Metodologie di accertamento tributario e prova del reato penale
by user
Comments
Transcript
Metodologie di accertamento tributario e prova del reato penale
METODOLOGIE DI ACCERTAMENTO TRIBUTARIO E PROVA DEL REATO Torino, 16 giugno 2014 Fondazione “Fulvio Croce” Avv. Guido Fracchia del Foro di Torino Massimiliano Mocci, Ispettore della Guardia di Finanza (Soci del Centro Diritto Penale Tributario) Poteri di indagine Tecniche di valutazione dei loro esiti: ingranaggi essenziali dei meccanismi impositivi che sono fondati sull’autoaccertamento e sull’autoliquidazione (cd. “fiscalità di massa”). L’attuazione del prelievo è affidata ai contribuenti. Il ruolo dell’Amministrazione finanziaria è di indirizzo e di controllo sull’operato dei contribuenti. ATTIVITA’ CONOSCITIVA DELL’AMMINISTRAZIONE FINANZIARA E’ L’INCONTRO DI: INTERESSI PUBBLICI … INTERESSI INDIVIDUALI … INTERESSE FISCALE INTERESSE INDIVIDUALE Interesse primario della collettività alla riscossione rapida e completa dei tributi Riparto dei carichi pubblici correlato ad una capacità economica effettiva, attuale e personale. Rispetto dei diritti fondamentali della persona, riconosciuti e protetti dalla Costituzione (persona, domicilio, etcc) TECNICHE DI ACCERTAMENTO: Si riconosce all’Amministrazione finanziaria la possibilità di sviluppare la misurazione dell’imponibile lungo percorsi che si differenziano in modo sempre più netto da quelli assegnati ai contribuenti. Si tratta di percorsi impostati secondo modelli presuntivi nella prospettiva di consentire all’Amministrazione finanziaria di colmare il deficit informativo sull’esistenza e consistenza della materia imponibile, che tipicamente contrassegna la sua posizione Una “visita dei funzionari dell’Agenzia delle Entrate o della Guardia di Finanza… L’Amministrazione finanziaria rende note, attraverso una apposita circolare, le linee guida di intervento per l’esecuzione delle verifiche e controlli fiscali, gli ambiti di intervento, le relative strategie di lotta all’evasione: i cd “indirizzi operativi”. Le indicazioni tengono conto: • della situazione economica del momento; • dei risultati ottenuti nell’anno precedente; • delle eventuali nuove metodologie di evasione individuate; • degli innovati strumenti normativi a disposizione. Analogo documento viene formato annualmente dal Comando Generale della Guardia di Finanza Sulla base delle risorse disponibili vengono calibrate le linee di intervento per l’anno in corso. La Circolare n.1/2008 in materia di Istruzione dell’attività di verifica è il documento fondamentale che detta le linee guida per l’esecuzione delle VERIFICHE FISCALI L’individuazione del contribuente da sottoporre a controllo deve sempre basarsi su criteri di scelta obiettivi, finalizzati alla repressione di fenomeni e comportamenti che costituiscono la reale evasione ed elusione fiscale. Allo stesso tempo un’efficace azione di contrasto concorre al perseguimento di un miglioramento degli adempimenti e degli obblighi fiscali. Analisi del rischio Soggetti da indagare Esercizio dei poteri istruttori Un primo importante passo verso quel sistema che si definisce di “autodeterminazione e autoliquidazione dell’imposta” lo abbiamo negli anni ’70, con la riforma del sistema tributario. Sono risalenti a quel periodo: • DPR 600 in materia di accertamento (1973) • DPR 633 istitutivo dell’Imposta sul Valore Aggiunto (1972). Nasce il numero identificativo di ogni operatore economico (impresa o professionista): la partita iva. E’ istituito , con DPR n.605/73, il “codice fiscale”, attribuito ad ogni cittadino residente nel territorio nazionale. Con questi due distinti sistemi (codice fiscale e partita iva) viene quindi censita praticamene tutta la platea dei contribuenti. Ad essi è riservata l’attenzione dell’Amministrazione finanziaria nelle occasioni in cui sia necessario provvedere al controllo delle dichiarazioni presentate: ai fini delle Imposte Dirette - “persone fisiche” (che, di norma, hanno l’obbligo di presentazione del modello Unico PF con alcune esclusioni); ai fini dell’IVA e delle stesse Imposte Dirette - titolari di partita iva (artigiani e commercianti costituiti in ditte individuali, imprese costituite in forma di società di persone o di capitali, esercenti arti e professioni, enti non commerciali). La strategia di prevenzione e contrasto agli illeciti fiscali si basa essenzialmente su due fondamenti: • individuazione di distinte macro-tipologie di contribuenti (grandi e medie imprese, piccole imprese e lavoratori autonomi, persone fisiche ed enti non commerciali) nei cui confronti operare un differenziato percorso di analisi e controllo; • adozione di metodologie di controllo che tengano conto delle diverse caratteristiche e peculiarità della realtà economica e territoriale nonché dei potenziali rischi di evasione/elusione valutati in capo al settore di appartenenza o al singolo soggetto. Per il comparto delle «imprese minori e dei lavoratori autonomi», l’attività di controllo tiene conto della realtà territoriale analisi strutturale dei rischi di evasione basata principalmente sui tre settori economici di riferimento (manifatture, servizi e commercio). Su questa categoria di contribuenti (imprese) saranno maggiormente adottati gli strumenti presuntivi di ricostruzione dei redditi (applicazione degli studi di settore , utilizzo delle indagini finanziarie e altre metodologie induttive) «Grandi Contribuenti» è stato istituito, partendo dai soggetti considerati di rilevanti dimensioni, il «tutoraggio», che comporta un’accurata attività di analisi dei rischi in relazione al : settore produttivo posizione individuale eventuale appartenenza ad un gruppo nazionale o multinazionale (ad esempio, fenomeni di estervestisione societaria, costi infragruppo, valutazione delle quote nei casi di vendita o trasferimento, operazioni con soggetti non residenti o inseriti nelle black list dei paesi a fiscalità privilegiata, esistenza di operazioni con soggetti rientranti nella disciplina delle CFC, etcc). Le potestà e modalità di controllo a disposizione dell’Amministrazione finanziaria, che consentono l’acquisizione di dati e notizie e l’esecuzione delle “verifiche fiscali” , sono principalmente contenute: art. 32 del D.P.R. n. 600/1973, ai fini delle Imposte Dirette art. 51 del D.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 in materia di IVA. Esse si distinguono in tre tipologie: • poteri istruttori esterni che si concretizzano in un intervento presso il luogo in cui si svolge l’attività del contribuente • poteri istruttori operati per iscritto «a distanza» nei confronti del soggetto controllato • poteri istruttori nei confronti di soggetti terzi. L’Agenzia delle Entrate e la Guardia di Finanza possono: 1) procedere all’esecuzione di accessi, ispezioni e verifiche; 2) invitare i contribuenti a comparire (di persona o per mezzo di rappresentanti) per fornire dati e notizie ovvero per esibire o trasmettere atti e documenti; 3) inviare questionari per l’acquisizione di dati e notizie; 4) richiedere a soggetti terzi, anche dell’Amministrazione dello Stato, che effettuano riscossioni e pagamenti, dati e notizie per singoli soggetti o per categorie; 5) avviare indagini finanziarie nei confronti di soggetti preventivamente individuati. IL PROCEDIMENTO DI ACCERTAMENTO In materia di imposte sui redditi è disciplinato dagli artt. 31 e segg. del D.P.R. 600/1973; E’ imperniato sulla dichiarazione e prevede un’attività di controllo da parte dell’amministrazione finanziaria al fine di verificare la veridicità dei dati dichiarati o, nell’ipotesi di omessa presentazione della dichiarazione, di ricostruire il reddito da assoggettare a tassazione. A seguito della fase istruttoria si possono verificare due ipotesi: • il controllo rileva la certezza dei dati dichiarati e ciò determina l’arresto del procedimento; • il controllo rileva l’infedeltà della dichiarazione o, in caso di omessa presentazione di quest’ultima, la prova della sussistenza di un reddito da recuperare a tassazione. In questa seconda ipotesi il procedimento si chiude con un avviso di accertamento con il quale si determina la base imponibile e si liquida l’imposta che verrà iscritta a ruolo ai fini della riscossione. L'istruttoria di controllo può essere eseguita: • all'interno dell'ufficio (AF o GDF) mediante l'analisi degli elementi di cui lo stesso dispone o delle notizie acquisite mediante questionari o inviti di comparizione; • presso il contribuente tramite accessi, ispezioni o verifiche. Gli accessi sono effettuati sulla base di esigenze effettive di indagine e controllo in loco. Tale procedura è regolata dagli artt.33 del D.P.R. 600/192 e dall’art. 52 del DPR 633/1972 e prevede l’accesso presso i locali del contribuente. L’art. 12 della Legge n. 212/2000 (Statuto dei diritti del contribuente), contiene una serie di disposizioni con funzione di garanzia per il contribuente sottoposto a verifica fiscale. Con la previsione del comma 1, 1° periodo, il legislatore ha individuato quale presupposto generale legittimante il potere di accesso, la sussistenza di effettive esigenze di indagine e controllo sul luogo. Circolare 1/2008 Guardia di Finanza le “effettive esigenze” ricorrono in tutti i casi in cui l’intervento ispettivo: - implichi la necessità di procedere a ricerche di documentazione contabile o extracontabile; - imponga l’effettuazione di rilevamenti materiali che possono eseguirsi solo presso il contribuente: rilevazioni dirette e altre rilevazioni” quali: - richieda un’azione, continuativa e coordinata, di riconciliazione, confronto, analisi ed elaborazione di un insieme complesso di dati contabili, extracontabili, materiali e