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UGO NICOLO* FOSCOLO
UGO NICOLO’ FOSCOLO 177 8 – 1 8 27 T R A R A Z I O N A L I T À E I R R A Z I O N A L IT À A CURA DI V A L E R I A L E O T TA E C R I S T I N A M I R O G L I O Tra Neoclassicismo e Romanticismo “Nel Foscolo è visibilissima quell'aria di irrequieto dolore, quel desiderio di pace e di oblio, che fu comune agli uomini e agli scrittori della generazione romantica […]” ( Eugenio Donadoni, Ugo Foscolo pensatore critico poeta ) All’abbandono agli impulsi del sentimento e della passione, si affianca, tuttavia, anche un desiderio di equilibrio e armonia interiore di ispirazione classica. In questo senso la sua figura si colloca in una fase di transizione tra Neoclassicismo e Romanticismo. UN POETA SENZA PATRIA E’ possibile suddividere la vita di Foscolo in sei fasi: 1778-1793: Nascita e infanzia; 1793 -1797: Trasferimento a Venezia, esordio letterario, delusione per il trattato di Campoformio ed esilio a Milano; 1797-1808: Trasferimento a Bologna, pubblicazione delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, delle Poesie, dei Sepolcri; 1809-1810: Docenza universitaria a Pavia, ritorno a Milano; 1812-1813: a Firenze lavora alle Grazie; 1813-1827: a Milano difende il Regno d’Italia, si reca in Svizzera, parte per Londra, dove rimane fino alla morte. 1778-1793 Nasce a Zante, un’isola dello Ionio appartenente alla Repubblica veneta. A soli sette anni deve lasciare l’isola, per seguire il padre che ha trovato lavoro a Spalato. Dopo la morte improvvisa del padre, si trasferisce a Venezia nel 1793 con la madre e i fratelli. 1793-1797 Si inserisce nell’ambiente colto e raffinato dei salotti veneziani. Studia con grande passione i classici greci e latini, gli italiani antichi e moderni, i grandi stranieri. Stringe amicizia con Ippolito Pindemonte e Melchiorre Cesarotti. Vive una tempestosa storia d’amore con una gentil donna trentaquattrenne, Isabella Teotochi. Abbraccia gli ideali della rivoluzione francese e fa professione di giacobinismo. Dopo il Trattato di Campoformio, con cui Napoleone cede Venezia all’Austria, deluso deve lasciare Venezia e si trasferisce a Milano. 1797-1808 Si trasferisce a Bologna. Scrive i primi sonetti e la prima parte delle Ultime lettere di Jacopo Ortis, ispirate dalla delusione politica e dall’esperienza dell’esilio. Da Bologna si sposta a Firenze, Livorno e infine a Genova, dove compone l’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo. Nel 1802 compone l’ode All’amica risanata e gli ultimi sonetti, pubblica la prima edizione completa dell’Ortis. Nel 1803 pubblica le Poesie, che comprendono i dodici sonetti e le odi. Tra il 1804 e il 1806 si unisce all’esercito napoleonico viaggiando nella Francia del nord e traduce il Sentimental Journey di Sterne e scrive la Notizia intorno a Didimo Chierico. Nel 1807 pubblica Dei Sepolcri e l’Esperimento di traduzione dell’Iliade di Omero. Nel 1808 è nominato professore di eloquenza latina e italiana presso l’Università di Pavia, ma la cattedra viene soppressa. Le ultime lettere di Jacopo Ortis L’opera è un romanzo epistolare, nuovo genere della letteratura italiana. Ha come modelli di riferimento Giulia o la nuova Eloisa di Rousseau e I dolori del giovane Werther di Goethe. Consiste in una raccolta delle lettere indirizzate da Jacopo all’amico Lorenzo Alderani tra l’ottobre del 1797 e il marzo del 1799; vi sono anche alcune lettere indirizzate all’amata Teresa e ad altri. Trama Jacopo, giovane intellettuale veneto fautore degli ideali democratici, scrive all'amico Lorenzo Alderani le sue dolorose vicende. Costretto a lasciare Venezia dopo il trattato di Campoformio ( 1797) con cui Napoleone ha ceduto la Repubblica veneta all'Austria, si rifugia sui Colli Euganei dove conosce un altro esule, il signor T., e s'innamora di sua figlia Teresa. L'amore si trasforma in tormento poiché Teresa è promessa sposa a Odoardo, giovane onesto e ricco, ma privo di slanci e di