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Tolta la sabbia, svelato il segreto

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Tolta la sabbia, svelato il segreto
Autrici
Giorgia Campagna
(classe 5B linguistico)
Beatrice Cimarra
(classe 5E linguistico)
Sezione tesina triennio
Tolta la sabbia, svelato il segreto
Ci sedemmo, l’una di fronte all’altra, e lo aprimmo.
Aprimmo L’allegria.
Ci guardammo con sguardo divertito, lei tenne il bordo della raccolta chiuso tra indice e pollice, la
piegò e ne fece slittare velocemente i fogli.
Quello che successe non solo fu stupefacente ma ci lasciò esterrefatte.
Le pagine le scorsero tre le dita, e rilasciandole delicatamente ne uscirono; sabbia, terra, sensazioni,
sangue, mare, colori, stoffa, gigli, aliti di vento, carta e inchiostro, e tra tutto questo: parole,
molteplici e diversificate, ma solo alcune ci risuonarono in mente.
E furono proprio le parole quelle che si unirono e crearono delle domande.
Domande che ci inebriarono la testa e per un attimo ci fecero viaggiare con la fantasia tra le
innumerevoli affermazioni con cui si poteva rispondere.
Cos’è la poesia? Ci serve a qualcosa? Cos’è il nulla? E il tutto? Sono uno il completamento
dell’altro? O sono indipendenti? Cos’è inesauribile? Perché lo è? Esiste qualcosa in particolare che
dona l’inesauribilità? O anche l’eternità? Che significa eterno? C’è differenza tra inesauribile ed
eterno? C’è qualcosa di personale? O qualcosa è personale? L’esperienza costituisce un punto a
nostro favore o no? E i sensi?
Ma tra tutte quante, la domanda che ci sembrò avere la risposta più difficile era una:
Cos’è il segreto?
Fu davvero complicato rispondervi, diventò un rompicapo e fu per questo motivo che decidemmo di
accantonare per qualche momento questo interrogativo e di proseguire nello sfogliare le pagine,
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sicure che lasciandoci avvolgere tra le braccia della vita e della poesia di Ungaretti saremmo
riuscite a trovare ciò che ora i nostri occhi non riuscivano a vedere e ciò che le nostre menti non
riuscivano a percepire.
(E così continuammo.)
Sabbia, quella egiziana di Alessandria D’Egitto, luogo natio di Ungaretti, dove venne al mondo nel
1888. In un suo ricordo rivela: «Ci sono nato in una notte burrascosa. Credo che il tempo, per me,
non avrà mai voglia di farsi buono».
Mare, quello Mediterraneo, giunta acquatica con il mondo.
Alessandria infatti era un approdo mondiale, ricca di etnie differenti che sfociavano in stimoli
culturali multiformi.
In questi anni, siamo circa nel 1890, il collegamento con il Mediterraneo era rappresentato dal
canale di Suez, alla realizzazione del quale lavorò lo stesso padre di Ungaretti, Antonio, che vi
morirà in seguito ad un incidente.
Gigli, quelli rappresentativi della città di Firenze, dove Giuseppe si trasferirà nel 1912, dopo aver
terminato gli studi ad Alessandria; egli però non rimarrà molto nella città di Flora poiché nei mesi
successivi si trasferirà in Francia.
Nel 1912 nacque, come egli stesso definirà, la poesia al pubblico, in un caffè di Parigi dove ci si
riuniva tutti i martedì intorno al "principe dei poeti" Paul Fort.
In queste occasioni egli incontrò Soffici, Palazzeschi, Marinetti e Papini, che erano arrivati a
Lutezia in occasione della fondazione delle soirée de Paris da parte di Apollinaire; questi amici gli
chiesero di consegnar loro delle poesie che Ungaretti non pensava di pubblicare ma che invece
uscirono sulla rivista Lacerba.
Nel 1914 rientrò in Italia per prendere un titolo di studio, l'abilitazione all'insegnamento della lingua
francese; si spostò quindi prima a Torino e poi a Milano, dove scrisse alcune poesie collocate nella
sezione Ultime dell'Allegria.
