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prendiamo il largo... - Arcidiocesi di Benevento
ARCIDIOCESI DI BENEVENTO PERIODICO DI IMPEGNO RELIGIOSO E SOCIO-CULTURALE Anno 11 N° 2 - Ottobre 2008 Spedizione in abb. postale comma 20 - Articolo 2c Legge 662 del 1996 - FILIALE DI BENEVENTO SERVI INUTILI (MA ATTIVI) di Massimiliano Del Grosso* Q uesto mese è dedicato all’opera missionaria. La missione rientra nella natura stessa della Chiesa: essa è stata infatti creata dal suo Fondatore anzitutto per l’annuncio della verità che salva, quella verità dall’ascolto della quale nasce e si irrobustisce la fede, adesione totale dell’uomo a Cristo come via universale di redenzione. Se non ci fosse annuncio non ci sarebbe Chiesa e se non ci fosse Chiesa non ci sarebbe annuncio. La Chiesa, dunque, vive della missione e per la missione. Il mandato con cui Cristo invia i suoi discepoli per tutto il mondo poco prima di ascendere alla destra del Padre (Mt 28,19; Lc 24,46ss.) rappresenta così quell’anello necessario che congiunge il suo insegnamento all’accoglienza di esso e la sua opera di salvezza all’attuazione della stessa per ogni singolo uomo. Lo sforzo apostolico che si protrae in tutta la storia umana mediante i sempre nuovi annunciatori della Parola diviene il cordone ombelicale mediante il quale tutto quello che Cristo ha detto e fatto può avere pieno compimento. Il servo, «inutile» per sua natura (Lc 17, 10), sopratutto se rapportato all’onnipotenza divina, diviene perciò «utile» per volontà dello stesso Salvatore. Considerare questo doppio rapporto dispone ogni fedele cristiano ad un atteggiamento umile e al contempo obbligato nell’impiegare ogni personale sforzo – e senza lasciarsi ingannare da quella comoda ipocrisia che trasforma l’inutilità in ignavia – affinché tutto il mondo riconosca, ami e serva il Figlio di Dio. * Vicedirettore Ufficio Dioceasano Comunicazioni Sociali PRENDIAMO IL LAR GO... ANNO PAOLINO Da Tarso a Gerusalemme: Paolo, giudeo osservante INIZIATIVE “Cives. Guardare al futuro” per formarsi al bene comune Convegno il 30 ottobre a pagina 2 RUBRICHE Quando pregare è anche ascoltare: pronti a metterci in sintonia con la Parola a pagina 6 RICORRENZE 8 ottobre 1978: muore don Emilio Matarazzo ideatore del centro di spiritualità “La Pace” a pagina 12 a pagina 4 DOSSIER “Guai a me se non predicassi il Vangelo!” Iniziative in Diocesi per il mese missionario a pagina 8 e 9 COMMENTI In ascolto della Parola. Pensieri e riflessioni sui Vangeli della domenica a pagina 15 2 Ottobre 2008 Da Tarso a Gerusalemme: Paolo, giudeo osservante di Leonardo Lepore S aulo, detto Paolo, nacque in Galilea a Giscala, l'odierna elGhis. Piccolissimo, forse di due anni, i genitori lo portarono a Tarso, capitale della provincia romana della Cilicia Pedia, dove loro stessi e furono stati costretti a dimorare dopo essere stati catturati dai Romani. Un soggiorno forzato, lontani dalla propria terra. La città vantava una certa importanza sia economica che politica; sembra accertato come uno dei suoi funzionari fosse stato il grande retore Cicerone, e dal punto di vista culturale annoverava la presenza di importanti figure quali il filosofo Atenodoro, il maestro di retorica Ermogene e Nestore, precettore dello stesso Cicerone. Della sua adolescenza alcuni dati sembrano certi: durante la giovinezza i genitori vivevano agiatamente, sì da permettergli di poter dedicare tempo agli studi e alla formazione tanto religiosa quanto secolare. Da un punto di vista religioso è facile immaginarlo come assiduo frequentatore della sinagoga e appassionato lettore delle Scritture. Le sue lettere in seguito dimostreranno un'approfondita conoscenza del testo greco della Bibbia, la cosiddetta traduzione della Settanta, e un'ampia capacità di interpretazione, di lettura dei testi, e di citazione a memoria. Dell'ambiente laico imparò non solo la lingua greca, con cui scriveva, ma anche l'uso della retorica - per l'insegnamento della quale Tarso millantava ottime scuole - e alcuni aspetti dello Stoicismo, dottrina filosofica molto diffusa a quell'epoca. Anche per Paolo, come per ogni giovane delle sue condizioni, si presentò il dilemma se conti- nuare con lo studio delle Scritture e della religione dei padri, o se proseguire per altra via, se immergersi nel mondo giudaico o vivere da pagano. La scelta cadde in favore della religione e subito si profilò la partenza per Gerusalemme, e quando vi giunse, forse insieme ad un gruppo di pellegrini, aveva circa vent'anni. Nella Città Santa correva la fama del grande maestro Gamaliele I, famoso per il suo stile tollerante (cf. At 5,34). Di certo, per il suo cuore desideroso di conoscere perfettamente la legge di Dio e per il suo entusiasmo davvero generoso, quella di Gamaliele fu una scelta sicura. Molto verosimilmente si mise alla sua scuola per poter divenire fariseo, vivendo insieme ad altri giovani che nutrivano il suo stesso desiderio, gareggiando con essi nello studio e nel rispetto delle prescrizioni rituali della purezza, e condividendo con il maestro le proprie riflessioni e considerazioni. Ricordando quegli anni, Paolo, ammettendo non solo di aver avuto una formazione da fariseo, dirà anche: "mi ero spinto, nel giudaismo, oltre tutti i miei compagni appartenenti al mio popolo, difensore fanatico com'ero, in misura maggiore di loro, delle tradizioni dei miei padri" (Gal 1,14). Si capisce bene in questa luce il primo testo del Nuovo Testamento in cui compare il giovane Saulo. Lo scenario è quello di Gerusalemme, fuori della città, in un giorno di sangue. Per lapidare Stefano, i giudei deposero i mantelli ai piedi di Saulo e subito dopo la lapidazione Luca dice di lui: "Saulo acconsentiva con approvazione all'uccisione di lui [di Stefano]" (At 8,1). Non è difficile immaginarlo: il volto di chi con un consenso massimo difende la purità della religione, e non arretra nemmeno dinanzi al sangue. La religione più della verità. Lo zelo (identico?) di chi ha crocifisso il Messia. DIZIONARIO PAOLINO Paolo/Saulo. Negli scritti del Nuovo Testamento Paolo viene designato con due nomi: Saûlos e Paûlos. Il primo nome, Saûlos, è la grecizzazione del nome giudaico Sha’ul, il nome del primo re di Israele. Paolo, come il re Sha’ul, appartiene alla tribù di Beniamino, per questo si può concludere come egli portasse il nome di uno dei suoi più gloriosi antenati. Il secondo nome, Paûlos, è la grecizzazione del latino Paulus, o anche Paullus, «piccolo», un nome di origine romana diffuso nel I secolo d.C. C’è da dire inoltre che nelle sue lettere Paolo si presenta sempre e solo con il nome di ‘Paolo’ e mai come ‘Saulo’. Quest’ultimo viene usato esclusivamente nel libro degli Atti degli Apostoli e se non ci fosse stata la testimonianza di Luca, non lo si sarebbe mai conosciuto. Farisei. Ai tempi di Paolo la società giudaica aveva al suo interno alcuni gruppi con diversi orientamenti di pensiero. Uno di questi era quello a cui faceva capo la setta dei farisei. Si trattava di scrupolosi osservanti della Torah, la Legge contenuta nei primi cinque libri della Bibbia (la legge scritta) e nell’insegnamento dei padri (la legge orale). In At 26,5 lo stesso Paolo dirà che si tratta della setta più rigida della religione ebraica. L’obiettivo era quello di assicurare la santità dei laici mediante l’osservanza delle norme sul sabato e le festività del calendario cultuale ebraico; la pratica delle leggi circa le primizie e le decime sui prodotti dei campi e di quelle sugli alimenti; la rigorosa applicazione delle norme riguardanti i contatti con le fonti di impurità (cadaveri, malattie, sangue e altri flussi organici). A differenza dei loro diretti rivali, i sadducei, riconoscevano autorità canonica a tutti i libri della Bibbia e non solo al Pentateuco, e, ancor più, credevano nella vita dopo la morte e nella resurrezione. Nel I secolo il gruppo si divideva in due scuole principali: una più rigorosa, più “conservatrice”, facente capo a rabbi Shammai, l’altra più “progressista”, avente come maestro Hillel. Se Paolo seguì l’insegnamento di Gamaliele I, discepolo di Hillel, come si dice nel libro degli Atti, si può concludere che facesse parte dell’ala “progressista” della setta. Ciò tuttavia non riscuote il consenso unanime degli studiosi. l.l. Ottobre 2008 3 Partito il progetto della Diocesi “Chiesa, casa e scuola di comunione” T di Nicola Gagliarde rovare la "giusta via" per evangelizzare è una tra le missioni fondamentali che la chiesa universale, e dunque la chiesa beneventana, deve intraprendere. Occorre attrezzarsi degli strumenti più opportuni, elaborare le strategie più idonee per raggiungere tutti e per riuscire ad attualizzare il messaggio evangelico. Ecco perché è necessario darsi un metodo di lavoro. Ed è quello che la diocesi di Benevento sta facendo. Il progetto "Chiesa, casa e scuola di comunione", che rappresenta l'obiettivo generale in cui si è scelto di collocare l'azione pastorale del prossimo triennio, va perseguito attraverso una strategia precisa con tappe graduali. Lavorare pastoralmente, dotandosi di un metodo, vuol dire lavorare attraverso progetti nei quali si stabiliscono obiettivi, mezzi, tempi di azioni e valutazioni verificando se quanto programmato è stato realizzato o quanto invece va cambiato, sia nella definizione degli obiettivi previsti, sia talvolta nella scelta dei mezzi utilizzati.Una sintesi di tale strategia operativa è descritta nell' opuscolo dal titolo Chiesa: casa e scuola di comunione. Linee programmatiche ed ipostesi operative - Anno pastorale 2008 - 2009. L'opuscolo, che è stato pubblicato recentemente e distribuito agli operatori pastorali in occasione della celebrazione eucaristica svoltasi a Piana Romana per l'apertura dell'anno pastorale, descrive in linea generale le modalità di lavoro a progetto. Ma soprattutto delinea tutte le tappe dell'azione che la chiesa beneventana intraprenderà nei prossimi anni. Si parte dalla considerazione che tale pro- getto deve innestarsi nella realtà territoriale, attraverso una strategia precisa (piano pastorale triennale) con tappe graduali (programmazione annuale). Questi dunque i punti cardine da cui discendono le varie azioni che saranno poste in essere e che sono elencate nell'opuscolo. Nel triennio, tra gli obiettivi a lungo termine sono previsti: un lavoro di monitoraggio e analisi della realtà territoriale diocesana; l'analisi e il coinvolgimento del mondo laicale; l'elaborazione di percorsi condivisi con il territorio; da ciò derivano poi le strategie operative del programma pastorale di ogni singolo anno. L'anno pastorale 2008-2009 si articolerà intorno al tema della Parola di Dio, alla sua valorizzazione e maggiore diffusione. A tale scopo sono previsti molte attività da esplicarsi sia a livello diocesano PUBBLICAZIONI Atti del XXIV Convegno Pastorale Sono stati consegnati a tutti i parroci gli atti del XXIV convegno pastorale diocesano “Dalle parole alla Parola, nel silenzio del dirsi… l’Amore incarnato”. Il libro degli atti, la cui pubblicazione è stata curata dall’ufficio pastorale diocesano, guidato dal vicario episcopale, don Donato D’Agostino, raccoglie le relazioni dei lavori. In particolare gli schemi di meditazione (proposti all’apertura del convegno e all’inizio dei laboratori di approfondimento) e le conclusioni operative dell’arcivescovo, mons. Andrea