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RVF - Université de Fribourg
Université de Fribourg Faculté des Lettres Domaine d’Italien Anno Acc. 2013-2014 – SA 2013 Corso introduttivo Avviamento all’analisi del testo poetico Prof. Uberto Motta MIS 3028, mercoledì 17-19h Bibliografia (1) • Manuale di riferimento P. G. Beltrami, Gli strumenti della poesia, Bologna, Il Mulino, 2002. 2 Bibliografia (2) • Opere di prima consultazione B. Mortara Garavelli, Il parlar figurato. Manualetto di figure retoriche, Roma-Bari, Laterza, 2010. A. Menichetti, Prima lezione di metrica, Roma-Bari, Laterza, 2013 3 Ulteriori strumenti Bibliografia (3) (A) Teoria D’A. S. Avalle, L’analisi letteraria in Italia: formalismo, strutturalismo, semiologia, Milano-Napoli, Ricciardi, 1970. L. Renzi, Come leggere la poesia, con esercitazioni su poeti italiani del Novecento, Bologna, Il Mulino, 1985. C. Segre, Avviamento all’analisi del testo letterario, Torino, Einaudi, 1985. Il testo letterario. Istruzioni per l’uso, a cura di M. Lavagetto, Roma-Bari, Laterza, 1996. (B) Metrica M. Martelli – F. Bausi, La metrica italiana: teoria e storia, Firenze, Le Lettere, 1993. A. Menichetti, Metrica italiana. Fondamenti metrici, prosodia, rima, Padova, Antenore, 1993. G. Lavezzi, I numeri della poesia: guida alla metrica italiana, Roma, Carocci, 2002. 4 (C) Retorica A. Marchese, Dizionario di retorica e stilistica, Milano, Mondadori, 1992. B. Mortara Garavelli, Manuale di retorica, Milano, Bompiani, 2006. B. Mortara Garavelli, Prima lezione di retorica, Roma-Bari, Laterza, 2011. (D) Linguistica e stilistica Dizionario di linguistica, a cura di G.L. Beccaria, Torino, Einaudi, 1994. P. V. Mengaldo, Prima lezione di stilistica, Roma-Bari, Laterza, 2001. L. Serianni, La lingua poetica italiana: grammatica e testi, Roma, Carocci, 2009. (E) Storia P. V. Mengaldo, Attraverso la poesia italiana: analisi di testi esemplari, Roma, Carocci, 2008. S. Bozzola, La lirica. Dalle origini a Leopardi, Bologna, Il Mulino, 2012. A. Afribo – A. Soldani, La poesia moderna. Dal secondo Ottocento a oggi, Bologna, Il Mulino, 2012. 5 Calendario delle lezioni mercoledì 17-19h, MIS 3028 • 1) 18 settembre 2) 25 settembre 3) 2 ottobre 4) GIOVEDÌ 3 ottobre, 17-19h (recupero del 20 novembre) MIS 3028 5) 9 ottobre 6) 16 ottobre 7) 23 ottobre 8) 30 ottobre 9) 6 novembre: la lezioni si terrà a PER II, aula B 130 10) 13 novembre 11) GIOVEDÌ 14 novembre, 17-19 (recupero del 4 dicembre) MIS 3028 20 novembre: lezione sospesa – recupero: 3 ottobre 12) 27 novembre 4 dicembre: lezione sospesa – recupero: 14 novembre 13) 11 dicembre 14) 18 dicembre 6 V. Sereni su E. Montale (e sulla poesia) Montale con i suoi primi versi precorreva in noi la presa di coscienza del mondo circostante e dei suoi stessi lineamenti fisici: nella misura in cui ci avvertiva che lo spazio immediatamente a noi vicino e nel quale stavamo già muovendoci con la nostra esistenza non solo poteva essere ma già era abitato dalla poesia. Ci avvertiva al punto di determinare i nostri passi e il nostro stesso sguardo? È probabile che sia stato così («Letteratura», 1966). Montale – il fenomeno sembra oggi irripetibile – ci aveva accostati alle sue poesie come a persone: quasi che ogni sua poesia fosse una persona viva. Questo è il vero debito (extraletterario, occorre dirlo?) che abbiamo nei suoi confronti: di averci, in tanto dubbio suo sulla vita, appassionati in gioventù alla vita («Epoca», 1975). Fin dentro gli anni della guerra la poesia di Montale ci aveva offerto la chiave più naturale per noi, non dirò per leggere l’universo, ma per affacciarsi sull’esistenza che era nostra, e viverla, in certi casi inventarla. Era come se Montale ci avesse tolto la parola di bocca ogni volta che stavamo per pronunciarla («Corriere della Sera», 1981). 7 G. Steiner sulla critica letteraria (da Tolstoj e Dostoevskij, 1960) 8 T. S. Eliot, Le frontiere della critica, 1956 (I) Capire una poesia vuol dire gustarla pienamente per la ragione giusta. […] Capire una poesia travisandola significa compiacersi di una mera interpretazione della propria mente. […] È impossibile gustare appieno una poesia se non la si è capita; d’altro canto è ugualmente vero che non possiamo capirla fino in fondo se non la gustiamo. 9 T. S. Eliot, Le frontiere della critica (II) Le fonti e i modelli “non offrono alcuna chiave per l’intendimento di qualsiasi poesia scritta da qualsiasi poeta”. Capire una poesia vuol dire afferrare la sua ragione d’essere e la sua ‘entelechia’. 10 T. S. Eliot, Le frontiere della critica (III) Spiegazione causale: l’evento è il risultato di una causa → critica biografica e psicologica Spiegazione finalistica: l’evento è il suo effetto → critica ‘reader oriented’ 11 Eliot, The frontiers of criticism (IV) “In tutta la grande poesia c’è qualcosa che deve restare inesplicabile, per quanto completa possa essere la nostra conoscenza del poeta, e anzi è questo il più importante. Quando nasce una poesia è accaduta una cosa nuova che non può essere interamente spiegata da qualsivoglia cosa avvenuta prima. È questo, io credo, ciò che s’intende per creazione”. 12 Eliot, The frontiers of criticism (V) 1. Di una poesia non c’è una sola interpretazione giusta. 2. Un’interpretazione non è giusta se e perché corrisponde a ciò che l’autore si proponeva di fare. 3. Nessuna interpretazione deve preclude al lettore la possibilità di continuare a gustare la poesia. 13 Eliot, The frontiers of criticism (VI) Leggere una poesia non è solo un esercizio archeologico, un viaggio a ritroso nel tempo: è uno spalancamento su una scintilla. 14 L’importante è capire? «La poesia non si può mai spiegare come tu vorresti. Altrimenti l’originale sarebbe la spiegazione non il testo, un doppione inutile anche se nato prima» (E. Montale, Lettera a S. Guarnieri, 4.III. 1975). 15 A. Zanzotto, Dietro il paesaggio, 1951 ORMAI Ormai la primula e il calore ai piedi e il verde acume del mondo I tappeti scoperti le logge vibrate dal vento ed il sole tranquillo baco di spinosi boschi; il mio male lontano, la sete distinta come un’altra vita nel petto Qui non resta che cingersi intorno il paesaggio qui volgere le spalle. 16 Contini, Filologia ed esegesi dantesca, 1965 (I) Una apparente aporia nell’esperienza di ogni lettore (A) l’abbandono all’incanto dell’esecuzione; il godimento, la fruizione della poesia (B) l’acclaramento penetrante della lettera; lo studio, il giudizio culturale, la spiegazione sistematica 17 Contini, Filologia ed esegesi (II) “Leggere e godere prima di avere capito tutto” (I) Consentire che sia la gioia della lettura a stimolare la ricerca e lo studio (e non viceversa) → dall’ispirazione alla tecnica (II) Passare dalla critica ideologica (delle idee e dei temi) alla critica verbale (della forma e dello stile): l’esecuzione del testo 18 Contini, Filologia ed esegesi (III) Citazione da B. Croce, La poesia di Dante, 1921 “Proposizioni filosofiche, nomi di persone, accenni a casi storici, giudizi morali e politici e via dicendo, sono, in poesia, nient’altro che parole, identiche sostanzialmente, a tutte le altre parole, e vanno interpretate in questi limiti”. 