fattuali difficilmente praticabile in assenza di una cognizione diretta da parte dei verificatori. Tra le diverse tipologie di accertamento possiamo distinguere: • l’accertamento in rettifica delle dichiarazioni delle persone fisiche, quando il reddito dichiarato risulta essere inferiore a quello effettivo; • l’accertamento in rettifica dei redditi determinati in base a scritture contabili; • l’accertamento d’ufficio nei casi di omessa presentazione delle dichiarazioni; • l’accertamento parziale in base agli elementi segnalati dall’anagrafe tributaria con il quale si accerta l’esistenza di un reddito non dichiarato o un maggior reddito rispetto ad un reddito parzialmente dichiarato e ciò senza precludere un’ulteriore azione accertatrice; • l’accertamento integrativo con cui gli uffici, in base alla sopravvenuta conoscenza di nuovi elementi, possono integrare o modificare in aumento redditi già rettificati o accertati, notificando nuovi avvisi di accertamento. METODI DI ACCERTAMENTO L’accertamento analitico (art. 38, commi 1-2, art. 39, comma 1 e art. 40 D.P.R. 600/1973; artt. 54 e 54-bis D.P.R 633/1972) la base imponibile è ricostruita con riferimento alle singole componenti attive e passive del reddito. Con riferimento all’IVA l’accertamento analitico consiste nella scomposizione di ciascun elemento costitutivo dell’imponibile nelle singole parti che lo compongono, affinché, eliminati gli errori, le omissioni, le false od inesatte indicazioni, che ne abbiano eventualmente viziato la formazione, sia possibile effettuare la ricomposizione nel modo giusto e regolare (segue) METODI DI ACCERTAMENTO “Analitico puro” quando si determina l’infedeltà della dichiarazione in modo diretto da elementi e dati risultanti dalla contabilità (registri e altre scritture). “Analitico per presunzioni qualificate” quando l’AF si avvale delle presunzioni legali o semplici (purchè dotate di gravità, precisione e concordanza). “senza ispezione contabile” quando l’Ufficio procede alla rettifica della dichiarazione indipendentemente dalla previa ispezione della contabilità (segue) METODI DI ACCERTAMENTO Il metodo analitico è stato introdotto come strumento per evitare l’applicazione di metodi forfetari ampiamente utilizzati nel periodo anteriore alla riforma in sede di accertamento e determinazione del reddito con conseguenti distorsioni della realtà economica effettiva del contribuente. L’analitica determinazione e accertamento del reddito ha lo scopo di garantire il contribuente dal pericolo di accertamenti discrezionali. Consente un iter conoscitivo che ha come punto di partenza le individuazioni di determinate fonti reddituali e, come esito, la determinazione del reddito effettivo attribuibile a tali fonti con la conseguente possibilità di dare facile prova del comportamento infedele del contribuente. METODI DI ACCERTAMENTO Le disposizioni relative alla determinazione del reddito d’impresa sono contenute nell’art.39 del D.P.R. 600/1973, dalla cui lettura si evince la rilevanza riconosciuta alle scritture contabili. Qualora il contribuente abbia rispettato gli obblighi imposti dal titolo I del D.P.R. n.600, l’amministrazione finanziaria procede alla rettifica del reddito di impresa quando gli elementi indicati nella dichiarazione non corrispondono a quelli del bilancio. METODI DI ACCERTAMENTO Tale rettifica ha luogo anche quando: • risulti l’inesatta applicazione delle disposizioni normative relative alla determinazione del reddito di impresa; • l’accertamento dell’incompletezza, falsità o inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risulti in modo certo e diretto dai questionari inviati, verbali redatti in seguito alla comparizione personale , dagli atti o registri da lui stesso esibiti • qualora l’incompletezza, la falsità o l’inesattezza degli elementi indicati nella dichiarazione risulti dalle ispezioni o verifiche compiute nei suoi confronti o da dati o notizie raccolte dall’ufficio mediante l’esercizio dei suoi poteri (con la possibilità di desumere l’esistenza di attività non dichiarate o l’inesistenza di passività dichiarate sulla base di presunzioni semplici purché gravi, precise e concordanti. METODI DI ACCERTAMENTO L’accertamento analitico del reddito delle persone fisiche è disciplinato dall’art. 38, primi 3 commi, del DPR 600/73, e ricostruisce l’imponibile considerandone le singole componenti. Si procede ad accertamento analitico quando sono note le fonti dei redditi e si perviene al reddito complessivo sommando i redditi delle singole fonti e categorie. All’accertamento analitico di un maggior reddito si può pervenire anche mediante presunzioni. Ad esempio: a) movimentazioni bancarie avvenute sui conti correnti; b) accertamento di redditi extracontabili in capo ad una società di capitali - a ristretta base societaria o familiare - può far presumere l’avvenuta distribuzione di dividendi occulti. METODI DI ACCERTAMENTO L’accertamento analitico - induttivo (art. 39, comma 2 D.P.R. 600/1973 in materia di imposte dirette; art. 55 D.P.R 633/1972 in materia di IVA) riguarda esclusivamente i soggetti obbligati alla tenuta delle scritture contabili ed è applicabile nei soli casi tassativamente indicati dalla legge, quando: - manca la dichiarazione dei redditi; - da un’ispezione emerge la mancanza di una/più scritture contabili; - Le scritture risultano inattendibili causa gravi omissioni o false indicazioni; - il contribuente si è rifiutato di compilare un questionario o non ha ottemperato ad un invito ad esibire atti o documenti. METODI DI ACCERTAMENTO L’accertamento sintetico o induttivo (art. 38, commi 3-5, D.P.R. 600/1973 in materia di imposte dirette) Parte dal dato particolare per giungere al dato generale, con l’utilizzo di presunzioni con un grado di attendibilità piuttosto modesto. Il metodo sintetico si concretizza in un iter conoscitivo che ha come punto di partenza l’individuazione di elementi e fatti economici diversi dalle fonti di reddito, in quanto, mediante l’uso di indici indiretti, l’amministrazione finanziaria potrà giungere alla conoscenza di un maggior reddito da imputare a tassazione METODI DI ACCERTAMENTO L’accertamento sintetico ha come base le spese: spesa globale, spesa per investimenti, le spese considerate da redditometro, ed è finalizzato a quantificare il reddito complessivo, prescindendo dalla individuazione delle categorie reddituali delle quali si compone il reddito complessivo. Questo diverso metodo di determinazione del reddito non si preoccupa di identificare le specifiche fonti di guadagno, ma mira a rideterminare il reddito complessivo delle persone fisiche, sulla base della capacità di spesa manifestata dal soggetto, attraverso la disponibilità di beni o servizi indici di capacità contributiva METODI DI ACCERTAMENTO Studi di settore - Art. 62-sexies, D.L. n.331/1993 e art.10 della legge 8 maggio 1998, n.146. Gli studi di settore sono strumenti di accertamento basati su presunzioni che consentono di determinare, secondo medie statistiche i ricavi o i compensi dei soggetti che svolgono attività d’impresa, arti e professioni. L’accertamento standardizzato mediante studi di settore è autonomo e indipendente dall’analisi delle scritture contabili su cui si basa l’art. 39. METODI DI ACCERTAMENTO Gli studi di settore sono utilizzati da supporto per l’accertamento analitico con metodo induttivo. Ogni contribuente deve, dunque: a) inquadrare la propria attività in un cluster; b) indicare se esiste congruità tra volume di ricavi e compensi dichiarati, cioè se rientra o meno nel c.d. “intervallo di confidenza parametrale”; c) indicare se vi è coerenza dei principali indicatori economici della sua attività rispetto alla forchetta di valori (minimo e massimo) assunti come normali. METODI DI ACCERTAMENTO Come anche previsto dalla Corte di Cassazione SS.UU., sentenza n. 26635 del 18 dicembre 2009, costituiscono un sistema di presunzioni semplici su cui si fonda l’accertamento nel rilevare lo scostamento dei ricavi dichiarati rispetto a quelli attribuibili al contribuente sulla base dello studio di settore. In particolare la citata sentenza della Corte di Cassazione SS.UU. N. 26635 del 18/12/2009 statuisce che: “ la procedura di accertamento tributario standardizzato mediante l’applicazione dei parametri o degli studi di settore costituisce un sistema di presunzioni semplici, la cui cui gravità, precisione e concordanza non è “ex lege” determinata dallo scostamento del reddito dichiarato rispetto agli “standards” in se considerati -…- ma nasce solo in esito al contradditorio con il contribuente da attivare obbligatoriamente, pena la nullità dell’accertamento”. Sentenza richiamata recentemente dalla stessa Corte nella ordinanza n.8626 dell’11 aprile 2014, e dalla Commissione Tributaria Regionale di Roma n.1477/28/14 (udienza del 04.12.2013). METODI DI ACCERTAMENTO Gli studi di settore costituiscono un sistema utile per valutare la capacità di produrre ricavi o conseguire compensi delle singole attività economiche, realizzato tramite la raccolta sistematica non solo di dati di carattere fiscale ma anche di numerosi altri elementi che caratterizzano l’attività ed il suo contesto economico. Essi sono analisi statistiche di determinati settori che offrono all’Amministrazione finanziaria alcune informazioni sul livello di ricavi o compensi, ragionevolmente attribuibili ai contribuenti attraverso la rilevazione, realizzata mediante la raccolta sistematica di dati contabili ed extra contabili, delle caratteristiche “strutturali” di ogni specifica attività economica. LE PRESUNZIONI Sono le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire a un fatto ignorato (art. 2727 c.c.). E’ cioè