Mugione. E’ contenuta, inoltre, la relazione di suor Maria Ko Ha Fong, docente di Sacra Scrittura presso la Pontificia Facoltà di Scienze dell’Educazione “Auxilium”, sul tema La Parola di Dio nella vita e nella missione della Chiesa. Il libro degli atti contiene poi delle schede tecniche utilizzate dai delegati per l’approfondimento nei laboratori di studio e le relazioni dei vicari foranei dei lavori svolti nelle singole zone pastorali. Il libro degli atti del XXIV convegno può essere richiesto presso l’ufficio pastorale. Con gli atti sarà consegnato un opuscolo operativo dal titolo Chiesa: casa e scuola di comunione, ipotesi per un piano triennale e programma pastorale diocesano, 2008-2009. Si tratta di un lavoro di sintesi degli obiettivi emersi durante l’assemblea di programmazione diocesana svoltasi a Matrice (CB). L’opuscolo delinea concettualmente le modalità di lavoro a progetto come si usa oggi in tutte le realtà. E’ una scelta di metodo. Il lavoro viene “scomposto” in tappe, vengono definiti obiettivi, azioni da compiere, tempi, risorse a disposizione e percorsi di valutazione. Nell’opuscolo dunque è descritto l’obiettivo generale dell’azione pastorale, le basi per la stesura un piano triennale e le attività del programma dell’anno pastorale 2008-2009. che parrocchiale: quali per esempio l'istituzione di una scuola biblica diocesana, l'elaborazione di sussidi per la preghiera nei tempi forti dell'anno liturgico da distribuire a tutte le parrocchie, la realizzazione di un evento pubblico sul tema della Parola, durante il quale coinvolgere anche le altre istituzioni territoriali e che abbia una finalità operativa concreta, l'attivazione di centri di ascolto parrocchiali. Analizzare il contesto di riferimento, i destinatari dell'azione pastorale, definire i tempi, le modalità di svolgimento (in sintesi lavorare a progetto) è una scelta di campo importante perché oltre a consentire la pianificazione delle attività rendendole più funzionali all'obiettivo prefissato, aiuta a superare il rischio del soggettivismo e ad essere il meno autoreferenziali possibile. E questo giova alla missione dell'evangelizzazione. 4 Ottobre 2008 “Cives. Guardare al futuro” Per formarsi al bene comune di Ettore Rossi* Q ualche settimana fa Papa Benedetto XVI, durante un'omelia pronunciata a Cagliari davanti al Santuario di Nostra Signora di Bonaria, ha esortato la Chiesa e i cattolici a tornare ad «essere capaci di evangelizzare il mondo del lavoro, dell'economia, della politica» che, ha spiegato, «necessita di una nuova generazione di laici cristiani impegnati, capaci di cercare con competenza e rigore morale soluzioni di sviluppo sostenibile». Questo passaggio, apparentemente stringato dell'omelia del Pontefice, è così denso di significato e di prospettive che interpella, in modo esigente, tutti quei credenti che hanno a cuore il bene delle proprie comunità e del proprio paese. L'indicazione è chiara e va nella direzione della formazione di persone che siano in grado, con competenza e rigore morale, di animare tutte le realtà temporali, dall'economia, al lavoro, all'impegno nel campo politico. L'Ufficio diocesano per la Pastorale Sociale e del Lavoro si sente incoraggiato da questi insegnamenti a proseguire la propria progettualità nel campo formativo. E' stata, infatti lanciata in questi giorni la seconda edizione del corso di formazione sociale Cives, che ha come tema "Guardare il Futuro. Laboratorio di formazione al bene comune". Dopo la prima edizione imperniata sui temi dell'economia e del territorio, si affronta in questo secondo ciclo il tema del futuro e delle diverse sfere dell'impegno personale, ecclesiale, sociale, professionale e politico. Il corso si articola in incontri e testimonianze di studiosi, operatori sociali e politici locali, oltre a momenti di confronto di tipo seminariale, nell'ottica della progettazione collettiva. Destinatari dell'intervento sono dirigenti di associazioni, giovani laureati in materie economiche, giuridiche e sociali (preferibilmente apparte- nenti ad associazioni del territorio) e persone disponibili ad impegnarsi per il bene comune. Si prevedono una serie di laboratori, con 20 partecipanti, nel corso dei quali uno o più testimoni privilegiati interagiscono con il gruppo su tematiche di particolare interesse per il territorio della provincia di Benevento e dell'intero Paese. Tra gli obiettivi formativi si segnalano i seguenti: sensibilizzare il gruppo dei partecipanti ad una comprensione adeguata delle dinamiche e delle prospettive culturali, socio-economiche e di quelle politico-istituzionali che contraddistinguono il contesto locale, inquadrate in uno scenario regionale, nazionale e globale, alla luce degli insegnamenti della Dottrina Sociale della Chiesa; presentare ai partecipanti realtà e casi positivi che si segnalano sul territorio di riferimento; far conoscere ai partecipanti esperienze e forme di impegno promosse da organizzazioni del Terzo Settore e realtà ecclesiali, sia a livello locale che nazionale. Tra i vari "docenti", che si alterneranno da novembre fino al mese di aprile 2009, si segnalano le importanti presenze di p. Bartolomeo Sorge, Direttore di Aggiornamenti Sociali, del dott. Carlo Borgomeo, del prof. Silvano Petrosino dell'Università Cattolica di Milano, del prof. Paolo Rizzi, direttore del laboratorio di Economia locale dell'Università Cattolica di Piacenza, del prof. Filippo Bencardino, Rettore dell'Università del Sannio, del dott. Marco Iasevoli, vice-presidente nazionale dell'Azione Cattolica ed di altri esponenti del mondo ecclesiale, sociale e politico del nostro territorio. Ad inaugurare il percorso sarà il prossimo 30 ottobre (al Seminario Arcivescovile) una figura di assoluto prestigio a livello nazionale come il prof. Giuseppe De Rita, sociologo, fondatore e presidente del Censis. * Direttore dell’Ufficio Diocesano Pastorale Sociale e del Lavoro INIZIATIVA DEL CENTRO DI CULTURA DELL’UNIVERSITÀ CATTOLICA Alla scoperta dell’arte contemporanea Continua l'impegno del Centro di Cultura dell'Università Cattolica di Benevento a favore della promozione della cultura e dell'arte. Sarà il prof. Francesco Morante, noto docente di Storia dell'Arte presso il Liceo Artistico di Benevento e direttore artistico della Galleria d'Arte "Rosso Fenice" di Benevento a tenere le lezioni di "Art Today”. Perché l'arte contemporanea è arte". Un nuovo ciclo di incontri, che inizieranno il 7 novembre prossimo e continueranno per quattro venerdì consecutivi presso la sede del Centro di cultura in piazza Orsini, con i quali si propone di avvicinare all'arte contemporanea tutti coloro che non hanno una competenza specifica nel campo, ma che desiderano avere delle chiavi di lettura per poter leggere e comprendere autonomamente le diverse manifestazioni artistiche che caratterizzano la scena odierna. «Oggi l'arte è molto diversa da quella prodotta fino a pochi decenni fa - spiega lo stesso professore Francesco Morante - spaziando in una molteplicità di linguaggi e tecniche prima sconosciuta. Ciò comporta che per poter comprendere l'arte è richiesto un approccio non superficiale. Ma questa comprensione è meno complicata di quanti molti pensano: basta solo avere il giusto approccio e la giusta metodologia». Tutti gli incontri si terranno sempre dalle ore 17 alle ore 19 nei giorni 7, 14, 21 e 28 novembre prossimi. Il Centro di cultura rilascerà un attestato di partecipazione a tutti coloro che ne faranno richiesta, potendo utilizzare come credito formativo per gli studenti o come formazione ed aggiornamento per gli insegnanti. Per tutte le informazioni su questa e le altre iniziative del Centro di cultura è possibile contattare la segreteria ai numeri 0824-29267 o 328-6131890 oppure consultando il sito www.centrodicultura.eu. Daniele Mazzulla TEMPI NUOVI - Periodico di Impegno Religioso e socio-culturale. Autorizzazione Tribunale di Benevento N° 204/96 del 20/12/1996. Direttore Responsabile: Nicola De Blasio; Ufficio Comunicazioni Sociali Benevento - Progetto Grafico: Daniele Leone Direzione Redazione: P.zza Orsini, 33 (Bn) tel. 0824_323326 Fax 0824_323344 email: [email protected] web: www.diocesidibenevento.it. Stampa: Marina Press s.r.l. - Via E. Marelli (C/da Olivola - Benevento) TEMPI NUOVI può essere richiesto GRATUITAMENTE la settimana successiva all’uscita presso la libreria Giovanni Paolo II o all’Ufficio Diocesano per le Comunicazioni Sociali Ottobre 2008 Una fondazione di comunità per il territorio sannita di Antonio Assante I l 24 settembre, al Seminario di Benevento, S.E. Mons. Andrea Mugione ha presieduto un incontro per approfondire il tema delle fondazioni con il Direttore Generale della Fondazione per il Sud dott. Giorgio Righetti. All'incontro, coordinato dall'Ufficio per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Diocesi, hanno partecipato persone impegnate nel sociale, imprenditori, rappresentati di Istituzioni, Banche ed Associazioni. L'iniziativa, presentata dal dott. Ettore Rossi, era mirata ad approfondire gli aspetti tecnici legati alla costituzione, al funzionamento di una Fondazione di Comunità e ad incoraggiare un progetto, certamente ambizioso e complesso, che potrebbe essere di grande utilità per il territorio. Il dott. Righetti ha lanciato subito una provocazione: le Fondazioni di comunità sono presenti solo nel centro nord d'Italia, ma anche in paesi difficili come lo Zimbawe o il Messico. Due i tipi di intervento della Fondazione per il Sud: sostegno a progetti con bandi specifici oppure interventi più complessi, per la nascita di nuove Fondazioni di comunità. La difficoltà della nascita di nuove Fondazioni è nell'obiettivo: attrarre risorse attraverso una comunità di riferimento, partecipata e indipendente, per alimentare azioni sociali nel territorio. Occorre la fiducia delle persone e la trasparenza nel modo di operare. La fiducia della comunità si ottiene mettendo insieme voci diverse. Da una cultura della donazione e della responsabilità nei confronti del territorio nasce una istituzione che deve garantire efficienza nella raccolta e interventi indipendenti, per specifici e differenti bisogni della 5 comunità locale. E' una sfida che già in Campania ed in Calabria alcune comunità stanno portando a compimento. Il dott. Righetti infine ha ribadito il pieno sostegno della Fondazione per il Sud ad una proposta che parta da questo territorio che, se accolta, potrà avere un importante contributo operativo e finanziario. Si sono poi succeduti numerosi interventi dei rappresentanti delle istituzioni, dell'unione industriali, di alcuni istituti di credito, di associazioni di categoria, di persone provenienti dal volontariato: è risultata evidente la volontà di approfondire e condividere un progetto per la costituzione di un comitato promotore. S.E. mons. Mugione ha ringraziato per le tante presenze ed ha incoraggiato ad andare avanti concretamente, superando l'ansia di un progetto in divenire. Occorre cuore, intelligenza, risorse, volontà, ma prima ancora occorre dire un grande sì allo stare insieme. Per la stessa Chiesa la fraternità è un dover essere, da costruire. Anche la Chiesa ha bisogno di essere comunione, superando l'individualismo che disperde le energie. Ha incoraggiato tutti ad andare avanti, perchè l'attenzione ai bisogni del