Sangue, quello che vide, quando, nello stesso anno, si arruolò e partecipò come soldato semplice
alla battaglia sul Carso, dove rimase per circa quattro anni.
Si trattò di una scelta volontaria quella di arruolarsi nell'esercito, ragione che rispondeva a
motivazioni intime e personali. Egli infatti vede nella guerra l'esperienza necessaria al suo
ricongiungimento con la madre patria, come una ricerca nell'Io frammentato e disperso nelle città in
cui vive: «Sono uno smarrito. A che gente appartengo, di dove sono? Sono senza posto nel mondo,
senza prossimo. Mi chino verso qualcuno e mi faccio male. E come fare a vivere, e continuamente
rinchiudersi una tomba? Alessandria d'Egitto, Parigi, Milano, tre tappe, ventisei anni, e il
cantuccio di terra per il mio riposo non me lo posso trovare. [...] Sono un estraneo. Dappertutto.
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Mi distruggerò al fuoco della mia desolazione? E se la guerra i consacrasse italiano? Il medesimo
entusiasmo, i medesimi rischi, il medesimo eroismo,la medesima vittoria. Per me, per il mio caso
personale, per la bontà di guerra».
Dal 1918 al 1921 Ungaretti tornerà a vivere a Parigi, dove lavorerà per Il Popolo d'Italia, conoscerà
e sposerà Jeanne Dupoix.
Dal 1921 al 1933 si trasferirà a Roma, dove sarà impiegato presso il Ministero degli Esteri, si
convertirà al cattolicesimo, lavorerà come inviato per la Gazzetta del popolo; uscirà inoltre
Sentimento del tempo con prefazione a cura di Benito Mussolini.
Dal 1933 al 1942 si trasferirà in Brasile, dove insegnerà Letteratura Italiana all'Università di San
Paolo del Brasile.
Nel 1939 morirà il figlio Antonietto: di questo immenso dolore e di altri da lui sofferti negli anni
successivi il dopoguerra scriverà la raccolta Il dolore, che verrà pubblicata nel 1947.
Nel 1942 tornerà in Italia dove gli verrà conferito un insegnamento universitario a Roma per "chiara
fama".
Nel 1950 morirà la moglie e nel 1970 dopo una vecchiaia attivissima, costellata di viaggi, premi,
conferenze, morirà a Milano nella notte fra il 1 e il 2 Giugno.
«La mia vita, la mia vita è stata dura. Ho fatto il poeta nei ritagli di tempo, ho fatto sempre un
secondo mestiere».
Parole, parole che illustravano un’intera vita, la sua vita, l'inesauribile esistenza di Ungaretti.
Parole, parole in infinita quantità.
Così tante parole da creare poesia.
Poesie, canti, centinaia di componimenti creati da semplici parole.
Ed è attraverso “i suoi canti” che il poeta “torna alla luce”, torna alla realtà da cui si era allontanato
per arrivare, per immergersi, nella fonte della sua ispirazione, nel segreto, l’inesauribile segreto.
Quel segreto è ciò che gli resta mentre il resto non conta più nulla, però allo stesso tempo esso
stesso, il segreto, viene definito “nulla” dal poeta. Un paradosso, uno dei tanti che Ungaretti
propone nelle sue poesie.
“Quel” “segreto” che è “nulla” ma è anche “inesauribile”.
Come dargli contro?
Basta accostare per un attimo la nostra mente a questo paradosso che subito ci rendiamo conto di
quanta verità esso possa esprimere.
“Inesauribile”…
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Quale parola migliore per poter esprimere l’impossibilità di quantificare la grandezza di un segreto,
di mettervi dei confini, di ignorarlo e tenerlo nascosto a noi stessi, di poter decidere di far smettere
di vivere un segreto.
Non si può fare.
Un segreto, soprattutto come questo, un segreto "poetico" non muore mai, resta vivo generazione
dopo generazione; può non essere contemplato per un determinato lasso di tempo ma se nessuno “vi
arriva” ciò non vuol dire che esso non esista ma al contrario esso è ciò che respira mentre tutto
soffoca.