il processo logico deduttivo per cui dalla conoscenza di un fatto noto si perviene alla dimostrazione del fatto ignoto. Partendo dal fatto noto, cioè da fatti della realtà, viene elaborato un processo logico sulla base dell’esperienza di ciò che comunemente accade in determinate circostanze. LE PRESUNZIONI Le presunzioni si distinguono in “presunzioni semplici” (art. 2729) e “presunzioni legali” (art. 2728 c.c.), che a loro volta si dividono in: “presunzioni assolute” (iuris et de iure) “presunzioni relative” (iuris tantum) a seconda che contro la presunzione legale sia ammessa o meno la prova contraria. LE PRESUNZIONI Le presunzioni legali assolute dispensano coloro a favore dei quali sono stabilite da ogni prova. Nelle presunzioni relative il fatto che ne è oggetto è considerato vero salvo prova contraria. Si realizza quell’effetto processuale che consiste nell’inversione dell’onere della prova sul fatto presunto, per cui chi allega il fatto presunto è sollevato dall’onere della prova che grava invece sulla controparte. LE PRESUNZIONI Presunzioni semplici (art. 2729) Sono presunzioni non stabilite dalla legge e lasciate alla prudenza del giudice il quale non deve ammettere che presunzioni gravi, precise, e concordanti. • il requisito della gravità, attiene al grado di attendibilità; • il requisito della precisione, comporta che il ragionamento presuntivo porti senza contraddizioni alla conclusione sul fatto ignorato; • il requisito della concordanza, prevede che per raggiungere la prova di un fatto mediante presunzioni semplici queste devono essere più di una e tale pluralità va valutata nella sua complessità e non atomisticamente. ALCUNE PRESUNZIONI NELL’ACCERTAMENTO TRIBUTARIO PRESUNZIONE DI CESSIONE O ACQUISTO DI BENI (art. 53 DPR nr. 633/72) Presunzione legale di inerenza all’esercizio dell’attività di impresa delle cessioni o prestazioni di servizi (art. 4, 2° comma DPR nr. 633/72) Indagini Finanziarie (per le imposte dirette sugli art. 32, c. 1, n. 7; art. 33, c. 2, n. 3 e 6 d.p.r. 600/73 per l’IVA sull’art. 51, c.2, n.7 d.p.r. 633/72). Rapporto fra poteri determinativi della maggiore base imponibile e superamento delle soglie di punibilità ex d.lgs. 74/00 . Le problematiche connesse ai metodi presuntivi di determinazione del reddito non si arrestano però alla disciplina tributaria andando ad investire, a determinate condizioni, altri ambiti del sistema normativo quali la disciplina penale tributaria contenuta nel D.lgs. 74/2000. Una volta superate in sede di accertamento le soglie di punibilità previste dal d.lgs. 74/2000, i valori fondanti la maggiore imposta evasa e di conseguenza i metodi determinativi di questi ultimi (così come determinati in sede tributaria), sono vincolanti in sede penale? E , se si, in che misura? La Corte di Cassazione Sezione III penale, con sentenza n. 5490 del 6 febbraio 2009, ha stabilito che le presunzioni legali tributarie, anche laddove dovessero essere relative, non possono essere applicate in sede penale con la conseguenza che non potranno essere utilizzate dal giudice quale sistema unico finalizzato alla valutazione di un’eventuale condanna. La sentenza da ultimo citata è chiaramente improntata al principio di autonomia del sistema penale rispetto a quello amministrativotributario. In sede penale l’operatività di determinate regole probatorie è invertito rispetto a quello tributario tant’è che se in ambito penale opera una presunzione questa è innanzitutto quella affermata dall’art. 27 co. 2 Cost. che dichiara quale principio fondamentale del sistema penal-processuale quello meglio noto come presunzione di non colpevolezza. In materia di regime probatorio, articoli quali il 193 c.p.p., affermano che nel processo penale non si osservano i limiti di prova stabiliti dalle leggi civili, eccettuati quelli che riguardano lo stato di famiglia e di cittadinanza, e ciò vale anche per l’ambito tributario. Ne consegue, quindi, come in sede penale il riscontro effettuato dal giudice debba essere fondato non già su presunzioni ma su fatti concreti dimostrati in giudizio e motivati in sentenza. La determinazione dell’imposta evasa ai fini relativi al riscontro di un eventuale superamento delle soglie di punibilità, spetterà esclusivamente al giudice penale il quale potrà giungere a determinazioni dei valori economici di riferimento, differenti, contrastanti o addirittura antitetici rispetto a quanto è stato stabilito in sede amministrativa essendo suo compito vagliare il superamento delle soglie di punibilità non già in modo presuntivo ma in modo concreto. Nello stesso filone interpretativo si inserisce la sentenza nr.7078 del 13.02.2013 della terza seziona Penale della Corte di Cassazione che, trattando della applicabilità della confisca per equivalente in un caso di frode fiscale, ribadisce come i versamenti sospetti su conti bancari del contribuente sono sufficienti per un accertamento fiscale ma non per una condanna penale per evasione, essendo mere presunzioni che vanno suffragate da diversi elementi. Le presunzioni tributarie possono essere considerate solo quali meri indizi ex art. 192 c.p.p. e potranno essere poste a base di una decisione di condanna solo ove si accerti, nel procedimento penale, che siano gravi, precise e concordanti. La stessa Corte di cassazione, nella sentenza n. 9043 del 25.02.2013, ha confermato che l’autonomia del processo penale rispetto a quello tributario non esclude che, ai fini della formazione del suo convincimento, il giudice penale possa avvalersi degli elementi che determinano presunzioni secondo la disciplina tributaria, a condizione che gli stessi siano assunti, non con l’efficacia di certezza legale, ma come dati processuali oggetto di libera valutazione ai fini probatori. ONERE DELLA PROVA E SUA RIPARTIZIONE IN CASO DI CONTESTAZIONE DI FALSA FATTURAZIONE “OGGETTIVA” L’art. 1, lettera a), del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, recita: “”1. Ai fini del presente decreto legislativo: a) per "fatture o altri documenti per operazioni inesistenti" si intendono le fatture o gli altri documenti aventi rilievo probatorio analogo in base alle norme tributarie, emessi a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte o che indicano i corrispettivi o l'imposta sul valore aggiunto in misura superiore a quella reale, ovvero che riferiscono l'operazione a soggetti diversi da quelli effettivi.”” L’inesistenza delle operazioni documentate può dipendere dalla circostanza che l’operazione stessa (e cioè la cessione del bene o la prestazione del servizio) sia relativa ad un parte soltanto di questa, nel senso che l’operazione si è realmente svolta tra soggetti individuati dal documento, ma in termini quantitativamente minori rispetto al dichiarato. E’ questo il caso della “inesistenza relativa”. Quando la divergenza tra realtà e rappresentazione documentale è assoluta l’operazione descritta in fattura non si è mai verificata in rerum natura. Corte di Cassazione del 26 ottobre 2007, n.22555, nella quale viene affermato che se l'Amministrazione finanziaria contesti al contribuente l'indebita detrazione di fatture, in quanto relative ad operazioni inesistenti, la prova della legittimità e della correttezza delle detrazioni deve essere fornita dal contribuente mediante l’esibizione dei documenti contabili legittimanti, i quali non possono provenire da un soggetto inesistente (...); in mancanza di tale prova legittimamente l'Ufficio procede a recuperare l’imposta detratta». La sentenza n.22555 si pone in netto contrasto con due precedenti pronunce: Cass. 21 agosto 2007, n. 17799 e Cass.21 settembre 2007, n. 21953. In tali occasioni la Suprema Corte aveva affermato che “la fattura è un documento idoneo a consentire la detrazione Iva e l’onere di provarne l’eventuale falsità non è del contribuente, ma dell’Amministrazione finanziaria, che non può limitarsi a contestarne la veridicità ma deve, invece, dimostrare che l’operazione è in tutto o in parte inesistente”. Con la sentenza n.17799/2007 della Suprema Corte, viene stabilito che inversione dell’onere della prova scatta solamente quando dalle verifiche fiscali vengano riscontrati elementi che possano indurre almeno il sospetto della non veridicità delle fatture. Cassazione n.8247 del 31.03.2008. “La disciplina dell’accertamento in materia di imposta sul valore aggiunto nel quale sia dedotta la natura fittizia di talune fatture comporta che gravi sull’Amministrazione finanziaria l’onere di allegare elementi idonei, sufficienti e precisi, circa la contestazione mossa al contribuente e questi, all’esito di tale produzione, fornisca la dimostrazione circa la reale sussistenza delle operazioni oggetto di contestazione”. Corte Cassazione con sentenza nr.15395, depositata in data 11 giugno 2008, conferma l’orientamento ribadendo che “” spetta all’Erario l’onere di dimostrare la falsità della fattura, intesa quale documento attestante l’effettuazione dell’operazione; tuttavia, laddove siano dedotti indizi idonei a confutare la veridicità dei documenti contabili, spetterà al contribuente l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni imponibili (…) L'onere relativo alla effettiva esistenza delle operazioni contestate dall'Amministrazione finanziaria non può essere assolto nemmeno dalla mera dimostrazione d'esistenza di mezzi di pagamento, formalmente regolari sebbene del tutto fittizi, in quanto configuranti, normalmente, dei meri giroconti contabili.” Cassazione nr.28057 del 23 novembre 2009, depositata il 30 dicembre 2009: ”E’ onere dell’Amministrazione finanziaria, anche per tramite di elementi ed indizi che possano assumere rango di presunzioni con carattere di