territorio e la condivisione può essere di esempio per la Società e per la stessa Chiesa. Il prossimo appuntamento è tra un mese per approfondire i temi ed accogliere quanti vorranno partecipare. CERVINARA La Parrocchia di S. Adiutore presente nel sociale con Misericordia e Caritas Da anni la parrocchia di S. Adiutore in Cervinara (AV) si caratterizza per una presenza di grande valore nel contesto locale, portando il messaggio evangelico con la concretezza di un impegno sociale che rappresenta una grande ricchezza addirittura per l'intera comunità della Valle Caudina. È, per la disponibilità del parroco don Nicola Taddeo, la più frequentata da giovani e ragazzi. Le iniziative di volontariato hanno trovato terreno fertile nella piccola parrocchia caudina e si sono concretizzate con la creazione della confraternita di Misericordia, della Caritas e del Banco Alimentare, cui fanno riferimento decine di volontari, cattolici e non, quotidianamente al lavoro per per i bisognosi e la comunità tutta, in uno scenario sociale difficile e affetto dai molti mali del meridione d'Italia. Don Nicola, forte guida spirituale e visibile presenza della Chiesa operosa tra la gente, appartiene a quella generazione di giovani parroci che hanno saputo interpretare i segni dei tempi e diventare un riferimento di grande disponibilità per quanti hanno inteso fare una scelta di impegno nel sociale, ma anche un riferimento per quanti si attendono dalla Chiesa quel ruolo di denunzia profetica dei mali del tempo. Ma andiamo per ordine. La Misericordia - dal primo presidente Antonio Cioffi a quello attuale, Luigi Cioffi - ha realizzato nel tempo un vero e proprio servizio di emergenza 118, giungendo oggi a contare ben quattro autoambulanze. Un nutrito gruppo di medici, infermieri, barellieri, autisti, tutti volontari provenienti da Cervinara e dai comuni limitrofi, ma anche giovani del Servizio Civile (ne sono attesi otto nei prossimi giorni) assicurano un servizio che a lungo è stato l'unico nella intera Valle Caudina. Ancora oggi, le ambulanze operano, a richiesta, nell'intera Valle. La Caritas parrocchiale alle ordinarie attività assistenziali è riuscita ad avviare un preziosissimo (e raro) servizio di ospitalità notturna per persone in difficoltà (sono gestiti tre posti letto) e un servizio di mensa che assicura mediamente 4/5 pasti giornalieri con sette volontari pressoché fissi, ma anche con una grande presenza di donazioni da parte di tantissimi fedeli e cittadini che vedono la concretezza e l'importanza di queste iniziative. Un vero miracolo organizzativo che si ripete ogni giorno. Infine il Banco Alimentare, iniziati- va che fa riferimento al magazzino di Caserta e che è fruita da oltre cinquanta famiglie in difficoltà. Tutte queste iniziative hanno il pregio di avvalersi della reciproca collaborazione dei volontari e segnano con continuità la vita della comunità parrocchiale con eventi durante tutto l'anno, senza strombazzamenti pubblicitari. Ci piace ricordare l'ospitalità data a nove bambini africani nel luglio 2008 che ha mobilitato decine di famiglie e tantissimi giovani e giovanissimi dell'Azione Cattolica e degli Scout. Don Nicola non si stanca di invitare «altri operai alla vigna del Signore», sottolineando come queste associazioni rappresentano un modo tanto di mettere in pratica il comandamento dell'amore e della carità, quanto per non fermarsi alla semplice denuncia delle carenze delle istituzioni sul versante dei servizi sociali e del degrado civile e morale. Una Chiesa presente ed operosa, dunque. Un segno tangibile della sollecitudine per quanti sono in difficoltà e un approdo importante soprattutto per tanti giovani che cercano occasioni per esprimere la propria carica di generosità e disponibilità verso il prossimo. Paolo Citarella 6 Ottobre 2008 FESTA PATRONALE Quando pregare Tocco Caudio in festa per è anche ascoltare i santi Cosma e Damiano di Raffaele Di Muro P regare non vuol dire soltanto chiedere qualcosa a Dio, ma anche ascoltarne la voce, la Parola. La preghiera è fatta soprattutto di ascolto e di accoglienza rispetto a quanto il Signore vuol comunicare all’uomo. Sarebbe un errore pensare all’orazione solo come al nostro parlare all’Altissimo: in realtà, è Lui che vuol comunicarsi alla sua creatura, che vuol riempirla del suo amore e della sua consolazione. Questo è quanto la Bibbia esprime: Dio ha parlato al popolo d’Israele costantemente e oggi si rivela continuamente al suo popolo in Gesù e nel suo Vangelo. La nostra giornata dovrebbe essere “permeata” da una sorta di lectio continua che consiste nel ruminare, nel riassaporare un brano del Vangelo o della Bibbia (magari anche le letture proclamate durante la messa feriale o domenicale), lasciando che la Parola dimori in noi e orienti le nostre invocazioni a Dio, le nostre richieste, il nostro contatto con Lui. Pregare con la Parola nel cuore vuol dire rivolgersi al Signore in un atteggiamento di ascolto. Sarebbe importante, a tal proposito, annotare su un diario spirituale quei brani che maggiormente risuonano nel nostro cuore perché essi non possano portare frutto, perché possano restare in noi a lungo. La nostra intera giornata sarebbe segnata dalla Parola e il nostro parlare a Dio nascerebbe proprio dall’ascolto. Dall’ accoglienza della voce del INEDITO DI Signore passeremmo all’invocazione: Abbà Padre (cfr. E. BIANCHI, La preghiera: apertura a una comunione, Monastero di Bose, 9). In questo modo impareremmo a vivere sempre tesi a compiere la volontà di Dio, sempre colmi dell’amore divino che dolcemente invaderebbe i nostri cuori, disponibili al un continuo dialogo con Lui. Non pregheremmo più Dio, ma in Dio: è meraviglioso! Questo pregare ci renderebbe uomini e donne di comunione, comunione con Dio e con i fratelli. Saremmo capaci di esprimere quell’amore che sgorga dalla Parola di Dio. Saremmo più volentieri fiduciosi, franchi, audaci, liberi sia nei confronti del Signore che del nostro prossimo: nel nostro cuore regnerebbe la pace che promana dall’amore divino e anche di noi si potrebbe dire, come di Francesco d’Assisi si diceva: «…non era tanto un uomo che prega, quanto piuttosto egli stesso tutto trasformato in preghiera vivente»(Dalla Vita seconda di Tommaso da Celano, 95). La preghiera diventa così contemplazione, uno stare costantemente alla presenza di Dio, un saper scorgere in tutto e sempre l’azione della sua grazia. La preghiera d’ascolto porta ad amare in modo compassionevole, ad avere in dono lo sguardo di Dio sulla realtà sulle persone, sulla storia. Lasciamoci guidare dalla preghiera d’ascolto, lasciamo che la nostra vita sia un continuo stare alla presenza di Dio, un continuo vivere in Dio. GIACOMO LEOPARDI Sono volti al termine il 28 settembre, i festeggiamenti in onore dei Santi Martiri Cosma e Damiano, la cui devozione è molto sentita nella provincia di Benevento ed in particolare nella Valle Vitulanese, nel piccolo paese di Tocco Caudio (BN) di circa 1000 abitanti, in cui da più di due secoli, la grande devozione a queste due colonne della fede si è fatta intendere e si rinsaldata negli anni. Non sappiamo molto di questi due fratelli gemelli e medici; le fonti pervenuteci non sono pienamente concordanti tra loro, pur avendo molti aspetti comuni. Questi erano in grado di operare prodigiose “guarigioni” e “miracoli” e la loro azione era completamente gratuita nei confronti di tutti. Secondo la tradizione agiografica, i due erano originari dell’Arabia, appartenenti ad una ricca famiglia. Uno dei loro più celebri miracoli, tramandati dalla tradizione, fu quello di aver sostituito la gamba ulcerata di un loro paziente con quella di un etiope morto di recente. Durante le persecuzioni dei cristiani promosse da Diocleziano (284-305 d.C.) furono fatti arrestare dal prefetto di Cilicia, Lisia. Avrebbero subito un feroce martirio, così atroce che su alcuni martirologi è scritto che essi furono martiri cinque volte. Secondo recenti studi, il 26 settembre del 287 d.C., fu il loro “dies natalis”, ovvero l’ultimo giorno della loro vita terrena ed il primo della beatitudine eterna. Il loro culto si diffuse rapidamente, sia in oriente che in occidente, sin dai primi secoli del cristianesimo. Secondo la tradizione popolare, a Tocco Caudio, i “Santi Medici”, apparvero a due giovani sordomuti, figli di un contadino del luogo, proprietario del terreno retrostante all’attuale santuario. In seguito all’apparizione, questi giovani si recarono dal padre, invitandolo a donare un po’ di terreno per la costruzione di una cappellina dedicata a quei due giovani che avevano parlato loro. Il padre dinanzi al miracolo dei figli, concesse il terreno dove tuttora sorge la cappellina dedicata ai Santi Cosma e Damiano. La festa annuale prevede un ricco ed intenso programma religioso che si articola tra il novenario (che quest’anno ha visto nei giorni dal 23/09 al 26/09, la presenza di mons. Francesco Zerrillo, vescovo emerito della diocesi Lucera-Troia) e il 27/09 giorno in cui secondo la tradizione, la comunità ricorda i due Martiri. Due sono i momenti più intensi della giornata: al mattino, la fiaccolata che si snoda tra le vie del paese, dalla Chiesa Parrocchiale fino al Santuario dei SS. Cosma e Damiano, insieme alle statue, con una sentita partecipazione degli abitanti di Tocco, anche di quelli che abitano in Italia o all’estero, e di molti abitanti dei paesi vicini; il secondo momento della giornata vede la partecipazione alla Solenne Santa Messa, presieduta quest’anno dall’Arcivescovo di Benevento S. E. mons. Andrea Mugione. La festa in onore dei Santi Martiri termina il giorno 28/09 sia sotto il profilo religioso che civile; infatti, è un evento musicale a chiudere ogni anno i festeggiamenti, in attesa di quelli dell’anno seguente. Quest’anno è toccato alla cantante ligure Alexia. A testimonianza del forte attaccamento della Valle Vitulanese ai Santi Medici Cosma e Damiano, il 29 Dicembre 1991, I Domenica di Natale, S. E. mons. Carlo Minchiatti, solennemente dedicava a Dio la Chiesa-Santuario dei Santi Cosma e Damiano, proclamandoli ufficialmente Patroni di Tocco Caudio e Protettori dell’intera Zona Vitulanese. SULLA Gabriele Pastore BIBBIA Durante le ricerche per la tesi di laurea, Carla Pagliarulo, nata a Benevento nel 1984, laureata in Lettere Moderne all'Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, sotto la guida dei professori Giuseppe Frasso e Claudio Scarpati, ha rinvenuto nella Casa Leopardi di Recanati (MC) alcuni scritti inediti del grande poeta italiano dell'Ottocento. «Torbida, e fosca tra l'atre caligini, che d'ogni intorno la cingono volvesi taciturna la notte. Un cupo orrore si stende per tutto, e le più dense, e oscure tenebre regnano d'ogni parte»: così scriveva un inedito Giacomo Leopardi (1798-1837), poco più che ragazzino, commentando il Salmo 56. La scoperta getta nuova luce sulla formazione giovanile del poeta dell' ''Infinito'', perché gli scritti sconosciuti ora tornati alla luce si soffermano su motivi biblici e cristiani. Quelli ritrovati a Recanati sono composizioni risalenti all'infanzia e, più precisamente, alcune carte finora sconosciute apparentemente persino alla famiglia, raccolte in una cartella insieme alle riproduzioni fotografiche degli altri scritti puerili, già noti. Il ritrovamento è avvenuto, per così dire, sotto l'imprevedibile