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l`informatore brassicolo
18 DICEMBRE 2015
“
NEWSLETTER N°03
L’INFORMATORE BRASSICOLO
Newsletter a cura de “Il Forum Della Birra”
TRIPLE CHOCOLATE STOUT
”
DIACETILE
(Dark Side of the Moon)
Secondo appuntamento sui difetti
delle birre o meglio sugli “off flavour”
che si possono riscontrare
NORMATIVA IGA
Facciamo un pò di chiarezza...
NOEL E WINTER ALE
Le birre di Natale non esistono!!!
Fermentis K97
Abbiamo testato il nuovo Fermentis K97
Metabisolfito di potassio
Lasciamolo al mondo del vino, grazie!!
Impianto di spillatura con i fustini da 5 litri
Giuda passo passo su come collegare i fustini ad un impianto di spillatura pro...
LE BIRRE DI NATALE NON ESISTONO...
Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke
LBrowser => BJCP2015=>Open File=>
Search “NOEL”….. waiting…… NOT FOUND
Panicooooo… Le Noel o birre di natale
non esistono.
Nel Beer Judge Certification Program o
meglio conosciuto come BJCP le birre di
natale o noel non sono catalogate e
quindi teoricamente non sono
contemplate e per i seguaci accaniti
della Bibbia birraria tale bevanda
fermentata non esiste e non dovrebbe
neanche essere immaginata.
Noi non siamo puristi ma comuni
appassionati e bevitori di birra e forse non
ci siamo mai posti il problema di andare a
vedere se le noel fossero catalogate o se
ci fossero delle linee guida da seguire per
poterle fare in casa. Fatto sta che tali birre
con l’arrivo del periodo natalizio vengono
prese di assalto. Potete voi immaginare
una tavola natalizia di un qualsiasi
homebrewer senza una birra a tema? Di
certo non può non esserci e di
conseguenza passati i postumi della
befana chi è stato stregato da questa
cervogia sicuramente si metterà all’opera
cercando di replicare quelle che ha
degustato per poi chiedere in giro :”senti
ma quante spezie ci devo mettere e
quale lievito o malti?”
tiratura limitata, e possono considerarsi
una sorta di birre “vintage” o d’annata dal
momento che difficilmente si
ripresentano al mercato perfettamente
uguali a quelle dell’anno precedente
oppure viene proposta una versione
differente con delle variazioni in ricetta
come il caso della Anchor christmas ale.
chiamata Our Special Ale. La particolarità
di questa birra è che ogni anno viene
usato un mix di spezie diverso e che la
ricetta viene gelosamente tenuta segreta.
Sull’etichetta inoltre viene raffigurato ogni
anno un abete diverso. Questa birra ha
avuto sicuramente un ruolo importante
nell’inserire e sviluppare nella cultura
birraria artigianale Americana la
tradizione di brassare le Christmas Ale.
Comunque il Belgio è il massimo
esponente delle Noel e nel periodo
prenatalizio c’è il consueto
Kerstbierfestival o festa delle birre di Natale
che si tiene ad Essen a poca distanza da
Anversa nelle fiandre dove per il 2015 si
prevedono ben 150 birre belga invernali e
natalizie.
Prima di addentrarci nello specifico
vediamo un pò di storia e da dove sono
uscite fuori queste birre.
Le Birre di Natale
sono un’antica
tradizione di alcune regioni del Nord
Europa in modo particolare si sono diffuse
in Belgio dagli inizi del 1800. Erano nate
come birre da degustare in famiglia (del
birraio) e visto il gradimento
successivamente sono state fatte da
donare ai dipendenti del birrificio che a
loro volta le hanno usate come regali
natalizi, d’altronde chiunque abbia un
amico che lavora in birrificio chiederebbe
birra “speciale” come regalo.
Le Noel possono rientrare tranquillamente
nel calderone delle birre stagionali, a
Pagina 01
Ogni anno, dal 1975, la Anchor Brewing di
San Francisco produce una birra natalizia
Pagina 02
LE BIRRE DI NATALE NON ESISTONO...
Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke
Come sono?
Oggi possiamo dire che qualsiasi birrificio
si produce una birra per le feste o noel
editiot o special edition e come abbiamo
accennato non esiste uno stile a cui
ricondurle pertanto si può andare dalle
Trippel belgha alle Old Ale inglesi, dalle
birre con la semplice aggiunta di miele o
spezie a birre che sembrano minestroni
nel senso che sono talmente complesse e
ricche di malti ed ingredienti vari.
Alla fine essendo delle Stagionali o delle
libere interpretazioni possono essere
definite pura follia del birraio quasi senza
freni. L’unica cosa che le accomuna è, in
genere, che con i primi freddi e con le
prime luminarie tutti i birrifici tirano fuori le
loro birre strong o più alcoliche.
