedere, servirsi delle mani e girarsi sui fianchi. La madre e il fratello lo assistevano, e tutto ciò che egli prendeva in elemosina lo dava per le loro mani ai poveri. Era analfabeta, ma, avendo comperato i libri della Bibbia, pregava i religiosi che venivano a fargli visita di leggergli a lungo brani delle Sacre Scritture. Avvenne cosi che acquistò una notevole conoscenza della Sacra Scrittura, limitatamente alle sue possibilità, essendo del tutto privo di istruzione. Cercava, nel dolore, di ringraziare Dio e di innalzare a Lui lodi e canti notte e giorno. Quando giunse il tempo del premio destinato a tanto dolore, la malattia colpi gli organi vitali. Sentendosi ormai prossimo alla fine, invitò i pellegrini e tutti quelli venuti a fargli visita ad alzarsi ed a cantare con lui i salmi in preparazione alla morte. Mentre, moribondo ormai, si univa alla salmodia, all’improvviso li fece tacere ed esclamò a gran voce, pieno di ammirazione: tacete, non sentite le lodi sublimi che risuonano nel cielo? E mentre tendeva lo spirito a quelle lodi nell’intimo pregustate,,la sua santa anima lasciò il corpo, Mentre questo avveniva, un profumo soavissimo si diffuse e tutti i presenti avvertirono la paradisiaca fragranza, comprendendo così che tra gli inni di lode l’anima era tornata a Dio. Un nostro monaco, ancora in vita, era presente al fatto e attesta, tra le lacrime, che il profumo soavissimo non lasciò i loro sensi fino a quando il corpo fu portato alla sepoltura. Ecco come egli lasciò questa vita, avendone sopportato i dolori con grande virtù. Secondo la parola del Signore quindi, quel terreno, dopo la paziente fatica, diede i frutti: arato col vomere della sofferenza, giunse alla raccolta e al premio. Pensate ora, vi prego o fratelli; carissimi, quali attenuanti potremo presentare nel severissimo giudizio noi, pigri nel bene, pur avendo ricevuto vigore e sostanze, se un povero paralitico attuò alla perfezione i precetti del Signore. Il Giudice non ci mostri allora gli Apostoli, che portarono con sé, i nel Regno, turbe di fedeli con la loro predicazione, né i martiri che raggiunsero la patria versando il loro sangue. Che diremo allora, vedendo questo Servolo, di cui abbiamo parlato, che, paralitico per lungo tempo, ebbe tuttavia la forza di perseverare nel bene? Riflettete su questo, fratelli, decidetevi a compiere il bene: proponendovi di imitare l’esempio dei buoni, possiate in quel giorno ottenere lo stesso loro premio. [Gregorio magno, Omelia XV sui Vangeli, 5] I poveri sono maestri nella fede Mentre questa Creatura [Romula] fu in vita da chi ebbe onori? Sembrava a tutti trascurabile e spregevole. Chi si degnava di farle visita e di accostarsi a lei? Tuttavia essa era come una perla preziosa nascosta in un letamaio. Uso questo vocabolo, fratelli, per indicare lo strazio della malattia nel corpo e l’umiliazione della povertà. Orbene, questa perla nascosta nel letamaio fu portata in Cielo e usata come ornamento del Re dell’universo, ed ora splende tra i beati, fulgida fra le pietre che brillano nell’eterno diadema. Voi che credete di essere o siete ricchi in questo mondo, paragonate, se vi riesce, le vostre false ricchezze ai veri tesori di Romula. Voi possedete in questo mondo beni da cui sarete strappati: ella non cercò nulla sulla terra e trovò tutto nella patria. Voi godete nella vita e temete la morte; ella dopo le sofferenze presenti giunse a una morte in cui trovò gioia. Voi cercate una gloria effimera dagli uomini, ella, disprezzata sulla terra, fu accolta tra i cori degli angeli. Imparate dunque, fratelli, a disprezzare i beni di questa vita, gli onori umani cosi effimeri, e ad amare la gloria eterna. Onorate