regia del caso e la studiosa beneventana ha potuto consultare i documenti solo per poco tempo. Di norma non è in effetti ancora possibile prendere diretta visione dei manoscritti leopardiani di quei primi anni di attività creativa (1809-1811), eccezion fatta per qualche quaderno portato alla luce da Maria Corti negli anni Settanta, attualmente sotto vetro in una delle stanze visitabili della casa di Recanati. Ottobre 2008 7 La spiritualità e la devozione nei dipinti conservati in città di Lilli Notari N ella tela, in basso sulla sinistra, è raffigurato San Felice da Cantalice, inginocchiato nell’atto di adorare il Bambino Gesù che gli viene portato da Sant’Antonio. Questo gesto sottolinea una continuità nella spiritualità tipica dei due santi: di Sant’Antonio si narra che, mentre era in preghiera nella sua celletta fattagli costruire, in una località nei pressi di Padova, dal conte Tiso tra i rami di un grande albero di noce, fosse stato visto dallo stesso conte mentre riceveva la visita di Gesù Bambino; San Felice, a sua volta, riceverà tra le braccia il Divino Bambino dalle mani della Madonna durante una delle sue numerose visioni mariane. Il Santo nel dipinto indossa il tradizionale saio marrone francescano, ma con il cappuccio a punta che distingue i frati cappuccini dagli altri Ordini francescani, ed il cordone (con i tre nodi) a cui è appeso un rosario a grani continui terminante, non con una medaglietta, ma con un piccolo crocifisso. Particolarissima, infatti, era la sua devozione per Cristo in croce. Asseriva che il suo studio era il Crocifisso e le sole lettere che conosceva erano sei: cinque rosse (le piaghe di Cristo) e una bianca (la Madonna) sostenendo che “Chi non intende questo libro (il Crocifisso), non sa cosa siano i libri; e se intende questo libro, intende tutti gli altri libri”. Fratello laico cappuccino, fu grande amico di San Filippo Neri. Morto nel 1587, canonizzato nel 1712 da Clemente XI, fu il primo dei santi del recente Ordine dei Frati Minori Cappuccini nato il 3 luglio del 1538 con la Bolla “Religionis zelus” di Clemente VII. Visse a Roma facendo tutte le mattine la questua per i confratelli ed i bisognosi e per la sua abitudine di rispondere Grazie a Dio, si guadagnò il soprannome di Fratello Deo gratia. Dedicato a San Felice da Cantalice, a Benevento, era l’antico convento dei frati Cappuccini (nella attuale zona di Viale degli Atlantici), trasformato in carcere dopo la soppressione dei conventi ed oggi sede della Soprintendenza. All’estremità destra del quadro, un angioletto seduto sulle nuvole rivolge lo sguardo al Santo e tende il braccio destro verso l’osservatore, mostrando due gigli bianchi, segni di verginità e amore verso Dio. Nella parte mediana del dipinto, a sinistra, è raffigurato San Filippo Neri con la tradizionale pianeta e il manipolo rossi; poggia la mano destra su un libro chiuso (il testo sacro), il braccio sinistro è proteso verso il basso, mentre lo sguardo si rivolge ai due Santi francescani e al Bambino Gesù. Ai piedi di San Filippo si trova un giovanetto che guarda intensamente verso l’alto, è vestito con una tunica verde che gli lascia scoperta una spalla. Tende verso l’alto la mano destra, mostrando un cuore fiammeggiante, color rosso vivo, simbolo dell’amore di Dio e della Carità. L’attributo del cuore ardente o fiammeggiante si riferisce a molti santi ed è presente negli stemmi di diversi Ordini e Congregazioni. Potrebbe riferirsi anche a Sant’Antonio di Padova, posto alla destra dell’immagine del giovanetto; c’è, infatti, un precedente iconografico in Benozzo Gozzoli, che associa il cuore ardente a Sant’Antonio in Santa Maria d’Ara Coeli in Roma. Più plausibilmente, tuttavia, è un attributo di San Filippo Neri, poiché lo sguardo del giovanetto (che nel dipinto originale posto nella Chiesa dell’Annunziata ha le ali di un angelo) è chiaramente diretto verso il Santo. Il cuore ardente, inoltre, è al centro dello stemma della Congregazione dell’Oratorio, fondata da San Filippo nel 1575 e simboleggia il vincolo della carità che deve unire i confratelli; ricorda anche, in particolare, la “Pentecoste” del Santo. Si narra che nella notte di Pentecoste del 1544, mentre era in preghiera, un globo di fuoco gli fosse penetrato nel petto, incrinandogli le costole, arcuatesi per far posto al suo cuore ingrossato, che, da quel momento, ebbe sempre dimensioni maggiori del normale. Dopo la morte del Santo, i medici constatarono che realmente due delle sue costole risultavano arcuate e spezzate proprio per permettere una maggiore dilatazione fisica del cuore. Al centro del quadro è raffigurato un angiolet- to, adagiato sulla nuvola, con in mano dei gigli bianchi. Con la mano sinistra ne porge due a Sant’Andrea Avellino, per sottolinearne l’appartenenza ai Chierici Regolari Teatini. Infatti nello stemma dell’Ordine, spesso, i classici simboli della quercia e dell’alloro sono sostituiti dal giglio e dalla palma. Il Santo, raffigurato inginocchiato con le mani giunte in preghiera, vestito con i paramenti sacri, morì nel 1608, a ottantasette anni, per un colpo apoplettico mentre celebrava la messa ed è perciò invocato per scon- giurare paralisi e morti improvvise. Fu beatificato nel 1694, e canonizzato nel 1712. A Benevento esiste un altro dipinto che raffigura Sant’Andrea Avellino insieme con San Gaetano da Thiene, fondatore dell’Ordine dei Teatini, e si trova nella prima cappella a destra della Chiesa della Madonna del Carmelo, oggi conosciuta come la Chiesa di Sant’Anna. (continua nel prossimo numero) TESTIMONI DELLA FEDE Nella chiesa del SS. Salvatore l’affresco dell’ascensione Il medaglione al centro della volta (XVIII secolo) r a f f i g u r a l'Ascensione. Secondo la struttura propria delle icone orientali, nella parte superiore è presentato il Cristo in Gloria, dal quale si irradiano raggi di luce, con un mantello azzurro drappeggiato attorno al corpo. Il Salvatore, circondato da figure eteree rappresentanti le anime beate del Paradiso, ascende verso l'alto. Due angeli oranti sono ai lati. Intorno alle nubi che Io circondano e presto Io nasconderanno alla vista degli spettatori dell'evento, volano puttini alati . Al di sotto delle nubi, due angeli con tuniche bianche guardano verso gli apostoli raccolti in basso. E' un chiaro riferimento al Nuovo Testamento: negli Atti si narra che gli apostoli, dopo l'Ascensione, rimangono incapaci di staccare gli occhi dal cielo; solamente l'apparizione di due uomini (angeli) vestiti di bianco, che annunziano loro il ritorno di Gesù alla fine dei tempi, li scuote dal torpore e li induce a ritornare a Gerusalemme. Tra gli apostoli è riconoscibile sulla sinistra san Giovanni, con tunica verde e mantello rosso. Sempre sulla sinistra, la figura femminile, con lunghi capelli e tunica sui toni dell'ocra, potrebbe essere Maria Maddalena. Particolare l'atteggiamento dell'uomo anziano in basso a destra con mantello e cappuccio. Diversamente dagli altri personaggi, ha lo sguardo fisso dinanzi a sé e la mano sinistra aperta, con il palmo affrontato, nel tipico gesto di accettazione che si trova di solito nelle raffigurazioni della Vergine Annunciata o in San Giovanni sotto la Croce. La parte centrale dell'affresco risulta illeggibile e non è, quindi, possibile capire se nel gruppo dei presenti alla scena fosse inclusa anche la Madonna, come in altri dipinti raffiguranti il medesimo soggetto. (l.n.) Le fotografie della pagina sono a cura di Raffaele Notari 8 Ottobre 2008 “GUAI A ME SE NON PRE IL COMPITO DI TUTTI È PORTARE NUOVA LINFA PER L’EVANGELIZZAZIONE P apa Benedetto XVI ha proclamato l'anno 2008 "Anno Paolino", in quanto ricorrono duemila anni della nascita dell'Apostolo delle Genti. Sono quindi trascorsi due millenni dalla prima evangelizzazione. E la Chiesa sente ancora e più che mai pressante la necessità di continuare ad annunciare la Buona Novella sia agli operai della prima ora che ad gentes. Possiamo affermare con il Concilio Vaticano II che l'annuncio del Vangelo fa parte proprio della natura stessa della Chiesa, esso costituisce cioè la ragione di essere e di esistere della Chiesa: «La Chiesa peregrinante è missionaria per sua natura, in quanto essa trae origine dalla missione del Figlio e dalla missione dello Spirito Santo, secondo il disegno di Dio Padre» (Ad gentes, n. 2; Lumen gentium, n. 2). Quindi possiamo capire perché San Paolo esclama con tutte le sue energie dicendo: «Guai a me se non predicassi il Vangelo!». Se consideriamo gli eventi dell'attualità del mondo, possiamo comprendere che la Chiesa ha un grave compito di rievangelizzare i popoli del Vecchio Mondo, i quali hanno ricevuto, da duemila anni, l'annuncio del Vangelo. Infatti proprio in questi paesi destinatari della prima missione apostolica, si nota l'affievolimento della fede cristiana. Questa situazione è dovuta in gran parte al fatto che, con l'affermarsi del secolarismo, scristianizzazione, materialismo e consumismo, è prevalso in molti fedeli l'indifferentismo religioso, e quindi con esso è venuta meno anche quell'autentica testimonianza cristiana (martyrium = seme dei nuovi cristiani). Perciò la fede cristiana nella società odierna non debba essere data per scontato, nel senso che anche in alcuni ambienti religiosi spesso essa non viene con- siderata come punto di riferimento (la stella polare) nella vita quotidiana. D'altra parte, la missione ad gentes, cioè ai popoli del nuovo mondo, i quali hanno accolto l'evangelizzazione operata dai missionari europei, questa missione conserva tutt'ora la sua importanza ed attualità. Il motivo di quest'asserzione debba cercarsi nell'ampliamento o completamento della frase missionaria dell'Apostolo delle Genti: Se è vero, come è vero, «Guai a me se non predicassi il Vangelo!», è altrettanto vero anche "guai a me se non porgessi la mano a mio fratello bisognoso!". L'annuncio autentico di Gesù Cristo non può rimanere sterile, con rischio di diventare pura speculazione. Come è vero che dalla parola divina fu creato il mondo ed in esso l'uomo; e come è vero pure che, liturgicamente, dalla Parola proclamata scaturiscono i sacramenti di salvezza, in particolare l'Eucaristia, pane di vita per la salvezza dell'uomo; così sarà vero anche che dalla missione evangelizzatrice della Chiesa dovranno e devono scaturire gesti di carità, di solidarietà e di condivisione con le persone sofferenti e meno abbienti.In conclusione possiamo dire che oggi è più che mai vero che le Chiese che hanno accolto la Buona Novella all'alba della prima evangelizzazione, hanno il dovere di predicare il Vangelo alle giovani Chiese porgendo ai meno abbienti una mano solidale e fraterna. Ugualmente anche le Chiese giovani hanno il compito di portare alle Chiese del Vecchio Continente una linfa nuova dell'evangelizzazione. Si tratta insomma di una felice condivisione di esperienze religiose e culturali proprie di ogni popolo che ha incontrato l'Uomo Gesù, il Dio incarnato. Costantino Mubanda Kyaliki DENTECANE Veglia di preghiera L'annuale ricorrenza della Giornata Missionaria Mondiale,dal tema "Servi e apostoli di Cristo Gesù", che sarà celebrata il prossimo 19 ottobre 2008, preceduta il giorno 18 ottobre alle ore 20 con una veglia di preghiera che si terrà nella parrocchia di Dentecane in Pietradefusi (AV), ci spinge a prendere rinnovata coscienza della