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lez.3.ilprocessodellavoro2
Lezione 2/3
L’introduzione, l’udienza di discussione e
l’istruttoria
Anno accademico
2012/2013
Il ricorso
Come già verificato nel primo modulo, la
tecnica introduttiva del rito del lavoro, come
di tutti i riti speciali a cognizione piena. È
quella del ricorso, che implica un immediato
contatto dell’attore con il giudice e solo una
successiva notifica di copia del pedissequo
decreto al convenuto e scompone gli oneri
formali della formulazione della domanda in
capo all’attore e della evocazione in giudizio in
capo al giudice.
Preclusioni
L’attore, che domina anche per i principi
generali la domanda, per la coincidenza delle
preclusioni a tutto tondo (domanda,
allegazioni e prove), deve esaurire tutte le sue
difese nel ricorso (l’art. 414 non chiarisce
dall’aspetto ma lo si desume con asimmetria
rispetto alla previsione espressa prevista per il
convenuto ex art. 416 c.p.c.)
Nullità della domanda
Se la mancata allegazione del fatto impedisce
l’identificazione del diritto e quindi la
individuazione della domanda, è applicabile l’art.
164 sulla sanatoria mediante rinnovazione;
qualora invece il diritto è identificato, ma manca
una corretta allegazione dei fatti costitutivi del
diritto medesimo (ad esempio nei diritti
autoindividuati), tale difettosa allegazione non
può più essere integrata nel prosieguo del
processo per la preclusione maturata e provoca il
rigetto nel merito.
Deposito e notifica
Ai sensi dell’art. 415 c.p.c. il ricorso viene
depositato, il giudice dispone l’udienza con
decreto in calce al suo originale, copia di
ricorso e decreto devono essere notificati al
convenuto in modo da consentire al
medesimo di fruire di un termine minimo a
difesa di 30 giorni.
Memoria difensiva del convenuto
L’art. 416 precisa al contrario che il convenuto
nella memoria di costituzione, da depositare
10 giorni anteriori all’udienza, deve formulare
le domande, chiamare terzi in causa,
formulare le eccezioni riservate alla parte,
dedurre i mezzi di prova a pena di decadenza
all’interno del primo atto.
Le mere difese
L’art. 416 c.p.c chiarisce inoltre che il
convenuto deve prendere posizione con
precisione sui fatti allegati dall’attore.
La disposizione si spiega oggi alla luce dell’art.
115 c.p.c., laddove la mancata contestazione
specifica dei fatti, li rende pacifici, ed esonera
dalla prova la parte che li ha allegati.
Non esistono tuttavia preclusioni alle mere
difese.
Domanda riconvenzionale, art. 418
c.p.c.
Ai sensi dell’art. 418 c.p.c. non è sufficiente che la domanda
riconvenzionale sia contenuta in memoria di costituzione,
ma a pena di decadenza della domanda, deve contenere
istanza al giudice per il differimento di udienza, con un
termine dilatorio per l’attore di 25 giorni (dalla
notificazione di memoria e domanda all’udienza).
La notifica di memoria con domanda riconvenzionale è
effettuata dall’ufficio all’attore.
Attraverso il differimento dell’udienza si consente all’attore
di difendersi e replicare alla domanda riconvenzionale del
convenuto mediante memoria da depositarsi 10 giorni
anteriori.
Chiamata di terzo in causa
Anche la chiamata di terzo in causa, deve
essere inserita nella memoria di costituzione
del convenuto oppure dedotta dall’attore in
replica alle eccezioni del convenuto in
udienza, essa provoca all’udienza medesima,
un differimento per la chiamata con
notificazione del provvedimento e del ricorso
introduttivo e dell’atto di costituzione del
convenuto, operata di ufficio (art. 420, 9°
comma c.p.c.)
Intervento volontario del terzo
Differentemente dall’art. 268 c.p.c., l’intervento del
terzo non può avvenire oltre il termini per la
costituzione del convenuto e quindi 10 giorni anteriori
all’udienza, nella forma della memoria di costituzione
depositata in cancelleria.
Per simmetria la Corte costituzionale con sentenza n.
193 del 1983 ha dichiarato incostituzionale la norma
laddove non prevede la necessità che il terzo proponga
istanza di differimento di udienza, con facoltà delle
parti originarie di replicare, con memoria da depositare
10 giorni prima della nuova udienza.
Intervento volontario del litisconsorte
necessario
Ovviamente l’intervento volontario per sanare
il vizio di pretermissione del litisconsorzio
necessario non è soggetto a termine, può
avvenire in ogni momento e consente al
litisconsorte necessario la piena fruizione di
tutti i poteri difensivi, ancorché le parti siano
decadute.