quelli che vedete nella povertà e giudicate amici di Dio coloro che sono disprezzati su questa terra. Aiutateli con ciò che possedete, affinché un giorno vi soccorrano con i tesori di cui possono disporre. Riflettete alle parole del maestro delle genti: nel tempo presente la vostra ricchezza rechi soccorso alla loro povertà, affinché anche la loro abbondanza sia di aiuto alle vostre necessità (2 Cor. 8, 14); E la Verità stessa dice: quando l'avete fatto anche a uno solo fra i più piccoli di questi miei fratelli, l'avete fatto a me (Matt., 25, 40). Perché siete pigri nel dare, se ciò che porgete al mendico lungo la via è accolto da chi sta nei Cieli? Dio onnipotente che ha fatto giungere, per mio mezzo, queste parole al vostro orecchio, le imprima nei vostri cuori, Lui che vive e regna col Padre, in unità con lo Spirito Santo, Dio, per tutti i secoli. Amen. [Gregorio Magno, Omelia XL, 12] L'impegno per la pace • Gregorio in una lettera del febbraio 591 (ibid., nr. 30), dice di sentirsi "vescovo dei Longobardi, per i quali i patti sono spade e la grazia una pena". • Nel maggio 591 Agilulfo viene eletto re nell'assemblea dei duchi a Milano (Paolo Diacono, Storia dei Longobardi III, 35). Per la prima volta attraverso le nozze con Teodolinda (vedova di Autari) l'accesso alla regalità avvenne indipendentemente dall'elezione dei guerrieri, ridotta a semplice acclamazione. Anche nei due Ducati di Spoleto e di Benevento vi furono nello stesso anno cambiamenti al vertice: nel primo il pagano Ariulfo era succeduto a Faroaldo, nel secondo Arichi a Zotto. Questo determinò una ripresa delle attività di conquista, che minacciava da tutti i lati quello che si suole definire già ora come Ducato romano. • 592 Tragico è ancora il panorama delineato da Gregorio nella lettera a Giovanni vescovo di Ravenna nel luglio 592 (ibid., nr. 38), che gli aveva scritto di non sapere a chi rivolgersi per impetrare aiuto, convenendo sulla passività dell'esarca Romano, che "da una parte trascura di combattere contro i nemici, dall'altra ci impedisce di fare la pace". Gli anni 592-594 In questo drammatico frangente Gregorio decise alla fine dell'estate 592 di rompere gli indugi e di prendere l'iniziativa di una tregua. La gravità della crisi, e forse l'impegno autonomo di G., indussero l'esarca Romano a riprendere la campagna militare tra la fine del 592 e l'inizio del 593 (Liber pontificalis e Paolo Diacono, Storia dei Longobardi IV, 8, 9), che portò alla riconquista di Sutri, Bomarzo, Orte, Todi, Amelia, Perugia, Luceoli. Intervenne allora Agilulfo, che occupò Perugia, uccidendo Maurizio, duca longobardo passato dalla parte dei Bizantini, e pose l'assedio a Roma. La drammaticità del momento è testimoniata dall'assenza nel Registro di lettere per i mesi di gennaio, febbraio e marzo del 594. Sopraffatto dall'angoscia per le distruzioni e le violenze, alla fine del 593 G. interrompeva il ciclo di omelie sul libro di Ezechiele (Homiliae in Hiezechielem prophetam II, 10, 24). Le accuse contro Gregorio Racconta Paolo Diacono che l'assedio a Roma fu tolto da Agilulfo, forse dietro pagamento di un tributo da parte del pontefice, su suggerimento della regina Teodolinda sua moglie che era stata spesso esortata in tal senso dal papa. L'iniziativa di quest'ultimo determinò una grave crisi dei rapporti con l'esarca Romano e con l'imperatore fra l'autunno 594 e l'estate 595. L'atteggiamento dell'esarca non fu solo di rifiuto dell'accordo, ma anche di condanna del "praefectus urbi" e del "magister militum", di accusa del pontefice presso l'imperatore La risposta di Gregorio nella lettera del giugno 595 (ibid., nr. 36), Gregorio risponde alle accuse rivoltegli