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File - Rosso Pomodoro

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File - Rosso Pomodoro
Expo Milano 2015
A cura degli alunni:
Alessio Parlati 3A
Claudio Mennella 3E
‘Dalle lontane origini
americane ai giorni
nostri’
Cronologia del pomodoro
Tutt’oggi definito “oro rosso”, le origini del pomodoro sono riconducibili alla zona del Centro-Sud America e alla parte
meridionale del Nord America, zona compresa oggi tra i paesi del Messico e Perù. Gli aztechi lo definirono xitomatl, il
termine tomatl indicava vari frutti simili fra loro, in genere sugosi. La salsa di pomodoro divenne parte integrante della cucina
azteca. Alcuni affermarono che il pomodoro aveva proprietà afrodisiache, sarebbe questo il motivo per cui i francesi
anticamente lo definivano pomme d'amour, "pomo d'amore". Questa radice è presente anche in Italia: in certi paesi
dell'interno della Sicilia, è indicato anche col nome di pùma-d'amùri (pomo dell'amore). Si dice che dopo la sua introduzione in
Europa Sir Walter Raleigh avrebbe donato questa piantina carica dei suoi frutti alla Regina Elisabetta, battezzandola col nome
di apples of love (pomo d'amore). La data del suo arrivo in Europa è l'anno 1540, quando lo spagnolo Hernán Cortés rientrò in
patria e ne portò gli esemplari; ma la sua coltivazione e diffusione attese fino alla seconda metà del XVII secolo.
Arriva in Italia solo nel 1596 ma solo più tardi, trovando condizioni climatiche favorevoli nel sud del paese, si ha il viraggio del
suo colore dall'originario e caratteristico colore oro, che diede appunto il nome alla pianta, all'attuale rosso, grazie a selezioni e
innesti successivi. Il pomodoro è un caposaldo della tavola Made in Italy. Compagno immancabile della pasta, ha un sapore
inimitabile, poche calorie ed è ricco di vitamine e sali minerali.
&
Le origini lontane …
Fino a tutto il Rinascimento, le salse, a base di pane, aceto, vino e abbondanti spezie, avevano una uniforme
colorazione bruna. Ma nel corso del Seicento, nella grande cucina di Versailles, grazie allabéchamel e alle sue
applicazioni, i piatti del Re Sole si tingono di bianco, come bianco sarà il condimento degli spaghetti a Napoli,
insaporiti con il Parmigiano grattugiato (“come il cacio sui maccheroni”, si dice) e resi più appetitosi da una
spruzzata di pepe nero, quasi ad imitare il cono del Vesuvio.
Sarà il pomodoro a cambiare – e per sempre – colori, sapori e profumi della cucina di molti Paesi. Un cambiamento,
tuttavia, lento e discreto, che deve il suo esordio all’arrivo della rossa bacca in Europa sulle navi dei conquistatori
spagnoli al seguito di Hernán Cortès (1485-1547) di ritorno dalle Americhe.
La pianta del pomodoro era, infatti, originaria del Perù, ove pare si sia diffusa come infestante fra le piante di mais.
Già tremila anni prima dell’arrivo degli esploratori spagnoli nel Nuovo Mondo, il pomodoro era un alimento diffuso
tra gli Aztechi, e gli abitatori dell’America centrale avevano imparato a coltivarlo, migliorandone progressivamente
la resa, tanto che nel Cinquecento i pomodori costituivano, con il mais e la manioca, una parte predominante della
dieta degli abitatori dell’area compresa tra il Messico ed il Perù.
