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dalla parola alla fede - parrocchia maria ss. addolorata

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dalla parola alla fede - parrocchia maria ss. addolorata
PARROCCHIA MARIA SS. ADDOLORATA
OPERA DON GUANELLA – BARI
Parola di Dio, Chiesa, Liturgia
Anno Pastorale 2013-2014
La chiesa sotto l’autorità della
Parola di Dio
La chiesa porta inscritto
nel suo stesso nome la
qualità di ascoltatrice
della Parola. Il termine
ekklesía,
«convocazione», è
formato dal prefisso ek-,
«da», e dal verbo kaléo,
«chiamare».
In ebraico vi corrisponde il termine qahal, «assemblea,
convocazione, adunanza», la cui etimologia ha a che fare
con il termine qol, «voce».
I vocaboli indicano
l’assemblea del
popolo di Dio, la
riunione convocata da
Dio per la salvezza di
quanti vi partecipano.
La chiesa è sottomessa
all’autorità della Parola
di Dio che la crea e la
convoca, la guida e la
orienta.
L’incipit della Costituzione dogmatica sulla divina
rivelazione del Concilio Vaticano II, la Dei Verbum, mentre
parla della Parola di Dio, compie un’affermazione
ecclesiologica fondamentale:
«In religioso ascolto della Parola di Dio e proclamandola con
ferma fiducia, il sacro Concilio aderisce alle parole di san
Giovanni il quale dice: “Vi annunziamo la vita eterna, che era
presso il Padre e si è resa visibile a noi; quello che abbiamo
veduto e udito noi lo annunziamo anche a voi, perché anche
voi siate in comunione con noi e la nostra comunione sia con
il Padre e con il Figlio suo Gesù Cristo...»1.
1. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, Costituzione dogmatica sulla divina rivelazione, 1965, n. 1.
II Proemio della DV
mostra il Concilio che
parla di se stesso e che si
pone come modello per
quel «popolo degli
ascoltanti della Parola di
Dio» (Karl Rahner) che
sono chiamati a essere i
cristiani. La chiesa è
chiesa di Dio in quanto
serva e ancella della
Parola di Dio.
La Parola di Dio la
situa nella duplice
postura di colei che
ascolta e che annuncia
la Parola. Ma per
essere ecclesia
docens, la chiesa deve
essere ecclesia
audiens: questa è
conditio sine qua non
di quella.
L’allora teologo Joseph Ratzinger lo ha affermato magnificamente
proprio commentando questo passo della DV: «È come se l’intera
vita della chiesa fosse raccolta in questo ascolto da cui solamente
può procedere ogni suo atto di Parola».
Ora, se è vero che la Parola di Dio eccede il libro biblico, le
sante Scritture, in quanto realtà eterna, onnipotente, creatrice
e instauratrice di storia, realtà che si è fatta carne e persona in
Gesù Cristo, il Figlio di Dio, essa trova nelle Scritture
proclamate e spiegate nelle celebrazioni liturgiche un
sacramento grazie al quale il Signore si fa presente nelle
assemblee cristiane.
Certo, la Scrittura deve
risorgere a Parola vivente
per dispiegare la potenza
dello Spirito che la abita ed
è a questo dinamismo che
vogliamo ora dedicare la
nostra attenzione. Per
questo ci chiediamo: quali
sono le condizioni perché
il testo biblico risorga a
Parola di Dio vivente e
attuale all’interno della
liturgia?
Per rispondere a
questa domanda
occorre anzitutto fare
una premessa, da un
lato, sul testo che
viene letto e ripreso
nella liturgia, ovvero
la Bibbia nella sua
forma canonica,
dall’altro, sul
contesto liturgico.
La Bibbia: libro plurale e dialogico
Anzitutto va posta in evidenza la distanza tra Bibbia e Parola
di Dio: le due realtà non coincidono, anzi, la Parola eccede la
Scrittura, è realtà teologale che, in definitiva, si identifica
con il Figlio Gesù Cristo, Parola definitiva di Dio all’umanità.
Come attesta la Bibbia stessa, «la Parola trascende ogni sua
incarnazione biblica» (Carlo Buzzetti). Solo
un’ermeneutica nello Spirito santo può far emergere la
Parola di Dio dalle parole bibliche:
la Scrittura
«deve essere letta e interpretata con l’aiuto dello stesso
Spirito santo mediante il quale è stata scritta» .
