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gruppi di imprese
L’evoluzione delle dimensioni e delle forme delle imprese
2. Dimensione e performance delle imprese in prospettiva storica
2.1. Piccola, media e grande impresa
2.2. Due indicatori di performance: longevità e redditività
3. L’impresa famigliare
4. La grande impresa manageriale
4.1. La mano visibile e il paradigma chandleriano
4.2. Economie di scala e diversificazione: i ‘first movers’
4.3 Le imprese multinazionali
5. Altre forme di impresa
5.1 I gruppi di imprese, gli zaibatsu giapponesi e il modello asiatico
5.2. Forme flessibili di produzione: reti di imprese e distretti
5.3. Le imprese cooperative
storia d'impresa 2015-16
1. DIMENSIONE E PERFORMANCE DELLE IMPRESE IN PROSPETTIVA STORICA
◘ La dimensione quantitativa nella storia di impresa è rimasta a lungo subordinata a quella
qualitativa.
◘ L’evidenza empirica finora prodotta è ancora limitata e non e consente di giungere a
conclusioni sicure,
◘ non c’è accordo sugli stessi criteri dimensionali per definire grande, media e piccola
impresa
Anche la valutazione delle performance risente dell’influenza del paradigma chandleriano:
poiché la crescita dell’impresa è lo sbocco inevitabile del progredire dell’economia, la
grande dimensione diviene di per sé stessa simbolo del suo successo, mentre la sua
capacità di mantenersi ai vertici del ranking dimensionale rappresenta un adeguato
indicatore della sua performance
Un’analogia con la foresta che si rinnova continuamente, e non con le sequoie giganti
che incantano e durano secoli più che decenni, meglio descrive la realtà della moderna
economia delle imprese
storia d'impresa 2015-16
Chandler : la grande impresa è divenuta nel corso del ‘900 l’elemento portante dei sistemi produttivi
americano e tedesco, mentre quello britannico sarebbe rimasto a lungo condizionato da un
pregiudizio in favore delle operazioni su scala limitata e della conduzione personale da parte dei
proprietari.
◘ Invece, per quanto la tendenza alle fusioni e all’integrazione verticale ed orizzontale siano state più
evidenti nei due paesi maggiormente sollecitati dalla II R.I, essa riguardò principalmente settori
specifici e modificò solo parzialmente la struttura economica nel suo complesso
tab. 3.1. Quota % delle prime cento imprese sul prodotto netto
ca.
1890
ca.
1918
ca.
1929
ca.
1938
ca.
1947
ca.
1970
ca.
1990
USA
11
22
25
26
23
33
33
Giappone
17
23
23
25
28
22
21
Germania
11
17
20
20
20
30
23
-
12
16
-
-
26
-
20
14
40
36
Francia
Italia
U.K.
15
17
26
23
22
storia d'impresa 2015-16
USA e Germania
mostrano indubbiamente
un maggior dinamismo
rispetto all’Inghilterra ,
ma complessivamente
non risulta una
significativa divergenza
fra le esperienze dei
principali paesi
occidentali
•
•
•
•
•
•
Negli ultimi due secoli la tendenza alla crescita della dimensione delle imprese appare
un fatto assodato.
Tuttavia, in modo altrettanto incontrovertibile, risulta che siano convissute e
continuino a convivere diverse forme di impresa:
Questa diversità dipende dalle strategie competitive delle singole imprese soprattutto
rispetto all’attività innovativa, dalla specificità del settore nel quale esse operano e dal
tipo di concorrenza prevalente nei diversi mercati (→ Porter).
La struttura dimensionale delle imprese dipende poi dalla storia e dalla specificità del
contesto istituzionale
Dalla dinamica delle classi dimensionali delle industrie manifatturiere nella prossima
tabella, le tendenze già emerse nella tabella 2 risultano ulteriormente evidenziate
Emerge la tendenza a una maggior frammentazione delle imprese di Italia e Giappone,
mentre la classe delle imprese con + 500 addetti risulta di peso chiaramente inferiore.
