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Introduzione
L’abbondanza di Informazioni è solo un problema di Interney?? Cioè il crearsi spontaneo e incontrollato di informazioni individuali? NO anche il flusso di dati statistici ufficiali è enorme Nelle prime 22 settimane del 2013 si arriva a 149 pubblicazioni di indagini ed elaborazioni differenti, pari ad una media di quasi 7 elaborazioni e set di dati per settimana E la tendenza è a “crescere” Il resto della Pubblica amministrazione segue la stessa strada: “open data” archivi amministrativi aperti alla consultazione telematica (www.dati.gov.it) 976 sono già “consultabili Oltre a queste fonti ufficiali ci sono poi i cosiddetti “SONDAGGI” Nel 2012 siamo a quota 500 in un anno (quasi 2 al giorno) (non sono tutti, essendo decaduto nel 2010 l’obbligo di comunicazione) Dalla fine del 2008 la misurazione del mood degli italiani rispetto alla crisi economica e ai suoi effetti è diventata ovviamente uno dei lei motiv dominanti dei sondaggi; ma molto numerose sono anche le rilevazioni in tema di lavoro e giovani, di scuola, di opinioni nei confronti della politica e della classe dirigente “Siamo, così, sempre più informati su eventi recenti ed i mezzi di informazione - tra i principali utilizzatori ormai dei sondaggi di opinione - sono evidentemente importanti casse di risonanza. Numeri e tabelle su idee e su fenomeni più disparati sono disponibili in una corsa quasi sfrenata al “presentismo”, a capire cosa accade oggi. Ma, a ben riflettere, si tratta il più delle volte di opinioni e di idee capaci di descrivere forse solo una parte realtà, spesso poco interpretata, poco letta nella sua vasta complessità, nella foga sempre più evidente dell’annuncio del numero eclatante rispetto alla lettura del fenomeno che esso rappresenta.” (Censis) E’ una situazione da “BIBLIOTECA DI BABELE” (J.L.Borges) si descrive un allucinante universo che essenzialmente è una biblioteca spazialmente infinita composta di sale esagonali, che raccoglie disordinatamente tutti i possibili libri di 410 pagine che contengono tutte le sequenze di caratteri senza ordine, in tutte le possibili combinazioni. Naturalmente molti libri sono sequenze di caratteri senza senso, però ci sono tutti i libri famosi già scritti e quelli ancora da scrivere, c’è anche il libro che dice la “VERITA’” Ma come si trova un libro nella Biblioteca di Babele???? Semplice, si consulta il catalogo! Ma… Come è fatto il catalogo della Biblioteca di Babele ??? Poiché contiene tutte le possibili sequenze di caratteri che riempiono 410 pagine, vi sono libri che differiscono anche per un solo carattere. Come si distinguono libri diversi per una sola lettera??? Non c’è modo se non leggere tutto il libro!!! Il catalogo della Biblioteca di Babele è la biblioteca stessa! Tutte le combinazioni, cioè la totale casualità, il massimo di entropia non consente di selezionare alcuna informazione, né di utilizzare conoscenza per definire strategie di comportamento. Tutto il processo evolutivo umano è una lotta per identificare un segnale in una marea di stimoli casuali. Come si fa??? Occorre trovare un mondo più semplice, una biblioteca meno “piena” E dove sta? Nella nostra testa! Probabilmente la nostra arma evolutiva vincente è stata la possibilità di semplificare mediante CONCETTI situazioni complicate. Ciò ci ha permesso di fissare situazioni ripetitive nella memoria e di scoprire REGOLARITA’ Una parola che rappresenta in sintesi questa operazione di semplificazione è sicuramente la parola Cos’è la Statistica ? Statistica = (deriva da Stato -> Collettività) analisi quantitativa (misura) dei fenomeni collettivi variabili, allo scopo di descriverli e di individuare le leggi che permettono di spiegarli e prevederli Misura = (deriva da metiri = valutare) rapporto fra una grandezza e un'altra a essa omogenea, scelta convenzionalmente come unità Rapporto= (deriva da ri-apportare, portare di nuovo) operazione aritmetica elementare, con la quale si conta quante volte un numero contiene un altro numero, e se vi è un resto indivisibile Convenzione = (deriva da convenire=incontrarsi) ciò che trae origine