2
2. Idem, n. 12.
Il nome «Bibbia» deriva dal
greco tà biblía, un plurale che
significa «i libri»: la Bibbia è
una biblioteca di libri, un libro
plurale. Al tempo stesso la
Bibbia, riflesso del Dio che ha
parlato in molti modi e in
diversi tempi, è un libro unico
che racchiude in sé una
profonda e variegata diversità:
diversità di lingue, di generi
letterari, di ambienti culturali
e geografici di produzione dei
testi, di epoche di
composizione dei testi ...
Soprattutto, la Bibbia
o, se vogliamo, le
Scritture cristiane,
sono composte di due
parti fondamentali
chiamate solitamente
AnticoTestamento e
Nuovo Testamento.
Le Scritture cristiane abbracciano in sé le Scritture ebraiche (l’Antico
Testamento o Primo Testamento), sicché la struttura della Bibbia
è dialogica: il Nuovo Testamento non ha abrogato e reso caduco
l’Antico, ma l’ha conservato al proprio interno, quasi a memoria
imperitura che la chiesa trova le sue radici nel popolo d’Israele.
Le Scritture cristiane rappresentano il documento
dell’alleanza: alleanza istituita da Dio con il popolo d’Israele
e rinnovata in Gesù il Cristo, figlio d’Israele (Gesù è ebreo e lo
è per sempre) e Figlio di Dio, che appare il centro unificatore
ed ermeneutico delle Scritture (cfr. Lc 24,27.44).
Fine delle
Scritture è di far
entrare il popolo
nel dialogo con il
suo Signore, nel
movimento di
reciproca
appartenenza tra
Dio e popolo cui
tende l’alleanza.
Sappiamo che la
chiusura del Canone
non fece che ratificare
un dato di tradizione:
furono riconosciuti
canonici quei libri la cui
lettura costituiva il
momento fondamentale
delle assemblee
liturgiche giudaiche e
cristiane.




La canonicità riveste pertanto un aspetto liturgico
costitutivo:
«La formazione del Canone è l’evento liturgico della
proclamazione della Parola ... La Bibbia è, fin dall’inizio, un
libro di culto» (Hartmut Gese);
«È canonico ciò che riceve autorità dalla lettura pubblica
secondo il ritmo dell’assemblea» (Paul Beauchamp);
«L’autorità del Canone è nel dialogo Vivificante che la
comunità intrattiene con lui» (James-Alvin Sanders);
«II corpus biblico si è costituito anzitutto in funzione di
una proclamazione e di un ascolto comunitario» (IrénéeHenri Dalmais).
Sono canonici i libri che hanno saputo reggere il dialogo tra
il popolo e il suo Signore mostrando così di contenere la
Parola di Dio e di far vivere il popolo nell’alleanza, alla
presenza di Dio. Il Canone istituisce un’appartenenza
reciproca tra Comunità e Scrittura.
La liturgia: luogo dell’alleanza
La liturgia è il luogo del compiersi di tale circolo ermeneutico:
dimensione discendente (catabatica), cioè di rivelazione e
comunicazione di Dio all’uomo tendente alla santificazione
dell’uomo stesso, e dimensione ascendente (anabatica), cioè
di risposta dell’uomo a Dio, cultuale, sono parte costitutiva
della liturgia.
La struttura plurale e
dialogica delle
Scritture cristiane (e
della fede cristiana)
trova piena
espressione nella
celebrazione
liturgica (e nella
pluralità delle
liturgie e dei riti
cristiani).
La liturgia costituisce per la Scrittura il contesto di alleanza
che consente alla parola scritturistica di pervenire al suo
fine: far entrare l’assemblea convocata nel dialogo con il suo
Signore.
Nella liturgia, «quando il
popolo è radunato per far
memoria delle grandi
opere di Dio, in
atteggiamento di gioioso
rendimento di grazie, si
ricrea il contesto originale
in cui la Parola fu
pronunciata e per cui fu
fissata, e perciò lo scritto
ridiventa Parola viva»
(Pietro Sorci) e attuale.
Questo contesto conferisce alla Parola scritta che viene
proclamata la forza di interpellazione che pone l’uomo
(l’assemblea) di fronte a una decisione: l’uomo risponde alla
Parola entrando nell’alleanza e impegnandosi a tradurre nella
propria vita le esigenze manifestate dalla Parola.
