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l`informatore brassicolo
18 DICEMBRE 2015 “ NEWSLETTER N°03 L’INFORMATORE BRASSICOLO Newsletter a cura de “Il Forum Della Birra” TRIPLE CHOCOLATE STOUT ” DIACETILE (Dark Side of the Moon) Secondo appuntamento sui difetti delle birre o meglio sugli “off flavour” che si possono riscontrare NORMATIVA IGA Facciamo un pò di chiarezza... NOEL E WINTER ALE Le birre di Natale non esistono!!! Fermentis K97 Abbiamo testato il nuovo Fermentis K97 Metabisolfito di potassio Lasciamolo al mondo del vino, grazie!! Impianto di spillatura con i fustini da 5 litri Giuda passo passo su come collegare i fustini ad un impianto di spillatura pro... LE BIRRE DI NATALE NON ESISTONO... Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke LBrowser => BJCP2015=>Open File=> Search “NOEL”….. waiting…… NOT FOUND Panicooooo… Le Noel o birre di natale non esistono. Nel Beer Judge Certification Program o meglio conosciuto come BJCP le birre di natale o noel non sono catalogate e quindi teoricamente non sono contemplate e per i seguaci accaniti della Bibbia birraria tale bevanda fermentata non esiste e non dovrebbe neanche essere immaginata. Noi non siamo puristi ma comuni appassionati e bevitori di birra e forse non ci siamo mai posti il problema di andare a vedere se le noel fossero catalogate o se ci fossero delle linee guida da seguire per poterle fare in casa. Fatto sta che tali birre con l’arrivo del periodo natalizio vengono prese di assalto. Potete voi immaginare una tavola natalizia di un qualsiasi homebrewer senza una birra a tema? Di certo non può non esserci e di conseguenza passati i postumi della befana chi è stato stregato da questa cervogia sicuramente si metterà all’opera cercando di replicare quelle che ha degustato per poi chiedere in giro :”senti ma quante spezie ci devo mettere e quale lievito o malti?” tiratura limitata, e possono considerarsi una sorta di birre “vintage” o d’annata dal momento che difficilmente si ripresentano al mercato perfettamente uguali a quelle dell’anno precedente oppure viene proposta una versione differente con delle variazioni in ricetta come il caso della Anchor christmas ale. chiamata Our Special Ale. La particolarità di questa birra è che ogni anno viene usato un mix di spezie diverso e che la ricetta viene gelosamente tenuta segreta. Sull’etichetta inoltre viene raffigurato ogni anno un abete diverso. Questa birra ha avuto sicuramente un ruolo importante nell’inserire e sviluppare nella cultura birraria artigianale Americana la tradizione di brassare le Christmas Ale. Comunque il Belgio è il massimo esponente delle Noel e nel periodo prenatalizio c’è il consueto Kerstbierfestival o festa delle birre di Natale che si tiene ad Essen a poca distanza da Anversa nelle fiandre dove per il 2015 si prevedono ben 150 birre belga invernali e natalizie. Prima di addentrarci nello specifico vediamo un pò di storia e da dove sono uscite fuori queste birre. Le Birre di Natale sono un’antica tradizione di alcune regioni del Nord Europa in modo particolare si sono diffuse in Belgio dagli inizi del 1800. Erano nate come birre da degustare in famiglia (del birraio) e visto il gradimento successivamente sono state fatte da donare ai dipendenti del birrificio che a loro volta le hanno usate come regali natalizi, d’altronde chiunque abbia un amico che lavora in birrificio chiederebbe birra “speciale” come regalo. Le Noel possono rientrare tranquillamente nel calderone delle birre stagionali, a Pagina 01 Ogni anno, dal 1975, la Anchor Brewing di San Francisco produce una birra natalizia Pagina 02 LE BIRRE DI NATALE NON ESISTONO... Di Antonio De Feo - Jigen_Daisuke Come sono? Oggi possiamo dire che qualsiasi birrificio si produce una birra per le feste o noel editiot o special edition e come abbiamo accennato non esiste uno stile a cui ricondurle pertanto si può andare dalle Trippel belgha alle Old Ale inglesi, dalle birre con la semplice aggiunta di miele o spezie a birre che sembrano minestroni nel senso che sono talmente complesse e ricche di malti ed ingredienti vari. Alla fine essendo delle Stagionali o delle libere interpretazioni possono essere definite pura follia del birraio quasi senza freni. L’unica cosa che le accomuna è, in genere, che con i primi freddi e con le prime luminarie tutti i birrifici tirano fuori le loro birre strong o più alcoliche. Le Birre di Natale sono quasi sempre birre ad elevata gradazione (dai 7 ai 10 gradi alcolici), adatte alle rigide temperature Pagina 03 invernali ma soprattutto alle abbondanti cene o mangiate che si fanno nel periodo festivo. Quindi il gusto è sovente speziato, con note di frutta, secca o candita, ed evidenti sentori dolci. Queste caratteristiche rendono