gravità, precisione e concordanza, dimostrare che le operazioni imponibili di cui alle fatture delle quali è contestata la falsità non siano state effettivamente poste in essere. Assolto detto onere,spetta al contribuente fornire l’eventuale prova contraria non potendo ostare la mera formalmente regolare tenuta della contabilità” Cassazione nr. 27546 del dicembre 2009, sezione tributaria per la quale “è legittimo il recupero a tassazione di costi relativi a operazioni inesistenti sulla base di un giudizio di inattendibilità complessiva delle fatture, anche ove i funzionari abbiano omesso di indicare nello specifico le singole operazioni considerate false”. I giudici affermano che la fatturazione fittizia ingenera una sorta di presunzione di avvenuta evasione, che è onere del contribuente superare, e che “qualora l’amministrazione fornisca validi elementi, anche meramente presuntivi purché specifici, atti ad asseverare che alcune fatture sono state emesse per operazioni inesistenti è onere del contribuente dimostrare l’effettiva esistenza delle operazioni”. Corte Cassazione, sezione tributaria , nr.20721 del 11 maggio 2010, i giudici ci ricordano che “Se l’Amministrazione finanziaria fornisce elementi per sostenere che alcune fatture riflettono operazioni in tutto o in parte fittizie, l’onere di dimostrare l’effettiva esistenza e consistenza di tali operazioni si sposta sul contribuente, in virtù delle regole generali vigenti in materia. Tale prova, però, non può essere costituita dalla sola esibizione dei mezzi di pagamento, che normalmente vengono utilizzati fittiziamente, per dare corpo apparente ad una transazione inesistente, e che costituiscono un mero elemento indiziario, la cui presenza (o assenza) deve essere letta nel contesto di tutte le altre risultanze processuali. Spetta poi al giudice di merito esaminare i fatti addotti dall’Ufficio e verificare se essi siano idonei a costituire la base presuntiva della pretesa tributaria.” Cassazione nr.12246 del 19.05.2010, Sezione tributaria, “”Nell’accertamento delle imposte sui redditi, qualora sia contestata la deducibilità dei costi documentati da fatture relative ad operazioni asseritamene inesistenti, l’onere di fornire la prova che l’operazione rappresentata dalla fattura non è stata mai posta in essere incombe all'Amministrazione finanziaria la quale adduca la falsità del documento (e quindi l'esistenza di un maggior imponibile), e può essere adempiuto, ai sensi del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 39, comma 1, anche sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise e concordanti, come quelle emergenti, nella specie, dalla riscontrata anomalia delle fatture concernenti i servizi in discorso, che presentavano "delle irregolarità”. Cassazione Civile nr.18446 del 26 ottobre 2012 : "in ipotesi di fatture che l'amministrazione ritenga relative ad operazioni inesistenti, grava su di essa l'onere di provare che le operazioni, oggetto delle fatture, in realtà non sono state mai poste in essere, sicché i costi in esse documentati non possano essere dedotti dal contribuente, né il diritto alla detrazione dell'IVA effettivamente versata possa essere, in concreto, riconosciuto; solo se l'amministrazione fornisca validi elementi per affermare che alcune fatture sono state emesse per operazioni (anche solo parzialmente) fittizie, si sposterà sul contribuente l'onere di dimostrare l'effettiva esistenza delle operazioni contestate". Corte di Cassazione , V Sezione Civile, nr.4609 del 26.02.2014. La SC riprende l’assunto circa l’idoneità della fattura quale documento, in materia di iva, a rappresentare un costo dell'impresa, comprensivo dell'incidenza dell'imposta in parola sul prezzo di acquisto dei beni, attesa la disciplina del suo contenuto di cui al D.P.R. n. 633 del 1972, art. 21. E come essa, la fattura, può certamente costituire una prova a favore dell'imprenditore o del professionista, nei rapporti con il fisco (cfr. punto 5.2.1. della citata sentenza). Si aggiunga , per completezza, che analogo assunto si rinviene al punto 2.3. della sentenza Cass. civ. Sez. V, Sent., 06-11-2013, n.24929. Analoghe argomentazioni si rinvengono nella sentenza n.7650 del 02.04.2014, nella quale la Corte ci ricorda che in ipotesi di fatture che l’ufficio ritenga relative a operazioni oggettivamente, o anche solo soggettivamente, inesistenti, l’Amministrazione può provare che la transazione oggetto della fattura non è stata posta in essere, o non lo è stata tra i soggetti che figurano nella fattura, o che tale documento sottende comunque un comportamento fraudolento anche mediante presunzioni. L’onere della prova a carico dell'Amministrazione finanziaria doveva ritenersi infatti soddisfatto anche in via presuntiva, dato che “tra il fatto noto e il fatto ignoto non occorre che sussista un legame di assoluta ed esclusiva necessità causale, ma è sufficiente che il fatto da provare sia desumibile dal fatto noto come conseguenza ragionevolmente possibile, secondo un criterio di normalità”. NEWS - Cassazione Penale, sentenza n. 24319 depositata il 10 giugno 2014. Il giudice penale, ai fini della verifica del superamento delle soglie di punibilità di cui agli articoli 4 e 5 del D.Lgs. n. 74/2000, può fare riferimento ai PVC redatti dalla Guardia di Finanza, nonché ricorrere all’accertamento induttivo. (cfr. Cass. n. 5786/2007): ai fini della prova del reato di dichiarazione infedele, ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000, il giudice può fare legittimamente ricorso ai verbali di constatazione redatti dalla GdiF per fissare l'ammontare dell'imposta evasa, nonché ricorrere all'accertamento induttivo dell'imponibile quando le scritture contabili siano state irregolarmente tenute. INESISTENZA SOGGETTIVA DELL’OPERAZIONE E NEGAZIONE DELLA DETRAZIONE IVA Nel contesto dell’art.1 del D.Lgs. 74/2000 è espressamente richiamato il documento che riferisce l’operazione a “soggetti diversi da quelli effettivi”. Se, quindi, la componente oggettiva del documento è veritiera, sia per ciò che attiene alla descrizione dell’operazione, che per quanto riguarda il corrispettivo e l’aliquota Iva applicata, il dato fittizio è costituito, appunto, da uno dei soggetti che vi compaiono. Sono poste sullo stesso piano le ipotesi di inesistenza materiale e soggettiva; pur postulando l’avvenuta esecuzione della cessione dei beni e della prestazione dei servizi, è considerata tale a prescindere dall’avvenuta dimostrazione o meno che l’operazione sia stata realmente effettuata tra soggetti diversi da quelli indicati in fattura. Un aspetto strettamente connesso all’utilizzo di fatture soggettivamente false attiene alla detrazione dell’imposta assolta sugli acquisti simulati tenuto conto che l’Iva relativa, ove regolarmente corrisposta, legittimerebbe la detrazione nel computo dell’imposta da pagare, a norma dell’art. 19 del D.P.R. n.633/1972. La divergenza nominativa relativa alla identità dell’effettivo cedente o commissionario espone ad un oggettivo pericolo la corretta applicazione del tributo. Da qui la negazione di tale detrazione. La giurisprudenza di legittimità (sia nazionale che comunitaria), negli anni, si è evoluta nel senso di negare la detrazione dell’iva sulle fatture “soggettivamente false” in tutte quelle ipotesi dove fosse provato da parte dell’AF la consapevolezza del destinatario di sapere di partecipare ad una frode. O, comunque, che fosse nelle condizioni di “poter sapere” di parteciparvi. E la prova a carico dell’organo accertatore può essere data anche attraverso indizi purché questi siano gravi , precisi e concordanti. È dunque necessario che uno dei soggetti sia rimasto del tutto estraneo all’operazione commerciale, situazione che si concretizza sia attraverso le fatturazioni effettuate da soggetti scientemente creati e non operativi, sia attraverso l’utilizzo di “soggetti interposti”. Cassazione nr.15438/2008 : “L'emissione di fatture da parte di un soggetto diverso da quello che ha effettuato la cessione o la prestazione è da qualificarsi come fatturazione di un'operazione soggettivamente inesistente, per la quale deve essere versata la relativa imposta, non essendo riconducibile né alla fattispecie dell'emissione di fattura recante indicazioni incomplete o inesatte, né a quella di omissione dell'indicazione dei soggetti tra cui é effettuata l'operazione”. Cassazione n. 3203/2009. La Corte evidenzia che affinché si integri la definizione di “operazione soggettivamente inesistente” è essenziale che l’operazione non intercorra fra i soggetti indicati nella fattura o in altro documento fiscale equipollente. Trattandosi di “simulazione soggettiva” qualora effettivamente si accertasse che gli elementi passivi esposti corrispondevano a costi realmente sostenuti, ciò non vale per l’evasione dell’Iva, la quale può essere configurabile anche in presenza di costi effettivamente sostenuti. Questo tenuto conto che la detrazione dell'Iva è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che effettua la cessione o la prestazione. Cassazione n. 41444/2011: “Il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti (d.lgs. n. 74 del 2000, art. 2) è integrato, con riguardo alle imposte dirette, dalla sola inesistenza oggettiva, ovvero quella relativa alla diversità, totale o parziale, tra costi indicati e costi sostenuti, mentre, con riguardo all’Iva, esso comprende anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura” (conformemente, Cass., Sez. III pen., 22 febbraio 2012, n. 7039) Cassazione ordinanza nr.19218/12. I giudici di legittimità si sono pronunciati nel senso di ritenere che l’effettivo compimento dell’operazione e il pagamento del corrispettivo