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prendiamo il largo... - Arcidiocesi di Benevento
ARCIDIOCESI DI BENEVENTO
PERIODICO DI IMPEGNO RELIGIOSO E SOCIO-CULTURALE
Anno 11 N° 2 - Ottobre 2008
Spedizione in abb. postale comma 20 - Articolo 2c
Legge 662 del 1996 - FILIALE DI BENEVENTO
SERVI INUTILI
(MA ATTIVI)
di Massimiliano Del Grosso*
Q
uesto mese è dedicato
all’opera missionaria. La
missione rientra nella natura stessa della Chiesa:
essa è stata infatti creata
dal suo Fondatore anzitutto per l’annuncio
della verità che salva, quella verità dall’ascolto della quale nasce e si irrobustisce la fede,
adesione totale dell’uomo a Cristo come via
universale di redenzione. Se non ci fosse
annuncio non ci sarebbe Chiesa e se non ci
fosse Chiesa non ci sarebbe annuncio. La
Chiesa, dunque, vive della missione e per la
missione. Il mandato con cui Cristo invia i
suoi discepoli per tutto il mondo poco prima
di ascendere alla destra del Padre (Mt 28,19;
Lc 24,46ss.) rappresenta così quell’anello
necessario che congiunge il suo insegnamento all’accoglienza di esso e la sua opera
di salvezza all’attuazione della stessa per
ogni singolo uomo. Lo sforzo apostolico che
si protrae in tutta la storia umana mediante i
sempre nuovi annunciatori della Parola diviene il cordone ombelicale mediante il quale
tutto quello che Cristo ha detto e fatto può
avere pieno compimento. Il servo, «inutile»
per sua natura (Lc 17, 10), sopratutto se rapportato all’onnipotenza divina, diviene perciò
«utile» per volontà dello stesso Salvatore.
Considerare questo doppio rapporto dispone
ogni fedele cristiano ad un atteggiamento
umile e al contempo obbligato nell’impiegare
ogni personale sforzo – e senza lasciarsi
ingannare da quella comoda ipocrisia che
trasforma l’inutilità in ignavia – affinché tutto il
mondo riconosca, ami e serva il Figlio di Dio.
* Vicedirettore Ufficio Dioceasano
Comunicazioni Sociali
PRENDIAMO
IL LAR GO...
ANNO PAOLINO
Da Tarso a
Gerusalemme:
Paolo, giudeo
osservante
INIZIATIVE
“Cives. Guardare al
futuro” per formarsi
al bene comune
Convegno il 30 ottobre
a pagina 2
RUBRICHE
Quando pregare
è anche ascoltare:
pronti a metterci in
sintonia con la Parola
a pagina 6
RICORRENZE
8 ottobre 1978: muore
don Emilio Matarazzo
ideatore del centro
di spiritualità “La Pace”
a pagina 12
a pagina 4
DOSSIER
“Guai a me se non
predicassi il Vangelo!”
Iniziative in Diocesi
per il mese missionario
a pagina 8 e 9
COMMENTI
In ascolto della
Parola. Pensieri e
riflessioni sui Vangeli
della domenica
a pagina 15
2
Ottobre 2008
Da Tarso a Gerusalemme:
Paolo, giudeo osservante
di Leonardo Lepore
S
aulo, detto Paolo, nacque in
Galilea a Giscala, l'odierna elGhis. Piccolissimo, forse di due
anni, i genitori lo portarono a Tarso,
capitale della provincia romana della
Cilicia Pedia, dove loro stessi e furono
stati costretti a dimorare dopo essere
stati catturati dai Romani. Un soggiorno
forzato, lontani dalla propria terra. La
città vantava una certa importanza sia
economica che politica; sembra accertato come uno dei suoi funzionari fosse
stato il grande retore Cicerone, e dal
punto di vista culturale annoverava la
presenza di importanti figure quali il filosofo Atenodoro, il maestro di retorica
Ermogene e Nestore, precettore dello
stesso Cicerone. Della sua adolescenza
alcuni dati sembrano certi: durante la
giovinezza i genitori vivevano agiatamente, sì da permettergli di poter dedicare tempo agli studi e alla formazione
tanto religiosa quanto secolare. Da un
punto di vista religioso è facile immaginarlo come assiduo frequentatore della
sinagoga e appassionato lettore delle
Scritture. Le sue lettere in seguito dimostreranno un'approfondita conoscenza
del testo greco della Bibbia, la cosiddetta traduzione della Settanta, e un'ampia
capacità di interpretazione, di lettura dei
testi, e di citazione a memoria.
Dell'ambiente laico imparò non solo la
lingua greca, con cui scriveva, ma
anche l'uso della retorica - per l'insegnamento della quale Tarso millantava ottime scuole - e alcuni aspetti dello
Stoicismo, dottrina filosofica molto diffusa a quell'epoca. Anche per Paolo,
come per ogni giovane delle sue condizioni, si presentò il
dilemma se
conti-
nuare con lo studio delle Scritture e
della religione dei padri, o se proseguire
per altra via, se immergersi nel mondo
giudaico o vivere da pagano. La scelta
cadde in favore della religione e subito
si profilò la partenza per Gerusalemme,
e quando vi giunse, forse insieme ad un
gruppo di pellegrini, aveva circa vent'anni.
Nella Città Santa correva la fama del
grande maestro Gamaliele I, famoso
per il suo stile tollerante (cf. At 5,34). Di
certo, per il suo cuore desideroso di
conoscere perfettamente la legge di Dio
e per il suo entusiasmo davvero generoso, quella di Gamaliele fu una scelta
sicura. Molto verosimilmente si mise
alla sua scuola per poter divenire fariseo, vivendo insieme ad altri giovani
che nutrivano il suo stesso desiderio,
gareggiando con essi nello studio e nel
rispetto delle prescrizioni rituali della
purezza, e condividendo con il maestro
le proprie riflessioni e considerazioni.
Ricordando quegli anni, Paolo, ammettendo non solo di aver avuto una formazione da fariseo, dirà anche: "mi ero
spinto, nel giudaismo, oltre tutti i miei
compagni appartenenti al mio popolo,
difensore fanatico com'ero, in misura
maggiore di loro, delle tradizioni dei miei
padri" (Gal 1,14).
Si capisce bene in questa luce il primo
testo del Nuovo Testamento in cui compare il giovane Saulo. Lo scenario è
quello di Gerusalemme, fuori della città,
in un giorno di sangue. Per lapidare
Stefano, i giudei deposero i mantelli ai
piedi di Saulo e subito dopo la lapidazione Luca dice di lui: "Saulo acconsentiva
con approvazione all'uccisione di lui [di
Stefano]" (At 8,1). Non è difficile immaginarlo: il volto di chi con un consenso
massimo difende la purità della religione, e non arretra nemmeno dinanzi al
sangue. La religione più della verità. Lo
zelo (identico?) di chi ha crocifisso il
Messia.
DIZIONARIO
PAOLINO
Paolo/Saulo. Negli scritti del Nuovo
Testamento Paolo viene designato
con due nomi: Saûlos e Paûlos.
Il primo nome, Saûlos, è la grecizzazione del nome giudaico Sha’ul, il
nome del primo re di Israele. Paolo,
come il re Sha’ul, appartiene alla
tribù di Beniamino, per questo si può
concludere come egli portasse il
nome di uno dei suoi più gloriosi
antenati.
Il secondo nome, Paûlos, è la grecizzazione del latino Paulus, o anche
Paullus, «piccolo», un nome di origine romana diffuso nel I secolo d.C.
C’è da dire inoltre che nelle sue lettere Paolo si presenta sempre e solo
con il nome di ‘Paolo’ e mai come
‘Saulo’. Quest’ultimo viene usato
esclusivamente nel libro degli Atti
degli Apostoli e se non ci fosse stata
la testimonianza di Luca, non lo si
sarebbe mai conosciuto.
Farisei. Ai tempi di Paolo la società
giudaica aveva al suo interno alcuni
gruppi con diversi orientamenti di
pensiero. Uno di questi era quello a
cui faceva capo la setta dei farisei. Si
trattava di scrupolosi osservanti della
Torah, la Legge contenuta nei primi
cinque libri della Bibbia (la legge
scritta) e nell’insegnamento dei padri
(la legge orale). In At 26,5 lo stesso
Paolo dirà che si tratta della setta più
rigida della religione ebraica.
L’obiettivo era quello di assicurare la
santità dei laici mediante l’osservanza delle norme sul sabato e le festività del calendario cultuale ebraico; la
pratica delle leggi circa le primizie e
le decime sui prodotti dei campi e di
quelle sugli alimenti; la rigorosa
applicazione delle norme riguardanti
i contatti con le fonti di impurità
(cadaveri, malattie, sangue e altri
flussi organici). A differenza dei loro
diretti rivali, i sadducei, riconoscevano autorità canonica a tutti i libri
della Bibbia e non solo al
Pentateuco, e, ancor più, credevano
nella vita dopo la morte e nella resurrezione. Nel I secolo il gruppo si
divideva in due scuole principali:
una più rigorosa, più “conservatrice”, facente capo a rabbi Shammai,
l’altra più “progressista”, avente
come maestro Hillel. Se Paolo seguì
l’insegnamento di Gamaliele I,
discepolo di Hillel, come si dice nel
libro degli Atti, si può concludere
che facesse parte dell’ala “progressista” della setta. Ciò tuttavia non
riscuote il consenso unanime degli
studiosi.
l.l.
Ottobre 2008
3
Partito il progetto della Diocesi
“Chiesa, casa e scuola di comunione”
T
di Nicola Gagliarde
rovare la "giusta via" per evangelizzare è una tra le missioni
fondamentali che la chiesa universale, e dunque la chiesa beneventana, deve intraprendere. Occorre attrezzarsi degli strumenti più opportuni, elaborare le strategie più idonee per raggiungere tutti e per riuscire ad attualizzare il messaggio evangelico. Ecco perché
è necessario darsi un metodo di lavoro.
Ed è quello che la diocesi di Benevento
sta facendo. Il progetto "Chiesa, casa e
scuola di comunione", che rappresenta
l'obiettivo generale in cui si è scelto di
collocare l'azione pastorale del prossimo
triennio, va perseguito attraverso una
strategia precisa con tappe graduali.
Lavorare pastoralmente, dotandosi di un
metodo, vuol dire lavorare attraverso
progetti nei quali si stabiliscono obiettivi,
mezzi, tempi di azioni e valutazioni verificando se quanto programmato è stato
realizzato o quanto invece va cambiato,
sia nella definizione degli obiettivi previsti, sia talvolta nella scelta dei mezzi utilizzati.Una sintesi di tale strategia operativa è descritta nell' opuscolo dal titolo
Chiesa: casa e scuola di comunione.
Linee programmatiche ed ipostesi operative - Anno pastorale 2008 - 2009.
L'opuscolo, che è stato pubblicato
recentemente e distribuito agli operatori
pastorali in occasione della celebrazione
eucaristica svoltasi a Piana Romana per
l'apertura dell'anno pastorale, descrive
in linea generale le modalità di lavoro a
progetto. Ma soprattutto delinea tutte le
tappe dell'azione che la chiesa beneventana intraprenderà nei prossimi anni. Si
parte dalla considerazione che tale pro-
getto deve innestarsi nella realtà territoriale, attraverso una strategia precisa
(piano pastorale triennale) con tappe
graduali (programmazione annuale).
Questi dunque i punti cardine da cui
discendono le varie azioni che saranno
poste in essere e che sono elencate nell'opuscolo. Nel triennio, tra gli obiettivi a
lungo termine sono previsti: un lavoro di
monitoraggio e analisi della realtà territoriale diocesana; l'analisi e il coinvolgimento del mondo laicale; l'elaborazione
di percorsi condivisi con il territorio; da
ciò derivano poi le strategie operative
del programma pastorale di ogni singolo
anno.
L'anno pastorale 2008-2009 si articolerà
intorno al tema della Parola di Dio, alla
sua valorizzazione e maggiore diffusione. A tale scopo sono previsti molte attività da esplicarsi sia a livello diocesano
PUBBLICAZIONI
Atti del XXIV Convegno Pastorale
Sono stati consegnati a tutti i parroci gli atti del
XXIV convegno pastorale diocesano “Dalle parole
alla Parola, nel silenzio del dirsi… l’Amore incarnato”. Il libro degli atti, la cui pubblicazione è stata
curata dall’ufficio pastorale diocesano, guidato dal
vicario episcopale, don Donato D’Agostino, raccoglie le relazioni dei lavori. In particolare gli schemi
di meditazione (proposti all’apertura del convegno e
all’inizio dei laboratori di approfondimento) e le
conclusioni operative dell’arcivescovo, mons.