queste birre idonee all’abbinamento ai piatti agrodolci, Si tratta di caratteristiche che rendono queste birre molto adatte in abbinamento ai piatti agrodolci tipici della tradizione del nord europa come le carni di cervo e di capriolo guarnite con confetture e salse a base di mirtilli ed altri piccoli frutti di bosco. Si sposano bene anche con i dolci e con alcuni formaggi aromatici, come gorgonzola, roquefort o stilton oppure si possono abbinare anche a formaggi particolari come i caciocavalli invecchiati nel fieno o nelle botti con grano o a caciotte conciate dove quest’ultima conferisce al formaggio note pepate e vinose. Considerazioni personali: Abbiamo detto che sono birre alcoliche, che non sono inquadrate in uno stile specifico, che possono essere usate spezie o miele o altri ingredienti che richiamano le dolci sensazioni ed i profumi del natale e che ogni birraio si diverte creando la propria noel. Personalmente una Noel per essere definita tale deve farti capire che il natale è arrivato facendo ritornare alla mente quei profumi e sensazioni che si trovano nel periodo freddo ed avvolgerti in un caldo e morbido abbraccio. Da amante delle IPA luppolate mi sono già messo all’opera ed in questi giorni ho in fermentazione una Brown Imperial Ipa di circa 10°% di alcool che sarà pronta per scaldare il prossimo natale... Non vi resta che mettervi all’opera!!! Pagina 04 TRIPLE CHOCOLATE STOUT (Dark Side of the Moon) Di Antonio Garofalo - Golden Turtle Di svariate cotte effettuate, una di quelle che ha prodotto una birra che mi ha conferito maggiori soddisfazioni al palato ed all’olfatto, facendomi ricevere diversi apprezzamenti da parte di amanti della cervogia, è stata la mia Dark Side of the Moon, in etichetta DSM, anagramma anche del dimetil-solfuro (DMS), responsabile dell’aroma di vegetali cotti o mais in scatola. Essa è nata dalla mia voglia di sperimentare e trovare soluzioni a comuni problemi che possiamo incontrare circa alcune tecniche brassicole e l ’uso di determinati ingredienti. Dopo aver “degustato” (ma credo che chi mi conosce sostituirà “bevuto” al degustato) diverse double chocolate di vari birrifici, tra cui Young’s e Rogue, ho deciso di cimentarmi anche io in una chocolate stout. Penso agli ingredienti base, e man mano costruisco la struttura della ricetta, ovviamente nella mia testa già penso a come usare il cacao in polvere e la granella di fave di cacao. Come ben si sa il cacao contiene una notevole parte grassa che come sappiamo è un nemico della formazione di schiuma, al pari ad esempio dei brillantanti o detersivi che si usano per lavare i bicchieri. Era una giornata abbastanza fredda e mia moglie si accinge a cucinare del brodo di carne, e come molte volte ha fatto ed ho visto, senza avere particolare interesse da parte mia, almeno fino a quell’istante, raffredda il suo brodo per togliere il grasso…….e mi si illumina la lampadina…… Pagina 05 Perché non usare una barretta di cioccolato usando questa tecnica per eliminare il burro di cacao nella mia double chocolate? Magari sarà una “Triple” e non una Double Chocolate. Mi procuro una barretta di cioccolato al 90%, non son riuscito a trovarne una al 99%, e la faccio sciogliere totalmente in poco più di 500 ml di acqua calda, dopodichè agito con un cucchiaino, verso in un contenitore stretto e faccio raffreddare il tutto, metto il tutto nel frigo coperto da una pellicola e dopo un giorno vedo con soddisfazione che il grasso è affiorato in superficie. Con un cucchiaino elimino buona parte del grasso dalla superficie, mi accorgo però che non è semplice eliminarlo del tutto in quanto si allontana dal cucchiaino. Penso all'ennesima soluzione: prelevo solo la parte inferiore con un qualcosa che aspira? Tipo una siringa? Oppure metto in freezer e congelo tutto grattando la superficie? Opto per la seconda ipotesi, anche perché ci sarebbe voluto molto tempo al giorno della cotta e così facendo potevo conservare tranquillamente il mio liquido al cioccolato! Arriva il giorno tanto atteso, solito procedimento: m a c i n a z i o n e d e i m a l t i, m a s h , misurazione ph (5,2), e così via. A fine mash, filtro e faccio il mio buon sparge (fly), arrivati alla densità voluta inizio la bollitura. Solite gittate di luppolo, ed arrivati a 10 minuti dalla fine della bollitura immetto nel mosto inebriante il cacao in polvere facendo attenzione a non far fare grumi; a 0’ metto il liquido al cioccolato. Procedo al whirlpool per la maggior parte delle particelle in sospensione nel mosto, attendo una decina di minuti che si crei il cono di particelle nella zona centrale della pentola a fine vortice e inizio il raffreddamento attraverso il mio scambiatore. Misuro la OG, circa 1.060, ossigeno per bene il mosto ormai