non costituiscono condizioni sufficienti ai fini della detraibilità dell’Iva, in presenza di operazioni soggettivamente inesistenti. In questo caso, infatti, l’imposta che il cessionario assume di aver pagato per la transazione al prestatore è indetraibile, in quanto la prestazione è stata liquidata a un soggetto non legittimato alla rivalsa e non obbligato al pagamento dell’imposta. (segue) In particolare, il contribuente conserva il diritto di detrarre l’imposta solo se “provi che non sapeva o non poteva sapere di partecipare ad un’operazione fraudolenta e, in particolare, se dimostri almeno una di queste due circostanze e cioè di non essersi trovato nella situazione giuridica oggettiva di conoscibilità delle operazioni pregresse intercorse tra il prestatore ed il fatturante in ordine alle prestazioni ricevute, oppure, nonostante il possesso della capacità cognitiva adeguata all’attività professionale svolta in occasione dell’operazione contestata, non sia stato in grado di abbandonare lo stato di ignoranza sul carattere fraudolento delle operazioni degli altri soggetti collegati all’operazione” Analogo orientamento si rinviene nelle sentenze nn.rr.17680 e 17681 del 19 luglio 2013: “In tema di IVA, la nozione di "fattura inesistente" va riferita non soltanto all'ipotesi di mancanza assoluta dell'operazione fatturata sul piano fattuale, ma anche a ogni tipo di divergenza tra la realtà commerciale e la sua espressione documentale, ivi compresa l'ipotesi di "inesistenza soggettiva", che ricorre quando, pur risultando i beni o il servizio reso entrati nella disponibilità patrimoniale dell'impresa cui le fatture sono rilasciate, venga accertato che uno o entrambi i soggetti del rapporto siano falsi (Cass. 23074/2012; 8132/2011)”. Cassazione sentenza nr.47471 del 29.11.2013. “Va anzitutto ribadito che la falsità ben può essere riferita anche all'indicazione dei soggetti con cui è intercorsa l'operazione, intendendosi per "soggetti diversi da quelli effettivi", coloro che, pur avendo apparentemente emesso il documento, non hanno effettuato la prestazione… il reato di utilizzazione fraudolenta in dichiarazione di fatture per operazioni inesistenti comprende…con riguardo all'Iva, anche la inesistenza soggettiva, ovvero quella relativa alla diversità tra soggetto che ha effettuato la prestazione e quello indicato in fattura (…) la detrazione è ammessa solo in presenza di fatture provenienti dal soggetto che ha effettuato la prestazione (…)”. Cassazione sentenza nr.239 del 9 gennaio 2014 La Corte riprende il filone interpretativo circa la negazione della detrazione iva nei casi di utilizzo di fatture soggettivamente inesistenti. Fatta salva la possibilità che il contribuente non riesca a provare la sua buona fede. Si conferma l’indirizzo consolidato secondo cui il committente – al quale sia contestata, sulla scorta di elementi presuntivi forniti dall’Amministrazione Finanziaria (gravata dal relativo onere probatorio), la detrazione dell’IVA versata in rivalsa al soggetto, diverso dall’effettivo cedente – prestatore, che ha emesso la fattura, ha il diritto di detrarre l’imposta nella sola ipotesi in cui possa dimostrare ex art. 2697 comma 2 cod. civ. “che non sapeva o non poteva sapere di partecipare a un’operazione fraudolenta”. Corte di Giustizia Unione Europea del 21 giugno 2012, cause riunite C-80/11 e C-142/11. In proposito si vedano i punti da 53 a 60 della richiamata sentenza dove i Giudici, tra le altre deduzioni, si soffermano sulla “dovuta diligenza” che l’operatore professionale deve avere “qualora sussistano indizi che consentono di sospettare l’esistenza di irregolarità o di evasioni (…) secondo le circostanze del caso” . E che, pertanto, “non è contrario al diritto dell'Unione esigere che un operatore adotti tutte le misure che gli si possono ragionevolmente richiedere al fine di assicurarsi che l'operazione effettuata non lo conduca a partecipare ad un'evasione fiscale”. LE PRESUNZIONI TRIBUTARIE VALORIZZATE IN AMBITO PENALE “…. non è possibile, se non in via induttiva, fornire prova dell’inesistenza di un fatto”. In campo tributario la prova documentale è rara, emergendo, invece, “il carattere interpretativo della prova, la sua natura di ragionamento, di argomentazione”(1): di fatto, siamo spesso in presenza di presunzioni (art.2727 del codice civile: le conseguenze che la legge o il giudice trae da un fatto noto per risalire ad un fatto ignorato). L’art. 39, comma 1, lettera d), del D.P.R. nr.600/1973, stabilisce che l’incompletezza, la falsità, l’inesattezza dei dati indicati nella dichiarazione dei redditi, ovvero l’esistenza di attività non dichiarate possono essere desunte sulla base di presunzioni semplici, purché gravi, precise, e concordanti. (1) R. Lupi, Manuale professionale di Diritto Tributario, Ipsoa, Milano 1998, pagg.304 e segg. Gravità : l’indizio (ovvero il fatto noto) in esame deve avere un peso notevole e importante in rapporto ai fatti cui si riferisce. Precisione: richiama la certezza, l’esattezza e la specificità che l’elemento fattuale deve possedere rispetto alle conseguenze tipiche che da esso possono derivarsi. concordanza , che è da riferire alla necessaria pluralità di considerazioni logiche da prendere in esame, le quali debbono condurre, in ogni modo, alla medesima conseguenza di fatto, ovvero che la molteplicità delle assunzioni fatte porti ad una “conclusione univoca e quindi ragionevolmente convincente”. La stessa Cassazione (vedi sentenze n.7213 del 1995, n.10163 del 1994, n.3824 del 1991) ha affermato che "… la relazione tra il fatto noto e quello ignoto non deve avere carattere di necessità, essendo sufficiente che l'esistenza di quest'ultimo derivi dal primo come conseguenza ragionevolmente possibile e verosimile“. Nella realtà dei fatti, la prova dell’effettività dell’evasione fiscale è spesso difficile da ottenere, anche quando esiste il fumus di una condotta illecita. In ogni caso, l’accertamento tributario ha in sé delle variabili tecniche e una certa dose di “imponderabilità” che rende necessario il ricorso alle presunzioni. La Suprema Corte – già con sentenza n. 5052 del 10 giugno 1987 ha stabilito che “... in tema di prove su presunzioni non occorre che i fatti su cui la presunzione si fonda siano tali da far apparire l’esistenza del fatto ignorato come l’unica conseguenza possibile dei fatti accertati in giudizio secondo un legame di necessarietà assoluta ed esclusiva, bastando, invece, che l’operata inferenza sia effettuata alla stregua di un canone di probabilità, con riferimento ad una connessione possibile e verosimile di accadimenti, la cui sequenza e ricorrenza possono verificarsi secondo regole di esperienza colte dal Giudice, per giungere all’espresso convincimento circa tale probabilità di sussistenza e la compatibilità del fatto supposto a quello accertato...”. Cassazione sentenza nr.10345 del 7 maggio 2007 in tema di “prova per presunzioni” . Così pure la recente sentenza della S.C. n.17572 del 29 luglio 2009, dove si intuisce che il fatto negativo (falsità della prestazione indicata in fattura) può essere risolto attraverso le presunzioni, e con un significativo passo avanti si è fatto riferimento alle presunzioni semplici, seppur qualificate. Nel caso delle fatture, la prova della veridicità delle operazioni è una prova “positiva” che può essere data abbastanza facilmente attraverso la rappresentazione documentale che dei fatti viene effettuata con le fatture, con i pagamenti, con tutto quello che avviene dopo l’acquisto dei beni o servizi da parte del cessionario. Orbene, la prova dell’inesistenza delle operazioni, che secondo i principi fin qui esposti grava sull’Ufficio, è una prova “negativa” che comporta sicuramente ovvie difficoltà dal momento che provare che un fatto non si è verificato è più difficile del provare che un fatto si è verificato. Cassazione n.384/2007 :“l’onere probatorio, gravante a norma dell’art. 2697 del Codice Civile, su chi intende far valere in giudizio un diritto, ovvero su chi eccepisce la modifica o l’estinzione del diritto da altri vantato, non subisce deroghe neanche quando abbia ad oggetto fatti negativi, in quanto la negatività dei fatti oggetto della prova non esclude né inverte il relativo onere, gravando esso pur sempre sulla parte che fa valere il diritto di cui il fatto, pur se negativo, ha carattere costitutivo; tuttavia non essendo possibile la materiale dimostrazione di un fatto non avvenuto, la relativa prova può essere data mediante dimostrazione di un fatto positivo contrario, o anche mediante presunzioni dalle quali possa desumersi il fatto negativo” (vedi anche Cassazione n.23229/2004, n.18487/2003, n.5427/2002) Corte di Cassazione 06.05.2014 nr. 18375: i giudici confermano che in sede penale le presunzioni tributarie hanno valore indiziario. Esse, pertanto, possono fondare l’applicazione di una misura cautelare reale a carico del contribuente indagato per il reato di dichiarazione infedele ex art. 4 D.Lgs. n. 74/2000. I giudici di legittimità ricordano l’orientamento consolidato secondo cui le presunzioni legali previste dalle norme tributarie non possono costituire, di per sé, fonte di prova della commissione del reato, “assumendo esclusivamente il valore di dati di fatto, che devono essere valutati liberamente dal giudice penale unitamente a elementi di riscontro che diano certezza dell'esistenza della condotta criminosa, potendo egli giungere anche, eventualmente, a conclusioni diverse” (cfr., tra le altre, Cass. n. 36396 del 2011). VALENZA DELLE DICHIARAZIONI DEI TERZI IN AMBITO TRIBUTARIO Abbiamo visto come la contestazione circa l’effettività delle prestazioni ricevute dal