"“Nulla”…
Quante volte capita che per pigrizia di non voler esternare una sofferenza interiore si finga e si dia
la risposta “Nulla” alla domanda “Cos’hai?”, quando invece si ha “Tutto”?!
Beh forse Ungaretti fu il primo che sperimentò attraverso le sue poesie la grandezza di quel “Nulla”
che in realtà stava a significare “Tutto”.
Quel “Nulla” che a primo impatto sembra sminuire il senso della sua poesia, de Il porto sepolto,
proprio perché siamo soliti dare poca importanza a questa parola, ma con una successiva lettura ci si
può rendere conto della sua vera grandezza, perché riflettendoci, lo spazio che 'viene occupato' dal
“Nulla” è irrestringibile entro dei confini, così come lo è quello espresso dalla parola “Inesauribile”.
Attraverso il suddetto componimento che porta il titolo della prima e omonima raccolta del poeta,
Ungaretti ci dona delle linee guida per “leggere” le sue poesie, mostrandoci che tutto ciò che il
poeta fa non è altro che arrivare al segreto, fonte della sua ispirazione, per poi tornare alla realtà
attraverso le sue poesie ed è qui che egli dissemina i suoi canti e compie questo gesto non con lo
scopo di accrescere la sua fama ma con lo scopo, al contrario, di poter mettere le proprie opere al
servizio degli altri.
Egli infatti ci lascia i suoi componimenti come un criminale lascia delle tracce.
Infatti le sue poesie non sono altro che dei piccoli indizi attraverso cui ognuno può arrivare al
segreto, quel segreto che è nascosto, che non può essere svelato a chiunque attraverso un semplice
“passaparola” ma è possibile arrivarvi, capirlo solo attraverso le poesie.
In realtà tutto questo processo ci porta a capire che il vero segreto si trova dentro di noi e che la
poesia non è nulla ma ci serve solo come spunto per ragionare.
Ciò che di bello possiede il segreto è la sua inesauribilità di spiegazione dato che ciascuno interpreta
e spiega un determinato segreto in modo personale, caratteristica di cui non gode il mistero in
quanto esso è inspiegabile alla ragione umana, resta inaccessibile al contrario di ciò che avviene per
il segreto che viene reso accessibile grazie alle poesie.
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Ma il segreto è davvero inesauribile? Esiste veramente qualcosa che sia inesauribile? E quanto è
grande questa inesauribilità? E' misurabile? E' segreta?
Esiste o non esiste?
Di certo per Ungaretti esisteva, impossibile dubitarne.
Egli parlava costantemente in tutti i suoi scritti dell'inesauribilità, l’illimitatezza, l’infinità ma anche
dell’inesprimibile, l’indefinibile, l’indescrivibile, per non dimenticare i suoi riferimenti all’eternità,
all’immortalità, all’indistruttibilità, all’esistenza permanente di qualcosa che va oltre tutto, che
supera perfino la morte, la provoca, la sfida e le dà il colpo di grazia, dato che ciò che è eterno va
anche oltre la morte.
Ma Ungaretti quando compone le sue opere non lascia nulla al caso, infatti egli, in determinati
versi, utilizza delle parole che fanno riferimento all’inesauribilità, come “d’inesauribile” ne Il porto
sepolto, e ne La notte bella con i versi “Ora mordo lo spazio” e “Ora sono ubriaco d’universo”; con
questi ultimi egli rinvia anche all’inesprimibile, il quale è anche citato in Eterno, “l’inesprimibile”
ed è con l’ultima parola di Dannazione, “Dio”, che egli ci rimanda all’eternità in quanto Dio è
eterno, è ciò che persisterà anche quando il cielo finirà.
L’inesauribile e il segreto, il tutto e il nulla, è questo il chiasmo su cui si basa la poetica
Ungarettiana.
Queste quattro parole sono alla base delle sue poesie ma fra tutte la seconda è la più importante, il
segreto.