dimensione missionaria della Chiesa e ci ricorda l'urgenza della missione "ad gentes", che "riguarda tutti i cristiani, tutte le diocesi e le parrocchie, le istituzioni e associazioni ecclesiali". L'"anno paolino" è tempo favorevole, perché la Chiesa tutta si impegni, grazie allo Spirito, in un nuovo slancio missionario. Sappiano che il loro sforzo e le loro sofferenze non andranno persi, ma costituiscono anzi il lievito che farà germinare nel cuore d'altri apostoli l'anelito a votarsi alla nobile causa del Vangelo. In nome della Chiesa li ringraziamo e li incoraggiamo a perseverare nella loro generosità: Dio li ricompenserà abbondantemente. Nessuno può sentirsi dispensato dall'offrire la sua collaborazione allo svolgimento della missione di Cristo che continua nella Chiesa. Sono stati innumerevoli anche nel secolo XX, in cui "la Chiesa è diventata nuovamente Chiesa di martiri" . Sì, il mistero della Croce è sempre presente nella vita cristiana. Scriveva Giovanni PaoloII nell'Enciclica Redemptoris missio: «Come sempre nella storia cristiana i "martiri", cioè i testimoni, sono numerosi e indispensabili al cammino del Vangelo...». L'intera missione della Chiesa e, in modo speciale, la missione "ad gentes", ha bisogno di apostoli disposti a perseverare fino alla fine, fedeli alla missione ricevuta, seguendo la stessa strada percorsa da Cristo, «la strada della povertà, dell'obbedienza, del servizio e del sacrificio di sé fino alla morte...» Centro Missionario Diocesano Ottobre 2008 9 EDICASSI IL VANGELO!” LA NATURA MISSIONARIA DELLA CHIESA I l Concilio Vaticano II, è stato definito anche il primo concilio missionario, in quanto grazie al decreto Ad Gentes , ha fatto prendere coscienza in maniera nuova della natura missionaria della Chiesa. La Chiesa è sempre stata missionaria; né può non esserlo perché essa è il compiersi, nello spazio e nel tempo, del progetto di Dio sull’uomo, cioè la salvezza eterna (Cfr1Tim 2,4). L’amore di Dio è l’origine e la causa della salvezza dell’uomo. Dio ama l’uomo fino a donare il suo Figlio Unigenito, che prende corpo nel seno di una donna, Maria, per opera dello Spirito Santo. Gesù Cristo rivela all’uomo la Buona Notizia del Regno di Dio, che è già qui e ora, che è Lui stesso, e che sarà alla fine in tutti, quando riporterà l’umanità compiuta al Padre nella forza del suo Spirito. La coscienza missionaria della Chiesa non ha però sempre conosciuto la stessa intensità. Ci sono stati momenti in cui tale tale impegno ha conosciuto un vertice altissimo (in particolare durante i primi secoli del cristianesimo), e ci sono stati momenti di notevole flessione. Questo perché si è verificata una diversificazione tra coscienza missionaria e impegno missionario. Sommo merito del Concilio Vaticano II è di aver restituito alla chiesa la coscienza della sua natura squisitamente, essenzialmente missionaria e a tutti i suoi membri la consapevolezza del proprio dovere missionario. Nel decreto Ad Gentes la natura missionaria della Chiesa trae origine da una triplice missione: la missione del Figlio da parte della Trinità; la missione dello Spirito Santo da parte del Figlio; e la missione della Chiesa da parte del Figlio e dello Spirito Santo. Il testo conciliare fonda la missionarietà della Chiesa su due ragioni: una di carattere ontologico, vale a dire appartiene alla natura della Chiesa quella di essere inviata; l’altra è di ordine storico, in quanto dipende dal preciso mandato di Cristo ai suoi discepoli di andare in tutto il mondo ad annunciare il suo Vangelo a tutti i popoli. Il Concilio ha inoltre chiarito che l’attività missionaria compete a tutto il popolo di Dio. Ci sono però nella chiesa anche delle persone alle quali spetta in modo del tutto particolare il dovere di attendere all’attività missionaria: sono i vescovi e i missionari, i primi in forza della posizione gerarchica, i secondi in forza di un carisma speciale. Ogni vescovo, nella propria diocesi, con la collaborazione sia del clero sia del laicato, deve farsi promotore di tutte quelle iniziative che giovano alla causa missionaria, a partire dalla promozione vocazionale fino all’assistenza materiale alle diocesi in terra di missione. La missionarietà si esplica poi in tre circostanze: La missio ad gentes, la nuova evangelizzazione, la cura pastorale. La missione ad gentes è il primo ed esplicito annuncio del mistero pasquale di Cristo a coloro che ancora non lo conoscono e mira alla loro conversione. Per quanti sono nella circostanza di aver ricevuto il Vangelo ma di vivere come se mai l’avessero conosciuto si colloca l’ambito della nuova evangelizzazione. Essa significa ripensare in maniera seria a tutto il problema della fede mettendo in atto un’eccezionale opera di evangelizzazione, dove specie nei paesi di antica cristianità interi gruppi di battezzati hanno perduto il senso vivo della fede o addirittura non si riconoscono più come membri della Chiesa, conducendo un’esistenza lontana da Cristo e dal suo Vangelo. Quanti sono impegnati in questa opera si richiede che non solo comprendano l’uomo secolarizzato, ma anche i criteri di giudizio, le linee di pensiero e i modelli di vita in contrasto con la Parola di Dio e con il disegno divino di salvezza. La cura pastorale poi si rivolge a coloro che hanno accolto Cristo riconoscendolo come unico Salvatore. Giovanni Paolo II più volte ha affermato l’importanza della catechesi in questo ambito, perché nel contesto dell’attività missionaria, alimenta la fede e una continua conversione (cfr. Catechesi tradendae). E’ necessario dunque che si operi un’ animazione missionaria come elemento cardine della loro pastorale ordinaria. Il termine animare significa dotare qualcuno di anima di vita; dare vivacità e anche vivacizzare, vivificare stimolare. Animazione missionaria significa dar vita e motivazione missionaria all’azione pastorale della Chiesa locale per aiutarla a prendere consapevolezza della sua natura missionaria e ad esprimerla. Nella Chiesa l’animazione missionaria è la messa in atto di tutte quelle realtà che aiutano il battezzato a fargli prendere coscienza del suo diritto-dovere di evangelizzazione. La cooperazione missionaria si allarga oggi a nuove forme, includendo non solo l’aiuto economico, ma anche la partecipazione diretta. Si assiste ad un atteggiamento diffuso in cui sempre più giovani vanno ad offrire aiuto e una testimonianza di vita cristiana, aiutano ad un reciproco arricchimento e rinvigorimento nella fede. Un’altra esperienza missionaria sono i gemellaggi:l’assunzione da parte di alcune diocesi, o anche di comunità parrocchiali, o di gruppi e movimenti ecclesiali di Chiese giovani in territori cosiddetti di missione. C’è anche la dimensione spirituale della cooperazione missionaria quella che vive e si radica innanzitutto nell’essere personalmente unita a Cristo. Solo se si è unita a Cristo, come i tralci alla vite, si possono produrre buoni frutti(Cfr Redemptoris Missio n.77). Da questa comunione con Cristo scaturisce quella con i fratelli e porta a cooperare perché tutti godano delle ricchezze di Cristo e del suo Vangelo di carità. Cooperare alla missione significa non solo dare ma anche ricevere. In un’omelia del Santo Padre Benedetto XVI a San Paolo Fuori le Mura il 25 aprile 2005 cosi si è espresso:«Voglia il Signore alimentare anche in me l’amore apostolico di Paolo perché non mi dia pace di fronte alle urgenze dell’annuncio evangelico nel mondo d’oggi». La missione è dunque un atto di amore. La beata madre Teresa di Calcutta dirà:«Tutto quello che Gesù mi chiede è di donarmi a lui con tutta la mia povertà e il mio niente». All’inizio di questo secolo dobbiamo seguire il comando di Gesù: «Alzatevi e andiamo!» (Mc 14,42). Nel cielo di questo mare brilla una stella : Maria, Madre di Dio, la prima missionaria. Invochiamola con le parole del Santo Padre Benedetto XVI:«Santa Maria, Madre di Dio e Madre nostra, insegnaci a credere, sperare ed amare con te. Indicaci la via verso il suo regno! Stella del mare, brilla su di noi e guidaci nel nostro cammino!». Ivan Bosco 10 Ottobre 2008 La storia di Rachelina Ambrosini, conosciuta come il giglio dell’Irpinia di Raffaele Di Muro I l 28 settembre l’Arcidiocesi di Benevento ha celebrato il 50° anniversario della traslazione delle spoglie mortali della Serva di Dio Rachelina Ambrosini che dal 1948 riposano nella Chiesa parrocchiale di Venticano (AV). L’evento è stato ricordato con una serie di manifestazioni religiose, tenutesi nel centro irpino e coordinate dal parroco don Armando Zampetti, volte a proporre la spiritualità di colei che è conosciuta anche con l’appellativo di “Giglio dell’Irpinia”. Rachelina nasce nella minuscola frazione Passo di Dentecane presso Pietradefusi (AV) il 2 luglio 1925. Muore giovanissima a Roma, il 10 marzo 1941 in seguito ad una breve ma dolorosa malattia. Cosa può dire alla Chiesa locale e quella universale un’esperienza spirituale di pochi anni di vita? Il vissuto di Rachelina Ambrosini si rivela particolarmente prezioso per i giovani che, dal suo esempio, possono essere stimolati a cercare in Dio solo la ragione della loro esistenza e a vivere all’insegna della virtù. Rachelina è una bambina vivace ed estremamente buona. Già in tenera età si distingue per “ il suo attaccamento alla preghiera e per la sua generosità. Frequenta gli studi ginnasiali a Bari al Liceo “Orazio Flacco” e dimora presso l’Istituto Santa Rosa. A scuola e in collegio brilla per la sua intelligenza e soprattutto per la pace del cuore che si sprigiona fino a contagiare le sue compagne. A proposito della quiete interiore Rachelina così si esprime: “ Cerca la pace, il grande dono di Dio, l’unica gioia che non si può godere nel male, l’unica gioia perfetta che è frutto del bene”. La stessa serenità palesa ed infonde nelle coetanee quando rientra in paese per le vacanze. Riesce a trovare sempre le parole giuste per portare armonia e pace tra le sue amiche. Continua gli studi a Roma, al Liceo del Collegio “Cabrini”, retto dalle Suore del Sacro Cuore. Proprio lì si ammala della forma gravissima di meningite che la porterà alla morte. Come detto, Rachelina Ambrosini è anzitutto un modello per i giovani. La sua spiritualità è Cercare la vera Pace, è questo il grande dono di Dio ” incentrata sulla preghiera e sull’affidamento alla volontà di Dio. Da piccolissima ama rivolgersi al Signore continuamente e in ogni circostanza. È molto legata anche alla devozione alla Vergine Maria. Già da piccola è favorita da fenomeni straordinari che con il tempo ne consolidano una vera e propria vita mistica. Anche negli eventi più dolorosi sa abbandonarsi alla volontà e alla provvidenza divina: «Cerca la pace con lo stesso ardore col quale lo stolto cerca di godere. La troverai nella sottomissione alla volontà di Dio, nella coscienza tranquilla, nell’adempimento scrupoloso dei tuoi doveri di cristiano e di cittadino». Altro elemento importante della spiritualità di Rachelina è la pratica della virtù. È esemplare in purezza e docilità, nella capacità di saper rispettare ed eseguire le decisioni dei genitori e di coloro che ne curano la formazione. Sa essere distaccata dalle vane attrattive “ del mondo, come si evince da queste sue parole: «Non chiedere soddisfazioni materiali alla vita, ne saresti deluso poiché la vita è un dovere che dà più spine che