Le parole pronunciate dal popolo al momento della
stipulazione dell’alleanza sinaitica: «Quanto il Signore ha
detto noi lo faremo e lo ascolteremo» (Es 24,7 secondo il testo
ebraico), vengono di fatto ripetute da ogni assemblea riunita
liturgicamente.
La Parola proclamata
crea la risposta
dell’assemblea,
risposta di preghiera,
ma anche di
responsabilità
esistenziale, risposta
che è preghiera e
lode, ma anche
azione, prassi.
Il testo si manifesta così come testimone di una vita e di
una esperienza di fede (passate) da cui è scaturito, e si
apre alla vita e all’esperienza di fede (attuali) di
un’assemblea che, nel proprio oggi storico, vi riconosce
la propria vocazione.
Nella liturgia,
inoltre, il contesto
di alleanza
consente alla
Parola di
raggiungere
simultaneamente
il singolo e la
comunità.
La dialettica tra seconda persona singolare e
plurale di tanti testi del Primo Testamento in
cui la Parola di Dio si rivolge, allo stesso tempo
al «tu» e al «voi», si realizza nella liturgia.
Il contesto rituale rappresentato dalla liturgia fa sì che non
solo la parola scritturistica, ma anche i gesti e i segni siano
veicolo della Parola di Dio. Eco della Parola (Lógos) fatta
carne, la liturgia presenta la struttura fondamentale della
rivelazione intesa come
«eventi e parole intimamente tra loro connessi»3.
3. Idem, n. 2.
È pertanto essenziale che gesti e segni nella Liturgia siano
ancillari nei confronti della parola e congruenti con essa,
conservino quella sobrietà e quella eloquenza che non
distoglie o distrae, ma concentra e raccoglie davanti al
mistero celebrato.
La Scrittura sacramento della Parola
Alla luce di quanto detto è
evidente che condizione
essenziale perché avvenga il
passaggio dal testo alla Parola
di Dio è la chiara coscienza di
fede che la Scrittura è
sacramento della Parola di
Dio. All’interno della
Scrittura poi la liturgia
riconosce il posto privilegiato
dei vangeli:
«Tra tutte le Scritture, anche del Nuovo Testamento, i vangeli
meritatamente eccellono, in quanto sono la principale
testimonianza relativa alla vita e all’insegnamento [vita atque
doctrina] del Verbo incarnato, nostro salvatore»4.
4. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, o. c., n. 18.
La lettura del vangelo è
sempre il momento
culminante e conclusivo
delle altre letture nella
liturgia della Parola; la
processione del libro dei
vangeli con cori, incenso e
acclamazioni, il bacio del
vangelo, sono solo alcuni dei
gesti che vogliono esprimere
il senso della presenza di
Cristo nella parola
evangelica.
L’acclamazione dopo la lettura del vangelo, che non si rivolge al
libro, ma al Signore Gesù, traduce la coscienza del carattere
sacramentale del libro dei vangeli. Il mistero di Dio è connesso,
ma non confuso, con la mediazione simbolica nella quale si
dona. Il libro appare così icona che chiede di vedere Altro e
Oltre; appare Tabernacolo che dischiude il mistero di una
presenza.
Scrittura, Spirito, Comunità
Appare dunque evidente che le Scritture, che
«contengono la Parola di Dio e, poiché ispirate, sono
veramente Parola di Dio»5,
ridiventano parola vivente e attuale nel contesto liturgico in
cui è presente la Comunità che è la destinataria prima della
Parola di Dio e che nel libro biblico trova racchiusa la sua
vocazione, ed è attivo lo Spirito santo che ha ispirato le
Scritture e ne presiede l’ermeneutica ecclesiale.
5. Idem, n. 24.
La Parola di Dio non si trova
pertanto nella Scrittura
isolatamente presa né
semplicemente nella
comunità, non si trova nella
lettera della Scrittura né
nello spirito della comunità
ascoltante e lettrice, ma tra i
due, nel loro rapporto
mutuo e vivente, in una
dinamica mai interamente
oggettivabile e sempre nuova
perché guidata dalla sovrana
liberta dello Spirito santo.