calore, ch'ella deve sposare per rimediare al dissesto economico della famiglia. Mentre Odoardo è lontano per affari, Jacopo e Teresa vivono giorni inquieti, lottando contro il sentimento profondo che li unisce. Si scambiano anche un bacio, ma il ritorno di Odoardo e le persecuzioni della polizia austriaca costringono Jacopo a partire. Viaggia per l'Italia: a Bologna, a Firenze, dove visita le tombe dei grandi italiani in Santa Croce; a Milano, dove discute col Parini le disperate sorti dell'Italia. A Ventimiglia, dinanzi alla valle del Roia medita sull'onnipotenza della natura e sull'imperscrutabilità del destino. Raggiunge il Veneto. Rivede Teresa, ormai sposa di Odoardo. A Venezia saluta la madre. Poi torna sui colli Euganei e perduta ogni illusione s'uccide dando un ultimo sguardo al ritratto di Teresa. Tematiche Jacopo si dispera per le sventure della patria e per l’impossibilità di liberarla, poiché la libertà della patria è sentita come ragione della vita stessa. Il romanzo si apre ( Il sacrificio della patria nostra è consumato ) e si chiude ( Ora accogli l’anima mia ) con toni sacrali, che rimandano ai testi evangelici: la morte di Jacopo assume così i connotati cristologici del sacrificio di redenzione. Essendo venuta meno la possibilità di un riscatto, il suicidio di Jacopo può essere interpretato come la presa d’atto di un fallimento, ma al tempo stesso si può intendere anche come una rivolta titanica contro la sorte. La donna amata è Teresa (forse Teresa Pikler, moglie di Vincenzo Monti, amata invano dal poeta), portatrice angelica di una bellezza pura e irraggiungibile. L’amore di Jacopo, dunque, se per un verso appare proiettato verso una dimensione sacra, per un altro carico di una torbida e morbosa sensualità. L’amore è visto come il momento più esaltante della vita umana, tuttavia la promessa di una vita armoniosa e felice che esso contiene in sé risulta impossibile. ( “Or perché farmi conoscere la felicità s’io doveva bramarla fieramente, e perderne la speranza per sempre?”, lettera del 12 maggio 1798 ) E’ inteso come rifiuto assoluto delle convenzioni sociali. Per Jacopo risulta impossibile uscire fuori dal mito della giovinezza, perché non riesce ad accettare la realtà che lo opprime. Ma la frustrazione lo porta al suicidio cosicché al mito della giovinezza si sostituiscono miti di rinuncia e distacco, come quelli dell’esilio e della tomba. L’originalità dell’opera come romanzo autobiografico Nonostante si rifaccia ad autori precedenti, Foscolo rivendica l’originalità della sua opera, dando un taglio autobiografico al romanzo: l’autore modella sul personaggio il suo carattere impetuoso e passionale e vi proietta le proprie esperienze politiche e sentimentali. Così sul piano politico, la sconfitta di Jacopo è una rappresentazione letteraria del fallimento del tipo di intellettuale che Foscolo da giovane avrebbe voluto essere: uno scrittore militante e il leader di una società in via di emancipazione. Stile La forma epistolare accentua la tragicità dell’opera già annunciata dall’aggettivo “ultime” nel titolo del romanzo. Centrali sono, dunque, le emozioni del protagonista, la cui incostanza determina uno stile frammentario e discontinuo, che si riflette nella sintassi, in cui a frasi brevi e spezzate si alternano periodi ampi e solenni. Il lessico è quello della tradizione aulica. Poesie Sono una raccolta di dodici sonetti e due odi, A Luigia Pallavicini caduta da cavallo e All’amica risanata. Convergono due elementi fondamentali della poetica foscoliana: la passionalità e il richiamo al mondo classico, fatto di serenità e di bellezza. Odi Il modello di riferimento è Parini. L’ode A Luigia Pallavicini caduta da cavallo è la più antica e di gusto neoclassico. Si presenta come un'"augurale consolatoria" per una giovane gentildonna, Luigia Pallavicini, che, cadendo da cavallo, aveva subito una deturpazione della sua bellezza. Quest’ultima diviene espressione di un mondo armonioso, quello