rose, a chi vuol compierlo fedelmente». Davvero notevole è la tensione escatologica in virtù della quale vive le sofferenze fisiche e morali con grande pazienza. Ciò che per lei conta è cercare in ogni momento il Regno dei Cieli. In questa ottica si rivela preziosa la preghiera continua al Signore e la custodia della pace del cuore. Grande è l’amore alla vita, che per lei è bella anche quando si deve sopportare qualche sacrificio. Rachelina insegna ai giovani di oggi a cercare la felicità vera, quella che solo la comunione con Dio può donare. Solo Dio può donare ai giovani quella gioia che le fatue sirene del mondo non possono cancellare, quella gioia che è foriera di vita eterna. Ecco, in conclusione, le parole significative di Rachelina: «Ama la vita come l’unico mezzo col quale potrai raggiungere una eterna felicità in cielo; amala come dono di Dio, stringila con affetto anche se ha la forma di una croce: quanto più sarà penosa, altrettanto ti sarà meritoria». Ama la vita come l’unico mezzo per raggiungere la felicità ” NUOVO LOOK PER IL REPARTO DI PEDIATRIA DEL “RUMMO” Grazie alle donazioni della Fondazione BNL presieduta dal dott. Paolo Mazzotto, e della Fondazione “Rachelina Ambrosini” di cui è presidente il dott. Tommaso Ferri, le camere del Reparto di Pediatria dell’Azienda Ospedaliera “Rummo” di Benevento sono più funzionali e, possiamo ben dire, anche più gioiose. Con i fondi elargiti dalle fondazioni, infatti, si è potuto procedere all’acquisto dell’intero arredamento, dai lettini agli armadietti fino alle poltrone-letto per i genitori che trascorrono le notti in veglia accanto ai piccoli degenti. Intanto va ricordato come in occasione del 50° anniversario della traslazione dal Cimitero di Pietradefusi alla Chiesa Badiale di Venticano della Serva di Dio Rachelina Ambrosini, la Parrocchia di Santa Maria e Sant’Alessio in Venticano (AV) e la Fondazione Ambrosini, hanno programmato una serie di iniziative a ricordo del passaggio di questa angelica figura. Da segnalare l’interessante mostra fotografica allestita presso Palazzo Ambrosini a Dentecane di Pietradefusi (AV) dedicata alla vita di Rachelina ove è possibile anche visitare il museo. Ottobre 2008 11 Sono oltre mille i ragazzi pronti per la Festa Diocesana del Ciao di Luigi Patierno S i rinnova anche quest'anno l'appuntamento con la festa del Ciao diocesana dell'ACR, che rappresenta un momento unico per gli oltre 1.000 ragazzi che vi prenderanno parte, atteso da tutti per incontrarsi e per condividere la gioia dello stare insieme, ma è anche l'occasione per riprendere con rinnovato entusiasmo il cammino in questo nuovo anno associativo.La festa del Ciao, che si terrà domenica 26 ottobre, presso il PalaTedeschi di Benevento, quest'anno è costruita sull'idea di una partecipazione personale ed entusiasta di ogni singolo ragazzo, e in effetti, tutto è stato pensato per favorire il vivo desiderio dei più piccoli di essere protagonisti per un giorno. Gli stessi giochi e tutta la struttura della festa, è stata organizzata dall'equipe diocesana dell'Acr, con l'obiettivo di coinvolgere ed attrarre, e proprio a tal fine è stato indispensabile un primo incontro con i responsabili parrocchiali e l'apporto di idee dato dai ragazzi dell'EDR “ (equipe diocesana dei ragazzi); un contributo necessario, voluto per rendere questa festa sempre più a misura di ragazzo. Durante la manifestazione, i ragazzi dovranno proiettarsi nell'accattivante mondo dei centri commerciali, l'ambientazione dell'iniziativa annuale richiama alla mente una dimensione artificiale e scintillante, quell'andare dell'uomo alla continua ricerca di qualcosa, in cui vige la logica del mettere tutto in vista ed esposto in vetrina. "...Mi basti tu", slogan scelto quest'anno dal centro nazionale, è quindi, l'invito a riconoscere, come Pietro, che Gesù è l'essenziale della nostra vita, la roccia su cui costruire ogni giorno i nostri progetti, seguire Gesù, significa innanzitutto accogliere la possibilità di lasciar educare da Lui i nostri desideri. Questo slogan, vuole aiutare i ragazzi innanzitutto a "rintracciare" dentro se stessi questo desiderio di Dio che rende inquieta la vita; E' il desiderio infatti, che ci spinge all'incontro con Gesù, è il primo motore interiore che motiva la ricerca, un desiderio che deve fondarsi Momento centrale la celebrazione dell’arcivescovo mons. Mugione ” più sull'essere che sull'avere e sul possedere, che costringe a guardare dentro di sé, per scorgere i tratti che Dio ha disegnato dentro ciascuno di noi. Nella festa del Ciao quest'anno, sarà valorizzata anche l'unitarietà associativa, i giovani, i giovanissimi e gli adulti delle nostre parrocchie, avranno un ruolo fondamentale e compiti ben precisi all'interno di essa, ognuno darà un contributo indispensabile per la riuscita della manifestazione e sarà valorizzato l'aspetto familiare che l'Azione Cattolica porta avanti da tempo. Momento centrale di tutta la festa sarà sicuramente la celebrazione Eucaristica, presieduta da S.E. Mons. Andrea Mugione, sempre vicino all'Azione Cattolica beneventana, che sostiene come buon Pastore, non facendo mai mancare parole di speranza e di incoraggiamento nei confronti di tutti i soci. L'equipe diocesana e tutta la presidenza vogliono ringraziare i tanti esercizi commerciali che stanno contribuendo in modo gratuito ad offrire materiale utile per la realizzazione della festa. L'appuntamento per la festa, che di sicuro sarà bella ed entusiasmante, è fissato per le 8:30 del 26 ottobre e tutta l'equipe lancia l'invito a non mancare, perché solo insieme si può rendere più bella l'ACR. ATTIVITÀ Il cammino in comune per la gioia vera Con il mese di ottobre iniziano le attività delle comunità parrocchiali e quindi anche gli incontri formativi dei gruppi di Azione Cattolica della nostra diocesi. Sono tante le comunità che hanno scelto gli itinerari di Azione Cattolica quali proposte valide per la formazione degli adolescenti e dei giovani. Alcune di esse hanno ben pensato di “utilizzarle” come itinerari di preparazione ai sacramenti. L’Azione Cattolica propone un cammino entusiasmante per coloro di qualunque età che vogliano crescere insieme alla ricerca della Gioia vera. Il cuore del cammino di Azione Cattolica è basato sull’incontro personale con il Cristo, Lui che è Via, Verità e Vita. Il tema centrale assume poi sfumature differenti a seconda della fascia di età cui è diretto: i Giovanissimi (da 15 a 18 anni) partiranno dalla dinamica della fiducia, i Giovani (dai 18 ai 30 anni) invece dalla necessità di dirsi con chiarezza chi è Gesù, fuori dalle tante “idee” che circolano in giro sulla fede, sulla Chiesa, su Dio. Così nascono i due slogan annuali: Stavolta mi butto! per i Giovanissimi e Lasci o raddoppi per i Giovani. Ad accompagnare le riflessioni sarà, come sempre, il Vangelo dell’anno, che corrisponde a quello di Marco, che sarà meditato e discusso negli incontri dei gruppi parrocchiali, secondo quanto suggerito dalle guide per gli educatori. Il percorso annuale dell’Azione Cattolica Italiana, inoltre, è pienamente inserito nella proposta dell’Agorà, il cammino pastorale della Chiesa italiana per i giovani. L’equipe diocesana del Settore Giovani, la cui guida spirituale è affidata a don Renato Trapani, è al fianco dei responsabili e degli educatori parrocchiali, per supportare il loro quotidiano lavoro e renderne più ricco il cammino formativo con iniziative diocesane. Il primo appuntamento è previsto il 17 ottobre ore 19:30 nella Chiesa di Sant’Adiutore in Cervinara ed è rivolto a tutti i giovani della diocesi (non solo a quelli appartenenti ai gruppi di Azione Cattolica), per la vivere insie- me la S. Messa preparata dalle parrocchie della zona Caudina insieme con l’equipe diocesana. Il secondo appuntamento è previsto per l’8 novembre alle ore 17:30, presso la sede diocesana di piazza Orsini. Esso è il primo dei tre incontri in cui saranno coinvolti un rappresentante dei gruppi Giovani e Giovanissimi ed i loro educatori. L’incontro vuole essere un’occasione di condivisione dei cammini e delle attività svolte nelle singole comunità parrocchiali, di programmazione condivisa e di formazione per coloro che operano nel servizio educativo. Per tutti coloro che intendono ricevere le informazioni relative alle attività del settore giovani di Azione Cattolica o i parroci che intendo attivare il cammino dell’associazione possono contattare la segreteria al numero 0824 21433 o telefonare direttamente ai responsabili di settore Maria Principe 349 2638761 e Daniele Mazzulla 393 1018909. L’Equipe diocesana Settore Giovani 12 Ottobre 2008 L’8 ottobre 1978 moriva don Emilio ideatore del centro “La Pace” di Francesco Zerrillo* L’ 8 ottobre 1978, alle ore 17.20, nei locali parrocchiali della SS. Addolorata in Benevento, moriva don Emilio Matarazzo. Gli mancavano 41 giorni per compiere 50 anni. L'albero cadeva nel suo rigoglio. L'albero si abbatté scuotendo la selva umana che aveva goduto della sua vigoria. La stanza che accolse il suo ultimo respiro era gremita. Tutti pregavano in ginocchio; la nostra preghiera era un gemito. Leggevo io le preghiere suggerite dalla Chiesa, per affidarlo alla Divina misericordia. Non facemmo obiezioni a Dio, ma condividemmo l'angosciosa domanda di Gesù: "Perché ci hai abbandonato?" "Perché questa morte tanto improvvisa, tanto imprevista? Forse condividemmo nell'intimo le domande che gli affezionati discepoli mettevano a S. Martino di Tours: "Perché ci hai lasciati"? Ci legava grande amicizia a don Emilio, ma tutti, in diverso grado e con differente modalità gli eravamo discepoli; in un certo senso, pur adulti come lui, ci sentivamo figli: avevamo bisogno di lui, allora più che mai. Eravamo tanto confortati dal calore della sua umanità, tanto attratti dal brillio delle sue intuizioni, tanto rassicurati dalla forza delle sue decisioni, tanto trascinati dal suo "furore operativo".Sì, "furore": facevamo fatica a stargli dietro. Don Emilio era geniale nel pensiero ed era irresistibile nell'azione. Era un sognatore impenitente ed era un realizzatore conseguente. Talvolta diceva con amabile, ma anche ironico vezzo: "Abbiamo già 50 anni e cosa abbiamo realizzato? Quale segno lasceremo noi orami alla soglia della terza età?"Ridevamo molto per queste esternazioni. Era inaccettabile per noi parlare di terza età a 50 anni non terminati. Ma don Emilio, proprio a quella età, era alla vigilia del ritorno a Dio. Nessun segno esterno lasciava prevedere un epilogo tanto affrettato. Don Emilio però avvertiva il presentimento e pensava con realismo alla morte. Venerdì 6 ottobre, due giorni prima della morte, a poche ore dall'ictus fatale, durante l'unico pranzo consumato insieme nei locali parrocchiali, sentenziò stranamente:"Io sono in casa l'ultimo figlio ma sarò il primo a morire".Forse il presentimento poggiava su qualche analisi da noi ignorata. Personalmente sono certo che il nostro amico si andasse preparando all'incontro con il Signore. Qualche mese prima aveva partecipato ad un corso di esercizi spirituali, durante i quali stilò un testamento tanto opportuno per le opere avviate e che permise di guardare a noi tutti nel profondo del cuore del nostro amico.Don Emilio, pur con qualche eccentricità, pur provocando qualche tensione con la sua esuberanza, era un sacerdote integro, obbediente