19 Contini, Filologia ed esegesi (IV) A proposito di critica verbale e intenzionalità: limitare il giudizio ai casi di flagrante intenzionalità è arbitrario, perché spesso la scrittura poetica ha una velocità che si sottrae alla coscienza dell’autore. 20 V. Sereni, Il silenzio creativo, 1962 «Si convive per anni con sensazioni, impressioni, sentimenti, intuizioni, ricordi. Il senso di rarità o eccezionalità che a ragione o a torto si attribuisce ad essi, forse in relazione con l’intensità con cui l’esistenza li impose, è forse la prima fonte di insoddisfazione creativa, anzi di riluttanza di fronte alla messa in opera, che si traduce (peggio per chi non la prova) in nausea metrica, in disgusto per ogni modulo precedentemente sperimentato… Si convive con le proprie invenzioni, con spettri di poesie non scritte…» 21 V. Sereni, Il silenzio creativo, II Non è prodotto del caso (e direi anche che è salutare) la rinunzia a chiedersi che cosa sia, in assoluto, la poesia. Molto più senso di una simile domanda mi pare abbia l’individuazione di un piano di sviluppo delle emozioni che porti a raffigurare sotto un angolo specifico il rapporto tra esperienza e invenzione: la ricerca d’un tale angolo e d’un tale rapporto segna il passaggio dalla fase negativa del silenzio di cui discorrevo alla fase per cui gli spettri dell’insoddisfazione prendono corpo. Ma ci sono tanti modi d’inventare e non s’inventa una volta per tutte. Al contrario, s’inventa volta per volta… Avere ben presenti queste cose significa evitare per quanto possibile di fare anche dell’invenzione, dei propri collaudati modi inventivi, una formula e un’abitudine, sapere sempre – a rischio d’altri silenzi – che l’angolo utile, il rapporto illuminante non è mai dato, ma è da trovare; e al tempo stesso mettersi in grado di aderire meglio a quanto ha di vario il moto dell’esistenza. E questo è il prezzo della comunicazione”. 22 Due ‘ipotesi’ a confronto Gentile Ettore Serra poesia è il mondo l’umanità la propria vita fioriti dalla parola la limpida meraviglia di un delirante fermento Quando trovo in questo mio silenzio una parola scavata è nella mia vita come un abisso (G. Ungaretti, Commiato, 1916) «Secondo quale criterio linguistico si riconosce empiricamente la funzione poetica? In particolare, qual è l’elemento la cui presenza è indispensabile in ogni opera poetica? [...] La funzione poetica proietta il principio d’equivalenza dall’asse della selezione all’asse della combinazione. L’equivalenza è promossa al grado di elemento costitutivo della sequenza». (R. Jakobson, Linguistica e poetica, 1963) 23 Gen|ti |le Et|to|re | Ser|ra po|e|si|a è il | mon|do | l’u|ma|ni|tà la | pro|pria | vi|ta fio|ri|ti | Dal|la | pa|ro|la la | lim|pi|Da | me|ra|vi|glia di un | De|li|ran|te | fer|men|to 3 5 4 8 5 8 8 8 Quan|dO | trO|vO in | que|stO | mi|O | si|len|ziO u|nA | pA|ro|lA scA|vA|tA è | nel|lA | mi|A | vi|tA co|me un | a|bis|so 4 8 5 9 5 24 Il ‘verso’ 1. Ciascuna delle unità fondamentali di un testo poetico: 2. Un segmento di discorso organizzato secondo determinate regole; 3. Derivanti dall’incontro di uno schema metrico e di una sequenza ritmica Es. Leopardi, Il passero solitario, vv. 1 («D’in su la vetta della torre antica») e 59 («Ma sconsolato volgerommi indietro») 25 Versi liberi Montale, Forse un mattino, v. 8 tra gli uomini che non si voltano, col mio segreto. Montale, Felicità raggiunta, v. 8 è dolce e turbatore come i nidi delle cimase. P.V. Mengaldo: metrica libera 1. Perdita di regolarità e valenza strutturale della rima 2. Libera mescolanza di versi canonici e non canonici 3. Assenza di isostrofismo 26 Versi spezzati Montale, La bufera, 18-20 lo scalpicciare del fandango, e sopra qualche gesto che annaspa… Come quando ti rivolgesti e con la mano, sgombra 27 La misura dei versi • «di retro da Maria, da quella costa» (Purg., X 50) • «L’amoroso pensero» (Petrarca, RVF, LXXI 91) • «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf., I 1) • «lo ciel perdei che per non aver fé» (Purg., VII 8) • «che noi possiam ne l’altra bolgia scendere» (Inf., XXIII 32) 28 Sistole e diastole Né dolcezza di figlio, né la pièta del vecchio padre, né ’l debito amore lo qual dovea Penelopé far lieta (Inf. XXVI 94-6) E ’l duca disse a me: - Più non si desta di qua dal suon dell’angelica tromba, quando verrà la nimica podèsta. (Inf. VI 94-6) Come quando la nebbia si dissipa, lo sguardo a poco a poco raffigura ciò che cela il vapor che l’aere stipa (Inf. XXXI 34-6) 29 Versi piani, tronchi e sdruccioli • «Nel mezzo del cammin di nostra vita» (Inf., I 1) • «lo ciel perdei che per non aver fé» (Purg., VII 8) • «che noi possiam ne l’altra bolgia scendere» ( Inf., XXIII 32) 30 I versi della poesia italiana Mono- e Bisillabo «Qui / non si sente / altro» (Ungaretti) Trisillabo (2) «Si tace» (Palazzeschi) Quadrisillabo (1,3) «sono priso» (Giacomo da Lentini); «vuoto e tondo» (Boito) Quinario (1/2,4) «ninfa gentile» (Pindemonte); «bandiera bianca» (Fusinato) Senario (2,5 o 1,3,5) «Dal core mi vene» (Giacomo da Lentini); «non voler soffrire» (Jacopone da Todi); «fantasma tu giungi» (Pascoli) Settenario (1-4,6) «Meravigliosamente» (Giacomo da Lentini); «Chiare, fresche et dolci acque» (Petrarca); «Ei fu. Siccome immobile» (Manzoni) 31 I versi della poesia italiana Quinario doppio (4,9) «Dal mio cantuccio, ¦ donde non sento» (Pascoli) Senario doppio (2,5,8,11) «Dagli atri muscosi, ¦ dai Fori cadenti» (Manzoni) Settenario doppio (alessandrino o martelliano) (6,13) «Sui campi di Marengo | batte la luna; fosco» (Carducci) «tra la Bormida e il Tanaro |s’agita e mugge un bosco» (Carducci) 32 I versi della poesia italiana Ottonario (3,7) «Quant’è bella | giovinezza» (Lorenzo de’ Medici) «Su ’l castello | di Verona» (Carducci) Novenario (2,5,8) «tremava | un sospiro | di vento» (Pascoli) Decasillabo (3,6,9) «Dilongato | mi son da la via» (Jacopone); «Soffermati | sull’arida sponda» (Manzoni) Endecasillabo (4/6,10) «Nel mezzo del cammin | di nostra vita» (2,6,10: endecasillabo a maiore, con accenti fissi di 6a e 10a); «mi ritrovai | per una selva oscura» (4,8,10: endecasillabo a minore, con accenti fissi di 4a e 10a) 33 L’accento metrico • Regola generale: accento metrico = accento grammaticale • Atoni: articoli, preposizioni, congiunzioni; pron. pers. di una sillaba seguiti da verbo non in posizione non enfatica; agg. poss. in posizione debole (mia vita); agg. di una sill. + sost.; verbi ausiliari monosill. + part. (è stato); verbi ausiliari di 2 sill. + accento del part. (avea fatto >< abbia perduto); es. (6,10) «che di lagrime son fatti uscio e varco» (Rvf 3,11) 34 Ipermetria e ipometria • Boccaccio, Teseida, I 38 I denti batte e rugghia e gli spediti sen¦tie¦ri a¦ sua¦ sa¦lu¦te¦ cer¦ca e¦ pe’ ¦ro¦mo¦ri ch’egli ha in qua in là in giù e su uditi, non sa qua’ vie per lui sien migliori. • Saba, Canzoniere, A mamma, v. 108 Sugli ultimi mari i naviganti [1948] < Di su gli ultimi mari i naviganti [1911 e 1921] 35 Figure metriche (1) Sinalefe «Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono» (RVF I 1) Dialefe «O anima cortese mantoana» (Inf. II 58) Sinèresi «di quei sospiri ond’io nudriva il core» (RVF I 2) Dieresi «Sì travïato è ’l folle mi’ desio» (RVF VI 1) «La gola e ’l sonno e l’ozïose piume» (RVF VII 1); «Glorïosa colunna in cui s’appoggia» (RVF X 1) 36 Figure metriche (2) • «e come albero in nave si levò» (Dante, Inf., XXXI 145) • «che fece me a me uscir di mente» (Dante, Purg., VIII 14) • «Io venia pien d’angoscia a rimirarti» (Leopardi, Alla luna, v. 3) • «O grazïosa luna, io mi rammento» (Leopardi, Alla luna, v. 1) 37 Testo “Spesso il male di vivere ho incontrato: era il rivo strozzato che gorgoglia”. Parafrasi di I grado Dal verso (due endecasillabi a maiore) alla prosa Dal termine raro o desueto a quello comune Ridisposizione delle parole Ho incontrato spesso il male di vivere: era come un corso d’acqua che, bloccato da un ostacolo, ribolle. Parafrasi di II grado Risoluzione e scioglimento delle figure retoriche Io ho sperimentato spesso il male di vivere, e ne ho trovato l’equivalente metaforico, per esempio, in un corso d’acqua che, impedito nel suo scorrere naturale, ribolle. 38 Spes|so^il |ma|le| di |vi|ve|re ^ho^ in|con|tra|to: 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 e|ra ^il |ri|vo |stroz|za|to| che| gor|go|glia. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Cfr. Dante, Inf. VII 125, “quest’inno si gorgoglian nella strozza” 39 La rima (1) La rima può essere piana (amore : dolore), tronca (sentì : compì) o sdrucciola (cantano : piantano). Si parla di assonanza se coincidono solo le vocali, mentre sono diverse le consonanti (campane : celare), e di consonanza nel caso di uguaglianza delle consonanti (ardo : morde). 40 La rima (2) baciate (AA, es. valore : signore) alternate (ABAB, es. bella : oro : stella : lavoro) incrociate (ABBA, es. colore : morta : porta : valore) invertite (ABC.CBA, es. piagenza : vertute : mostra : nostra : salute : conoscenza, in Cavalcanti) replicate (ABC.ABC, es. tutto : sovente : vergogno : frutto : chiaramente : sogno, in Petrarca) 41 La rima (3) Facili campare : andare : parlare in Inf. II 68-72 Difficili Inf., XXIX 74-78, con la serie tegghia-stregghiavegghia Ricche regi : dispregi, in Inf. VIII e Par. XIX Derivative parte : sparte, degna : indegna, in Inf. III Inclusive assente : sente Desinenziali cantando : osando; dirò : farò Suffissali amoroso : doloroso Antinonimiche gioia : noia Paranomastiche strazio : spazio : sazio Equivoche porta : porta, in Inf. XXIV 37-39 42 F. Petrarca, R.v.f. XVIII Quand’io son tutto vòlto in quella parte ove ’l bel viso di madonna luce, et m’é rimasa nel pensier la luce che m’arde et strugge dentro a parte a parte, 4 i’ che temo del cor che mi si parte, et veggio presso il fin de la mia luce, vommene in guisa d’orbo, senza luce, che non sa ove si vada et pur si parte. 8 Così davanti ai colpi de la morte fuggo: ma non sì ratto che ’l desio meco non venga come venir sòle. Tacito vo’, ché le parole morte farian pianger la gente; et i’ desio che le lagrime mie si spargan sole. 12 43 La rima (4) Frante in Inf. XXVIII 119-123, la serie comechiome-Oh me; in Inf. XXX 83-87, la serie onciasconcia-non ci ha Ripetute o identiche «Qui vince la memoria mia lo ’ngegno; / ché quella croce lampeggiava Cristo, / sì ch’io non so trovare essempro degno; / ma chi prende sua croce e segue Cristo, / ancor mi scuserà di quel ch’io lasso, / vedendo in quell’albor balenar Cristo» (Par. XIV 103-108) 44 La rima (5) Rima ipermetra o eccedente tempesta : resta(no) «che ti lessi negli occhi, ch’erano / pieni di pianto, che sono / pieni di terra, la preghiera / di vivere e d’essere buono!» (Pascoli) «Ah l’uomo che se ne va sicuro, / agli altri ed a se stesso amico, / e l’ombra sua non cura che la canicola / stampa sopra uno scalcinato muro!» (Montale) 45 G. Pascoli, La voce, in Canti di Castelvecchio (vv. 33-36 e 77-80) Non far piangere piangere piangere (ancora!) chi tanto soffrì! il tuo pane, prega il tuo angelo che te lo porti... Zvanî... che ti lessi negli occhi, ch’erano pieni di pianto, che sono pieni di terra, la preghiera di vivere e d’essere buono!» 46 G. Pascoli, Agonia di madre, vv. 17-20 - Dormi, o angelo – o angelo, déstati, Déstati – mormora il cuore. Tra la culla e una bara s’arresta La mano sua rigida. Muore. - Dor¦mi,^o ¦˅an¦ge¦lo–^o ¦ ˅an¦ge¦lo, ¦ dé¦sta¦ti, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Dé¦sta¦ti ¦ – mor¦mo¦ra^il ¦ cuo¦re. 1 2 3 4 5 6 7 8 Tra ¦ la ¦ cul¦la^e^u¦na ¦ ba¦ ra ¦ s’ar¦re¦sta 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 La ¦ ma¦no ¦ sua ¦ ri¦gi¦da. ¦ Muo¦re. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 47 A che cosa serve la rima • Funzione strutturante o demarcativa in relazione alla forma del testo • Funzione musicale: valorizzazione della componente eufonica del segno • Funzione semantica: attivazione di rapporti produttori di senso 48 La rima Voi ch’ascoltate in rime sparse il suono di quei sospiri ond’io nudriva ’l core in sul mio primo giovenile errore quand’era in parte altr’uom da quel ch’i’ sono: ABBA del vario stile in ch’io piango et ragiono, fra le vane speranze, e ’l van dolore, ove sia chi per prova intenda amore, spero trovar pietà, nonché perdono. ABBA Ma ben veggio or sì come al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente di me medesmo meco mi vergogno; CDE et del mio vaneggiar vergogna è ’l frutto, e ’l pentérsi, e ’l conoscer chiaramente che quanto piace al mondo è breve sogno. 12 CDE 4 8 49 La rima Arso completamente dalla vita io vivo in essa felice e dissolto. La mia pena d’amore non ascolto più di quanto non curi la ferita. (S. Penna) 50 La rima (6) rima interna / rima al mezzo Leopardi, La ginestra «Con lungo affaticar l’assidua gente avea provvidamente al tempo estivo» (vv. 209-10); «Non ha natura al seme dell’uom più stima o cura» (vv. 231-232) 51 G. Pascoli, Agonia di madre, vv. 17-20 - Dormi, o angelo – o angelo, déstati, Déstati – mormora il cuore. Tra la culla e una bara s’arresta La mano sua rigida. Muore. - Dor¦mi,^o ¦˅an¦ge¦lo–^o ¦ ˅an¦ge¦lo, ¦ dé¦sta¦ti, 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Dé¦sta¦ti ¦ – mor¦mo¦ra^il ¦ cuo¦re. 1 2 3 4 5 6 7 8 Tra ¦ la ¦ cul¦la^e^u¦na ¦ ba¦ ra ¦ s’ar¦re¦sta 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 La ¦ ma¦no ¦ sua ¦ ri¦gi¦da. ¦ Muo¦re. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 52 G. Pascoli, Agonia di madre, vv. 17-24 - Dormi, o angelo – o angelo, déstati, Déstati – mormora il cuore. Tra la culla e una bara s’arresta La mano sua rigida. Muore. Il suo primo, il suo morto è sparito Con lei che nell'ombra lo reca: Piange l'altro; ella n'ode il vagito Col bianco stupore di cieca. (A decasillabo: 3, 6, 9) (B novenario: 2, 5, 8) (A decasillabo: 3, 6, 9) (B novenario: 2, 5, 8) v. 17, decasillabo sdrucciolo: 3, 6, 9 Dormi, o angelo – o angelo, déstati v. 18, ottonario: 1, 4, 7 Déstati – mormora il cuore. v. 19, decasillabo: 3, 6, 9 Tra la culla e una bara s’arresta v. 20, novenario: 2, 5, 8 La mano sua rigida. Muore. 