Le Birre di Natale sono quasi sempre birre
ad elevata gradazione (dai 7 ai 10 gradi
alcolici), adatte alle rigide temperature
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invernali ma soprattutto alle abbondanti
cene o mangiate che si fanno nel periodo
festivo. Quindi il gusto è sovente speziato,
con note di frutta, secca o candita, ed
evidenti sentori dolci. Queste
caratteristiche rendono queste birre
idonee all’abbinamento ai piatti agrodolci, Si tratta di caratteristiche che
rendono queste birre molto adatte in
abbinamento ai piatti agrodolci tipici
della tradizione del nord europa come le
carni di cervo e di capriolo guarnite con
confetture e salse a base di mirtilli ed altri
piccoli frutti di bosco. Si sposano bene
anche con i dolci e con alcuni formaggi
aromatici, come gorgonzola, roquefort o
stilton oppure si possono abbinare anche
a formaggi particolari come i caciocavalli
invecchiati nel fieno o nelle botti con
grano o a caciotte conciate dove
quest’ultima conferisce al formaggio note
pepate e vinose.
Considerazioni personali:
Abbiamo detto che sono birre alcoliche,
che non sono inquadrate in uno stile
specifico, che possono essere usate
spezie o miele o altri ingredienti che
richiamano le dolci sensazioni ed i profumi
del natale e che ogni birraio si diverte
creando la propria noel.
Personalmente una Noel
per essere
definita tale deve farti capire che il natale
è arrivato facendo ritornare alla mente
quei profumi e sensazioni che si trovano
nel periodo freddo ed avvolgerti in un
caldo e morbido abbraccio. Da amante
delle IPA luppolate mi sono già messo
all’opera ed in questi giorni ho in
fermentazione una Brown Imperial Ipa di
circa 10°% di alcool che sarà pronta per
scaldare il prossimo natale...
Non vi resta che mettervi all’opera!!!
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TRIPLE CHOCOLATE STOUT (Dark Side of the Moon)
Di Antonio Garofalo - Golden Turtle
Di svariate cotte effettuate, una di quelle
che ha prodotto una birra che mi ha
conferito maggiori soddisfazioni al palato
ed all’olfatto, facendomi ricevere diversi
apprezzamenti da parte di amanti della
cervogia, è stata la mia Dark Side of the
Moon, in etichetta DSM, anagramma
anche del dimetil-solfuro (DMS),
responsabile dell’aroma di vegetali cotti o
mais in scatola. Essa è nata dalla mia
voglia di sperimentare e trovare soluzioni a
comuni problemi che possiamo
incontrare circa alcune tecniche
brassicole e l ’uso di determinati
ingredienti.
Dopo aver “degustato” (ma credo che chi
mi conosce
sostituirà “bevuto” al
degustato) diverse double chocolate di
vari birrifici, tra cui Young’s e Rogue, ho
deciso di cimentarmi anche io in una
chocolate stout.
Penso agli ingredienti base, e man mano
costruisco la struttura della ricetta,
ovviamente nella mia testa già penso a
come usare il cacao in polvere e la
granella di fave di cacao. Come ben si sa
il cacao contiene una notevole parte
grassa che come sappiamo è un nemico
della formazione di schiuma, al pari ad
esempio dei brillantanti o detersivi che si
usano per lavare i bicchieri.
Era una giornata abbastanza fredda e
mia moglie si accinge a cucinare del
brodo di carne, e come molte volte ha
fatto ed ho visto, senza avere particolare
interesse da parte mia, almeno fino a
quell’istante, raffredda il suo brodo per
togliere il grasso…….e mi si illumina la
lampadina……
Pagina 05
Perché non usare una barretta di
cioccolato usando questa tecnica per
eliminare il burro di cacao nella mia
double chocolate?
Magari sarà una “Triple” e non una Double
Chocolate.
Mi procuro una barretta di cioccolato al
90%, non son riuscito a trovarne una al
99%, e la faccio sciogliere totalmente in
poco più di 500 ml di acqua calda,
dopodichè agito con un cucchiaino,
verso in un contenitore stretto e faccio
raffreddare il tutto, metto il tutto nel frigo
coperto da una pellicola e dopo un
giorno vedo con soddisfazione che il
grasso è affiorato in superficie.
Con un cucchiaino elimino buona parte
del grasso dalla superficie, mi accorgo
però che non è semplice eliminarlo del
tutto in quanto si allontana dal
cucchiaino.
Penso all'ennesima soluzione: prelevo solo
la parte inferiore con un qualcosa che
aspira?
Tipo una siringa?
Oppure metto in freezer e congelo tutto
grattando la superficie?
Opto per la seconda ipotesi, anche
perché ci sarebbe voluto molto tempo al
giorno della cotta e così facendo potevo
conservare tranquillamente il mio liquido
al cioccolato!
Arriva il giorno tanto atteso, solito
procedimento:
m a c i n a z i o n e d e i m a l t i, m a s h ,
misurazione ph (5,2), e così via.
A fine mash, filtro e faccio il mio buon
sparge (fly), arrivati alla densità voluta inizio
la bollitura. Solite gittate di luppolo, ed
arrivati a 10 minuti dalla fine della bollitura
immetto nel mosto inebriante il cacao in
polvere facendo attenzione a non far fare
grumi; a 0’ metto il liquido al cioccolato.
Procedo al whirlpool per la maggior parte
delle particelle in sospensione nel mosto,
attendo una decina di minuti che si crei il
cono di particelle nella zona centrale
della pentola a fine vortice e inizio il
raffreddamento attraverso il mio
scambiatore.
Misuro la OG, circa 1.060, ossigeno per
bene il mosto ormai raffreddato e inoculo
il lievito.