L’intervento volontario delle
organizzazioni sindacali
Le organizzazioni sindacali che abbiano sottoscritto
contratti o accordi collettivi in materia del pubblico
impiego laddove vi sia questione sull’efficacia, validità
e interpretazione delle clausole della fonte collettiva,
possono intervenire volontariamente in causa, avendo
interesse ad una certa applicazione e/o
interpretazione.
Attraverso tale intervento si valorizza l’interesse del
sindacato alla corretta applicazione della fonte
collettiva, pur non essendo il sindacato titolare di diritti
neppure connessi in senso lato con quello dedotto.
Il rilievo del simultaneus processus nel
rito del lavoro
La connessione impropria ovvero per identità
di questioni tra più cause di lavoro (c.d. cause
seriali) favorisce il simultaneus processus nel
rito del lavoro mediante l’istituto della
riunione ex art. 151, disp. att. c.p.c., salvo il
ritardo eccessivo del processo.
Trattasi di istituto affine, per evidenti
questioni di nomofilachia con l’intervento
volontario delle associazioni sindacali in causa.
l’art. 420 - bis
Questa funzione di nomofilachia giunge a
consentire un impugnativa immediata innanzi
alla Corte di cassazione delle sentenze
interpretative del giudice sulle clausole del
contratto collettivo.
L’udienza di discussione
La denominazione usata dal legislatore
costituisce un evidente auspicio che l’udienza
di trattazione coincida con l’udienza di
discussione finale, ma trattasi di un evidente
astratta ipotesi, poiché essa coincide piuttosto
con una vera e propria udienza di trattazione
Nova in udienza
Ai sensi dell’art. 420, 1° comma c.p.c., solo se
“ricorrono gravi motivi” la parte è facoltizzata a
modificare domande, eccezioni e conclusioni,
previa autorizzazione del giudice.
Sulla base della lettera della disposizione:
a) E’ consentito solo uno ius poenitendi;
b) Detto ius penitendi è consentito su
autorizzazione del giudice e dato al giudice un
potere discrezionale non vincolato (“gravi
motivi”)
Interpretazione sistematica e
costituzionalmente orientata
Si rende evidentemente necessario un
coordinamento della norma con il
contraddittorio il quale impone: a) non una
semplice modifica delle difese, ma la
introduzione di nuove difese; b) un potere
vincolato e non discrezionale del giudice nel
consentire la riapertura.
Contraddizione rispetto alle domande
Quando la difesa a cui contravviene la domanda, la
replica è facilitata dal differimento di udienza,
ovvero domanda riconvenzionale, chiamata di
terzo e domanda di terzo per intervento
volontario provocano il differimento, con
possibilità di replica con memoria 10 giorni prima
dell’udienza.
Non vi sono perciò problemi interpretativi.
Contraddizione rispetto alle prove
L’art. 420, 5° e 6° comma c.p.c., consente alla
parte il pieno esprimersi di un contraddittorio
rispetto alle prove, all’udienza in replica
oppure entro il termine perentorio successivo
con differimento di udienza.
Contraddizione rispetto alle eccezioni
Il problema si pone evidentemente per le
eccezioni ove: a) non è previsto il differimento di
udienza; b) è letteralmente consentita e in via
discrezionale esclusivamente una modifica.
E’ necessario intervenire mediante
interpretazione sistematica e preveder il diritto
della pienezza delle repliche alla eccezione con
domande e contro eccezioni, da effettuare a
verbale di udienza e trattasi di autorizzazione non
discrezionale ma dovuta (facendo leva sulla
elasticità del concetto “gravi motivi”)
Ius poenitendi
Lo ius poenitendi, in termini di mera modifica
delle domande, eccezioni e conclusioni, non di
difese innovative, è consentito all’udienza solo
previa autorizzazione discrezionale del
giudice: si applica la lettera dell’art. 420, 1°
comma c.p.c.
La contraddizione rispetto alle
iniziative d’ufficio
Il giudice non ha limiti temporali alla
rilevazione delle questioni (questioni di merito
e questioni di irto) e all’esercizio dei poteri
istruttori, particolarmente accentuati nel rito
del lavoro ex art. 421, 2° comma c.p.c.
Ciò implica un problema di contraddittorio,
oggi risolto in modo definitivo dall’art. 101, 2°
comma c.p.c.: termine alle parti per lo
scambio di memorie in replica.