da un accordo comune, da una regola generalmente accettata “Fare” Statistica è prima di tutto Occuparsi della misura dei fenomeni, cioè studiare, analizzare definire Gli oggeti da misurare I collettivi per cui ha senso misurare I rapporti con le unità di misura Le convenzioni su cui si basa la misura Prima ancora di utilizzarla, analizzarla trattarla con metodologie Per uscire dal “vago” propongo un esempio: Consideriamo una misura diventata popolare Un esempio : Il famoso SPREAD BTP-BUND Spread significa “ampiezza”, “apertura” (ma anche “allargamento”, “forbice” in senso figurato) e viene usato oggi per definire la differenza tra il rendimento dei titoli di stato italiani e quelli tedeschi, benché possa applicarsi a diverse coppie di enti paragonabili. Gli stati mettono sul mercato, con aste periodiche, un certo numero di titoli obbligazionari per avere liquidità dai mercati finanziari e potere così finanziare il debito pubblico. (MERCATO PRIMARIO) Semplificando un po’, lo stato italiano promette all’investitore che, se investirà sul suo debito pubblico (se gli presterà dei soldi), riavrà interamente il suo capitale alla fine del periodo stabilito e in più, prima della scadenza, gli verranno corrisposte periodicamente alcune “cedole” di rendimento. Su questo rendimento si DOVREBBE MISURARE la maggiore o minore fiducia dei prestatori di denaro nei confronti dei diversi stati e anche quanto costerà il debito a ciascuno stato. Tutto semplice? Mica tanto……… Intanto un problema di unità di misura: lo spread è misurato in “punti base” (basis point). Un punto base è un decimo di millesimo di un valore, cioè una differenza tra percentuali (i tassi di interesse) moltiplicata per 100. Oggi lo spread tra i BTP decennali e i Bund tedeschi (le obbligazioni dello stato tedesco, particolarmente “solide” e per questo utilizzate come riferimento per le altre nazioni europee) è arrivato intorno ai 320 punti base, cioè una differenza di rendimento del 3,2%. (5% meno 1,8%) Questa differenza è decisa dal mercato nel momento in cui vengono offerti all’asta i titoli (circa 1 volta al mese): chi vuole investire nelle obbligazioni italiane pensa di correre più rischi rispetto a un investimento in titoli tedeschi, per il peggior stato delle finanze italiane, e quindi vuole un rendimento più alto. Ma allora…. Come mai abbiamo valori giornalieri (orari, al minuto…) dello SPREAD??? Perché il rendimento (interesse) è un rapporto tra quanto ti pago in più rispetto al prestito che mi hai fatto e l’ammontare del prestito: Mi dai 100 € (per un anno… torneremo sul problema della durata) e io ti restistuisco, alla fine dell’anno, 105 € il rendimento è: (105-100)/100 = 5% ogni euro prestato si trasforma in 1,05€ Ma ancora non ci siamo, questa contrattazione di prezzo avviene una volta per tutte e, nel caso dei BTP decennali, rimane immutata per 10 anni Può essere alta o bassa ma rimane immutata per un decennio E QUINDI? Supponiamo che tu, per qualsiasi motivo, il giorno dopo decidi di cedere il credito che hai ad un tuo amico, per invogliarlo glielo vendi a 90€ Il rendimento cambia, non perché cambia l’interesse corrisposto da me, ma perché il prestito per il tuo amico è di ammontare inferiore: (105-90)/90 = 16,6% ogni euro prestato si trasforma in 1,16€ Se confronto questo «nuovo» rendimento con un altro prestito identico al primo, ma non venduto lo SPREAD è aumentato. Piccola complicazione: se inseriamo il tempo del prestito, diciamo che cedi il credito dopo 6 mesi (sempre a 90€) dobbiamo tenere conto che 2,5€ li hai già incassati (gli interessi si pagano da subito), il conto diventerebbe: (102,5-90)/90 = 13,8% Di solito non si tiene conto di questo e si parla di rendimento «istantaneo»….non approfondiamo Un gioco complicato Naturalmente il fatto che tu abbia ceduto il tuo credito può dipendere da tanti fattori, ma uno è particolarmente rilevante. Il tuo vicino di casa che, anche lui, mi ha prestato 100 €, viene a sapere che tu hai ceduto il credito per 90, siccome ti ritiene una persona ragionevole, immagina che tu l’abbia fatto per un motivo razionale, ad esempio perché hai dei dubbi sul fatto che io ti