Esso racchiude anche le altre tre, le comprende, le avvolge, le fa diventare parte di sé. Il segreto
infatti è inesauribile ed è grazie a questa sua qualità che non viene dimenticato, ma anzi, grazie alle
poesie lasciateci dal poeta come tracce, noi riusciamo perennemente a raggiungerlo, riscoprirlo e
riportarlo in vita.
Per giungere però al culmine della sua perfezione esistenziale deve essere composto dal “tutto” e
dal “nulla”: se non vi è questa compartecipazione il segreto non si verrà mai a creare o per lo meno
non perverrà al suo splendore massimo. Questo perché esso non può essere svelato a chiunque, non
tutti riescono ad usufruire delle poesie per arrivarvi e comunque sia, anche prima che venga svelato
deve restare vuoto, non deve contenere nulla, perché solo quei pochi che godranno del privilegio di
essere arrivati alla meta potranno contemplare il tutto, quel tutto da cui nasce la creatività del poeta
per poter scrivere la poesia.
Ed è a questo punto che si nota il chiasmo formato dal legame tra nulla e segreto e tutto e
inesauribile.
Ma in questa figura retorica è possibile individuarne un’altra che si viene a creare se si accostano le
parole nulla e tutto, un paradosso.
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Quest’ultimo è ben espresso nel canto Eterno, dove il titolo stesso viene posto in contrapposizione
con l’ultima parola “nulla”: ciò accade anche in Dannazione dove Ungaretti oppone “mortali” a
“Dio”, quindi nuovamente il nulla all’eterno e ancora in San Martino del Carso, in cui le prime due
quartine esprimono il nulla e le ultime due strofe simboleggiano il tutto.
Perché eterno? E non finito…
Perché inesauribile? E non esauribile….
Ungaretti non ci parla mai di finito e di esauribile, non utilizza mai queste due parole, come se non
volesse porre dei limiti a questo nostro mondo, e qual è il modo migliore per poter dare libertà se
non attraverso la poesia?
Sì, è la poesia che dona eternità al mondo, è grazie ad essa se si continuano ad avere dei segreti,
perché è attraverso di lei che si giunge al segreto, ma è anche attraverso essa che il segreto non è
accessibile a tutti ma solo a chi sa accogliere dentro di sé la poesia.
La si potrebbe paragonare ad una porta o meglio, alla serratura di una porta, e solamente chi
possiede la chiave che si incastra nella serratura può oltrepassare la soglia e ammirare il segreto.
Ma nonostante ciò siamo sicuri che il segreto non possa essere svelato?
Perché se così fosse la sua poesia sarebbe puramente esornativa, ma è realmente così o è solo il
primo ostacolo da superare per arrivare al segreto?
Ungaretti, quindi, a cosa sta puntando?
Ci sta mettendo alla prova con elementari, e forse funzionali, artifici? Perché, in fondo, deve
ricorrere a tutto ciò?
Come da lui affermato in un'intervista del 1968 da parte della Rai, ≪La mia poesia se è poesia, è
poesia come lo è stata quella di altri poeti che mi hanno preceduto, e quando la poesia è poesia è
semplicemente una parola molto amorevole rivolta all'altra persona che l'ascolta e per indurla a
sentirsi più amata≫.
Da una superficiale lettura parrebbe che sia proprio così: la poesia di Ungaretti sembrerebbe solo
una semplice parola molto amorevole...
Ma quel "se" avversativo posto all'inizio della frase, come a mettere in dubbio i suoi scritti, dopo
che egli è stato premiato numerose volte, ha ricevuto molteplici riconoscimenti, gli è stato conferito
il titolo di insegnate e ha viaggiato in tutto il mondo fino alla sua morte. Suona particolarmente
bizzarro. Il poeta, con quel semplice "se", si sminuisce davanti a un giovane studente.
Il fulcro del suo pensiero viene alla luce quando egli parla della funzione della poesia esprimendo
che "è semplicemente una parola molto amorevole rivolta all'altra persona che ascolta"...
Il poeta non solo si sta sottovalutando ma sta anche giocando con noi; con questi semplici metodi
sta denigrando la massa di lettori che non hanno attuato uno studio meticoloso delle sue poesie, o
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che non ne abbiano colto il significato preciso, o che non siano così umani da comprendere il suo
lavoro.
