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Lo Stoicismo in Seneca

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Lo Stoicismo in Seneca
“ … E' l'animo che devi cambiare, non il cielo sotto cui vivi …”
Con il nome di stoicismo è noto un vasto movimento filosofico fondato da Zenone
di Cizio attorno al 300 a.C. e che si protrae fino al terzo secolo d.C., rifiorendo in
epoca romana. Lo stoicismo si divide convenzionalmente in tre periodi:
L'Antica Stoà (III-II secolo a.C.). Cleante e Crisippo, seguendo l'insegnamento
del maestro Zenone, fissano i punti della dottrina stoica
La Media Stoà (II-I secolo a.C.). Lo stoicismo viene contaminato
dall'epicureismo, dal neoplatonismo e dal pensiero orientale
La Nuova Stoà (I-III secolo d.C.). E' il periodo in cui lo stoicismo diventa la
filosofia più diffusa fra gli intellettuali romani: Seneca, l'Imperatore di Roma Marco
Aurelio e lo schiavo Epitteto ne sono gli esempi più eclatanti
Caratteri fondamentali dello Stoicismo
2. Il fato
1. Tutto è lògos
3. Il dominio sulle passioni
1.Tutto è logos
L'assunto fondamentale dello stoicismo è che tutto è sorretto dalla
ragione. Per gli stoici, contrariamente a quanto sostenuto dagli epicurei,
nel cosmo non vi è nulla di casuale ma tutto è guidato da una legge
razionale che essi chiamano logos, recuperando l'antico termine
eracliteo.
Il logos razionale determina ogni aspetto della realtà in modo
necessario, per cui ogni cosa accade nell'unico modo in cui sarebbe
potuta accadere.
Tutti i fenomeni e gli accadimenti del mondo, i quali non sono altro
che la manifestazione del logos, hanno un proprio fine, anche quelli
all'apparenza dannosi o inutili, così Crisippo giustificava anche le
catastrofi e i terremoti come purificazione ed espiazione dei mali del
mondo.(questo argomento sarà poi recuperato da Leibniz per affermare
che quello che viviamo è "il migliore dei mondi possibili").
2.Il fato
La legge "divina" che regola il
funzionamento di ogni aspetto della realtà (e
per gli stoici il termine "divino" ha un
significato diverso rispetto al Dio della
tradizione cristiana a loro posteriore, il quale
invece "dona" agli uomini il libero arbitrio,
per questo concetto si veda Agostino), è
chiamata dagli stoici pronoia. Essa è la
provvidenza, quel principio che "pre-vede" e
"pre-determina" il mondo nel suo insieme, il
termine pronoia deriva infatti dal prefisso
pro- ("che sta davanti") e da nous
("intelletto"), per cui pronoia è ciò che si
pone prima dell'intelletto umano (il quale è
circostanziato) travalicandolo e
determinandolo in anticipo (alla
provvidenza spetta infatti il compito di
predeterminare ogni evento, passato,
presente e, soprattutto, futuro).Se ogni
aspetto è già determinato nel disegno del
fato, allora la libertà dell'uomo è solo
apparente.
L'unica libertà che è concessa all'uomo è
allora quella di non contrastare il destino
seguendo il volere del fato. Se l'uomo
intendesse piegare il mondo al suo volere,
cercando di conformarlo ai suoi progetti,
sarebbe comunque destinato al fallimento se
il fato volesse il contrario.
L'autentica libertà dell'uomo è dunque
quella di volere ciò che il fato vuole, in modo
da porre il destino come guida e non come
antagonista al proprio progetto di vita.
Mentre per Epicuro la serenità dell'anima si
fonda sul fatto che nulla nella realtà è
sottoposto ad alcuna legge restrittiva per la
libertà degli uomini, e che quindi ogni uomo
è libero di ricercare la felicità, per gli stoici la
serenità è invece raggiungibile proprio a
partire dal senso del destino per cui ogni cosa
che accade nel mondo non dipende dalla
volontà degli individui ed è quindi
inevitabile.
3. Il dominio sulle passioni
La vita degli uomini è scontro tra lògos e pathos, dove per pathos si intende l'errore
della ragione indotto dagli istinti. Il vero ostacolo verso una piena armonia con la natura
dell'universo è dunque la passione, vera malattia dell'anima che allontana l'uomo dal
logos.