alle norme della Chiesa. A me parlava con tenerezza della Madonna, della centralità che procurava di dare all'Eucarestia nella sua vita, dell'ansia apostolica che spingeva a interminabili dialoghi con i giovani e alla condivisione di antiche sentenze sapienziali con la gente semplice e povera. Don Emilio era innanzitutto prete. Anche nel vivere il sacerdozio sognava molto e si portava dentro la nostalgia della santità. Avvertiva insieme l'attrattiva della contemplazione e l'urgenza della testimonianza e dell'apostolato attivo. Soffriva molto per la fatica di trovare un accettabile equilibrio tra la vita interiore e il dono di sé agli altri. Desidero testimoniare la sua fatica, la sua decisione e il suo desiderio di comunione con il proprio vescovo. Forse questo anelito alla comunione poteva apparire meno all'esterno. Egli, in un momento di dubbio, scrisse a mons. Calabrìa: "Eccellenza, il sacerdozio è un dono che io debbo e voglio vivere solo in sintonia con il mio vescovo". Il suo vescovo non ha mai dubitato della rettitudine, della sincerità, dello spirito di sacrificio di questo sacerdote. Sabato 7 ottobre 1978, l'arcivescovo tenne a lungo le mani di don Emilio. Presente l'arcivescovo diedi all'amico fraterno l'ultima assoluzione e gli amministrai il sacramento dei malati: l'arcivescovo piangeva con me. Il più grande sogno di don Emilio, condiviso da più sacerdoti e da laici, rimaneva irrealizzato; sul centro "La Pace" cadeva una lunga notte. Il Signore però non ci ha abbandonati. Il genio pratico di don Vincenzo De Vizia, gli aiuti provvidenziali in vista del secondo millennio, la collaborazione di tanti umili, hanno portato splendidamente l'opera alla conclusione. Quando ponemmo il Cristo agonizzante nella grotta, avemmo la certezza che mai il Signore ci avrebbe abbandonati . Penso che don Emilio, il quale spesso si sporcava le mani in quella costruzione, non sia rimasto inoperoso in Cielo. I sogni che si fanno per il Signore si realizzano sempre . *Vescovo Emerito di Lucera - Troia MONDO GIOVANILE Giovani e Camorra: formarsi o uniformarsi N egli ultimi anni si sente parlare molto di scuola, di riforma, di revisione dei programmi. Si parla del ripristino di alcune materie come l’ “educazione civica”, al fine di educare i giovani ai diritti umani, alla legalità, alla cittadinanza attiva e responsabile. Lo Stato corre ai ripari, cerca di dare una risposta alla cultura criminale ormai dilagante nel nostro paese e tra i tanti interventi cerca anche di limitare il fenomeno chiedendo alla comunità educante di formare le giovani generazioni in prospettiva di un futuro migliore. Intanto anche su questi argomenti la gente è divisa e con essa i giovani. Il pensiero democratico sembra aver dato troppo spazio al pluralismo etico al punto tale da giustificare qualsiasi scelta o azione e così attività che dovrebbero universalmente essere considerate un male, una piaga della società, appaiono, ormai per troppe persone, una risposta necessaria ai disagi provocati da inadeguati interventi politici. Ascoltando cosa pensano alcuni giovani campani della camorra, verrebbe da ridere se non si trattasse di una realtà veramente drammatica. La camorra e le attività ad esse collegate, per qualche ragazzo “ricco di speranze”, sono un sistema che permette di vivere, di realizzarsi, di crearsi una posizione, cosa che, a sentir loro, lo Stato non garantisce. La camorra ha sempre cercato di attirare i giovani nelle sue attività, di affascinarli con argomentazioni che purtroppo conquistano e in molti casi tentano, perché profumano di soldi. Negli ultimi tempi addirittura lo status del “picciotto” sta mutando: se fino a qualche anno fa le mafie reclutavano “operai” per le loro attività, oggi i diretti interessati si definiscono “giovani imprenditori” e in Campania, nelle nostre terre, gridano che la camorra non esiste. Sembra di ascoltare il presidente dell’Iran Ahmadinejad quando nega l’evidenza dell’olocausto degli ebrei. Questa posizione “negazionista” della camorra è sicuramente un caso estremo, esprime il pensiero di una minima (e ci auguriamo insignificante) parte dei giovani. Quello che invece dovrebbe preoccupare ancora di più, perché non si vede e quindi si sottintende assente, è la cultura della mafia, lo stile della camorra, il modo di fare camorrista che è radicato ovunque, anche in quegli ambienti che sembrano incontaminati, ma dove c’è solo un’apparente tranquillità. Le terre di mafia non sono soltanto i luoghi teatro degli eventi di cronaca nera: Palermo, Scampia, Casal di Principe, … Anche nelle zone più interne, negli ambienti di provincia, si può respirare aria mafiosa. Ovunque domina l’arroganza, la violenza, il bullismo, il teppismo, il razzismo, l’edonismo, l’interesse personale a discapito del prossimo, la cultura dell’illegalità, l’anormalità che diventa normalità, lì c’è la cultura della camorra. Tornando alla scuola da cui siamo partiti e allargando l’orizzonte alle altre agenzie educative tradizionali e moderne, bisogna chiedersi come agire. Come devono procedere le scuole, le comunità cristiane, le famiglie, i mezzi di comunicazione sociale, per confrontarsi con il fenomeno mafioso e dare una risposta significativa alle giovani generazioni di cui sono educatori? La risposta può essere sintetizzata in un invito che ci viene da una vittima di mafia, Paolo Borsellino: “Parlate della mafia. Parlatene alla radio, in televisione, sui giornali. Però parlatene”. Alessandro Grimaldi Ottobre 2008 13 Anno Accademico 2008/2009 Inaugurazione in seminario G iovedì 23 ottobre alle ore 17.00 nell’Auditorium “Giovanni Paolo II” in viale Atlantici n.69 a Benevento, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Redemptor hominis” e lo Studio Teologico “Madonna delle Grazie”, celebrano il momento solenne dell’inaugurazione del nuovo Anno Accademico 2008-2009. Dopo i saluti del Prefetto dello Studio Teologico e del Direttore dell’Istituto Superiore di Scienze Religiose, interverranno S.E. Mons. Arturo Aiello, Vescovo di Teano-Calvi e la Principessa Alessandra Borghese, giornalista e scrittrice. Il saluto conclusivo sarà offerto da S.E. Mons. Andrea Mugione, Arcivescovo Metropolita di Benevento. Nel corso della cerimonia l’inaugurazione sarà presentato il volume “Maestri e Sentinelle. Cento profili di preti beneventani”, un’opera realizzata da Mons. Pasquale Maria Mainolfi, quale omaggio al prestigioso clero beneventano, ricorrendo il XXV anniversario della sua Ordinazione Sacerdotale. L’opera compie un viaggio lungo i percorsi della storia, della santità e della cultura sannita, come terreno fecondo ove sono nati, son cresciuti ed hanno operato i cento ecclesiastici di cui si traccia il profilo, accompagnato dalla loro fotografia, un inserto fotografico speciale per i personaggi più illustri e la prefazione del giornalista Antonio Socci. A presentare il libro di circa 350 pagine sarà Mons. Arturo Aiello, originario di Vico Equense, dal 13 maggio 2006 Vescovo di Teano-Calvi, 53 anni di età, già alunno del Seminario Regionale Campano di Napoli, laureatosi in sociologia presso l’Università Federico II di Napoli e sacerdote dal 7 luglio 1979. Sarà inoltre presente Alessandra Borghese, figlia di Alessandro Romano Borghese e di Fabrizia dei Conti Citterio, autrice di molti libri di successo tradotti in molte lingue straniere, come: Sete di Dio, Sulle tracce di Joseph Ratzinger e Lourdes. I miei giorni al servizio di Maria. Come giornalista collabora con il settimanale Panorama, il quotidiano Il Tempo, il settimanale Gente e per un mensile del Corriere della Sera. La sera del 23 ottobre in Benevento tratterà il tema: “Quando la fede cambia la vita”. SCUOLA DELLA PAROLA Nell’anno dedicato dalla Chiesa Universale alla Sacra Scrittura, l’Istituto Superiore di Scienze Religiose “Redemptor hominis” di Benevento, ha organizzato la Scuola della Parola. La Scuola mira in primo luogo a curare la conoscenza della Bibbia, secondo quanto invita a fare la Costituzione conciliare Dei Verbum al n. 25: “Il Santo Concilio esorta con particolare forza tutti i fedeli cristiani, soprattutto i religiosi, a imparare la sublime scienza di Gesù Cristo (Fil 3,8) con la frequente lettura delle divine Scritture. L’ignoranza delle Scritture, infatti, è ignoranza di Cristo (S. Girolamo)”. Obiettivo principale del Corso è risvegliare l’interesse per la Parola di Dio, offrendo una introduzione, scientificamente svolta e con approccio contenutistico-esegetico, alle grandi sezioni e personaggi dell’Antico e del Nuovo Testamento, per una comprensione più profonda della insondabile ricchezza delle Scritture Il Corso è gratuito ed aperto a tutti. Si svolge con lezioni frontali e con l’ausilio di strumenti multimediali. A conclusione delle lezioni sarà rilasciato un attestato di partecipazione. Le lezioni si terranno con cadenza quindicinale, a partire da lunedì 3 novembre, presso l’Auditorium “Giovanni Paolo II” del Seminario Arcivescovile (Viale Atlantici – Benevento), dalle ore 16.30 alle ore 18.30. Questo il programma delle lezioni: Lunedì 3 novembre 2008: Teologia per laici: l’importanza delle istituzioni teologiche deputate alla formazione permanente - Prof. Mons. Nunzio Galantino, Direttore del Servizio Nazionale per gli studi superiori di teologia e di scienze religiose della C.E.I. Lunedì 17 novembre: Il progetto Bibbia Educational. Abramo - Prof. Pasquale Troìa, ideatore, autore e realizzatore del Progetto Bibbia Educational Lunedì 1 dicembre: La Bibbia: tradizioni e storia - Prof. Giovanni Liccardo, Docente di Storia della Chiesa - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 15 dicembre: Genesi - Prof. Don Leonardo Lepore, Docente di Sacra Scrittura - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 12 gennaio 2009: Giacobbe Don Donato D’Agostino, Vicario episcopale per la Pastorale di Benevento Lunedì 26 gennaio: Giuseppe - Prof. Francesco Mauro, Docente di Filosofia - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 9 febbraio: Mosè - Prof.ssa Suor Gabriella Grossi, Docente di Sacra Scrittura - Istituto Teologico Leoniano di Anagni. Lunedì 23 febbraio: Davide - Prof. Davide Nava, Docente di Pedagogia e Dottrina sociale - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 9 marzo: Giobbe - Prof. Raffaele Sinno, Docente di Bioetica - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 23 marzo: Gesù - Prof. Don Alessandro Pilla, Docente di Sacra Scrittura - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 6 aprile: Maria - Prof. Mons. Pasquale Maria Mainolfi, Docente di Teologia Morale - I.S.S.R. di Benevento Lunedì 20 aprile: Tipologia e modelli di attività mediante Bibbia Educational - Prof. Pasquale Troìa, ideatore, autore e realizzatore del Progetto Bibbia Educational Lunedì 4 maggio: Apocalisse - Prof. Corrado Gnerre, Docente di Filosofia e Storia delle Religioni - I.S.S.R. di Benevento Venerdì 8 maggio: La Scrittura e l’apostolo Paolo - Prof. Mons. Antonio Pitta, Docente di Sacra Scrittura - Pontificia Università Lateranense di Roma. Consegna dei diplomi da parte di S. E. Mons. Andrea Mugione, Arcivescovo Metropolita di Benevento Per informazioni è possibile contattare la segreteria dell’ISSR ai numeri 0824.312246 – 347. 8734653, visitare il sito www.issrbn.it o recarsi presso la sede dell’Istituto, presso il Seminario Arcivescovile. 