Andrea Mugione. E’ contenuta, inoltre, la relazione
di suor Maria Ko Ha Fong, docente di Sacra
Scrittura presso la Pontificia Facoltà di Scienze
dell’Educazione “Auxilium”, sul tema La Parola di
Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Il libro
degli atti contiene poi delle schede tecniche utilizzate dai delegati per l’approfondimento nei laboratori
di studio e le relazioni dei vicari foranei dei lavori
svolti nelle singole zone pastorali. Il libro degli atti
del XXIV convegno può essere richiesto presso l’ufficio pastorale. Con gli atti sarà consegnato un opuscolo operativo dal titolo Chiesa: casa e scuola di
comunione, ipotesi per un piano triennale e programma pastorale diocesano, 2008-2009. Si tratta di
un lavoro di sintesi degli obiettivi emersi durante
l’assemblea di programmazione diocesana svoltasi a
Matrice (CB). L’opuscolo delinea concettualmente le
modalità di lavoro a progetto come si usa oggi in
tutte le realtà. E’ una scelta di metodo.
Il lavoro viene “scomposto” in tappe, vengono definiti obiettivi, azioni da compiere, tempi, risorse a
disposizione e percorsi di valutazione.
Nell’opuscolo dunque è descritto l’obiettivo generale dell’azione pastorale, le basi per la stesura un
piano triennale e le attività del programma dell’anno
pastorale 2008-2009.
che parrocchiale: quali per esempio l'istituzione di una scuola biblica diocesana,
l'elaborazione di sussidi per la preghiera
nei tempi forti dell'anno liturgico da distribuire a tutte le parrocchie, la realizzazione di un evento pubblico sul tema della
Parola, durante il quale coinvolgere
anche le altre istituzioni territoriali e che
abbia una finalità operativa concreta,
l'attivazione di centri di ascolto parrocchiali. Analizzare il contesto di riferimento, i destinatari dell'azione pastorale,
definire i tempi, le modalità di svolgimento (in sintesi lavorare a progetto) è una
scelta di campo importante perché oltre
a consentire la pianificazione delle attività rendendole più funzionali all'obiettivo
prefissato, aiuta a superare il rischio del
soggettivismo e ad essere il meno autoreferenziali possibile. E questo giova alla
missione dell'evangelizzazione.
4
Ottobre 2008
“Cives. Guardare al futuro”
Per formarsi al bene comune
di Ettore Rossi*
Q
ualche settimana fa Papa Benedetto XVI,
durante un'omelia pronunciata a Cagliari
davanti al Santuario di Nostra Signora di
Bonaria, ha esortato la Chiesa e i cattolici a tornare ad
«essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro,
dell'economia, della politica» che, ha spiegato,
«necessita di una nuova generazione di laici cristiani
impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore
morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Questo passaggio, apparentemente stringato dell'omelia del
Pontefice, è così denso di significato e di prospettive
che interpella, in modo esigente, tutti quei credenti
che hanno a cuore il bene delle proprie comunità e del
proprio paese. L'indicazione è chiara e va nella direzione della formazione di persone che siano in grado,
con competenza e rigore morale, di animare tutte le
realtà temporali, dall'economia, al lavoro, all'impegno
nel campo politico. L'Ufficio diocesano per la
Pastorale Sociale e del Lavoro si sente incoraggiato
da questi insegnamenti a proseguire la propria progettualità nel campo formativo. E' stata, infatti lanciata
in questi giorni la seconda edizione del corso di formazione sociale Cives, che ha come tema "Guardare il
Futuro. Laboratorio di formazione al bene comune".
Dopo la prima edizione imperniata sui temi dell'economia e del territorio, si affronta in questo secondo ciclo
il tema del futuro e delle diverse sfere dell'impegno
personale, ecclesiale, sociale, professionale e politico.
Il corso si articola in incontri e testimonianze di studiosi, operatori sociali e politici locali, oltre a momenti di
confronto di tipo seminariale, nell'ottica della progettazione collettiva. Destinatari dell'intervento sono dirigenti di associazioni, giovani laureati in materie economiche, giuridiche e sociali (preferibilmente apparte-
nenti ad associazioni del territorio) e persone disponibili ad impegnarsi per il bene comune. Si prevedono
una serie di laboratori, con 20 partecipanti, nel corso
dei quali uno o più testimoni privilegiati interagiscono
con il gruppo su tematiche di particolare interesse per
il territorio della provincia di Benevento e dell'intero
Paese. Tra gli obiettivi formativi si segnalano i seguenti: sensibilizzare il gruppo dei partecipanti ad una
comprensione adeguata delle dinamiche e delle prospettive culturali, socio-economiche e di quelle politico-istituzionali che contraddistinguono il contesto
locale, inquadrate in uno scenario regionale, nazionale e globale, alla luce degli insegnamenti della Dottrina
Sociale della Chiesa; presentare ai partecipanti realtà
e casi positivi che si segnalano sul territorio di riferimento; far conoscere ai partecipanti esperienze e
forme di impegno promosse da organizzazioni del
Terzo Settore e realtà ecclesiali, sia a livello locale che
nazionale. Tra i vari "docenti", che si alterneranno da
novembre fino al mese di aprile 2009, si segnalano
le importanti presenze di p. Bartolomeo Sorge,
Direttore di Aggiornamenti Sociali, del dott. Carlo
Borgomeo, del prof. Silvano Petrosino dell'Università
Cattolica di Milano, del prof. Paolo Rizzi, direttore del
laboratorio di Economia locale dell'Università
Cattolica di Piacenza, del prof. Filippo Bencardino,
Rettore dell'Università del Sannio, del dott. Marco
Iasevoli, vice-presidente nazionale dell'Azione
Cattolica ed di altri esponenti del mondo ecclesiale,
sociale e politico del nostro territorio. Ad inaugurare il
percorso sarà il prossimo 30 ottobre (al Seminario
Arcivescovile) una figura di assoluto prestigio a livello
nazionale come il prof. Giuseppe De Rita, sociologo,
fondatore e presidente del Censis.
* Direttore dell’Ufficio
Diocesano Pastorale Sociale e del Lavoro
INIZIATIVA DEL CENTRO DI CULTURA DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA
Alla scoperta dell’arte contemporanea
Continua l'impegno del Centro di Cultura dell'Università Cattolica di Benevento a favore della
promozione della cultura e dell'arte. Sarà il prof. Francesco Morante, noto docente di Storia
dell'Arte presso il Liceo Artistico di Benevento e direttore artistico della Galleria d'Arte "Rosso
Fenice" di Benevento a tenere le lezioni di "Art Today”. Perché l'arte contemporanea è arte".
Un nuovo ciclo di incontri, che inizieranno il 7 novembre prossimo e continueranno per quattro venerdì consecutivi presso la sede del Centro di cultura in piazza Orsini, con i quali si propone di avvicinare all'arte contemporanea tutti coloro che non hanno una competenza specifica nel campo, ma che desiderano avere delle chiavi di lettura per poter leggere e comprendere autonomamente le diverse manifestazioni artistiche che caratterizzano la scena odierna.
«Oggi l'arte è molto diversa da quella prodotta fino a pochi decenni fa - spiega lo stesso professore Francesco Morante - spaziando in una molteplicità di linguaggi e tecniche prima
sconosciuta. Ciò comporta che per poter comprendere l'arte è richiesto un approccio non
superficiale. Ma questa comprensione è meno complicata di quanti molti pensano: basta solo
avere il giusto approccio e la giusta metodologia».
Tutti gli incontri si terranno sempre dalle ore 17 alle ore 19 nei giorni 7, 14, 21 e 28 novembre prossimi. Il Centro di cultura rilascerà un attestato di partecipazione a tutti coloro che ne
faranno richiesta, potendo utilizzare come credito formativo per gli studenti o come formazione ed aggiornamento per gli insegnanti.
Per tutte le informazioni su questa e le altre iniziative del Centro di cultura è possibile contattare la segreteria ai numeri 0824-29267 o 328-6131890 oppure consultando il sito www.centrodicultura.eu.
Daniele Mazzulla
TEMPI NUOVI - Periodico di Impegno Religioso e socio-culturale. Autorizzazione Tribunale di Benevento N° 204/96 del 20/12/1996.
Direttore Responsabile: Nicola De Blasio; Ufficio Comunicazioni Sociali Benevento - Progetto Grafico: Daniele Leone
Direzione Redazione: P.zza Orsini, 33 (Bn) tel. 0824_323326 Fax 0824_323344 email: [email protected]
web: www.diocesidibenevento.it. Stampa: Marina Press s.r.l. - Via E. Marelli (C/da Olivola - Benevento)
TEMPI NUOVI può essere richiesto GRATUITAMENTE la settimana successiva all’uscita
presso la libreria Giovanni Paolo II o all’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali
Ottobre 2008
Una fondazione di comunità
per il territorio sannita
di Antonio Assante
I
l 24 settembre, al Seminario di
Benevento, S.E. Mons. Andrea
Mugione ha presieduto un incontro
per approfondire il tema delle fondazioni con il Direttore Generale della
Fondazione per il Sud dott. Giorgio
Righetti.
All'incontro,
coordinato
dall'Ufficio per la Pastorale Sociale e del
Lavoro della Diocesi, hanno partecipato
persone impegnate nel sociale, imprenditori, rappresentati di Istituzioni,
Banche ed Associazioni. L'iniziativa,
presentata dal dott. Ettore Rossi, era
mirata ad approfondire gli aspetti tecnici
legati alla costituzione, al funzionamento di una Fondazione di Comunità e ad
incoraggiare un progetto, certamente
ambizioso e complesso, che potrebbe
essere di grande utilità per il territorio. Il
dott. Righetti ha lanciato subito una provocazione: le Fondazioni di comunità
sono presenti solo nel centro nord
d'Italia, ma anche in paesi difficili come
lo Zimbawe o il Messico. Due i tipi di
intervento della Fondazione per il Sud:
sostegno a progetti con bandi specifici
oppure interventi più complessi, per la
nascita di nuove Fondazioni di comunità. La difficoltà della nascita di nuove
Fondazioni è nell'obiettivo: attrarre
risorse attraverso una comunità di riferimento, partecipata e indipendente, per
alimentare azioni sociali nel territorio.
Occorre la fiducia delle persone e la trasparenza nel modo di operare. La fiducia della comunità si ottiene mettendo
insieme voci diverse. Da una cultura
della donazione e della responsabilità
nei confronti del territorio nasce una istituzione che deve garantire efficienza
nella raccolta e interventi indipendenti,
per specifici e differenti bisogni della
5
comunità locale. E' una sfida che già in
Campania ed in Calabria alcune comunità stanno portando a compimento. Il
dott. Righetti infine ha ribadito il pieno
sostegno della Fondazione per il Sud ad
una proposta che parta da questo territorio che, se accolta, potrà avere un
importante contributo operativo e finanziario. Si sono poi succeduti numerosi
interventi dei rappresentanti delle istituzioni, dell'unione industriali, di alcuni
istituti di credito, di associazioni di categoria, di persone provenienti dal volontariato: è risultata evidente la volontà di
approfondire e condividere un progetto
per la costituzione di un comitato promotore. S.E. mons. Mugione ha ringraziato per le tante presenze ed ha incoraggiato ad andare avanti concretamente, superando l'ansia di un progetto in
divenire. Occorre cuore, intelligenza,
risorse, volontà, ma prima ancora
occorre dire un grande sì allo stare
insieme. Per la stessa Chiesa la fraternità è un dover essere, da costruire.
Anche la Chiesa ha bisogno di essere
comunione, superando l'individualismo
che disperde le energie. Ha incoraggiato tutti ad andare avanti, perchè l'attenzione ai bisogni del territorio e la condivisione può essere di esempio per la
Società e per la stessa Chiesa. Il prossimo appuntamento è tra un mese per
approfondire i temi ed accogliere quanti
vorranno partecipare.
