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TO STARE Tesi per il diploma di TECNICO DELLE

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TO STARE Tesi per il diploma di TECNICO DELLE
Sara Fortini
to STARE
Tesi interdisciplinare per l’esame di stato di maturità
a conclusione del corso per Tecnico delle Industrie Ottiche
I.P.S.I.A. Leon Battista Alberti - Rimini
Anno scolastico 2012-2013
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Mappa
concettuale
e
indice.
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Mappa concettuale e indice.
Premessa.
DIRITTO: art. 230-bis c.c.
Impresa. Piccolo imprenditore, artigiano e impresa familiare.
p. 1
p. 3
1924: L. Severi fonda l’ottica Severi, A. Hitler scrive il “Mein Kampf”. p. 5
STORIA: la II guerra mondiale.
Cenni sul conflitto. Olocausto, soluzione finale e camere a gas.
Aberrazioni umane e aberrazioni ottiche.
OTTICA E LABORATORIO: le aberrazioni.
Aberrazioni nelle lenti oftalmiche. L’aberrazione sferica assiale.
Gas mortali, gas luminosi e recinzioni elettrificate.
p. 6
p. 9
p. 10
p. 12
FISICA E LABORATORIO: i circuiti elettrici.
Cenni sulla corrente elettrica. Elementi dei circuiti e collegamenti. p. 13
AC↯DC, sinusoidi e funzioni matematiche.
MATEMATICA: lo studio grafico di funzioni.
Definizione di funzione. Studio grafico di due funzioni.
p. 15
p. 16
Dal “Mein Kampf” alle funzioni: ritorno alla seconda guerra mondiale. p. 19
ITALIANO: “Se questo è un uomo”.
Cenni su Primo Levi. Sintesi. Breve analisi del testo.
1918: la furia di Hitler e la sua cecità temporanea.
ANATOMIA: le vie ottiche.
Descrizione. Patologie che portano a cecità. Diagnosi.
Cecità e sport.
EDUCAZIONE FISICA: il baseball per ciechi.
Breve storia del BxC. Descrizione del gioco.
Cecità e poesia.
p. 20
p. 24
p. 25
p. 28
p. 29
p. 33
INGLESE: “Morte malinconica del bambino ostrica”.
Cenni su Tim Burton. Traduzione del testo: Fortini “vs” Orengo. p. 34
To stare: fissare.
OPTOMETRIA: la visione binoculare.
Descrizione della binocularità. Test per la binoculartià.
La bambina con molti occhi e la presbiopia.
CONTATTOLOGIA: la correzione della presbiopia.
La monovisione. Le lenti multifocali.
p. 37
p. 38
p. 43
p. 44
Conclusioni.
p. 49
Fonti.
p. 51
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Premessa.
Premessa.
Era il 30 maggio 2012. Io e mio marito guardavamo in tv la seconda puntata
di “Apocalypse - Il grande racconto della storia”, un documentario di 3 puntate sulla
seconda guerra mondiale condotto da Giuseppe Cruciani in onda su Rete 4 in prima
serata. Per la precisione va detto che il format originale è una produzione francese
del 2009 il cui titolo è "Apocalypse - La 2ème guerre mondiale".
Vista la crudezza delle sequenze di immagini inedite, e il rigore con cui
l’esposizione dei contenuti scorreva nei filmati, eravamo totalmente presi e immersi
nell’orrore di quei fatti. Nulla ci avrebbe potuto distrarre dal film. E io in quei
momenti non pensavo di certo alla scuola di ottica che stavo frequentando. Ma
qualcosa attirò la nostra attenzione, e fece breccia nella mia mente!
Nella seconda parte del documentario, Cruciani conduce lo spettatore
attraverso le tappe salienti che segnarono l’ascesa al potere di Adolf Hitler.
Ovviamente in questo contesto, era immancabile il riferimento al “Mein Kampf”, e
quando si arrivò a questo punto, si “accese una lampadina”!
Il “Mein Kampf” fu scritto nel 1924 da Adolf Hitler durante la sua prigionia a
Landsberg. Ma il 1924 è anche l’anno in cui il cavalier Luigi Severi fondò l’ottica
Severi, l’attività di ottica più vecchia di Rimini, attualmente di proprietà della
signora Marina Severi (figlia del cavaliere) e in cui lavora mio marito. Certo, la
coincidenza non è delle più felici, anzi. Suona più come triste e macabra, visto poi
quello che significò il “Mein Kampf” per le sorti di migliaia di persone. Ma i fatti
storici restano tali, e a me offrono in questa sede il pretesto narrativo per esporre
questo elaborato scritto.
Partirò dunque da qui: da quando venne fondata l’ottica Severi, impresa
individuale, artigiana e familiare tutt'oggi esistente. E cercherò di seguire un percorso
espositivo che mi possa condurre attraverso le materie affrontate durante il corso di
ottica.
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Diritto:
art.
230‐bis
c.c.
DIRITTO: art. 230-bis c.c.
Impresa. Piccolo imprenditore, artigiano e impresa familiare.
Impresa: si definisce impresa l’attività economica organizzata
dall’imprenditore per la produzione o lo scambio di beni e servizi.
Dalla definizione enunciata dall’art. 2082 c.c. si evince che affinché un
soggetto possa essere considerato imprenditore deve svolgere un’attività di
produzione o scambio di beni o servizi in modo professionale con criteri di
economicità e con un’organizzazione.
Attività di produzione o scambio. L’attività produttiva può essere considerata
imprenditoriale solo se i beni o i servizi ottenuti sono destinati ad essere ceduti ad
altri sul mercato. Quindi chi produce per autoconsumo (impresa in conto proprio)
non viene considerato imprenditore.
Professionalità. Questo requisito non riguarda una qualità personale
dell’imprenditore, ma le modalità di esercizio dell’attività, infatti deve essere
esercitata in modo ininterrotto e continuativo in relazione al tipo di attività. In altre
parole ci deve essere l’abitualità, cioè ripetizione costante dell’attività anche se con
intervalli di tempo imposti dalla natura stagionale. Inoltre ai fini della professionalità
non è necessario che si tratti di attività svolta in esclusiva dal soggetto. E non sono
imprenditori coloro che producono beni per erogarli gratuitamente ad altri
adempiendo, così, ad una funzione assistenziale, questo perché normalmente al
concetto di imprenditore viene collegato il concetto di lucro, cioè l’attività deve
tendere alla realizzazione di un profitto. Questo ultimo concetto, però, escluderebbe
le attività d’impresa mutualistiche e cooperative, così questo requisito viene
sostituito dal concetto di obiettiva economicità, cioè per avviare un’impresa è
sufficiente che l’attività produttiva si alimenti con i suoi ricavi e, cioè, sia atta a
rimborsare mediante il prezzo dei beni e servizi i fattori della produzione (pareggio
di bilancio).
Attività economica: attività volta alla produzione o scambio di beni e servizi.
Organizzazione: insieme di persone, che dipendono gerarchicamente
dall’imprenditore, e di beni. Questo requisito caratterizza solo le imprese medie e
grandi, che non possono esistere senza un’azienda, ma non può caratterizzare il
piccolo imprenditore, che esiste anche senza tale organizzazione.
Categorie di impresa. Le imprese si classificano in base a diversi criteri:
1) criterio qualitativo: attività commerciali ed attività agricole;
2) criterio quantitativo: imprenditore piccolo, medio e grande;
3) criterio personale: imprenditori individuali ed imprenditori collettivi o
società.
Piccolo imprenditore. L’art. 2083 c.c. definisce piccoli imprenditori i coltivatori
diretti del fondo, gli artigiani, i piccoli commercianti e coloro che esercitano
un’attività professionale organizzata prevalentemente con il lavoro proprio e dei
componenti della famiglia.
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Diritto:
art.
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c.c.
Il piccolo imprenditore non è soggetto:
- all’iscrizione nel registro delle imprese come prova (art. 2202 c.c.);
- alla tenuta delle scritture contabili (art. 2214 c.c.);
- in caso di crisi dell’impresa, alle procedure concorsuali.
Requisito essenziale ai fini della definizione di piccolo imprenditore è l’attività
organizzata con lavoro prevalentemente proprio e dei propri familiari, cioè il lavoro
dell’imprenditore e dei suoi familiari deve essere considerato prevalente sia nei
confronti del lavoro di altri dipendenti, sia nei confronti del capitale investito.
Pertanto non è piccolo imprenditore chi utilizza macchinari molto costosi o
comunque abbia molti capitali investiti.
Artigiano. L’art. 2083 c.c. definisce l’artigiano come piccolo imprenditore,
ma la legge 443/1985 e successive modifiche fino alla legge 57/2001 hanno ampliato
il significato di piccolo imprenditore. L’attività artigianale è un’attività manuale di
produzione di beni e servizi esercitata personalmente dal titolare. La legge sopra
indicata (443/1985 o “Legge quadro per l’artigianato”) definisce l’artigiano come:
“[...] colui che esercita personalmente, professionalmente e in qualità di titolare,
l’impresa artigiana, assumendone la piena responsabilità con tutti gli oneri ed i rischi
inerenti alla sua direzione e gestione e svolgendo in misura prevalente il proprio
lavoro, anche manuale, nel processo produttivo”. Quindi un’impresa artigiana:
1) deve essere esercitata dall’imprenditore artigiano e deve avere come scopo la
produzione di beni, anche semilavorati, o la prestazione di servizi;
2) può essere esercitata oltre che in forma individuale, anche in forma di s.n.c.
(società in nome collettivo), s.a.s. (società in accomandita semplice) e s.r.l.
(società a responsabilità limitata);
3) l’art. 4 della legge 443 del 1985 afferma che l’impresa artigiana può essere
esercitata anche ricorrendo a lavoratori dipendenti, purché siano
personalmente diretti dall’imprenditore artigiano e stabilisce un numero
massimo di dipendenti per ogni tipo di attività;
4) sono escluse attività agricole, attività di prestazioni commerciali, di
intermediazione nella circolazione dei beni o ausiliarie di quest’ultime, di
somministrazione al pubblico di bevande ed alimenti, salvo il caso in cui
siano solamente strumentali ed accessorie all’esercizio dell’impresa.
L’ampia definizione data dalla legge 443/1985 serve quindi ai fini della
possibilità di essere iscritti all’albo delle imprese artigiane ed è condizione
costitutiva della qualità di artigiano e per la concessione delle agevolazioni disposte a
favore delle imprese artigiane.
Questo però non impedisce all’autorità giudiziaria di disapplicare l’atto
amministrativo di iscrizione e dichiarare il fallimento di chi vi è iscritto, dopo aver
accertato l’assenza dei requisiti di legge richiesti. L’importanza di appartenere alla
categoria dei piccoli imprenditori sta nel fatto che questi ultimi non sono soggetti al
fallimento. L’art. 1 del nuovo testo della legge fallimentare considera piccolo
imprenditore ai fini dell’esclusione dalla disciplina prevista dalla legge stessa,
l’imprenditore che abbia investito un capitale non superiore ad € 300.000 oppure
abbia realizzato ricavi lordi nella media degli ultimi 3 anni per un ammontare
complessivo annuo non superiore ad € 200.000.
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Diritto:
art.
230‐bis
c.c.
Impresa familiare: il concetto di impresa familiare è stato introdotto al solo
scopo di disciplinare i rapporti tra l’imprenditore individuale ed i suoi familiari che
collaborano con lui, indipendentemente dal tipo o dalle dimensioni dell’impresa.
Tale impresa nasce con la legge 151/1975 nell’ambito della riforma del diritto di
famiglia, ed è quella impresa in cui collaborano in modo continuativo:
- il coniuge;
- i parenti (entro il 3° grado);
- gli affini (entro il 3° grado).
Può essere agricola o commerciale. Non è necessario che il lavoro dei
familiari prevalga su quello di eventuali dipendenti, o che debba trattarsi di una
piccola impresa (anche se generalmente si tratta di imprese di dimensioni ridotte). I
familiari non sono soci, ma partecipano ai profitti dell’impresa, però le parti possono
sempre stabilire un rapporto diverso. L’impresa familiare resta comunque
un’impresa individuale la cui titolarità spetta all’imprenditore che ha diritto a
prendere tutte le decisioni concernenti la gestione ordinaria dell’impresa, e risponde
con il suo patrimonio in caso d’insolvenza ed è quindi soggetto al fallimento. Va
iscritta nella sezione ordinaria o speciale del registro delle imprese a seconda del tipo
di attività esercitata. L’art. 230 bis c.c. riconosce ai familiari che collaborano
all’impresa:
1) diritto al mantenimento;
2) partecipazione agli utili dell’impresa familiare in proporzione alla quantità ed
alla qualità del lavoro prestato;
3) diritto di partecipare alle decisioni prese a maggioranza relative alla gestione
straordinaria dell’impresa.
Il diritto di partecipazione dei familiari agli utili, o alle quote, può essere liquidato in
caso di alienazione dell’impresa e non si può trasferire ad altri, salvo che avvenga a
favore di soggetti di cui all’art. 230 bis c.c., con il consenso di tutti i partecipanti.
1924: L. Severi fonda l’ottica Severi, A. Hitler scrive il “Mein Kampf”.
Accennavo in premessa come l’anno 1924 leghi attraverso un invisibile filo la
storia dell’ottica Severi, quindi della famiglia di mio marito, alla storia di Hitler e di
tutto ciò che comportò l’ascesa al potere del fürer stesso.
Non vi è dubbio che ad incidere profondamente sui fatti storici che portarono
alla seconda guerra mondiale ci sia il “Mein Kampf”, trattato ideologico (spesso
definito “delirante”) che gettò le fondamenta teoriche del nazional socialismo. Qui si
trovano anche i criteri che portarono alla concezione e realizzazione (grazie a Dio
non pienamente riuscita) della “soluzione finale”, che fu uno degli aspetti più crudi e
disumani che caratterizzarono la seconda guerra mondiale.
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Storia:
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guerra
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STORIA: la II guerra mondiale.
Cenni sul conflitto. Olocausto, soluzione finale e camere a gas.
Cenni sul conflitto.
Nella II° guerra mondiale, combattuta dal 1939 al 1945, furono coinvolti
numerosi paesi di vari continenti. I principali furono: Gran Bretagna, Francia, Stati
Uniti e Unione Sovietica da una parte (gli alleati); Germania, Italia e Giappone
dall’altra (le potenze dell’asse). L’Italia entrò in guerra solo nel 1940.
Tra le ragioni che spinsero al conflitto si possono ricordare: l’eredità della I°
guerra mondiale, che lasciò i paesi europei fortemente cambiati e in crisi economica;
le rivendicazioni territoriali fra stati; la volontà espansionistica di Hitler che, ispirato
e sostenuto da Mussolini, sognava una “Grande Germania” sulle orme dell’impero
romano.
Fu una guerra totale sotto diversi aspetti: geografico, perché interessò tutti i
continenti; economico, perché costrinse i paesi coinvolti a uno sforzo produttivo
senza precedenti; ideologico, perché combattuta per ideali radicalmente contrapposti;
demografico, perché coinvolse popolazione civile e forze militari.
Si tratta anche del più grande conflitto armato della storia, per lo sforzo
bellico che coinvolse gli schieramenti, fino alla corsa all’armamento nucleare, che
vide contrapposti i due fronti in una “gara” per riuscire a porre fine al conflitto
utilizzando una “super” bomba. “Vinsero” gli americani che chiusero le ostilità con
le atomiche sganciate su Hiroshima e Nagasaki.
La II° guerra mondiale si concluse con la vittoria degli alleati. S’instaurò un
nuovo ordine mondiale che vide fronteggiarsi a lungo Stati Uniti e Unione Sovietica
nella “guerra fredda”. L’Europa, ridotta ad un cumulo di macerie, proseguì nel
declino cominciato con la I° guerra mondiale e perse la sua sovranità.
Nel tragico scenario di operazioni militari, devastanti anche per la
popolazione civile, si inserì un protagonista oscuro: l’olocausto. Hitler infatti riuscì a
convincere i suoi che il principale nemico economico e ideologico dei tedeschi fosse
il popolo ebreo. E attuò uno dei più tragici piani di sterminio di massa, della
popolazione ebraica in particolare e di altre minoranze più in generale.
Olocausto, soluzione finale e camere a gas.