restituisca i soldi alla fine dell’anno. Ragiona così: se c’è una probabilità del 50% che Drudi non paghi, allora quello che mi rende il mio credito sarà: [(100 x 0,5) + 5]/100 = 0,55 ogni euro prestato si trasforma in 0,55€ Ci rimetto molto, se vendo a 90 dopo 6 mesi ottengo (90+2,5)/100 = 0,925 perdo solo 0,75€ ogni euro prestato Forse sarei disposto anche a vendere a 80€………… Un gioco complicato Cioè… Tizio vende, Caio osservando Tizio diventa più propenso a vendere, Sempronio vede due che vendono e si allarma e vende anche lui……. Poi c’è il solito furbo (Ulisse?) che ha capito tutto e non pensa che Drudi non pagherà, ma ha interesse ad aumentare la sfiducia perché più gente vuole vendere più il prezzo cala e il rendimento cresce Ad esempio va da Sempronio e gli dice: so che vuoi liberarti dal creditospazzatura di Drudi, proprio per farti un favore telo compro a 60€ Se poi Drudi paga normalmente, il suo guadagno è: (100+2,5)/60 = 170% La domanda interessante è da chi provengono questi soldi???? Drudi non sa nulla di tutto ciò, in realtà sono soldi di Tizio, Caio e Sempronio che sono andati a Ulisse Il giochetto è carino, ma è a somma ZERO, tolti gli interessi, cioè dopo l’emissione del credito Un gioco complicato E’ a somma ZERO per il collettivo, non per i singoli, i cui obiettivi sono chiaramente in conflitto: uno guadagna se un altro perde. E’ chiaro che chi cede il credito di 100 per 90, ci “rimette” e chi lo acquista ci guadagna una cifra di pari importo E Drudi? Nel momento poco lo riguarda, però è possibile che quando va a chiedere un nuovo prestito tutti i possibili finanziatori sappiano della storia pregressa e concedano il nuovo prestito con minore o maggiore facilità, cioè ad un interesse più o meno alto Questo modifica l’unica variabile esterna, del sistema, cioè l’ammontare di denaro che Drudi deve pagare per ottenere il prestito, da qui in poi l’effetto è reale, non più solo monetario Naturalmente ci sono molte e difficili complicazioni: ad esempio, non vendo un solo credito, ma un pacchetto fatto di buoni pagatori e di cattivi pagatori; concedo un prestito, già sapendo che lo voglio vendere, quindi lo concedo a chiunque anche a chi so che non pagherà; compro crediti pagando con altri crediti, cioè senza denaro (subito), stipulo una assicurazione sul rischio di non essere pagato dal creditore….etc Di quale SPREAD parliamo? Lo Spread che viene presentato e commentato, ormai da chiunque, è il risultato di questo gioco di compravendita (MERCATO SECONDARIO) NON è quindi il costo del debito è la misura dei rapporti di scambio sul mercato finanziario MA… quanti titoli vengono comprati/venduti, rispetto al debito complessivo??? La risposta è abbastanza sorprendente: (Fonte BdI) Esempio Marzo 2012: 35 miliardi di € su 1.175 miliardi (3%) Febbraio 2012 : 30 miliardi di € su 1.166 miliardi (2,5%) Molto pochi! Senza contare che il valore è misurato su ogni scambio, cioè Se A vende a B 100 € di BTP e poi B rivende ad A gli stessi BTP il totale degli scambi diventa 200 € Se ho un po’ di soldi e voglio far crescere lo spread mi metto d’accordo con un amico e ci scambiamo a costo zero la stessa quantità n volte, ogni volta con un prezzo lievemente minore. Già.. Molte volte parliamo (parlano) di cose che non conosciamo Ma è importante conoscerle ?? O è solo una “fissazione” di vecchi docenti ?? Alcune considerazioni: sulla base di questi (e pochi altri indicatori che vedremo) vengono decisi: 1. Tagli allla spesa pubblica (quindi ad esempio l’ammontare delle tasse universitarie o il costo delle cure mediche) 2. Ammontare delle tasse (dirette e indirette) per esempio l’IVA 3. La quantità e il costo dei prestiti bancari, quindi ad esempio la possibilità di comprarsi una casa o di trovare una azienda in cui lavorare 4. ……. Potremmo continuare a lungo ma la verità è facile da capire: Queste misure influenzano la nostra vita presente e soprattutto quella futura, forse è meglio capirle….. O no??? E poi c’è il problema “professionale” Qualunque cosa fa o farà un laureato in Statistica, avrà a che fare con misure: Anzi la richiesta più pressante che riceverà è “cosa vuol dire questo