storia d'impresa 2015-16
Distribuzione per paese delle prime 200 imprese industriali nel mondo (1962-2011)
1962
1971
1981
1991
2001
2011
20
15
16
13
9
1,5
Olanda
3
3
6
3
4
4,5
Francia
9
13
13,25
14
15
7
20
17
19
20
14
18
Italia
5
4,5
4,25
5
3
6
Svezia
2
2
2
5
4
0
Svizzera
2
4
3
5
4
5
Altri paesi
2
2
6
9
9
12
63
60,5
69,5
74
62
54
Giappone
8
16
26
45
38
25
Cina
0
0
0
0
2
22
India
0
0
1
1
1
2
Corea del sud
0
0
3
6
4
5
Altri paesi asiatici
0
0
2
1
3
2
ASIA
8
16
32
53
48
56
124
119,5
88,75
64
80
57
Canada
4
1
3,75
3
6
1
Altri paesi americani
1
1
4
3
3
7
America
129
121,5
96,5
70
89
65
Australia
0
1
1
2
1
3
Africa
0
0
1
1
0
1
Totale
200
199
200
200
200
200
Regno Unito
Germania
Europa
Stati Uniti
storia d'impresa 2015-16
2. DUE INDICATORI DI PERFORMANCE: LONGEVITÀ E REDDITIVITÀ
◘ Varietà dei significati che le scienze sociali – la teoria dell’ impresa, le discipline aziendali, la
sociologia e la storia d’impresa – attribuiscono al termine di performance.
Concetto sfuggente e complesso, impossibile da ricondurre ad una singola definizione:
1. Nel mainstream:
– valutazioni di carattere contabile dell’efficienza dell’impresa nel produrre beni e
servizi, che assumono la forma di indici specifici, quali ROI, ROE, ROS ecc.;
– valutazioni di carattere patrimoniale relative alla solidità dell’impresa (current ratio,
indice di leva ecc.);
– valutazioni di performance finanziarie (capitalizzazione di borsa, Tobin’s Q, ecc)
2. Per gli istituzionalisti, l’efficacia dell’impresa viene valutata in primo luogo in base alla sua
capacità di ridurre i costi di transazione e di minimizzare i conflitti principale/agente
3. Nell’approccio evolutivo l’enfasi è sulla sopravvivenza dell’impresa, ovvero sulla sua
capacità di superare la continua selezione prodotta dalle mutevoli condizioni del mercato;
4. Nel management strategico (cioè nel paradigma struttura-condotta-performance) la
performance dipende in primo luogo da condizioni esogene: dalla struttura del settore nel
quale l’impresa opera e dalla sua capacità di interagire con esso
storia d'impresa 2015-16
. Sopravvivenza e longevità
◘ Lo spunto viene da A. D. Chandler (Scale and scope), che ha confrontato
la dinamica delle 200 maggiori imprese di USA, Germania e GB nel
corso del XX secolo.
◘ Per C. la grande impresa industriale moderna ha continuato a dominare
per tutto il ‘900 i settori ad alta intensità di capitali, mantenendosi ai
vertici della graduatoria mondiale delle più grandi imprese:
Negli USA e in Germania vi è stato scarso ricambio tra le prime 200,
poiché «molte delle stesse aziende che hanno acquisito le capacità
organizzative prima della guerra seguitano ad esse leader nei loro
settori»,
in Gran Bretagna, invece, «dove solo poche imprese hanno sviluppato
queste capacità prima della guerra», il ricambio è stato molto
maggiore.
◘ Lo sviluppo e il mantenimento di capacità organizzative influenzano
anche la modernizzazione dei settori e delle nazioni interessati
◘ Per Chandler, quindi, i migliori indicatori per valutare il successo di
un’impresa sono la sua longevità e la sua permanenza ai vertici del
sistema economico
storia d'impresa 2015-16
a) Sopravvivenza e Longevità
▪ L’approccio basato su tale indicatore pone due questioni chiave:
1. fondatezza dell’ipotesi della permanenza in cima al ranking di un
ristretto gruppo di grandi imprese negli stessi Stati Uniti;
2. La supremazia delle imprese statunitensi e tedesche su quelle
britanniche
→ Per quel che riguarda il punto 1:
Altri, lavorando sullo stesso campione di Ch., le 200 maggiori
imprese USA, hanno mostrato che la turbolenza - non la continuità,
-caratterizza maggiormente il campione nella lunga durata: soltanto
28 fra tutte le 543 imprese che appaiono almeno una volta nel
campione (il 5% di tutte le presenze) compaiono nel top ranking in
tutti e sei gli anni base
• Però le 28 società sempre presenti hanno origine nell’800:
il cambiamento appare l’elemento dominante della grande impresa
USA e la turbolenza va collegata in primis all’azione della tecnologia
storia d'impresa 2015-16
→ 2
la tabella seguente mostra l’esito del confronto fra le prime 100 imprese
manifatturiere mondiali, in termini di valore di capitalizzazione di borsa:
ovvero la classe dimensionale più adeguata per dimostrare la
performance delle più grandi imprese attraverso la loro longevità e la loro
duratura presenza ai vertici dell’economia mondiale
Indicatori sintetici della performance di lungo periodo delle 100 maggiori imprese mondiali al
1912
PROBABILITA’
- Sopravvivenza nelle prime 100 al 1995
- Sopravvivenza e crescita di dimensione fra il 1912 e il 1995
- Bancarotta o fallimento
- Sopravvivenza come impresa indipendente
- Cessazione
19%
28%
29%
52%
48%
Circa la metà di quelle che nel 1912 erano le 100 più grandi imprese sono
sparite nel corso del secolo XX e poco meno di un terzo è andata incontro ad
una fine poco gloriosa
storia d'impresa 2015-16
➲ le 19 imprese che si mantengono al vertice appartengono però tutte ai settori
indicati da Chandler e ne rispecchiano appieno le pronosticate caratteristiche di
dinamismo organizzativo e innovativo:
➲ sono le imprese che operano nei settori nuovi – chimica, elettricità, petrolio – o in
quelli dei consumi di massa (alimentari, tabacchi, cosmetici etc.) in cui per tempo si era
integrata l’attività di produzione e di distribuzione
✔ Quanto all’ipotesi dell’inferiorità delle imprese britanniche rispetto a quelle di Stati
Uniti e Germania, la tabella mostra un tasso di sopravvivenza per il periodo 1912- 1995
molto più marcato per le imprese britanniche comprese fra le prime cento che per
quello degli altri due paesi.