Dopo una settimana procedo al
trasferimento in altro fermentatore e
immetto nel liquido, già con odore di
cioccolato, la granella di fave di cacao,
che avevo sterilizzato in autoclave
(fortuna di lavorare in ospedale!!!)
Per la sterilizzazione delle fave di cacao si
può procedere anche immergendo per
qualche giorno la granella in poca vodka
e versando il tutto poi nel mosto.
Lascio il tutto per una decina di giorni ed
imbottiglio con l’aggiunta di 3,5 gr/l di
zucchero.
Il risultato è stato notevole...oltre ad aver
ottenuto una birra con caratteristiche
organolettiche che mi hanno soddisfatto,
sin dai primi assaggi ho constatato
un'ottima formazione e persistenza di
schiuma, segno tangibile che la
“scrematura” del grasso ha funzionato.
Di seguito la ricetta (per 25 litri):
OG 1,057 IBU 31,8 EBC 74,2 Alc. 6,2%
Pale Malt 4,2 kg
Fiocchi di avena 0,5 kg
Special B 0,4 kg
Chocolate 0,3 kg
Carafa III 0,2 kg
Crystal Dark 0,2 kg
Lattosio 0,35 kg
EKG 50g x 60 min
EKG 20g x 30 min
Cacao in polvere 170g a 10 min
Tavoletta cioccolato (90%) 100g a 0 min
Granelle di fave di cacao 100g in
secondaria Lievito Fermentis Us-05
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Focus: Fermentis K97
Di Vincenzo Follino - Thiell
Da qualche mese si è reso disponibile
presso i rivenditori di materie prime il
ceppo della Fermentis K97 in formato per
homebrewers, 11,5 gr di lievito liofilizzato.
In realtà questo ceppo è presente sul
mercato già da diversi anni nel formato
Pro da 500 gr, difatti alcuni birrifici lo hanno
o lo utilizzano tuttora per alcune birre. Si sa,
le biodinamiche di fermentazione traslate
in homebrewing possono fornire risultati
ben diversi e ad oggi sono scarse le
informazioni circa il profilo e gli utilizzi di
questo ceppo di lievito.
A complicare ulteriormente le cose ci si
mettono i rivenditori stessi con descrizioni
spesso fantasiose che confondono i
famelici brewmasters, sempre anelanti di
nuovi prodotti facili da usare e generatori
di nuovi ventagli aromatici, come nel
caso dei lieviti liofilizzati.
K97 è un ceppo di lievito tedesco ad alta
fermentazione, descritto però come
adatto per birre di frumento in stile belga,
questione alquanto bizzarra
considerando la scheda tecnica del
lievito stesso che evidenzia basse
produzioni di esteri e alcoli superiori.
Girovagando in forum esteri ho notato
che alcuni hb lo considerano un neutro al
pari di Us05 se utilizzato a basse
temperature mentre tendenzialmente
fenolico se utilizzato a temperature più
alte. Alcuni lo descrivono adatto per stili
tedeschi difficili da emulare con lieviti
secchi, come Koelsch e Alt, e qui, da
innamorato e produttore routinario di
Koelsch, so quanto è difficile produrre
fedelmente questo stile con le colture
liquide ad oggi disponibili, figurarsi con un
ceppo dalla descrizione confusionaria ed
caotica.
nuovo (per hb) rampollo di casa
Fermentis.
Il primo aspetto che colpisce di questo
K97 è il temuto lag-time, brevissimo, con
produzione di anidride carbonica e
iniziale formazione di krausen bianchi già
dopo 2-3 ore dall'inoculo nel mosto;
dopodiché permane, durante i primi 2-3
giorni di fermentazione, una coperta
schiumosa molto bassa, non più alta di 12 cm, con bassa formazione in seguito di
coperta marrone; quanto detto ci
restituisce già un'informazione
confermata poi dagli assaggi: la perdita
di IBU durante la fermentazione è bassa,
pertanto teniamoci più bassi con le unità
d'amaro durante la stesura della nostra
ricetta. La riduzione dell'estratto invece è
rapidissima, dopo sole 36-48 ore si ha la
massima attenuazione da parte del
lievito, circa il 72-75% di attenuazione
apparente con mash intermedio;
nonostante uno stazionamento di 2
settimane del mosto nel tino di
fermentazione questo valore non è
mutato nel tempo, neanche con
aumento della temperatura dello stesso.
La fermentazione alcolica di questo
ceppo è molto rapida anche se inoculato
in un mosto lattico, con pH intorno a 3,4.
L'agglutinazione e la flocculazione del
K97 sono alte, con formazione di una torta
di lievito compatta ma che lascia
formazioni sospese nel mosto della
grandezza di un chicco di riso; dopo un
abbattimento termico si ha comunque la
totale precipitazione delle colonie
sospese. In tutti i casi comunque, il mosto
dopo cold crashing si presenta
leggermente velato.
Una caratteristica di questo ceppo è di
rilasciare durante la fermentazione forti
concentrazioni di acido solfidrico che
potrebbero allarmare, soprattutto se la
temperatura di fermentazione è nella
fascia bassa (15-16°); in realtà con un
travaso o con un lieve aumento di
temperatura e conseguente riduzione
della solubilità della CO2 si ha
l'allontanamento di queste note solforose
sgradevoli, lasciando il mosto esente da
off flavour.