numero?” Cioè la capacità di spiegare cosa sia una misura è la “merce” che uno statistico può offrire al mercato ed è quello che il mercato (consapevolmente o meno) gli richiede Ma per spiegare è necessario non solo “capire”, ma avere tanta padronanza del problema della misura dei fenomeni da farne una seconda natura, un pezzo del proprio modo di pensare. Deve diventare “naturale” come correre, andare in bicicletta etc. Un bravo maestro di nuoto è uno che si muove tanto bene nell’acqua che quando nuota può permettersi il lusso di “guardarsi nuotare” e quindi insegnarlo ad un altro. Questo non succede se sei alle prime armi e devi preoccuparti di ogni singolo movimento perché altrimenti vai a fondo…. Siamo sicuri che non sia una visione distorta? Beh, molti non ci pensano, forse altri non sono d’accordo però si è in buona compagnia: L’OECD e anche da anni si mette in dubbio che il tasso di crescita del PIL sia un “buon” indicatore (tema promosso dall’attuale ministro del lavoro) Sullo stesso tema, una commissione promossa dal governo francese e formata (tra gli altri) da 4 premi Nobel, ha nettamente concluso che NO non lo è, proponendo diverse altre misura e soprattutto una “logica” di misura diversa Il premio Nobel Krugmann individua tra le causa della crisi mondiale una lettura superficiale e sbagliata di indicatori economici e una cieca fiducia nei modelli previsivi (sbagliati quando non inutili – secondo lui) Il Censis nel giugno scorso ha organizzato una tavola rotonda dal titolo “Un mare di dati senza interpretazione” Insomma difficile negare che il problema esista Altri Esempi di distorsione da numeri: Il 28 maggio del 2013 l’Ocse ha proceduto ad una revisione delle stime del Pil dell’Italia per l’anno in corso, portando le previsioni dal -1,5% - indicato i primi giorni di maggio - al -1,8%. D’altra parte le stime di inizio maggio già correggevano quelle di dicembre 2012, che prevedevano per l’Italia un calo dell’1% del prodotto interno lordo. Non si tratta, ovviamente, della correzione di un errore, ma del risultato di modelli econometrici sofisticati continuamente modificabili grazie alla disponibilità di una mole estremamente consistente di dati di contabilità nazionale aggiornati con elevata frequenza. Tuttavia….. L’Istat il 15 maggio ha fornito il dato “rilevato” non la previsione che dava il pil a -1,5 Che utilità ha una previsione che nel giro di 5 mesi si modifica del doppio, probabilmente sulla scorta di dati “ufficiali” che sono disponibili circa 2 settimane dopo? Di economia sappiamo tutto, della crisi quasi nulla (Ancora Censis) I dati di contabilità nazionale, quelli sul sistema produttivo, sul mercato del lavoro e sui flussi finanziari, sono sempre più frequentemente oggetto, anche in Italia, di modelli econometrici sofisticati, finalizzati a misurare impatti di varia natura e a definire possibili scenari futuri. Eppure, questa grande quantità di numeri ha aiutato poco (o per nulla) non solo o non tanto a prevedere la prima ondata di crisi del 2008 e poi la seconda nel 2011, ma soprattutto a trovare soluzioni plausibili e strumenti utili almeno per tamponare gli effetti della crisi. I numeri, disponibili su vasta scala, e la conoscenza che da essi può derivare, in sostanza non ci hanno messo al riparo da una crisi che non solo perdura da quasi cinque anni, ma che al momento non sembra neanche allentare la presa. Così, dal 2008 in poi, di economia abbiamo saputo molto, ancora di più che nel passato, e la crisi è stata analizzata e dentificata in tutte le sue componenti, grazie ad indici sul clima di sfiducia delle famiglie, indici di disagio sociale, misurazioni al millimetro dei consumi, andamento dei redditi, monitoraggi dei conti pubblici, dati sulla produzione industriale flettente; ma della recessione, in fondo, si è capito ben poco. Con un diffuso senso di frustrazione e con la voglia di denunciare uno stato di difficoltà economica a tratti insopportabile, non è rimasto, a chi utilizza e interpreta i dati oggi disponibili, che focalizzarsi sempre più spesso su un effetto annuncio, su una rincorsa a definire le sfumature della crisi, le imprese che escono