La storia …
Le prime notizie sul pomodoro, insieme ad alcune ricette di salse facilmente acquistabili già pronte
nel variopinto mercato di Tenochtitlàn, la capitale del regno di Montezuma, sono contenute
nell’Historia general de las cosas de la Nueva España del francescano Padre Bernardino de
Sahagun (giunto nella “Nuova Spagna” nel 1526 con dodici confratelli con il compito di convertire gli
indigeni alla vera fede) che con gusto etnico ed autentico interesse, era andato raccogliendo le
ultime, preziose, testimonianze di una civiltà antica e affascinante, rapidamente snaturata e
spezzata dalle armi e dai pregiudizi dell’Occidente. Le donne Nahua – ricorda Bernardino –
preparavano le loro salse “in questa seguente maniera: aij (peperoncino), pepitas (semi di zucca),
tomatl (pomodoro), chiles verdes (peperoncini verdi piccanti) e altre cose che rendono i sughi molto
saporiti”. Nell’uso quotidiano, il pomodoro veniva utilizzato acerbo e servito a fettine sottilissime,
oppure, maturo, cotto in casseruola per arricchire i piatti a base di pesce o di pollame. Ma l’opera di
Padre Bernardino sarebbe stata pubblicata solo nel 1829 (e per di più in Messico) mentre l’Europa
continuava ad ignorare il potenziale gastronomico del pomodoro.
La novità
I primi esemplari giunti nel Vecchio Continente sulle caravelle spagnole erano di piccole dimensioni e di colore
giallo, che rimase tale fino a tutto il Settecento, tanto che il botanico-gastronomo Vincenzo Corrado (1734-1836),
nel suo Cuoco galante pubblicato per la prima volta a Napoli nel 1773, li descriveva come “frutti” color zafferano.
Il nome di “Pomo d’oro” appariva quasi eccessivo, né convinceva la qualifica di “pomo d’amore” per le presunte
qualità afrodisiache, preferita da Francesi (Pomme d’amour), Britannici (Love apple), Germani (Liebesapfel) e
perfino Siculi (Pumu d’amuri). Sopravviveva il nome originario di “Tomatl” acquisito dalla lingua azteca e molte
lingue e linguaggi europei lo adottarono, ammorbidendolo in “Tomato” e simili, fino ai nostri liguri-piemontesi
“Tomatiche” e al parmigiano “Tomachi”.
Nel Seicento Olivier De Serres (1539-1619), botanico alla Corte di Francia, cita il pomodoro nel suo Trattato di
agricoltura, come una curiosità, gradevole come pianta ornamentale.
Qualcuno cercherà di mangiarne le foglie, ma con riscontri negativi e la gente si convincerà che quei frutti gialli
siano velenosi o causa di malattie (un po’ com’era accaduto per la peraltro benemerita patata). Da qui un rifiuto
che durerà a lungo, tanto che negli Stati Uniti – dove era stato introdotto nel 1781 a Philadelphia da un rifugiato
francese proveniente da Santo Domingo e sostenuto da Thomas Jefferson – si dovrà attendere il 1829 per vederlo
immesso sul mercato alimentare, dopo che nel1802 a Salem, nel Massachussets un pittore di origini italiane aveva
faticosamente dimostrato, mangiando in pubblico un pomodoro, che si trattava di un alimento commestibile.
Il pomodoro in Europa
Sul suolo italico la conquista delle cucine da parte del pomodoro era comunque stata lenta e priva di prove
eclatanti. La citazione più antica è quella dello Scalco alla moderna trattato di Antonio Latini (1642-1696),
cavaliere marchigiano, edito a Napoli nel 1694. Latini riporta una sola ricetta, consigliando di cuocere i
pomodori con “malignane e cocuzze”, melanzane e zucchine, in un appetitoso e colorato stufato di
verdure.