di "simplicitas", che, egli osservava, volevano in realtà significare che egli si era comportato da sciocco o addirittura da mentitore. "Se la servitù della mia terra non crescesse ogni giorno, tacerei, lieto di essere disprezzato e irriso. Ma mi affligge sommamente questo fatto: poiché proprio di dove io sopporto l'accusa di falsità, di là ogni giorno l'Italia è condotta schiava sotto il giogo dei Longobardi [...] questo suggerisco al piissimo mio signore: che di me pensi tutto il male che vuole, ma per quanto riguarda il bene della pubblica amministrazione e la questione della spoliazione dell'Italia ["de utilitate reipublicae et causa ereptionis Italiae"] non presti facilmente devoto ascolto a chiunque, ma creda più ai fatti che alle parole". La lettera si concludeva con un esplicito richiamo al rispetto dovuto ai sacerdoti, rispetto che perfino gli imperatori pagani avevano mostrato nei loro confronti. Un papa politico o un papa spirituale? • Nella tomba di Gregorio, in san Pietro, vi era scritto "consul Dei". Con questo titolo, che deriva dalla tradizione giuridica romana, si riconosceva al papa un ruolo mai avuto prima da un altro pontefice. • Normalmente si distinguono i papi "politici" da quelli "spirituali". Nel caso di Gregorio questo non appare facile: egli è stato certamente un uomo politico di primo livello, ma al tempo stesso è il papa le cui opere spirituali hanno più a lungo influenzato la storia della Chiesa. Non che i papi di questo periodo non fossero stati capaci di fare fronte, talora anche brillantemente, alle situazioni spesso difficili che si erano trovati a dovere affrontare. Ma ... ciò che li accomuna è giustamente la scarsa attitudine a porsi al di sopra degli eventi, padroneggiandoli sotto il profilo in senso lato culturale, come aveva dato prova di saper fare Gregorio Magno, in giorni non certo più facili di quelli che sarebbero venuti dopo di lui. Perché il vero discrimine non passa, come ci suggerirebbe un facile moralismo semplificatorio, fra papato temporale e papato spirituale - Gregorio stesso era stato un uomo di governo, nel senso pieno del termine, con tutte le difficoltà e le contraddizioni che ciò non poteva non comportare per chi restava in prima istanza un uomo di Chiesa - ma fra un papato immeschinito nella dimensione del temporale, ridotto a coincidere con essa, e un papato capace di signoreggiarla, affrontando a viso aperto e con spirito d'inventiva i rischi comunque inerenti all'impresa. Arnaldi, Natale 875. Politica, ecclesiologia, cultura del papato altomedievale, Roma 1990. p. 17 L'ultima risorsa: i santi Le prediche dal pulpito non servivano gran che. A renderle inutili c'era anche dapprincipio la difficoltà di comunicare, per la diversità delle lingue. Solo l'avverarsi di miracoli, nello stretto significato del termine, avrebbe avuto la virtù di convincere gli invasori, tuttora » come s'è detto - intimamente pagani, che il dio dei romani era molto più potente di tutti i loro dei messi insieme. Ma, per impetrare i miracoli, ci volevano dei santi e, nell'Italia del tempo, se ne era perso, sembrava, anche il seme. Proprio per reagire al disfattismo dei suoi contemporanei e fornire agli evangelizzatori un arsenale di argomenti irrefutabili, papa Gregorio Magno (590-604) scrisse i quattro libri dei Dialoghi, dove erano passati in rassegna un gran numero di santi italiani relativa-mente recenti (soprattutto dell'Italia centrale e meridionale), sia vescovi che abati. Un intero libro era dedicato a colui che di miracoli si diceva ne avesse fatti più di tutti gli altri: Benedetto da Norcia, di cui Gregorio stesso celebra, ma solo di passaggio, la regola monastica.