dal mercato, la disoccupazione che aumenta, in una pratica che tuttavia non porterà molto lontano. Il Fondo Monetario Internazionale e la Grecia Questa tendenza crescente ad una sorta di cieco fideismo nel numero genera casi eclatanti se non gravi. Il 6 giugno del 2013 il Fondo Monetario Internazionale ha ammesso di avere commesso errori nelle stime di impatto delle misure di salvaguardia e di ristrutturazione del debito greco, ovvero di un Paese a cui sono stati imposti licenziamenti per migliaia di dipendenti pubblici e politiche recessive senza precedenti. Nel 2010 il moltiplicatore dell’impatto recessivo temporaneo delle politiche imposte dal Fmi per risanare i conti pubblici veniva stimato, attraverso modelli econometrici considerati sicuri, pari a 0,5; a posteriori l’impatto è stato considerevolmente più alto, con un moltiplicatore di 1,5 secondo quanto indicato dall’ufficio studi del Fmi. Ancora GRECIA …. E non solo Le proiezioni nel 2009 indicavano per il periodo 2009-2012, che a seguito degli interventi di riequilibrio imposti: Per la produzione complessiva della Grecia avrebbe registrato tra il 2009 ed il 2012 una flessione del 5,5%, mentre l’impatto finale è stato del -17%, così come la disoccupazione veniva stimata per il 2012 al 15%, mentre in realtà si è attestata al 25%. Alcune misure, in sostanza, erano inutili fin dall’inizio, data la gravità della situazione, ed altre misure imposte alla Grecia avrebbero potuto essere molto meno restrittive. Numeri e stime, viceversa, hanno decretato l’amaro destino di un Paese. Alcuni (uno come esempio) effetti In Grecia, tutto ciò che non serve per pagare i debiti deve chiudere, sparire: anche le università. Sembra impossibile, ma le direttive della finanza internazionale, attraverso la mediazione della cosiddetta trojka (Banca Mondiale, Fondo Monetario e Unione Europea) ha tentato e sta tentando di imporre la chiusura di 94 università. Nell'ambito dell'ennesima manovra di riduzione della spesa pubblica il ministro dell’educazione Konstantinos Avramopoulos infatti ha previsto un piano di “consolidamento” degli Atenei devastante che, come spiegano i sindacati, prevede il trasferimento di 1.349 impiegati amministrativi, pari al 40% del personale, ad altre amministrazioni lasciando di fatto gli atenei vuoti e impossibilitati a lavorare. Le zone che resteranno senza università sono Edessa, Ierapetra, Agios Nikolaos, Lefkada, Amaliada, Egeo, Argostoli, Nafpaktos, Creta, Livadia, Moudania, Veria, Naoussa. Che futuro ha un Paese che rinuncia a educare i suoi cittadini? La domanda vale anche per l’Italia, ovviamente, dove non siamo a questi estremi ma i fondi per scuola e università sono stazionari, dopo i tagli effettuati dai governi Berlusconi, Monti e Renzi (?) Chiudere le università…… chissà forse è meglio visto che a volte (poche per fortuna) partoriscono “mostri” : Il “famoso errore” di Reinhart & Rogoff: Economisti di Harward autori di un famoso paper in cui si stabilirebbe una relazione inversa tra debito pubblico e tassi di crescita del PIL, individuando una soglia limite del rapporto debito/Pil pari al 90%. Sono stati utilizzati dati su debito e PIL di molti paesi per un lungo periodo di tempo Sono super-citati e hanno ispirato tutta la politica finanziaria restrittiva mondiale e in europa in particolare (I PIGS sono stati individuati su questa base) e le politiche di pareggio imposte a Irlanda Belgio etc.. Un dottorando ha scoperto una serie di errori grossolani nella elaborazione dei dati http://www.signoraggio.it/il-debito-pubblico-deprime-la-crescita-il-clamorosoerrore-di-carmen-reinhart-e-kenneth-rogoff/ I principali sono tre: • l’esclusione selettiva di alcune osservazioni nei dati; (alcuni periodi e paesi sono stati esclusi dai calcoli senza particolari motvazioni) • uno schema di bilanciamento dei dati non convenzionale; (medie aritmetiche semplici senza contare numero di anni o dimensione dei paesi) • un errore di codice nel foglio di calcolo originale utilizzato per selezionare i dati. (proprio un errore di selezione dell’area di calcolo) Il tutto appare, agli occhi di qualsiasi ricercatore di economia, terribilmente