raffreddato e inoculo il lievito. Dopo una settimana procedo al trasferimento in altro fermentatore e immetto nel liquido, già con odore di cioccolato, la granella di fave di cacao, che avevo sterilizzato in autoclave (fortuna di lavorare in ospedale!!!) Per la sterilizzazione delle fave di cacao si può procedere anche immergendo per qualche giorno la granella in poca vodka e versando il tutto poi nel mosto. Lascio il tutto per una decina di giorni ed imbottiglio con l’aggiunta di 3,5 gr/l di zucchero. Il risultato è stato notevole...oltre ad aver ottenuto una birra con caratteristiche organolettiche che mi hanno soddisfatto, sin dai primi assaggi ho constatato un'ottima formazione e persistenza di schiuma, segno tangibile che la “scrematura” del grasso ha funzionato. Di seguito la ricetta (per 25 litri): OG 1,057 IBU 31,8 EBC 74,2 Alc. 6,2% Pale Malt 4,2 kg Fiocchi di avena 0,5 kg Special B 0,4 kg Chocolate 0,3 kg Carafa III 0,2 kg Crystal Dark 0,2 kg Lattosio 0,35 kg EKG 50g x 60 min EKG 20g x 30 min Cacao in polvere 170g a 10 min Tavoletta cioccolato (90%) 100g a 0 min Granelle di fave di cacao 100g in secondaria Lievito Fermentis Us-05 Pagina 06 Focus: Fermentis K97 Di Vincenzo Follino - Thiell Da qualche mese si è reso disponibile presso i rivenditori di materie prime il ceppo della Fermentis K97 in formato per homebrewers, 11,5 gr di lievito liofilizzato. In realtà questo ceppo è presente sul mercato già da diversi anni nel formato Pro da 500 gr, difatti alcuni birrifici lo hanno o lo utilizzano tuttora per alcune birre. Si sa, le biodinamiche di fermentazione traslate in homebrewing possono fornire risultati ben diversi e ad oggi sono scarse le informazioni circa il profilo e gli utilizzi di questo ceppo di lievito. A complicare ulteriormente le cose ci si mettono i rivenditori stessi con descrizioni spesso fantasiose che confondono i famelici brewmasters, sempre anelanti di nuovi prodotti facili da usare e generatori di nuovi ventagli aromatici, come nel caso dei lieviti liofilizzati. K97 è un ceppo di lievito tedesco ad alta fermentazione, descritto però come adatto per birre di frumento in stile belga, questione alquanto bizzarra considerando la scheda tecnica del lievito stesso che evidenzia basse produzioni di esteri e alcoli superiori. Girovagando in forum esteri ho notato che alcuni hb lo considerano un neutro al pari di Us05 se utilizzato a basse temperature mentre tendenzialmente fenolico se utilizzato a temperature più alte. Alcuni lo descrivono adatto per stili tedeschi difficili da emulare con lieviti secchi, come Koelsch e Alt, e qui, da innamorato e produttore routinario di Koelsch, so quanto è difficile produrre fedelmente questo stile con le colture liquide ad oggi disponibili, figurarsi con un ceppo dalla descrizione confusionaria ed caotica. nuovo (per hb) rampollo di casa Fermentis. Il primo aspetto che colpisce di questo K97 è il temuto lag-time, brevissimo, con produzione di anidride carbonica e iniziale formazione di krausen bianchi già dopo 2-3 ore dall'inoculo nel mosto; dopodiché permane, durante i primi 2-3 giorni di fermentazione, una coperta schiumosa molto bassa, non più alta di 12 cm, con bassa formazione in seguito di coperta marrone; quanto detto ci restituisce già un'informazione confermata poi dagli assaggi: la perdita di IBU durante la fermentazione è bassa, pertanto teniamoci più bassi con le unità d'amaro durante la stesura della nostra ricetta. La riduzione dell'estratto invece è rapidissima, dopo sole 36-48 ore si ha la massima attenuazione da parte del lievito, circa il 72-75% di attenuazione apparente con mash intermedio; nonostante uno stazionamento di 2 settimane del mosto nel tino di fermentazione questo valore non è mutato nel tempo, neanche con aumento della temperatura dello stesso. La fermentazione alcolica di questo ceppo è molto rapida anche se inoculato in un mosto lattico, con pH intorno a 3,4. L'agglutinazione e la flocculazione del K97 sono alte, con formazione di una torta di lievito compatta ma che lascia formazioni sospese nel mosto della grandezza di un chicco di riso; dopo un abbattimento termico si ha comunque la totale precipitazione delle colonie sospese. In tutti i casi comunque, il mosto dopo cold crashing si presenta leggermente velato. Una caratteristica di questo ceppo è di rilasciare durante la fermentazione forti concentrazioni di acido solfidrico che potrebbero allarmare, soprattutto se la temperatura di fermentazione è nella fascia bassa (15-16°); in realtà con un travaso o con un lieve aumento di temperatura e conseguente riduzione della solubilità della CO2 si ha l'allontanamento di queste note solforose sgradevoli, lasciando il mosto esente da off flavour. Quanto seguirà è frutto di