Ricetta pressoché identica si trova, nel 1705, nel Panonto toscano, redatto da Francesco Gaudenzio (16481733), cuoco dei Gesuiti, che propone il misto di verdure in tegame, reso inconfondibile dal rosso dei
pomodori, pelati, spezzettati e soffritti nell’olio. Ancora soffritti in olio, i pomodori nominati da un testo
carnevalesco napoletano del 1743 e, trent’anni più tardi, nel già citato Cuoco galante di Vincenzo Corrado,
trattato di cucina in buona parte vegetariana, che presenta dodici ricette a base di pomodoro: sempre
stufati, ma poi ripieni, fritti e passati in salsa, da servire con carni e pesci. Nessun riferimento, però, alla
pasta asciutta, descritta solo nel 1839 da Ippolito Cavalcanti, duca di Bonvicino, (1787-1859) nella
suaCucina teorico pratica, che codifica, per la prima volta, e in dialetto napoletano, “i vermicielli co’ le
pommodore”, precisando che la salsa deve essere preparata con moltissimi frutti, eliminando “chelli semi
e chella acquiccia”.
Il pomodoro in Italia
L’incontro fra “Maccheroni e Pommarola” è fortunato ma non decisivo: parallelamente alla pasta, il
pomodoro conquista anche la pizza. Nel 1835 Alexandre Dumas (1802-1870) descriveva vari tipi di
pizza, quasi tutti ancora “in bianco”: con olio e aglio, con pesciolini e, variante minore, col pomodoro.
Una ventina d’anni più tardi il napoletano Emanuele Rocco conferma questa ricetta, aggiungendo la
mozzarella, abbinando prosciutto e pomodoro. Alla Corte di Parma, il cuoco di Maria Luigia, Vincenzo
Agnoletti (1776-1826 post), scrive: “I pomodori si preparano in diverse maniere. Sono di diverso
gusto, purché siano rossi e freschissimi”. È del 1840 la famosa ricetta di Niccolò Paganini (1782-1840)
dei ravioli alla genovese con salsa di pomodoro.
Nel 1853 il pomodoro si accredita anche sulle mense ufficiali francesi, allorché compare in svariati
allestimenti e condimenti, in un pranzo di gala offerto dall’imperatrice Eugenia, moglie di Napoleone
III.La conquista si estende ovunque, a segnare di rosso quella che nel 1950 verrà definita “Dieta
Mediterranea”: la Spagna propone, con il Gazpacho, una zuppa fredda con pomodoro e la Provenza fa
delle Tomates un simbolo gastronomico.
Il pomodoro in cucina
Charles Nicolas Appert (1749-1841), pasticciere in Rue de Quincampoix a Parigi, dopo numerosi tentativi, a partire dal 1796 realizza in un
piccolo atélier a Ivry-sur-Seine le prime conserve in vasi di vetro. Due le intuizioni fondamentali: il riscaldamento in acqua bollente e la
chiusura ermetica del vaso in fase di bollitura. Le stesse che aveva individuato alcuni anni prima l'abate Lazzaro Spallanzani (1799-1729) in
Italia, senza peraltro darne particolare diffusione, se non in alcuni scritti dei suoi “Opuscoli” e le stesse indicate dallo svedese K. W. Scheele
per la conservazione dell'aceto (1782).
Ne fa oggetto di una pubblicazione fondamentale, il Livre de tous les ménages, ou l'art de conserver pleusieurs années toutes les substances
animales et végétales del 1804, che apre con un assunto sicuramente ottimistico: “Con questo processo, Vi sarà possibile trasferire nella
vostra cantina tutto quanto il vostro orto produce in primavera, in estate e in autunno e dopo parecchi anni Voi troverete i vostri alimenti
vegetali ancora buoni e sani come quando li avete raccolti e con una certa preveggenza potrete premunirvi per eventuali periodi di indigenza e
carestia” e si aggiudica il premio di 12.000 franchi messo in palio dal Direttorio francese per chi avesse presentato il miglior progetto per la
fornitura di alimenti conservati all'esercito francese. Nello stesso anno apre la prima fabbrica di conserve a Massy, nella banlieue parigina e i
fagioli e i piselli in scatola della ditta Appert sono utilizzati con successo dal presidio militare del porto di Brest.Appert aveva compiuto una
ricerca attentissima e molto laboriosa presso vetrerie, fabbricanti di tappi di sughero e di collanti per trovare i materiali idonei a sopportare il
calore, le pressioni interne e a resistere all'acqua: la ricerca fu proficua, ma la sua tecnica rimase comunque laboriosa, scomoda e con
evidenti, gravi limitazioni ad una diffusione di ampie proporzioni.
