il dopo battesimo accoglienza e accompagnamento delle famiglie
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il dopo battesimo accoglienza e accompagnamento delle famiglie
Accogli, Signore Gesù, la nostra preghiera. Rinnova la disponibilità della mente e del cuore a riconoscere l’azione del tuo Spirito in noi e tra noi. Fa risplendere la bellezza del tuo Amore in chi incontriamo: genitori e bambini. Aiutaci ad accompagnare in un fecondo cammino di fede chi ti cerca con cuore sincero. Sostieni chi è nella prova, nell’incertezza, nel dubbio. Incoraggia le nostre comunità perché siano segni visibili di comunione nel tuo nome, luoghi ed esperienza di fraternità e di amicizia. La richiesta dei sacramenti a partire dal Battesimo è richiesta di Chiesa È una comunità che accoglie e accompagna! Accoglienza e accompagnamento della famiglia nella preparazione e celebrazione del Battesimo del figlio. Il Battesimo è la soglia che introduce al cammino verso la pienezza della vita cristiana, all’Eucaristia. Contesto post-moderno o post-cristiano? Anno della Fede per una Nuova Evangelizzazione Buona capacità progettuale ma, soprattutto, una grande passione missionaria. La Chiesa, Madre, con l’iniziazione cristiana, genera i suoi figli e rigenera se stessa”. (Cei, La formazione dei catechisti nella comunità cristiana, 2006) I genitori sono risorsa da riconoscere e valorizzare Alla scoperta del ‘vangelo vissuto’ dai genitori Dalla fiducia alla fede La relazione parentale è generativa alla fede a partire dal rapporto di fiducia che nasce e cresce tra genitori e figli. L’educazione alla fede avviene primariamente in famiglia. Valorizzare il vissuto coniugale e familiare per riconoscervi la naturale apertura alla fede. Condividere con papà e mamme la gioia del compito di aprire i figli al mistero della vita. “La trasmissione della fede, quando si tratti del rapporto genitori e figli, non può essere concepita quasi si trattasse di un compito tra molti, che dunque si ‘aggiungerebbe’ semplicemente ai molti altri doveri dei genitori nei confronti dei loro figli. Piuttosto, esso costituisce la forma sintetica di ogni altro debito. Soltanto a condizione che sia realizzata tale forma, si realizza insieme davvero la figura del ‘dare la vita’ ai figli.” (G. Angelini) L’annuncio del Vangelo ai figli, prima che essere un compito, è un evento sorprendente, che nel suo accadere, suscita il compito corrispondente. I genitori testimoniano al figlio con tutto loro stessi: “Tu sei atteso e conosciuto, addirittura amato”: Questo è il primo annuncio del Vangelo che i genitori offrono al figlio. L’immagine del genitore assume agli occhi del figlio infante, e poi ancora agli occhi del figlio fanciullo, sempre e di necessità ha un profilo ‘religioso’. Egli assume la figura di un ‘simbolo reale’ di quella promessa incondizionata, a procedere dalla quale soltanto diventa possibile per ogni figlio riconoscere la vita come un vantaggio, come buona e promettente. Un tempo il matrimonio e l’inizio della vita professionale segnavano l’ingresso nella vita adulta. Attualmente il vero e proprio ingresso nella dimensione adulta è identificato con la procreazione, perché, fino al momento in cui si diventa genitori, le scelte paiono reversibili, mentre la condizione genitoriale è vissuta come la prima vera situazione di responsabilità permanente. Il passaggio dalla dimensione di coppia alla triade familiare è il transito in cui nasce la storia vera e propria della famiglia e si diventa genitori per tutta la vita. La dove i genitori vivono quindi una condizione di stabilità e definitività nelle scelte di vita sono disposti ad affrontare il compito di prendersi cura del figlio. In questo passaggio non mancano motivi d’incertezza, di disagio, di fatica, di ripensamento. I due genitori sono chiamati a comprendere la loro nuova identità di padre e di madre. Entrambi hanno un ruolo fondamentale per i figli. Rappresentano una solida connessione tra le generazioni, Sono le mediatrici di