un'esperienza breve fatta con questo lievito, utilizzato per stili diversi, a temperature diverse ed a pH diversi; pertanto non vorrei fosse presa come una conclusion ma bensì come un'osser vazione momentanea del comportamento e del profilo di questo ceppo, che però potrà essere utile a chi vorrà tentare un approccio con questo Pagina 07 Pagina 08 Focus: Fermentis K97 Di Vincenzo Follino - Thiell Da un punto di vista aromatico questo ceppo tedesco ci restituisce un' aroma, sia se fermentato a 16, sia a 18 gradi, pulito, senza percezioni di esteri fruttati e fenoli, neanche con presenza di grosse percentuali di frumento nel grist. In realtà il naso, più che neutro, lo definirei ovattato, con bassa percezione di molecole odorose. In presenza di luppolo inserito in late ed in dry quest'ultimo non viene coperto ma ben bilanciato alla parte maltata; il malto viene invece quasi enfatizzato, donando note di cereale, di miele e di pane cotto con solo utilizzo di malto Pilsner. In bocca, sebbene l'attenuazione non sia bassa, lascia una sensazione di pienezza, con malto ben in evidenza ma con percezione quasi “ruvida” del luppolo, segno tangibile della bassa perdita di isoumuloni e polifenoli nella coperta di fermentazione. L'acidità prodotta è molto bassa, specie se paragonata ai ceppi americani, tipo Us05 e similari. Pagina 09 In sostanza, per una Ale generica è un buon ceppo, pulito ed abbastanza in secondo piano, pur senza donarci parvenze “americane”. Per stili ibridi come Koelsch ed Alt meglio per il secondo, grazie alla sua morbidezza ed al suo profilo maltato, mentre per Koelsch manca di secchezza e soprattutto di naso, troppo ovattato e senza le note eleganti di frutta a pasta bianca che si avvertono con l'utilizzo dei ceppi liquidi attualmente disponibili. Perfetto per fermentazioni alcoliche di stili quali Berliner Weizen e Gose. Assolutamente non idoneo per stili di birra belga come wit e similari, come spesso indicato nelle descrizioni dei rivenditori. Non è improbabile che le mie valutazioni possano mutare nel tempo, c'è inoltre da valutare la shelf life dello stesso ed il suo comportamento nei differenti contenitori (bottiglie e fusti). Eventualmente seguiranno aggiornamenti e/o rettifiche. Un consiglio che posso dare, dato il basso lag, è quello di inocularlo a temperatura di fermentazione, senza aspettare la discesa di temperatura al fine di evitare una fase tumultuosa a temperature troppo elevate. Scheda tecnica: Lievito Saccharomyces Cerevisiae Tolleranza all'alcol: 10,4% Attenuazione app. 82% Flocculazione Alta Temperatura 12°-25° - ideale 15°-20° Esteri totali (ppm) 23 Alcoli Totali (ppm) 248 Pagina 10 Il diacetile Di Antonio Nicoletti Con la seconda pubblicazione continua il mio percorso sull’analisi dei difetti delle birre sull’informatore brassicolo. Come detto nel precedente articolo ribadisco un concetto fondamentale che dovrebbe contraddistinguere ogni singolo bevitore o appassionato. È importante che anche i consumatori attenti e gli appassionati abbiano un corretto approccio critico verso le birre che degustano, in modo da qualificare e valorizzare adeguatamente i prodotti in cui note organolettiche “particolari” rappresentano elemento di tipicità, rispetto ai veri e propri difetti. Cosa più importante è il primo “approccio”. Quando vi avvicinate ad un birra di qualità fatelo con la giusta critica, bevete con gusto e non limitatevi solo ad infilarci il naso per troppo tempo! Il saper riconoscere correttamente i sentori negativi, infine, è un aspetto fondamentale dal punto di vista tecnico al fine di realizzare il miglioramento di processo, della gestione o della conservazione del prodotto. Descrizione Analizzando la ruota di Meilgaard che ci aiuta nell’individuazione dei composti aromatici delle birre, il diacetile fa parte del gruppo 6 della ruota, dove sono riportati gli acidi grassi in cui salvo casi particolari sono gravi difetti dovuti spesso ad alterazione batterica. Eccetto che per le birre a fermentazione spontanea e in minor misura su alcune ales non sono accettabili su nessun’altra birra. Il sentore atribuibile al diacetile ricorda il caramello (a basse concentrazioni), oppure burro rancido (ad alte concentrazioni) coadiuvato da una sensazione oleosa al palato. Il diacetile non e` un difetto che possiamo definire Pagina 11 “assoluto”. In generale nelle Ale del Belgio e in quelle americane dal profilo di lievito pulito e neutrale e` assolutamente da evitare, come allo stesso modo non e` tollerabile neppure in esigue quantita` per tutti gli stili di bassa fermentazione. Fanno eccezione le pils ceche, dove è quasi sempre presente e tollerato se rimane in modica quantità. Discorso a parte fanno gli stili tipicamente inglesi, dove una bassa