CERVINARA
La Parrocchia di S. Adiutore presente
nel sociale con Misericordia e Caritas
Da anni la parrocchia di S. Adiutore in Cervinara
(AV) si caratterizza per una presenza di grande
valore nel contesto locale, portando il messaggio
evangelico con la concretezza di un impegno sociale che rappresenta una grande ricchezza addirittura
per l'intera comunità della Valle Caudina. È, per la
disponibilità del parroco don Nicola Taddeo, la più
frequentata da giovani e ragazzi. Le iniziative di
volontariato hanno trovato terreno fertile nella piccola parrocchia caudina e si sono concretizzate con la
creazione della confraternita di Misericordia, della
Caritas e del Banco Alimentare, cui fanno riferimento decine di volontari, cattolici e non, quotidianamente al lavoro per per i bisognosi e la comunità
tutta, in uno scenario sociale difficile e affetto dai
molti mali del meridione d'Italia.
Don Nicola, forte guida spirituale e
visibile presenza della Chiesa operosa tra la gente, appartiene a quella
generazione di giovani parroci che
hanno saputo interpretare i segni dei
tempi e diventare un riferimento di
grande disponibilità per quanti hanno
inteso fare una scelta di impegno nel
sociale, ma anche un riferimento per
quanti si attendono dalla Chiesa quel
ruolo di denunzia profetica dei mali
del tempo. Ma andiamo per ordine.
La Misericordia - dal primo presidente
Antonio Cioffi a quello attuale, Luigi
Cioffi - ha realizzato nel tempo un vero
e proprio servizio di emergenza 118,
giungendo oggi a contare ben quattro
autoambulanze. Un nutrito gruppo di
medici, infermieri, barellieri, autisti, tutti
volontari provenienti da Cervinara e dai
comuni limitrofi, ma anche giovani del
Servizio Civile (ne sono attesi otto nei
prossimi giorni) assicurano un servizio
che a lungo è stato l'unico nella intera
Valle Caudina. Ancora oggi, le ambulanze operano, a richiesta, nell'intera
Valle. La Caritas parrocchiale alle ordinarie attività
assistenziali è riuscita ad avviare un
preziosissimo (e raro) servizio di ospitalità notturna per persone in difficoltà
(sono gestiti tre posti letto) e un servizio di mensa che assicura mediamente 4/5 pasti giornalieri con sette volontari pressoché fissi, ma anche con una
grande presenza di donazioni da
parte di tantissimi fedeli e cittadini che
vedono la concretezza e l'importanza
di queste iniziative. Un vero miracolo
organizzativo che si ripete ogni giorno. Infine il Banco Alimentare, iniziati-
va che fa riferimento al magazzino di
Caserta e che è fruita da oltre cinquanta famiglie in difficoltà. Tutte queste iniziative hanno il pregio di avvalersi della
reciproca collaborazione dei volontari e
segnano con continuità la vita della
comunità parrocchiale con eventi
durante tutto l'anno, senza strombazzamenti pubblicitari. Ci piace ricordare l'ospitalità data a nove bambini africani
nel luglio 2008 che ha mobilitato decine
di famiglie e tantissimi giovani e giovanissimi dell'Azione Cattolica e degli
Scout.
Don Nicola non si stanca di invitare «altri operai alla
vigna del Signore», sottolineando come queste
associazioni rappresentano un modo tanto di mettere in pratica il comandamento dell'amore e della
carità, quanto per non fermarsi alla semplice denuncia delle carenze delle istituzioni sul versante dei
servizi sociali e del degrado civile e morale.
Una Chiesa presente ed operosa, dunque. Un
segno tangibile della sollecitudine per quanti sono in
difficoltà e un approdo importante soprattutto per
tanti giovani che cercano occasioni per esprimere la
propria carica di generosità e disponibilità verso il
prossimo.
Paolo Citarella
6
Ottobre 2008
FESTA PATRONALE
Quando pregare
Tocco Caudio in festa per
è anche ascoltare i santi Cosma e Damiano
di Raffaele Di Muro
P
regare non vuol dire soltanto chiedere qualcosa a Dio, ma anche
ascoltarne la voce, la Parola. La
preghiera è fatta soprattutto di ascolto e di
accoglienza rispetto a quanto il Signore
vuol comunicare all’uomo. Sarebbe un
errore pensare all’orazione solo come
al nostro parlare all’Altissimo: in
realtà, è Lui che vuol comunicarsi
alla sua creatura, che
vuol riempirla
del suo amore
e della sua
consolazione.
Questo è quanto la
Bibbia esprime: Dio ha parlato al
popolo d’Israele costantemente e
oggi si rivela continuamente al suo
popolo in Gesù e nel suo Vangelo.
La nostra giornata dovrebbe essere “permeata” da una sorta di lectio
continua che consiste nel ruminare, nel riassaporare un brano del
Vangelo o della Bibbia (magari
anche le letture proclamate durante
la messa feriale o domenicale),
lasciando che la Parola dimori in
noi e orienti le nostre invocazioni
a Dio, le nostre richieste, il nostro
contatto con Lui. Pregare con la
Parola nel cuore vuol dire rivolgersi al Signore in un atteggiamento di
ascolto. Sarebbe importante, a tal proposito, annotare su un diario spirituale quei
brani che maggiormente risuonano nel
nostro cuore perché essi non possano
portare frutto, perché possano restare in
noi a lungo. La nostra intera giornata
sarebbe segnata dalla Parola e il nostro
parlare a Dio nascerebbe proprio dall’ascolto. Dall’ accoglienza della voce del
INEDITO
DI
Signore passeremmo all’invocazione:
Abbà Padre (cfr. E. BIANCHI, La preghiera:
apertura a una comunione, Monastero di
Bose, 9).
In questo modo impareremmo a vivere
sempre tesi a compiere la volontà di Dio,
sempre colmi dell’amore divino che dolcemente invaderebbe i nostri cuori, disponibili al un continuo dialogo con Lui. Non
pregheremmo più Dio, ma in Dio: è
meraviglioso!
Questo pregare ci renderebbe uomini e
donne di comunione, comunione con Dio e con i
fratelli. Saremmo
capaci di esprimere quell’amore che
sgorga dalla Parola di Dio.
Saremmo più volentieri fiduciosi,
franchi, audaci, liberi sia nei confronti del Signore che del nostro
prossimo: nel nostro cuore regnerebbe la pace che promana dall’amore divino e anche di noi si potrebbe
dire, come di Francesco d’Assisi si
diceva: «…non era tanto un uomo
che prega, quanto piuttosto egli
stesso tutto trasformato in preghiera vivente»(Dalla Vita seconda di
Tommaso da Celano, 95).
La preghiera diventa così contemplazione, uno stare costantemente
alla presenza di Dio, un saper scorgere in tutto e sempre l’azione della sua grazia. La preghiera d’ascolto porta ad amare
in modo compassionevole, ad avere in
dono lo sguardo di Dio sulla realtà sulle
persone, sulla storia.
Lasciamoci guidare dalla preghiera d’ascolto, lasciamo che la nostra vita sia un
continuo stare alla presenza di Dio, un
continuo vivere in Dio.
GIACOMO LEOPARDI
Sono volti al termine il 28 settembre, i festeggiamenti in onore dei Santi Martiri Cosma e
Damiano, la cui devozione è molto sentita nella provincia di Benevento ed in particolare
nella Valle Vitulanese, nel piccolo paese di Tocco Caudio (BN) di circa 1000 abitanti, in
cui da più di due secoli, la grande devozione a queste due colonne della fede si è fatta
intendere e si rinsaldata negli anni. Non sappiamo molto di questi due fratelli gemelli e
medici; le fonti pervenuteci non sono pienamente concordanti tra loro, pur avendo molti
aspetti comuni. Questi erano in grado di operare prodigiose “guarigioni” e “miracoli” e la
loro azione era completamente gratuita nei confronti di tutti. Secondo la tradizione agiografica, i due erano originari dell’Arabia, appartenenti ad una ricca famiglia. Uno dei loro
più celebri miracoli, tramandati dalla tradizione, fu quello di aver sostituito la gamba ulcerata di un loro paziente con quella di un etiope morto di recente. Durante le persecuzioni
dei cristiani promosse da Diocleziano (284-305 d.C.) furono fatti arrestare dal prefetto di
Cilicia, Lisia. Avrebbero subito un feroce martirio, così atroce che su alcuni martirologi è
scritto che essi furono martiri cinque volte. Secondo recenti studi, il 26 settembre del 287
d.C., fu il loro “dies natalis”, ovvero l’ultimo giorno della loro vita terrena ed il primo della
beatitudine eterna. Il loro culto si diffuse rapidamente, sia in oriente che in occidente, sin
dai primi secoli del cristianesimo. Secondo la tradizione popolare, a Tocco Caudio, i “Santi
Medici”, apparvero a due giovani sordomuti, figli di un contadino del luogo, proprietario
del terreno retrostante all’attuale santuario. In seguito all’apparizione, questi giovani si
recarono dal padre, invitandolo a donare un po’ di terreno per la costruzione di una cappellina dedicata a quei due giovani che avevano parlato loro. Il padre dinanzi al miracolo
dei figli, concesse il terreno dove tuttora sorge la cappellina dedicata ai Santi Cosma e
Damiano. La festa annuale prevede un ricco ed intenso programma religioso che si articola tra il novenario (che quest’anno ha visto nei giorni dal 23/09 al 26/09, la presenza di
mons. Francesco Zerrillo, vescovo emerito della diocesi Lucera-Troia) e il 27/09 giorno in
cui secondo la tradizione, la comunità ricorda i due Martiri. Due sono i momenti più intensi della giornata: al mattino, la fiaccolata che si snoda tra le vie del paese, dalla Chiesa
Parrocchiale fino al Santuario dei SS. Cosma e Damiano, insieme alle statue, con una sentita partecipazione degli abitanti di Tocco, anche di quelli che abitano in Italia o all’estero,
e di molti abitanti dei paesi vicini; il secondo momento della giornata vede la partecipazione alla Solenne Santa Messa, presieduta quest’anno dall’Arcivescovo di Benevento S.
E. mons. Andrea Mugione. La festa in onore dei Santi Martiri termina il giorno 28/09 sia
sotto il profilo religioso che civile; infatti, è un evento musicale a chiudere ogni anno i
festeggiamenti, in attesa di quelli dell’anno seguente. Quest’anno è toccato alla cantante
ligure Alexia. A testimonianza del forte attaccamento della Valle Vitulanese ai Santi
Medici Cosma e Damiano, il 29 Dicembre 1991, I Domenica di Natale, S. E. mons. Carlo
Minchiatti, solennemente dedicava a Dio la Chiesa-Santuario dei Santi Cosma e Damiano,
proclamandoli ufficialmente Patroni di Tocco Caudio e Protettori dell’intera Zona
Vitulanese.
SULLA
Gabriele Pastore
BIBBIA
Durante le ricerche per la tesi di laurea, Carla
Pagliarulo, nata a Benevento nel 1984, laureata in
Lettere Moderne all'Università Cattolica del Sacro
Cuore di Milano, sotto la guida dei professori
Giuseppe Frasso e Claudio Scarpati, ha rinvenuto
nella Casa Leopardi di Recanati (MC) alcuni scritti
inediti del grande poeta italiano dell'Ottocento.
«Torbida, e fosca tra l'atre caligini, che d'ogni intorno
la cingono volvesi taciturna la notte. Un cupo orrore
si stende per tutto, e le più dense, e oscure tenebre
regnano d'ogni parte»: così scriveva un inedito
Giacomo Leopardi (1798-1837), poco più che ragazzino, commentando il Salmo 56.
La scoperta getta nuova luce sulla formazione giovanile del poeta dell' ''Infinito'', perché gli scritti sconosciuti ora tornati alla luce si soffermano su motivi
biblici e cristiani. Quelli ritrovati a Recanati sono
composizioni risalenti all'infanzia e, più precisamente, alcune carte finora sconosciute apparentemente
persino alla famiglia, raccolte in una cartella insieme
alle riproduzioni fotografiche degli altri scritti puerili,
già noti.
Il ritrovamento è avvenuto, per così dire, sotto l'imprevedibile regia del caso e la studiosa beneventana
ha potuto consultare i documenti solo per poco
tempo. Di norma non è in effetti ancora possibile
prendere diretta visione dei manoscritti leopardiani di
quei primi anni di attività creativa (1809-1811), eccezion fatta per qualche quaderno portato alla luce da
Maria Corti negli anni Settanta, attualmente sotto
vetro in una delle stanze visitabili della casa di
Recanati.