Il saggio deve dominare le passioni, egli deve contemplare il mondo con distacco come
se assistesse ad una rappresentazione nella quale egli non può intervenire. Il destino
degli uomini è infatti già deciso dal logos, ragion per cui ogni cosa accade
indipendentemente dal "disturbo" operato delle passioni. Le passioni sono di ostacolo ad
una vita serena perché conducono l'uomo a volere ciò che non può realizzarsi. Ecco
dunque che il saggio stoico pratica l'apatia (a-pathos, "assenza di passione") e l'atarassia
(a-taraxsis, "assenza di turbamento", "imperturbabilità" di fronte agli eventi).
5. Come cani al
guinzaglio
6. Otium e Negotium
7. Humanitas
4. Rimedio contro
l'ansia
Seneca
1. Uno stoico contro
le passioni
3. La praemeditatio
senechiana
2. Meccanica della
frustrazione
Seneca, da buon stoico dell'età imperiale, concentra i
suoi sforzi su una filosofia dal forte valore pratico.
L'uomo deve inseguire la virtù, ovvero, secondo gli
stoici, deve accettare il proprio destino ed agire
secondo la legge naturale del mondo, la ragione.
E’ saggio colui che agisce razionalmente ed evita il più
possibile di abbandonarsi alle passioni. Le passioni sono una
malattia dell'anima da evitare a qualsiasi costo. Che le
passioni siano una malattia né è prova pratica l'ira.
Abbandonandosi ad essa si perde il lume della ragione e si
possono commettere atti di inaudita ferocia, quasi si fosse
preda della pazzia.
Più l'uomo è saggio più si rende conto quanto sia
necessario ragionare ed evitare le emozioni (l'apatia
stoica). Questo atteggiamento permette di eliminare tutta
quella gamma di delusioni e difficoltà che incontra
necessariamente l'uomo passionale, il quale vive un
rapporto conflittuale con la realtà è la portata
solitamente eccessiva dei suoi desideri.
La frustrazione è una condizione molto diffusa: essa nasce dall'inevitabile scontro
tra desiderio e realtà ostile. L'idea di Seneca è che le frustrazioni che meglio
sopportiamo sono quelle alle quali siamo preparati. Rendersi conto di cosa è
precisamente la realtà può aiutarci a smussare gli spigoli di quei desideri troppo
intensi che non troveranno mai una soddisfazione.
La realtà non è mai ciò che vorremmo, la realtà è nostra antagonista. Essa ci tiene continuamente
in scacco, siamo esseri mortali in balia del destino. Quello che la realtà ci riserva dietro l'angolo
non ci è dato sapere. Secondo Seneca, tutto è in mano alla Dea Fortuna.
In sostanza Seneca predicava di frapporre uno spazio mentale tra sé e la realtà, uno spazio
cuscinetto dettato dalla ragione. La delusioni forse non saranno inevitabili, ma in questo modo
saranno meno cocenti (l'idea è di evitare l'impatto frontale contro il muro della realtà e di
attutirlo, sebbene l'impatto sia inevitabile).
Dunque i destini dell'uomo sono in mano a una forza superiore che decide autonomamente e
secondo leggi insondabili a quali eventi deve sottostare l'individuo: per Seneca e per i romani questa
entità si impersona nella Dea fortuna.
In sostanza, gli uomini devono capire che per quanto essi credono di poter scansare i colpi del
destino, tale destino potrà colpirci comunque e in qualsiasi momento. L'abitudine ai periodi
favorevoli o comunque ricolmi di serenità, non ci autorizza a pensare che tutto andrà sempre bene,
visto che niente è insondabile per la fortuna, come afferma lo stesso Seneca
Proprio per evitare sorprese e rimanere così imperturbabili di fronte ai colpi della sorte, è salutare,
secondo Seneca, tener ben presente in qualsiasi momento la possibilità di una catastrofe.
Famosa è quindi la praemeditatio senechiana (una meditazione preliminare e anticipatoria), una
preghiera, un mantra, che il saggio reciterà ogni mattina prima di cominciare la giornata. La
premeditatio inizia così: la fortuna non concede nulla in proprietà assoluta.... Proseguirà quindi
con una serie di frasi che ci ricorderanno come sia possibile che ciò che si è costruito in anni con
grandi fatiche possa venirci meno all'improvviso e senza alcuna regola.
.