concentrazione di diacetile non e` da considerarsi un difetto ma una peculiarita` propria dei lieviti che vengono utilizzati. Nelle real ales servite in cask, ad esempio, il diacetile si forma a causa dell’ossidazione. Origine ed ambio problematico Sostanze responsabili: Diacetile (2,3Ixitandione, 2,3-pentandione) ! Origine data dal lievito: Si origina da sostanze precursorie (acetolattato per il diacetile, 2-idrossibutirrato per il pentandione) normalmente con una riduzione ad acetoina e 2,3-butandiolo. Lactobaciliaceae (pediococchi). ! ! Il suo precursore viene normalmente prodotto dal lievito durante la fermentazione, e viene poi riassorbito dal lievito stesso durante la seconda fermentazione che lo riduce ad acetoina e butandiolo, un composto che non inficia il sapore della birra. Il raffreddamento anticipato e la conseguente rimozione anticipata del lievito può impedirne il riassorbimento. Non da ultimo, anche le infezioni di batteri lattici possono essere fonte di formazione del diacetile. Ci sono diversi fattori che possono influenzare la p r o d u z i o n e d e l d i a c e t i l e, c o m e l’insufficienza di nutrimento per il lievito ed il ceppo di lievito utilizzato. I ceppi inglesi ne producono una generosa componente mentre ad esempio quelli americani dal profilo neutrale sono conosciuti ed apprezzati anche per apportarne livelli molto bassi. Rimedi possibili durante il processo produttivo. Affinche´ la riduzione del diacetile abbia successo e` fondamentale far lavorare correttamente il ceppo di lievito in fase di fermentazione e dare allo stesso il tempo necessario per portare a termine il proprio lavoro, evitando, ad esempio, l’abbattimento della temperatura di fermentazione non appena il lievito si abbia raggiunto il suo livello massimo di attenuazione. Un paio di giorni a temperature più alte dovrebbero essere sufficienti per l’assorbimento del diacetile. Fatto ciò si puo` procedere al raffreddamento della birra per stabilizzarla e decantarla. Questo è utile soprattutto per le basse fermentazioni. Molti di voi, infatti, conosceranno la pratica della pausa diacetile. Ritengo, però, che non sia sempre necessario. Questo dipende soprattutto dal ceppo di lievito e dalla temperatura di f e r m e n t a z i o n e. I l i e v i t i a b a s s a fermentazione producono meno diacetile di un lievito ad alta ma è più difficile per così dire mandarlo via. A scanso di equivoci l’innalzamento della temperatura a fine fermentazione male non fa. Ad esempio, per le mie basse fermentazioni faccio sempre una sosta a temperature più alte, sia per arrivare a completa attenuazione che per avere un riassorbimento del diacetile. Potrebbe infatti essere presente un alto livello del suo precursore, l’acetolattato, pronto a trasformarsi nella fase successiva. A quel punto, non ci sarebbe piu` nessuna possibilita` di eliminarlo. Un altro fattore che puo` facilitare la riduzione del diacetile e` una buona ossigenazione del mosto, necessaria alla corretta riproduzione del lievito. Quindi arieggiamento per tutto il tempo del raffreddamento. Meglio abbondare che deficere! Pagina 12 Metabisolfito di potassio Di Vincenzo Follino - Thiell Chiunque si affacci nel mondo della birrificazione homemade, uno dei primi prodotti con cui si inizia a prendere dimestichezza per il tedioso passaggio della sanificazione di strumenti ed attrezzature è proprio il metabisolfito di potassio. Il suo uso è incoraggiato, oltre che da alcuni soggetti evidentemente non bene informati circa le reali applicazioni di questo prodotto, soprattutto dai rivenditori di materie prime, che lo introducono nei vari kit per fare birra come unico agente sanitizzante. Effettivamente nell'industria esso viene utilizzato per i suoi preziosi effetti da un punto di vista tecnologico-alimentare, tra cui uno di questi è la sua attività antifermentativa, e grande spazio viene concesso a questo prodotto nel mondo dell'enologia e della viticoltura. Ma…è giustificata invece l'enorme possibilità concessa a questo prodotto nel mondo della birra? Vediamo prima di tutto di cosa stiamo parlando. Il metabisolfito di potassio non è altro che il sale di potassio dell'anidride solforosa, normalmente utilizzato nell'industria come additivo alimentare (E224). Si presenta come un solido biancastro e presenta un caratteristico odore di fiammifero acceso; conferisce sapore sgradevole e, a dosi elevate, è responsabile della comparsa di cefalea e altri disturbi, come irritazione gastrica e distruzione di alcune vitamine. Pertanto, per legge, le quantità previste in enologia sono normate. L'anidride solforosa esercita diverse azioni: ha Pagina 13 un'azione acidificante, per via della caratteristica acidità delle soluzione con SO2; ha un'azione defecante, in