soggetto sottoposto a controllo fiscale (utilizzo quindi di fatture per operazioni inesistenti, siano esse oggettivamente o soggettivamente ) nasce principalmente da una articolata analisi degli elementi “indiziari”. E’ indiscutibile che anche le dichiarazioni rese dai diversi soggetti che, a vario titolo, compaiono nel percorso economico delle operazioni riconducibili al soggetto verificato, debbano essere attentamente valutate dai verificatori al fine di ricercarne la fondatezza e la veridicità, in quanto le stesse riferiscono fatti e circostanze suscettibili di configurare violazioni alle vigenti disposizioni tributarie. Quanto riferito dai soggetti terzi costituisce infatti “dichiarazione indiziante” che, al contrario delle dichiarazioni di natura tecnica ed esplicativa rese in sede di verifica, manifestano chiare attinenze al concetto di “prova”, poiché intendono testimoniare l’esistenza di fatti e circostanze (passati e presenti) rilevanti ai fini dell’accertamento. Le dichiarazioni rese dal soggetto nei cui confronti è in essere l’attività di controllo hanno valore di “confessione stragiudiziale”, Hanno valore di mero indizio, con la conseguenza che necessitano di essere verificate attraverso approfondimenti investigativi volti anche ad identificare riscontri obiettivi ad eventuali affermazioni e dichiarazioni rese di soggetti terzi. Corte Costituzionale sentenza n.18/2000 che recita: “il valore probatorio delle dichiarazioni raccolte dall’Amministrazione finanziaria nella fase dell’accertamento è, infatti, solamente quello proprio degli elementi indiziari, i quali, mentre possono concorrere a formare il convincimento del giudice, non sono idonei a costituire, da soli, il fondamento della decisione ……””. Corte di Cassazione n. 7107 del 20/07/1998; n. 4269 del 25/03/2002; n. 6407 del 22/04/2003; n. 7445 del 14/05/2003; n. 5957 del 15/04/2003; n. 16032 del tutte volte ad attribuire tanto alle dichiarazioni portate in giudizio dall’Amministrazione, quanto a quelle portate in giudizio dal contribuente, il valore di meri elementi indiziari, inidonei da soli a costituire prova dei fatti rappresentati, ma in grado di concorrere, con altri elementi a fondare il convincimento del giudice. 29/07/2005; n. 11221 del 16/05/2007), Le dichiarazioni di terzi raccolte dalla Polizia tributaria e inserite nel processo verbale di constatazione non hanno natura di testimonianza (quand’anche siano state già rese in seno ad un procedimento penale), bensì di mere informazioni acquisite nell’ambito di indagini amministrative, sfornite, pertanto, ex se, di efficacia probatoria, con la conseguenza che esse risultano del tutto inidonee, di per sé, a fondare un’affermazione di responsabilità del contribuente, potendo soltanto fornire un ulteriore riscontro a quanto già accertato e provato aliunde in sede di procedimento tributario. Così si esprime la Cassazione , sez.civ., sentenza n. 3526/2002. VALORE PRESUNTIVO DEL CRITERIO DELL’ANTIECONOMICITA’ DEL COMPORTAMENTO DELL’IMPRENDITORE Le scelte economiche dell’imprenditore sono normalmente insindacabili. E’ difficile tuttavia voler credere che questi agisca in modo antieconomico. In presenza di un comportamento antieconomico dell’imprenditore è lecito dubitare della veridicità delle operazioni dichiarate (in questo caso il sostenimento dei costi). L’imprenditore proprio perché tale, non può che agire secondo criteri di logica economica intesi ad ottenere il profitto più elevato. Non si può escludere né che l’imprenditore compia errori di valutazione, né che considerazioni di “strategia generale” lo inducano a compiere operazioni di per sé antieconomiche in vista di benefici su altri fronti: ma occorre che sia dimostrato che le varie operazioni rispondano, almeno nelle intenzioni di chi le pone in essere, a criteri di logica economica. E’ quindi chiaro che tale comportamento, non giustificato in maniera convincente, possa essere sintomatico di violazioni alla normativa tributaria. Cassazione sentenza n.1281 del 2000: “la regola alla quale si ispira chiunque svolga un'attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni. Pertanto in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso e in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo e fondato il sospetto che l'incongruenza sia soltanto apparente e che dietro si celi una diversa realtà”. Nella sentenza n. 4554 del 28 ottobre 2009, la Corte di Cassazione, confermando l’orientamento espresso, si esprime nel senso che è onere del contribuente dimostrare la sussistenza di tutti i presupposti e requisiti dei comportamenti negativi affinché si possa concorrere a determinare il risultato fiscale del periodo d’imposta considerato. Il sindacato dell’AF deve intendersi esteso anche alla valutazione della congruità dei costi, laddove siano state dedotte circostanze, dati ed elementi atti a minarne la credibilità e l’attendibilità, in considerazione del fatto che il difetto di congruità si potrebbe risolvere in un conseguente difetto di inerenza: “La valutazione della congruità dei costi è insita nei poteri di accertamento dell’AF, la quale può procedere alla rettifica delle dichiarazioni, negando la deducibilità di parte di un costo, ove questo superi il limite al di là del quale non possa essere ritenuta la sua inerenza ai ricavi o, quanto meno, all’oggetto dell’impresa …” (Cassazione sentenza nr.12815 del 27 settembre 2000, sentenza n.1053 del 17 gennaio 2013). In ordine alla “prova della falsa fatturazione” la Corte di Cassazione nella recente sentenza nr.21317 del 15 ottobre 2010 ha sancito che uno dei parametri di riferimento, per provare la falsa fatturazione, può diventare quindi anche l’antieconomicità dell’operazione. Rientra nei poteri dell’AF la valutazione di congruità dei costi e dei ricavi indicati nel bilancio e nella dichiarazione, anche se non sono state ravvisate irregolarità nella tenuta della scritture contabili o vizi negli atti giuridici d’impresa, con conseguente rettifica nel caso in cui un costo appaia sproporzionato rispetto ai ricavi o all’oggetto dell'impresa. Tale principio non può essere esteso al settore dell'IVA dove il potere di disconoscere i costi portati in detrazione è legato a elementi concreti da cui poter desumere l’inattendibilità delle fatture o la non inerenza di esse all’attività d’impresa. L’Ufficio non può rettificare l'IVA sulla base dell'asserita antieconomità dei comportamenti aziendali, salvo non si tratti di operazioni inesistenti, sovrafatturazioni o un più ampio contesto di abuso del diritto. LEGGE N. 23 DEL 11 MARZO 2014 Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. (GU n.59 del 12-3-2014) Art. 5 - Disciplina dell'abuso del diritto ed elusione fiscale. L’art. 5 in sintesi Revisione delle vigenti disposizioni antielusive al fine di unificarle al principio generale del divieto dell'abuso del diritto, in applicazione dei seguenti principi e criteri direttivi … a) definire la condotta abusiva come uso distorto di strumenti giuridici idonei ad ottenere un risparmio d'imposta … b) garantire la libertà di scelta del contribuente tra diverse operazioni comportanti anche un diverso carico fiscale … c) prevedere l'inopponibilità degli strumenti giuridici di cui alla lettera a) all'amministrazione finanziaria …. d) disciplinare il regime della prova …. e) prevedere una formale e puntuale individuazione della condotta abusiva nella motivazione dell'accertamento fiscale, a pena di nullità … f) prevedere specifiche regole procedimentali che garantiscano un efficace contraddittorio con l’AF …. La delega per la riforma fiscale si ripropone di ricondurre l’abuso del diritto ad un’unica nozione generale valevole per tutti i tributi, non solo ai fini delle imposte sui redditi, e di ridurre quanto più possibile tutte quelle incertezze e controversie che l’applicazione di questi concetti ha suscitato nel corso dell’ultimo decennio. Con le locuzioni “abuso del diritto” (di derivazione comunitaria) ed “elusione fiscale” (cui fa riferimento l’art. 37-bis del D.P.R. n. 600 e precedentemente l’art. 10 della L. n. 408/1990) si intende indicare fenomeni sostanzialmente identici sotto il profilo concettuale, e cioè quei comportamenti del contribuente che, pur risultando conformi alle disposizioni dell’ordinamento fiscale, ottengono vantaggi non voluti dal legislatore o non previsti. (In Corriere Tributario n. n.16/2014, pag.1127 e segg.) L’evasione si sostanzia nell’occultamento del reddito in violazione di specifiche norme dell’ordinamento, mentre il comportamento abusivo consiste nel non far nascere i presupposti dell’imposizione, pur senza violare direttamente alcuna regola normativa. L’elaborazione del concetto di “abuso del diritto” si fa risalire ad una sentenza cardine della Corte di Giustizia Europea del 2006 : la ben nota sentenza Halifax del 21 febbraio 2006 , causa C255/02 (analogo orientamento lo si ritrova anche nella coeva sentenza del 11 maggio 2006, causa C-384/04) . La Corte di Cassazione, a Sezioni Unite, con le tre recenti sentenze n.30055/08, 30056/08 e 30057/08 del 02 dicembre 2008, depositate il 23 dicembre 2008, ha stabilito dei principi in tema di elusione fiscale ed abuso del diritto che, da un punto di vista giuridico, danno dei parametri di riferimento ai giudici. In definitiva, secondo la Corte di Cassazione, esiste un principio generale non scritto volto a contrastare le pratiche consistenti in un abuso del diritto e ciò non soltanto nel settore fiscale ma anche in campi diversi dal diritto tributario (Cfr Cassazione SS.UU. Sentenza n.23726/07 ). Il principio costituzionale della “capacità contributiva” ex art. 53, canone informatore dell’ordinamento