L
L'idea è che e non dobbiamo attribuirci eccessive colpe se all'improvviso qualcosa ci va
storto: adirarci credendo che il destino ci è avverso è sbagliato, perché il destino non porta in
sé alcuna valutazione morale, casomai sono gli uomini ad attribuire valori morali al destino:
in realtà gli eventi sono indifferenti alle nostre valutazioni.
Tutte le civiltà complesse ed avanzate
hanno un nemico da combattere:
l'ansia. Anche i membri della società
romana, in quanto società evoluta, ne
erano afflitti. L'ansia è legata ad una
paura irrazionale. Anche in situazioni
di completa serenità, a volte non
riusciamo ad esimerci dalla
sensazione che qualche catastrofe sia
dietro l'angolo. Ma l'ansia è legata
anche alla paura e all'attesa di una
disfatta che si teme di subire.
Da buono stoico, Seneca predicava un rimedio semplice e molto pratico. Quando
si ha la sensazione che accadrà qualcosa di spiacevole dobbiamo renderci
conto che forse accadrà comunque, stare in pensiero e affliggersi non ha
alcun senso, gli eventi si succedono e non ci possiamo fare nulla.
La consolazione non sempre è efficace, soprattutto quando l'evento che si vuole
evitare è in realtà inevitabile. Meglio quindi affrontare quietamente ciò che ci
aspetta, arrovellarci per qualcosa che non si può evitare è un inutile dispendio di
forze, oltre che fonte di dolore.
Dunque l'uomo è totalmente in balia del destino? E se lo è totalmente, perché agire se
non può servire a nulla? In realtà l'uomo ha un certo margine di azione. Già i padri
dello stoicismo, Zenone di Cizio e Crisippo, ripresi poi da Seneca, avevano usato una
metafora per spiegare la condizione in cui si viene a trovare l'uomo.
La metafora e questa: l'uomo è come un cane legato con il guinzaglio ad un carretto, il
cane ha pur sempre una certa capacità di azione, ma dovrà comunque seguire il
carretto nei suoi spostamenti se non vuole morire strozzato. Dunque il cane è l'uomo e
il carretto è il suo destino. Se non assecondiamo il destino e ci opponiamo ad esso
combattendolo frontalmente, nulla ci eviterà la catastrofe, poiché la realtà è più forte
delle aspirazioni. Nell'ambito della realtà, tuttavia, l'uomo può agire in modo da
ammorbidire il conflitto con essa. E' quindi garantito all'uomo un minimo di
libero arbitrio, ma sempre è comunque nell'ambito del proprio destino.
Secondo gli stoici, venendo meno , per ragioni storiche,
l’impegno politico che caratterizzava il negotium,
l’uomo può scegliere di intraprendere la via dell’otium,
dell’accrescimento morale perseguito in una
dimensione individualistica, o ,in alternativa, porre
prematuramente fine alla propria vita.
7. Humanitas
La schiavitù è un dato storico
ineliminabile. Seneca discute
dell’atteggiamento più idoneo da tenere
nei confronti degli schiavi, cioè cordiale e
quasi amichevole. Però i potenti
preferiscono essere temuti piuttosto che
rispettati. Il ricordo del rischio di un
improvviso mutamento della propria
condizione sociale contribuiscono alla
riscoperta di un esteso concetto di
“humanitas”, che finisce per accomunare
servi e padroni, “patroni et clientes”.
… Opere filosofiche …
Dialogi
De providentia
De vita beata
De constantia sapientis
124 Epistulae morales ad
Lucilium
De otio
Apatia stoica
Dea Fortuna
Praemeditatio
Ansia
Fato
Humanitas
SENECA
• Sfuggire alle passioni per raggiungere la virtù, e
quindi la saggezza
• Il destino è in mano ad una forza superiore che
decide autonomamente secondo leggi insondabili a
cui l’uomo deve sottostare
• Meditazione preliminare ed anticipatoria in vista di
qualsiasi accadimento o catastrofe
• Paura irrazionale che è necessario combattere: gli
eventi si succedono ed è impossibile modificarne il
corso
• L’uomo deve assecondare il suo destino, poiché
opporsi ad esso significherebbe la sua disfatta
• Atteggiamento cordiale e solidale che deve
accomunare patroni et clientes
Suicidio ed Otium come alternativa al Negotium
Salamone Claudia
&
Gurgone Martina Maria
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