Olocausto:[[vc. dotta, lat. tardo holocāustu(m), dal gr. holókauston ‘cosa
completamente bruciata’, comp. di hólos ‘tutto’ ... e kaustós ‘bruciato’ ...] ... s. m. 1
Nelle liturgie antiche, sacrificio nel quale la vittima veniva arsa completamente. 2
(est.) Sacrificio totale, completo, anche di sé stesso: fare o. della propria vita;
offrirsi in o. 3 (est.) Uccisione di massa, genocidio di intere popolazioni o gruppi
religiosi ⎮ l'O., (per anton.) il genocidio degli Ebrei nei campi di sterminio nazisti,
durante la seconda Guerra mondiale: SIN. Shoah ... (lett.) Offerto in sacrificio.].
Con il termine Olocausto s’intende la persecuzione e lo stermino sistematici
della popolazione ebraica, attuati con burocratica organizzazione dal regime nazista e
dai suoi collaboratori.
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Vennero usati spesso anche termini eufemistici per celare la vera natura dei
crimini del Terzo Reich. Ad esempio, si utilizzò anche l’espressione “Soluzione
Finale” per indicare il piano per l’annientamento della popolazione ebraica.
Secondo i dettami di Hitler, i nazisti erano convinti che il popolo tedesco, di
“razza ariana”, fosse “superiore” e che gli
ebrei,
ritenuti
invece
“inferiori”,
rappresentassero un’entità estranea e un
pericolo per l’omogeneità razziale della
popolazione germanica. Durante il periodo
dell’Olocausto, le autorità tedesche presero
di mira anche altri gruppi ritenuti di “razza
inferiore”: ad esempio i Rom, i disabili e le
popolazioni slave (Polacchi, Russi e altri).
Alcuni gruppi vennero invece perseguitati
Foto 1. Occhiali sequestrati ai deportati.
per le loro idee politiche, per il loro credo
ideologico o a causa di determinate caratteristiche comportamentali. In particolare,
ad esempio, venivano presi di mira coloro che credevano negli ideali del comunismo
e del socialismo, i testimoni di Geova e gli omosessuali. Altri soggetti “scomodi” per
l’avanzata del dominio nazista, furono i malati, ritenuti un peso economico e inutili
per la causa.
Nel 1933, la popolazione ebraica in Europa era costituita da circa nove
milioni di persone. Prima che la guerra giungesse al termine due ebrei su tre
sarebbero morti. Circa sei milioni di ebrei, uomini, donne e bambini, vennero uccisi
nell’Olocausto. L’elenco dei morti incluse anche 200.000 Rom, mentre almeno
200.000 pazienti fisicamente o mentalmente inabili, la maggior parte dei quali di
nazionalità tedesca, trovarono la morte all’interno di ospedali e strutture pubbliche, a
seguito del cosiddetto “Programma Eutanasia”. Morirono anche tra i due e i tre
milioni di prigionieri di guerra sovietici. I
tedeschi perseguitarono e uccisero gran
parte degli intellettuali polacchi non-ebrei, e
deportarono milioni di civili destinandoli ai
lavori forzati.
Con Adolf Hitler al potere, la
persecuzione e la segregazione degli ebrei
fu messa in atto in diverse fasi. - Il razzismo
“di stato” produsse la legislazione antiebraica,
aggravata
dal
boicottaggio
economico e dalla violenza scatenata
Foto 2. Camera a gas.
durante il pogrom della cosiddetta "Notte
dei Cristalli" ("Kristallnacht" 8/9 novembre ‘38), quando in tutta la Germania le
sinagoghe furono date alle fiamme e i negozi ebraici devastati. Tutto ciò mirava ad
isolare in modo sistematico gli ebrei dal resto della società e a costringerli a lasciare
il paese. Al fine di concentrare la popolazione ebraica, e poterla così controllare e
deportare con maggiore facilità, i tedeschi e i loro collaboratori crearono appositi
campi di transito e altri destinati al lavoro forzato. Già nei primi anni del regime
nazista, il governo nazionalsocialista aveva creato campi di concentramento, così
chiamati perché servivano a “concentrare” fisicamente i prigionieri in un unico
luogo. Nei campi di concentramento le persone venivano costrette a lavori forzati: in
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condizioni disumane, patendo la fame e il freddo. Abbandonate a se stesse, spesso le
persone morivano di stenti. E quando questo non fosse avvenuto, l’appuntamento
con la morte sarebbe poi stato anticipato attraverso metodi di sterminio di massa.
Dopo l’invasione della Polonia, le politiche antisemite vennero intensificate,
fino a comprendere l’incarcerazione prima e l’assassinio poi della popolazione
ebraica. Nel 1941 le SS, insieme ad unità speciali di polizia (vere e proprie squadre
mobili addette allo sterminio) cominciarono ad attuare operazioni di eliminazione di
massa di intere comunità ebraiche. Venne introdotto l’uso di camere a gas mobili,
montate su autocarri. Questi veicoli blindati venivano utilizzati per uccidere coloro
che si trovavano rinchiusi all’interno. Il sistema di scappamento, infatti, era stato
modificato in modo da pompare monossido di carbonio dentro spazi sigillati
realizzati all'interno degli autocarri. Alle camere a gas mobili si aggiunsero le
numerose fucilazioni di massa attuate nello stesso periodo. Diversamente dai campi
di concentramento, che servivano principalmente come campi di detenzione e di
lavoro forzato, i campi di sterminio (anche conosciuti come “campi della morte”, o
“lager”) erano quasi esclusivamente concepiti per annientare la “minaccia” ebrea e
delle altre popolazioni e tipologie di persone ritenute scomode.
Tra il 1933 e il 1945, la Germania nazista costruì circa 20.000 tra campi di
concentramento e di sterminio. Volendo citarne alcuni, possiamo ricordare quelli di
Dachau, Chelmno, Belzec, Sobibor, Treblinka, Majdanek e Mauthausen. Il centro di
sterminio più grande, e ad oggi forse ancora quello più tristemente famoso, fu quello
di Auschwitz-Birkenau, in Polonia, dove, alla fine della primavera del 1943,
funzionavano quattro camere a gas (Foto 2). Quando le deportazioni raggiunsero la
massima intensità, il numero di ebrei a venire uccisi con il gas ad AuschwitzBirkenau raggiunse anche la cifra di 6.000 persone al giorno. In totale, più di un
milione di Ebrei e decine di migliaia di Rom, di Polacchi e di prigionieri di guerra
avrebbero trovato la morte in quel campo
entro la fine di novembre del 1944.
Al loro arrivo nei campi di sterminio,
i deportati venivano denudati e privati di
ogni loro avere: capelli; protesi come gambe
di legno, denti d’oro o occhiali (Foto 1);
valigie; bambole e giochi, etc, Quindi erano
costretti alle camere a gas: i prigionieri
erano invogliati ad entrare completamente
Foto 3. Zyklon B.
nudi dentro grandi stanzoni vuoti in cui si
potevano notare tubature e docce che pendevano dal soffitto (Foto 2). Credendo di
partecipare ad una doccia di massa igienizzante, i prigionieri, una volta chiusi dentro
gli stanzoni, non vedevano uscire acqua dalle docce, e tantomeno acqua calda: quello
che usciva era un gas mortale, il Zyklon B (Foto 3). Questo procedimento era stato
concepito anche per rendere più impersonale e più “facile” l’uccisione dei prigionieri
da parte degli “operatori della morte”: chiuse le grosse porte delle camere, quello che
avveniva dentro poteva essere non visto. Una volta ottenuto lo scopo attraverso le
camere a gas, i corpi dovevano essere “smaltiti”, e questo avveniva attraverso i forni
crematori, dai cui camini usciva costantemente il fumo grigio denso dei cadaveri
carbonizzati. Il “lavoro sporco” di smaltimento veniva spesso affidato alle
Sonderkommandos, Unità Speciali addette a particolari lavori, costituite dai
prigionieri stessi. Questo macabro e insensato procedimento avveniva
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ininterrottamente e con ritmi serrati, quasi come se si fosse trattato di fabbriche... si,
ma di fabbriche della morte.
Tra le atrocità che il Terzo Reich produsse nei campi, vanno ricordati i
numerosi esperimenti “medico-scientifici” che medici nazisti effettuarono sui
prigionieri. J. Mengele, medico e membro delle SS, era a capo delle sperimentazioni.
I test si accanirono in particolare su centinaia di migliaia di detenuti considerati
subumani, e in particolare sui gemelli e su persone affette da nanismo (solo ad
Auschwitz-Birkenau, circa tremila tra bambini e adolescenti vennero torturati sino
alla morte).
È facile capire come risulti goffo, o piuttosto macabro e ulteriormente lesivo
della dignità umana, il tentativo da parte del Terzo Reich di occultare a eventuali
sguardi di visitatori esterni la vera natura dei campi di sterminio attraverso l’utilizzo
della dicitura “arbeit macht frei” (il lavoro rende liberi) posta all’ingresso dei campi.
Aberrazioni umane e aberrazioni ottiche.
Aberrazione: [[vc. dotta, lat. aberratiōne(m). V. aberrare...] s. f. 1
Deviazione dalla norma, da un principio o dalle comuni regole di comportamento: un
momento di a. ; uomini che per a. di filosofia insinuarono l’ateismo (G. MAZZINI).
SIN. degenerazione, perversione. 2 (med.) Anomalia, irregolarità di organi e di
funzioni ⎮ a. mentale, deviazione parziale o totale delle attività mentali dalla norma
⎮ (est.) Follia. 3 (fis.) Difetto nella formazione delle immagini da parte di un sistema
ottico ⎮ a. astigmatica, astigmatismo⎮ a. cromatica, quella dovuta alla dispersione
del vetro, per cui si hanno immagini diverse per le diverse radiazioni dello spettro e
conseguenti iridescenze. SIN. cromatismo ⎮ a. sferica, quando i raggi provenienti da
un punto dell’asse incidono sul sistema a diversa distanza dall’asse convergendo in
punti diversi. ...].
Aberrare: [[vc. dotta, lat. aberrāre, comp. di ab ‘da’ ed errāre ‘vagare’...] v.
intr. (io abèrro; aus. avere) 1 (lett.) Deviare, allontanarsi dalla via giusta, normale,
retta...].
Campi di sterminio. Camere a gas. Soluzione finale. Forni crematori.
Sterminio di massa. Razza ariana e razze inferiori. Aberrazioni di una folle mente
umana! Aberrazione di massa! Aberrazione umana! Hitler è stato un’aberrazione
umana!
Non credo di uscire dal seminato se definisco aberranti le “opere” del Terzo
Reich! E allora se di aberrazioni si può parlare, queste sono anche uno degli
argomenti che riguardano la luce e l’ottica, trattate nelle nostre materie, e io di
seguito mi occuperò di loro.
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Ottica
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laboratorio:
le
aberrazioni.
OTTICA E LABORATORIO: le aberrazioni.
Aberrazioni nelle lenti oftalmiche. L’aberrazione sferica assiale.
Aberrazioni nelle lenti oftalmiche.
Affinché i fenomeni rifrattivi, studiati in ottica geometrica, possano essere
ritenuti validi devono essere sottoposti ad una serie, di limitazioni in termini di
ampiezza di angoli di incidenza, valore di apertura delle curve diottriche,
diaframmature delle superfici rifrangenti.
In effetti, nella realtà, l’osservazione dei fenomeni ottici di rifrangenza e di
conseguente formazione delle immagini prodotta da una qualunque lente oftalmica ci
obbliga a constatare che:
- non è vero che tutti i raggi che escono da un punto raggiante, dopo essere stati
rifratti da una lente, vanno a concentrarsi in un unico punto immagine, bensì essi
incontrano l’asse ottico in punti diversi, in funzione di cammini ottici diversi;
- non è vero che l’indice di rifrazione dei mezzi ottici è costante, infatti esso varia al
variare della lunghezza d’onda della luce incidente.
Tutto ciò dipende da delle imperfezioni ottiche a carico dei sistemi rifrattivi da noi
presi in esame (le lenti oftalmiche), che vanno sotto il nome di aberrazioni.
Una prima classificazione delle aberrazioni viene fatta in base alla natura
delle radiazioni incidenti:
- monocromatiche: quando interessano solo radiazioni di una sola lunghezza d’onda;
- policromatiche: quando interessano la luce bianca.
Una seconda classificazione si può fare in base all’estensione dell’oggetto
raggiante e alla sua posizione nello spazio. Si parla in questo senso di:
- aberrazioni assiali: quando l’oggetto è puntiforme e giace sull’asse ottico;
- aberrazioni extrassiali: quando l’oggetto è esteso e di conseguenza maggior parte di
esso giace fuori dell’asse ottico;
In funzione di queste due classificazioni, le più comuni aberrazioni relative
alle lenti oftalmiche sono definibili come da schema sottostante:
Aberrazioni policromatiche
Aberrazioni monocromatiche
Aberrazioni assiali
Cromatica assiale
Sferica assiale
Aberrazioni extrassiali
Cromatica di ingrandimento
Coma
Astigmatismo dei fasci obliqui
Distorsione
Curvatura di campo
Tra tutte, quella che può meglio descrivere il meccanismo che governa il
fenomeno delle aberrazioni è l’aberrazione sferica assiale (A.sf. o Asf).
L’aberrazione sferica assiale.
Ricordiamo, dallo studio delle lenti oftalmiche, che la legge dei punti
coniugati può considerarsi esatta solo per i raggi parassiali. In effetti se si prescinde
da questa limitazione e si considerano tutti i raggi uscenti da un punto posto sull’asse
ottico che possono colpire la prima faccia di una lente oftalmica, ci si accorge che
essi, una volta superata la lente, vanno ad incontrare l’asse ottico in punti diversi.
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STARE
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Sara
Fortini
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Ottica
e
laboratorio:
le
aberrazioni.
Più precisamente: i raggi marginali si focalizzano in un punto dell’asse ottico più
vicino alla seconda faccia della lente che non quelli parassiali che si focalizzano
decisamente più lontano (Figura 1).
Figura 1. A.sf. in una lente positiva con oggetto a posizione finita.
Ciò che si crea oltre la lente non è un’immagine puntiforme, ma un’area immagine
estesa da S’m a S’p. Una figura solida, simmetrica rispetto all’asse ottico, simile a due
coni uniti tra loro nella parte più stretta, che prende il nome di “caustica di
rifrazione”. La dimensione lineare della caustica, definita dalla distanza tra S’m e S’p ,
prende il nome di aberrazione sferica trasversale.
La caustica è in pratica un insieme di cerchi luminosi che variano di
dimensione a seconda del punto ove viene sezionata. Si osserva che all’interno della
caustica esiste il piano ove giace il cerchio luminoso di raggio minore di tutti gli altri.
Tale cerchio prende il nome di cerchio di minima confusione e coincide con il piano
ove l’immagine si avvicina di più alle caratteristiche del punto oggetto (Figura 2).
Figura 2. Caustica di rifrazione: il piano 2 rappresenta il cerchio di minima confusione.
Come si è detto la misura dell’aberrazione sferica dipende dalla lunghezza
della caustica, che trova i suoi limiti tra il fuoco dei raggi marginali e quello dei raggi
parassiali. Quindi: Asf = f’m – f’p (Figura 3).
Figura 3. A.sf. con oggetto all’infinito. A sinistra: lente positiva. A destra: lente negativa.
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STARE
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Sara
Fortini
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Ottica
e
laboratorio:
le
aberrazioni.
Da ciò si possono trarre le seguenti considerazioni:
- l’aberrazione sferica di una lente non è mai nulla;
- l’aberrazione sferica dipende dal diametro della lente (maggiore è il
diametro, maggiore è l’aberrazione);
- l’aberrazione dipende dai raggi di curvatura delle due facce della lente,
quindi dalla sua forma.
L’ultima considerazione porta a chiedersi quale possa essere la forma ideale da dare
ad una lente per introdurre la minima aberrazione sferica. L’analisi matematica
conduce alla formulazione dei seguenti grafici (Figure 4 e 5) e ulteriori
considerazioni.
Figura 4. Variazione
dell’a.sf. al variare della
forma della lente.
Figura 5. La lente positiva di
minima a.sf. è di forma biconvessa.