classico, dove potersi rifugiare e simbolo di un bene intangibile, ma perennemente minacciato. L’ode All’amica risanata fu scritta in occasione della guarigione da una malattia di Antonietta Fagnani Arese, una donna amata dal poeta. In essa alla raffinatezza neoclassica si fonde la sensualità malinconica. Anche qui la donna è incarnazione della bellezza consolatrice, che il poeta canta attraverso la poesia eternizzando il ricordo dell’amica. Sonetti I modelli di riferimento sono Alfieri e il Canzoniere di Petrarca. I primi otto trattano varie tematiche: amorosa e politicoculturale, con una forte tendenza all’autoritratto. Gli ultimi quattro ( Alla sera, A Zacinto, In morte del fratello Giovanni, Alla Musa ) riprendono gli autori classici per creare un linguaggio nuovo che armonizza i sentimenti impetuosi. Il tono è meditativo e solenne. Alla sera Forse perché della fatal quïete tu sei l'imago a me sì cara vieni o sera! E quando ti corteggian liete le nubi estive e i zeffiri sereni, e quando dal nevoso aere inquïete tenebre e lunghe all'universo meni sempre scendi invocata, e le secrete vie del mio cor soavemente tieni. Vagar mi fai co' miei pensier su l'orme che vanno al nulla eterno; e intanto fugge questo reo tempo, e van con lui le torme delle cure onde meco egli si strugge; e mentre io guardo la tua pace, dorme quello spirto guerrier ch'entro mi rugge. Commento Il sonetto si divide in due parti corrispondenti alle due quartine e alle due terzine: la prima è dedicata alla descrizione della sera, immagine della morte e del nulla, e delle emozioni che essa suscita nel poeta; la seconda alla riflessione sul “nulla eterno”. Il sonetto presenta struttura anulare: negli ultimi due versi ritorna il motivo iniziale della sera portatrice di quiete. Lo schema metrico è: ABAB, ABAB; CDC, DCD A livello retorico- stilistico si rintracciano periodi ampi, la ripetizione della figura del polisindeto e la sfasatura tra pause sintattiche e pause metriche segnata da forti enjambements. A Zacinto Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar da cui vergine nacque Venere, e fea quelle isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. Commento Il sonetto si può suddividere in tre parti: Nei primi tre versi l’immagine dell’isola è legata al ricordo dell’infanzia lontana; Nei versi 4-11 subentra l’evocazione del mondo classico visto un universo di perfezione irrimediabilmente perduto; vengono così delineate tre figure mitiche: Venere, dea della bellezza e dell’amore; Omero, il capostipite dei poeti classici; Ulisse, il prototipo dell’eroe che dopo l’esperienza dell’esilio riesce a raggiungere la sua patria; Negli ultimi versi il poeta ribadisce l’insormontabile distanza che lo separa da quel mondo tanto desiderato. Anche questo sonetto ha struttura circolare: si apre e si chiude sul tema dell’esilio. Lo schema metrico è: ABAB, ABAB; CDE, CED Sul piano retorico- stilistico, risalta, innanzitutto, l’abnorme ampiezza del primo periodo che occupa le prime tre strofe, reso più ostico dalla frequenti inversioni dell’ordine abituale delle parole nella frase; sono presenti forti enjambements; infine Omero viene indicato con un’ampia perifrasi. Particolare rilievo semantico assumono i suoni -onde e -acque delle rime delle quartine, che evocano il tema dell’acqua. In contrasto con il resto del sonetto, l’ultima terzina è secca e concisa ed evidenzia lo scontro con la durezza della realtà presente. In morte del fratello Giovanni Un dì, s'io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de' tuoi gentil anni caduto. La Madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch'io nel tuo porto quiete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta. Commento Il sonetto è dedicato al fratello Gian Dionisio, detto Giovanni, morto nel 1801 a vent’anni, probabilmente suicida per debiti di gioco. Il sonetto parte da un’esperienza autobiografica diretta ma rimane legato al modello letterario tanto da tradurre