quanto favorisce la flocculazione dei colloidi caricati negativamente; ha un'azione antiossidante per via delle proprietà riducenti dell'anidride solforosa. Il metabisolfito viene utilizzato in enologia in vari momenti del processo produttivo, dalla conservazione dei vasi vinari al trattamento delle uve, dalla solfitazione del mosto a quello del vino. Generalmente lo stadio dove sono previsti i maggiori vantaggi dall'uso dello stesso è l'ammostatura dell'uva, o quello appena successivo, ma prima che venga innescata la fermentazione. muto). L' azione dell'SO2 è resa possibile grazie alla sua capacità di modificare alcuni sistemi intracellulari e la permeabilità cellulare dei batteri. Per questo motivo, i produttori vinicoli ne aggiungono un quantitativo prestabilito durante la formazione del mosto al fine di evitare un innesco fermentativo da parte di altri microrganismi. In sintesi, non presenta un'azione germicida ma esclusivamente batteriostatica, ovvero blocca un'eventuale sovracrescita di ceppi patogeni. Pertanto i suoi effetti non si espletano in un abbattimento o comunque una riduzione della carica microbica; quanto detto vale anche nella birrificazione. L'utilizzo del metabisolfito come agente sanitizzante è per tutti questi motivi altamente sconsigliato, né in combinazione con altri metodi di sanitizzazione né ovviamente da solo. L'unico fattore positivo per chi (la maggior parte) lavora in ambiente ossidante e non in isobarico è la sua azione antiossidante, ma qui esuliamo dal discorso legato alla sanitizzazione. Il mio auspico è quello di non vedere più persone che lo usano per scopi legati alla sanitizzazione, ma soprattutto che non venga proposto dai rivenditori di kit e materie prime come prodotto destinato alla sanificazione. Ciò la dice lunga circa la reale efficacia del metabisolfito come agente sanitizzante; a dosi non avvertibili nel prodotto finito, l'anidride solforosa ha una semplice azione antifermentante, ovvero inibisce e blocca la proliferazione di microrganismi, soprattutto batteri, che non siano quelli selezionati dal produttore al momento della semina. A dosi elevate blocca ogni azione fermentativa da parte dei lieviti (mosto Pagina 14 LE ITALIAN GRAPE ALE E LA NORMATIVA ITALIANA Di Gianluca Pettirossi Il riconoscimento da parte del BJCP delle Italian Grape Ale (IGA), stile che prevede birre contenenti uva o prodotti vitivinicoli e già ampiamente approfondito nello scorso numero de “L’ Informatore Brassicolo”, sta suscitando molto interesse nel panorama brassicolo italiano. Le normative riguardanti il vino e la birra sono abbastanza complicate, ma cercheremo di capire se le IGA possono essere commercializzate e soprattutto come possono essere presentate le loro etichette al consumatore. Nonostante la mia professione mi porti quasi quotidianamente a confrontarmi con tematiche legate alla certificazione regolamentata di alcuni vini Dop e Igp, tengo a precisare che la mia interpretazione è a titolo personale e non vuole essere esaustiva in materia: consiglio a chi volesse produrre e commercializzare la propria IGA di rivolgersi sempre e comunque all’ufficio territoriale dell’Ispettorato centrale della tutela della qualità e della repressione frodi dei prodotti agroalimentari (ICQRF) per chiarimenti e approfondimenti. Regolamento recante modificazioni alla normativa in materia di produzione e commercio della birra.) Inoltre l’ art. 2, comma 4 del suddetto decreto, prevede che quando alla birra sono aggiunti frutta, succhi di frutta, aromi, o altri ingredienti alimentari caratterizzanti, la denominazione di vendita è completata con il nome della sostanza caratterizzante, come ad esempio birra alle castagne o birra alle prugne. Un passaggio delicato per questa tipologia è invece quanto previsto dall’ Art. 13 della L. 20 febbraio 2006, n.82 (Disposizioni di attuazione della normativa comunitaria concernente l'Organizzazione comune di mercato (OCM) del vino), che impedisce alla birra di essere messa in vendita utilizzando nella propria etichettatura, designazione, presentazione e pubblicità raffigurazioni che comunque richiamano la vite, l’uva, il mosto o il vino. In pratica non si possono mettere in etichetta, ma nemmeno ad esempio nei biglietti da visita, disegni di grappoli, vigne, foglie di vite o altro che richiamino al consumatore l’idea del vino. Conclusioni In definitiva quindi alla birra è quindi consentita l’aggiunta di uva (o mosto d’uva) come ingrediente caratterizzante, che deve essere quindi citato in etichetta, ma resta vietato ai produttori italiani di inserire qualsiasi raffigurazione che comunque richiami l’uva, il mosto o il vino nell ’etichettatura, presentazione e pubblicità. E’ auspicabile comunque un intervento