Quanto seguirà è frutto di un'esperienza
breve fatta con questo lievito, utilizzato per
stili diversi, a temperature diverse ed a pH
diversi; pertanto non vorrei fosse presa
come una conclusion ma bensì come
un'osser vazione momentanea del
comportamento e del profilo di questo
ceppo, che però potrà essere utile a chi
vorrà tentare un approccio con questo
Pagina 07
Pagina 08
Focus: Fermentis K97
Di Vincenzo Follino - Thiell
Da un punto di vista aromatico questo
ceppo tedesco ci restituisce un' aroma,
sia se fermentato a 16, sia a 18 gradi,
pulito, senza percezioni di esteri fruttati e
fenoli, neanche con presenza di grosse
percentuali di frumento nel grist. In realtà il
naso, più che neutro, lo definirei ovattato,
con bassa percezione di molecole
odorose. In presenza di luppolo inserito in
late ed in dry quest'ultimo non viene
coperto ma ben bilanciato alla parte
maltata; il malto viene invece quasi
enfatizzato, donando note di cereale, di
miele e di pane cotto con solo utilizzo di
malto Pilsner. In bocca, sebbene
l'attenuazione non sia bassa, lascia una
sensazione di pienezza, con malto ben in
evidenza ma con percezione quasi
“ruvida” del luppolo, segno tangibile della
bassa perdita di isoumuloni e polifenoli
nella coperta di fermentazione. L'acidità
prodotta è molto bassa, specie se
paragonata ai ceppi americani, tipo Us05
e similari.
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In sostanza, per una Ale generica è un
buon ceppo, pulito ed abbastanza in
secondo piano, pur senza donarci
parvenze “americane”. Per stili ibridi come
Koelsch ed Alt meglio per il secondo,
grazie alla sua morbidezza ed al suo
profilo maltato, mentre per Koelsch
manca di secchezza e soprattutto di
naso, troppo ovattato e senza le note
eleganti di frutta a pasta bianca che si
avvertono con l'utilizzo dei ceppi liquidi
attualmente disponibili. Perfetto per
fermentazioni alcoliche di stili quali Berliner
Weizen e Gose. Assolutamente non
idoneo per stili di birra belga come wit e
similari, come spesso indicato nelle
descrizioni dei rivenditori.
Non è improbabile che le mie valutazioni
possano mutare nel tempo, c'è inoltre da
valutare la shelf life dello stesso ed il suo
comportamento nei differenti contenitori
(bottiglie e fusti).
Eventualmente seguiranno
aggiornamenti e/o rettifiche.
Un consiglio che posso dare, dato il basso
lag, è quello di inocularlo a temperatura
di fermentazione, senza aspettare la
discesa di temperatura al fine di evitare
una fase tumultuosa a temperature
troppo elevate.
Scheda tecnica:
Lievito Saccharomyces Cerevisiae
Tolleranza all'alcol: 10,4%
Attenuazione app. 82%
Flocculazione Alta
Temperatura 12°-25° - ideale 15°-20°
Esteri totali (ppm) 23
Alcoli Totali (ppm) 248
Pagina 10
Il diacetile
Di Antonio Nicoletti
Con la seconda pubblicazione continua il
mio percorso sull’analisi dei difetti delle birre
sull’informatore brassicolo. Come detto nel
precedente articolo ribadisco un concetto
fondamentale che dovrebbe
contraddistinguere ogni singolo bevitore o
appassionato. È importante che anche i
consumatori attenti e gli appassionati
abbiano un corretto approccio critico verso
le birre che degustano, in modo da
qualificare e valorizzare adeguatamente i
prodotti in cui note organolettiche
“particolari” rappresentano elemento di
tipicità, rispetto ai veri e propri difetti. Cosa
più importante è il primo “approccio”.
Quando vi avvicinate ad un birra di qualità
fatelo con la giusta critica, bevete con
gusto e non limitatevi solo ad infilarci il naso
per troppo tempo! Il saper riconoscere
correttamente i sentori negativi, infine, è un
aspetto fondamentale dal punto di vista
tecnico al fine di realizzare il miglioramento
di processo, della gestione o della
conservazione del prodotto.
Descrizione
Analizzando la ruota di Meilgaard che ci
aiuta nell’individuazione dei composti
aromatici delle birre, il diacetile fa parte del
gruppo 6 della ruota, dove sono riportati gli
acidi grassi in cui salvo casi particolari sono
gravi difetti dovuti spesso ad alterazione
batterica. Eccetto che per le birre a
fermentazione spontanea e in minor misura
su alcune ales non sono accettabili su
nessun’altra birra. Il sentore atribuibile al
diacetile ricorda il caramello (a basse
concentrazioni), oppure burro rancido (ad
alte concentrazioni) coadiuvato da una
sensazione oleosa al palato. Il diacetile non
e` un difetto che possiamo definire
Pagina 11
“assoluto”. In generale nelle Ale del Belgio e
in quelle americane dal profilo di lievito
pulito e neutrale e` assolutamente da
evitare, come allo stesso modo non e`
tollerabile neppure in esigue quantita` per
tutti gli stili di bassa fermentazione. Fanno
eccezione le pils ceche, dove è quasi
sempre presente e tollerato se rimane in
modica quantità. Discorso a parte fanno gli
stili tipicamente inglesi, dove una bassa
concentrazione di diacetile non e` da
considerarsi un difetto ma una peculiarita`
propria dei lieviti che vengono utilizzati. Nelle
real ales servite in cask, ad esempio, il
diacetile si forma a causa dell’ossidazione.