approssimativo. Il che avviene a volte nel campo della ricerca. MA Altrettanto approssimativa non è invece parsa la sicumera con cui politici più o meno eletti, ad esempio il commissario europeo Olli Rehn, hanno esibito lo studio di Reinhart e Rogoff come indiscutibile base scientifica per le politiche di austerità. Sotto l’insegna di questo tipo di motivazioni, in Italia sono state tagliate o dilazionate pensioni di individui oramai avanti negli anni e con poche prospettive sul mercato del lavoro, ed è stata ferocemente tassata la proprietà della prima casa in maniera alquanto indiscriminata. Le conseguenze di queste scelte sono evidenti: un aggravarsi della recessione, un aumento della disoccupazione e un peggioramento ulteriore del rapporto debito/PIL – a suggerire di nuovo, come sostiene Krugmann, non sarà che se un rapporto di causalità esiste, questo sia al contrario? La domanda che alcuni economisti maliziosamente si fanno ora è: quanta disoccupazione è stata “causata” da errori aritmetici e di utilizzo del foglio di calcolo? Quanti posti di lavoro persi? Probabilmente nessuno: è arduo immaginare che un singolo articolo scientifico, per quanto rilevante, abbia da solo reso possibile determinate scelte di politica economica. Ma certamente ne è stato un supporto propagandistico rilevante, in una fase critica per le democrazie occidentali in cui appare sempre più necessaria una maggiore consapevolezza sul valore e sul contenuto di un maggiore pluralismo nell’informazione economica e nel dibattito di politica economica. Un ultimo aspetto su cui vale la pena di focalizzare l’attenzione riguarda il ruolo decisamente eccessivo che è stato riconosciuto o che è stato, di fatto, esercitato negli ultimi anni dalle principali agenzie di rating mediante le valutazioni che riguardano le valutazioni sulla sostenibilità e solvibilità del debito pubblico dei paesi industrializzati e di quelli della zona Euro in particolare. Una cosa è certa, ovvero che il declassamento del debito pubblico dei Paesi dell’eurozona a cui le principali agenzie di rating hanno proceduto ad ondate alterne negli ultimi tre anni, non hanno aiutato ad alleviare una crisi economica e soprattutto sociale gravissima. Per cominciare, il declassamento dei titoli di Stato di Paesi come l’Irlanda e il Portogallo, e poi l’Italia e la Francia sebbene fotografassero forti sbilanciamenti nei conti pubblici di ciascun Paese, sono giunti in modo intempestivo, nella fase più acuta di una crisi finanziaria in cui si è paventato per alcuni Paesi addirittura una possibilità, seppure remota, di Default. MA SOPRATTUTTO SI TRATTA DI PROCEDIMENTI DEL TUTTO OSCURI E OPACHI Si tratta di numeri e di elaborazioni su cui molto ci sarebbe da discutere, quanto meno per l’ambiguità dei risultati ottenuti. Premesso che nessuna delle agenzie di rating rende noto i pesi e le modalità di elaborazione dei dati per la valutazione del debito pubblico dei Paesi presi in considerazione, Vi sono evidenti contraddizioni e criteri incomprensibili: ad esempio in evidenza come nel 2011, anno di crisi dei debiti sovrani, l’Italia otteneva un rating tra i più bassi dei Paesi industrializzati, incomparabilmente più basso, ad esempio, della Gran Bretagna ed anche della Spagna che pur presentavano disavanzi di bilancio in rapporto al Pil molto più elevati Naturalmente Il punto, tuttavia non è il metodo e neanche il fatto che un’agenzia valuti le politiche di bilancio di un Paese; il punto è fare eccessivamente affidamento sulla presunta verità che i numeri rivelano, specie se il numero o il rating possono decretare, per un Paese, l’attenuarsi o l’acuirsi di una crisi, come spesso è successo in Europa negli ultimi tempi. Soprattutto se non si ha la più pallida idea di come quel numero sia generato, anzi se si sostiene che il suo processo di produzione è “segreto industriale” Già come la Coca Cola, solo che la bibita posso non comprarla, una politica di austerità la devo digerira per forza! Qualche malignità.....