La rimessione in termini
Il mancato richiamo espresso ad una
rimessione in termini, non esclude oggi la sua
applicabilità al rito del lavoro, per la semplice
ragione che il principio è oggi trasmigrato
nell’art. 153, 2° comma c.p.c. il quale da
generale valenza al principio.
L’interrogatorio libero e tentativo di
conciliazione
Alla udienza dell’art. 420 c.p.c., deve tenersi
obbligatoriamente un tentativo di conciliazione e un
interrogatorio libero delle parti. Tali adempimenti sono
stati ritenuti talmente rilevanti da ritenere nullo il
processo del lavoro privo di tali attività. A rafforzare tali
attività, l’ingiustificata mancata comparizione delle
parti integra comportamento valutabile ai fini del
merito (la legge n. 183 del 2010 ha reso obbligatoria
una proposta transattiva del giudice, sanzionando
l’ingiustificato comportamento delle parti nella
mancata adesione alla transazione, ponendo il giudice
sulla china rischiosa della ricusazione, art. 51 n. 4
c.p.c.)
L’interrogatorio libero
L’interrogatorio libero ha dimostrato
un’evidente utilità nel rito del lavoro (nel rito
ordinario è discrezionale per il giudice e si
dispone esclusivamente su istanza congiunta
delle parti, quindi non viene mai fatto) per
verificare quali siano i fatti veramente
controversi, sulla base delle dichiarazioni delle
parti e a chiarimento dei fatti (l’interrogatorio
libero non è una prova e su di esso non può
fondarsi la decisione).
Chiamata del terzo
La chiamata del terzo in causa ad iniziativa di
parte (da parte dell’attore in replica alle
eccezioni del convenuto) o ad iniziativa del
giudice ex art. 107 c.p.c., può essere disposto
all’udienza con rinvio della medesima,
provvedimento alla chiamata l’ufficio (art.
420, penultimo comma, c.p.c.). Il terzo
chiamato si costituirà entro 10 gironi dalla
udienza.
Questioni pregiudiziali e preliminari
Come ai sensi dell’art. 187 c.p.c. (necessità di
superare il letterale riferimento del 4° comma,
art. 420 c.p.c. alle sole questioni pregiudiziali),
sia le questioni pregiudiziali che le questioni di
merito consentono al giudice di invitare le
parti alle conclusioni, alla discussione e alla
pronuncia della sentenza mediante lettura del
dispositivo.
Provvedimenti ammissivi della prova
Il giudice del lavoro deve passare al vaglio di
un giudizio di rilevanza (fatti principali
estintivi, impeditivi e modificativi; fatti
secondari necessari come presupposti della
prova indiziaria) e di ammissibilità, quanto a
quest’ultimo giudizio con le variazioni, che tra
poco vedremo, in ordine a quanto stabilito
nell’art. 421, 2° comma c.p.c.
Poteri istruttori del giudice
Tuttavia il giudice, nel rito del lavoro ed
esclusivamente in esso, ai sensi dell’art. 421, 2°
comma c.p.c., può disporre d’ufficio di qualsiasi
mezzo di prova.
L’espressione sembra contraddire il contrario
principio dell’art. 115, 1° comma c.p.c., ma in
realtà è ad esso conseguente, sia perché si tratta
di ipotesi legislativamente prevista, sia perché
l’intento programmatico del legislatore appare
tutt’altro che confermato in concreto.
Poteri rispetto alla prova testimoniale
L’accentuazione originaria dei poteri di
iniziativa rispetto alla prova testimoniale, non
solo nei casi di testimonianza de relato o di
confronto tra testimoni, è venuta meno
quando, con la introduzione del giudice unico
si è novellato il codice di procedura civile
prevedendosi un’iniziativa anche del giudice
monocratico in ordine alla prova testimoniale,
anche in relazione alle persone a cui si sono
riferite nei loro atti le parti (art. 281 ter c.p.c.)
segue
E’ evidente che il giudice del lavoro non può
certo conoscere per scienza privata il nome
dei testimoni e quindi dovrà basare le sue
conoscenze sugli atti di parte e, pertanto, non
vi è più alcuna differenza tra rito ordinario e
rito del lavoro.
Il potere ispettivo
Anzi esiste un tipo di prova che evidenzia una
riduzione dei poteri istruttori del giudice del
lavoro: l’accesso sul luogo di lavoro necessita
di istanza di parte, mentre l’ispezione, che
costituisce l’omologo del rito ordinario, è
potere officioso (art. 118 c.p.c.)