Ottobre 2008
7
La spiritualità e la devozione
nei dipinti conservati in città
di Lilli Notari
N
ella tela, in basso sulla sinistra,
è raffigurato San Felice da
Cantalice, inginocchiato nell’atto di adorare il Bambino Gesù che gli
viene portato da Sant’Antonio. Questo
gesto sottolinea una continuità nella spiritualità tipica dei due santi: di
Sant’Antonio si narra che, mentre era in
preghiera nella sua celletta fattagli
costruire, in una località nei pressi di
Padova, dal conte Tiso tra i rami di un
grande albero di noce, fosse stato visto
dallo stesso conte mentre riceveva la
visita di Gesù Bambino; San Felice, a
sua volta, riceverà tra le braccia il Divino
Bambino dalle mani della Madonna
durante una delle sue numerose visioni
mariane. Il Santo nel dipinto indossa il
tradizionale saio marrone francescano,
ma con il cappuccio a punta che distingue i frati cappuccini dagli altri Ordini
francescani, ed il cordone (con i tre
nodi) a cui è appeso un rosario a grani
continui terminante, non con una medaglietta, ma con un piccolo crocifisso.
Particolarissima, infatti, era la sua devozione per Cristo in croce. Asseriva che il
suo studio era il Crocifisso e le sole lettere che conosceva erano sei: cinque
rosse (le piaghe di Cristo) e una bianca
(la Madonna) sostenendo che “Chi non
intende questo libro (il Crocifisso), non
sa cosa siano i libri; e se intende questo
libro, intende tutti gli altri libri”. Fratello
laico cappuccino, fu grande amico di
San Filippo Neri. Morto nel 1587, canonizzato nel 1712 da Clemente XI, fu il
primo dei santi del recente Ordine dei
Frati Minori Cappuccini nato il 3 luglio
del 1538 con la Bolla “Religionis zelus”
di Clemente VII. Visse a Roma facendo
tutte le mattine la questua per i confratelli ed i bisognosi e per la sua abitudine
di rispondere Grazie a Dio, si guadagnò
il soprannome di Fratello Deo gratia.
Dedicato a San Felice da Cantalice, a
Benevento, era l’antico convento dei
frati Cappuccini (nella attuale zona di
Viale degli Atlantici), trasformato in carcere dopo la soppressione dei conventi
ed oggi sede della Soprintendenza.
All’estremità destra del quadro, un
angioletto seduto sulle nuvole rivolge lo
sguardo al Santo e tende il braccio
destro verso l’osservatore, mostrando
due gigli bianchi, segni di verginità e
amore verso Dio. Nella parte mediana
del dipinto, a sinistra, è raffigurato San
Filippo Neri con la tradizionale pianeta e
il manipolo rossi; poggia la mano destra
su un libro chiuso (il testo sacro), il braccio sinistro è proteso verso il basso,
mentre lo sguardo si rivolge ai due Santi
francescani e al Bambino Gesù. Ai piedi
di San Filippo si trova un giovanetto che
guarda intensamente verso l’alto, è
vestito con una tunica verde che gli
lascia scoperta una spalla. Tende verso
l’alto la mano destra, mostrando un
cuore fiammeggiante, color rosso vivo,
simbolo dell’amore di Dio e della Carità.
L’attributo del cuore ardente o fiammeggiante si riferisce a molti santi ed è presente negli stemmi di diversi Ordini e
Congregazioni.
Potrebbe riferirsi
anche a Sant’Antonio di Padova, posto
alla destra dell’immagine del giovanetto;
c’è, infatti, un precedente iconografico
in Benozzo Gozzoli, che associa il cuore
ardente a Sant’Antonio in Santa Maria
d’Ara Coeli in Roma. Più plausibilmente,
tuttavia, è un attributo di San Filippo
Neri, poiché lo sguardo del giovanetto
(che nel dipinto originale posto nella
Chiesa dell’Annunziata ha le ali di un
angelo) è chiaramente diretto verso il
Santo. Il cuore ardente, inoltre, è al centro dello stemma della Congregazione
dell’Oratorio, fondata da San Filippo nel
1575 e simboleggia il vincolo della carità che deve unire i confratelli; ricorda
anche, in particolare, la “Pentecoste”
del Santo. Si narra che nella notte di
Pentecoste del 1544, mentre era in preghiera, un globo di fuoco gli fosse penetrato nel petto, incrinandogli le costole,
arcuatesi per far posto al suo cuore
ingrossato, che, da quel momento, ebbe
sempre dimensioni maggiori del normale. Dopo la morte del Santo, i medici
constatarono che realmente due delle
sue costole risultavano arcuate e spezzate proprio per permettere una maggiore dilatazione fisica del cuore. Al centro del quadro è raffigurato un angiolet-
to, adagiato sulla nuvola, con in mano
dei gigli bianchi. Con la mano sinistra ne
porge due a Sant’Andrea Avellino, per
sottolinearne l’appartenenza ai Chierici
Regolari Teatini. Infatti nello stemma
dell’Ordine, spesso, i classici simboli
della quercia e dell’alloro sono sostituiti
dal giglio e dalla palma. Il Santo, raffigurato inginocchiato con le mani giunte in
preghiera, vestito con i paramenti sacri,
morì nel 1608, a ottantasette anni, per
un colpo apoplettico mentre celebrava
la messa ed è perciò invocato per scon-
giurare paralisi e morti improvvise. Fu
beatificato nel 1694, e canonizzato nel
1712. A Benevento esiste un altro dipinto che raffigura Sant’Andrea Avellino
insieme con San Gaetano da Thiene,
fondatore dell’Ordine dei Teatini, e si
trova nella prima cappella a destra della
Chiesa della Madonna del Carmelo,
oggi conosciuta come la Chiesa di
Sant’Anna.
(continua nel prossimo numero)
TESTIMONI DELLA FEDE
Nella chiesa
del SS. Salvatore
l’affresco
dell’ascensione
Il medaglione al
centro della volta
(XVIII secolo)
r a f f i g u r a
l'Ascensione.
Secondo la struttura propria delle
icone orientali,
nella parte superiore è presentato il Cristo in
Gloria, dal quale
si irradiano raggi
di luce, con un
mantello azzurro
drappeggiato
attorno al corpo.
Il Salvatore, circondato da figure eteree rappresentanti le anime
beate del Paradiso, ascende verso l'alto.
Due angeli oranti sono ai lati. Intorno alle
nubi che Io circondano e presto Io
nasconderanno alla vista degli spettatori dell'evento, volano puttini alati . Al di
sotto delle nubi, due angeli con tuniche
bianche guardano verso gli apostoli raccolti in basso. E' un chiaro riferimento al
Nuovo Testamento: negli Atti si narra
che gli apostoli, dopo l'Ascensione,
rimangono incapaci di staccare gli occhi
dal cielo; solamente l'apparizione di due
uomini (angeli) vestiti di bianco, che
annunziano loro il ritorno di Gesù alla
fine dei tempi, li scuote dal torpore e li
induce a ritornare
a Gerusalemme.
Tra gli apostoli è
riconoscibile sulla
sinistra
san
Giovanni,
con
tunica verde e
mantello rosso.
Sempre
sulla
sinistra, la figura
femminile, con
lunghi capelli e
tunica sui toni
dell'ocra, potrebbe essere Maria
Maddalena.
Particolare l'atteggiamento dell'uomo anziano in
basso a destra
con mantello e
cappuccio. Diversamente dagli altri personaggi, ha lo sguardo fisso dinanzi a sé
e la mano sinistra aperta, con il palmo
affrontato, nel tipico gesto di accettazione che si trova di solito nelle raffigurazioni della Vergine Annunciata o in San
Giovanni sotto la Croce. La parte centrale dell'affresco risulta illeggibile e non è,
quindi, possibile capire se nel gruppo dei
presenti alla scena fosse inclusa anche
la Madonna, come in altri dipinti raffiguranti il medesimo soggetto. (l.n.)
Le fotografie della pagina
sono a cura di Raffaele Notari
8
Ottobre 2008
“GUAI A ME SE NON PRE
IL COMPITO DI TUTTI È
PORTARE NUOVA LINFA
PER L’EVANGELIZZAZIONE
P
apa Benedetto XVI ha proclamato
l'anno
2008
"Anno Paolino", in quanto
ricorrono duemila anni della
nascita dell'Apostolo delle Genti.
Sono quindi trascorsi due millenni dalla prima evangelizzazione.
E la Chiesa sente ancora e più
che mai pressante la necessità di
continuare ad annunciare la
Buona Novella sia agli operai
della prima ora che ad gentes.
Possiamo affermare con il
Concilio Vaticano II che l'annuncio del Vangelo fa parte proprio
della natura stessa della Chiesa,
esso costituisce cioè la ragione di
essere e di esistere della Chiesa:
«La Chiesa peregrinante è missionaria per sua natura, in quanto
essa trae origine dalla missione
del Figlio e dalla missione dello
Spirito Santo, secondo il disegno
di Dio Padre» (Ad gentes, n. 2;
Lumen gentium, n. 2).
Quindi possiamo capire perché
San Paolo esclama con tutte le
sue energie dicendo: «Guai a me
se non predicassi il Vangelo!».
Se consideriamo gli eventi dell'attualità del mondo, possiamo comprendere che la Chiesa ha un
grave compito di rievangelizzare i
popoli del Vecchio Mondo, i quali
hanno ricevuto, da duemila anni,
l'annuncio del Vangelo. Infatti
proprio in questi paesi destinatari
della prima missione apostolica,
si nota l'affievolimento della fede
cristiana.
Questa situazione è dovuta in
gran parte al fatto che, con l'affermarsi del secolarismo, scristianizzazione, materialismo e consumismo, è prevalso in molti
fedeli l'indifferentismo religioso, e
quindi con esso è venuta meno
anche quell'autentica testimonianza cristiana (martyrium =
seme dei nuovi cristiani).
Perciò la fede cristiana nella
società odierna non debba essere data per scontato, nel senso
che anche in alcuni ambienti religiosi spesso essa non viene con-
siderata come punto di riferimento (la stella polare) nella vita quotidiana. D'altra parte, la missione
ad gentes, cioè ai popoli del
nuovo mondo, i quali hanno
accolto l'evangelizzazione operata dai missionari europei, questa
missione conserva tutt'ora la sua
importanza ed attualità. Il motivo
di quest'asserzione debba cercarsi nell'ampliamento o completamento della frase missionaria
dell'Apostolo delle Genti: Se è
vero, come è vero, «Guai a me se
non predicassi il Vangelo!», è
altrettanto vero anche "guai a me
se non porgessi la mano a mio
fratello bisognoso!". L'annuncio
autentico di Gesù Cristo non può
rimanere sterile, con rischio di
diventare pura speculazione.
Come è vero che dalla parola
divina fu creato il mondo ed in
esso l'uomo; e come è vero pure
che, liturgicamente, dalla Parola
proclamata scaturiscono i sacramenti di salvezza, in particolare
l'Eucaristia, pane di vita per la
salvezza dell'uomo; così sarà
vero anche che dalla missione
evangelizzatrice della Chiesa
dovranno e devono scaturire
gesti di carità, di solidarietà e di
condivisione con le persone sofferenti e meno abbienti.In conclusione possiamo dire che oggi è
più che mai vero che le Chiese
che hanno accolto la Buona
Novella all'alba della prima evangelizzazione, hanno il dovere di
predicare il Vangelo alle giovani
Chiese porgendo ai meno
abbienti una mano solidale e fraterna. Ugualmente anche le
Chiese giovani hanno il compito
di portare alle Chiese del Vecchio
Continente una linfa nuova dell'evangelizzazione. Si tratta insomma di una felice condivisione di
esperienze religiose e culturali
proprie di ogni popolo che ha
incontrato l'Uomo Gesù, il Dio
incarnato.
Costantino Mubanda Kyaliki
DENTECANE
Veglia di preghiera
L'annuale ricorrenza della Giornata
Missionaria Mondiale,dal tema
"Servi e apostoli di Cristo Gesù",
che sarà celebrata il prossimo 19
ottobre 2008, preceduta il giorno 18
ottobre alle ore 20 con una veglia di
preghiera che si terrà nella parrocchia di Dentecane in Pietradefusi
(AV), ci spinge a prendere rinnovata coscienza della dimensione missionaria della Chiesa e ci ricorda
l'urgenza della missione "ad gentes", che "riguarda tutti i cristiani,
tutte le diocesi e le parrocchie, le
istituzioni e associazioni ecclesiali".
