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ex - Ordine degli Avvocati di PIACENZA
Unione Giuristi Cattolici di Piacenza Giovedì 12 maggio 2016 Palazzo Vescovile, Piacenza I licenziamenti dopo il Jobs Act Marco Ferraresi Ricercatore di diritto del lavoro, Dipartimento di Giurisprudenza, Università di Pavia [email protected] http://iusetlabor.blogspot.it Cosa si intende con Jobs Act - atto primo: d.l. n. 34/2014, conv. dalla l. n. 78/2014 (lavoro a termine e somministrazione) - atto secondo: l. delega n. 183/2014 e otto decreti delegati, tra cui il d.lgs. n. 23/2015 di riforma dei licenziamenti - atto terzo? d.d.l. n. 2233/2016 sul lavoro autonomo Riforma dei licenziamenti, perché: - correggere le disfunzioni della l. n. 92/2012 - incentivare il contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato - favorire l’aumento dell’occupazione Il modello cui la riforma si ispira - è chiaramente la flexicurity di cui agli orientamenti in tema di occupazione dell’Unione europea - cfr. ad es. il Libro verde della Commissione UE sulla modernizzazione del diritto del lavoro, 2006: - stretta al lavoro autonomo, promozione del contratto standard, flessibilità in uscita, robuste indennità di disoccupazione, efficienti servizi per l’impiego Un modello contestato… - non è dimostrato per molti economisti il nesso licenziamenti più facili = maggiore propensione ad assumere - né quello licenziamenti più facili = meno contratti a termine …e comunque problematico per l’Italia - non vi è attualmente un efficiente sistema pubblico di servizi per l’impiego - il nostro paese ha sempre valorizzato la cig più che l’indennità di disoccupazione La legge delega 10 dicembre 2014, n. 183 Un testo problematico - è frutto di un difficile compromesso con la “minoranza” del partito di maggioranza - è stato approvato senza un vero dibattito scientifico e con la società civile - deficit democratico della riforma - generico in più punti, ai limiti ex art. 76 Cost. Il d.lgs. 4 marzo 2015, n. 23 Un testo altresì problematico - non ha tenuto conto di alcune importanti osservazioni dei pareri delle Commissioni parlamentari - per possibili profili di eccesso di delega - per l’oscurità di molti punti Criteri e principi della legge delega Articolo unico, c. 7 a) individuare e analizzare tutte le forme contrattuali esistenti, ai fini di poterne valutare l'effettiva coerenza con il tessuto occupazionale e con il contesto produttivo nazionale e internazionale, in funzione di interventi di semplificazione, modifica o superamento delle medesime tipologie contrattuali; b) promuovere, in coerenza con le indicazioni europee, il contratto a tempo indeterminato come forma comune di contratto di lavoro rendendolo più conveniente rispetto agli altri tipi di contratto in termini di oneri diretti e indiretti; c) previsione, per le nuove assunzioni, del contratto a tempo indeterminato a tutele crescenti in relazione all'anzianità di servizio, escludendo per i licenziamenti economici la possibilità della reintegrazione del lavoratore nel posto di lavoro, prevedendo un indennizzo economico certo e crescente con l'anzianità di servizio e limitando il diritto alla reintegrazione ai licenziamenti nulli e discriminatori e a specifiche fattispecie di licenziamento disciplinare ingiustificato, nonché prevedendo termini certi per l'impugnazione del licenziamento; La promozione del contratto a tempo indeterminato, a mezzo del contratto a tutele crescenti - per renderlo ancora più competitivo del contratto a termine liberalizzato: massicci sgravi contributivi e irap (leggi di stabilità 2015 e 2016) - il contratto a tutele crescenti in relazione all’anzianità di servizio: è un nuovo tipo contrattuale? - per sé, il nome richiama disegni di legge degli anni precedenti (proposte di Nerozzi; Boeri-Garibaldi; Ichino) con la distinzione tra una fase di ingresso e una di stabilità (la prima con formazione, minor salario, recesso libero) Ma il “contratto a tutele crescenti” non è un nuovo tipo contrattuale - è il contratto a tempo indeterminato con una nuova disciplina dei licenziamenti - le tutele non crescono oltre una certa soglia di anzianità - a differenza dei precedenti disegni di legge, non vi è alcuna fase formativa, né un momento di “stabilizzazione” del rapporto d.lgs. n. 23/2015 Disposizioni in materia di contratto di lavoro a tempo indeterminato a tutele crescenti Art. 1. Campo di applicazione 1. Per i lavoratori che rivestono la qualifica di operai, impiegati o quadri, assunti con contratto di lavoro subordinato a tempo indeterminato a decorrere dalla data di entrata in vigore del presente decreto, il regime di tutela nel caso di licenziamento illegittimo è disciplinato dalle disposizioni di cui al presente decreto. 