53 Innovazioni metriche pascoliane • Conservazione di: rima; metri tradizionali; strutture strofiche regolari (rifiuto del ‘verso libero’) • Ricerca di soluzioni nuove, complesse e peregrine, ma sempre applicate con rigore ferreo e ossessivo 1. rima ipermetra 2. episinalefe 3. sinafìa 4. mobilità degli accenti, con realizzazione di schemi assenti nella tradizione (novenario con alternanza di accenti: 2,5,8; 1,3,5,8; 1,3,6,8; 2,4,6,8, in una stessa poesia) 5. anisosillabismo (costruzione di strofe con versi che differiscono di una sola sillaba: anomale per la tradizione) 54 L’enjambement (1) Molto forte • Lessicale «Poi non vi piace ch’eo v’ami, ameraggio/ vi dunque per forza? Non piaccia unque a Deo!» (Guittone); «così quelle carole, differente- / mente danzando, de la sua ricchezza» (Dante) Sintagmatico «Ma, sedendo e mirando, interminati / spazi di là da quella, e sovrumani / silenzi, e profondissima quiete» (Leopardi); «che vanno al nulla eterno; e intanto fugge / questo reo tempo, e van con lui le torme» (Foscolo) 55 L’enjambement (2) Forte «Ma ben veggio or sì come / al popol tutto favola fui gran tempo, onde sovente» (Petrarca); «Giovin signore, o a te scenda per lungo / di magnanimi lombi ordine il sangue» (Parini) Debole «Amor, ch’a nullo amato amar perdona, / mi prese del costui piacer sì forte» (Dante). 56 Petrarca, R.f.v. CCCIX, 1-8 L’alto et novo miracol ch’a’ dì nostri apparve al mondo, et star seco non volse, che sol ne mostrò ’l ciel, poi sel ritolse per adornarne i suoi stellanti chiostri, 4 vuol ch’i’ depinga a chi nol vide, e ’l mostri, Amor, che ’n prima la mia lingua sciolse, poi mille volte indarno a l’opra volse ingegno, tempo, penne, carte e ’nchiostri. 8 57 Strofa e metro Definizione di strofa: sequenza di versi identificata da una più o meno precisa struttura, che si ripete nel testo una o più volte. Identità e natura della strofa sono determinate da: • Numero dei versi • Misura dei versi • Disposizione delle rime Definizione di metro: l’insieme di ciò che è stato considerato obbligatorio al momento della scrittura del testo. 58 Schemi metrici Sonetto ABAB.ABAB oppure ABBA.ABBA (fronte, in due piedi) + CDC.DCD, CDE.CDE oppure CDE.EDC (sirma, in due volte) sonetto rinterzato o rafforzato sonetto caudato Terzina ABA.BCB.CDC.DED… Sestina ABCDEF, FAEBDC, CFDABE… (A)E(C)D(F)B Ottava AB.AB.AB.CC, oppure AB.AB.AB.AB, AB.AB.CC.DD Canzone stanze formate da ‘fronte’ (divisa in due ‘piedi’) e ‘coda’ (o ‘sirma’, divisibile in due ‘volte’) 59 Petrarca, R.v.f. XXII A qualunque animale alberga in terra, se non se alquanti ch' ànno in odio il sole, tempo da travagliare è quanto è 'l giorno; ma poi che 'l ciel accende le sue stelle, qual torna a casa et qual s' anida in selva per aver posa almeno infin a l' alba. A B C D E F Et io, da che comincia la bella alba a scuoter l' ombra intorno de la terra svegliando gli animali in ogni selva, non ò mai triegua di sospir' col sole; poi quand' io veggio fiammeggiar le stelle vo lagrimando, et disïando il giorno. F A E B D C Quando la sera scaccia il chiaro giorno, et le tenebre nostre altrui fanno alba, miro pensoso le crudeli stelle, che m' ànno facto di sensibil terra; et maledico il dí ch' i' vidi 'l sole, che mi fa in vista un huom nudrito in selva. C F D A B E Non credo che pascesse mai per selva sí aspra fera, o di nocte o di giorno, come costei ch' i' piango a l' ombra e al sole; et non mi stancha primo sonno od alba: ché, bench' i' sia mortal corpo di terra, lo mio fermo desir vien da le stelle. E C B F A D Prima ch' io torni a voi, lucenti stelle, o tomi giú ne l' amorosa selva, lassando il corpo che fia trita terra, vedess' io in lei pietà, che 'n un sol giorno può ristorar molt' anni, e 'nanzi l' alba puommi arichir dal tramontar del sole. D E A C F B Con lei foss' io da che si parte il sole, et non ci vedess' altri che le stelle, sol una nocte, et mai non fosse l' alba; et non se transformasse in verde selva per uscirmi di braccia, come il giorno ch' Apollo la seguia qua giú per terra. B D F E C A Ma io sarò sotterra in secca selva e 'l giorno andrà pien di minute stelle prima ch' a sí dolce alba arrivi il sole. (A) E (C) D (E) 60 F La stanza di canzone (R.v.f. 126) FRONTE (se indivisibile) 1° piede 1 Chiare, fresche et dolci acque, 2 ove le belle membra 3 pose colei che sola a me par donna; 2° piede 4 gentil ramo ove piacque 5 (con sospir’ mi rimembra) 6 a lei di fare al bel fiancho colonna; SIRMA o CODA 7 herba et fior’ che la gonna 8 leggiadra ricoverse 9 co l’angelico seno; 10 aere sacro, sereno, 11 ove Amor co’ begli occhi il cor m’aperse: 12 date udïenza insieme 13 a le dolenti mie parole estreme. vv. 6-7, concatenatio vv. 12-13, combinatio settenario settenario endecasillabo settenario settenario endecasillabo a b C a b C settenario settenario settenario settenario endecasillabo settenario endecasillabo c d e e D f F 61 Il congedo di canzone (R.v.f. 126) Se tu avessi ornamenti quant’hai voglia, potresti arditamente uscir del boscho, et gir in fra la gente A b B 62 La ballata ritornello/ripresa + strofe/stanze [strofa = fronte (divisa in ‘piedi’) + volta] grande, con ritornello di quattro versi (4 endecasillabi, o 3 endecasillabi e 1 settenario); mezzana, con ritornello di tre versi (3 endecasillabi, o 2 endecasillabi e 1 settenario); minore, con ritornello di due versi (endecasillabi, o endecasillabi e settenari); piccola, con ritornello di un solo endecasillabo; minima, con ritornello di un solo settenario; stravagante, con ritornello formato da più di quattro versi 63 Petrarca, R.v.f. 59 (ballata) Ripresa Perché quel che mi trasse ad amar prima, Y altrui colpa mi toglia, x del mio fermo voler già non mi svoglia. X I Stanza piede Tra le chiome de l' òr nascose il laccio, A al qual mi strinse, Amore; b piede et da' begli occhi mosse il freddo ghiaccio, A che mi passò nel core, b volta con la vertú d' un súbito splendore, B che d' ogni altra sua voglia x sol rimembrando anchor l' anima spoglia. X II Stanza piede Tolta m' è poi di que' biondi capelli, A lasso, la dolce vista; b piede e 'l volger de' duo lumi honesti et belli A col suo fuggir m' atrista; b volta ma perché ben morendo honor s' acquista, B per morte né per doglia x non vo' che da tal nodo Amor mi scioglia. X 64 Il madrigale • Madrigale «antico» (Trecento): due o più terzetti + ritornello/chiusa di due vv. • Madrigale «moderno» (Cinque-Seicento): una strofa con vv. (max. 12) di varia misura e varia combinazione rimica 65 F. Petrarca, R.v.f. 106 (madrigale) Nova angeletta sovra l' ale accorta scese dal cielo in su la fresca riva, là 'nd' io passava sol per mio destino. Poi che senza compagna et senza scorta mi vide, un laccio che di seta ordiva tese fra l' erba, ond' è verde il camino. Allor fui preso; et non mi spiacque poi, sí dolce lume uscia degli occhi suoi. A B C A B C D D 66 F. Petrarca, R.v.f., 12 esercizio Se la mia vita da l'aspro tormento si può tanto schermire, et dagli affanni, ch’i’ veggia per vertù de gli ultimi anni, donna, de’ be’ vostr’occhi il lume spento, 4 e i cape’ d'oro fin farsi d'argento, et lassar le ghirlande e i verdi panni, e ’l viso scolorir che ne’ miei danni a·llamentar mi fa pauroso et lento: 8 pur mi darà tanta baldanza Amore ch’i’ vi discovrirò de’ mei martiri qua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore; et se ’l tempo è contrario ai be’ desiri, non fia ch’almen non giunga al mio dolore alcun soccorso di tardi sospiri. 