L'"anno paolino" è tempo favorevole, perché la Chiesa tutta si impegni, grazie allo Spirito, in un nuovo
slancio missionario. Sappiano che
il loro sforzo e le loro sofferenze
non andranno persi, ma costituiscono anzi il lievito che farà germinare
nel cuore d'altri apostoli l'anelito a
votarsi alla nobile causa del
Vangelo. In nome della Chiesa li
ringraziamo e li incoraggiamo a
perseverare nella loro generosità:
Dio li ricompenserà abbondantemente. Nessuno può sentirsi
dispensato dall'offrire la sua collaborazione allo svolgimento della
missione di Cristo che continua
nella Chiesa. Sono stati innumerevoli anche nel secolo XX, in cui "la
Chiesa è diventata nuovamente
Chiesa di martiri" . Sì, il mistero
della Croce è sempre presente
nella vita cristiana. Scriveva
Giovanni PaoloII nell'Enciclica
Redemptoris missio: «Come sempre nella storia cristiana i "martiri",
cioè i testimoni, sono numerosi e
indispensabili al cammino del
Vangelo...». L'intera missione della
Chiesa e, in modo speciale, la missione "ad gentes", ha bisogno di
apostoli disposti a perseverare fino
alla fine, fedeli alla missione ricevuta, seguendo la stessa strada percorsa da Cristo, «la strada della
povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla
morte...»
Centro Missionario Diocesano
Ottobre 2008
9
EDICASSI IL VANGELO!”
LA NATURA
MISSIONARIA
DELLA CHIESA
I
l Concilio Vaticano II, è stato definito anche il primo concilio missionario, in quanto grazie al
decreto Ad Gentes , ha fatto prendere coscienza in maniera nuova della
natura missionaria della Chiesa. La
Chiesa è sempre stata missionaria;
né può non esserlo perché essa è il
compiersi, nello spazio e nel tempo,
del progetto di Dio sull’uomo, cioè la
salvezza eterna (Cfr1Tim 2,4).
L’amore di Dio è l’origine e la causa
della salvezza dell’uomo. Dio ama
l’uomo fino a donare il suo Figlio
Unigenito, che prende corpo nel
seno di una donna, Maria, per opera
dello Spirito Santo. Gesù Cristo rivela all’uomo la Buona Notizia del
Regno di Dio, che è già qui e ora, che
è Lui stesso, e che sarà alla fine in
tutti, quando riporterà l’umanità compiuta al Padre nella forza del suo
Spirito. La coscienza missionaria
della Chiesa non ha però sempre
conosciuto la stessa intensità. Ci
sono stati momenti in cui tale tale
impegno ha conosciuto un vertice
altissimo (in particolare durante i
primi secoli del cristianesimo), e ci
sono stati momenti di notevole flessione. Questo perché si è verificata
una diversificazione tra coscienza
missionaria e impegno missionario.
Sommo merito del Concilio Vaticano
II è di aver restituito alla chiesa la
coscienza della sua natura squisitamente, essenzialmente missionaria e
a tutti i suoi membri la consapevolezza del proprio dovere missionario.
Nel decreto Ad Gentes la natura missionaria della Chiesa trae origine da
una triplice missione: la missione del
Figlio da parte della Trinità; la missione dello Spirito Santo da parte del
Figlio; e la missione della Chiesa da
parte del Figlio e dello Spirito Santo.
Il testo conciliare fonda la missionarietà della Chiesa su due ragioni: una
di carattere ontologico, vale a dire
appartiene alla natura della Chiesa
quella di essere inviata; l’altra è di
ordine storico, in quanto dipende dal
preciso mandato di Cristo ai suoi
discepoli di andare in tutto il mondo
ad annunciare il suo Vangelo a tutti i
popoli. Il Concilio ha inoltre chiarito
che l’attività missionaria compete a
tutto il popolo di Dio. Ci sono però
nella chiesa anche delle persone alle
quali spetta in modo del tutto particolare il dovere di attendere all’attività
missionaria: sono i vescovi e i missionari, i primi in forza della posizione
gerarchica, i secondi in forza di un
carisma speciale. Ogni vescovo,
nella propria diocesi, con la collaborazione sia del clero sia del laicato,
deve farsi promotore di tutte quelle
iniziative che giovano alla causa missionaria, a partire dalla promozione
vocazionale fino all’assistenza materiale alle diocesi in terra di missione.
La missionarietà si esplica poi in tre
circostanze: La missio ad gentes, la
nuova evangelizzazione, la cura
pastorale. La missione ad gentes è il
primo ed esplicito annuncio del
mistero pasquale di Cristo a coloro
che ancora non lo conoscono e mira
alla loro conversione. Per quanti
sono nella circostanza di aver ricevuto il Vangelo ma di vivere come se
mai l’avessero conosciuto si colloca
l’ambito della nuova evangelizzazione. Essa significa ripensare in maniera seria a tutto il problema della fede
mettendo in atto un’eccezionale
opera di evangelizzazione, dove specie nei paesi di antica cristianità interi gruppi di battezzati hanno perduto
il senso vivo della fede o addirittura
non si riconoscono più come membri
della Chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo
Vangelo. Quanti sono impegnati in
questa opera si richiede che non solo
comprendano l’uomo secolarizzato,
ma anche i criteri di giudizio, le linee
di pensiero e i modelli di vita in contrasto con la Parola di Dio e con il
disegno divino di salvezza. La cura
pastorale poi si rivolge a coloro che
hanno accolto Cristo riconoscendolo
come unico Salvatore. Giovanni
Paolo II più volte ha affermato l’importanza della catechesi in questo
ambito, perché nel contesto dell’attività missionaria, alimenta la fede e
una continua conversione (cfr.
Catechesi tradendae). E’ necessario
dunque che si operi un’ animazione
missionaria come elemento cardine
della loro pastorale ordinaria. Il termine animare significa dotare qualcuno
di anima di vita; dare vivacità e anche
vivacizzare, vivificare stimolare.
Animazione missionaria significa dar
vita e motivazione missionaria all’azione pastorale della Chiesa locale
per aiutarla a prendere consapevolezza della sua natura missionaria e
ad esprimerla. Nella Chiesa l’animazione missionaria è la messa in atto
di tutte quelle realtà che aiutano il
battezzato a fargli prendere coscienza del suo diritto-dovere di evangelizzazione. La cooperazione missionaria si allarga oggi a nuove forme,
includendo non solo l’aiuto economico, ma anche la partecipazione diretta. Si assiste ad un atteggiamento
diffuso in cui sempre più giovani
vanno ad offrire aiuto e una testimonianza di vita cristiana, aiutano ad un
reciproco arricchimento e rinvigorimento nella fede. Un’altra esperienza
missionaria sono i gemellaggi:l’assunzione da parte di alcune diocesi,
o anche di comunità parrocchiali, o di
gruppi e movimenti ecclesiali di
Chiese giovani in territori cosiddetti di
missione. C’è anche la dimensione
spirituale della cooperazione missionaria quella che vive e si radica
innanzitutto nell’essere personalmente unita a Cristo. Solo se si è
unita a Cristo, come i tralci alla vite, si
possono produrre buoni frutti(Cfr
Redemptoris Missio n.77). Da questa
comunione con Cristo scaturisce
quella con i fratelli e porta a cooperare perché tutti godano delle ricchezze
di Cristo e del suo Vangelo di carità.
Cooperare alla missione significa
non solo dare ma anche ricevere. In
un’omelia
del
Santo
Padre
Benedetto XVI a San Paolo Fuori le
Mura il 25 aprile 2005 cosi si è
espresso:«Voglia il Signore alimentare anche in me l’amore apostolico di
Paolo perché non mi dia pace di
fronte alle urgenze dell’annuncio
evangelico nel mondo d’oggi». La
missione è dunque un atto di amore.
La beata madre Teresa di Calcutta
dirà:«Tutto quello che Gesù mi chiede è di donarmi a lui con tutta la mia
povertà e il mio niente». All’inizio di
questo secolo dobbiamo seguire il
comando di Gesù: «Alzatevi e andiamo!» (Mc 14,42). Nel cielo di questo
mare brilla una stella : Maria, Madre
di Dio, la prima missionaria.
Invochiamola con le parole del Santo
Padre Benedetto XVI:«Santa Maria,
Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare
con te. Indicaci la via verso il suo
regno! Stella del mare, brilla su di noi
e guidaci nel nostro cammino!».
Ivan Bosco
10
Ottobre 2008
La storia di Rachelina Ambrosini,
conosciuta come il giglio dell’Irpinia
di Raffaele Di Muro
I
l 28 settembre l’Arcidiocesi di
Benevento ha celebrato il 50°
anniversario della traslazione
delle spoglie mortali della Serva
di Dio Rachelina Ambrosini che
dal 1948 riposano nella Chiesa
parrocchiale di Venticano (AV).
L’evento è stato ricordato con
una serie di manifestazioni religiose, tenutesi nel centro irpino e
coordinate dal parroco don
Armando Zampetti,
volte a proporre la
spiritualità di colei
che è conosciuta
anche con l’appellativo
di
“Giglio
dell’Irpinia”.
Rachelina
nasce
nella minuscola frazione
Passo
di
Dentecane
presso
Pietradefusi (AV) il 2
luglio 1925. Muore
giovanissima a Roma, il 10 marzo
1941 in seguito ad una breve ma
dolorosa malattia. Cosa può dire
alla Chiesa locale e quella universale un’esperienza spirituale di
pochi anni di vita? Il vissuto di
Rachelina Ambrosini si rivela particolarmente prezioso per i giovani che, dal suo esempio, possono
essere stimolati a cercare in Dio
solo la ragione della loro esistenza e a vivere all’insegna della
virtù. Rachelina è una bambina
vivace ed estremamente buona.
Già in tenera età si distingue per
“
il suo attaccamento alla preghiera e per la
sua generosità.
Frequenta
gli
studi ginnasiali
a Bari al Liceo
“Orazio Flacco”
e dimora presso
l’Istituto Santa
Rosa. A scuola
e in collegio
brilla per la sua intelligenza e
soprattutto per la
pace del cuore che
si sprigiona fino a
contagiare le sue
compagne. A proposito della quiete
interiore Rachelina
così si esprime: “
Cerca la pace, il
grande dono di Dio,
l’unica gioia che non
si può godere nel
male, l’unica gioia
perfetta che è frutto del bene”. La
stessa serenità palesa ed infonde
nelle coetanee quando rientra in
paese per le vacanze. Riesce a
trovare sempre le parole giuste
per portare armonia e pace tra le
sue amiche. Continua gli studi a
Roma, al Liceo del Collegio
“Cabrini”, retto dalle Suore del
Sacro Cuore. Proprio lì si ammala della forma gravissima di
meningite che la porterà alla
morte. Come detto, Rachelina
Ambrosini è anzitutto un modello
per i giovani. La sua spiritualità è
Cercare
la vera Pace,
è questo
il grande
dono di Dio
”
incentrata
sulla preghiera e sull’affidamento alla
volontà di Dio.
Da piccolissima ama rivolgersi
al
Signore continuamente e in
ogni
circostanza.
È
molto legata anche alla devozione alla Vergine Maria. Già da piccola è favorita da fenomeni
straordinari che con il tempo ne
consolidano una vera e propria
vita mistica. Anche negli eventi
più dolorosi sa abbandonarsi alla
volontà e alla provvidenza divina:
«Cerca la pace con lo stesso
ardore col quale lo stolto cerca di
godere. La troverai nella sottomissione alla volontà
di Dio, nella coscienza tranquilla, nell’adempimento scrupoloso dei tuoi doveri
di cristiano e di cittadino». Altro elemento importante della
spiritualità
di
Rachelina è la pratica della virtù. È
esemplare in purezza e docilità, nella
capacità di saper
rispettare ed eseguire le decisioni
dei genitori e di coloro che ne
curano la formazione. Sa essere
distaccata dalle vane attrattive
“
del mondo, come si evince da
queste sue parole: «Non chiedere
soddisfazioni materiali alla vita,
ne saresti deluso poiché la vita è
un dovere che dà più spine che
rose, a chi vuol compierlo fedelmente». Davvero notevole è la
tensione escatologica in virtù
della quale vive le sofferenze fisiche e morali con grande pazienza. Ciò che per lei conta è cercare in ogni momento il Regno dei
Cieli. In questa ottica si rivela
preziosa la preghiera continua al
Signore e la custodia della pace
del cuore. Grande è l’amore alla
vita, che per lei è bella anche
quando si deve sopportare qualche sacrificio. Rachelina insegna
ai giovani di oggi a cercare la felicità vera, quella che solo la
comunione con Dio può donare.