Si nota in Figura 4, che il minor valore di aberrazione è identificato con il
numero 5 il quale corrisponde, in Figura 5, alla forma biconvessa non isoscele, ove il
raggio della seconda faccia (R2) è 6 volte più lungo di quello della prima (R1), il tutto
prendendo in esame un'indice di rifrazione di circa 1,5.
Gas mortali, gas luminosi e recinzioni elettrificate.
Le aberrazioni esistono dunque in natura. La storia ci fornisce la prova che
l’uomo può diventare un’aberrazione di se stesso. La fisica ottica ci restituisce lo
studio circa le aberrazioni che subisce la luce quando attraversa mezzi ottici. Quando
l’uomo segue il suo genio, e quando questo sviluppa le sue potenzialità, allora
l’uomo crea, inventa ed è artista tecnologico. In questo senso l’utilizzo di gas ai fini
dello sterminio di massa è, ovviamente, un’aberrante deviazione dell’esistenza e del
genio umani. Ma quando l’uomo sfrutta le risorse naturali senza abusarne, e con
scopi “sani”, allora crea e inventa ausili che spesso migliorano la qualità della vita.
Così i gas possono anche essere usati per produrre luce. E’ l’esempio delle
lampade al neon: il gas neon, se inserito in un contenitore di vetro, e attraversato da
corrente elettrica, produce luce. Luce che aiuta a trovare la retta via nella valle oscura
della follia e disperazione umana. Disperazione che portò molti internati dei campi di
sterminio a gettarsi contro le recinzioni elettrificate dei campi stessi per cercare e
anticipare il loro incontro con la morte. La vita subumana che conducevano da
deportati, per loro non aveva più senso. Dunque: gas, energia elettrica, luce e
recinzioni elettrificate. Una lampada al neon ha bisogno di essere inserita in un
circuito elettrico per potersi “accendere”. E cos’erano le recinzioni elettrificate di
Auschwitz se non un enorme circuito elettrico? Ma che cos’è un circuito elettrico?
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Sara
Fortini
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Fisica
e
laboratorio:
i
circuiti
elettrici.
FISICA E LABORATORIO: i circuiti elettrici.
Cenni sulla corrente elettrica. Elementi dei circuiti e collegamenti.
Cenni sulla corrente elettrica.
Con corrente elettrica si intende un moto ordinato di carica elettrica (moto di
elettroni), attraverso un mezzo conduttore. La corrente (I = intensità di corrente
elettrica) è definita come carica per unità di tempo che attraversa una data superficie:
ΔQ
I=
Δt
1C
La corrente elettrica si misura in Ampère (A): 1A =
1s
dove C (Coulomb) è l’unità di misura della carica elettrica e s (secondi) è l’unità di
misura del tempo.
Si possono definire due tipologie di corrente elettrica.
Corrente Continua (CC) o Direct Current (DC): corrente il cui verso non varia nel
tempo. E’ la corrente prodotta dalle batterie, quella che scorre nei dispositivi
elettronici.
Corrente Alternata (CA) o Alternating Current (AC): il verso della corrente varia
periodicamente nel tempo, si muove avanti e indietro, come moto periodico e si
rappresenta con una sinusoide. E’ la corrente prodotta dalle centrali elettriche, con
frequenza f =50 Hz in Europa, f =60 Hz negli Stati Uniti.
Elementi dei circuiti e collegamenti.
Il circuito elettrico è un dispositivo formato da diversi elementi che
permettono di utilizzare la corrente elettrica. Più propriamente, si definisce circuito
elettrico un percorso chiuso composto da un generatore di tensione (in grado di
mantenere una corrente elettrica di intensità I) e da dispositivi elettrici uniti tra loro
da elementi di collegamento che permettano il passaggio della corrente elettrica.
Un simile circuito è detto "chiuso": caso del circuito con interruttore “acceso”
o “on”, il cui simbolo comunemente usato è il seguente:
.
Mentre un circuito che presenta un’interruzione nel cammino delle cariche è
detto "aperto": caso del circuito con interruttore “spento” o “off”, il cui simbolo
comunemente usato è il seguente:
.
Il generatore di tensione genera differenza di potenziale elettrico per
permettere alle cariche di circolare in un circuito. Detto in altre parole, perché una
corrente continui a circolare in un circuito, occorre la presenza di un generatore di
differenza di potenziale: un dispositivo (come ad esempio una batteria) che tramite
reazioni elettrochimiche fornisce energia alle cariche. Il simbolo comunemente usato
è il seguente:
La prima legge di Ohm enuncia che affinché ci sia un campo elettrico E che
causa una corrente, ci deve essere una differenza di potenziale V fra i capi di un
conduttore.
Ci si chiede: qual’è la relazione fra differenza di potenziale V e la corrente I? La
risposta risiede nella I legge di Ohm: V = IR.
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Sara
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Fisica
e
laboratorio:
i
circuiti
elettrici.
Dove R è un coefficiente (positivo) detto resistenza (che dipende dal materiale e
dalla geometria del conduttore), V è la tensione elettrica espressa in Volt.
La resistenza R si misura in V/A, ovvero Ohm (Ω): 1Ω=1V/1A.
La seconda legge di Ohm permette di calcolare la resistenza di un materiale a
partire dalla sua resistività, lunghezza e sezione.
La resistenza R di un conduttore è direttamente proporzionale alla sua lunghezza e
inversamente proporzionale alla sua sezione.
l
R=ρ
A
Dove R è la resistenza elettrica del conduttore, ρ è la resistenza specifica o resistività
del materiale che si misura in Ωm, l è la lunghezza del conduttore che si esprime in
metri, A è l’area della sezione del conduttore che si esprime in
;
L’amperometro è uno strumento che serve per misurare l’intensità della
corrente elettrica. Nei circuiti è normalmente collegato in serie. Il simbolo
comunemente usato è il seguente:
.
Il voltometro è uno strumento che misura la tensione del circuito elettrico, la
differenza di potenziale e viene normalmente collegato in parallelo. Il simbolo
comunemente usato è il seguente:
.
Il collegamento in serie è definito come il collegamento degli elementi di un
circuito in modo che la corrente li attraversi tutti uno dopo l’altro.
Si parla di collegamento in parallelo quando i componenti sono collegati ad
una coppia di conduttori in modo che la tensione elettrica sia applicata a tutti quanti
allo stesso modo.
Un elemento tipico di circuito è il cosiddetto resistore, o resistenza.
In generale una resistenza è definita come un impedimento che la corrente incontra
passando per un circuito. Questo impedimento viene espresso dal rapporto fra la
tensione agli estremi di un conduttore e la corrente che lo percorre.
Nelle resistenze vere e prorpie, normalmente un codice a barre colorate indica il
valore di R e la sua tolleranza. Il simbolo comunemente usato è il seguente:
.
Resistenze in serie.
La legge che definisce la resistenza totale o equivalente di un circuito in cui
sono presenti resistenze in serie è data dalla seguente formula:
Req = R1 + R2 + R3 + ... + Rn
In altre parole la resistenza di più resistori collegati in serie è uguale alla somma
delle resistenze.
Nei circuiti con resistenze in serie, V è variabile, mentre I rimane costante.
Schema di un circuito elementare con resistenze in serie.
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Fisica
e
laboratorio:
i
circuiti
elettrici.
Resistenze in parallelo.
Nel caso di un collegamento in parallelo composto da sole due resistenze, la
legge che definisce la resistenza totale è data dalla seguente formula:
Req =
R1 R2
R1 + R2
Nel caso di un collegamento in parallelo composto da più di due resistenze, la
legge che definisce la resistenza totale è data dalla seguente formula:
1
1
1
1
1
=
+
+
+ ...+
Req R1 R2 R3
Rn
Nei circuiti con resistenze in parallelo, V rimane costante, mentre I è variabile.
Schema di un circuito elementare con resistenze in parallelo.
AC↯DC, sinusoidi e funzioni matematiche.
Gli AC↯DC sono uno dei gruppi musicali più famosi e di maggior successo
nella storia del rock. Il nome del gruppo fa il verso proprio alle due tipologie di
corrente elettrica, alternata o continua, che ho descritto sopra. La leggenda vuole che
sia stata la morosa di un componente del gruppo a suggerire il nome, dopo averlo
letto sul suo aspirapolvere.
La corrente elettrica alternata, come già ho avuto modo di dire, è formata da
un moto periodico di cariche e si può rappresentare come sinusoide. In natura
esistono altre forze che sono rappresentabili come sinusoidi, per esempio il suono, o
la luce. Ma che cos’è la sinusoide? In matematica la sinusoide è la rappresentazione
grafica di funzioni dette appunto sinusoidali. A seguire cercherò di classificare le
funzioni matematiche e affronterò lo studio grafico di funzioni non sinusoidali.
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Matematica:
lo
studio
grafico
di
funzioni.
MATEMATICA: lo studio grafico di funzioni.
Definizione di funzione. Studio grafico di due funzioni.
Definizione di funzione.
Si definisce funzione f di dominio A e codominio B una relazione matematica
che associa ad ogni elemento di A uno e un solo elemento di B, e si scrive f: A→B.
Se A e B sono sottoinsiemi dell’insieme ℝ, la funzione si dice reale di variabile
reale. La legge che definisce una funzione f reale di variabile reale, viene solitamente
espressa come:
y=f(x).
Dove x è la variabile indipendente, mentre y è la variabile dipendente in quanto
dipende dal valore assegnato ad x, il quale sta in relazione con la funzione f.
Si definisce dominio di una funzione l’insieme di tutti i valori reali che si
possono attribuire ad x affinché esista uno ed un solo valore corrispondente di y
presente nell'insieme del codominio.
Si definisce immagine di una funzione l’insieme di valori che assume y nel
codominio quando la x varia nel dominio.
Di seguito viene proposta una classificazione di funzioni in base al tipo di
operazioni matematiche che compaiono nella espressione analitica.
In grassetto sono indicate le funzioni che abbiamo preso in esame durante l'anno scolastico.
Si può affermare che:
- il dominio delle funzioni algebriche razionali intere è sempreℝ;
- il dominio delle funzioni algebriche razionali fratte va calcolato in base alla
condizione d'esistenza della funzione in questione, ovvero C.E. è che il
denominatore sia diverso da 0;
- il grado delle funzioni algebriche razionali intere è dato dal massimo
esponente di x;
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STARE
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Sara
Fortini
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Matematica:
lo
studio
grafico
di
funzioni.
Studio grafico di funzioni.
Studio grafico di una funzione limitata.
A titolo di esempio, e forse forzando anche in qualche punto le leggi della
matematica, vorrei ora tracciare il grafico del variare dell'ampiezza accomodativa al
variare dell'età. Tra i molti studi che si sono occupati della variazione dell’ampiezza
accomodativa in funzione dell’età, quello che ha avuto maggiori riscontri è riassunto
nella tabella di Donders.
Considerando in questo caso l'età come variabile indipendente, secondo tale
tabella siamo in grado di stabilire il valore della variabile dipendente, ovvero
dell'ampiezza accomodativa, pur non avendo a che fare con una funzione ma
semplicemente con una serie di punti.
Poniamo quindi sull'asse delle ascisse i valori d'età, e su quello delle ordinate
i valori dell'ampiezza accomodativa. Nel grafico segniamo i punti, dopodichè li
uniamo.
Tabella di Donders.
Età
10
15
20
25
30
35
40
45
50
55
60
65
70
Dt
14
12
10
8,5
7,0
5,5
4,5
3,5
2,5
1,75
1,00
0,50
0,25
Grafico ricavato dalla tabella di Donders.
Ora analizziamo il grafico, forzando un po’ l'analisi e ipotizzando che questo sia
generato da una funzione y=f(x):
> D: [10;70]
> Immagine: [0,25;14], ovvero la funzione è limitata sia inferiormente che
superiormente
> y=f(x) in tutto il suo dominio è continua, monotòna decrescente
> non ci sono né intersezioni con l'asse x, né intersezioni con l'asse y
> non ci sono né asintoti verticali, né asintoti orizzontali
> y=f(x) è sempre positiva in tutto il suo dominio, ovvero y = f (x) > 0∀x ∈[10; 70]
> la funzione ammette un massimo assoluto (10;14) e un minimo assoluto (70;0,25).
E volendo interpretare le considerazioni appena fatte, si può dire che:
> il dominio è limitato a sinistra perché lo studio di Donders non prende in esame età
inferiori ai 10 anni, in cui la funzione accomodativa è ancora legata ai processi di
sviluppo corporeo e quindi della vista, anche se nulla vieterebbe di partire dallo 0,
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Sara
Fortini
‐
Matematica:
lo
studio
grafico
di
funzioni.
ovvero dal momento della nascita di un individuo. Inoltre è limitato a destra all'età di
70 anni, oltre la quale l'ampiezza accomodativa risulta prossima allo 0. Volendo
ipotizzare, in via del tutto teorica, lo studio di una persona che vive all' infinito, si
potrebbe dire che lim f (x) = 0 , ovvero che la funzione presenta un asintoto
x→∞
orizzontale y = 0 ;
> analogamente a quanto detto per il dominio, l'immagine della funzione è limitata in
quanto la capacità accomodativa raggiunge un suo massimo e un suo minimo durante
la vita di un individuo, e non raggiunge mai l'infinito, anche se può, per varie ragioni
fisico anatomiche, raggiungere lo 0;
> ipotizzando un individuo sano, la funzione risulta continua perché non vi sono
momenti di interruzione dell'attività accomodativa durante la vita, inoltre è monotòna
perché l'accomodazione non può che avere un unico andamento decrescente;
> la funzione è sempre positiva in quanto l'accomodazione per definizione non
raggiunge mai valori negativi.
Studio grafico di una parabola.
Passo ora ad analizzare il grafico della funzione algebrica razionale intera
2
⎛x
⎞
y = ⎜ − 2⎟ − 4
⎝2
⎠
che risulta essere il seguente:
> D:ℝ
> Immagine: [-4;+∞), ovvero la funzione è limitata inferiormente
> y=f(x) in tutto il suo dominio è continua, ma non è monotòna
> y=f(x) è decrescente nell’intervallo (-∞;+4[
> y=f(x) è crescente nell’intervallo ]+4;+∞)
> esistono due punti in cui y=f(x) interseca l’asse delle ascisse: A(0;0) e B(8;0),
ovvero:
y = f (x) = 0 per x = 0 ∧ x = 8
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Matematica:
lo
studio
grafico
di
funzioni.
> esiste un punto in cui y=f(x) interseca l’asse delle ordinate: C(0;0)=A(0;0)
> non ci sono né asintoti verticali, né orizzontali, ne obliqui
> y=f(x) non è positiva in tutto il suo dominio, ovvero:
y = f (x) > 0∀x ∈(−∞;0[∪]8;+∞)
y = f (x) < 0∀x ∈]0;8[
> la funzione ammette un minimo assoluto che coincide col vertice della parabola
V(4;-4)
> sappiamo che il grafico rappresentato è una parabola verticale, quindi possiamo
asserire che:
lim f (x) = ∞
x→−∞
lim f (x) = ∞
x→+∞
Dal “Mein Kampf” alle funzioni: ritorno alla seconda guerra mondiale.
Il percorso fin qui seguito, mi ha portato ad esaminare diverse materie
partendo dall’anno in cui venne scritto il “Mein Kampf” e venne fondata l’ottica
Severi.
Nella mia disamina, non riesco a non pensare ancora alle atrocità della
seconda guerra mondiale. Come un elastico, la mia mente torna ai lager, e ne viene
risucchiata nel tentativo di immaginare quello che potevano provare le migliaia di
persone vittime del nazismo.
Così mi riaffiora un ricordo: nel primo anno di scuola, durante una lezione di
italiano, si accennò ad un autore che attirò e attira ancora la mia attenzione: Primo
Levi. In particolare ricordo che si parlò del suo romanzo autobiografico “Se questo è
un uomo”. La cosa mi colpì. Così, capito che si trattava della storia di deportazione
ad Auschwitz subita dallo stesso Primo Levi, ho deciso di leggere il libro, e di
parlarne nella mia tesina.
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
‐
Italiano:
"Se
questo
è
un
uomo".
ITALIANO: “Se questo è un uomo”.
Cenni su Primo Levi. Sintesi. Breve analisi del testo.
Cenni su Primo Levi.