cambiamento e trasmissione. Ad esse è dato di riprodurre l’umanità, “di mettere al mondo il mondo”. Giovanni Paolo II nell’Enciclica Mulieris Dignitatem, segnala il genio di cui la donna è portatrice, la sua forza spirituale, la sua consapevolezza che Dio le affida l’essere umano. Stanno ricomprendendo, dopo una lunga eclissi del loro ruolo, con nuova consapevolezza il compito loro affidato. Sono chiamati a ‘inventare’ nuovi modelli educativi che li rendano partecipi della cura e dell’educazione dei figli senza assumere, in tali compiti, i modelli materni di comportamento. I genitori sono sempre più incerti sui comportamenti educativi: da un lato si riscontrano atteggiamenti di preoccupazione protettiva o di prescrizione ostacolante, dall’altro si verifica sovente un atteggiamento opposto equivocamente ‘amico’ o di eccessiva condiscendenza che di fatto rinuncia, per molti aspetti, ai doveri genitoriali, privando i figli del necessario accompagnamento nei loro processi di crescita. C’è molta difficoltà a governare l’asimmetria della relazione con i figli. Il rapporto educativo è sempre asimmetrico! La genitorialità è l’originario progetto pedagogico: progetto di coppia e progetto per il figlio, che si fa progetto con il figlio, attraverso una perenne mediazione tra le aspettative nei suoi confronti e ciò che egli, con margini sempre crescenti di autonomia, sceglierà per sé. “Dono del Signore sono i figli. È sua grazia il frutto del grembo” (Salmo 127) I figli non sono frutto di riproduzione, ma di pro-creazione. È questa la certezza da infondere nei genitori, che sono stati chiamati a collaborare all’opera creatrice e plasmatrice di Dio non solo nel tempo del concepimento e della nascita del figlio, ma per ogni giorno della loro vita come una sorte di continuo travaglio, di nascita e rinascita del figlio. Occorre un impegno formativo per portare a consapevolezza le risorse e promuovere le competenze che i genitori stessi già possiedono, aiutandoli a trasformarsi da ‘passivi fruitori’ di soluzioni e risposte fornite da altri, in attivi protagonisti nella vita della comunità. C’è un bisogno enorme di aiuto reciproco. In questo contesto si pone l’educazione ‘religiosa’ come esperienza di appartenenza a una comunità, come condivisioni di scelte comuni alla luce della fede, come testimonianza di gratuità e di amore. Il soggetto comprimario della pastorale post battesimale è il bambino battezzato. Il bambino non è solo destinatario di una azione di cura, di educazione, passivo recettore di un trasmissione da parte degli adulti. Egli è soggetto attivo, anzi è dono per i genitori. La sua stessa presenza parla. Egli ci parla di Dio stesso, è parola scritta nella carne del Dio della Rivelazione. Con i suoi bisogni, i suoi appelli, anche non verbali, la sua fiducia incondizionata “evangelizza” i genitori, gli adulti. Davvero i bambini ci ‘parlano di Dio’. “Gesù li fece venire avanti e disse: «Lasciate che i bambini vengano a me, non glielo impedite perché a chi è come loro appartiene il regno di Dio.” (Lc18,16). Lo sguardo e i gesti di Gesù rivelano a noi discepoli adulti (genitori, educatori, comunità cristiana …) con quale intenzione e con quali atteggiamenti accogliere i bambini. Essi sono rivelazione di Dio stesso. Dal momento in cui vengono alla vita e nel modo più disarmante ci chiedono di essere accolti come dono dall’Alto. In loro si riflette l’immagine del Figlio di Dio, che è Gesù, amato dal Padre, Rivelatore del Dio che è Padre e Madre di tutti noi. In quel Figlio ogni altro figlio, cucciolo d’uomo che viene al mondo, risplende la stessa immagine di Dio. Come il Figlio Gesù, primogenito tra molti fratelli, è Parola di Dio fatta carne, così ogni altro figlio è parola di un Dio che chiede di essere accolto e amato dall’uomo come risposta al Dio vivente. Quale affascinante percorso possiamo alludere nell’invito a riflettere sulla scoperta che i genitori e insieme alla comunità cristiana vivono nell’accoglienza e nell’accompagnamento dei piccoli! I