Negli stessi anni (1810) proprio in Inghilterra Peter Durand presentava il brevetto per un metodo di conservazione degli alimenti mediante
riscaldamento entro recipienti di latta e viene oggi riconosciuto come l'inventore delle scatole in banda stagnata. L’inglese Yates, intanto,
brevetta nel 1855 il primo modello di apriscatole.In Italia i nomi di spicco ai quali fa riferimento l'industria conserviera della seconda metà
dell'Ottocento sono sicuramenteFrancesco Cirio (1836-1900) e Pietro Sada. Il primo nel 1856 apriva a Torino la prima fabbrica di piselli in
scatola, seguita nel 1875 dal primo impianto per la lavorazione industriale di pomodoro in Campania, grazie all’impegno del tecnico
parmigiano Lamberto Gandini e dell'industriale locale Pietro Rovetta, mentre il secondo nel 1881 impiantava a Crescenzago la prima fabbrica
di conserve di carne. Per Cirio “modesto figlio del popolo, ardimentoso suscitatore di energie nei commerci e nelle industrie agricole nazionali”,
si è trattato di un lungo peregrinare al Nord e al Sud d'Italia quasi per diffondere la nuova frontiera della scatoletta e quando nel 1900 egli
muore, sul territorio nazionale le fabbriche di conserve sono ormai alcune centinaia.
Ai primi del Novecento, con l'utilizzo delle boules e dei concentratori, si giungerà alla più conveniente e sicura produzione sottovuoto. I
derivati del pomodoro che vantano la più antica tradizione produttiva sono i pelati e il concentrato, a cui si sarebbero aggiunti, col tempo, altri
prodotti, come la polpa pronta, le passate e i sughi.
… e la sua storia
Alla fine dell’Ottocento in provincia di Parma Carlo Rognoni(1829-1904), che era egli stesso coltivatore nel suo podere
la Mamiana di Panocchia, studiò per primo il pomodoro e la sua coltivazione, la sperimentò con la collaborazione di un
bravo agricoltore di Vigatto, certo Giuseppe Ferrari, ne ricavò la qualità più adatta, chiamata Ladino di Panocchia, ne
portò la coltura in pieno campo e l'introdusse nella rotazione agraria biennale in associazione al granturco o al
frumento negli appezzamenti ricchi di acque per l'irrigazione. Le pianticelle venivano coltivate in filari di paletti,
detti porche, con filo di ferro di sostegno, sistema chiamato alla genovese, rimasto in uso a lungo finché non venne
soppiantato dall'utilizzo di mezzi meccanici. Parallele sperimentazioni avvenivano nel podere dell'Istituto Tecnico, sulla
strada di Mariano, oggi via Bizzozero, e il loro esito economico veniva periodicamente pubblicato da Rognoni. Lo stesso
nel 1874 fondò una società di agricoltori per la preparazione della conserva di pomodoro. Nel settembre 1876 Rognoni
ottenne la medaglia d'argento nel Concorso Agricolo Regionale di Reggio Emilia e lusinghiere parole di lode quale
“precursore e apostolo” della coltivazione del pomodoro. Fondò anche il Bollettino del Comizio Agrario Parmense quale
veicolo di diffusione delle sue esperienze ed innovazioni agronomiche e lo diresse dal 1870 fino al 1902. All'Esposizione
Universale di Parigi del 1878 il Comizio Agrario presentò conserva e salsa di pomodoro in pani e in vasi di cristallo. Nel
1894 Rognoni propose un progetto di legge al Ministero di Agricoltura Industria e Commercio per la tutela della
fabbricazione e della vendita delle conserve e salse di pomodoro per impedirne la contraffazione.