Solo Dio può donare ai giovani
quella gioia che le
fatue
sirene
del
mondo non possono
cancellare,
quella
gioia che è foriera di
vita eterna. Ecco, in
conclusione, le parole significative di
Rachelina: «Ama la
vita come l’unico
mezzo col quale
potrai raggiungere
una eterna felicità in
cielo; amala come
dono di Dio, stringila con affetto
anche se ha la forma di una
croce: quanto più sarà penosa,
altrettanto ti sarà meritoria».
Ama la vita
come l’unico
mezzo per
raggiungere
la felicità
”
NUOVO LOOK PER IL REPARTO DI PEDIATRIA DEL “RUMMO”
Grazie alle donazioni della Fondazione BNL presieduta
dal dott. Paolo Mazzotto, e della Fondazione “Rachelina
Ambrosini” di cui è presidente il dott. Tommaso Ferri, le
camere del Reparto di Pediatria dell’Azienda Ospedaliera
“Rummo” di Benevento sono più funzionali e, possiamo
ben dire, anche più gioiose. Con i fondi elargiti dalle fondazioni, infatti, si è potuto procedere all’acquisto dell’intero arredamento, dai lettini agli armadietti fino alle poltrone-letto per i genitori che trascorrono le notti in veglia
accanto ai piccoli degenti. Intanto va ricordato come in
occasione del 50° anniversario della traslazione dal
Cimitero di Pietradefusi alla Chiesa Badiale di Venticano
della Serva di Dio Rachelina Ambrosini, la Parrocchia di
Santa Maria e Sant’Alessio in Venticano (AV) e la
Fondazione Ambrosini, hanno programmato una serie di
iniziative a ricordo del passaggio di questa angelica figura. Da segnalare l’interessante mostra fotografica allestita presso Palazzo Ambrosini a Dentecane di Pietradefusi
(AV) dedicata alla vita di Rachelina ove è possibile anche
visitare il museo.
Ottobre 2008
11
Sono oltre mille i ragazzi pronti
per la Festa Diocesana del Ciao
di Luigi Patierno
S
i rinnova anche quest'anno
l'appuntamento con la festa
del Ciao diocesana dell'ACR,
che rappresenta un momento unico
per gli oltre 1.000 ragazzi che vi
prenderanno parte, atteso da tutti per
incontrarsi e per condividere la gioia dello
stare insieme, ma è
anche l'occasione per
riprendere con rinnovato entusiasmo il cammino in questo nuovo
anno
associativo.La
festa del Ciao, che si
terrà domenica 26 ottobre,
presso
il
PalaTedeschi
di
Benevento, quest'anno
è costruita sull'idea di
una partecipazione personale ed
entusiasta di ogni singolo ragazzo, e
in effetti, tutto è stato pensato per
favorire il vivo desiderio dei più piccoli di essere protagonisti per un
giorno. Gli stessi giochi e tutta la
struttura della festa, è stata organizzata dall'equipe diocesana dell'Acr,
con l'obiettivo di coinvolgere ed
attrarre, e proprio a tal fine è stato
indispensabile un primo incontro con
i responsabili parrocchiali e l'apporto
di idee dato dai ragazzi dell'EDR
“
(equipe diocesana dei ragazzi); un
contributo necessario, voluto per rendere questa festa sempre più a misura di ragazzo.
Durante la manifestazione, i ragazzi
dovranno proiettarsi nell'accattivante
mondo dei centri commerciali, l'ambientazione dell'iniziativa annuale
richiama alla mente
una dimensione artificiale e scintillante,
quell'andare dell'uomo
alla continua ricerca di
qualcosa, in cui vige la
logica del mettere tutto
in vista ed esposto in
vetrina. "...Mi basti tu",
slogan scelto quest'anno dal centro nazionale, è quindi, l'invito a
riconoscere,
come
Pietro, che Gesù è l'essenziale della nostra vita, la roccia su
cui costruire ogni giorno i nostri progetti, seguire Gesù, significa innanzitutto accogliere la possibilità di
lasciar educare da Lui i nostri desideri. Questo slogan, vuole aiutare i
ragazzi innanzitutto a "rintracciare"
dentro se stessi questo desiderio di
Dio che rende inquieta la vita;
E' il desiderio infatti, che ci spinge
all'incontro con Gesù, è il primo
motore interiore che motiva la ricerca, un desiderio che deve fondarsi
Momento
centrale
la celebrazione
dell’arcivescovo
mons. Mugione
”
più sull'essere che sull'avere e sul
possedere, che costringe a guardare
dentro di sé, per scorgere i tratti che
Dio ha disegnato dentro ciascuno di
noi.
Nella festa del Ciao quest'anno, sarà
valorizzata anche l'unitarietà associativa, i giovani, i giovanissimi e gli
adulti delle nostre parrocchie, avranno un ruolo fondamentale e compiti
ben precisi all'interno di essa, ognuno darà un contributo indispensabile
per la riuscita della manifestazione e
sarà valorizzato l'aspetto familiare
che l'Azione Cattolica porta avanti da
tempo. Momento centrale di tutta la
festa sarà sicuramente la celebrazione Eucaristica, presieduta da S.E.
Mons. Andrea Mugione, sempre vicino all'Azione Cattolica beneventana,
che sostiene come buon Pastore,
non facendo mai mancare parole di
speranza e di incoraggiamento nei
confronti di tutti i soci. L'equipe diocesana e tutta la presidenza vogliono
ringraziare i tanti esercizi commerciali che stanno contribuendo in modo
gratuito ad offrire materiale utile per
la realizzazione della festa.
L'appuntamento per la festa, che di
sicuro sarà bella ed entusiasmante, è
fissato per le 8:30 del 26 ottobre e
tutta l'equipe lancia l'invito a non
mancare, perché solo insieme si può
rendere più bella l'ACR.
ATTIVITÀ
Il cammino in comune per la gioia vera
Con il mese di ottobre iniziano le attività delle
comunità parrocchiali e quindi anche gli
incontri formativi dei gruppi di Azione
Cattolica della nostra diocesi. Sono tante le
comunità che hanno scelto gli itinerari di
Azione Cattolica quali proposte valide per la
formazione degli adolescenti e dei giovani.
Alcune di esse hanno ben pensato di “utilizzarle” come itinerari di preparazione ai sacramenti.
L’Azione Cattolica propone un cammino entusiasmante per coloro di qualunque età che
vogliano crescere insieme alla ricerca della
Gioia vera. Il cuore del cammino di Azione
Cattolica è basato sull’incontro personale con
il Cristo, Lui che è Via, Verità e Vita. Il tema
centrale assume poi sfumature differenti a
seconda della fascia di età cui è diretto: i
Giovanissimi (da 15 a 18 anni) partiranno
dalla dinamica della fiducia, i Giovani (dai 18
ai 30 anni) invece dalla necessità di dirsi con
chiarezza chi è Gesù, fuori dalle tante “idee”
che circolano in giro sulla fede, sulla Chiesa,
su Dio. Così nascono i due slogan annuali:
Stavolta mi butto! per i Giovanissimi e Lasci o
raddoppi per i Giovani. Ad accompagnare le
riflessioni sarà, come sempre, il Vangelo dell’anno, che corrisponde a quello di Marco,
che sarà meditato e discusso negli incontri
dei gruppi parrocchiali, secondo quanto suggerito dalle guide per gli educatori. Il percorso annuale dell’Azione Cattolica Italiana, inoltre, è pienamente inserito nella proposta
dell’Agorà, il cammino pastorale della Chiesa
italiana per i giovani.
L’equipe diocesana del Settore Giovani, la cui
guida spirituale è affidata a don Renato
Trapani, è al fianco dei responsabili e degli
educatori parrocchiali, per supportare il loro
quotidiano lavoro e renderne più ricco il cammino formativo con iniziative diocesane. Il
primo appuntamento è previsto il 17 ottobre
ore 19:30 nella Chiesa di Sant’Adiutore in
Cervinara ed è rivolto a tutti i giovani della
diocesi (non solo a quelli appartenenti ai
gruppi di Azione Cattolica), per la vivere insie-
me la S. Messa preparata dalle parrocchie
della zona Caudina insieme con l’equipe diocesana. Il secondo appuntamento è previsto
per l’8 novembre alle ore 17:30, presso la
sede diocesana di piazza Orsini.
Esso è il primo dei tre incontri in cui saranno
coinvolti un rappresentante dei gruppi
Giovani e Giovanissimi ed i loro educatori.
L’incontro vuole essere un’occasione di condivisione dei cammini e delle attività svolte
nelle singole comunità parrocchiali, di programmazione condivisa e di formazione per
coloro che operano nel servizio educativo.
Per tutti coloro che intendono ricevere le
informazioni relative alle attività del settore
giovani di Azione Cattolica o i parroci che
intendo attivare il cammino dell’associazione
possono contattare la segreteria al numero
0824 21433 o telefonare direttamente ai
responsabili di settore Maria Principe 349
2638761 e Daniele Mazzulla 393 1018909.
L’Equipe diocesana
Settore Giovani
12
Ottobre 2008
L’8 ottobre 1978 moriva don Emilio
ideatore del centro “La Pace”
di Francesco Zerrillo*
L’
8 ottobre 1978, alle ore 17.20,
nei locali parrocchiali della SS.
Addolorata in Benevento, moriva don Emilio Matarazzo. Gli mancavano
41 giorni per compiere 50 anni. L'albero
cadeva nel suo rigoglio. L'albero si abbatté scuotendo la selva umana che aveva
goduto della sua vigoria. La
stanza che accolse il suo ultimo respiro era gremita. Tutti
pregavano in ginocchio; la
nostra preghiera era un gemito. Leggevo io le preghiere
suggerite dalla Chiesa, per affidarlo alla Divina misericordia.
Non facemmo obiezioni a Dio,
ma condividemmo l'angosciosa domanda di Gesù: "Perché
ci hai abbandonato?" "Perché
questa morte tanto improvvisa, tanto
imprevista? Forse condividemmo nell'intimo le domande che gli affezionati discepoli mettevano a S. Martino di Tours:
"Perché ci hai lasciati"? Ci legava grande
amicizia a don Emilio, ma tutti, in diverso
grado e con differente modalità gli eravamo discepoli; in un certo senso, pur adulti
come lui, ci sentivamo figli: avevamo bisogno di lui, allora più che mai. Eravamo
tanto confortati dal calore della sua umanità, tanto attratti dal brillio delle sue intuizioni, tanto rassicurati dalla forza delle sue
decisioni, tanto trascinati dal suo "furore
operativo".Sì, "furore": facevamo fatica a
stargli dietro. Don Emilio era geniale nel
pensiero ed era irresistibile nell'azione.
Era un sognatore impenitente ed era un
realizzatore conseguente. Talvolta diceva
con amabile, ma anche ironico vezzo:
"Abbiamo già 50 anni e cosa abbiamo
realizzato? Quale segno lasceremo noi
orami
alla
soglia
della
terza
età?"Ridevamo molto per queste esternazioni. Era inaccettabile per noi
parlare di terza età a 50 anni
non terminati. Ma don Emilio,
proprio a quella età, era alla
vigilia del ritorno a Dio. Nessun
segno esterno lasciava prevedere un epilogo tanto affrettato. Don Emilio però avvertiva il
presentimento e pensava con
realismo alla morte. Venerdì 6
ottobre, due giorni prima della
morte, a poche ore dall'ictus
fatale, durante l'unico pranzo consumato
insieme nei locali parrocchiali, sentenziò
stranamente:"Io sono in casa l'ultimo figlio
ma sarò il primo a morire".Forse il presentimento poggiava su qualche analisi da
noi ignorata. Personalmente sono certo
che il nostro amico si andasse preparando all'incontro con il Signore. Qualche
mese prima aveva partecipato ad un
corso di esercizi spirituali, durante i quali
stilò un testamento tanto opportuno per le
opere avviate e che permise di guardare a
noi tutti nel profondo del cuore del nostro
amico.Don Emilio, pur con qualche eccentricità, pur provocando qualche tensione
con la sua esuberanza, era un sacerdote
integro, obbediente alle norme della
Chiesa.