Origine ed ambio problematico
Sostanze responsabili: Diacetile (2,3Ixitandione, 2,3-pentandione)
!
Origine data dal lievito: Si origina da
sostanze precursorie (acetolattato per il
diacetile, 2-idrossibutirrato per il pentandione) normalmente con una riduzione
ad acetoina e 2,3-butandiolo.
Lactobaciliaceae (pediococchi).
!
!
Il suo precursore viene normalmente
prodotto dal lievito durante la
fermentazione, e viene poi riassorbito dal
lievito stesso durante la seconda
fermentazione che lo riduce ad acetoina e
butandiolo, un composto che non inficia il
sapore della birra. Il raffreddamento
anticipato e la conseguente rimozione
anticipata del lievito può impedirne il
riassorbimento. Non da ultimo, anche le
infezioni di batteri lattici possono essere
fonte di formazione del diacetile. Ci sono
diversi fattori che possono influenzare la
p r o d u z i o n e d e l d i a c e t i l e, c o m e
l’insufficienza di nutrimento per il lievito ed il
ceppo di lievito utilizzato. I ceppi inglesi ne
producono una generosa componente
mentre ad esempio quelli americani dal
profilo neutrale sono conosciuti ed
apprezzati anche per apportarne livelli
molto bassi.
Rimedi possibili durante il processo
produttivo.
Affinche´ la riduzione del diacetile abbia
successo e` fondamentale far lavorare
correttamente il ceppo di lievito in fase di
fermentazione e dare allo stesso il tempo
necessario per portare a termine il proprio
lavoro, evitando, ad esempio,
l’abbattimento della temperatura di
fermentazione non appena il lievito si abbia
raggiunto il suo livello massimo di
attenuazione. Un paio di giorni a
temperature più alte dovrebbero essere
sufficienti per l’assorbimento del diacetile.
Fatto ciò si puo` procedere al
raffreddamento della birra per stabilizzarla e
decantarla. Questo è utile soprattutto per le
basse fermentazioni. Molti di voi, infatti,
conosceranno la pratica della pausa
diacetile. Ritengo, però, che non sia sempre
necessario. Questo dipende soprattutto dal
ceppo di lievito e dalla temperatura di
f e r m e n t a z i o n e. I l i e v i t i a b a s s a
fermentazione producono meno diacetile
di un lievito ad alta ma è più difficile per così
dire mandarlo via. A scanso di equivoci
l’innalzamento della temperatura a fine
fermentazione male non fa. Ad esempio,
per le mie basse fermentazioni faccio
sempre una sosta a temperature più alte,
sia per arrivare a completa attenuazione
che per avere un riassorbimento del
diacetile. Potrebbe infatti essere presente
un alto livello del suo precursore,
l’acetolattato, pronto a trasformarsi nella
fase successiva. A quel punto, non ci
sarebbe piu` nessuna possibilita` di
eliminarlo. Un altro fattore che puo`
facilitare la riduzione del diacetile e` una
buona ossigenazione del mosto, necessaria
alla corretta riproduzione del lievito. Quindi
arieggiamento per tutto il tempo del
raffreddamento. Meglio abbondare che
deficere!
Pagina 12
Metabisolfito di potassio
Di Vincenzo Follino - Thiell
Chiunque si affacci nel mondo della
birrificazione homemade, uno dei primi
prodotti con cui si inizia a prendere
dimestichezza per il tedioso passaggio
della sanificazione di strumenti ed
attrezzature è proprio il metabisolfito di
potassio. Il suo uso è incoraggiato, oltre
che da alcuni soggetti evidentemente
non bene informati circa le reali
applicazioni di questo prodotto,
soprattutto dai rivenditori di materie prime,
che lo introducono nei vari kit per fare birra
come unico agente sanitizzante.
Effettivamente nell'industria esso viene
utilizzato per i suoi preziosi effetti da un
punto di vista tecnologico-alimentare, tra
cui uno di questi è la sua attività
antifermentativa, e grande spazio viene
concesso a questo prodotto nel mondo
dell'enologia e della viticoltura.
Ma…è giustificata invece l'enorme
possibilità concessa a questo prodotto nel
mondo della birra? Vediamo prima di tutto
di cosa stiamo parlando.
Il metabisolfito di potassio non è altro che il
sale di potassio dell'anidride solforosa,
normalmente utilizzato nell'industria come
additivo alimentare (E224). Si presenta
come un solido biancastro e presenta un
caratteristico odore di fiammifero acceso;
conferisce sapore sgradevole e, a dosi
elevate, è responsabile della comparsa di
cefalea e altri disturbi, come irritazione
gastrica e distruzione di alcune vitamine.