Primo Levi (Foto 4) è stato una delle figure più note della letteratura italiana
del Novecento. Ebreo e antifascista è conosciuto dal largo pubblico soprattutto per il
romanzo Se questo è un uomo. Nato nel 1919 a Torino si laureò in chimica presso
l’Università della città natale prima di subire le persecuzioni nazifasciste e, quindi,
essere deportato ad Auschwitz nel 1944.
Al ritorno in Italia, nel 1945, cominciò a scrivere Se questo è un uomo, un
classico della nostra letteratura e nello stesso
tempo un drammatico documento del nostro
secolo. Quando lo terminò nel 1947 molti editori
lo rifiutarono e venne pubblicato da uno
marginale. La critica lo accolse bene, ma vendette
solo millecinquecento copie. Così Levi abbandonò
la letteratura e si dedicò alla professione di
chimico. Riprese fiducia nella scrittura nel 1956,
Foto 4. Primo Levi.
dopo una mostra sulla deportazione a Torino. Da
allora partecipò a incontri pubblici, specie nelle scuole. Einaudi pubblicò Se questo è
un uomo (Foto 5) che si affermò anche nelle traduzioni in inglese e tedesco.
Incoraggiato dal successo internazionale, nel 1962 cominciò a lavorare a La
tregua, una sorta di continuazione, che narra il difficile viaggio di ritorno da
Auschwitz in patria. Con La tregua nel 1963 vinse il Premio Campiello.
Nel 1975 decise di andare in pensione e dedicarsi a tempo pieno all’attività di
scrittore. Lo stesso anno uscì la raccolta Il sistema periodico, racconti sui travagli
vissuti da una generazione fra gli anni del fascismo e della seconda guerra mondiale,
in cui episodi autobiografici e racconti di fantasia vengono associati ciascuno ad un
elemento chimico. Nel 2006 la Royal Institution del Regno Unito scelse quest'opera
come il miglior libro di scienza mai scritto.
Altre opere di Levi si possono ricordare. Storie naturali del 1966 pubblicate
con lo pseudonimo Damiano Malabaila. Vizio di forma (1971). L’osteria di Brema
(poesie, del 1975). La chiave a stella (1978). Lilit e altri racconti e La ricerca delle
radici (entrambi del 1981). Se non ora, quando? (1982).
Sintesi.
Primo Levi viene catturato dai nazisti nel 1944 e successivamente deportato
nel campo di concentramento di Auschwitz. Dopo un lungo viaggio Primo arriva nel
campo, viene spogliato di tutti i suoi averi, gli vengono rasati i capelli e per essere
riconosciuto i nazisti tatuano sul suo braccio il numero 174 517. Da quel momento
Primo perde ogni diritto e inizia a lavorare come uno schiavo. Mentre trasporta delle
traversine si ferisce ad un piede e viene ricoverato in Ka-Be, l'infermeria del campo.
Lì conosce per la prima volta le selezioni. Quando viene dimesso, lo assegnano ad
un' altra baracca nella quale incontra il suo migliore amico, Alberto, ma non riesce a
dividere con lui la cuccetta. Durante la giornata lavorativa fa amicizia con Reisnyk,
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I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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STARE
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Sara
Fortini
‐
Italiano:
"Se
questo
è
un
uomo".
uomo molto generoso che aiuta spesso Primo nel lavoro e che diventa il suo nuovo
compagno di cuccetta. Dopo un breve periodo Primo viene scelto, insieme ad altri
prigionieri, per andare a far parte del kommando chimico dopo aver
sostenuto un esame. Gli viene quindi affidato l'incarico di aiuto
trasportatore: il suo compito è quello di aiutare Jean a trasportare la
zuppa fino alla sua baracca. Durante il tragitto egli ricorda alcuni
versi della Divina Commedia e ne spiega il significato a Jean.
Nell'Ottobre del 1944, a causa dell'arrivo di altri prigionieri,
iniziano le selezioni. Primo, fortunatamente riesce a salvarsi. Infatti
supera l'esame di chimica e viene scelto per andare a lavorare nel
laboratorio insieme anche ad alcune donne civili. Intanto i russi si
stanno avvicinando e molti prigionieri sperano nell'ormai prossima
Foto 5.
liberazione. Una notte, un prigioniero accusato di sabotaggio in
Copertina
quanto aveva fatto saltare in aria un forno crematorio di Birkenau,
edizione Einaudi.
viene impiccato. I russi stanno bombardando il campo. Primo è
malato ed è ricoverato in Ka-Be insieme ad altri prigionieri. Il campo viene evacuato,
Alberto fugge via, gli ufficiali e le guardie delle SS fuggono. Primo riesce a
sopravvivere con i suoi compagni fino a quando i russi provvedono alla liberazione
dei prigionieri rimasti.
Breve analisi del testo.
Come già anticipato, il motivo per cui sono qui a scrivere circa “Se questo è
un uomo”, risale ad una lezione di italiano del primo anno di scuola. La lezione era
sulla “Divina Commedia” di Dante. Il professore citò un passo dell’inferno e lo
collegò proprio a Primo Levi e a “Se questo è un uomo”.
Riporto il passo qui di seguito:
“…
Ecco, attento Pikolo, apri gli orecchi e la mente, ho bisogno che tu capisca:
Considerate la vostra semenza:
Fatti non foste a viver come bruti,
Ma per seguir virtute e conoscenza.
Come se anch’io lo sentissi per la prima volta: come uno squillo di tromba,
come la voce di Dio. Per un momento, ho dimenticato chi sono e dove sono.
…”
Pongo l’attenzione sulla metafora Lager-Inferno, che credo reggerebbe
comunque, indipendentemente dall’inferno della “Divina Commedia”.
Nell’immaginario collettivo, in particolar modo in quello cristiano cattolico, l’inferno
è una realtà radicata e con radici antichissime che vanno indietro nel tempo ben oltre
il periodo dantesco. Dunque, forse banalmente, chiunque potrebbe sostenere che i
campi di sterminio siano stati degli inferni presenti sulla terra. Senza l’aiuto del
diavolo, o con il suo aiuto per chi ci crede, l’uomo, e solo l’uomo, è riuscito a
realizzare e a concretizzare le fiamme e le atrocità dell’inferno. In altre parole, Primo
fissa il suo pensiero sulla natura umana in quanto soltanto l’uomo ha riservato a se
stesso tale condizione di atrocità infernale. In questo senso la metafora viene
nobilitata e rafforzata nel romanzo. Nobilitata e rafforzata proprio perché viene fatto
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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STARE
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Sara
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‐
Italiano:
"Se
questo
è
un
uomo".
diretto riferimento a Dante.
Volendo entrare un po’ più nel dettaglio Primo, durante la prigionia nel
campo di concentramento, riuscì a trovare il modo di insegnare un po’ di italiano ad
un suo compagno di baracca, il francese Jean detto Pikolo. Glielo insegnò anche
attraverso il passo già citato della “Divina Commedia”. Così Primo cerca di far
capire a Pikolo che la dignità umana non gli potrà mai essere portata via, nonostante
le brutalità che sono costretti a subire tutti gli internati. Il Lager è definito casa dei
morti ed è quindi anche per questo un inferno. Morti sono i prigionieri, in primo
luogo perché destinati nella stragrande maggioranza a morte sicura, in secondo luogo
perché in loro è uccisa l’umanità. Nel Lager tutto è stravolto, non hanno più alcun
valore le regole del vivere civile. E come sulla porta dell’inferno di Dante (Inferno,
Canto III, v. 9) si trova la dicitura
“…
Lasciate ogne speranza, voi ch’intrate.
…”
anche sul cancello di Auschwitz c’è una frase, come ho già avuto modo di citare:
“Arbeit macht frei”
che tradotto dal tedesco significa “Il lavoro rende liberi”. E oramai si sa, di lavoro nei
campi ce n’era, fino alla morte, ma la libertà non era che un ricordo, una volta entrati
nel campo come prigionieri. Col senno di poi, se i nazisti avessero apposto la dicitura
dantesca all’ingresso dei campi, non avrebbero fatto altro che dichiarare
immediatamente e limpidamente ciò che avveniva all’interno dei campi stessi. Inutile
sperare: la speranza, come la libertà, sarebbe diventata solo un ricordo. Ma una volta
imprigionato, Levi si deve fare coraggio. Deve trovare il modo di sopravvivere,
andare avanti e trovare la forza per mantenere salda la dignità umana.
“…
Piove, ma non tira vento. Oppure, piove e tira vento: ma sai che stasera tocca
a te il supplemento di zuppa, e allora anche oggi trovi la forza di tirar sera.
…”
Primo cerca in ogni modo di osservare il bicchiere mezzo pieno, vuole e deve
trovare il lato positivo anche in una giornata gelida e piovosa. Quindi se piove, ma
non tira vento, Primo si sente già fortunato, come quando invece piove e tira vento,
ma sa che gli toccherà un supplemento di zuppa al ritorno dal lavoro. Guai a cadere
nel buio della perdita della speranza. Finito un giorno, sopravvissuto ancora una
volta, quello stesso giorno va dimenticato, cancellato. Poi bisogna riproiettarsi in
avanti, al domani speranzoso. Guai a pensare che domani sarà peggio, o che un
domani non ci sarà. Per sopravvivere, bisogna rifiutare l’idea che non ci sarà futuro,
ma bisogna anche cancellare la memoria:
“…
Anche oggi, anche questo oggi che stamattina pareva invincibile ed eterno,
l’abbiamo perforato attraverso tutti i suoi minuti; adesso giace conchiuso ed è
subito dimenticato, già non è più un giorno, non ha lasciato traccia nella
memoria di nessuno.
…
La memoria è uno strumento curioso: finché sono stato in campo, mi hanno
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Sara
Fortini
‐
Italiano:
"Se
questo
è
un
uomo".
danzato per il capo due versi che ha scritto un mio amico molto tempo fa:
... infin che un giorno
senso non avrà più dire: domani.
Qui è così. Sapete come si dice «mai» nel gergo del campo? «Morgen früh»,
domani mattina.
…”
E anche questa è stata la forza di Primo Levi: rifiutare il “mai - domani
mattina”. Ma in estrema ratio, anche il prigioniero vinto dall’idea di non farcela,
avrebbe potuto liberarsi dall’inferno disumano del Lager:
“…
se proprio non ti sentissi più altro nel cuore che sofferenza e noia
…
allora noi pensiamo che se vogliamo, in qualunque momento, possiamo pur
sempre andare a toccare il reticolato elettrico, o buttarci sotto i treni in
manovra, e allora finirebbe di piovere. …”
La morte attraverso il suicidio (Foto 6) avrebbe potuto liberare dalle sofferenze i
deportati. E in molti casi, non in quello di Primo Levi, la cosa avvenne realmente.
Personalmente, leggendo “Se questo è un uomo”, mi aspettavo di trovare
descritte molte più atrocità. Forse anche in maniera
morbosa, pensavo di immergermi nei dettagli macabri
delle pratiche di sterminio nazista. In fondo, grazie a
Dio, il romanzo di Levi, strutturato a mo’ di racconto e
in parte di diario, è un trattato sulla speranza e dignità
umana. Tolto l’ultimo capitolo del romanzo “Storia di
dieci giorni”, dove Levi descrive la vita nel campo
liberato in attesa dell’arrivo dei russi, capitolo che a me
è sembrato il più crudo, nel complesso il romanzo risulta
un grido di speranza che forse volutamente mitiga gli
orrendi metodi di annientamento umano praticato nei
campi. E probabilmente questo è stato possibile anche
perché Primo, oltre ad essere già persona di cultura e
Foto 6.
verosimilmente fiducioso nella vita, ha avuto la
Un deportato trova la morte
“fortuna” di essere internato “solamente” per poco più di
sul “reticolato elettrico”.
un anno. Inoltre va considerata la sua condizione quasi
“privilegiata” di prigioniero nel campo, basta ricordare che durante le selezioni,
venne assegnato al kommando chimico, o ancora gli venne assegnato l’incarico di
aiuto trasportatore di cibo, ruoli e compiti che spettavano a pochi prigionieri. Non sto
sostenendo che la vita di Levi ad Auschwitz sia stata una passeggiata! Al contrario. E
non voglio di certo stilare classifiche tra internati rispetto ai maltrattamenti subiti.
Dico solo che se oggi abbiamo la fortuna di poter leggere “Se questo è un uomo”, lo
dobbiamo in parte anche alla condizione specifica che ha vissuto Primo.
“...
Prima ancora che la selezione sia terminata, tutti già sanno che la sinistra è
stata effettivamente la «schlechte Seite», il lato infausto. Ci sono
naturalmente delle irregolarità: René per esempio, così giovane e robusto, è
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
‐
Italiano:
"Se
questo
è
un
uomo".
finito a sinistra: forse perché ha gli occhiali, forse perché cammina un po’
curvo come i miopi, ma più probabilmente per una semplice svista: René è
passato davanti alla commissione immediatamente prima di me, e potrebbe
essere avvenuto uno scambio di schede.
...”
Dunque per un errore in fase di selezione potrebbe essere avvenuto uno
scambio di destinazione, tra Primo Levi che evita il lato infausto, e Renè che invece
ci finisce. E nonostante sia giovane e robusto, Renè ha gli occhiali e cammina curvo
come un miope: forse anche per questo le SS potrebbero averlo considerato inadatto
a certe attività. Probabilmente, è anche grazie ad un miope che Levi ha potuto
scrivere il suo romanzo. Se non ci fosse stato errore in selezione, o se il miope non
fosse stato considerato “inutile”, chissà se la testimonianza di Levi avrebbe visto la
luce?
1918: la furia di Hitler e la sua cecità temporanea.
Le radici dell’odio che portarono alla teorizzazione del razzismo nazista
prima, all'impegno nella soluzione finale poi, vanno ricercate anche nella prima
guerra mondiale, e in particolare nell’esperienza che Hitler ebbe come soldato
staffetta sul fronte. Sappiamo che il delirante “Mein Kampf” è frutto delle esperienze
dirette vissute dal futuro Fürer.
Dopo averlo già fatto in premessa, torno a citare la seconda puntata di
“Apocalypse - Il grande racconto della storia”, documentario condotto da Giuseppe
Cruciani, in onda su Rete 4 il 30 maggio 2012. A un certo punto si parla di uno dei
tanti episodi che determinò la futura ira di Hitler. Riporto due passi in cui si fa
riferimento al Fürer, tratti dal commento audio: “... Nella notte del 13 ottobre 1918,
l’esplosione di una granata a gas lo rende momentaneamente cieco. ...”, e nel
succesivo novembre “... Hitler sta lentamente recuperando la vista all’ospedale
militare di Pasewalk, a nord di Berlino, dove l’esercito cura le conseguenze dei
disturbi nervosi da combattimento. ...”.
Ho cercato ulteriori informazioni sull’argomento, in particolare avrei voluto
capire meglio di che tipo di cecità si trattasse, ma non sono riuscita a trovare
informazioni attendibili. Alcune fonti parlano di cecità isterica legata ai traumi
nervosi subiti durante la guerra, altre parlano di cecità causata direttamente dal gas
asfissiante presente nella granata. In ogni caso, qualunque sia stata la causa, è
assodato che Hitler rimase momentaneamente cieco nel 1918. Questo fatto mi offre
lo spunto per prendere in esame l’anatomia delle vie ottiche e alcune patologie che
possono portare alla cecità.
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Sara
Fortini
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Anatomia:
le
vie
ottiche.
ANATOMIA: le vie ottiche.
Descrizione. Patologie che portano alla cecità. Diagnosi.
Descrizione.
Il nervo ottico (II paio dei nervi cranici) è
un nervo particolare che nasce dentro l'occhio
dalla confluenza degli assoni delle cellule
gangliari della retina verso il polo posteriore. Lo si
può considerare, con la retina, una parte di
cervello che si è allontanata dal cranio, un
prolungamento della sostanza bianca.
A partire dalla retina fino ad arrivare al cervello le
vie ottiche sono formate da una catena di quattro
neuroni (Figura 6).