La coltivazione
Secondo i dati ministeriali, nel 1890 erano attivi in provincia di Parma 16 opifici, che disponevano
complessivamente di 35 caldaie a fuoco diretto e occupavano 76 operai (59 uomini e 17 donne) producendo
mediamente 535 quintali di conserva nera in pani all'anno. La lavorazione avveniva introducendo i pomodori in
sacchi di tela, che venivano schiacciati sotto una rudimentale pressa azionata a mano per eliminare il liquido. La
polpa veniva passata nei bigonci attraverso grandi setacci di rame, quindi bollita sul fuoco a legna, rimescolandola
con lunghe pale di legno, infine veniva fatta asciugare al sole, e confezionata in pani.
All'inizio del secolo le tecniche si affinarono con l'introduzione delle caldaie a vapore o boules, importate dapprima
dalla Francia e poi prodotte sul posto dalle industrie meccaniche parmensi, per cui la bollitura avveniva sotto vuoto e
la conserva veniva inscatolata in lattine: ciò richiedeva, di conseguenza, una maggiore disponibilità finanziaria da
parte delle industrie.
Le aziende che negli ultimi decenni dell'Ottocento e nei primi anni del Novecento producevano conserva di
pomodoro in pani erano in tutto una quarantina, molte delle quali avrebbero avuto vita breve, scomparendo con
l’introduzione delle nuove tecnologie.
Secondo le rilevazioni della Camera di Commercio, nel 1893 nella provincia di Parma risultavano iscritte 4 imprese
che trasformavano il pomodoro in estratto, nel 1894 tale numero saliva a 5 e nel 1895 se ne trovavano iscritte 7.
I dati di fine ottocento…
Nel 1912, al termine di trent'anni di sviluppo, l'industria conserviera parmigiana offriva, attraverso i dati della
Camera di Commercio, l'immagine di un gigante economico: 61 stabilimenti, appartenenti a 59 imprenditori
individuali o società, trasformavano, mediante 229 impianti sottovuoto, 1,5 milioni di quintali di pomodoro, pagati
agli agricoltori 7 lire al quintale – il prezzo più elevato che si registri nel Paese – distribuendo nelle campagne 12
milioni. Offrivano lavoro, per 50 giorni, a tremila persone, erogando 600.000 lire in salari, consumavano 20 mila
tonnellate di carbone, equivalenti a un milione di lire. Al prezzo medio di 100 lire al quintale – il prezzo del prodotto
in fusti – i 200 mila quintali di concentrato prodotto sommavano introiti per 20 milioni di lire. Negli anni successivi la
produzione oscillerà, mantenendo peraltro l'offerta troppo alta rispetto alla domanda, e ciò provocherà una forte
crisi che perdurerà fino alla fine della prima guerra mondiale.Negli anni Trenta, superata la crisi, Parma aveva
raggiunto e teneva saldamente la leadership in tutti e tre i segmenti dell'industria del concentrato di pomodoro: la
produzione agricola, la trasformazione e l'industria meccanica connessa. La Stazione Sperimentale, sorta il 2 luglio
1922 (a sancire un primato che la città aveva conquistato a partire dal decennio precedente) per iniziativa di
Comune, Provincia, Consorzio Industriali, Cassa di Risparmio, Banca dell'Associazione Agraria, Camera di Commercio
e grazie all'impegno di Giuseppe Micheli (1874-1948), uomo politico parmigiano di area cattolica, di Antonio
Bizzozero, tecnico agrario direttore della Cattedra Ambulante di Agricoltura, aveva il compito di innovare e
accrescere ulteriormente il comparto e di “promuovere con indagini, studi, ricerche, analisi, il progresso tecnico
dell'industria conserviera e di curare il perfezionamento del personale tecnico addetto alla stessa industria”. L’Italia
proprio in quegli anni si qualificava come la prima esportatrice mondiale di alimenti conservati e di concentrati di
pomodoro.
… e del novecento
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