12 67 Analisi di Rvf XII (1) Parafrasi Schema metrico Sonetto, rime ABBA ABBA CDC DCD Consonanza tra C e D (-ore e –iri); rima interna ai vv. 6-8 (lassar : lamentar) e (identica) ai vv. 3-11 (anni) Rima ricca e franta ai vv. 11 e 13 (l’ore : dolore) Enjambements ai vv. 1-2 (con iperbato e allitterazione), 7-8, 10-11, 13-14 Effetti fonici 68 Se la mia vita | da l'aspro tormento si può tanto schermire,^et | dagli^affanni, ch’i’ veggia per vertù | de gli^ultimi^anni, donna, de’ be’ vostr’occhi^il | lume spento, 4 7 10 2 3 6 10 2 6 8 10 1 4 6 8 10 e^i cape’ d'oro fin | farsi d'argento, et lassar le ghirlande^e^i | verdi panni, e ’l viso scolorir | che ne’ miei danni a·llamentar mi fa | pauroso^et lento: 3 4 6 7 10 3 6 8 10 2 6 10 4 6 8 10 pur mi darà | tanta baldanza^Amore ch’i’ vi discovrirò | de’ mei martiri qua’ sono stati gli anni,^e^i | giorni^et l’ore; 4 5 8 10 6 10 2 4 6 8 10 et se ’l tempo^è | contrario^ai be’ desiri, non fia ch’almen non giunga^al | mio dolore alcun soccorso | di tardi sospiri. 3 4 6 8 10 2 4 6 10 2 4 7 10 69 Analisi di Rvf XII (2) Il tema della poesia La speranza di trovare in vecchiaia consolazione delle pene amorose sofferte in gioventù. Un artificio prospettico: posta l’incomunicabilità che separa l’amante dalla visione e dal contatto desiderati, ci si augura che i pensieri d’amore possano essere rivelati e condivisi in futuro. Rovesciamento del motivo classico (Tibullo) dell’invecchiamento ostile agli amanti: originale è il sogno di una vecchiaia che finalmente riunisca gli amanti in una virtuosa reciprocità. 70 Analisi di Rvf XII (3) Analisi linguistica e stilistica da veggia (v. 3) dipendono (asimmetricamente: Contini) sia un sostantivo con predicato dell’oggetto, sia tre subordinate infinitive con verbo medio, transitivo o intransitivo la poesia si regge su un doppio periodo ipotetico: Se… (vv. 1-8: PROTASI), pur mi darà… (vv. 9-11: APODOSI); et se… (v. 12: PROTASI), non fia… (vv. 13-14: APODOSI). NB: Protasi al presente, apodosi al futuro 71 Analisi di Rvf XII (4) vv. 4-7, ritratto di lei per frammenti (occhi, capelli, panni, viso) → l’irraggiungibilità dell’intero v. 5, e i cape’ d’oro fin | farsi d’argento: elemento chiave della donna del Libro (i capelli biondi) + segmento centrale allitterante ma separato da cesura + diametralità oro/argento NB assonanza interna che lega fin a schermire (v. 2) e a scolorir (v. 7): con la ‘i’ tonica sempre in 6a posizione 72 Analisi di Rvf XII (5) v. 8, a ·llamentar mi fa | pauroso e lento uno dei rari casi in Rvf di raddoppiamento fonosintattico forte cesura alla fine del primo emistichio rima interna fa : darà (v. 9), che lega fonicamente quartine e terzine (ribadita da qua al v. 11) dittologia in fine verso: l’inadeguata reazione dell’amante alle sue pene mi fa: il cuore del sonetto; al sogno di un futuro diverso si oppone il tempo presente del timore e dello smarrimento (pauroso/baldanza) 73 Analisi di Rvf XII (6) vv. 10-11, de’ mei martiri / qua’ sono stati gli anni, e i giorni et l’ore prolessi che enfatizza la lunghezza del tempo del dolore v. 13, non fia ch’almen non giunga… perifrasi con doppia litote, che rallenta e sfuma l’immagine del futuro v. 14, tardi sospiri speculare alla lentezza del poeta-amante (al v. 8) 74 Intertestualità Analisi di Rvf XII (7) v. 3, ultimi anni → Verg. Ecl. IV 53-54 , «O mihi tum longae maneat pars ultima vitae, / spiritus et quantum sat erit tua dicere facta!» v. 7, e ‘l viso scolorir → Inf. V 131, “e scolorocci il viso” v. 8, a llamentar mi fa pauroso et lento → Inf. V 117, “a lagrimar mi fanno tristo e pio” la serie rimica martiri : desiri : sospiri → Inf. V 115-120 (“Poi mi rivolsi a loro e parla’ io, / e cominciai: Francesca, i tuoi martiri / a lagrimar mi fanno tristo e pio. / Ma dimmi: al tempo de’ dolci sospiri, / a che e come concedette Amore / che conosceste i dubbiosi disiri?-” v. 12, tempo → Inf. V 118 («al tempo de’ dolci sospiri») v. 14, alcun soccorso di tardi sospiri → 75 Inf. II 65, “Ch’io mi sia tardi al soccorso levata” 76 G. Leopardi, A Silvia (1828) • • • • • Canzone libera Sei strofe o lasse (6, 8, 13, 12, 9, 15 vv.) Rime non sistematiche e sempre piane Endecasillabi (29) e settenari (34) Castità espressiva 77 G. Leopardi, A Silvia, vv. 49-63 50 55 60 7 11 7 7 7 11 7 7 11 11 11 7 11 11 7 Anche peria fra poco La speranza mia dolce: agli anni miei Anche negaro i fati La giovanezza. Ahi come, Come passata sei, Cara compagna dell'età mia nova, Mia lacrimata speme! Questo è quel mondo? questi I diletti, l'amor, l'opre, gli eventi Onde cotanto ragionammo insieme? Questa la sorte dell'umane genti? All'apparir del vero, Tu, misera, cadesti: e con la mano La fredda morte ed una tomba ignuda Mostravi di lontano. 78 Denotazione e connotazione significato denotativo = referenziale, oggettivo significato connotativo = supplementare, contestuale «Dolce color d'orïental zaffiro, / che s'accoglieva nel sereno aspetto / del mezzo, puro infino al primo giro , / a li occhi miei ricominciò diletto, / tosto ch'io usci' fuor de l'aura morta / che m'avea contristati li occhi e 'l petto» (Purg. I 13-18) DOL |ce | cO| LOR ||D’O|RI|en|taL |zaf|fI |RO 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 79 I valori fonosimbolici (1). L’allitterazione «di me medesmo meco mi vergogno» (Rvf I 11) (Virgilio, Buc. III 76: «Phyllida mitte mihi, meus est natalis») «il pietoso pastor pianse al suo pianto» (Tasso, GL, VII 16) «Spesso il male di vivere ho incontrATO: / era il rivo strozzATO che gorgoOGLIA, / era l’incartocciarsi della fOGLIA / riarsa, era il cavallo stramazzATO» (Montale) 80 I valori fonosimbolici (2). L’onomatopea Dante, Paradiso, X, 139-148 Giovanni Pascoli, Arano, vv. 7-10 Indi, come orologio che ne chiami ne l'ora che la sposa di Dio surge a mattinar lo sposo perché l'ami, che l'una parte e l'altra tira e urge, tin tin sonando con sì dolce nota, che 'l ben disposto spirto d'amor turge; così vid'ïo la gloriosa rota muoversi e render voce a voce in tempra e in dolcezza ch'esser non pò nota se non colà dove gioir s'insempra. ché il passero saputo in cor già gode, e il tutto spia dai rami irti del moro; e il pettirosso: nelle siepi s’ode il suo sottil tintinno come d’oro. ← «Quest’ultima immagine è complessa, costruita com’è su un doppio ordine di rapporti analogici: esplicito il primo, fra il movimento ingegnoso e il suono dell’orologio e il moto e il rispondersi delle voci nel coro dei beati; implicito il secondo, fra la liturgia conventuale del mattutino e il canto delle anime. L’onomatopea, i vocaboli rari traducono in preziosità di linguaggio la tensione fantastica» (N. Sapegno) 81 Ritmo e sintassi: U. Foscolo, A Zacinto Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar, da cui vergine nacque Venere, e fea quell’isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. 