La Parola di Dio avviene
come evento pneumatico
nell’interrelazione tra
testo biblico e assemblea
grazie all’azione
vivificante dello Spirito
santo. Scrittura, Spirito e
Comunità sono infatti
unificati nella e dalla
presenza vivente del Cristo
Risorto: la Scrittura è il libro
che parla di Cristo e in
Cristo trova la sua unità e il
suo compimento
(Lc 24,27.44; Gv 5,46);
«Tutta la divina Scrittura costituisce un unico libro e
quest’unico libro è Cristo, perché tutta la Scrittura parla di
Cristo e trova in Cristo il suo compimento»6.
6. UGO DI SAN VITTORE, De arca Noe morali, II, n. 8.
Lo Spirito è lo Spirito di Cristo (Rm 8,9), la Comunità è la chiesa
di Cristo (Rom 16,16). E come lo Spirito ha vivificato il corpo di
Gesù (cfr. Rom 8,11), così esso vivifica la parola scritturistica
contenuta nel testo biblico (cfr. 2Cor 3,6: «La lettera uccide, è lo
Spirito che dà la vita»), anch’esso tradizionalmente inteso come
«corpo di Cristo» e vivifica quel corpo di Cristo che è la chiesa, la
comunità cristiana (cfr. 1 Cor 12,13: «Siamo stati battezzati in un
solo Spirito per formare un solo corpo»).
La pericoresi tra
Scrittura, Comunità e
Spirito santo fa sì che
nel contesto liturgico
sia presente anche e
soprattutto
l’interlocutore
dell’assemblea
liturgica: il Cristo
crocifisso e risorto.
La proclamazione
Condizione elementare e basilare del passaggio del testo a parola è la sua
lettura pubblica, la sua proclamazione. Lì lo scritto ridiventa orale. La
parola si è fatta scrittura per ridiventare parola, annuncio, e questo
avviene dando un corpo alla parola. Occorrono, come mostra con
studiata lentezza Lc 4,16ss., una mano che prenda il libro e lo apra, occhi
che vedano lo scritto, una bocca che pronunci le parole e le rivolga a
un’assemblea che le ascolti con le proprie orecchie.
Il lettore dà corpo e voce, il
proprio corpo e la propria
voce di uomo del XXI secolo,
alla parola scritta che
ridiviene parola orale,
attuale, rivolta a una
comunità precisa. Si tratta
dunque di una letturaannuncio che deve essere
udibile e comprensibile,
opera di comunicazione. Il
testo scritto vive nel suo
essere proclamato.
Modalità di proclamazione,
qualità dell’ambone quale
luogo della proclamazione,
dignità del libro,
particolarmente
l’evangeliario, sono elementi
che concorrono all’evento che
si verifica al momento della
proclamazione liturgica: la
resurrezione del testo scritto
in parola vivente. Il dialogo
tra lettore e assemblea che
ascolta (cfr. Ap 1,3) è relativo
infatti al dialogo tra la
comunità riunita e il suo
Signore.
L’azione dello Spirito
Lo Spirito che ha presieduto il farsi Scrittura della Parola
è anche lo Spirito che presiede il divenire nuovamente
Parola della Scrittura:
«La Scrittura deve essere letta e interpretata con l’aiuto
dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta»7.
7. CONCILIO VATICANO II, Dei Verbum, o. c., n. 12.
«Perché la Parola di Dio operi davvero nei cuori ciò che fa
risuonare negli orecchi, si richiede l’azione dello Spirito
santo; sotto la sua ispirazione e con il suo aiuto la Parola di
Dio diventa fondamento dell’azione liturgica e norma e
sostegno di tutta la vita. L’azione dello stesso Spirito santo
non solo previene, accompagna e prosegue tutta l’azione
liturgica, ma a ciascuno suggerisce nel cuore tutto ciò che
nella proclamazione della Parola di Dio vien detto per l’intera
assemblea dei fedeli, e mentre rinsalda l’unità di tutti,
favorisce anche la diversità dei carismi e ne valorizza la
molteplice azione»8.
8. ORDO LECTIONUM MISSAE, 9.
La necessaria presenza dello Spirito nella proclamazione
della Parola nella liturgia è ben espressa dall’Eucologio di
Serapione (IV sec.) che contiene - conformemente alla
tradizione alessandrina che comporta una doppia epiclesi
nell’anafora - un’invocazione allo Spirito prima della
proclamazione delle letture, e una seconda dopo l’omelia.