quasi letteralmente intere espressioni del carme CI di Catullo ( Di gente in gente, di mare in mare ho viaggiato, o fratello, e giungo a questa mesta cerimonia per consegnarti il funereo dono supremo e per parlare invano con le tue ceneri mute […] ). La morte del fratello riflette l’autoritratto del poeta, così la morte tragica di Giovanni diventa proiezione della tragica sorte di Ugo stesso. In tal senso la madre funge da mediatrice, in quanto piangendo il figlio defunto lo identifica con quello che è sopravvissuto. Lo schema metrico è: ABAB, ABAB; CDC, DCD Le figure retoriche sono: una metonimia, due sineddoche, un'ipallage, una metafora, iperbati, enjambements. Dei sepolcri L’occasione fu data da una conversazione con Ippolito Pindemonte che stava componendo un poemetto I Cimiteri, in difesa del culto delle tombe, violate dall’editto di Saint-Cloud del 1804, esteso all’Italia nel 1806. Secondo tale editto, sulla base dei principi egualitari della rivoluzione francese e per motivi di ordine igienico, le tombe dovevano essere uguali per tutti e fuori dalle mura. Il poeta non condivise l’editto, ritenendo di dover dare il giusto riconoscimento ai meriti dei migliori. E, così, all’interno dell’opera cita come esempio il poeta Parini, che, sepolto in una fossa comune, giace forse accanto ad un ladro o ad un assassino. I caratteri innovativi sono l’intento filosofico, che consiste nel procedere per argomentazioni ed esempi, e nella carica attualizzante, data dal continuo rapporto stabilito tra passato e presente. Lo stile è solenne e incisivo: dai toni colloquiali si passa a quelli ideologicamente impegnati a quelli profeticamente ispirati e tendenti al sublime. I vari generi dell’opera Nella prima edizione l’autore li definisce “carme”, richiamandosi al significato classico del termine che alludeva ad un genere di poesia impegnata e solenne. Tuttavia, nelle lettere relative all’opera li definisce “epistola”, nel senso di un epistola in versi rivolta ad Ippolito Pindemonte. Infine, l’opera può essere considerata un poemetto filosofico, nonostante la mancanza dell’elemento narrativo che caratterizza il genere. Struttura e contenuto Il carme è costituito da 295 endecasillabi sciolti. È suddivisibile in quattro parti, come suggerisce lo stesso autore: Prima parte (vv. 1-90): le tombe sono inutili da un punto di vista materialistico e laico, ma assumono significato nella dimensione sociale dell’uomo, per ricordare i defunti. Seconda parte (vv. 91-150): vengono passati in rassegna i vari culti dei morti nel corso della civiltà umana. In tal senso, vengono esaltati il modello classico e quello inglese, a dispetto del modello cattolico e medievale. Terza parte (vv. 151-212): viene trattato il rapporto tra significato privato e significato pubblico della morte. Le tombe dei grandi devono comunicare ai virtuosi le più alte aspirazioni, così come le tombe di Santa Croce ispirarono Alfieri e Foscolo stesso. Quarta parte (vv. 213- 295): viene ribadito il valore morale della morte che compensa le ingiustizie della vita, garantendo ai virtuosi la gloria meritata. La poesia assume la stessa funzione delle tombe, quella, appunto, di celebrare le virtù e conservarne il ricordo. Tuttavia, mentre i sepolcri vengono distrutti dal lavorio del tempo, la poesia, grazie alla sua durata dei secoli nei secoli, offre agli eroi una sorta di immortalità terrena. Così l’Iliade di Omero ha preservato il ricordo delle imprese sia dei vincitori che dei vinti. Tematiche In sintesi, I Sepolcri sono un carme: civile, riprendendo la concezione di Vico della storia come passaggio dalla barbarie alla civiltà, Foscolo considera i sepolcri come la testimonianza del passato, della storia e della civiltà di un popolo; patriottico, le tombe dei grandi italiani ispirano l’animo dei virtuosi a compiere grandi imprese, ad esempio sacrificarsi per la patria, facendo sperare in un futuro risorgimento politico della nazione; religioso, il messaggio