Pertanto, per legge, le quantità previste in
enologia sono normate. L'anidride
solforosa esercita diverse azioni: ha
Pagina 13
un'azione acidificante, per via della
caratteristica acidità delle soluzione con
SO2; ha un'azione defecante, in quanto
favorisce la flocculazione dei colloidi
caricati negativamente; ha un'azione
antiossidante per via delle proprietà
riducenti dell'anidride solforosa.
Il metabisolfito viene utilizzato in enologia
in vari momenti del processo produttivo,
dalla conservazione dei vasi vinari al
trattamento delle uve, dalla solfitazione
del mosto a quello del vino. Generalmente
lo stadio dove sono previsti i maggiori
vantaggi dall'uso dello stesso è
l'ammostatura dell'uva, o quello appena
successivo, ma prima che venga
innescata la fermentazione.
muto). L' azione dell'SO2 è resa possibile
grazie alla sua capacità di modificare
alcuni sistemi intracellulari e la
permeabilità cellulare dei batteri. Per
questo motivo, i produttori vinicoli ne
aggiungono un quantitativo prestabilito
durante la formazione del mosto al fine di
evitare un innesco fermentativo da parte
di altri microrganismi.
In sintesi, non presenta un'azione
germicida ma esclusivamente
batteriostatica, ovvero blocca
un'eventuale sovracrescita di ceppi
patogeni. Pertanto i suoi effetti non si
espletano in un abbattimento o
comunque una riduzione della carica
microbica; quanto detto vale anche nella
birrificazione.
L'utilizzo del metabisolfito come agente
sanitizzante è per tutti questi motivi
altamente sconsigliato, né in
combinazione con altri metodi di
sanitizzazione né ovviamente da solo.
L'unico fattore positivo per chi (la maggior
parte) lavora in ambiente ossidante e non
in isobarico è la sua azione antiossidante,
ma qui esuliamo dal discorso legato alla
sanitizzazione.
Il mio auspico è quello di non vedere più
persone che lo usano per scopi legati alla
sanitizzazione, ma soprattutto che non
venga proposto dai rivenditori di kit e
materie prime come prodotto destinato
alla sanificazione.
Ciò la dice lunga circa la reale efficacia
del metabisolfito come agente
sanitizzante; a dosi non avvertibili nel
prodotto finito, l'anidride solforosa ha una
semplice azione antifermentante, ovvero
inibisce e blocca la proliferazione di
microrganismi, soprattutto batteri, che non
siano quelli selezionati dal produttore al
momento della semina.
A dosi elevate blocca ogni azione
fermentativa da parte dei lieviti (mosto
Pagina 14
LE ITALIAN GRAPE ALE E LA NORMATIVA ITALIANA
Di Gianluca Pettirossi
Il riconoscimento da parte del BJCP delle
Italian Grape Ale (IGA), stile che prevede
birre contenenti uva o prodotti vitivinicoli e
già ampiamente approfondito nello
scorso numero de “L’ Informatore
Brassicolo”, sta suscitando molto interesse
nel panorama brassicolo italiano. Le
normative riguardanti il vino e la birra sono
abbastanza complicate, ma cercheremo
di capire se le IGA possono essere
commercializzate e soprattutto come
possono essere presentate le loro etichette
al consumatore.
Nonostante la mia professione mi porti
quasi quotidianamente a confrontarmi
con tematiche legate alla certificazione
regolamentata di alcuni vini Dop e Igp,
tengo a precisare che la mia
interpretazione è a titolo personale e non
vuole essere esaustiva in materia: consiglio
a chi volesse produrre e commercializzare
la propria IGA di rivolgersi sempre e
comunque all’ufficio territoriale
dell’Ispettorato centrale della tutela della
qualità e della repressione frodi dei
prodotti agroalimentari (ICQRF) per
chiarimenti e approfondimenti.
Regolamento recante modificazioni alla
normativa in materia di produzione e
commercio della birra.)
Inoltre l’ art. 2, comma 4 del suddetto
decreto, prevede che quando alla birra
sono aggiunti frutta, succhi di frutta, aromi,
o
altri
ingredienti alimentari
caratterizzanti, la denominazione di
vendita è completata con il nome della
sostanza caratterizzante, come ad
esempio birra alle castagne o birra alle
prugne. Un passaggio delicato per questa
tipologia è invece quanto previsto dall’ Art.
13 della L. 20 febbraio 2006, n.82
(Disposizioni di attuazione della normativa
comunitaria concernente
l'Organizzazione comune di mercato
(OCM) del vino), che impedisce alla birra
di essere messa in vendita utilizzando nella
propria etichettatura, designazione,
presentazione e pubblicità raffigurazioni
che comunque richiamano la vite, l’uva, il
mosto o il vino. In pratica non si possono
mettere in etichetta, ma nemmeno ad
esempio nei biglietti da visita, disegni di
grappoli, vigne, foglie di vite o altro che
richiamino al consumatore l’idea del vino.
Conclusioni
In definitiva quindi alla birra è quindi
consentita l’aggiunta di uva (o mosto
d’uva) come ingrediente caratterizzante,
che deve essere quindi citato in etichetta,
ma resta vietato ai produttori italiani di
inserire qualsiasi raffigurazione che
comunque richiami l’uva, il mosto o il vino
nell ’etichettatura, presentazione e
pubblicità.
E’ auspicabile comunque un intervento
normativo che faccia maggiore chiarezza
in materia.