I neurone: costituito dai fotorecettori (coni e
bastoncelli), detto neurone neuroepiteliale; i
fotorecettori sono situati esternamente, cioè più
vicini alla coroide; la loro funzione è di percepire
lo stimolo luminoso e tradurlo in impulso elettrico;
II neurone: costituito dalle cellule bipolari, detto
neurone di articolazione; le cellule bipolari
Figura 6.
raccolgono l'impulso dai coni e dai bastoncelli e lo
Sinapsi I, II, III e IV neurone.
trasmettono alle cellule gangliari;
III neurone: costituito dalle cellule gangliari, detto neurone cerebrale; le cellule
gangliari entrano in sinapsi con le bipolari e danno origine alle fibre che, decorrendo
nello strato più profondo, cioè più vicino al vitreo, confluiscono a formare il nervo
ottico; le fibre delle cellule gangliari, che compongono il nervo ottico, arrivano fino
ai corpi genicolati laterali;
IV neurone: nei corpi genicolati laterali, le cellule gangliari fanno sinapsi con il
quarto ed ultimo neurone che completa la via ottica, dalla retina alla corteccia
cerebrale visiva.
Circa un milione di fibre gangliari
costituiscono il nervo ottico come tronco all'uscita dal
bulbo oculare, da dove
percorre
l'orbita
fino
all'apice; superato questo,
entra in un canale osseo
che si apre nella cavità
cranica. Di qui, il nervo
Figura 8.
continua il suo percorso
Decussazione
schematica delle
fino ad incrociarsi, in
fibre visive nel chiasma.
corrispondenza della base
Figura 7.
del cervello, con il nervo dell'altro lato formando il
Decussazione delle fibre
chiasma (Figure 7 e 8) incrocio che prende nome dalla
visive nel chiasma.
lettera greca “χ”; pertanto, ognuno dei due fasci nervosi
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
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Anatomia:
le
vie
ottiche.
che escono dal chiasma (detti tratti ottici) contiene fibre dei due occhi.
I tratti ottici continuano fino a due strutture
chiamate corpi genicolati. Qui le fibre fanno sinapsi
con i corpi cellulari dell'ultimo neurone della via ottica,
i cui assoni vanno a formare le radiazioni ottiche di
Gratiolet, o fasci genicolo-calcarini, così denominati
perché vanno dai corpi genicolati laterali alle scissure
calcarine della corteccia visiva occipitale.
Il nervo ottico è lungo in totale circa 5 cm e, per
quanto riguarda il suo decorso, può essere diviso in 4
porzioni: parte intraoculare o intrabulbare compresa tra
la papilla ottica e la lamina cribrosa (1mm); parte
intraorbitaria dalla lamina cribrosa al forame ottico (2025mm; in questo tratto il nervo ha un andamento
sinuoso che permette il movimento del bulbo); parte
intracanalicolare compresa dal forame ottico fino
all'uscita dal canale ottico osseo (5-10mm); parte
intracranica, dall'uscita del canale ottico al chiasma e al
corpo genicolato laterale (15-20mm).
Figura 9. Principali vie visive.
Patologie che portano alla cecità.
Di seguito mi limito ad accennare ad alcune forme di patologie che
riguardano il nervo ottico.
Le patologie del nervo ottico hanno un particolare connotato di gravità in quanto
spesso portano a ipovisione e/o a cecità completa.
Papilla da stasi: è un edema passivo, non infiammatorio, della testa del nervo
ottico, quasi sempre conseguenza di una ipertensione endocranica. In generale è
bilaterale. Tumori, ascessi celebrali, o ancora emoraggie presenti all’interno della
scatola cranica, possono causare un aumento della pressione endocranica che si
ripercuote anche sul nervo ottico, e in particolare sulla vena centrale della retina che
causa l’edema papillare. In altre parole, la papilla da stasi è un importantissimo segno
di pressione endocranica, e in tutti i casi di edema della papilla, si deve sospettare la
presenza di un tumore intracranico fino a che non sia dimostrato il contrario. In
questo caso il visus si riduce, ma solo tardivamente, e in fase iniziale si nota nel
campo visivo (di seguito C.V.) un ingrandimento della macchia cieca fisiologica che
corrisponde all’aumento di dimensioni della papilla causata dall’edema. Negli stadi
più avanzati, si arriva all’atrofia ottica con perdita totale della funzione visiva.
Neurite ottica: è un’infiammazione del nervo ottico, generalmente
monolaterale, che può essere determinata da diverse cause: infettive, tossiche o da
malattie generali come ad esempio la Sclerosi Multipla (grave malattia degenerativa
del sistema nervoso centrale). In base alla porzione di nervo ottico che interessa, la
neurite può essere divisa in: Papillite, dove è interessata la porzione intrabulbare del
nervo; Neurite Ottica Retrobulbare, dov’è interessata solo la zona retrobulbare del
nervo.
All’oftalmoscopio è possibile osservare alterazioni della papilla derivanti da
Papillite, al contrario non si possono osservare alterazioni derivanti da Neurite in
quanto questa riguarda il tratto di nervo retro bulbare. In entrambe le forme il visus si
riduce in modo grave e rapido. Il senso cromatico viene alterato. Nel C.V. si può
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Anatomia:
le
vie
ottiche.
notare uno scotoma centrale. L’aggravamento delle neuriti è frequente e anche in
questo caso porta all’atrofia ottica ed alla definitiva perdita della funzione visiva.
Atrofia ottica: è lo stadio finale dei processi lesivi del nervo ottico, che si ha
quando le sue fibre sono ormai morte. All’oftalmoscopio la papilla appare pallida
fino al bianco. Le funzioni visive sono ridottissime (ipovisione) o assenti (cecità).
Cause di atrofia possono essere, come abbiamo già detto, la papilla da stasi o le
neuriti. Inoltre possono essere causate da malattie retiniche. Una forma particolare di
atrofia ottica è quella glaucomatosa: qui la papilla si presenta abnormemente
escavata.
Glaucoma: è più propriamente definibile neuropatia ottica (malattia del nervo
ottico), e si presenta con un andamento lentamente progressivo, caratterizzato dalla
perdita di cellule retiniche e da alterazioni di forma della papilla ottica. Colpisce
essenzialmente persone oltre i 50 anni di età ed è responsabile di gravi deficit del
C.V., fino a portare all’ipovisione o alla cecità (Figura 10). In questa patologia
l’aumento di pressione endoculare provoca uno schiacciamento diretto sulle fibre
nervose retiniche causandone sofferenza, e in ultimo la morte.
Nel glaucoma si riscontrano contemporaneamente tre fenomeni:
aumento della pressione intraoculare; aumento del rapporto coppa disco, ovvero
ingrandimento dell’escavazione papillare; comparsa di alterazioni del campo visivo.
Ultimamente però il glaucoma è anche stato associato a casi in cui non c’è
aumento della pressione endoculare, ma piuttosto una generica intolleranza del nervo
ottico ad una serie di fattori, non tutti conosciuti, che agiscono in sinergia tra loro.
Figura 10. Simulazione di una possibile degenerazione del campo visivo in caso di glaucoma.
Diagnosi.
Nel parlare di patologie che possono portare alla cecità, si è accennato ad
alterazioni del campo visivo e alterazioni del senso cromatico. In questo senso risulta
doveroso accennare ad almeno due strumenti di screening e/o diagnosi che possono
aiutare l’indagine clinica.
Griglia di Amsler: questo veloce ed efficace test di screening, eseguibile
anche dall’ottico,
permette di
evidenziare
scotomi centrali
e metamorfopsie.
Si tratta di una
Figura 12.
Figura 11. Esempi di griglia di Amsler.
Simulazione di
serie di tavole su
visione non
cui sono presenti linee formanti una griglia. Le più diffuse e
regolare della
utilizzate presentano sfondi neri o bianchi e linee rispettivamente
griglia di Amsler.
bianche o nere. Ne esistono anche varianti con sfondi e/o linee
colorate (Figura 11). Per eseguire il test, si copre un occhio e la griglia va tenuta
all’altezza dell’occhio scoperto da esaminare, alla distanza di lettura. L’illuminazione
deve essere adeguata e si devono fare indossare gli occhiali, se occorrono. A questo
punto si invita il soggetto esaminato a fissare il punto al centro del reticolo, e gli si
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Anatomia:
le
vie
ottiche.
chiede se intorno ad esso appaiono linee ondeggianti, quadratini interrotti oppure
distorti, o ancora zone sfocate o mancanti (Figura 12). Nelle versioni con linee e/o
sfondi colorati, è possibile anche evidenziare anomalie che coinvolgono la
percezione cromatica, generalmente legate alla retina e alle vie ottiche. In questa
direzione, test più specifici sul senso cromatico possono evidenziare possibili
patologie come ad esempio il glaucoma, che spesso causa problemi nella percezione
dei colori dell’asse blu-giallo.
Campimetria: la campimetria si esegue con strumenti chiamati campimetri.
Questi possono essere di tipo manuale, come quello di Goldman, o computerizzati,
come quello di Humphrey. Mentre con la campimetria si valuta la parte più centrale
della retina, con la perimetria si valuta il perimetro della retina. Generalmente
l’esecuzione prevede che il soggetto esaminato fissi, monocularmente, una mira
centrale. A questo punto, secondo diverse tecniche e metodi, si invita l’esaminato a
riferire quando percepisce una seconda mira luminosa (diversa da quella centrale)
che gli viene presentata nelle varie posizioni del campo visivo. In base alle risposte
fornite, si otterrà uno schema grafico che restituisce la capacità percettiva nel campo
visivo del soggetto punto per punto.
La campimetria permette di evidenziare, oltre allo scotoma fisiologico detto
anche macchia cieca di Mariotte localizzata in corrispondenza della testa del nervo
ottico, altre eventuali presenze
di scotomi o zone di sofferenza
della retina o delle vie ottiche
(Figure 13 e 14). Pur essendo
questo
un
esame
che
normalmente eseguono medici
o ortottisti, l’ottico ha il dovere
di saper interpretare i referti
che spesso gli vengono
presentati dai clienti. In questo
senso risulta importante poter
Figura 14.
leggere e capire anche gli esiti
Figura 13.
Refereto
di campimetria
Refereto di campimetria
di un esame campimetrico.
computerizzata
di un occhio sano.
computerizzata di un occhio
glaucomatoso.
Cecità e sport.
Cecità temporanee e permanenti, causate da infiammazioni alle vie ottiche, da
edemi o da problemi dell’idrodinamica oculare. In natura sono diversi i motivi che
possono portare alla condizione di non vedente. Oggi è fuori discussione che anche
le persone con disabilità, quindi ciechi compresi, abbiano gli stessi diritti e la stessa
dignità delle persone normodotate. Così anche il diritto allo sport non deve essere
negato a chi nasce o diventa cieco.
Dal 2006, grazie a quello che sarebbe diventato il mio futuro marito, ho avuto
la fortuna di conoscere il baseball, sport che seguo tuttora. Frequentando l’ambiente
dello stadio dei Pirati (squadra storica di Rimini che milita nella massima serie) sono
venuta a conoscenza dell’esistenza del baseball per ciechi!
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I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
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Educazione
fisica:
il
baseball
per
ciechi.
EDUCAZIONE FISICA: il baseball per ciechi.
Breve storia del BxC. Descrizione del gioco.
Breve storia del BxC.
Il BxC (Baseball per Ciechi o Baseball giocato da Ciechi) è il risultato di
un'idea di Alfredo Meli sviluppata con un gruppo di ex giocatori di baseball
degli anni 60 e 70 che facevano parte della squadra di serie A di Bologna: la
Fortitudo - Montenegro.
Dopo circa due anni di sperimentazioni su spazi, tempi, modalità ed
attrezzatura, il 16 ottobre 1994 sul
Diamante Rino Veronesi di Casalecchio di
Reno (BO) è stata giocata la Partita
Originale di sette riprese conclusasi con il
risultato: Red Sox 15 - White Sox 11
(Figura 15).
Nei due anni successivi, 1995 e
1996, con una serie di partite dimostrative
giocate nella maggior parte a Bologna sul
diamante Pietro Leoni, ma anche a Roma,
Firenze, Milano e Verona si è concluso il
Figura 15. Cartolina donata da B. Jacovitti alla
periodo di messa a punto tecnica ed
AIBxC. Si noti la scrittura Braille.
organizzativa del gioco.
Dal 1997 il gruppo di volontari del BxC, confluito nel 1998 nell'AIBxC
Onlus, organizza una regolare stagione agonistica annua che comprende:
campionato italiano; coppa italia; torneo di fine stagione.
Nel 2000 l’AIBxC è stata invitata a portare la sua esperienza a Cuba, una
delle patrie del baseball, dove sono nati tornei di BxC.
Nel 2004 arriva l’invito anche dall’Ungheria dove viene riportata l’esperienza
presso l’istituto nazionale ciechi di Budapest che si ripromette di sviluppare il gioco.
Con la firma di un protocollo di adesione stipulato a San Marino il 7.12.2005,
l’AIBxC onlus ha aderito, quale ente autonomo, alla Federazione Italiana Baseball
Softball (FIBS).
Nel 2011, grazie all’AIBxC, la FIBS entra a far parte del CIP (Comitato
Italiano Paralimpico) diventando ufficialmente una federazione paralimpica.
A giugno del 2012, il baseball per ciechi e la AIBxC, finiscono in un articolo
pubblicato dal New York Times che viene citato a sua volta in un articolo della
Gazzetta dello Sport nel 2013. In quest’ultimo articolo, Claudio Arrigoni sostiene
che:
“…
Neanche negli Stati Uniti sono stati capaci di scegliere regole e studiare
possibilità per far sì che anche chi non vede possa giocare e anche in modo
molto spettacolare. Tanto che negli States stanno cercando di importarlo, la
versione che praticano là, detta “beep baseball” è solo lontanissima parente
del baseball. …”
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
‐
Educazione
fisica:
il
baseball
per
ciechi.
Descrizione del gioco.
Qui di seguito faccio riferimento esclusivamente al BxC giocato da adulti
maschi.
Conditio sine qua non per i giocatori ciechi o ipovedenti, affinché possano
giocare al BxC, è che in loro sia presente ed efficiente la percezione sonora.
Quando si usa il termine “originale” ci si riferisce al baseball tradizionale per
uomini adulti normodotati.
Il gioco così come descritto fa capo al regolamento tecnico integrativo redatto
da Alfredo Meli per conto della AIBxC, il quale a sua volta prende origine
regolamento del Baseball redatto dalla FIBS.
Il campo.
E’ quello da baseball
opportunamente modificato (Figura
16). A differenza del campo da
baseball originale dove sono
presenti 4 basi, nel BxC ci sono 2
basi in più per un totale di 6 basi.
La casa base è uguale a quella
originale. La prima base occulta un
dispositivo sonoro (Figura 18). La
seconda base d’arrivo e partenza
del BxC é posta a 50,90m dalla
casabase. Qui è prevista una zona di
sicurezza. La seconda base
difensiva é la base originale. La
terza base d’arrivo del BxC é posta,
rispetto all’originale, a 3,96m in
Figura 06. Campo da gioco del BxC.
direzione casa base. La terza base
di partenza è uguale a quella originale. La casa base d’arrivo é un traguardo largo
3,96 m posto sopra la casa base originale. Le distanze tra le basi originali, prima
sonora compresa, si confermano come nel campo da baseball in 27,43 m. Il campo di
gioco difensivo é quello esterno sinistro dietro la linea seconda-terza. Si distinguono
due aree gioco: la zona buona (fair) e la zona di fallo (foul). La linea di fuoricampo é
posta a 60,91m dalla casa base ed è delimitata da coni. Tra la seconda e la terza base
è posto un cordino a terra.
Gli attrezzi.
La palla è di gomma, di forma e peso regolamentari con
cinque fori contenente due bubboli di ottone (Foto 7). La mazza e
il guanto regolamentari come per baseball. Base sonora. Palette di
legno o di plastica della grandezza delle mani aventi
obbligatoriamente: un feltro all’interno per il paio utilizzato in
Foto7.
seconda base, e due feltri all’interno per il paio utilizzato in terza
Palla
da BxC.
base (Foto 8).
Il gioco.
- Per questo sottocapitolo si faccia riferimento alla Figura 18. Scopo del gioco
è segnare punti. Per farlo occorre che un giocatore in attacco (il “battitore” che una
volta battuto diventa “corridore”) riesca, correndo in senso antiorario, a fare il giro di
tutte le basi (1a, 2a e 3a) partendo da casa base per poi ritornarvici.
30
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Sara
Fortini
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Educazione
fisica:
il
baseball
per
ciechi.