figli sono, secondo la parabola evangelica, come il tesoro nascosto nel campo,come la perla preziosa più di ogni altra. Per i genitori accogliere un figlio significa accogliere come discepoli il Regno di Dio, vivere la vocazione della sequela di Gesù nella forma del dono di sé come risposta all’iniziativa di Dio, alla chiamata. Aiutiamo i genitori a riconoscere la grazia, il dono inestimabile che è il figlio per loro, per la Chiesa, per il mondo. Proviamo ad accennare ora allo sviluppo del bambino in ordine non solo alla sua identità di fondo, ma anche alle dinamiche affettive, relazionali, cognitive nella sua crescita. Nella prima fase, primo anno di vita, il legame del bambino con la figura che si prende cura, soddisfa bisogni primari ineludibili: di sicurezza, di calore, di appartenenza … (contributo di C. Guffanti nel testo guida pag. 55ss). Attraverso tali bisogni il bambino accresce la sua predisposizione a cogliere il mistero di cui è parte, l’immenso oceano di amore, che lo avvolge, come prima già sperimentava nel grembo materno. Lo psicologo Winnicott afferma che dal come una madre tiene in braccio il figlio in tenera età manifesta la stessa tenerezza di Dio! Il bisogno di essere amato, di sentirsi amato è chiave di lettura sintetica che dischiude il senso religioso nel bambino, meglio dovremmo dire nel figlio come sua identità prima ed ultima. Fin dai primi tre anni di vita, l’apertura alla meraviglia, la contemplazione della natura, e dei grandi silenzi, la musica, le emozioni forti dei genitori, il senso di fiducia nella vita da parte dei genitori, la partecipazione gioiosa alla liturgia, lasciano segni indelebili nella coscienza e nell’inconscio del bambino. Nei bambini da tre a sei anni i rapporti affettivi che li legano alle immagini genitoriali sembrano condizionare sostanzialmente lo sviluppo religioso. Diventa quindi molto incidente la religiosità dei genitori sulla religiosità dei figli. I genitori diventano modello di vita religiosa attraverso le loro azioni prima ancora che con molti insegnamenti. La forma di apprendimento fondamentale è per imitazione. Dai quattro ai sei anni il bambino tende a rappresentarsi Dio secondo il modello antropomorfico: Dio è immaginato come un uomo forte, dotato di poteri superiori, simile al proprio padre , a un buon vecchio… Con il passare degli anni queste immagini andranno ricomprese alla luce della Rivelazione di Gesù. Certamente compito dei genitori è quello di trasmettere in modo propositivo i loro ‘alfabeti affettivi’ perché i bambini abbiano un’immagine di Dio non distorta o conflittuale. Il bambino in questa età della vita è egocentrico, immagina Dio al servizio dell’uomo. A volte la sua preghiera esprime una fiducia quasi magica, che vada ricondotta ad una logica di affidamento. La preghiera non è domanda per ottenere qui e subito, magicamente qualcosa di materiale, ma un modo per esprimere la riconoscenza di essere e sentirsi amati. “Quando i genitori camminano insieme fanno un percorso educativo che lascia un’impronta non facilmente cancellabile. Nessuna famiglia passa senza lasciare traccia nella storia” (Catechismo dei bambini n. 144) Gli accompagnatori dei genitori nella comunità siano possibilmente delle coppie di genitori sposati, che accompagnano altre coppie di genitori in un percorso di coeducazione alla fede con i figli. Gli incontri scandiscano nel dialogo e nella pluralità di forme di comunicazione un cammino comune tra genitori circa l’educazione dei figli e un cammino sempre più arricchente con i bambini. La dimensione feconda del Battesimo chiede una comunità accogliente e capace di accompagnare: quali conversioni pastorali ci sono richieste? Riflessione nei Consigli pastorali e/o nei gruppi, scelte circa le giovani famiglie, risorse di coppie già disponibili, possibili obiezioni iniziali circa l’iniziativa. Quali motivazioni per le scelte da compiere, le esperienze in atto, le difficoltà già riscontrate, i passi consolidati. Attese e richieste delle famiglie.