Nel frattempo, considerata l’importanza
del riconoscimento ottenuto dalla BJCP,
potrebbe essere interessante lavorare per
sanare il gap informativo dovuto alla
momentanea impossibilità o comunque
alla difficoltà di caratterizzazione dello stile
attraverso l’utilizzo di immagini o riferimenti
al mondo enologico.
Una strada percorribile è quella del
raffor zamento dell ’informazione e
diffusione della conoscenza dello stile: un’
operazione che potrebbe essere fatta
anche traendo spunto da esperienze di
altri prodotti “tradizionali”. Si tratta di uno
sforzo che porterà i suoi frutti, ma che
richiederà tempo, competenze, scelte
strategiche ed un’ opera di
coordinamento del panorama produttivo
nazionale in grado di portare ad un
adeguamento normativo che appare
ormai indifferibile.
Personalmente credo che una delle
peculiarità di questo momento di grande
“fermento” brassicolo sia quello di essere
innescato da una generazione giovane,
dinamica e culturalmente in grado di
coniugare le nuove tendenze produttive
innestandosi nel filone della tipicità e della
tradizione enogastronomica italiana, in
grado di offrire un valore aggiunto alle
nostre produzioni. E queste peculiarità,
unite al genio italiano, potranno esprimere
una nuova frontiera nella costituzione di
moderne tradizioni nel mondo della birra
artigianale.
Buona birra a tutti!
Riferimenti normativi
La denominazione birra è riservata al
prodotto ottenuto dalla fermentazione
alcolica di un mosto preparato con malto,
di orzo o di frumento o di loro miscele ed
acqua. Questi due cereali maltati possono
essere sostituiti fino al 40% con altri cereali
nonché con materie prime amidacee e
zuccherine (DECRETO DEL PRESIDENTE
DELLA REPUBBLICA 30 giugno 1998, n. 272
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Oltre a ciò l’ art. 20, comma 6 e 7, D.Lgs. 8
aprile 2010, n. 61 (Impiego delle
denominazioni geografiche dei vini)
prevede che l’uso di vini a DOP o IGP in
prodotti composti, elaborati o trasformati
può essere fatto solo previa autorizzazione
da parte dei Consorzi di Tutela vini o in
assenza di quest’ultimo dal MIPAAF. Un
esempio piuttosto fantasioso potrebbe
essere una birra al mosto di Brunello.
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Impianto di spillatura con i fustini da 5 litri
Di Giovanni Iovane - Sgabuzen
Costruire un impianto di spillatura
casalingo non rappresenta solo il
capriccio di un homebrewer ma in realtà si
tratta anche di un utile escamotage per
diminuire la fatica e il tempo spesi durante
l'imbottigliamento. Da quando ho deciso
di riempire almeno due fusti per ogni cotta,
imbottigliare per me è qualcosa che si
risolve in meno di un'oretta di lavoro.
Inoltre, poiché la qualità della birra in
maturazione è direttamente proporzionale
al volume del recipiente che la contiene,
la maturazione in fusto permetterà di
ottenere un risultato davvero
soddisfacente. Anche la schiuma ne
risulterà "potenziata" e maggiormente
compatta (sebbene sia descritta da alcuni
puristi come "irreale").
Ovviamente, un impianto casalingo non
viene utilizzato come l'impianto di un pub e
quindi il primo problema che si presenta è
relativo alla durata del fusto. Molti
homebrewers sono convinti che dopo una
settimana il fusto è già da buttare, altri
invece affermano di aver lasciato il fusto
attaccato anche per un mese. Secondo
me la risposta migliore è che non c'è una
regola fissa e tutto dipende da cosa c'è nel
fusto. Per ovviare a questo problema,
qualche mese fa ho venduto tutti i miei
fusti Jolly e ho acquistato i fustini da 5 litri.
Questi fustini costano poco più di 5 euro e
non nascono per essere collegati
direttamente ad un impianto di spillatura
per cui è necessario adattarli. Se da un lato
sono molto semplici da usare e la loro
capacità ridotta ci permette di avere
sempre qualcosa attaccato all'impianto,
da un altro punto di vista sono molto difficili
da pulire bene all'interno, soprattutto se
deciderete di riutilizzarli. Del resto, vengono
venduti come fusti monouso... anche se io
cerco di riutilizzarli almeno due volte prima
di buttarli definitivamente. Prima di
decidere di passare a questo sistema, ho
girato senza sosta in rete per giorni alla
ricerca di un adattatore ad un prezzo
decente. Purtroppo in territorio italiano si
trovava ben poco e le uniche cose che mi
capitavano davanti erano soluzioni
costosissime che funzionavano con le
cartucce di Co2.
quando ho ricevuto il pacco dalla
Germania e, scartando la confezione, ho
notato che sul pezzo c'era scritto MADE IN
ITALY. L'adattatore che ho acquistato è una
sorta di spinone che si inserisce dall'alto e
presenta due attacchi: 5/8" per la birra e
3/4" per il gas, che ho raccordato
all'impianto con i soliti raccordi rapidi John
Guest.