2. Le disposizioni di cui al presente decreto si applicano anche nei casi di conversione, successiva all'entrata in vigore del presente decreto, di contratto a tempo determinato o di apprendistato in contratto a tempo indeterminato. 3. Nel caso in cui il datore di lavoro, in conseguenza di assunzioni a tempo indeterminato avvenute successivamente all'entrata in vigore del presente decreto, integri il requisito occupazionale di cui all'articolo 18, ottavo e nono comma, della legge 20 maggio 1970, n. 300, e successive modificazioni, il licenziamento dei lavoratori, anche se assunti precedentemente a tale data, è disciplinato dalle disposizioni del presente decreto. La nuova disciplina: - si applica solo ai lavoratori assunti a tempo indeterminato a partire dal 7 marzo 2015 - a seconda della dimensione occupazionale del datore di lavoro sostituisce l’art. 18 della l. n. 300/1970, o l’art. 8 della l. n. 604/1966 - non modifica i presupposti giustificativi del recesso datoriale, che come prima deve essere sorretto da una giusta causa o da un giustificato motivo - modifica invece l’apparato sanzionatorio dei licenziamenti illegittimi - per i vecchi assunti, restano l’art. 18 S.l. e l’art. 8, l. n. 604/1966 Problemi (1): - distinzione di disciplina è frutto di compromesso politico: è compatibile ex art. 3 Cost.? - in ogni modo, crea problemi quantomeno nella gestione delle procedure di mobilità, perché i nuovi assunti non hanno più la tutela reintegratoria (più facilmente licenziabili) - problema aggravato dalla duplicità di rito: è abrogato (solo) per i nuovi assunti il rito Fornero (eccesso di delega?) - non agevola certo la transizione dei vecchi assunti a un nuovo lavoro (rimediabile solo con patti di stabilità) Una nuova forma di “competizione” tra lavoratori, destinata a durare anche qualche decennio Problemi (2): - di quale conversione parla il c. 2? Quella ex nunc o anche quella ex tunc? Solo la prima pare compatibile con la delega - e cosa si intende con la “conversione” di un contratto di apprendistato? Probabilmente, in realtà, la trasformazione - e la conversione degli altri contratti, come dovrebbe ritenersi disciplinata? Problemi (3): - è compatibile con la legge delega il c. 3, che estende il nuovo regime anche ai vecchi assunti? - d’altro canto, la nuova disciplina si applica anche alle organizzazioni di tendenza: una scelta certo non di valorizzazione della sussidiarietà e della società civile - nulla si dice in riferimento al pubblico impiego: quale disciplina si applica? Nella bozza di decreto era esclusa l’applicazione - Ichino vs. Madia Pubblico impiego, tesi secondo cui NON si applica: - L’art. 1, c. 1, fa riferimento alle categorie dei lavoratori privati: i quadri - I dirigenti pubblici paradossalmente sarebbero più tutelati - Sono disciplinati istituti sconosciuti all’ordinamento del pubblico impiego: licenziamenti economici - La finalità occupazionale perseguita dal legislatore con il contratto a tutele crescenti è incompatibile con quelle della P.A. Pubblico impiego, tesi secondo cui SI APPLICA: - Non c’è una disposizione che escluda esplicitamente la sua applicabilità al settore pubblico - C’è l’art. 2, c. 2, d.lgs. n. 165/2001, che implica estensione - Nessuna norma del d.lgs. n. 165/2001 disciplina le conseguenze sanzionatorie del licenziamento illegittimo (v. Cass. 26 novembre 2015, n. 24157, che ha dichiarato applicabile al p.i. la riforma Fornero) Disciplina vecchi assunti (1) Licenziamento discriminatorio, nullo, orale Art. 18, c. 1, l. n.300/1970, tutela reintegratoria piena - licenziamento intimato in forma orale - licenziamento discriminatorio - licenziamento intimato in concomitanza del matrimonio - licenziamento intimato in violazione delle disposizioni a tutela della maternità e della paternità - licenziamento illegittimo perché riconducibile agli altri casi di nullità previsti dalla legge o determinato da motivo illecito determinante ai sensi dell’art. 1345 c.c. Disciplina vecchi assunti (2) Reintegrazione attenuata, art. 18, cc. 4 e 7, l. n. 300/1970 - insussistenza del fatto contestato o sanzione conservativa sulla base dei contratti collettivi (giusta causa o giustificato motivo soggettivo) - manifesta insussistenza del fatto posto a base del g.m.o. - difetto di giustificazione del licenziamento intimato per motivo oggettivo consistente nell’inidoneità fisica o psichica - violazione dell’art. 2110, comma 2, c.c. Disciplina vecchi assunti (3) Tutela indennitaria forte Art. 18, commi 5 e 7, l. n. 300/1970: - “nelle altre ipotesi” in cui non ricorrono gli estremi della giusta causa e del giustificato motivo soggettivo - quando non ricorrono gli estremi del g.m.o. Indennità compresa tra 12 e 24 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto Disciplina vecchi assunti (4) Tutela indennitaria debole ex art. 18, c. 6, l. n. 300/1970 - violazione del requisito di motivazione ex art. 2, c. 2, l. n. 604/1966 - violazione della procedura ex art. 7, l. n. 300/1970 - violazione della procedura ex art. 7, l. n. 604/1966 Indennità compresa tra 6 e 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto Disciplina vecchi assunti (5) Piccole imprese Art. 8, l. n. 604/1966 A scelta del datore di lavoro: riassunzione oppure indennità tra 2,5 e 6 mensilità Art. 2, d.lgs. n. 23/2015 Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale - resta la tutela reintegratoria “piena” per i licenziamenti discriminatori e senza forma scritta - inoltre, secondo il c. 4: “la disciplina di cui al presente articolo trova applicazione anche nelle ipotesi in cui il giudice accerta il difetto di giustificazione per motivo consistente nella disabilità fisica o psichica del lavoratore, anche ai sensi degli articoli 4, comma 4, e 10, comma 3, della legge 12 marzo 1999, n. 68”: a) un cambiamento traumatico per le piccole imprese b) applicabilità del rito antidiscriminatorio ex art. 28, d.lgs. n. 150/2011? Art. 2. Licenziamento discriminatorio, nullo e intimato in forma orale - la stessa disciplina si applica pure ai “casi di nullità espressamente previsti dalla legge” (avverbio assente nell’art. 18 S.l. post Fornero) - ma questi casi sono solo quelli per maternità/paternità o per causa di matrimonio - e i licenziamenti ad es. ex artt. 1345 e 2110 c.c.? - probabile interpretazione estensiva dei giudici, che applicheranno la nullità virtuale ex art. 1418 c.c. Art. 3. Licenziamento per giustificato motivo e giusta causa - La mancanza del g.m.o. comporta sempre l’indennità, mai più la reintegrazione - La mancanza del motivo disciplinare comporta di regola l’indennità - Comporta invece la “reintegrazione attenuata” “esclusivamente nelle ipotesi di licenziamento per giustificato motivo soggettivo o per giusta causa in cui sia direttamente dimostrata in giudizio l'insussistenza del fatto materiale contestato al lavoratore, rispetto alla quale resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” Problemi: - il fatto “materiale” dà luogo a conseguenze paradossali - il fatto “materiale” è anche un fatto privo di rilievo disciplinare? O, comunque, di minimo rilievo disciplinare? E anche senza elemento soggettivo? E’ dunque sufficiente che esista per eliminare la reintegrazione? - pare di sì, anche perché “resta estranea ogni valutazione circa la sproporzione del licenziamento” ai fini della scelta della sanzione - deriva da una maldestra interpretazione di Cass. n. 23669/2014, peraltro “rettificata” da Cass. n. 20540/2015 e 20545/2015 - cosa significa “insussistenza direttamente dimostra in giudizio” dal lavoratore? - dove sono le “specifiche fattispecie” richieste dalla legge delega? Art. 4. Vizi formali e procedurali 1. Nell'ipotesi in cui il licenziamento sia intimato con violazione del requisito di motivazione di cui all'articolo 2, comma 2, della legge n. 604 del 1966 o della procedura di cui all'articolo 7 della legge n. 300 del 1970, il giudice dichiara estinto il rapporto di lavoro alla data del licenziamento e condanna il datore di lavoro al pagamento di un'indennità… Problemi - anche la totale omissione dei motivi è un vizio formale, o solo quella generica? - la tardività della contestazione disciplinare o della irrogazione del licenziamento attiene alla forma o alla sostanza del recesso? Il risarcimento aggiuntivo alla reintegrazione - senza limiti per il licenziamento discriminatorio e nullo detratto