(non tutta mia, ad es. Olli Rhen, commissario europeo per la finanza) Prima di tutto: Le tre principali agenzie di rating internazionali •Standard&Poor's, •Moody's •Fitch sono aziende private indipendenti dai governi. Non sono quindi soggette ad alcuna regolamentazione particolare se non le comuni leggi civili e penali che regolano il mercato (vi sono molti problemi su quale la giurisdizione, cioè quali leggi di quale paese vadano applicate…comunque) e di mercato. Ma questo significa che sono autonome e indipendenti?? Vediamo chi sono i proprietari: Standard&Poor's batte bandiera americana. È controllato da McGraw-Hill, un colosso di servizi finanziari, a sua volta partecipato •dal gestore di fondi Capital World Investors, d •alle società di investimento State Street e BlackRock, •dalla finanziaria Fidelity Investments •da Vanguard Group, che gestisce circa 1.600 miliardi di dollari. Sono tutte società di Investimento, cioè che guadagnano comprando e vendendo titoli azionari o obbligazionari e debiti “sovrani” il cui valore è sicuramente influenzato dalle valutazioni Il primo azionista di Moody‘s (americana) è il finanziere Warren Buffett con il suo fondo Berkshire Hathaway. (il secondo uomo più ricco del mondo dopo Bill Gates con un patrimonio di 39 miliardi di dollari ad ottobre 2009 e di 58 milioni nel 2013) Compaiono poi •Capital World Investors, •ValueAct Capital, •T. Rowe, •Vanguard, •State Street e BlackRock Ancora società di investimento e gestione del risparmio. Fitch, invece, è per metà europea e per metà americana. Il 60% è controllato dalla società di servizi finanziari francese Fimalac, il 40% dal gruppo finanziario Usa Hearst. Naturalmente ancora società di investimento. Uno scandalo??? No ovviamente, come dice il collega Caselli, economista della Bocconi: "Che siano controllate da privati è qualcosa che si sa da sempre. Non bisogna oggi alzare un polverone su qualcosa che tutti sanno da tempo. Stesso discorso vale in merito al tema della loro assoluta non-regolamentazione, anch'essa nota a tutti da sempre“. A parte l’uso disinvolto del pronome “tutti”, che tutti sappiano o sapessero è forse vero in una cerchia di specialisti , ma probabilmente è giusta la morale della frase: inutile lamentarsi oggi per qualcosa che si sapeva. E a cui non è stato posto rimedio. "È indubbio che le agenzie di rating, per chi ha sostenuto una logica di mercato di tipo liberista, hanno sempre rappresentato un tassello importante e utile nel far funzionare e stimare i mercati" aggiunge Caselli. "In questo momento tutto ciò non è cambiato. A cambiare è il contesto e il timing, ovvero il tempismo con cui le agenzie stanno intervenendo". Il contesto che stiamo vivendo, inutile dirlo, è straordinario. È la prima volta nella storia che tanti debiti pubblici in tanti Paesi contemporaneamente sono oggetto di speculazione. Per questo le agenzie devono pronunciarsi sempre più spesso assumendo una responsabilità economica e sociale sempre più rilevante. "È normale che ci si cominci a interrogare sui loro reali obiettivi come ha fatto Olli Rehn, e che si aprano dei punti interrogativi sull'esistenza o meno di conflitti di interesse rispetto ai loro azionisti e sulla loro eventuale imparzialità” dice Caselli. LA REGOLAMENTAZIONE. Soluzione? "Le agenzie di rating devono essere regolamentate come una banca. Devono essere vigilate, devono diventare oggetto di ispezione e sottoposte a regole certe". Altrimenti dubitare sulla loro reale imparzialità, come ha fatto oggi Rehn, sarà sempre più lecito. Già….. Ma non vediamo tracce di questo impegno verso la regolamentazione né nei principali paesi, né nei vari G7, G8, G20 etc…… Modestamente aggiungerei (a titolo del tutto personale) che quando una valutazione coinvolge mutamenti nella vita e nei rapporti sociali di cittadini di stati sovrani democratici, (vedi Grecia), l’accettazione della regolamentazione e delle valutazioni diventa un problema di democrazia, cioè vanno trovate le forme attraverso le quali l’insieme della popolazione possa assentire o dissentire non solo sui singoli provvedimenti, ma sull’intero impianto che genera la strategia di uscita dalla crisi, compresa il sistema informativo e statistico su cui si basano tali strategie Non è accettabile, non per etica o morale, ma