Questa visione parrebbe essere frutto di uno squilibrio mentale; Ungaretti appare come un anziano
senza più forze e scudi, ma la sua mente è ancora agile e vigile e lo dimostra in un'intervista
successiva a quella del 1968, quando egli leggerà una poesia non ancora pubblicata, dicendo che lo
deve fare a malincuore poiché non era ancora ora di cederla al pubblico, ma la politica della
televisione lo richiedeva, quindi torna a guardare la telecamera e sorridendo riabbassa gli occhi e
comincia la lettura.
Per questo quel “semplicemente” è così stonato rispetto ai suoi componimenti, che l'aria spensierata
con cui lo dice fa venire un sorriso bonario...
Quel “semplicemente” è burlesco conoscendo la complessità dei suoi brani, dell'utilizzo di una
metrica scoperta in Francia e usata per necessità come accadde in trincea, perché era breve, concisa
ma anche molto studiata, come la poesia Fratelli, come Mattina, come Tramonto ma come, in
fondo, tutta L'Allegria e le sue poesie.
Quindi sì, ad una mente poco allenata all'ironia, quest'intervista parrebbe confermare che il segreto
rimarrà custodito.
Ma, come tutti i segreti anche questo verrà portato alla luce, proprio perché questo più che un
segreto è un tesoro per l'umanità.
È necessario porre una premessa: la rivelazione e la totale comprensione prescindono l'esperienza.
ETERNO
Tra un fiore colto e l'altro donato
l'inesprimibile nulla
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Questo testo apre la raccolta L’Allegria, esso infatti si trova in posizione principale nella sezione
Ultime: tale ubicazione non è di scarsa importanza ma al contrario essa sottolinea il modo in cui il
poeta decide di rivelarsi al lettore.
I due soli versi e le scarne parole vengono a porsi in contrasto con la pagina quasi interamente
bianca; questa poesia è la prima prova da superare.
Il brano a primo avviso sembra di facile comprensione, ma se ci si interroga su ciò che l'autore
vuole dirci ci troviamo in difficoltà; dobbiamo quindi andare oltre l'apparenza.
La forma scheletrica ed essenziale elimina moltissimi passaggi che ci farebbero comprendere più
agilmente il componimento; ricostruire i passaggi logici che sono stati accuratamente omessi da
Ungaretti è la chiave per la totale comprensione delle sue opere.
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Il primo verso è occupato da un'immagine concreta che utilizza il senso del tatto e che prescinde
l'esperienza; in questo caso quasi tutti ( si potrebbe dire anche tutti ma per non escludere i casi
eccezionali diremmo "quasi" tutti) hanno fatto esperienza di cogliere un fiore; inoltre questo verso
svolge la funzione di delimitare il tempo e lo spazio intercorsi tra i due semplici movimenti di
cogliere e di donare.
Il secondo verso invece, introduce un'immagine astratta, una dimensione di vuoto e silenzio. Ma
cosa rappresenta l'accostamento di questi due versi, apparentemente, opposti?
Questi due versi sono essenziali per arrivare al segreto e di sostanziale importanza è anche
l'esperienza. Prendiamo in esame quei rari casi in cui una persona non abbia mai colto un fiore e
quindi non lo abbia mai donato: anche se un'altra persona gli donasse un fiore, la prima, che non lo
ha fatto, non potrebbe sapere, solamente, tramite il fiore donato, cosa significhi invece coglierlo.
Per questa sottile ragione tra le due azioni viene ad esserci l'inesprimibile nulla.
La differenza tra questi due gesti è infinita, ed inesprimibile, ma, se ci poniamo nell'ottica della
prima persona che non ha colto il fiore ma che lo ha solo ricevuto allora ci accorgiamo del nulla,
cioè del vuoto, della mancanza.
E questo nulla è inesprimibile, poiché è impossibile spiegare una sensazione ad una persona che non
l'ha mai provata, e in più è anche soggettiva, quindi potremmo anche sentire molteplici opinioni
sulle sensazioni ricevute da questo gesto, che sommate insieme ci darebbero come prodotto il nulla,
e quindi ci ritroveremmo di nuovo nella situazione iniziale.