Come nel baseball, non è possibile che una base venga contemporaneamente
occupata da due corridori. A differenza del baseball dove il primo obiettivo per il
battitore-corridore è la prima base, nel BxC
il primo obbiettivo diventa la seconda base.
- Come nel baseball, anche nel BxC
è prevista alternativamente una fase
d’attacco e una di difesa per ogni squadra.
La rotazione avviene ognivolta che la
squadra in attacco subisce l’eliminazione di
3 uomini, i cosidetti “out”. Ogni ciclo di
Figura 17. Dispositivo per base sonora.
attacco e difesa viene chiamato “ripresa” o
“inning”. Mentre nel baseball gli inning
sono sempre 9, nel BxC possono essere 5, 7 o 9. Nelle partite di 5 riprese, le prime 2
riprese vengono giocate col sistema del “doppio morso”: ogni squadra resta in campo
per 2 riprese difensive consecutive. In quelle da 7 riprese il doppio morso si applica
alle prime 4 riprese, mentre in quelle da 9 nelle prime 6. Non ci sono limiti di tempo
e le partite possono finire in parità.
- Le squadre sono normalmente composte da 5 giocatori ciechi e da 2 vedenti.
- Gli arbitri, vedenti, sono 4: uno per base. Quello di casa base viene definito
“capo” e da inizio al gioco dicendo “GIOCO”, gli altri vengono definiti arbitri di
base. Le azioni si sviluppano solo dopo che una battuta viene considerata valida da
un’arbitro di base che chiama “BUONA”.
- In attacco la corsa del battitore non vedente, che parte da casa base,
incomincia una volta che il battitore stesso riesce ad effettuare una battuta valida
colpendo la pallina (che tiene in mano) con la mazza. Per essere valida la battuta
deve superare la linea seconda-terza dopo aver rimbalzato almeno una volta in zona
di foul. I due vedenti, che non partecipano alla battuta, fungono da suggeritori, uno in
seconda e l'altro in terza base. A differenza del baseball dove esiste la “rubata” (un
corridore può correre verso un’altra base anche a gioco fermo), nel BxC i corridori
possono lasciare la base solo dopo che l'arbitro ha chiamato "BUONA". Se una
battuta valida supera i coni della linea dei 60,91m, allora questa è considerata
“fuoricampo” (“homerun” ovvero “corsa a
casa”). In questo caso il corridore che ha
battuto segna un punto facendo il giro delle
basi senza che la difesa possa contrastarlo, e
se sulle altre basi al momento della battuta
erano presenti altri corridori, anche questi
vanno obbligatoriamente a segnare ognuno
un punto. Nel fuoricampo il punteggio
quindi può variare da un minimo di 1 (“solo
homer”) ad un massimo di 4 (“grande
Foto 8. Utilizzo delle palette con feltri.
slam”).
- In difesa, a differenza del baseball dove gli uomini sono distribuiti tra le
basi sul diamante interno e il campo esterno, nel BxC i difensori non vedenti si
posizionano tutti nella zona di campo buona (fair). Un giocatore vedente sta sul
cuscino di seconda e partecipa attivamente alla fase di gioco, l’altro si posiziona
nella zona originalmente occupata dal lanciatore (inesistente nel BxC) con funzioni
di assistenza. L’eliminazione degli uomini che attaccano può avvenire in diversi
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
‐
Educazione
fisica:
il
baseball
per
ciechi.
modi, tra cui: strike out quando il battitore accumula 3 strikes sui 3 tentativi a sua
disposizione (mancata battuta, battuta in foul, palla colpita sopra la testa); fly out o
gioco pericoloso (battuta che cade direttamente nella zona fair o nelle zone di foul
alla sinistra e destra della zona fair) che sostituisce l’”out al volo” del baseball; gioco
d’appello in prima base (il corridore gira verso la seconda passando all’interno della
prima base); base obbligata in seconda, terza e casa (il corridore raggiunge una delle
tre basi dopo che un difensore cieco ha assistito ovvero lanciato la palla battuta al
difensore vedente presente sul cuscino originale di seconda base).
Figura 18. Disposizione di giocatori e arbitri nel BxC.
Bende e silenzio.
In ultima analisi vorrei sottolineare come il regolamento del’AIBxC ponga
l’attenzione sull’utilizzo di bende e occhiali in campo, nonchè sull’importanza del
silenzio durante lo svolgimento delle partite. Riporto dal regolamento stesso:
“Regolamento di attività agonistica e sportiva.
…
7 – Giocatori ciechi, ipovedenti, vedenti.
7.01 Tutti i giocatori (ciechi ed ipovedenti) in campo dovranno usare la benda ed
occhiali ritenuti idonei dall’AIBxC.
7.02 E’ ammesso per ogni squadra l’utilizzo, a partita iniziata, al massimo di un
vedente che indossi la benda nel solo caso che non vi siano a disposizione più
di tre giocatori ciechi o ipovedenti.
7.03 La benda di tipo regolamentare viene fornita dall’AIBxC. Di altri tipi di
bende e/o occhiali gli arbitri devono accertare la conformità sostanziale al
tipo regolamentare.
7.04 Tutti i giocatori in fase di attacco devono presentarsi al box di battuta con la
maschera già propriamente indossata e la possono rimuovere solamente a
azione conclusa. In fase difensiva devono indossare propriamente la benda
prima del “Gioco” dell’arbitro. ...”
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I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
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Educazione
fisica:
il
baseball
per
ciechi.
“Regolamento di disciplina. ...
3 – Il silenzio,
Il Silenzio è condizione fondamentale per lo svolgimento regolare del gioco.
Ad esclusione delle comunicazioni e dei segnali sonori standard previsti dal
regolamento del gioco (palla sonora, base sonora, battito mani o palette,
chiamata regolamentare della palla da parte del vedente di seconda, chiamate
e giudizi e decisioni arbitrali) nessun altro suono o rumore deve disturbare
l’azione di gioco. Ai difensori impegnati nella difesa e nella ricerca della
palla è consentito darsi informazioni a voce. ... “
Cecità e poesia.
I ciechi, o gli ipovedenti possono quindi giocare anche a baseball! E in
generale nello sport, stanno prendendo sempre più piede discipline appositamente
riconcepite per non vedenti.
Ma se questo accade con relativa semplicità nella vita vissuta, allora chissà
cosa può accadere nell’immaginario di un poeta quando questo si confronta con
soggetti non vedenti? La fantasia può generare personaggi che, pur non vedendo,
siano in grado di compiere azioni? O ancora, può un poeta dar vita a figure che
escono dal naturale corso delle cose? La risposta è: sì, questo può accadere! E chi
meglio di Tim Burton, con le sue visioni surreali, può essere ambasciatore di tali
opere dell’ingegno?
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
‐
Inglese:
"Morte
malinconica
del
bambino
ostrica".
INGLESE: “Morte malinconica del bambino ostrica”.
Cenni su Tim Burton. Traduzione del testo: Fortini “vs” Orengo.
Cenni su Tim Burton.
Timothy W. Burton (Foto 9), meglio noto come Tim Burton,
nasce a Burbank, California, nel 1958.
È noto come autore di cinema, regista, sceneggiatore,
produttore cinematografico, animatore,
disegnatore e scrittore. Nel cinema predilige
ambientazioni gotiche, fiabesche, poetiche e
fortemente malinconiche. Le sue storie sono
spesso
incentrate
su
temi
quali
Foto 9. Tim Burton l'emarginazione e la solitudine, e sono
caratterizzate da una forte bizzarria creativa.
Burton ha anche il merito di avere ridiffuso e resa nuovamente
popolare la tecnica di animazione cinematografica “stopmotion”, detta anche “passo 1”. Tra le opere a cui ha collaborato
a vario titolo ricordo: Edward mani di forbice (1990), Nightmare
before Christmas (1993), Big fish - Le storie di una vita
incredibile (2003), La sposa cadavere (2005) e Frankenweenie
(2012). Ha ottenuto prestigosi riconoscimenti e premi, tra cui un
Leone d’oro alla carriera. È stato presidente di giuria al festival
di Cannes.
Nel 1997 pubblica un libro di poesie, che illustra lui
stesso, e spicca per il contenuto grottesco: The Melancholy
Death of Oyster Boy & Other Stories.
La traduzione del testo: Fortini “vs” Orengo.
La questione forse più ardua da affrontare
ogni volta che si tenta di tradurre opere
letterarie, è riuscire a restituire il senso di ciò
che l’autore voleva esprimere, senza
snaturarlo. L’impresa si complica quando si
ha a che fare, come in questo caso, con opere
di poesia dove spesso le cosidette “licenze
poetiche” o comunque le intime e
personalissime espressioni poetiche rischiano
di essere male tradotte o travisate.
Figura 20.
È fondamentale che il traduttore renda il
Figura 19.
Copertine edizioni
Copertina edizione profumo e il calore dell’autore al lettore
HarperCollins e
italiana Einaudi.
finale. Le traduzioni letterali di poesie
FaberandFaber.
risultano spesso “fredde”, e chi traduce si trova di fronte a un
bivio: tradurre alla lettera o reinterpretare? Nel secondo caso oltre a reinterpretare, il
traduttore potrebbe anche dover reinventare. Le licenze poetiche spesso
comprendono termini o epressioni nuove con cui ci si deve confrontare.
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Sara
Fortini
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Inglese:
"Morte
malinconica
del
bambino
ostrica".
Il libro che sto prendendo in esame è stato pubblicato in Italia nel 1998 da
Einaudi (Figura 19) con traduzione di Nico Orengo, poeta e autore di diversi libri. Il
titolo orginale è “The Melancholy Death of Oyster Boy & Other Stories ”. Il testo è
scritto in lingua americana, non in inglese, ma per comodità parlerò di lingua inglese.
A partire dal titolo italiano, “Morte malinconica del bambino ostrica”, ci si
rende conto di quanto la traduzione libera si permetta di modificare l’originale.
Dov’è finita la parte “& Other Stories” (“e altre storie”)? Sparita completamente! Il
titolo completo dell’edizione originale (1997) della HarperCollins, viene utilizzato in
edizioni successive come le due di FaberandFaber (2004 e poi 2010 come edizione
natalizia) (Figura 20).
Qual è il motivo che spinge il traduttore e l’editore a
tagliare parte del titolo? Tolte eventuali esigenze di
mercato, forse è proprio la necessità di reinventare dello
stesso Orengo. Ecco cosa scrive nella nota alla traduzione:
“Ragazze solforose, bambini ostrica e bambine con
molti occhi: come sono inquietanti i piccoli personaggi di
Tim Burton, innervati di nevrosi e malattie metropolitane.
O was an oyster,
Non crescono mai e mai rimarranno come Peter Pan perché
Who lived in his shell:
l’arco della loro vita è breve e accidentato.
If you let him alone,
He felt perfectly well.
Sono figure struggenti, disegnate con grafite e
o!
parole in neogotico, piccoli E.T.
Open-mouthed oyster!
spaesati e fiabeschi che emanano ad
Figura 21.
ogni parola, ad ogni gesto un alone di
Oyster di E. Lear.
meraviglioso, di incantesimo, subito
frustrato dagli adulti, genitori, medici o «normali» che siano.
Per dar voce ai tanti personaggi di Tim Burton ho preso la
via della filastrocca, della rima infantile, cercando una lettura
che credo comune a quella di Edward Lear.”
Dunque, Orengo volendo dare voce ai personaggi di
Figura 22.
Burton, decide di farlo con uno stile personale e libero, ma con
Pierino Porcospino.
esplicito riferimento ad un altro poeta e illustratore inglese
dell’800: Edward Lear, autore dei cosidetti “Nonsense books”
(libri del nonsenso o delle assurdità) pubblicati a partire dal 1846,
raccolti, tradotti e pubblicati in italiano da Einaudi nel 2004 con
il titolo “Il libro dei nonsense”. Per quel poco che ho potuto
constatare, le analogie tra i versi e le illustrazioni di Lear e quelli
di Burton, sono ampie e dirette: non è un caso che Orengo abbia
scelto proprio Lear come riferimento per la traduzione di Burton.
Basta fare riferimento all’ostrica di Lear... (Figura 21)
Foto 10.
E chissà? Forse Orengo ha preso come riferimento anche
Edward
Heinrich Hoffmann, che ho scoperto nel 2012 durante un viaggio
Mani di Forbice.
estivo a Francoforte. Hoffmann è autore del famoso “Pierino
porcospino” (Figura 22), pubblicato col titolo “Der Struwwelpeter” nel 1847, il quale
fa pensare in modo particolare all’Edward dalle mani di forbice di Burton (Foto 10)...
Sarà un caso che il nome del “shissorhands” (“mani di forbice”) sia proprio Edward,
come Edward Lear? Probabilmente anche nell’immaginario iconografico e letterario
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
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Inglese:
"Morte
malinconica
del
bambino
ostrica".
di Tim trovano spazio sia le ostriche di Lear, che i porcospini di Hoffmann, da cui si
fa dolcemente influenzare.
Infine non credo sia un caso che la collana Einaudi, per cui è stato pubblicato
il volume di Burton, si chiami “Stile libero”, quasi a ricalcare la necessità di libertà
d’interpretazione e di pensiero creativo. Cito da una nota di quarta di copertina
dell’editore:
“... Per il lettore italiano, Nico Orengo ha reinventato da poeta i versi di Tim
Burton, facendoli propri, e il risultato è un libro doppiamente godibile. ...”
Ecco cosa ha causato il taglio di parte del titolo e la traduzione libera del
testo: la dichiarata volontà di reinventare e fare propria l’opera di Tim Burton. Visto
che obiettivo della pubblicazione non è la traduzione letterale o filologica, diventa
interessante la nota dell’editore, che parla di testo “doppiamente godibile”: sia in
lingua originale, sia nella traduzione libera, entrambe presenti nel testo di Einaudi.
Reinventare sì, ma con rigoroso riferimento a letteratura e autori già esistenti.
Ora, senza pretese, vorrei riportare tre poesie contenute nella raccolta: a
sinistra in inglese, al centro nella “godibile” traduzione di Orengo. Poi, a destra, da
ognuna estrapolerò almeno un verso e cercherò di tradurlo alla lettera per capire che
effetto farebbe. Mi rifarò al dizionario tenendo sempre a mente che, per quanto
letterale possa essere, ogni traduzione presenta un margine di interpretazione del
traduttore, anche per il semplice motivo che normalmente la traduzione di un singolo
termine può restituire molteplici significati e quindi, come minimo, il traduttore deve
fare una scelta tra varie possibilità che il dizionario gli offre.
Tim Burton
Nico Orengo
Sara Fortini
“The Girl with Many Eyes
“La bambina con molti occhi
One day in the park
I had quite a surprise.
I met a girl
who had many eyes.
Un giorno nel parco
fra tanti marmocchi
conobbi una bimba
con molti occhi.
She was really quite pretty
(and also quite shocking!)
and I noticed she had a mouth,
so we ended up talking.
Era carina, anche se faceva
impressione con tutta
quella confusione di occhi.
E in quella faccia bislacca
vidi che aveva una bocca.
We talked about flowers,
and her poetry classes,
and the problems she'd have
if she ever wore glasses.
Parlammo di fiori,
di vocali e consonanti
e dei mali che si attirava
quando portava le lenti.
“…
e dei problemi che avrebbe avuto
se mai avesse indossato le lenti.
It's great to now a girl
E’ meraviglioso conoscere una bimba
who has so many eyes,
E’ bello conoscere una bimba che ha così tanti occhi,
but you really get wet
con tanti occhi sotto i capelli ma sei davvero bagnato
quando scoppia e piange.”
when she breaks down and cries.”ma non quando piange,
perché sui vestiti ti stinge.”
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Inglese:
"Morte
malinconica
del
bambino
ostrica".
Nico Orengo
Tim Burton
“The Boy with Nails in his Eyes “Il bambino con i chiodi negli occhi
The Boy with Nails in his Eyes
put up his aluminium tree.
It looked pretty strange
because he couldn't really see.”
Sara Fortini
Il bambino con i chiodi negli occhi
piantò il suo alberello d'alluminio. “…
Sembrava piuttosto strambo
Ma cresceva di sbieco
perché non riusciva proprio a
perché lui era cieco.”
vedere.”
Tim Burton
Nico Orengo
Sara Fortini
“Staring Girl
“La bambina che fissava
I once knew a girl
who would just stand there and stare.