normativo che faccia maggiore chiarezza in materia. Nel frattempo, considerata l’importanza del riconoscimento ottenuto dalla BJCP, potrebbe essere interessante lavorare per sanare il gap informativo dovuto alla momentanea impossibilità o comunque alla difficoltà di caratterizzazione dello stile attraverso l’utilizzo di immagini o riferimenti al mondo enologico. Una strada percorribile è quella del raffor zamento dell ’informazione e diffusione della conoscenza dello stile: un’ operazione che potrebbe essere fatta anche traendo spunto da esperienze di altri prodotti “tradizionali”. Si tratta di uno sforzo che porterà i suoi frutti, ma che richiederà tempo, competenze, scelte strategiche ed un’ opera di coordinamento del panorama produttivo nazionale in grado di portare ad un adeguamento normativo che appare ormai indifferibile. Personalmente credo che una delle peculiarità di questo momento di grande “fermento” brassicolo sia quello di essere innescato da una generazione giovane, dinamica e culturalmente in grado di coniugare le nuove tendenze produttive innestandosi nel filone della tipicità e della tradizione enogastronomica italiana, in grado di offrire un valore aggiunto alle nostre produzioni. E queste peculiarità, unite al genio italiano, potranno esprimere una nuova frontiera nella costituzione di moderne tradizioni nel mondo della birra artigianale. Buona birra a tutti! Riferimenti normativi La denominazione birra è riservata al prodotto ottenuto dalla fermentazione alcolica di un mosto preparato con malto, di orzo o di frumento o di loro miscele ed acqua. Questi due cereali maltati possono essere sostituiti fino al 40% con altri cereali nonché con materie prime amidacee e zuccherine (DECRETO DEL PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA 30 giugno 1998, n. 272 Pagina 15 Oltre a ciò l’ art. 20, comma 6 e 7, D.Lgs. 8 aprile 2010, n. 61 (Impiego delle denominazioni geografiche dei vini) prevede che l’uso di vini a DOP o IGP in prodotti composti, elaborati o trasformati può essere fatto solo previa autorizzazione da parte dei Consorzi di Tutela vini o in assenza di quest’ultimo dal MIPAAF. Un esempio piuttosto fantasioso potrebbe essere una birra al mosto di Brunello. Pagina 16 Impianto di spillatura con i fustini da 5 litri Di Giovanni Iovane - Sgabuzen Costruire un impianto di spillatura casalingo non rappresenta solo il capriccio di un homebrewer ma in realtà si tratta anche di un utile escamotage per diminuire la fatica e il tempo spesi durante l'imbottigliamento. Da quando ho deciso di riempire almeno due fusti per ogni cotta, imbottigliare per me è qualcosa che si risolve in meno di un'oretta di lavoro. Inoltre, poiché la qualità della birra in maturazione è direttamente proporzionale al volume del recipiente che la contiene, la maturazione in fusto permetterà di ottenere un risultato davvero soddisfacente. Anche la schiuma ne risulterà "potenziata" e maggiormente compatta (sebbene sia descritta da alcuni puristi come "irreale"). Ovviamente, un impianto casalingo non viene utilizzato come l'impianto di un pub e quindi il primo problema che si presenta è relativo alla durata del fusto. Molti homebrewers sono convinti che dopo una settimana il fusto è già da buttare, altri invece affermano di aver lasciato il fusto attaccato anche per un mese. Secondo me la risposta migliore è che non c'è una regola fissa e tutto dipende da cosa c'è nel fusto. Per ovviare a questo problema, qualche mese fa ho venduto tutti i miei fusti Jolly e ho acquistato i fustini da 5 litri. Questi fustini costano poco più di 5 euro e non nascono per essere collegati direttamente ad un impianto di spillatura per cui è necessario adattarli. Se da un lato sono molto semplici da usare e la loro capacità ridotta ci permette di avere sempre qualcosa attaccato all'impianto, da un altro punto di vista sono molto difficili da pulire bene all'interno, soprattutto se deciderete di riutilizzarli. Del resto, vengono venduti come fusti monouso... anche se io cerco di riutilizzarli almeno due volte prima di buttarli definitivamente. Prima di decidere di passare a questo sistema, ho girato senza sosta in rete per giorni alla ricerca di un adattatore ad un prezzo decente. Purtroppo in territorio italiano si trovava ben poco e le uniche cose che mi capitavano davanti erano soluzioni costosissime che funzionavano con le cartucce di Co2. quando ho ricevuto il pacco dalla Germania e, scartando la confezione, ho notato che sul pezzo c'era scritto MADE IN ITALY. L'adattatore che ho acquistato è una sorta di spinone che si inserisce dall'alto e presenta due attacchi: 5/8" per la birra e 3/4" per il gas, che ho raccordato all'impianto con i soliti raccordi rapidi John Guest. Ci vuole veramente poco