14 Ottobre 2008 “Si percepiva un dolce profumo, un misto di rose e di violette” di Donato Calabrese U no dei fenomeni mistici più conosciuti e addirittura sperimentati dai fedeli che hanno incontrato Padre Pio o hanno solo sentito parlare di lui, è il caratteristico profumo avvertito, non in continuità, ma con ondate improvvise, sia a san Giovanni Rotondo che altrove. Su invito del superiore provinciale dei cappuccini, il 16 maggio 1919, il dott. Luigi Romanelli salì a San Giovanni Rotondo per esaminare le misteriose lesioni di Padre Pio. Durante queste visite, notò che dal suo corpo proveniva un certo odore che egli aveva anche gustato. Anche padre Rosario da Aliminusa, superiore della fraternità cappuccina dal settembre 1960 al gennaio 1964, descrisse, per esperienza diretta, di aver più volte percepito un profumo intenso: "Uscendo dalla mia cella, attigua a quella di Padre Pio, sentivo venire, da questa, un odore piacevole e forte, di cui non saprei precisare le caratteristiche". Si poteva percepire questo delicato profumo, un misto di violette e di rose, non solo in presenza di Padre Pio, ma anche lontano da S. Giovanni Rotondo, come avvenne a due giovani sposi polacchi residenti in Inghilterra. Stavano vivendo un periodo difficile e dovevano prendere assolutamente una grave decisione. Venuti a sapere della fama di santità di Padre Pio, gli scrissero una lettera. Visto che la risposta del frate di Pietrelcina tardava a venire, i due sposini si decisero a partire per san Giovanni Rotondo. Durante il lungo viaggio si fermarono in un albergo di basso costo a Berna, interrogandosi vicendevolmente se valesse veramente la pena di proseguire per l'Italia, visto che la strada da fare era ancora lunga. Fuori stava nevicando ed i due giovani sposi erano piuttosto demoralizzati ed indecisi se continuare il viaggio. Mentre stavano conversando intirizziti dal freddo e quasi sul punto rimettersi in viaggio per tornare indietro, avvertirono improvvisamente un piacevole odore. Sulle prime pensarono che qualche viaggiatore avesse dimenticato del profumo nella camera dove ora soggiornavano. Ma le ricerche furono vane. L'effluvio svanì e nella stanza tornò il solito odore sgradevole delle mura ammuffite. I due sposini decisero, allora, di rimettersi in viaggio per raggiungere il Gargano. Arrivati al convento trovarono Padre Pio che li accolse cordialmente. Con quel poco d'italiano che riusciva a balbettare, il giovane sposo gli chiese: "Vi abbiamo scritto, Padre. Ma poiché non ci avete risposto…". "Come, non vi ho risposto? E quella sera all'albergo svizzero, non avete sentito nulla?", confermando, così, di essere stato misteriosamente presente, con loro, nella camera d'albergo. Finalmente rinfrancati dalla risposta al loro quesito, gli sposi ritornarono in Inghilterra. Ho conosciuto personalmente la signora Mariuccia Ghislieri Masone, figlia spirituale di Padre Pio e poi moglie del nipote Ettore Masone. La signora che ha vissuto tanti anni a Benevento con la sua famiglia mi ha personalmente confidato: "Quante volte anche a casa mia, quando papà era malato, tutti noi sentivamo il profumo di Padre Pio". Padre Pio sapeva bene che l'età dell'infanzia è quella più vicina all'innocenza originale. Essendo molto più vicini allo stato di grazia originale, i bambini perce- piscono più degli adulti il profumo del Paradiso. "Che cosa è che ha un così buon odore? - chiese un bambino di tre anni a suo padre che lo aveva presentato a Padre Pio?". E una fanciulla di sei anni disse un'altra volta: "Si direbbe che padre Pio viva tra i fiori". Secondo il dott. Giorgio Festa, più che dalla persona di Padre Pio, sembra che il profumo emani dal sangue che stilla dalle sue piaghe. E' un profumo fine e delicato che molti hanno avuto modo di avvertire distintamente, avvicinando il Frate di Pietrelcina. Anche i pannolini, imbevuti del sangue delle stigmate, emanavano profumo. Lo stesso dott. Festa descrisse la sua prima esperienza, avvalorata dal fatto che lui personalmente era privo di odorato: "Nella mia prima visita tolsi dal suo costato un pannolino intriso di sangue, che portai con me per una indagine microscopica. Io personalmente, per la ragione già detta, non ho avvertito in esso nessuna speciale emanazione: però un distinto ufficiale ed altre persone che al ritorno da san Giovanni si trovavano nell'automobile presso di me, pur non sapendo che chiuso in un astuccio io recassi con me quel pannolino, nonostante la intensa ventilazione provocata dalla rapida corsa del veicolo, ne sentirono molto bene la fragranza, e mi assicurarono che rispondeva precisamente al profumo che emana dalla persona del Padre Pio". "Giunto a Roma, nei giorni successivi e per un lungo periodo di tempo, lo stesso pannolino, conservato in un mobile del mio studio, ne profumò così bene l'ambiente, che molte tra le persone che venivano a consultarmi me ne hanno spontaneamente domandata l'origine". C'è stato qualcuno che ha interpretato diversamente l'origine del profumo di Padre Pio. Ma di questo preferisco non parlare, perché richiederebbe ben altro spazio. Padre Pio, del resto, non ha mai ostentato questi carismi dello Spirito, e a un suo figlio spirituale che si lamentava per il fatto che non poteva più sentire da tempo il suo profumo, rispose: "Sei qui, con me e non ne hai bisogno". Il profumo resta un fenomeno mistico straordinario, uno dei tantissimi Doni che Dio gli ha concesso per aiutare, consolare e mostrare la sua vicinanza spirituale alle anime che gli sono affidate. Ottobre 2008 15 I VANGELI DELLA DOMENICA DOMENICA 12 OTTOBRE 2008 N el brano evangelico di oggi (Mt 22,1-4) la Chiesa viene presentata sotto l'immagine di una sala imbandita per una festa: le nozze di Cristo con l'umanità. Dio chiama tutti gli uomini a partecipare al banchetto nuziale di suo Figlio. Il primo problema è come sentire la chiamata alla festa nel frastuono della nostra vita quotidiana. Carlo Carretto, un Piccolo Fratello di Gesù, dopo importanti cariche nell'Azione Cattolica, ha deciso di recarsi nel deserto per sentire quella voce che nelle nostre città gli arrivava confusa. Il secondo problema è dato dai nostri rinvii ("tanto Dio aspetta!", pensiamo) e dalle scuse sempre pronte! Il terzo problema è che, per essere a posto, non basta aderire all'invito: occorre indossare l'abito della festa. Siamo chiamati a riflettere su chi è lo "infiltrato" senza la veste nuziale, il quale non muove a compassione il Signore. L'infiltrato è colui che non è disposto a sottostare all'unica regola, all'unica legge, quella dell'amore. Sappiamo bene che l'unica "veste" che ci libera dal peccato è l'amore: l'amore di Dio e del prossimo. E sappiamo fin troppo bene che il prossimo è quello che ci sta accanto, sul posto di lavoro, nei banchi di scuola… L'infiltrato è un arrivista, colui che è disposto a passare sopra gli altri pur di arrivare primo e per questo ha un cuore disonesto. Il Signore ci mette in guardia dal pretendere di entrare nel Regno dei cieli senza spendere niente di noi stessi, senza sottostare all'unica richiesta. DOMENICA 19 OTTOBRE 2008 N el brano evangelico di questa domenica Gesù ci dà una regola d'oro: "Rendete a Cesare quello che è di Cesare e a Dio quello che è di Dio" (Mt 22,21). Per noi, figli della post-modernità, è pacifico il rapporto Chiesa-Stato, sfera religiosa e sfera politica nel segno della reciproca autonomia e della dichiarata separazione. Ma questa acquisizione non deve farci dimenticare alcune cose. Innanzi tutto il fatto che il potere, ogni potere viene da Dio: "Tu non avresti alcun potere su di me, se non ti fosse stato dato dall'alto", afferma Gesù davanti a Pilato (Gv 19,11). "Non c'è autorità se non da Dio e quelle che esistono sono stabilite da Dio", ribadisce san Paolo (Rom 13,1). In secondo luogo il fatto che l'autorità è servizio: "La comunità politica e la Chiesa sono indipendenti e autonome l'una dall'altra nel proprio campo. Ma tutte e due, anche se a titolo diverso, sono a servizio della vocazione personale sociale delle stesse persone umane", afferma il Concilio Vaticano II (GS 76). In terzo luogo i cristiani sono chiamati ad impegnarsi nel costruire qui ed ora la "città di Dio", in tutt'uno con la "città degli uomini". Non perché le due città si identificano, ma perché coesistono e convivono strettamente intrecciate l'una all'altra: "I cristiani non si distinguono dagli altri uomini né per il paese, né per la lingua, né per il modo di vivere… Risiedono nella propria patria, ma come se fossero stranieri domiciliati; partecipano alla vita pubblica come cittadini, ma vi si sobbarcano come se fossero stranieri; ogni terra straniera è la loro patria, ed ogni patria è terra straniera" (Lettera a Diogneto). DOMENICA 26 OTTOBRE 2008 DOMENICA 2 NOVEMBRE 2008 l tema del brano evangelico di oggi verte sul comandamento più importante della Torah. Tra i rabbini dell'epoca apostolica si delineavano varie correnti: quella più rigida che rifiutava ogni differenza tra tutti i seicentotredici precetti biblici: tutti erano egualmente importanti in quanto ognuno derivava il suo valore dell'obbligatorietà della Legge. Un'altra faceva sottili distinzioni tra precetti grandi, piccoli e minimi. Un'altra ancora sosteneva che tutti erano contenuti nel comandamento dell'amore a Dio e al prossimo: non era quindi il caso di fare distinzioni perché si equivalevano per implicazione. Gesù afferma innanzitutto che l'amore è il cardine della vita nuova inaugurata dal Vangelo: l'amore puro, disinteressato, generoso sta alla base di tutta la vita cristiana. In secondo luogo ribadisce che il comandamento dell'amore riguarda sia Dio che il prossimo. In terzo luogo precisa che il comandamento dell'amore al prossimo è "assomiglianza" di quello dell'amore a Dio: come l'uomo è a somiglianza del Creatore così il secondo comandamento è simile al primo, ne è il riflesso. Nell'insegnamento di Gesù amare sinceramente Dio comporta amare tutti con lo stesso amore misericordioso e gratuito con cui Lui ama. nche la speme, ultima dea, fugge i sepolcri" (Ugo Foscolo). Davvero la speranza è quel bene che ci accompagna solo in vita ma poi ci abbandona nel momento della morte? Non è una questione accademica: ne va di mezzo il senso dell'esistenza umana, della nostra vita e del nostro rapporto con i defunti che oggi commemoriamo. La stessa natura delle cose ci aiuta a pensare che niente è lasciato ad un cieco destino di nullità, di "dispersione" e che piuttosto tutto si trasforma! Ma noi cristiano non possiamo accontentarci di una speranza "naturale", di una speranza generica, collocata in una zona rarefatta del pensiero o del desiderio o del sentimento. Per noi cristiani occorre una speranza fondante e fondata, la speranza che viene e si fonda su Cristo. Dopo la sua morte non è più concessa scelta tra dolore e felicità, ma tra dolore senza senso e senza compenso e felicità raggiunta attraverso il dolore; non tra morte e vita senza morte, ma tra morte senza vita di gloria e gloria nella quale la morte diventa premessa indispensabile di vita eterna. "Tutta la vita deve essere una riflessione sulla morte e allenamento ad affrontarla", ha sentenziato Socrate. La vita di Gesù è stata tutta tesa verso questo momento supremo, vissuto da Lui come la prova massima del Suo amore per gli uomini, e ne è uscito vincitore. I "A