Lo Spirito è invocato su chi
predica, perché comprenda
e interpreti in maniera
degna le Scritture, e sugli
astanti perché ascoltino con
docilità la Parola di Dio e
dispongano i loro cuori alla
fede. La tradizione liturgica
della chiesa riformata
conosce l’uso di un’epiclesi
prima della lettura della
Scrittura e della
predicazione.
Il pastore chiede «a Dio la
grazia del suo santo Spirito
affinché la sua Parola sia
fedelmente esposta a onore del
suo Nome e a edificazione della
chiesa, e sia accolta con umiltà
e obbedienza, come si
conviene». Il teologo riformato
Jean-Jacques von Allmen,
sottolineando la solennità
dell’evento della lettura e
predicazione della Parola nel
culto, ha svolto alcune
importanti affermazioni:
«Quando si fa la lettura della Bibbia succede qualcosa di
fondamentale: il testimone, la cui testimonianza era stata per
così dire sepolta nelle lettere, si alza per prendere la parola;
questo evento è possibile per intervento dello Spirito santo. La
lettura della Scrittura deve essere preceduta da una epiclesi,
perché è grazie allo Spirito che avviene questa specie di
risurrezione della Scrittura in Parola, e la Scrittura, sotto forma
di lettura, trova la sua giustificazione e il suo posto nel culto
della chiesa: la lettura, infatti, viene compiuta perché il testimone ritorni a testimoniare e l’“anagnosi” diventi “anamnesi”,
ossia perché quello che è detto in altri tempi e in altri luoghi
venga ridetto, in modo vivo e nuovo, qui e ora. Leggere la
Scrittura vuol dire inserirsi nella dinamica pasquale».
Se la parola scritta testimonia un’assenza e una distanza, lo
Spirito, che fiorisce nella liturgia ed è memoria del Christus
totus, rende attuale la presenza di Cristo in un vero
memoriale storico-salvifico. La Bibbia diventa Parola di Dio
per noi oggi proprio nell’attuarsi di questa memoria
attraverso il documento biblico stesso, letto nella chiesa e
per mezzo della chiesa.
La centralità di Cristo
Condizione del passaggio del testo
biblico a parola vivente è la sua
interpretazione alla luce del
criterio cristocentrico: l’unità delle
Scritture è unità in Cristo. Questa
unità cristologica suppone l’unità
di tutta la Scrittura in Cristo e
l’unità e il reciproco dialogo tra i
due Testamenti:
«Nei due Testamenti si trova il
Cristo, perché il Cristo stesso è il
loro consensus»9.
9. ORIGENE, In Matthaeum, XVI, n. 4.
La liturgia legge la Scrittura alla luce del principio supremo dell’unità del
mistero di Cristo, dunque dei due Testamenti e dell’intera storia di
salvezza. Si tratta pertanto di cogliere ed evidenziare la relazione tra le
letture del Primo Testamento e il vangelo (cosa a cui invita il Lezionario
domenicale e festivo, in cui le letture veterotestamentarie sono scelte in
relazione con il testo evangelico secondo diverse prospettive), senza cadere
in cristologizzazioni affrettate di ogni pagina veterotestamentaria e
rifuggendo un’applicazione stretta del principio promessa (AT) compimento (NT).
Il compimento
neotestamentario della
promessa dell’Antico
Testamento altro non è
che rilancio della
promessa che ormai è
promessa in Cristo:
ciò che si è adempiuto
in Cristo attende
ancora compimento
universale e cosmico.
Il rapporto tra i due Testamenti non è semplicemente bipolare,
ma si apre al futuro su una terza tappa: il Regno di Dio a cui
guiderà lo Spirito della verità. La liturgia, che celebra il mistero
di Cristo nella sua totalità, facendo memoria anche di eventi
futuri, della venuta gloriosa del Signore (donec veniat),
inserisce la Scrittura in questa dinamica escatologica: la liturgia
situa la chiesa nell’attesa della parusia, del compimento per
sempre e per tutti dell’evento pasquale.
Questa centralità del
mistero di Cristo spiega
anche il riordinamento
liturgico del testo biblico
evidente soprattutto nei
Lezionari: la liturgia
scompone l’ordine
convenzionale della
Scrittura per ricomporla
nella sua struttura originaria
e secondo la sua
destinazione di essere libro
della comunità.
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