Il suggerimento presentato dal poeta non è quello di strappare tutti i fiori che incontriamo, ma di
goderci e di esaminare la sensazione che ci torna indietro, di capire l'importanza di questo semplice
e, spesso visto come sciocco, gesto.
Perché?
Per meravigliarci, per non rendere banale codesto atto, per tornare esploratori e bambini.
L'esortazione è dunque quella di cogliere un fiore pensando di donarlo alla persona amata, e di farlo
di nuovo ma pensare a una persona che non gradiamo, e farlo di nuovo pensando di regalarlo a uno
sconosciuto.
Noi lo abbiamo fatto; e abbiamo ringraziato Ungaretti per stimolarci a scoprire le sensazioni più
diversificate...
TAPPETO
Ogni colore si espande e si adagia
negli altri colori
Per essere più solo se lo guardi 2
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Questa poesia, scritta tra il 1914 e il 1915, è una delle più complesse e misteriose di Ungaretti. La
forma è la medesima della poesia Eterno: essenziale.
Molti si sono soffermati sul titolo, attribuendo ai tre versi solo una mera descrizione del tappeto, che
potrebbe ricordare quelli egiziani o quelli da lui incontrati nel corso dei suoi soggiorni in Italia.
Ciò non è totalmente errato, ma dobbiamo ricordarci come questa sia l'ennesima prova alla quale
Ungaretti ci sottopone.
Cerchiamo di andare oltre l'apparenza stilistica; cosa ci sta cercando di trasmettere il poeta?
Immaginiamocelo seduto su un divano, leggermente piegato in avanti, con i gomiti sulle ginocchia,
mentre contempla un logoro tappeto gremito di colori.
Ed ora proviamo a metterci nella sua ottica e a contemplare anche noi il manto...
Immaginiamo di osservare questo grande tappeto: le frange nere ai due lati più corti e poi nel mezzo
una moltitudine di colori, dalle sfumature più diversificate. Lo sappiamo, sicuramente non sarebbe
un bel tappeto...
Ma, cosa ci verrebbe da dire?
Diremmo che il tappeto è blu, è giallo, è rosa?
O diremmo che il tappeto è, semplicemente, colorato?
Ad un esame più approfondito diremmo sicuramente che il tappeto è composto da vari colori e li
elencheremmo, ma, a primo impatto risponderemmo che esso è formato da varie tinte.
Ciò lo ritroviamo in modo sintetico e, naturalmente, con lo stile dell'autore nei primi due versi:
ogni colore, ci dice il poeta, si espande e si adagia negli altri colori. Pensiamo ad una metro nelle
ore di punta: gente che corre, si agita e si muove alla ricerca della propria meta, e una volta
raggiunta si ferma.
Ogni persona nella metro indossa abiti di tonalità differenti. Pensiamo ora di entrare anche noi in
questo luogo indossando una giacchetta azzurra: dall'entrata ci spostiamo verso l'interno fino a
passare i tornelli e a raggiungere il vagone dove saliremo, cioè la nostra meta.
Se seguissimo questo percorso dall'alto presteremmo attenzione alla persona con la giacchetta
azzurra solo perché l'abbiamo presa come punto di riferimento, altrimenti torneremmo a vedere solo
una massa di persone con abiti di colori differenti.
Ed è proprio qui il punto: ogni colore si mischia con l'altro e trova la sua posizione in esso, ma solo
se vi si posa l'attenzione allora lo scopriremmo solo negli altri. Per tornare alla metafora precedente,
ci accorgiamo della persona dalla giacchetta azzurra solo se decidiamo di soffermarci su di essa e a
quel punto ci accorgiamo che, benché si trovi in un luogo affollato di persone, essa sia sola.
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Il poeta tramite il senso della vista ci dà modo di renderci conto della solitudine umana anche
quando si è a contatto con altre persone.
Ed è, forse, proprio quando ci troviamo a contatto con altre persone che ci accorgiamo della nostra
intima solitudine.