tributario, costituisce “causa ostativa al conseguimento di risparmi d’imposta o vantaggi fiscali attraverso l’esercizio dell’autonomia privata laddove non siano riscontrabili obiettive ragioni economiche a giustificazione del ricorso agli strumenti negoziali utilizzati dal contribuente nell’ambito della libera iniziativa imprenditoriale” (Corte di Cassazione nr.1465 del 17 dicembre 2008, depositata il 21 gennaio 2009). Corte di Giustizia Europea, caso Part Service, causa C-425/06 del 21.02.2008 . La sesta direttiva deve essere interpretata nel senso che “l’esistenza di una pratica abusiva può essere riconosciuta qualora il perseguimento di un vantaggio fiscale costituisca lo scopo essenziale (non esclusivo) dell’operazione o delle operazioni controverse”. Nella motivazione, la Corte spiega che “l’abuso può ricorrere anche quando lo scopo di conseguire un vantaggio fiscale sia essenziale, e cioè non esclusivo, il che non esclude l’esistenza dell’abuso quando concorrono altre ragioni economiche”. Il concetto di abuso del diritto nel settore tributario, nel corso degli anni, ha subìto un processo evolutivo, sia dal punto di vista legislativo che giurisprudenziale, prima di arrivare alle citate sentenze dei giudici di legittimità. Dall’excursus legislativo è facile rilevare che il legislatore, in un primo momento, ha previsto come scopo “esclusivo” quello di ottenere “fraudolentemente” un risparmio d’imposta, mentre, in un secondo momento, ha genericamente previsto lo scopo “di ottenere riduzioni di imposte o rimborsi, altrimenti indebiti”. L’AF con la Circolare n.67/E del 13 dicembre 2007, avente per oggetto la nota sentenza “Halifax” e le operazioni realizzate al solo scopo di ottenere un vantaggio fiscale, chiarisce come “gli uffici possano (e debbano) tener conto, in sede di controllo, dei principi enunciati in via generale dalla Corte di Giustizia, in tema di “Abuso del diritto fiscale”, tra cui, quello per cui “le operazioni controverse, nonostante l’applicazione formale delle condizioni previste dalla sesta direttiva e dalla legislazione nazionale cha la traspone,”… procurare un vantaggio fiscale la cui concessione sarebbe contraria all’obbiettivo perseguito da queste stesse disposizioni””. Cassazione n.1465/2008 : “un operazione economica, oltre allo scopo di ottenere vantaggi fiscali, può perseguire diversi obiettivi, di natura commerciale, finanziaria, contabile ed integra gli estremi del comportamento abusivo qualora e nella misura in cui tale scopo si ponga come elemento predominante ed assorbente della transazione tenuto conto sia della volontà delle parti implicate che del contesto fattuale e giuridico in cui la transazione stessa viene posta in essere, con la conseguenza che il divieto di comportamenti abusivi non vale più ove quelle operazioni possono spiegarsi altrimenti che con il mero conseguimento di risparmio d’imposta.” Relativamente alla prova della volontà di compiere l’abuso, è l’Amministrazione finanziaria a doverla fornire con riferimento al comportamento tenuto dal contribuente. La chiave di lettura delle azioni del contribuente sta nel coglierne gli elementi di contraddizione, oggettivamente ingiustificabili, da cui desumere la mancanza di ogni altra motivazione economica per l’attività se non quella di ottenere un beneficio fiscale. (Cfr Cassazione sentenze n. 20318 del 21/10/2005, n. 22938 del 14/11/2005, n. 21221 del 29/03/2006 e n. 26948 del 06/07/2006). Principi di diritto elaborati dalla Corte di Cassazione in materia di abuso del diritto costituiscono “abuso di diritto” le operazioni compiute essenzialmente per il conseguimento di un vantaggio fiscale; in ogni caso, incombe al contribuente fornire la prova della esistenza di ragioni economiche alternative o concorrenti di carattere non meramente marginale o teorico, specie quando l’abuso del diritto dia luogo ad un elemento negativo del reddito o dell’imposta; Principi di diritto elaborati dalla Corte di Cassazione in materia di abuso del diritto la nozione di abuso del diritto prescinde, pertanto, da qualsiasi riferimento alla natura fittizia o fraudolenta di un’operazione, nel senso di una prefigurazione di comportamenti diretti a trarre in errore o a rendere difficile all’ufficio di cogliere la vera natura dell’operazione; né comporta l’accertamento della simulazione degli atti posti in essere in violazione del divieto di abuso; Principi di diritto elaborati dalla Corte di Cassazione in materia di abuso del diritto rispetto alla sentenza comunitaria HALIFAX citata, in definitiva, c’è un allargamento del solco tracciato, in quanto si considera sempre abusivo il ricorso a forme giuridiche quando il risparmio fiscale sia lo scopo principale della forma di transazione scelta, anche se allo stesso si accompagnino secondarie finalità di contenuto economico; Ambiti di possibile contestazione del principio di cui trattasi: operazioni di riorganizzazione societaria , determinazione dei prezzi di trasferimento per le imprese multinazionali, operazioni di leasing, dividend stripping e dividend washing, contratti di sale and lease back di un bene immobile strumentale, ed altri ancora…. Per ulteriori ed eventuali approfondimenti: Cass. sent. 8 aprile 2009, n. 8481; Cass. sent. 10 giugno 2009, n. 13338; Cass. SS.UU., sentenza 26 giugno 2009, n. 15029 Cass. sent. 22 settembre 2010, n. 20030; Corte di Giustizia Ue sent. 22 dicembre 2010, causa C-103/09; Corte di Giustizia Ue sent. 22 dicembre 2010, C-277/09; Cass. Civ. Sent. 22994 del 24.11.2010; Cass. Sent. 9 marzo 2011, n.5583; Cass. Civ. sent. n. 16428 del 27 luglio 2011; Cass. sent. n.25537 del 30.11.2011; Cass. sent. 21 gennaio 2011, n.1372; Cass. sent. 16 febbraio 2012, n. 2193; Cass. sent. 11.5.2012 n. 7393; Cass. sent. 13 luglio 2012, n. 11949 ; Cass. sent. 19 ottobre 2012, n. 17949; Cass. sent. 30 novembre 2012, n. 21390; Cass. sentenza 22 gennaio 2014 n. 1233. LEGGE N. 23 DEL 11 MARZO 2014 Delega al Governo recante disposizioni per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita. (GU n.59 del 12-3-2014) Art. 8 – Revisione del sitema sanzionatorio. L’art. 8 in sintesi – comma 1 Revisione del sistema sanzionatorio penale tributario secondo criteri di predeterminazione e di proporzionalità rispetto alla gravità dei comportamenti prevedendo: pena detentiva compresa fra un minimo di sei mesi e un massimo di sei anni; adeguate soglie di punibilità configurazione del reato per i comportamenti fraudolenti, simulatori o finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa l’individuazione dei confini tra le fattispecie di elusione e quelle di evasione fiscale e delle relative conseguenze sanzionatorie l’efficacia attenuante o esimente dell’adesione alle forme di comunicazione e di cooperazione rafforzata la revisione del regime della dichiarazione infedele e del sistema sanzionatorio amministrativo ridurre le sanzioni per le fattispecie meno gravi o di applicare sanzioni amministrative anziché penali. L’art. 8 in sintesi – comma 2 Definire, con i decreti legislativi di cui all'articolo 1, la portata applicativa della disciplina del raddoppio dei termini prevedendo che tale raddoppio si verifichi soltanto in presenza di effettivo invio della denuncia, ai sensi dell’articolo 331 del codice di procedura penale, effettuato entro un termine correlato allo scadere del termine ordinario di decadenza … L’intento del legislatore va nella direzione di continuare ad affidare, anche in parte al sistema sanzionatorio penale, oltre che a quello amministrativo (rappresentato dal D.Lgs. n. 471/97), il compito di convincere il contribuente a comportamenti fiscalmente virtuosi volti al puntuale adempimento degli obblighi tributari. Analogo intento riformatore si rinveniva già nel disegno di legge nr.5291 presentato nel giugno del 2012, nel quale si dava delega al Governo di introdurre disposizioni “per un sistema fiscale più equo, trasparente e orientato alla crescita Il precedente “ritocco” al corpus normativo del D.Lgs. n.74/2000, risale al D.L. 13 agosto 2011, n. 138 (poi convertito dalla legge 14 settembre 2011, n.148). Un intervento che ha apportato sostanziali modifiche a tutti ben note circa: • l’abbassamento delle soglie di punibilità • l’eliminazione della circostanza attenuante di cui al comma 3 dell’art.2 e 8 • sospensione condizionale della pena non ammessa a determinate condizioni • limitato accesso al c.d. patteggiamento (art. 444 c.p.p.) • prescrizione dei reati (si passa dai precedenti 6 anni agli attuali 8 anni) • riduzione delle pene in caso di pagamento del debito tributario (ora fino ‘‘ad un terzo’’ anziché ‘‘fino alla metà’, come in precedenza) L’educazione sociale al pagamento dei tributi dovuti passa quindi prima attraverso la sanzione amministrativa e, nei casi più gravi, attraverso l’applicazione di un precetto penale. Il prof. Marongiu, che possiamo considerare il padre della legge n.212 del 2000 c.d. “Statuto dei diritti del contribuente, in un passaggio di una relazione da lui tenuta nel 2011 ai soci del CDPT ci ricorda che fu il 1928 “l’anno nel quale prese avvio e spazio l’utilizzazione della sanzione penale per colpire le pratiche evasive sia del dovere di dichiarare i redditi posseduti sia del farne una corretta rappresentazione contabile (…) e che, “”anche nel passato, non erano mancate indicazioni dottrinarie volta a dare all’interesse fiscale una tutela anche penale ma l’omessa o infedele dichiarazione non erano mai state elevate a fattispecie sanzionate con la più grave delle pene”. Nelle intenzioni espresse nella delega, l’interesse a far si che il modello di tutela penale contro l’evasione sia quindi rielaborato nel quadro di un più generale e