A me parlava con tenerezza della
Madonna, della centralità che procurava
di dare all'Eucarestia nella sua vita, dell'ansia apostolica che spingeva a interminabili dialoghi con i giovani e alla condivisione di antiche sentenze sapienziali con
la
gente
semplice e
povera. Don
Emilio era
innanzitutto
prete. Anche
nel vivere il
sacerdozio
sognava
molto e si
portava dentro la nostalgia della santità. Avvertiva
insieme l'attrattiva della contemplazione e
l'urgenza della testimonianza e dell'apostolato attivo. Soffriva molto per la fatica di
trovare un accettabile equilibrio tra la vita
interiore e il dono di sé agli altri. Desidero
testimoniare la sua fatica, la sua decisione
e il suo desiderio di comunione con il proprio vescovo. Forse questo anelito alla
comunione poteva apparire meno all'esterno. Egli, in un momento di dubbio,
scrisse a mons. Calabrìa: "Eccellenza, il
sacerdozio è un dono che io debbo e
voglio vivere solo in sintonia con il mio
vescovo". Il suo vescovo non ha mai dubitato della rettitudine, della sincerità, dello
spirito di sacrificio di questo sacerdote.
Sabato 7 ottobre 1978, l'arcivescovo
tenne a lungo le mani di don Emilio.
Presente l'arcivescovo diedi all'amico fraterno l'ultima assoluzione e gli amministrai
il sacramento dei malati: l'arcivescovo
piangeva con me. Il più grande sogno di
don Emilio,
condiviso da
più sacerdoti
e da laici,
rimaneva
irrealizzato;
sul centro "La
Pace" cadeva
una
lunga
notte.
Il
Signore però
non ci ha
abbandonati.
Il genio pratico di don Vincenzo De Vizia, gli aiuti provvidenziali in vista del secondo millennio, la
collaborazione di tanti umili, hanno portato
splendidamente l'opera alla conclusione.
Quando ponemmo il Cristo agonizzante
nella grotta, avemmo la certezza che mai
il Signore ci avrebbe abbandonati . Penso
che don Emilio, il quale spesso si sporcava le mani in quella costruzione, non sia
rimasto inoperoso in Cielo. I sogni che si
fanno per il Signore si realizzano sempre .
*Vescovo Emerito di Lucera - Troia
MONDO GIOVANILE
Giovani e Camorra:
formarsi o uniformarsi
N
egli ultimi anni si sente parlare molto di scuola,
di riforma, di revisione dei programmi. Si parla
del ripristino di alcune materie come l’ “educazione civica”, al fine di educare i giovani ai diritti umani,
alla legalità, alla cittadinanza attiva e responsabile. Lo
Stato corre ai ripari, cerca di dare una risposta alla cultura criminale ormai dilagante nel nostro paese e tra i tanti
interventi cerca anche di limitare il fenomeno chiedendo
alla comunità educante di formare le giovani generazioni in prospettiva di un futuro migliore. Intanto anche su
questi argomenti la gente è divisa e con essa i giovani. Il
pensiero democratico sembra aver dato troppo spazio al
pluralismo etico al punto tale da giustificare qualsiasi
scelta o azione e così attività che dovrebbero universalmente essere considerate un male, una piaga della società, appaiono, ormai per troppe persone, una risposta
necessaria ai disagi provocati da inadeguati interventi
politici. Ascoltando cosa pensano alcuni giovani campani della camorra, verrebbe da ridere se non si trattasse di
una realtà veramente drammatica. La camorra e le attività ad esse collegate, per qualche ragazzo “ricco di speranze”, sono un sistema che permette di vivere, di realizzarsi, di crearsi una posizione, cosa che, a sentir loro, lo
Stato non garantisce.
La camorra ha sempre cercato di attirare i giovani nelle
sue attività, di affascinarli con argomentazioni che purtroppo conquistano e in molti casi tentano, perché profumano di soldi. Negli ultimi tempi addirittura lo status del
“picciotto” sta mutando: se fino a qualche anno fa le
mafie reclutavano “operai” per le loro attività, oggi i
diretti interessati si definiscono “giovani imprenditori” e
in Campania, nelle nostre terre, gridano che la camorra
non esiste. Sembra di ascoltare il presidente dell’Iran
Ahmadinejad quando nega l’evidenza dell’olocausto
degli ebrei.
Questa posizione “negazionista” della camorra è sicuramente un caso estremo, esprime il pensiero di una minima (e ci auguriamo insignificante) parte dei giovani.
Quello che invece dovrebbe preoccupare ancora di più,
perché non si vede e quindi si sottintende assente, è la
cultura della mafia, lo stile della camorra, il modo di fare
camorrista che è radicato ovunque, anche in quegli
ambienti che sembrano incontaminati, ma dove c’è solo
un’apparente tranquillità. Le terre di mafia non sono soltanto i luoghi teatro degli eventi di cronaca nera:
Palermo, Scampia, Casal di Principe, … Anche nelle
zone più interne, negli ambienti di provincia, si può
respirare aria mafiosa. Ovunque domina l’arroganza, la
violenza, il bullismo, il teppismo, il razzismo, l’edonismo, l’interesse personale a discapito del prossimo, la
cultura dell’illegalità, l’anormalità che diventa normalità,
lì c’è la cultura della camorra.
Tornando alla scuola da cui siamo partiti e allargando l’orizzonte alle altre agenzie educative tradizionali e moderne, bisogna chiedersi come agire. Come devono procedere le scuole, le comunità cristiane, le famiglie, i mezzi di
comunicazione sociale, per confrontarsi con il fenomeno
mafioso e dare una risposta significativa alle giovani
generazioni di cui sono educatori? La risposta può essere sintetizzata in un invito che ci viene da una vittima di
mafia, Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene
alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”.
Alessandro Grimaldi
Ottobre 2008
13
Anno Accademico 2008/2009
Inaugurazione in seminario
G
iovedì 23 ottobre alle ore
17.00
nell’Auditorium
“Giovanni Paolo II” in viale
Atlantici n.69 a Benevento, l’Istituto
Superiore di Scienze Religiose
“Redemptor hominis” e lo Studio
Teologico “Madonna delle Grazie”,
celebrano il momento solenne dell’inaugurazione del nuovo Anno
Accademico 2008-2009. Dopo i saluti
del Prefetto dello Studio Teologico e
del Direttore dell’Istituto Superiore di
Scienze Religiose, interverranno S.E.
Mons. Arturo Aiello, Vescovo di
Teano-Calvi e la Principessa
Alessandra Borghese, giornalista e
scrittrice. Il saluto conclusivo sarà
offerto da S.E. Mons. Andrea
Mugione, Arcivescovo Metropolita di
Benevento. Nel corso della cerimonia
l’inaugurazione sarà presentato il
volume “Maestri e Sentinelle. Cento
profili di preti beneventani”, un’opera
realizzata da Mons. Pasquale Maria
Mainolfi, quale omaggio al prestigioso
clero beneventano, ricorrendo il XXV
anniversario della sua Ordinazione
Sacerdotale. L’opera compie un viaggio lungo i percorsi della storia, della
santità e della cultura sannita, come
terreno fecondo ove sono nati, son
cresciuti ed hanno operato i cento
ecclesiastici di cui si traccia il profilo,
accompagnato dalla loro fotografia,
un inserto fotografico speciale per i
personaggi più illustri e la prefazione
del giornalista Antonio Socci. A presentare il libro di circa 350 pagine
sarà Mons. Arturo Aiello, originario di
Vico Equense, dal 13 maggio 2006
Vescovo di Teano-Calvi, 53 anni di
età, già alunno del Seminario
Regionale Campano di Napoli, laureatosi
in
sociologia
presso
l’Università Federico II di Napoli e
sacerdote dal 7 luglio 1979. Sarà inoltre presente Alessandra Borghese,
figlia di Alessandro Romano
Borghese e di Fabrizia dei Conti
Citterio, autrice di molti libri di successo tradotti in molte lingue straniere,
come: Sete di Dio, Sulle tracce di
Joseph Ratzinger e Lourdes. I miei
giorni al servizio di Maria. Come giornalista collabora con il settimanale
Panorama, il quotidiano Il Tempo, il
settimanale Gente e per un mensile
del Corriere della Sera. La sera del 23
ottobre in Benevento tratterà il tema:
“Quando la fede cambia la vita”.
SCUOLA DELLA PAROLA
Nell’anno dedicato dalla Chiesa Universale alla Sacra Scrittura, l’Istituto Superiore di
Scienze Religiose “Redemptor hominis” di Benevento, ha organizzato la Scuola della
Parola. La Scuola mira in primo luogo a curare la conoscenza della Bibbia, secondo quanto invita a fare la Costituzione conciliare Dei Verbum al n. 25: “Il Santo Concilio esorta con
particolare forza tutti i fedeli cristiani, soprattutto i religiosi, a imparare la sublime scienza
di Gesù Cristo (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. L’ignoranza delle
Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo (S. Girolamo)”. Obiettivo principale del Corso è
risvegliare l’interesse per la Parola di Dio, offrendo una introduzione, scientificamente svolta e con approccio contenutistico-esegetico, alle grandi sezioni e personaggi dell’Antico e
del Nuovo Testamento, per una comprensione più profonda della
insondabile ricchezza delle Scritture Il Corso è gratuito ed aperto a tutti. Si svolge con lezioni frontali e con l’ausilio di strumenti multimediali. A conclusione delle lezioni sarà rilasciato un attestato di partecipazione. Le lezioni si terranno con cadenza quindicinale, a partire
da lunedì 3 novembre, presso l’Auditorium “Giovanni Paolo II” del Seminario
Arcivescovile (Viale Atlantici – Benevento), dalle ore 16.30 alle ore 18.30.
Questo il programma delle lezioni:
Lunedì 3 novembre 2008: Teologia per
laici: l’importanza delle istituzioni teologiche deputate alla formazione permanente - Prof. Mons. Nunzio
Galantino, Direttore del Servizio
Nazionale per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose della C.E.I.
Lunedì 17 novembre: Il progetto Bibbia
Educational. Abramo - Prof. Pasquale
Troìa, ideatore, autore e realizzatore del
Progetto Bibbia Educational
Lunedì 1 dicembre: La Bibbia: tradizioni e storia - Prof. Giovanni Liccardo,
Docente di Storia della Chiesa - I.S.S.R.
di Benevento
Lunedì 15 dicembre: Genesi - Prof.
Don Leonardo Lepore, Docente di
Sacra Scrittura - I.S.S.R. di Benevento
Lunedì 12 gennaio 2009: Giacobbe Don Donato D’Agostino, Vicario episcopale per la Pastorale di Benevento
Lunedì 26 gennaio: Giuseppe - Prof.
Francesco Mauro, Docente di Filosofia
- I.S.S.R. di Benevento
Lunedì 9 febbraio: Mosè - Prof.ssa
Suor Gabriella Grossi, Docente di
Sacra Scrittura - Istituto Teologico
Leoniano di Anagni.
Lunedì 23 febbraio: Davide - Prof. Davide Nava, Docente di Pedagogia e Dottrina sociale - I.S.S.R. di Benevento
Lunedì 9 marzo: Giobbe - Prof. Raffaele Sinno, Docente di Bioetica - I.S.S.R. di
Benevento
Lunedì 23 marzo: Gesù - Prof. Don Alessandro Pilla, Docente di Sacra Scrittura - I.S.S.R.
di Benevento
Lunedì 6 aprile: Maria - Prof. Mons. Pasquale Maria Mainolfi, Docente di Teologia
Morale - I.S.S.R. di Benevento
Lunedì 20 aprile: Tipologia e modelli di attività mediante Bibbia Educational - Prof.