LA NOTTE BELLA
Quale canto s'è levato stanotte
che intesse
di cristallina eco del cuore
le stelle
Quale festa sorgiva
di cuore a nozze
Sono stato
uno stagno di buio
Ora mordo
come un bambino la mammella
lo spazio
Ora sono ubriaco
d'universo 3
"Sono stato/ uno stagno di buio": solo chi ha provato questa sensazione può capire appieno il poeta.
In questo passaggio non è l'autore che dona un insegnamento al lettore, ma è il lettore che, avendo
vissuto il sentimento di vacuità tende una mano verso Ungaretti, lo accarezza e gli si pone vicino,
come a dire "ti capisco".
Ma il poeta torna a stupirci.
I due versi infatti sono, sì, posti centralmente, perché è dal fulcro che si parte, per poi allargarsi ed
osservare anteriormente, le prime due stanze, e posteriormente, le ultime due.
Le prime due presentano in anafora la parola "quale", e qui è come se Ungaretti si stesse
interrogando su quale sia il canto che quella notte abbia prodotto un’eco, tramato con le stelle, che
sia arrivato al cuore e grazie ad esso dall'animo sgorga, come fa l'acqua dalla sorgente, una festa,
spumeggiante come quella delle nozze.
In questi primi versi troviamo il poeta stupito di questa inattesa felicità e poi nei versi sottostanti
scopriamo il perché, scopriamo il suo passato, scopriamo la sua intimità, il suo "Io".
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Dopodiché si apre un nuovo scenario, l'anafora: in questi versi, è creata dalla parola "ora", ad
indicare che è da adesso che il poeta matura e scopre il segreto...
Ora, ci dice Ungaretti, è come un bimbo affamato che fagocita il latte che sgorga dalla mammella,
in cerca di nutrimento che riceve dallo spazio che lo circonda.
Ora, ci confessa, è ebbro d'universo...
Ora, ci confessa il segreto; ed ora anche noi ci arriviamo.
Da questo momento in poi i freni inibitori, (la superficialità, l'omertà, la tristezza e l'abbandono di
sè), vengono ad essere disattivati.
Adesso abbiamo le chiavi per aprire lo scrigno contenete il segreto...
Abbiamo coscienza delle più disparate visioni, abbiamo i preziosi consigli del poeta e la sua
esortazione a goderci il segreto...
Non "un" segreto, ma "il" segreto...
A cosa ci sta implorando Ungaretti di far caso?
Ci ha fatto vedere il bello e il brutto, ma di cosa? Di un gesto? Di un momento?
Presentandoci i più diversificati attimi e dandoci molteplici consigli, ci ha reso consapevoli della
bellezza della vita.
Il segreto non è nient'altro che la vita, unica e maestosa, capace di donare, a quei pochi eletti che
avranno l'animo degno di farlo, gioie infinite, emozioni disparate. Starà a noi sorprenderci del bello
e del brutto, starà a noi riscoprirci bambini e sentirci euforici di esplorare ogni angolo di questo
universo degno di sbalordirci.
Note:
1)
Giuseppe Ungaretti, Eterno, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
2)
Giuseppe Ungaretti, Tappeto, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
3)
Giuseppe Ungaretti, La notte bella, da L’Allegria. G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le
poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
Bibliografia:
G. Ungaretti, Vita d’un uomo, Tutte le poesie, Oscar Mondadori, Milano, 2015
11
“Intervista a Giuseppe Ungaretti - Parte 1” Incontro con… Giuseppe Ungaretti a cura di Ettore
Della Giovanna 1961 Rai Storia https://www.youtube.com/watch?v=E8Pslp5iA0A
La vita di Giuseppe Ungaretti, libro di testo Roberto Antonelli, M.Serena Spegno, Il senso e le
forme; storia e antologia della letteratura italiana; dalle avanguardie al secondo Novecento, La
Nuova Italia, Firenze, 2010
Corrado Bologna, Paola Rocchi, Rosa fresca aulentissima, vol.4,6 Loescher editore, Torino, 2010
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