articolato sistema integrato di lotta all’evasione fiscale, nel quale lo strumento repressivo penalistico operi in sinergia con strumenti extrapenali (soprattutto amministrativi) volti a prevenire l’insorgenza delle “situazioni” criminogene dei fatti d’evasione. La novella normativa propone quindi una revisione del sistema sanzionatorio penale sulla base dei criteri di “proporzionalità” e di “predeterminazione”, limitandone la punibilità a tutti quei comportamenti connotati dalla fraudolenza, dalla simulazione o finalizzati alla creazione e successivo utilizzo di documentazione falsa. L’esigenza di graduare la reazione punitiva dello Stato in ragione della gravità delle fattispecie o per altri motivi di politica criminale è un tema importante affrontato anche recentemente dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo con la sentenza del 4 marzo 2014 con riferimento al divieto del ne bis in idem sostanziale, circa l’applicazione della sanzione penale e amministrativa in relazione ai medesimi fatti materiali. Tema già affrontato nel 2013 dalla Corte di Giustizia dell’Unione europea (nella sentenza nr.617 del 26 febbraio) con riferimento all’art.50 della Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione europea. UNA ESPERIENZA OPERATIVA IN UN CASO DI FRODE IVA , CD “FRODE CAROSELLO”, NEL SETTORE DELLA VENDITA DI AUTO NUOVE DI IMPORTAZONE. Le indagini svolte dal reparto di GDF hanno permesso di chiarire il meccanismo di frode che caratterizza la “frode carosello”, che prevedeva la presenza di diversi soggetti, che assumevano i ruoli di seguito specificati: C.d. “missing trader”, ossia un soggetto la cui vita economica è normalmente molto breve, creato appositamente per intraprendere relazioni commerciali senza l’assolvimento degli obblighi tributari di versamento e dichiarazione. Nel contesto è stato verificato che le ALFA Car Srl e BETA Car srl sono state utilizzate per effettuare acquisti da operatori comunitari e cedere successivamente i beni (in questo caso autovetture) ad operatori nazionali, con il relativo addebito di iva. C.d. “operatore effettivo” che, pur provvedendo a tutti gli adempimenti tributari organizzava l’attività fraudolenta traendone un considerevole vantaggio sia in ambito tributario, sia in termini di concorrenzialità sul mercato. In assenza del citato missing trader sarebbe stato infatti costretto ad acquistare il bene ad un prezzo superiore e senza il vantaggio fiscale di poter detrarre l’iva addebitatagli in via di rivalsa dall’operatore fittizio. La procedura regolare per l’acquisto intracomunitario prevede che, se l’impresa italiana di rivendita autoveicoli (ITA-Broker) intende acquistare un veicoli da un’impresa tedesca (TED-conduit company) al prezzo, a titolo di esempio, di euro 40.000,00, la procedura fiscale da adottare per l’acquirente italiano(ITA) consiste nell’effettuazione di un acquisto intracomunitario, con integrazione della fattura di acquisto e sua registrazione sul registro IVA Acquisti e sul registro Vendite. Al prezzo di acquisto verrà quindi applicato un ricarico (per ipotesi del 20%) e l’autoveicolo verrà ceduto con applicazione dell’IVA. PROCEDURA CORRETTA l’impresa tedesca TED emette fattura senza IVA per € 40.000, in quanto cessione intracomunitaria; l’impresa italiana ITA integra tale fattura con indicazione dell’aliquota IVA (22%) e dell’imposta (€ 8.800). Tale fattura verrà registrata sia nel registro IVA acquisti (IVA a credito), sia nel registro IVA vendite (IVA a debito). La registrazione è perfettamente neutrale (in assenza di limiti alla detraibilità dell’IVA), in quanto l’IVA a credito si compensa con l’IVA a debito; l’impresa italiana ITA applica un ricarico del 20% al costo di acquisto, rivendendo l’auto a € 48.800 + € 10.736,00 di IVA, per un totale di € 59.536,00 (prezzo pagato dall’acquirente finale, per ipotesi un privato) IVA versata all’Erario da ITA Prezzo pagato dall’acquirente finale € 10.736,00 € 59.536,00 La frode viene attuata attraverso la presenza di un terzo soggetto (PRE -missing trader) che si interpone tra il cedente TED e l’acquirente rivenditore ITA. Esempio : LA FRODE l’impresa tedesca TED emette fattura senza IVA per € 40.000, in quanto cessione intracomunitaria, nei confronti di PRE; PRE vende l’autoveicolo alla società ITA ad un prezzo di € 35.000 + € 7.700 di IVA, per un totale di € 42.700; PRE non presenta dichiarazioni e non versa alcuna imposta, tantomeno l’IVA applicata in fattura. Di conseguenza lucra sulla differenza tra il prezzo percepito da ITA ed il prezzo pagato a TED (€ 2.700 = 42.700 – 40.000). E’ chiaro che se le operazioni compiute nel mese sono numerose, per PRE i guadagni possono diventare particolarmente elevati; di qui la facilità con cui tali soggetti (che, come già evidenziato, sono in genere soggetti facilmente aggirabili) si prestano al gioco; ITA acquista l’auto da PRE a € 35.000 + € 7.700 di IVA. Applicando al costo di acquisto (€ 35.000) un ricarico del 20%, l’autoveicolo viene rivenduto all’acquirente finale a € 42.000 + € 9.240,00 di IVA, per un totale di € 51.240,00 (€ 8.296,00 in meno rispetto alla procedura corretta); ITA versa all’Erario € 1.400, ovvero la differenza tra l’IVA a debito sulla vendita (€ 9.240) e l’IVA a credito sull’acquisto (€ 7.700), con una perdita per l’Erario rispetto alla procedura corretta; IVA versata all’Erario da ITA Prezzo pagato dall’acquirente finale € 1.540,00 € 51.240,00 Il meccanismo della frode è vantaggioso sia per il prestanome, che incassa la differenza tra il prezzo percepito da ITA e il costo di acquisto pagato a TED, sia per lo stesso rivenditore ITA, che ha la possibilità di acquistare il veicolo ad un prezzo inferiore a quello di mercato (e dunque rivenderlo al consumo a prezzi competitivi), oltre che scaricare l’IVA sulla fattura emessa dal prestanome (IVA da questi non versata all’Erario). E’ altresì evidente come la frode renda il rivenditore ITA più competitivo rispetto ai proprio concorrenti, in quanto è in grado di rivendere l’auto ad un prezzo più basso. Naturalmente risulta evidente come il rivenditore ITA, per non compromettere il successo dell’operazione, dovrà limitare il più possibile i contatti con il prestanome, in modo tale che non risulti evidente il suo coinvolgimento nell’organizzazione della frode. Le investigazioni svolte dalla GDF hanno consentito di individuare in M. Bianca e M. Giovanni i promotori dell’attività illecita, amministratori di fatto delle società formalmente rappresentate da due prestanome: C. Gennaro e V. Patrizia, privi di beni patrimoniali e con precedenti penali. Elemento caratterizzante delle due società cartiere, ALFA Car S.r.l. e BETA Car S.r.l., è la mancanza di strutture aziendali e commerciali idonee a consentire una effettiva operatività economica coerente con il volume d’affari realizzato. Tra l’altro, l’amministratore della ALFA Car, C. Gennaro, ha denunciato il furto della documentazione contabile riferita alla società. Tali società: omettevano sistematicamente di effettuare i versamenti IVA e presentare le dichiarazioni annuali; non disponevano delle risorse finanziarie necessarie ad effettuare gli acquisti delle autovetture poi cedute ai vari clienti, in quanto i concessionari interessati anticipavano le somme occorrenti. Tale circostanza, emersa dalle indagini, è stata poi confermata da Bianca M. e Giovanni M. (fratello e sorella), che ammettono che le società “cartiere” non disponevano di alcuna capacità economico-finanziaria. Nell’interrogatorio del 21.04.2006 effettuato presso il Tribunale di T., Bianca M. ha inoltre confermato la consapevolezza e la conoscenza del sistema di frode da parte i tutti i clienti che, negli anni indicati, hanno avuto rapporti economici con le nominate ALFA Car S.r.l. e BETA Car S.r.l. Stralcio dell’interrogatorio, nel quale il P.m. chiede all’indagata, M. Bianca, dettagli circa i soggetti che hanno a vario titolo partecipato consapevolmente alla frode essendo a conoscenza del “sottocosto dell’IVA”: “”(omissis) P.M. – Io le faccio dei nomi. Vediamo se li conferma come suoi clienti in questa attività – (omissis) – Indagata M.B.: - Tutti quanti, signora, è un fenomeno generalizzato in Italia, questo glielo ripeto”. Altri elementi indiziari emersi nel corso delle indagini sono: il fatto che gli importi delle autovetture, al netto dell’IVA, fatturati dai fornitori esteri alle società interposte, sono risultati superiori agli imponibili fatturati da queste ultime alle concessionarie acquirenti; la conoscenza, da parte del rappresentante della GAMMA CAR s.r.l., del ruolo di “amministratori di fatto” svolto dai fratelli M. Bianca e Giovanni nelle due società “cartiere”: all’atto dell’acquisto delle autovetture, il medesimo si rivolgeva a Bianca e Giovanni accettando poi fatture proveniente dalle due società, nelle cui compagini sociali non erano ufficialmente presenti gli stessi. Con riferimento alla falsa fatturazione “soggettiva” l’unica strada attualmente percorribile per contemperare l’esigenza del Fisco, alla tutela del gettito erariale, e del contribuente, di non essere oggetto di indesiderati recuperi d’imposta, è l’estensione (auspicabile generalizzazione) del sistema del reverse charge. Di questa iniziativa si è fatta promotrice la Commissione europea che ha approvato, il 22 luglio 2013, le direttive n.2013/42 e n. 2013/43, che permettono ai singoli Stati membri di derogare in maniera rapida al naturale funzionamento dell’imposta prevedendo la possibilità di individuare nel cessionario/committente il debitore d’imposta in specifici settori (c.d. QRM, Quick Reaction Mechanism) . In rivista L’IVA nr.5/2014 con commento di G. Liberatore, pag.35 e seg.