Pasquale Troìa, ideatore, autore e realizzatore del Progetto Bibbia Educational
Lunedì 4 maggio: Apocalisse - Prof. Corrado Gnerre, Docente di Filosofia e Storia delle
Religioni - I.S.S.R. di Benevento
Venerdì 8 maggio: La Scrittura e l’apostolo Paolo - Prof. Mons. Antonio Pitta, Docente
di Sacra Scrittura - Pontificia Università Lateranense di Roma. Consegna dei diplomi da
parte di S. E. Mons. Andrea Mugione, Arcivescovo Metropolita di Benevento
Per informazioni è possibile contattare la segreteria dell’ISSR ai numeri 0824.312246 –
347. 8734653, visitare il sito www.issrbn.it o recarsi presso la sede dell’Istituto, presso il
Seminario Arcivescovile.
14
Ottobre 2008
“Si percepiva un dolce profumo,
un misto di rose e di violette”
di Donato Calabrese
U
no dei fenomeni mistici più
conosciuti e addirittura
sperimentati dai fedeli che
hanno incontrato Padre Pio o hanno
solo sentito parlare di lui, è il caratteristico profumo avvertito, non in
continuità, ma con ondate improvvise, sia a san Giovanni Rotondo che
altrove. Su invito del superiore provinciale dei cappuccini, il 16 maggio
1919, il dott. Luigi Romanelli salì a
San Giovanni Rotondo per esaminare le misteriose lesioni di Padre
Pio. Durante queste visite, notò che
dal suo corpo proveniva un certo
odore che egli aveva anche gustato.
Anche padre Rosario da
Aliminusa, superiore della fraternità
cappuccina dal settembre 1960 al
gennaio 1964, descrisse, per esperienza diretta, di aver più volte percepito
un
profumo
intenso:
"Uscendo dalla mia cella, attigua a
quella di Padre Pio, sentivo venire,
da questa, un odore piacevole e
forte, di cui non saprei precisare le
caratteristiche". Si poteva percepire questo delicato profumo, un
misto di violette e di rose, non solo
in presenza di Padre Pio, ma anche
lontano da S. Giovanni Rotondo,
come avvenne a due giovani sposi
polacchi residenti in Inghilterra.
Stavano vivendo un periodo difficile
e dovevano prendere assolutamente una grave decisione. Venuti a
sapere della fama di santità di
Padre Pio, gli scrissero una lettera.
Visto che la risposta del frate di
Pietrelcina tardava a venire, i due
sposini si decisero a partire per san
Giovanni Rotondo. Durante il lungo
viaggio si fermarono in un albergo
di basso costo a Berna, interrogandosi vicendevolmente se valesse
veramente la pena di proseguire
per l'Italia, visto che la strada da
fare era ancora lunga. Fuori stava
nevicando ed i due giovani sposi
erano piuttosto demoralizzati ed
indecisi se continuare il viaggio.
Mentre stavano conversando intirizziti dal freddo e quasi sul punto
rimettersi in viaggio per tornare
indietro, avvertirono improvvisamente un piacevole odore. Sulle
prime pensarono che qualche viaggiatore avesse dimenticato del profumo nella camera dove ora soggiornavano. Ma le ricerche furono
vane. L'effluvio svanì e nella stanza
tornò il solito odore sgradevole
delle mura ammuffite. I due sposini decisero, allora, di rimettersi in
viaggio per raggiungere il Gargano.
Arrivati al convento trovarono
Padre Pio che li accolse cordialmente. Con quel poco d'italiano che
riusciva a balbettare, il giovane
sposo gli chiese: "Vi abbiamo scritto, Padre. Ma poiché non ci avete
risposto…".
"Come, non vi ho
risposto? E quella sera all'albergo
svizzero, non avete sentito nulla?",
confermando, così, di essere stato
misteriosamente presente, con loro,
nella camera d'albergo. Finalmente
rinfrancati dalla risposta al loro quesito, gli sposi ritornarono in
Inghilterra. Ho conosciuto personalmente la signora Mariuccia
Ghislieri Masone, figlia spirituale di
Padre Pio e poi moglie del nipote
Ettore Masone. La signora che ha
vissuto tanti anni a Benevento con
la sua famiglia mi ha personalmente confidato: "Quante volte anche a
casa mia, quando papà era malato,
tutti noi sentivamo il profumo di
Padre Pio". Padre Pio sapeva bene
che l'età dell'infanzia è quella più
vicina
all'innocenza
originale.
Essendo molto più vicini allo stato
di grazia originale, i bambini perce-
piscono più degli adulti il profumo
del Paradiso. "Che cosa è che ha
un così buon odore? - chiese un
bambino di tre anni a suo padre che
lo aveva presentato a Padre Pio?".
E una fanciulla di sei anni disse
un'altra volta: "Si direbbe che padre
Pio viva tra i fiori". Secondo il dott.
Giorgio Festa, più che dalla persona di Padre Pio, sembra che il profumo emani dal sangue che stilla
dalle sue piaghe. E' un profumo fine
e delicato che molti hanno avuto
modo di avvertire distintamente,
avvicinando il Frate di Pietrelcina.
Anche i pannolini, imbevuti del sangue delle stigmate, emanavano profumo. Lo stesso dott. Festa descrisse la sua prima esperienza, avvalorata dal fatto che lui personalmente
era privo di odorato: "Nella mia
prima visita tolsi dal suo costato un
pannolino intriso di sangue, che
portai con me per una indagine
microscopica. Io personalmente,
per la ragione già detta, non ho
avvertito in esso nessuna speciale
emanazione: però un distinto ufficiale ed altre persone che al ritorno
da san Giovanni si trovavano nell'automobile presso di me, pur non
sapendo che chiuso in un astuccio
io recassi con me quel pannolino,
nonostante la intensa ventilazione
provocata dalla rapida corsa del
veicolo, ne sentirono molto bene la
fragranza, e mi assicurarono che
rispondeva precisamente al profumo che emana dalla persona del
Padre Pio".
"Giunto a Roma, nei giorni successivi e per un lungo periodo di
tempo, lo stesso pannolino, conservato in un mobile del mio studio, ne
profumò così bene l'ambiente, che
molte tra le persone che venivano a
consultarmi me ne hanno spontaneamente
domandata l'origine".
C'è stato qualcuno che ha interpretato diversamente l'origine del profumo di Padre Pio. Ma di questo
preferisco non parlare, perché
richiederebbe ben altro spazio.
Padre Pio, del resto, non ha mai
ostentato questi carismi dello
Spirito, e a un suo figlio spirituale
che si lamentava per il fatto che non
poteva più sentire da tempo il suo
profumo, rispose: "Sei qui, con me
e non ne hai bisogno".
Il profumo resta un fenomeno mistico straordinario, uno dei tantissimi
Doni che Dio gli ha concesso per
aiutare, consolare e mostrare la
sua vicinanza spirituale alle anime
che gli sono affidate.
Ottobre 2008
15
I VANGELI DELLA DOMENICA
DOMENICA 12 OTTOBRE 2008
N
el brano evangelico di oggi (Mt 22,1-4) la Chiesa viene presentata sotto l'immagine di una sala imbandita per una festa:
le nozze di Cristo con l'umanità. Dio chiama tutti gli uomini a
partecipare al banchetto nuziale di suo Figlio. Il primo problema è
come sentire la chiamata alla festa nel frastuono della nostra vita quotidiana. Carlo Carretto, un Piccolo Fratello di
Gesù, dopo importanti cariche nell'Azione
Cattolica, ha deciso di recarsi nel deserto per sentire quella voce che nelle nostre città gli arrivava
confusa. Il secondo problema è dato dai nostri rinvii ("tanto Dio aspetta!", pensiamo) e dalle scuse
sempre pronte! Il terzo problema è che, per essere a posto, non basta aderire all'invito: occorre
indossare l'abito della festa. Siamo chiamati a
riflettere su chi è lo "infiltrato" senza la veste
nuziale, il quale non muove a compassione il
Signore. L'infiltrato è colui che non è disposto a
sottostare all'unica regola, all'unica legge, quella
dell'amore. Sappiamo bene che l'unica "veste"
che ci libera dal peccato è l'amore: l'amore di Dio
e del prossimo. E sappiamo fin troppo bene che il
prossimo è quello che ci sta accanto, sul posto di
lavoro, nei banchi di scuola… L'infiltrato è un arrivista, colui che è disposto a passare sopra gli altri
pur di arrivare primo e per questo ha un cuore
disonesto. Il Signore ci mette in guardia dal pretendere di entrare nel Regno dei cieli senza spendere niente di noi stessi, senza sottostare all'unica
richiesta.
DOMENICA 19 OTTOBRE 2008
N
el brano evangelico di questa domenica Gesù ci dà una
regola d'oro: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e
a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21). Per noi, figli della
post-modernità, è pacifico il rapporto Chiesa-Stato, sfera religiosa e sfera politica nel segno della reciproca autonomia e della
dichiarata separazione. Ma questa acquisizione non
deve farci dimenticare alcune cose. Innanzi tutto il fatto
che il potere, ogni potere viene da Dio: "Tu non avresti
alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto", afferma Gesù davanti a Pilato (Gv 19,11). "Non c'è
autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio", ribadisce san Paolo (Rom 13,1). In
secondo luogo il fatto che l'autorità è servizio: "La
comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due,
anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale sociale delle stesse persone umane",
afferma il Concilio Vaticano II (GS 76). In terzo luogo i
cristiani sono chiamati ad impegnarsi nel costruire qui
ed ora la "città di Dio", in tutt'uno con la "città degli
uomini". Non perché le due città si identificano, ma
perché coesistono e convivono strettamente intrecciate
l'una all'altra: "I cristiani non si distinguono dagli altri
uomini né per il paese, né per la lingua, né per il modo
di vivere… Risiedono nella propria patria, ma come se
fossero stranieri domiciliati; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma vi si sobbarcano come se fossero stranieri; ogni terra straniera è la loro patria, ed
ogni patria è terra straniera" (Lettera a Diogneto).
DOMENICA 26 OTTOBRE 2008
DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008
l tema del brano evangelico di oggi verte sul comandamento
più importante della Torah. Tra i rabbini dell'epoca apostolica
si delineavano varie correnti: quella più rigida che rifiutava
ogni differenza tra tutti i seicentotredici precetti biblici: tutti erano
egualmente importanti in quanto ognuno derivava il suo valore
dell'obbligatorietà della Legge. Un'altra faceva sottili distinzioni
tra precetti grandi, piccoli e minimi.
Un'altra ancora sosteneva che tutti
erano contenuti nel comandamento
dell'amore a Dio e al prossimo: non
era quindi il caso di fare distinzioni
perché si equivalevano per implicazione. Gesù afferma innanzitutto
che l'amore è il cardine della vita
nuova inaugurata dal Vangelo: l'amore puro, disinteressato, generoso
sta alla base di tutta la vita cristiana.
In secondo luogo ribadisce che il
comandamento dell'amore riguarda
sia Dio che il prossimo. In terzo
luogo precisa che il comandamento
dell'amore al prossimo è "assomiglianza" di quello dell'amore a Dio:
come l'uomo è a somiglianza del
Creatore così il secondo comandamento è simile al primo, ne è il
riflesso. Nell'insegnamento di Gesù
amare sinceramente Dio comporta amare tutti con lo stesso
amore misericordioso e gratuito con cui Lui ama.
nche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri" (Ugo
Foscolo). Davvero la speranza è quel bene che ci
accompagna solo in vita ma poi ci abbandona nel
momento della morte? Non è una questione accademica: ne va
di mezzo il senso dell'esistenza umana, della nostra vita e del
nostro rapporto con i defunti che oggi commemoriamo.
La stessa natura delle cose ci aiuta a pensare
che niente è lasciato ad un cieco destino di nullità, di "dispersione" e che piuttosto tutto si trasforma!
Ma noi cristiano non possiamo accontentarci di
una speranza "naturale", di una speranza generica, collocata in una zona rarefatta del pensiero o del desiderio o del sentimento.
Per noi cristiani occorre una speranza fondante
e fondata, la speranza che viene e si fonda su
Cristo. Dopo la sua morte non è più concessa
scelta tra dolore e felicità, ma tra dolore senza
senso e senza compenso e felicità raggiunta
attraverso il dolore; non tra morte e vita senza
morte, ma tra morte senza vita di gloria e gloria
nella quale la morte diventa premessa indispensabile di vita eterna.
"Tutta la vita deve essere una riflessione sulla
morte e allenamento ad affrontarla", ha sentenziato Socrate. La vita di Gesù è stata tutta tesa
verso questo momento supremo, vissuto da Lui
come la prova massima del Suo amore per gli uomini, e ne è uscito vincitore.
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