At anyone or anything,
she seemed not to care
Una volta conobbi una bambina
che se ne stava impalata
a fissare tutto e tutti
e nient'altro la impressionava.
She'd stare at the ground,
Fissava la terra.
She'd stare at the sky.
Fissava il cielo.
She'd stare at you for hours,
and you'd never know why.
Ti fissava per ore e ore
e non sapevi perché.
But after winning the local staring contest, Ma dopo aver vinto una
gara locale per gente
she finally gave her eyes
che fissava tal quale
a well-deserved rest.
offrì ai suoi occhi
vacanze e balocchi.”
“…
Ma dopo aver vinto
la gara locale di fissazione
alla fine offrì ai suoi occhi
un ben-meritato riposo.”
Per concludere, credo risulti chiaro che la mia scelta è ricaduta in particolare
su queste tre poesie perché hanno in comune contenuti che riguardano gli occhi e il
vedere. Vien da chiedersi in “The Girl with Many Eyes” cosa intendesse Burton con
il termine “glasses”: parlava di occhiali o lenti a contatto?
To stare: fissare.
La bambina che fissava di Burton ha pure vinto una gara di fissazione! Chissà
se a causa di tutto questo fissare si sarà stancata? Direi di sì, visto che in ultimo offre
ai suoi occhi “vacanze e balocchi”. Ma la fissazione a cosa è legata?
Nei normodotati, la fissazione è un processo che avviene in visione
binoculare, cioè con tutti e due gli occhi. Burton mi offre quindi lo spunto per
affrontare qui di seguito la visione binoculare.
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Sara
Fortini
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Optometria:
la
visione
binoculare.
OPTOMETRIA: la visione binoculare.
Descrizione della binocularuità. Test per la binocularità.
Descrizione della binocularità.
Uno dei più alti gradi si specializzazione raggiunti dagli esseri viventi nel loro
percorso evolutivo è rappresentato dalla capacità di utilizzare cerebralmente le
immagini fornite da entrambi gli occhi per produrne una unica di grado superiore.
Tale capacità, caratteristica peculiare dei grandi primati e specificatamente
dell’uomo, prende il nome di binocularità.
La binocularità non può essere presente alla nascita, ma è un traguardo che
dovrà essere acquisito ed imparato durante l’età del primo sviluppo, maggiormente
nella fase da 0 a 2 anni e che si raffina in una fase successiva che si prolunga fino
agli 8 anni.
Da un punto di vista puramente didattico è possibile classificare gli aspetti
evolutivi della visione binoculare secondo il modello proposto da Claude Worth nel
1915. Esso riconosce tre fasi, che nella pratica clinica vengono denominati i tre gradi
della binocularità:
1) la percezione simultanea;
2) la fusione;
3) la stereopsi.
1) La percezione simultanea.
Fino a quattro mesi di vita la visione è di tipo monoculare alternata.
Significa che viene cerebralmente utilizzata solo una delle due immagini provenienti
dagli occhi, in quanto l’altra è soppressa. Questa fase viene superata appunto intorno
al 6° mese, quando tende a ridursi e pian piano a scomparire il fenomeno della
soppressione. Le immagini dei due occhi vengono percepite, elaborate e quindi
proiettate entrambe nel campo visivo simultaneamente, generando il fenomeno della
diplopia.
Da qui in poi il soggetto comincia ad imparare come le due immagini
possono essere gestite per migliorarne l’utilizzo. È chiaro che a mantener vivo il
fenomeno della simultaneità è la buona qualità di entrambe le immagini.
Se una delle due fosse particolarmente carente di particolari e quindi di nitidezza
rispetto all’altra, tornerebbe a primeggiare il fenomeno della soppressione a carico
dell’immagine peggiore. Si ricadrebbe nella fase della monocularità bloccando
irrevocabilmente lo sviluppo visivo.
2) La fusione.
La fusione è il secondo momento dello sviluppo visivo.
Essa si realizza quando il sistema impara a coordinare i
movimenti degli occhi in modo che le stimolazioni luminose
provenienti dalle due pupille cadano su punti retinici
corrispondenti (Figura 23).
Affinché il processo di fusione si compia, è necessario
che, a livello retinico, il campo visivo sia adeguatamente
Figura 23.
organizzato in termini spaziali, ove le due fovee rappresentano
Gli oggetti F e C
il punto zero dell’intero sistema. I campi visivi dei due occhi stimolano punti retinici
corrispondenti.
sono legati reciprocamente in modo tale che ogni area retinica
dell’occhio destro, posta in una certa posizione e ad una certa distanza dalla fovea,
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I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Sara
Fortini
‐
Optometria:
la
visione
binoculare.
trova nell’occhio sinistro un’identica area omologa, cioè posta dalla stessa parte e
alla stessa distanza dalla propria fovea. Queste aree, spazialmente omologhe, hanno
la particolarità di possedere la stessa direzionalità visiva e
prendono il nome di aree corrispondenti. Tutti i punti oggetto
che, in funzione della loro posizione nello spazio, riescono a
stimolare aree retiniche corrispondenti determineranno stimoli
che a livello corticale saranno fusi in un’unica immagine, che
verrà proiettata nello spazio reale come se provenisse da un
ipotetico terzo occhio posto in posizione intermedia tra i due
(occhio ciclopico). Le due fovee rappresentano i due punti
Figura 25.
corrispondenti principali. Quindi, quando gli occhi fissano un
I punti oggetto 1 e 3
oggetto, esso è visto singolo perché vengono stimolate le due
stanno fuori
aree corrispondenti principali (fovee). Contemporaneamente
dell’oroptero e
anche altri punti oggetto del campo visivo, pur non fissati, vengono percepiti
vengono visti singoli in quanto stimolano altre aree retiniche doppi. Il punto 1 si
trova oltre il punto di
corrispondenti secondarie.
fissazione, stimola
A tal proposito, va ricordato che storicamente è stato zone retiniche nasali,
definito l’oroptero come linea teorica
la sua proiezione
sarà dalla parte
(Figura 24) che unisce tutti i punti oggetto
tempiale
di ogni
dello spazio visti singoli e passante per i
occhio,
generando
punti nodali dei due occhi.
diplopia omonima. Il
Sinteticamente, partendo dall’osservatore contrario avviene
aumentando la distanza dell’oggetto con il punto 3 che si
trova prima del
osservato, tale linea assume forma circolare
Figura 24. Oroptero.
punto
di fissazione,
con concavità verso l’osservatore, per poi
stimola zone
appiattirsi gradualmente fino a diventare una retta, per poi
tempiali e genera
tornare ad assumere una forma curva con convessità rivolta verso diplopia crociata.
l’osservatore. Viene quindi logico dedurre che, mentre si fissa un
oggetto posto sull’oroptero, e mentre quest’oggetto viene visto singolo, tutti i punti
oggetto del campo visivo posti fuori dell’oroptero stimolando aree retiniche non
corrispondenti, generino diplopia che è indicata come fisiologica (Figura 25).
La definizione di oroptero obbliga a considerare diplopici tutti i punti oggetto
al di fuori di esso. In realtà Panum (1858) dimostrò che esiste un
intorno volumetrico dell’oroptero entro il quale gli oggetti, pur
stimolando aree retiniche non perfettamente corrispondenti,
vengono percepiti ancora singoli. Tale ambito volumetrico è
impropriamente chiamato area di Panum (Figura 26).
Figura 26.
Quanto detto finora permette di comprendere come il
Area di Panum.
fenomeno della visione doppia sia qualcosa di connaturato al
normale svolgimento del processo visivo. Infatti la diplopia, quando è fisiologica,
non risulta essere disturbante perché il sistema è in grado di gestirla e di assorbirla
sensorialmente. Cosa ben diversa è la diplopia generata da uno scorretto
allineamento degli occhi: sempre fonte di problemi e disagi visivi.
Se l’allineamento dello stimolo luminoso su punti retinici corrispondenti è la
condizione affinché le due immagini possano essere fuse, è necessario che il sistema
visivo possieda degli idonei strumenti che realizzino tale condizione. Essi sono:
1. la fusione sensoriale (o fusione piatta);
2. la fusione motoria.
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Sara
Fortini
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Optometria:
la
visione
binoculare.
La fusione è sempre un processo centrale (cioè ha luogo nei centri visivi del
cervello). La fusione sensoriale avviene quando le immagini cadono su aree retiniche
corrispondenti, sono simili in grandezza, luminosità e nitidezza. La fusione motoria è
la capacità di allineare gli occhi in modo da mantenere la fusione sensoriale. In altre
parole fusione sensoriale e fusione motoria interagiscono per mantenere la fusione.
In alcune situazioni, in cui l’errore di vergenza è particolarmente cospicuo, la
componente fusionale sensoriale può non riuscire a ripristinare l’ortoposizione: si
genera un’inevitabile e fastidiosa diplopia. L’unico mezzo per ripristinare la visione
singola torna ad essere la soppressione. Una delle due immagini oculari,
generalmente quella di minor qualità, viene eliminata. Si ritorna, di fatto, alla
monocularità.
Gli squilibri che normalmente sono compensati dal sistema fusionale
prendono il nome di eteroforie, anche detti strabismi latenti per l’impossibilità di
essere riconosciuti con la semplice osservazione esterna. Mentre quelli che
rimangono scompensati sono definiti eterotropie, meglio conosciuti come strabismi
manifesti.
3) La stereopsi.
A causa della distanza orizzontale esistente tra i due occhi, le immagine
retiniche dello stesso oggetto risultano leggermente
differenti e di conseguenza in alcune loro parti
stimolano punti retinici non corrispondenti. Nonostante
ciò, quando la disparità binoculare non supera i 2°, le
due immagini vengono regolarmente fuse. Ciò che
potrebbe sembrare l’ennesimo intervento della fusione
sensoriale a correggere un errore visivo, costituisce una
grandissima risorsa della binocularità.
Figura 27.
Infatti la disparità visiva orizzontale è utilizzata dalla
psiche per trarre preziose informazioni sulla forma
tridimensionale degli oggetti e sulla loro posizione nello spazio. Questo fenomeno
prende il nome di: visione stereoscopica o più brevemente stereopsi (Figura 27).
Come tutte le altre facoltà binoculari, anche la stereopsi deve essere acquisita
dopo la nascita. La sua maturazione è molto lunga in quanto, se l’inizio del processo
è precoce, intorno ai 4 mesi di vita, esso si completa tra i 6 e gli 8 anni. La visione
stereoscopica non è comunque da considerarsi come l’inevitabile risultato della
capacità fusionale, anche se da essa discende. Si trovano in numero non infrequente
soggetti adulti che posseggono regolari capacità di fusione (II della binocularità) e
scarsi, alle volte nulli, valori di stereopsi.
Dipendendo dalla distanza tra gli occhi, è intuibile che l’efficacia della
disparità sia molto evidente nell’osservazione degli oggetti vicini e vada
progressivamente perdendosi man mano che il punto di osservazione si sposta verso
l’infinito. In effetti la visione in rilievo, nella zona del vicino, è esaltata dalla
percezione della disparità spaziale, ma questo ci insegna che, oltre il vicino, non può
esistere un mondo piatto. In questo caso entrano in gioco oltre all’esperienza visiva,
in particolare quella acquisita nel vicino, i cosiddetti indicatori monoculari di
profondità come la sovrapposizione degli oggetti, la prospettiva lineare, l’altezza
degli oggetti sull’orizzonte, i giochi di luci e ombre, i movimenti parallattici e la
prospettiva aerea. Questi ci permettono di continuare ad interpretare correttamente il
mondo in forma tridimensionale. E ciò spiega anche come soggetti, che in età adulta
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I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
to
STARE
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Sara
Fortini
‐
Optometria:
la
visione
binoculare.
abbiano subito la perdita di funzionalità di uno dei due occhi, possano mantenere un
discreto grado di percezione stereoscopica.
Affinché la stereopsi si sviluppi, è assolutamente necessario che pre-esistano
alcune condizioni visive basilari quali:
- fissazione bifoveolare (I grado della binocularità);
- completa capacità di fusione (II grado della binocularità);
- sufficiente acuità visiva in ambo gli occhi.
La stereopsi, infatti, sta nello scalino più alto della raffinatezza binoculare e non può
instaurarsi se non sono già state acquisite la percezione simultanea e la fusione.
Test per la binocularità.
Metodo di valutazione del I grado della visione binoculare.
Per valutare la presenza della percezione simultanea nel soggetto esaminato, è
sufficiente tentare di indurre artificialmente la condizione di diplopia. Si invita il
soggetto a fissare una mira luminosa, quindi si applica, preferibilmente davanti
all’occhio dominante, un prisma di 6∆ a base verticale. Ci si aspetta che la visione si
sdoppi (un valore prismatico di questo tipo in direzione verticale non può essere
compensato). Se il soggetto, richiesto di descrivere ciò che vede, risponde di
percepire una sola mira, significa che una delle due immagini non è psichicamente
utilizzata. In questo caso si deduce che non è presente visione simultanea.
Metodo di valutazione del II grado della visione binoculare.
Per valutare la capacità di fusione si può utilizzare il test di Worth. La mira
può essere costituita da quattro dischi colorati su sfondo nero posti a croce: uno rosso
in alto, due verdi in orizzontale, ed uno bianco in basso. Gli occhi del soggetto
esaminato sono coperti da filtri anaglifici. In questo modo, si viene a creare la
condizione in cui ogni occhio vede i dischi del colore del proprio filtro e in più il
disco bianco. La situazione è di parziale dissociazione fusionale, in quanto la visione
simultanea del disco bianco mantiene lo stimolo a fondere.
Le possibili risposte del soggetto al test possono essere:
C) fusione assente.
B) fusione assente;
A) fusione presente;
1. Vedo 4 luci:
è presente visione
binoculare singola nella
norma, l’eventuale
eteroforia è ben
compensata.
La tonalità assegnata al
cerchio bianco definisce
la dominanza sensoriale.
2. Vedo 2 luci rosse: è
presente soppressione
dell’occhio dx
(filtro verde).
3. Vedo 3 luci verdi: è
presente soppressione
dell’occhio sx
(filtro rosso).
4. Vedo 5 luci, due rosse a sinistra
e tre verdi a destra: è presente
diplopia omonima che indica una
esoforia.
5. Vedo 5 luci, due rosse a destra e
tre verdi a sinistra: è presente
diplopia crociata che indica una
exoforia.
Il test va effettuato da lontano sfruttando l’apposita mira a proiezione e da
vicino con la torcia opportunamente predisposta; è anche possibile, sempre con la
torcia, fare un’analisi dinamica per controllare lo spazio di fusione.
I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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STARE
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Sara
Fortini
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Optometria:
la
visione
binoculare.
Metodi di valutazione del III grado della visione binoculare.
Misurare il grado di raffinatezza della stereopsi presente in ciascun individuo
può sembrare, dal punto di vista terapeutico, un esercizio sterile. L’assenza della
visione stereoscopica, nella maggior parte dei casi non può essere ripristinata con la
prescrizione di ausili esterni. Nonostante ciò, constatare la presenza o meno di una
matura stereopsi significa definire il livello di qualità visiva, anche potenziale, che un
soggetto può esprimere. Ecco perché i vari stereotest sono pratica comune in tutte le
indagini visive di tipo fiscale ed anche inseriti, almeno in teoria, nell’usuale pratica
clinica optometrica. In quest’ambito è opportuno distinguere la stereopsi in:
- locale;
- globale.
La prima è stimolata da mire di forma definita e riconoscibile, identiche tra
loro, ma che vengono presentate separatamente ai due occhi con un effetto di
spostamento lineare l’una rispetto all’altra. La seconda richiede una maggior
raffinatezza e sviluppo dell’attività stereoscopica: le mire sono prive di
riconoscibilità monoculare. Attraverso l’attività di organizzazione visiva dei vari
particolari distribuiti in modo casuale, è possibile percepire delle figure di forma
compiuta solo se è presente un elevato grado di stereopsi.
La stereopsi può essere rilevata sia da lontano che da vicino. I test più
utilizzati sono da vicino, pertanto richiedono la presenza di un’illuminazione molto
buona e la compensazione dell’eventuale presbiopia o di ametropie che possano
penalizzare la visione prossimale. La disparità spaziale delle mire osservate è
misurata in secondi d’arco (’’), che al tempo stesso rappresenta il valore della
capacità stereoscopica del soggetto.