per il principio di autodeterminazione che a posteriori si presentino delle scuse per errori grossolani o sottili, involontari o fraudolenti Al punto in cui siamo, non stiamo più parlando di economia, stiamo parlando di convivenza civile e dei principi di democrazia partecipata. In una situazione così complessa…. Qual è la nostra capacità di lettura???? Vediamo i risultati di una indagine OCSE sul livello di competenza Alfabetica Letteraria Numerica Problem solving Della popolazione adulta in alcuni paesi INDAGINE ALL (Adult literacy and life skills) 4 scale: due di letteratismo (competenze alfabetica funzionale), una di numeracy e una di problem solving. La collocazione del singolo compito sulla scala corrisponde alla sua difficoltà, collocazione nella parte bassa della scala gli item più semplici, che hanno quindi un punteggio basso, collocazione nella parti via via superiori della scala item più difficili, che hanno punteggi alti. Ogni livello, indicato sulla scala da 0 a 500 punti, rappresenta una progressione, un incremento di competenza: chi si situa a un livello dato, possiede le competenze del livello in cui si situa ed anche la probabilità di rispondere in modo esatto alle domande dei livelli inferiori. Indagine estesa a diversi paesi dati disponibili 2006 per ora solo per alcuni paesi: Norvegia, Canada, Svizzera, Italia, Bermuda e Nuovo Leon (stato del Messico) Livello 1 competenze estremamente modeste al limite dell’analfabetismo. La Norvegia ha solo il 7% in questa condizione, questa percentuale sale al 12% in Bermuda, intorno al 15% in Canada e Svizzera, al 20% negli Stati Uniti e tra il 43% e il 47% nel Nuovo Leon e in Italia. Livello 2 patrimonio limitato di competenze di base. Una su quattro persone è a questo livello in Bermuda, Canada, Norvegia, una su tre in Italia Svizzera e Stati Uniti, più del 45% degli adulti del Nuovo Leon sono a questo punto. Livello 3 possesso di competenze che permettono l’innesto di nuovi saperi. e Più dei due terzi dei norvegesi sono a questo o a un livello più elevato, circa il 60% dei residenti in Bermuda Canada, un po’ sotto al 50% in Svizzera e Stati Uniti, circa il 20% in Italia e l’11% nel Nuovo Leon. Livello 4/5 padronanza sicura. Una persona su quattro è a questo livelli in Bermuda, una persona su cinque in Canada e in Norvegia, una su otto in Svizzera e negli Stati Uniti, una su ventotto (3,5%) in Italia, e meno di una su cento nel Nuovo Leon. Un commento autorevole: Tullio de Mauro – massimo linguista italiano vivente Sintesi: 1. Cinque italiani su cento tra i 14 e i 65 anni non sanno distinguere una lettera da un’altra, una cifra dall’altra. 2. Trentotto lo sanno fare, ma riescono solo a leggere con difficoltà una scritta e a decifrare qualche cifra. 3. Trentatré superano questa condizione ma qui si fermano: un testo scritto che riguardi fatti collettivi, di rilievo anche nella vita quotidiana, è oltre la portata delle loro capacità di lettura e scrittura, un grafico con qualche percentuale è un’icona incomprensibile. 4. Rimane appena un quarto di italiani capaci di comprendere il contenuto di un testo scritto di media lunghezza o un grafico In pratica 24 milioni di adulti non sono in grado di leggere un testo scritto e 20 milioni non sono in grado di capirlo. Ad accurati campioni di popolazione in età lavorativa è stato chiesto di rispondere a questionari: uno, elementarissimo, di accesso, e cinque di difficoltà crescente. Si sono così potute osservare le effettive capacità di lettura, comprensione e calcolo degli intervistati, e nella seconda indagine anche le capacità di problem solving. I risultati sono interessanti per molti aspetti. Sacche di popolazione a rischio di analfabetismo (persone ferme ai questionari uno e due) si trovano anche in società progredite. Ma non nelle dimensioni italiane (circa l’80 per cento in entrambe le prove). Tra i paesi partecipanti all’indagine l’Italia batte quasi tutti. Solo lo stato del Nuevo Léon, in Messico, ha risultati peggiori. I dati sono stati resi pubblici in Italia nel 2001 e nel 2006. Ma senza reazioni apprezzabili da parte dei mezzi di informazione e dei leader politici.