4 8 12 Parafrasi [1-4] Io non potrò mai più toccare le sacre sponde (del luogo dove sono nato), dove il mio corpo da piccolo giacque, o Zacinto mia, che ti rispecchi nelle onde del mare greco (cioè, non potrò mai più ritornare in patria). [4-6] Dalle acque di questo mare nacque la dea Venere, che rese feconde (cioè felici) quelle isole attraverso il suo primo sorriso. [6-11] Per questo motivo, del tuo candido cielo e dei tuoi boschi (ossia, delle tue bellezze naturali) non poté non parlare la nobile poesia di Omero, che raccontò le avventure (di Ulisse) sul mare governato dal fato, e l’esilio di colui, bello nella fama e nella disgrazia, che è arrivato alla fine a baciare la sua rocciosa Itaca. [12-14] Tu invece, o Zacinto, non avrai altro che la poesia del tuo figlio; a noi, infatti, il destino ha riservato una sepoltura senza lacrime (cioè lontana dalla patria). Esercizio: FOSCOLO Analisi metrica ABAB ABAB CDE CED rima ricca ai vv. 10-14 enjamb. 1-2, 3-4, 4-5, 6-7, 7-8, 8-9, 10-11, 13-14 Analisi lessicale sacre (v. 1), giacque (v. 2) feconde (v. 5), limpide (v. 7) inclito (v. 8) fatali e diverso (v. 9), bello (v. 10) materna (v. 13), illacrimata (v. 14) Analisi sintattica vv. 1-11 + vv. 12-14: Periodo iniziale di inusitata ampiezza + secchezza epigrafica della terzina finale; Funzione strutturante dei nessi relativi; Frequenti e vistosi iperbati ai vv. 6-11. Esercizio: FOSCOLO Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar, da cui vergine nacque Venere, e fea quell’isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque Par. VII 25-33: «Per non soffrire a la virtù che vole / freno a suo prode, quell'uom che non nacque, / dannando sé, dannò tutta sua prole; / onde l'umana specie inferma giacque / giù per secoli molti in grande errore, / fin ch'al Verbo di Dio discender piacque / u' la natura, che dal suo fattore / s'era allungata, unì a sé in persona/ con l'atto sol del suo etterno amore». Par. XXIX 19-24: «Né prima quasi torpente si giacque; / ché né prima né poscia procedette / lo discorrer di Dio sovra quest'acque. / Forma e materia, congiunte e purette, / usciro ad esser che non avia fallo, / come d'arco tricordo tre saette». Esercizio: FOSCOLO Né più mai toccherò le sacre sponde ove il mio corpo fanciulletto giacque, Zacinto mia, che te specchi nell'onde del greco mar, da cui vergine nacque Venere, e fea quell’isole feconde col suo primo sorriso, onde non tacque le tue limpide nubi e le tue fronde l'inclito verso di colui che l'acque cantò fatali, ed il diverso esiglio per cui bello di fama e di sventura baciò la sua petrosa Itaca Ulisse. Tu non altro che il canto avrai del figlio, o materna mia terra; a noi prescrisse il fato illacrimata sepoltura. M. Pagnini, Il sonetto «A Zacinto», in Semiosi. Teoria ed ermeneutica del testo letterario, Bologna, Il Mulino, 1988 Zacinto partecipa della stessa sostanza che generò la dea; ha praticamente la stessa genesi: sorse dal mare. […] Visto poi nella prospettiva nostalgica del passato felice e irrecuperabile, il complesso semico Zacinto = Venere si inscrive nell’idea archetipica del Paradiso Perduto. […] Con che si pongono in rapporto i due termini del viaggio esistenziale: l’inizio come grembo materno; la fine come grembo ctonio. […] Peraltro il verbo «giacque» sembra portare con sé il desiderio di un altro «giacersi», distante di una vita tormentosa da quello del pargolo. Il ritorno all’isola natale sarebbe, per «regressione», un ritorno al grembo materno, e quindi alla felicità primeva, fonte anche del mito e della poesia. 87 Sonetto Foscolo Allitterazione v. 1 Né più mai toccherò le SacrE SpondE vv. 4-5 del gReco maR, da cui VERgiNE nacque / VENERe, e FEa quell’isole Feconde v. 8 L’inCLito vErso di CoLui ChE L’ACQUE v. 12-14 Tu non aLTRo che il canTo avRai deL figlio, / o maTeRna mia TeRRa; a noi pRescRisse / iL faTo iLLacRimaTa sepoLTuRa Leopardi, A Silvia, vv. 1-6 Silvia, riMeMbri ancora quel teMpo della tua vita Mortale, quando beltà splendea negli occhi tuoi ridenti e fuggitivi, e tu, lieta e pensosa, il liMitare di gioventù salivi? Principale (interr.) + 2 sub. temp. fra loro coordinate 7 11 7 11 11 7 Leopardi, A Silvia, vv. 7-14 Sonavan le quiete stanze, e le vie dintorno, al tuo perpetuo canto, allor che [all'opre femminili inteNTA ] sedEVI, assai conteNTA di quel vago avvenir [che in mente avEVI]. Era il maggio odoroso: e tu solEVI così menare il giorno. 7 7 7 11 7 11 11 7 due periodi: I, principale + sub. tempor. da cui dipendono una modale implicita e una relativa; II, principale + coordinata Leopardi, A Silvia, vv. 15-27 Io [gli studi leggiadri talor lasciando E le sudate carte, ove il tempo mio primo E di me si spendea la miglior parte], d'in su i veroni del paterno ostello porgEA gli orecchi al suon della tua voce, ED alla man veloce che percorrEA la faticosa tela. Mirava il ciel sereno, le vie dorate E gli orti, E quinci il mar da lungi, E quindi il monte. Lingua mortal non dice quel ch'io sentiva in seno. 7 11 7 11 11 11 7 11 7 7 11 7 7 Leopardi, A Silvia vv. 10-12 allor che^all’opre ¦ femminili^intenta, sedevi,^assai contenta di quel vago avvenir ¦ che^in mente^avevi vv. 23-25 Mirava^il ciel sereno, le vie dorate^e gli^orti, e quinci^il mar ¦ da lungi,^e quindi ^il monte 2 4 8 10 246 2 6 8 10 246 46 2 4 6 8 10 Le figure retoriche Dante, Inferno, XVII vv. 16-18: «Con più coloR, sommesse e sovRaposTe / non feR mai dRappi TaRTaRi né TuRchi, / né fuoR Tai Tele peR aRagne imposTe». L. Ariosto, Satire, I vv. 226-228: «Il qual se vuol di calamo et inchiostro / di me servirsi, e non mi tor da bomba, / digli: Signore, il mio fratello è vostro ». Le figure retoriche operanti sulla costruzione sintattica l’iperbato: Tasso, «O belle agli occhi miei tende latine»; Parini, «La nascente del sol luce rifrange»; l’anastrofe: Pascoli, «dalle fratte / sembra la nebbia mattutina fumare»; l’epifrasi: Leopardi, «dolce e chiara è la notte e senza vento»; il chiasmo: Pascoli, «con tonfi spessi e lunghe cantilene»; l’enumerazione: Ariosto, «Altri in amar lo [il senno] perde, altri in onori, / altri in cercar, scorrendo il mar, richezze; / altri ne le speranze de’ signori, / altri dietro alle magiche sciocchezze»; l’anafora: Ariosto: «Vedete il meglio de la nobiltade… Vedete quante lance e quante spade… Vedete che ’l destrier sotto gli cade… Vedete gli omicidi e le rapine»; il climax: Leopardi, «ogni stento, ogni danno, / ogni estremo timor subito scordi»; l’anticlimax: Leopardi, «posa per sempre… t’acqueta omai». Tra sintassi e semantica • l’ipallage: Foscolo, «sorgon così tue dive / membra dall’egro talamo»; Montale, «e gli alberi discorrono col trito / mormorio della rena» • lo zeugma: Dante, «parlare e lagrimar vedrai insieme»; Dante, «fuori sgorgando lacrime e sospiri» 95 Lessico e semantica Significato denotativo (oggettivo e comune) ↓ Significato connotativo (evocativo e contestuale) ← trama fonica, ritmica e sintattica ← echi letterari (fonti): intertestualità Lessico e semantica • “e il naufragar m’è dolce in questo mare” (G. Leopardi, L’infinito) → il contesto (ultimo orizzonte, infinito silenzio, immensità, s’annega) → le fonti (Dante, Par. I; Mme De Staël, Corinna) «L’infinito rimane per sua natura indefinibile, per quante precisione e varietà lessicali siano state messe in campo; e allora ecco che Leopardi […] termina il testo rappresentandolo non più in sé ma nella sua azione sull’io […] ed è qui che si situa più probabilmente il ricordo del canto di Ulisse di Dante» • «Osservare tra frondi il palpitare / lontano di scaglie di mare / mentre si levano tremuli scricchi / di cicale dai calvi picchi» (E. Montale, Meriggiare pallido e assorto); «Il cammino finisce a queste prode / che rode la marea col moto alterno» (Montale, Casa sul mare) • “Come questa pietra / è il mio pianto / che non si vede” (G. Ungaretti, Sono una creatura) cfr. Tutto ho perduto (Il dolore): “La vita non mi è più / […] / che una roccia di gridi”; Mio fiume anche tu (ivi): “E pietà in grido si contrae di pietra” Similitudine e metafora • «Ella non ci dicea alcuna cosa, / ma lasciavane gir, solo sguardando / a guisa di leon quando si posa» (Dante, Purgatorio, VI 64-66) • «Erano i capei d’oro a l’aura sparsi» (Petrarca, Rvf, XC 1) • «Si sta come / d’autunno / sugli alberi / le foglie» (G. Ungaretti, Soldati) • «È il mio cuore / il paese più straziato» (G. Ungaretti, San Martino del Carso, vv. 11-12) La similitudine Intesi ch’a sì fatto tormento enno dannati i peccator carnali, che la ragion sommettono al talento. E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena; nulla speranza li conforta mai, non che di posa, ma di minor pena. E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga. (Inf., V 37 -49) La similitudine E come li stornei ne portan l’ali nel freddo tempo, a schiera larga e piena, così quel fiato li spiriti mali di qua, di là, di giù, di sù li mena. - l’elemento comune ai due termini della comparazione - la funzione o ragione della similitudine (A) la gentilezza (B) la lussuria L’Ottimo Commento (1333): «questa comperazione induce l'Autore per mostrare la forma di queste anime che andavano a schiera come stornelli, li quali sono uccelli molto lussuriosi, e però se ne vanno a stare il verno in paesi molt[o] caldi; e così queste anime diven[ute] fredde erano portate contrario alli loro desiderii». - eventuali fonti o modelli (intertestualità) Verg. Aen. VI 311-312, «quam multae glomerantur aues, ubi frigidus annus / trans pontum fugat et terris immittit apricis»; Alberto Magno, De animalibus XXIII 24, 104, «sturnus… gregatim volat et compresse» - giudizi critici B. Lombardi (1791): «sceglie, al paragone dell’irregolare mossa data dal vento a quelli spiriti, il volo degli stornelli, perché di fatto è irregolarissimo». 100 La similitudine E come i gru van cantando lor lai, faccendo in aere di sé lunga riga, così vid’io venir, traendo guai, ombre portate da la detta briga. - l’elemento comune ai due termini della comparazione - la funzione della similitudine - eventuali fonti o modelli (intertestualità) Verg. Aen. X 264-266: «quales sub nubibus atris / Strymoniae dant signa grues atque aethera tranant / cum sonitu»; Brunetto Latini, Tesoro, I 5, 27: «Grue sono una generazione di uccelli che vanno a schiera...e sempre vanno l’uno dietro l’altro». - giudizi critici A. M. Chiavacci Leonardi: «La prima immagine si riferisce a tutti gli spiriti del cerchio, travolti dalla bufera; questa indica una particolare schiera (vid’io venir ... ombre) che si avanza verso Dante, in lunga fila. Come si preciserà più avanti (v. 69), si tratta di coloro che a causa di amore hanno subito morte violenta». Bibliografia: Lawrence Ryan, Stornei, Gru, Colombe: The Bird Images in Inferno V, «Dante Studies», 94 (1976), pp. 25-45 101 Montale, I limoni, vv. 1-10 Ascoltami, i poeti laureati si muovono soltanto fra le piante dai nomi poco usati: bossi ligustri o acanti. Io, per me, amo le strade che riescono agli erbosi fossi dove in pozzanghere mezzo seccate agguantano i ragazzi qualche sparuta anguilla: le viuzze che seguono i ciglioni, discendono tra i ciuffi delle canne e mettono negli orti, tra gli alberi dei limoni. G. Ungaretti, Stelle (da Sentimento del tempo) Tornano in alto ad ardere le favole. Cadranno colle foglie al primo vento. Ma venga un altro soffio, Ritornerà scintillamento nuovo. 103 G. Ungaretti, Stelle Tornano in alto ad ardere le favole. Tor¦na¦no^in¦ al¦to^ad ¦ar¦de¦re¦ le¦ fa¦vo¦le. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 12 Cadranno colle foglie al primo vento. Ca¦dran¦no¦ col¦le¦ fo¦glie^al ¦pri¦mo ¦ven¦to. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 Ma venga un altro soffio, Ma ¦ven¦ga^un¦ al¦tro ¦sof¦fio, 1 2 3 4 5 6 7 Ritornerà scintillamento nuovo. Ri¦tor¦ne¦rঠscin¦til¦la¦men¦to ¦nuo¦vo. 1 2 3 4 5 6 7 8 9 10 11 G. Ungaretti, Stelle (da Sentimento del tempo) Tornano in alto ad ardere le favole. 11 < Tornano le favole a ardere in alto Cadranno colle foglie al primo vento. 11 Ma venga un altro soffio, Ritornerà scintillamento nuovo. 7 11 < Parrà l’incendio nuovo a un altro soffio Contesto e intertesto • Contesto: la situazione extra-testuale (l’extra-testo), ossia le circostanze dentro cui avviene l’esperienza comunicativa, che ne rendono possibile l’interpretazione. Cotesto = il codice linguistico Contesto = i fattori socio-culturali Ch. Bally (Linguistique générale et linguistique française, 1932) → enunciazione ed enunciato • Intertesto: la dimensione dentro cui un testo vive, stabilendo rapporti (di discendenza o filiazione culturale) con uno o altri testi, assunti come proprie componenti (implicite o esplicite) Intertestualità = nessi a livello formale Interdiscorsività = nessi a livello semantico M. Bachtin (La parola nel romanzo, 1934-35); J. Kristeva (Semiotica, 1969) 106 La parafrasi Parafrasi: processo di transcodificazione o riscrittura del testo in una lingua più vicina a quella del ricevente → esplicitazione del contenuto referenziale o denotativo • A livello lessicale • A livello sintattico • A livello retorico-stilistico ► esigenza integrativa (includere nel testo gli elementi contestuali indispensabili alla comprensione) ► esigenza sommativa (escludere dal testo gli elementi ridondanti o accessori) 107 U. Foscolo, In morte del fratello Giovanni Un dì, s’io non andrò sempre fuggendo di gente in gente, me vedrai seduto su la tua pietra, o fratel mio, gemendo il fior de’ tuoi gentili anni caduto. La madre or sol suo dì tardo traendo parla di me col tuo cenere muto, ma io deluse a voi le palme tendo e sol da lunge i miei tetti saluto. Sento gli avversi numi, e le secrete cure che al viver tuo furon tempesta, e prego anch’io nel tuo porto quïete. Questo di tanta speme oggi mi resta! Straniere genti, almen le ossa rendete allora al petto della madre mesta. 