affinché il fusto si deformi e rompa le cuciture. Nonostante questo, da quando uso questi fustini sono triplicate le volte che collego l'impianto e sono passato dall'avere un mobile semiabbandonato ad avere una sorta di zona bar sempre aperta, con grande gioia dei miei amici che, oltre ad estinguere ogni mia più piccola riserva, si divertono anche ad imparare a spillare! Per poterlo usare con i fustini è necessario sostituirne il gommino rosso (solitamente dato in dotazione) con il gommino grigio. L'unico punto negativo, secondo me, è che con questo tipo di fustini non è facilissimo sgasare il fusto in caso di sovracarbonazione poiché è presente una valvola di non ritorno sull'attacco del gas. Per questo motivo, bisogna prestare molta più attenzione alle giuste dosi di priming e verificare che la fermentazione primaria sia effettivamente completata. Alla fine, solo dopo lunghe ricerche su eBay, ho trovato un rivenditore tedesco che faceva al caso mio. Il colmo è stato Pagina 17 Pagina 18 "LE NEWS... BRASSICOLE” Negli ultimi due anni si è assistito ad un grande “fermento” tra i produttori di ceppi di lievito, liofilizzati ed in coltura liquida, oltre ad una maggiore ricezione da parte dei nostri rivenditori di prodotti fino a poco tempo fa presenti solo sui mercati esteri. Dopo l’introduzione in Italia dei lieviti Mangrove Jack’s (nove ceppi attualmente disponibili, in prevalenza ceppi inglesi), ecco che la stessa casa oceanica comunica l’uscita prossima di nuovi lieviti liofilizzati, da far invidia ad un catalogo di lieviti liquidi. Grande attenzione è stata posta alla produzione di ceppi selezionati per gli stili belga, grosso neo attualmente presente tra i produttori di lieviti secchi, e maggiore scelta di ceppi dal profilo neutrale; alcuni di questi già erano in catalogo ma hanno subito un restyling nel nome. Speriamo che arrivino quanto prima in Italia. Già disponibili presso molti rivenditori esteri. Pagina 19 Belgian Wit M21: ceppo di lievito selezionato ad alta fermentazione con un buon bilanciamento tra esteri fruttati e speziato fenolico. Lascia una dolcezza residua e presenta una flocculazione bassa. Ideale per witbier, Grand Cru e Spiced Ales. Belgian Abbey M47: ceppo moderatamente alcol tollerante, produce pochi prodotti fenolici ma è eccezionalmente fruttato, donando complessità alla birra. Flocculazione alta. Ideale per: Belgian Pale Ale ed Abbey Ales Belgian Ale M41: ceppo ad alta attenuazione e tolleranza all’alcol, produce birre complesse tipiche dei monasteri del Belgio, piccante e fenolico. Ideale per: Belgian Golden Strong Ale e Belgian Dark Strong Ale Pagina 20 "LE NEWS... BRASSICOLE” Belgian Tripel M31: ceppo ad elevate attenuazione e tolleranza all’alcol, produce aroma molto complessi, un mix di spezie, frutta ed alcol. Ideale per: Belgian Tripel e stili trappisti Pagina 21 French Saison M29: lievito per stile saison, molto attenuante, mix di spezie, frutta e pepe. Tollera fino a 14° alcol. Ideale per: Saison e stili alcolici California Lager M54: ceppo lager unico per la sua capacità di fermentare ad alte temperature senza rilasciare off flavour. Ideale per California Common Bavarian Lager M76: lievito adatto ad una moltitudine di stili a bassa fermentazione. Produce meno note di zolfo rispetto ad altri ceppi lager, ed esalta il maltato, pur senza nascondere il carattere luppolato. Ideale per: Pilsner, Helles, Munich Dunkel, Rauchbier. Pagina 22 "LE NEWS... BRASSICOLE” Empire Ale M15: produce birre molto corpose con una eccezionale profondità. Produce note di frutti scuri. Ideale per: Scottish Heavy Ales, American Amber Ales, Sweet Stout Pagina 23 Liberty Bell Ale M36: ceppo ad alta fermentazione, ideale per una vasta gamma di stili, produce esteri leggeri e delicati che rinforzano la parte maltata. Ideale per: Golden Ale, APA, EPA, ESB New World Strong Ale M42: ceppo ideale per una gran varietà di stili Ale, profilo neutrale ma dona pieno carattere di malto e luppolo. Ideale per: IPA; Porter, Stout Mead M05: ideale per Mead; ricco di esteri fruttati, floreali, alta tolleranza all’alcol Pagina 24 Abbiamo da sempre evocato lo spirito eclettico della nostra piattaforma, cercando di allontanarla dalla classica funzione di "forum"; oltre a darle dei connotati reali, uscendo fuori dalla visione virtuale dello stesso, ed oltre ad appoggiare progetti di realtà amiche, da oggi il Forum della Birra, grazie ad un'idea dei suoi amministratori, intende anche formare ed informare: nasce L'Informatore Brassicolo, uno strumento che ci permetterà di approfondire talune tematiche emerse tra gli homebrewers e non solo, cercando di stimolare lo spirito critico di tutti noi e concedere nuovi spunti di discussione alla materia dell'homebrewing e delle craft beer.