l’aliunde perceptum, con condanna ai contributi, incluse sanzioni per omissione contributiva (oltre ovviamente alla reintegrazione) - fino a max 12 mensilità per la reintegrazione attenuata detratto l’aliunde perceptum e percipiendum, con condanna ai contributi, ma senza sanzioni - Resta l’opzione del lavoratore per l’indennità sostitutiva della reintegrazione pari a 15 mensilità, non assoggettata a contributi previdenziali L’indennità risarcitoria (onnicomprensiva): - è in misura di due mensilità per anno di servizio, tra 4 e 24 mensilità per il vizio sostanziale - una mensilità per anno di servizio, tra 2 e 12 mensilità per il vizio formale - è riproporzionata per le frazioni di anno (cfr. art. 8) - non è assoggettata a contribuzione previdenziale - è dimezzata per le piccole imprese, con un massimo di sei mensilità Rilievi: - è diminuita la tutela dei lavoratori nelle piccole imprese - nonostante le “tutele crescenti”, sono sterilizzate anzianità superiori ai 12 anni - il parametro è “l’ultima retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto”: cosa vuol dire? La retribuzione legale ex art. 2120 c.c. o quella dei contratti collettivi? - se dei contratti collettivi, effetto spiazzamento Art. 10. Licenziamento collettivo 1. In caso di licenziamento collettivo ai sensi degli articoli 4 e 24 della legge 23 luglio 1991, n. 223, intimato senza l'osservanza della forma scritta, si applica il regime sanzionatorio di cui all'articolo 2 del presente decreto. In caso di violazione delle procedure richiamate all'articolo 4, comma 12, o dei criteri di scelta di cui all'articolo 5, comma 1, della legge n. 223 del 1991, si applica il regime di cui all'articolo 3, comma 1. - Scompare la reintegrazione per i criteri di scelta - Questo non agevola accordi sulla mobilità - E’ ora paradossalmente più tutelato il dirigente, cui si applica una indennità tra 12 e 24 mensilità (dopo Cgue 13 febbraio 2014, C-596/12): compatibile ex art. 3 Cost.? Offerta conciliativa: - è stata eliminata la procedura preventiva al g.m.o. (nonostante gli ottimi risultati) - la nuova procedura ex art. 6 è a importo fisso: il datore di lavoro può offrire al lavoratore, entro i termini di impugnazione stragiudiziale del licenziamento, in una delle sedi di cui all'articolo 2113, quarto comma, del codice civile, e all'articolo 76 del decreto legislativo 10 settembre 2003, n. 276, e successive modificazioni, un importo che non costituisce reddito imponibile ai fini dell'imposta sul reddito delle persone fisiche e non è assoggettato a contribuzione previdenziale, di ammontare pari a una mensilità della retribuzione di riferimento per il calcolo del trattamento di fine rapporto per ogni anno di servizio, in misura comunque non inferiore a due e non superiore a diciotto mensilità, mediante consegna al lavoratore di un assegno circolare. L'accettazione dell'assegno in tale sede da parte del lavoratore comporta l'estinzione del rapporto alla data del licenziamento e la rinuncia alla impugnazione del licenziamento anche qualora il lavoratore l'abbia già proposta Che dire? - Una riforma con molti nodi interpretativi, nonostante la volontà di “correzione” della riforma Fornero - Qualche dubbio di legittimità costituzionale - Potrebbe dar luogo a un grande contenzioso, forse scongiurato dalla offerta conciliativa molto conveniente, ma finanziata con risorse pubbliche: “2. Alle minori entrate derivanti dal comma 1 valutate in 2 milioni di euro per l'anno 2015, 7,9 milioni di euro per l'anno 2016, 13,8 milioni di euro per l'anno 2017, 17,5 milioni di euro per l'anno 2018, 21,2 milioni di euro per l'anno 2019, 24,4 milioni di euro per l'anno 2020, 27,6 milioni di euro per l'anno 2021, 30,8 milioni di euro per l'anno 2022, 34,0 milioni di euro per l'anno 2023 e 37,2 milioni di euro annui a decorrere dall'anno 2024 si provvede mediante corrispondente riduzione del fondo di cui all'articolo 1, comma 107, della legge 23 dicembre 2014, n. 190” Sta servendo a qualcosa? Dati Inps e Istat sul 2015 - i dati registrano sia un aumento delle stabilizzazioni, sia del numero dei contratti a tempo indeterminato - verifica circa quanto è da ricollegare agli sgravi contributivi (totale nel 2015, per tre anni, max 8.060 euro parziale (40%) nel 2016, per due anni, max 3.250 euro) e alle deduzioni ai fini irap - utilizzo massiccio di risorse: per quanti posti?