4 8 11 14 Contestualizzazione Lettera di U. Foscolo a V. Monti, dicembre 1801 La morte dell’infelicissimo mio fratello ha esulcerato tutte le mie piaghe: tanto più ch’ei morí d’una malinconia lenta, ostinata, che non lo lasciò né mangiare né parlare per quarantasei giorni. Io mi figuro i martirij di quel giovinetto e lo stato doloroso della nostra povera madre tra le cui braccia spirò. Ma io temo che egli stanco della vita siasi avvelenato […]. La morte sola finalmente poté decidere la battaglia che le sue grandi virtù, e i suoi grandi vizj manteneano da gran tempo in quel cuore di fuoco. Catullo, Carmina, CI Multas per gentes et multa per aequora vectus advenio has miseras, frater, ad inferias, ut te postremo donarem munere mortis et mutam nequiquam alloquerer cinerem, quandoquidem fortuna mihi tete abstulit ipsum, heu miser indigne frater adempte mihi. Nunc tamen interea haec, prisco quae more parentum tradita sunt tristi munere ad inferias, accipe fraterno multum manantia fletu, atque in perpetuum, frater, ave atque vale. Per molte genti portato e per molti mari/ arrivo a queste misere, fratello, esequie, / per donarti l'ultimo tributo di morte/ ed invano parlare con le tue mute ceneri, / dal momento che la sorte mi ha tolto proprio te,/ ahi, misero fratello indegnamente sottrattomi./ Ora tuttavia, intanto, queste offerte, che secondo l’antico rito / degli avi sono state rese con triste tributo alle esequie, / accogli stillanti di fraterno pianto, / ed in perpetuo, fratello, salute e addio. Parce, per inmatura tuae precor ossa sororis: Tibullo, Elegie, II 6, vv. 29-40 sic bene sub tenera parva quiescat humo. Illa mihi sancta est, illius dona sepulcro et madefacta meis serta feram lacrimis, illius ad tumulum fugiam supplexque sedebo et mea cum muto fata querar cinere. Non feret usque suum te propter flere clientem: illius ut verbis, sis mihi lenta, veto, ne tibi neglecti mittant mala somnia Manes, maestaque sopitae stet soror ante torum, qualis ab excelsa praeceps delapsa fenestra uenit ad infernos sanguinolenta lacus. Risparmiami, ti prego, per le ossa di tua sorella morta anzitempo: / riposi la piccola in pace sotto la terra morbida. / Lei mi è sacra: al suo sepolcro porterò offerte / e corone intrise delle mie lacrime; / accanto al suo tumulo mi rifugerò, sedendo supplichevole, / e col suo cenere muto compiangerò il mio destino. Lei non permetterà che il suo protetto pianga di continuo per causa tua: / in nome suo ti proibisco di mostrarti indifferente con me, / se non vuoi che i suoi Mani trascurati ti mandino sogni terrificanti / e nel sonno non ti / appaia davanti al letto la sorella afflitta, / com'era il giorno in cui, precipitata dall'alto di una finestra, / sanguinante raggiunse gli stagni infernali. Alfieri, Rime, CLXXV 1-4 e 12-14 Misera madre che di pianto in pianto vai strascinando la tua triste sera; e ad uno ad uno i figli amati tanto vedi acerbi ingoiar da morte fera. […] E per me mai non stringerai tu al seno un pargoletto, che a te sia richiamo, a sperar quaggiù ancor un dì sereno. La matrice petrarchesca v. 4: Rvf CCLXVIII 39, «al fior degli anni suoi» v. 5: Rvf XVI 5, «Indi trahendo poi l’antiquo fianco» vv. 10-11: Rvf CCCLXV 9-10, «Sí che s’io vissi in guerra, et in tempesta, / mora in pace, et in porto» v. 12: Rvf CCLXVIII 32, «Questo m’avanza di cotanta speme» G. Leopardi, Alla luna O graziosa luna, io mi rammento che, or volge l'anno, sovra questo colle io venia pien d'angoscia a rimirarti: e tu pendevi allor su quella selva siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci il tuo volto apparia, che travagliosa era mia vita: ed è, né cangia stile, o mia diletta luna. E pur mi giova la ricordanza, e il noverar l'etate del mio dolore. Oh come grato occorre nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso, il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l'affanno duri! 5 10 15 Alla luna, vv. 12 ss. I red. (1819) del mio dolore. Oh come grato occorre il sovvenir delle passate cose, ancor che triste, e che il pianto duri. II red. (1835-36) del mio dolore. Oh come grato occorre nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso, il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l’affanno duri! La redazione definitiva O graziosa luna, io mi rammento che, or volge l'anno, sovra questo colle io venia pien d'angoscia a rimirarti: e tu pendevi allor su quella selva siccome or fai, che tutta la rischiari. Ma nebuloso e tremulo dal pianto che mi sorgea sul ciglio, alle mie luci il tuo volto apparia, che travagliosa era mia vita: ed è, né cangia stile, o mia diletta luna. E pur mi giova la ricordanza, e il noverar l'etate del mio dolore. Oh come grato occorre nel tempo giovanil, quando ancor lungo la speme e breve ha la memoria il corso, il rimembrar delle passate cose, ancor che triste, e che l'affanno duri Le varianti genetiche l’anno < un anno colle < poggio Io venia pien < Venia carco selva < prato < bosco luci < sguardo volto < viso travagliosa < dolente ricordanza < rimembranza rimembrar < sovvenir e che l’affanno < e ancor che ’l pianto U. Saba, La capra Ho parlato a una capra. Era sola sul prato, era legata. Sazia d'erba, bagnata dalla pioggia, belava. Quell'uguale belato era fraterno al mio dolore. Ed io risposi, prima per celia, poi perché il dolore è eterno, ha una voce e non varia. Questa voce sentiva gemere in una capra solitaria. In una capra dal viso semita sentiva querelarsi ogni altro male, ogni altra vita. 5 10 Leopardi, Canto notturno di un pastore errante dell’Asia «Qualche bene o contento / avrà fors’altri; a me la vita è male. / O greggia mia che posi, oh te beata, / che la miseria tua, credo, non sai! / Quanta invidia ti porto!» (vv. 103-107); «O forse erra dal vero, / mirando all’altrui sorte, il mio pensiero: / forse in qual forma, in quale / stato che sia, dentro covile o cuma, / è funesto a chi nasce il dì natale» (vv. 139-143) . Biograficamente, il tempo in cui Saba compose questo idillio è quello in cui l’uomo attivo sente più vivace l’obbligo di assumere nel mondo una figura che lo renda necessario. Invece, in Saba, si conferma a questo punto l’assoluta insensibilità ad ogni impulso d’agire: a giustificare la sua vita gli basta il desto e delicatissimo sentimento delle cose; in cui si obblia. E, se tutta la sua personalità non si dissolve passivamente nelle cose, ciò proviene dall’intensissimo amore che egli porta ad esse e che è già, da solo, una sufficiente e originale ragion di vivere. […] C’è una devozione seria ed assorta per gli aspetti in cui il mondo si rivela. […] La malinconia che Saba ha musicato trae forse le sue confuse ragioni dall’instabilità di un centro morale; in luogo del quale è un succedersi di stati d’anima, tutti facenti capo ad una certezza del dolore umano, più garantita dalle affermazioni degli altri che da una autentica ricognizione; e la logorante insidia di questo caos è mantenuta dall’assenza di ogni travolgente iniziativa: donde il gusto di starsene a ruminare in un ozio faticoso la propria atonia (G. Debenedetti, La poesia di Saba, 1923) .