morale del carme consiste nella volontà di affermare quei valori che umanizzano i rapporti sociali e rendono la vita degna di essere vissuta. Le Grazie (1812-1813) Sono una serie di frammenti incompiuti in endecasillabi sciolti, che nell’intenzione de poeta avrebbero dovuto costituire un testo unitario, ma poi suddiviso in tre inni, dedicati a Venere, Vesta e Pallade. Il poemetto è dedicato alla scultore neoclassico Antonio Canova, che in quel periodo stava lavorando al gruppo marmoreo delle Grazie (Aglaia, la brillante, Talia, la verdeggiante, ed Eufrosine, la gioia interiore). Contenuto Primo inno: è dedicato a Venere e descrive la nascita delle Grazie e di Venere dalle onde del mare. Le Grazie, guidate dalla dea dell’amore, portano agli uomini la civiltà facendo nascere le arti. Secondo inno: è dedicato a Vesta ed è ambientato a Firenze nella villa di Bellosguardo, dove, come in un tempio, la fiorentina Eleonora Nencini (suonatrice d’arpa), la bolognese Cornelia Martinetti (portatrice del miele fornito dalle api di Vesta) e la milanese Maddalena Bignami (danzatrice) celebrano un rito davanti ad un altare in onore delle Grazie. Esse rappresentano il passaggio delle Grazie dalla Grecia all’Italia. Terzo inno: è dedicato a Pallade e rappresenta la perdita nel presente dei valori rappresentati dalle Grazie, fuggite nel mitico continente di Atlantide, in seguito all’imbarbarimento degli uomini. Allora Pallade fa tessere alle Grazie un velo, il pudore, sul quale sono raffigurati i più alti valori spirituali, così che le possa nascondere agli occhi indegni e la loro bellezza possa continuare a svolgere la sua funzione civilizzatrice. Tematiche Emergono le seguenti tematiche: la rievocazione della terra natale; il sentimento patriottico; Il vagheggiamento dell’amore; la bellezza come unica consolazione. Notizia intorno a Didimo Chierico Didimo Chierico è il nome indicato nel Viaggio Sentimentale di Yorick lungo la Francia e l’Italia, quale responsabile della traduzione dell’opera dell’inglese Laurence Sterne. In appendice al romanzo, Foscolo fece stampare una Notizia intorno a Didimo Chierico, nella quale fornisce al lettore un eccentrico autoritratto. Il nome Didimo è desunto da un grammatico greco dell’età ellenistica, mentre il cognome Chierico si riferisce al fatto che nella fanciullezza Didimo era stato avviato al sacerdozio, senza però prendere i voti, ma può anche alludere alla sua professione di letterato, “sacerdote” della poesia. Il passato di Didimo, quale alter ego di Foscolo, è pieno di impegno e di passione, di quel desiderio di assoluto che anima la giovinezza dell’Ortis. Ma la sfiducia nella realizzabilità dei suoi ideali, fa assumere a Didimo un atteggiamento ironico e distaccato. Foscolo traduttore Foscolo, ottimo conoscitore del greco antico, intendeva realizzare una traduzione dell’Iliade di Omero diversa da quella pubblicata nel 1810 da Vincenzo Monti. La componente del Neoclassicismo di Monti l’aveva resa più che una traduzione, una versione poetica dell’Iliade, poco fedele all’originale, tanto che Foscolo in un epigramma scrisse “Questi è Monti poeta e cavaliero, gran traduttor dei traduttor d’Omero”. Foscolo, invece, nel suo Esperimento di traduzione dell’Iliade di Omero (1807), volle realizzare una traduzione più filologica e aderente al testo. Va detto, tuttavia, che il pubblico dell’epoca accordò la sua preferenza alla musicalità di Monti. Foscolo critico Ugo Foscolo svolse una notevole attività critica, inizialmente discontinua e disorganica, intensificatasi solo nell'ultimo periodo della sua vita, cioè durante l'esilio londinese. Tra gli scritti maggiori ricordiamo: Dell'origine e dell'ufficio della letteratura Discorso sul testo della Divina Commedia Essays on Petrarch Discorso storico sul testo del Decamerone Della nuova scuola drammatica in Italia (incompiuta) Foscolo e il teatro Nella produzione di Foscolo si inseriscono anche quattro tragedie: Edippo Tieste Aiace Ricciarda