Ci vuole veramente poco affinché il fusto si
deformi e rompa le cuciture. Nonostante
questo, da quando uso questi fustini sono
triplicate le volte che collego l'impianto e
sono passato dall'avere un mobile semiabbandonato ad avere una sorta di zona
bar sempre aperta, con grande gioia dei
miei amici che, oltre ad estinguere ogni
mia più piccola riserva, si divertono anche
ad imparare a spillare!
Per poterlo usare con i fustini è necessario
sostituirne il gommino rosso (solitamente
dato in dotazione) con il gommino grigio.
L'unico punto negativo, secondo me, è
che con questo tipo di fustini non è
facilissimo sgasare il fusto in caso di sovracarbonazione poiché è presente una
valvola di non ritorno sull'attacco del gas.
Per questo motivo, bisogna prestare molta
più attenzione alle giuste dosi di priming e
verificare che la fermentazione primaria
sia effettivamente completata.
Alla fine, solo dopo lunghe ricerche su
eBay, ho trovato un rivenditore tedesco
che faceva al caso mio. Il colmo è stato
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"LE NEWS... BRASSICOLE”
Negli ultimi due anni si è assistito ad un
grande “fermento” tra i produttori di ceppi
di lievito, liofilizzati ed in coltura liquida, oltre
ad una maggiore ricezione da parte dei
nostri rivenditori di prodotti fino a poco
tempo fa presenti solo sui mercati esteri.
Dopo l’introduzione in Italia dei lieviti
Mangrove Jack’s (nove ceppi attualmente
disponibili, in prevalenza ceppi inglesi),
ecco che la stessa casa oceanica
comunica l’uscita prossima di nuovi lieviti
liofilizzati, da far invidia ad un catalogo di
lieviti liquidi. Grande attenzione è stata
posta alla produzione di ceppi selezionati
per gli stili belga, grosso neo attualmente
presente tra i produttori di lieviti secchi, e
maggiore scelta di ceppi dal profilo
neutrale; alcuni di questi già erano in
catalogo ma hanno subito un restyling nel
nome. Speriamo che arrivino quanto
prima in Italia. Già disponibili presso molti
rivenditori esteri.
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Belgian Wit M21: ceppo di lievito
selezionato ad alta fermentazione con un
buon bilanciamento tra esteri fruttati e
speziato fenolico. Lascia una dolcezza
residua e presenta una flocculazione
bassa.
Ideale per witbier, Grand Cru e Spiced Ales.
Belgian Abbey M47: ceppo
moderatamente alcol tollerante, produce
pochi prodotti fenolici ma è
eccezionalmente fruttato, donando
complessità alla birra. Flocculazione alta.
Ideale per: Belgian Pale Ale ed Abbey Ales
Belgian Ale M41: ceppo ad alta
attenuazione e tolleranza all’alcol,
produce birre complesse tipiche dei
monasteri del Belgio, piccante e fenolico.
Ideale per: Belgian Golden Strong Ale e
Belgian Dark Strong Ale
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"LE NEWS... BRASSICOLE”
Belgian Tripel M31: ceppo ad elevate
attenuazione e tolleranza all’alcol,
produce aroma molto complessi, un mix
di spezie, frutta ed alcol.
Ideale per: Belgian Tripel e stili trappisti
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French Saison M29: lievito per stile saison,
molto attenuante, mix di spezie, frutta e
pepe. Tollera fino a 14° alcol.
Ideale per: Saison e stili alcolici
California Lager M54: ceppo lager unico
per la sua capacità di fermentare ad alte
temperature senza rilasciare off flavour.
Ideale per California Common
Bavarian Lager M76: lievito adatto ad una
moltitudine di stili a bassa fermentazione.
Produce meno note di zolfo rispetto ad altri
ceppi lager, ed esalta il maltato, pur senza
nascondere il carattere luppolato.
Ideale per: Pilsner, Helles, Munich Dunkel,
Rauchbier.
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"LE NEWS... BRASSICOLE”
Empire Ale M15: produce birre molto
corpose con una eccezionale profondità.
Produce note di frutti scuri.
Ideale per: Scottish Heavy Ales, American
Amber Ales, Sweet Stout
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Liberty Bell Ale M36: ceppo ad alta
fermentazione, ideale per una vasta
gamma di stili, produce esteri leggeri e
delicati che rinforzano la parte maltata.
Ideale per: Golden Ale, APA, EPA, ESB
New World Strong Ale M42: ceppo ideale
per una gran varietà di stili Ale, profilo
neutrale ma dona pieno carattere di
malto e luppolo.
Ideale per: IPA; Porter, Stout
Mead M05: ideale per Mead; ricco di
esteri fruttati, floreali, alta tolleranza
all’alcol
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Abbiamo da sempre evocato lo spirito eclettico della nostra piattaforma, cercando di
allontanarla dalla classica funzione di "forum"; oltre a darle dei connotati reali, uscendo
fuori dalla visione virtuale dello stesso, ed oltre ad appoggiare progetti di realtà amiche,
da oggi il Forum della Birra, grazie ad un'idea dei suoi amministratori, intende anche
formare ed informare: nasce L'Informatore Brassicolo, uno strumento che ci permetterà di
approfondire talune tematiche emerse tra gli homebrewers e non solo, cercando di
stimolare lo spirito critico di tutti noi e concedere nuovi spunti di discussione alla materia
dell'homebrewing e delle craft beer.
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