Test di stereopsi locale. Il più comune è il test di
Wirt, meglio conosciuto come test della mosca di
Titmus (Figura 28). La filtratura polarizzata davanti agli
occhi permette la percezione della mira in rilievo, che
diversamente sarebbe vista doppia. Il test è articolato in
una serie di mire con coefficiente di disparità spaziale a
partire da 3000’’ (la mosca) fino ad un minimo di 40’’
Figura 28. Test di Titmus.
(il nono gruppo di cerchi). La presenza di strabismo è
ovviamente condizione invalidante del test.
Test di stereopsi globale. I test sono costituiti da
una serie di punti disposti in modo apparentemente
casuale. Solo la capacità di percezione tridimensionale
permette il rilevamento di immagini. Anche in questo
caso è necessaria l’apposizione agli occhi di una
filtratura polarizzata o l’utilizzo di filtri colorati
Figura 29. Test di Lang I così anaglifici. I limiti di stereopsi valutabile sono compresi
tra 1900” e 15”.
come appare in assenza di
stereopsi, oppure osservato con
In tempi più recenti si è affermato l’utilizzo dei
un occhio solo.
test di Lang. Con essi non è necessario l’utilizzo di
alcuna filtratura, grazie alla particolare costruzione cilindrica dei suoi elementi.
L’unico limite è costituito da una gamma di apprezzamento meno ampia (da 200” a
1200”). Ma mentre il test di Lang I è un vero e proprio test di stereopsi globale
(nessuna figura è visibile con un occhio solo), il test di Lang II lo si potrebbe definire
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Optometria:
la
visione
binoculare.
di stereopsi mista. In questo caso, infatti, è presente la figura di una stella visibile
anche con un singolo occhio (Figura 30).
Figura 30.
Test di Lang I e II così come
appaiono in presenza di stereopsi.
La bambina con molti occhi e la presbiopia.
Alla fine della trattazione sulle poesie di Burton, mi chiedevo se la bambina
con molti occhi avesse avuto problemi ad indossare occhiali o lenti a contatto. Come
avrebbe fatto la stessa bambina, una volta arrivata all’età di circa quarant’anni, a
compensare la sua presbiopia? Probabilmente, con tutti quegli occhi, avrebbe potuto
indossare diversi occhiali per le diverse distanze di osservazione. O, analogamente,
avrebbe potuto indossare diverse lenti a contatto. Tutto ciò sempre che il suo sistema
celebrare potesse sopprimere o fondere adeguatamente le immagini provenienti dai
vari occhi. Altrimenti, altro che visione doppia!!!
Ed ecco che, ancora grazie a Burton, ho lo stimolo per affrontare la questione
della compensazione della presbiopia con l’utilizzo di lenti a contatto!
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Contattologia:
la
correzione
della
presbiopia.
CONTATTOLOGIA: la correzione della presbiopia.
La monovisione. Le lenti multifocali.
La monovisione.
Se si osserva il comportamento visivo di soggetti affetti da una lieve miopia
monolaterale (0,75/1.00 solo in un occhio), si può, nella maggioranza dei casi,
osservare che costoro riescono a non utilizzare alcuna correzione per la quasi totalità
della loro vita. Infatti la buona visione lontana è loro garantita dall’immagine fornita
dall’occhio emmetrope, mentre l’eventuale presbiopia è agevolmente compensata
dall’occhio miope. Inoltre è quasi la regola non riscontrare in questi soggetti evidenti
alterazioni della binocularità. Basandosi su quanto appena osservato, è possibile
risolvere i problemi visivi di un presbite inducendo intenzionalmente
un’anisometropia.
La tecnica consiste nel mantenere su un occhio l’abituale lente a contatto con
le diottrie per lontano e nell’altro applicare una lente che consenta visione nitida a
distanza vicina (più leggera nel miope, più potente nell’ipermetrope). In
monovisione, pertanto, l’immagine nitida di un occhio viene percepita
simultaneamente all’immagine sfuocata dell’altro. A livello corticale l’immagine
nitida viene esaltata e quella sfuocata viene depressa. Naturalmente è bene far
utilizzare per vicino l’occhio non dominante. Quando ciò non fosse possibile, è
necessario preventivamente testare le reazioni del soggetto in presenza della
penalizzazione dell’occhio dominante; in casi di radicata e profonda dominanza la
monovisione potrebbe non essere accettata. Concordamente all’esempio fornito in
apertura, la tecnica della monovisione risulta proponibile con addizioni, sull’occhio
utilizzato per vicino, non molto superiori ad 1 diottria (max.1,50 dt).
Alterazioni del sistema visivo in monovisione.
È normale che ci si chieda se l’introduzione di una forma artificiale di
anisometropia sia clinicamente corretta. Valutiamo, in questo contesto, quali sono i
punti più controversi.
Stereopsi: è largamente dimostrato che in presenza di anisometropia si generi
una forma ridotta di stereopsi. Sicuramente ciò accade anche in monovisione, ma è
altresì dimostrato che tale effetto è minore in confronto a quello presente in un
soggetto anisometrope corretto con occhiali. Rimane assodato che questa tecnica non
deve essere utilizzata in tutti quei soggetti che svolgano lavori da vicino ove una
scorretta interpretazione stereoscopica possa comportare rischi alla salute e
all’integrità fisica (es. tutti coloro che lavorano su macchine utensili).
Sensibilità al contrasto: risulta sensibilmente compromessa per valori di
addizione superiori a 1,50. Per valori inferiori, la sensibilità risulta migliore in
monovisione che con qualsiasi altro tipo di soluzione attuata con lenti a contatto
bifocali o multifocali.
Visione periferica: non viene ridotta l’estensione del campo visivo e l’acuità
periferica.
La guida di autoveicoli: una prolungata analisi degli incidenti stradali non ha
evidenziato incrementi negli utilizzatori di monovisione. Durante la guida notturna
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correzione
della
presbiopia.
possono sussistere delle possibilità di maggiore difficoltà nel deprimere l’immagine
non a fuoco, con conseguente possibile confusione visiva. Comunque anche in
questo caso le soluzioni correttive con lenti a contatto multifocali sono peggiorative.
Le performance lavorative: si mantengono su standard normali tutte le attività
che non richiedono raffinate condizioni di stereopsi o necessità di alte addizioni.
Infatti solo in queste condizioni particolari si può notare una calo del rendimento del
3-4%.
Rimane comunque sempre possibile la prescrizione di un occhiale che
ripristini la buona visione per lontano dell’occhio sottocorretto da usarsi solo nelle
condizioni di maggior disagio (es. guida notturna). Il dato più significativo risiede
nel fatto che, nei casi in cui la tecnica sia stata applicata con i giusti criteri di
selezione, i soggetti trattati hanno potuto svolgere agevolmente il loro lavoro in totale
assenza di fenomi astenopici. In relazione alla quantità di addizione possibile da
gestire, si possono mantenere buone performance visive da vicino fino ad un’età
compresa tra 55/57 anni.
Le lenti multifocali.
Va premesso che se nelle correzioni con occhiali progressivi la facilità di
utilizzo di zone a potere variabile è ottenuto da opportuni movimenti degli occhi e
del capo, tutto ciò è inutile in una correzione a contatto ove qualsiasi movimento
degli occhi porta con se anche quello delle lenti che vi sono applicate.
All’interno di tutte le diverse soluzioni prodotte, le lenti a contatto a più focali
sono catalogabili in:
- lenti a visione alternata;
- lenti a visione simultanea.
Lenti a visione alternata.
Sono caratterizzate da due zone distinte (lenti bifocali), una per lontano e
l’altra per vicino.
Figura 31.
Geometrie di l.a.c. a visione alternata.
Condizione essenziale affinché queste lenti funzionino è il perfetto centraggio
della zona giusta (lontano o vicino) davanti alla pupilla. Se durante la visione vicina
dovesse entrare nel campo di visione, anche pur in modo parziale, la zona per
lontano la visione risulterebbe notevolmente disturbata. Tale fenomeno conduce alla
necessità che, alla diversa posizione degli occhi nelle diverse posizioni di sguardo, la
lente goda di una elevata mobilità per potersi posizionare con la zona adatta.
Per questo motivo le uniche lenti che con questa filosofia costruttiva possono
dare delle performance visive adeguate (a volte anche eccellenti) sono le lenti RGP,
che, se applicate con un allineamento un pochino più aperto rispetto allo standard,
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della
presbiopia.
sono in grado di effettuare sulla cornea le necessarie traslazioni. Tra le varie
geometrie proposte, attualmente vengono prodotte quasi esclusivamente i tipi a
segmento che somigliano a quelle utilizzate nelle lenti da occhiali (Figura 31).
Naturalmente è necessario che la lente di questa geometria rimanga
stabilizzata in modo da avere sempre in alto la zona del lontano e in basso quella del
vicino. Ciò si ottiene mediante uno spessore differenziato (prisma di bilanciamento)
e troncatura nella zona di maggior spessore. Non avendo generalmente a che fare con
correzioni toriche (le lenti a contatto RGP sferiche correggono agevolmente la
maggior parte degli astigmatismi corneali) è ammessa una certa rotazione della lente:
circa 30° dal lato nasale e 10° dal lato tempiale.
Lenti a visione simultanea.
Le soluzioni proposte sono realizzate da un’alternanza tra zone di diverso
potere ove la zona centrale può essere sia quella da lontano che quella da vicino a
seconda del primario interesse visivo.
Con riferimento alla Figura 32, le geometrie normalmente usate sono:
- bifocali a zone concentriche sferiche (a, b);
- progressive a zone asferiche (d, e);
- a zone concentriche sferiche-asferiche (c);
- diffrative (f).
Figura 32.
Geometrie di l.a.c. a visione simultanea.
Il problema più consistente con le lenti a visione simultanea è il diametro
pupillare che rappresenta il regolatore della quantità di energia che raggiunge la
retina. Condizioni anomale sia di miosi che di midriasi, provocano decadimenti di
visus a seconda si usi il centro come lontano ovvero come vicino. Più precisamente
con il centro della lente utilizzato da lontano, una condizione di spiccata miosi
consente visione nitida solo da lontano, l’inverso se si è utilizzato il centro come
vicino. È pertanto importante la valutazione pre-applicazione della possibile
escursione pupillare del potenziale utilizzatore, per poter valutare l’idoneità
all’utilizzo di lenti plurifocali.
- Bifocali a zone concentriche sferiche.
Le due zone concentriche (lontano/vicino o vicino/lontano) devono essere
entrambe presenti nel campo pupillare in modo che l’energia luminosa che irradia la
retina provenga da entrambe. Ognuna delle due zone fornisce dello stesso oggetto
un’immagine nitida e una sfuocata.
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Contattologia:
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La scelta a livello corticale dell’immagine da utilizzare dipende da quale delle
due zone fornisce alla retina la maggior quantità di energia luminosa. Ad esempio se,
a causa del variare del diametro pupillare o dal movimento della lente, l’80%
dell’energia luminosa che arriva sulla retina passa attraverso la zona del lontano e
solo il 20% da quella del vicino, l’utilizzatore avrà visione nitida solo quando guarda
lontano e il lavoro prossimale sarà incerto. La possibilità di ottenere una buona
utilizzazione di entrambe le immagini nitide fornite, dipende da quanto più si riesce a
bilanciare la quantità di energia luminosa fornita dalle due zone, ove la condizione
50≡50 rappresenta l’ideale.
Va da se che tutte queste lenti necessitano di mantenere una posizione sempre
il più possibile centrata, ove il movimento all’ammicamento deve essere il più
contenuto possibile. Questo tipo di risultato è maggiormente ottenibile con lenti a
contatto di tipo morbido, meglio se costruite con materiali ad alto Dk/t.
Con questa geometria la scelta della zona centrale è preferibile con potere da
vicino in quanto: durante il lavoro prossimale la pupilla è frequentemente in miosi e
comunque è facile aumentare l’illuminazione per ottenere meglio questo risultato; a
bassa luminanza in cui sia necessario una buona visione lontana (guida notturna) la
midriasi presente fa aumentare la porzione di potere da lontano presente sulla retina.
In caso di necessità da lontano in elevata luminanza, l’uso di occhiali filtranti
consente di ripristinare un adeguato diametro pupillare.
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Conclusioni.
Conclusioni.
Nel percorso seguito durante la stesura della tesina, ho cercato di spaziare tra
le varie materie affrontate nel nostro cammino di studi.
Spero, nel mio piccolo, di essere riuscita a strutturare il presente elaborato
così da farlo risultare stimolante. Ho cercato di far leva su quella curiosità e sete di
sapere che mi hanno spinto a collegare le varie materie in maniera libera, ma pur
sempre rigorosa.
Terminata la scuola, può iniziare il confronto col mestiere di ottico. E allora
le conoscenze acquisite durante i due anni di corso, non sono altro che l’inizio di un
nuovo percorso che prevede ulteriori acquisizioni di esperienza pratica e
approfondimenti teorici.
Certo che la stanchezza, arrivati a questo punto, si fa sentire. Ma non mi
scoraggio! Del resto, come per la bambina che fissava, forse anch'io dedicherò ai
miei occhi e a tutta me stessa, un periodo di “vacanze e balocchi”!
Sara Fortini
Rimini, maggio 2013
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Fonti.
Fonti.
Sono elencati documenti di varia natura che ho consultato e da cui ho tratto
materiale scritto e grafico per redigere la tesi.
Bibliografia cartacea.
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Medical Books, Palermo, 2003
Dante Alighieri, Divina commedia,
Tascabili Economici Newton, Roma, 1993
Ezio D.B. Bottegal, Ottica e optometria,
dispense scolastiche, 2006-2013
Ezio D.B. Bottegal, Contattologia,
dispense scolastiche, 2006-2012
Tim Burton, Morte malinconica del bambino ostrica,
Einaudi, Torino, 199813, (traduzione di Nico Orengo)
Ferdinando Catalano, Elementi di ottica generale,
Zanichelli, Bologna, 2002
Heinrich Hoffmann, Der polyglotte Struwwelpeter,
Tintenfass, Neckarsteinach, 2008, (traduzione di Maria Luisa Heinz-Mazzoni)
Edward Lear, Il libro dei nonsense,
Einaudi, Torino, 20048, (traduzione di Carlo Izzo)
Primo Levi, Se questo è un uomo. La tregua,
Einaudi, Torino, 198923
Valerio Lupi, Lezioni di anatomia e fisiopatologia oculare per studenti di optometria,
Fabiano, Canelli (AT), 2004
Leonardo Sasso, Nuova matematica a colori. Edizione gialla. Volume 4,
Petrini, Novara, 2012
Marina Severi, Titmus in zona Cesarini,
tesi a conclusione del corso di optometria, istituto B. Zaccagnini, Ancona, 2013, pro manuscripto
Massimo Tonti, Lo scemo del villaggio,
tesi per l'esame di stato di maturità ottica, I.P.S.I.A. L.B. Alberti, Rimini, 2008, pro manuscripto
Massimo Tonti, Ipovisione, mele e accesso universale,
tesi conclusiva del corso di optometria presso istituto B. Zaccagnini, Ancona, 2013, pro manuscripto
Gunter K. von Noorden, Visione binoculare e motilità oculare. Teoria e trattamento dello strabismo,
Medical Books, Palermo, 19932, (tradotto e curato da I. Faraldi e S. D'amelio)
Nicola Zingarelli, lo Zingarelli 2012. Vocabolario della lingua italiana,
Zanichelli, Bologna, 20127
L. Giannelli - M. Giannelli - G. Moro, L'esame visivo efficace. Una codifica dell'esame visivo per la
gestione quotidiana dei problemi,
Medical Books, Palermo, 2012
L. Lupelli - R. Fletcher - A.L. Rossi, Contattologia. Una guida clinica,
Medical Books, Palermo, 1998
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I.P.S.I.A. L.B. Alberti - Rimini
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Fonti.
Bibliografia elettronica (.pdf)
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Verlag Franz Eher Nachf, München, 1943, (in lingua originale)
Adolf Hitler, La mia battaglia,
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Alfredo Meli, Regolamento tecnico integrativo,
AIBxC, Bologna, 2011
Videografia
Apocalypse – Il grande racconto della storia,
Mediaset, Rete4, 2012, (condotto da Giuseppe Cruciani)
Sitografia
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