La deroga ai limiti di ammissibilità
della prova
Si deve tuttavia dire che un’accentuazione dei
poteri emerge nel superamento dei limiti di
ammissibilità della prova dettati nel codice
civile e nel codice di rito.
a) I limiti del codice civile
a) quanto ai primi, tuttavia, è da osservare che
sono superabili solo quelli aventi ratio
processuale (prevalere della prova
documentale sulla prova testimoniale: artt.
2721, 2722, 2723 e 2724 c.c., ove i criteri di
ammissibilità riservati alla legge sono lasciati
alla discrezionalità del giudice), mentre non
sono superabili i limiti di natura sostanziale
come la forma scritta ab sustantiam e ab
probationem
b) i limiti del codice di rito
Sono superabili anche i limiti del codice di rito
in relazione alle persone incapaci art. 246 o a
cui è limitata la testimonianza art. 247 c.p.c.
In tal caso, tuttavia, non sarà acquisita una
vera e propria prova su cui fondare la
decisione, ma un semplice argomento di
prova, tanto che il legislatore qualifica dette
prove testimoniali come interrogatorio libero
Ulteriore prova tipica
Il legislatore all’art. 425 disciplina una prova tipica
ignota nel rito ordinario, costituita dalle informazioni e
osservazioni alle associazioni sindacali:
a) su istanza di parte l’associazione può intervenire
volontariamente per rendere informazioni (si tratta di
un intervento che assomiglia molto ad un intervento
volontario poiché all’associazione è data la possibilità
di dire la propria opinione sull’interpretazione della
fonte collettiva);
b) In questo modo il giudice può anche acquisire il testo
dei contratti collettivi di lavoro.
Tempo di esercizio dei poteri del
giudice
Il giudice esercita in ogni tempo i suoi poteri
istruttori, fatta salva – ma non chiarita nell’art.
421, 2° comma che richiama solo il 6° comma
dell’art. 420 e non più propriamente il 7°
comma – la facoltà delle parti di contraddire,
oggi per la valenza generale ai sensi dell’art.
101, 2° comma c.p.c.
L’incidenza dei poteri istruttori del giudice
sulla regola dell’onere della prova
Nonostante l’accentuazione dei poteri
istruttori, al termine del giudizio
l’accertamento del fatto si conduce sulla base
della regola finale del giudizio dettata dall’art.
2697 c.c., che non viene derogata dal punto di
vista oggettivo (è solo attenuata dal punto di
vista soggettivo in forza dell’accentuazione dei
poteri istruttori del giudice che alleviano
l’onere dei soggetti del processo)
Potere istruttorio e prova tardiva
Il giudice non può disporre d’ufficio la prova
allo scopo di rimettere nei termini la parte
decaduta, poiché il provvedimento che
dispone la prova sarebbe inficiato di nullità
per essere ipotesi di riammissione nei termini
della parte fuori dai casi di cui all’art. 153, 2°
comma c.p.c.
Il giuramento
L’art. 421 fa sempre salva la facoltà delle parti di
deferire il giuramento decisorio e la facoltà è fatta salva
pure in appello nell’art. 437, 2° comma c.p.c.; dalla
disposizione due indicazioni:
a) Il processo del lavoro non è un processo su situazioni
indisponibili, ma su situazioni assoggettate ad un
regime inderogabile (arg. ex art. 2113 c.c.);
b) Il giuramento non è una prova, quindi non è soggetta
a decadenze, è semplicemente un modo con il quale
le parti dispongono del diritto controverso,
rimettendo nelle mani dell’altra parte la decisione
della causa.
Il controllo dei poteri istruttori del
giudice
Il controllo dei poteri istruttori del giudice del
lavoro in primo grado, può essere operato in
appello in virtù dei poteri sostitutivi del
giudice d’appello che può ammetter prove
nuove ancorché indispensabili; non potrà
essere controllata in Cassazione né per motivi
di legittimità, né per vizio di motivazione,
ipotesi oggi abrogata dalla legge n. 134 del
2012.
Le prove documentali
Per molto tempo la giurisprudenza del lavoro
ritenendo che l’acquisizione della prova
documentale non alterasse i tempi del
processo, ha ritenuto non soggetta a
decadenze tale tipologia di prove. A partire
dall’aprile del 2005 con alcune pronunce del
giudice di legittimità si è esteso il regime delle
decadenze anche alle prove documentali, oggi
il profilo è riconsciuto espressamente dalla
legge
Regole di assunzione
Le regole di assunzione della prova sono le
stesse del rito ordinario, salvo che la prova sia
una prova tipica del rito del lavoro regolata
autonomamente.
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