tab. 5 - Differenziali nazionali di performance delle 100 maggiori imprese al 1912
Ripartiz. delle imprese per sede
Capitalizzazione media (milioni $)
Permanenza nelle top 100 al 1995
Sopravvivenza al 1995
Quota di imprese che crescono
U.S
Germania
54
14
90
59
17%
29%
48%
57%
26%
43%
storia d'impresa 2015-16
G.B.
15
95
47%
60%
40%
Altri
17
56
0
53%
18%
♦ b) Redditività
• La seconda linea di indagine, il confronto della redditività
delle imprese a livello comparato, è risultata finora molto
più problematica:
1. Difficoltà nel ricostruire serie omogenee comparabili fra i diversi
paesi, dato che la determinazione dei profitti delle imprese è
soggetta a consuetudini e normative spesso molto diverse nei
differenti paesi.
- Per poter operare confronti di lungo periodo è necessario
disporre di dati di sintesi, del genere dei ratios impiegati per la
valutazione di bilancio molto difficili da ricostruire a causa della
incompletezza e disomogeneità delle fonti: è possibile ricostruire
il ROE, non il ROI
2. Spesso i profitti ufficialmente denunciati sono diversi da quelli
reali, dato che la ricostruzione degli utili rappresenta la voce di
bilancio che, per varie ragioni – fiscali, innanzitutto –
maggiormente è esposta alla finanza creativa
• In ogni caso le poche stime disponibili sono nate ancora
una volta dai propositi di verificare alcune delle ipotesi di
Chandler.
• Sì è cosi cercato di accertare la supposta inferiorità delle
grandi imprese britanniche rispetto a quelle tedesche
storia d'impresa 2015-16
- la profittabilità del capitale di grandi imprese della Gran Bretagna
risulterebbe superiore a quella di un equivalente campione della
Germania
Il caso spagnolo implica considerazioni divergenti da quelle di Chandler,
cioè una profittabilità tendenzialmente maggiore nelle società
appartenenti alle categorie inferiori del campione;
tuttavia questa indicazione non è conclusiva, visto il gap tecnologicoproduttivo fatto segnare dalla Spagna per la maggior parte del XX secolo.
Tassi di redditività (ROE) della maggiori imprese in alcuni paesi europei
1911-13
Gran Bretagna
Francia
Germania
Spagna
12,8
8,3
10,7
9,7
1927-29 1953-55 1970-72
10,6
9,8
7,2
9,8
8,3
5,8
3,0
10,4
storia d'impresa 2015-16
8,6
5,4
7,2
6,4
1987-89
17,6
14,4
10,5
8,5
Le forme di impresa
1. L’impresa famigliare
♦ L’impresa
familiare non ha attratto l’attenzione di
una specifica letteratura economica o manageriale, che
tende a liquidarla come un retaggio del passato e come
un ostacolo al funzionamento dei meccanismi di mercato,
a causa di sue presunte rigidità in materia di proprietà e di
management.
→ l’azienda famigliare andrebbe considerata soltanto come il
primo stadio del ciclo di vita delle imprese ► per i
seguenti motivi:
1. per la dimensione ridotta
2. per il lento tasso di crescita,
3. per le strategie che preferiscono la distribuzione dei
dividendi, fonte di sostegno della famiglia, agli
investimenti;
4. per il ricorso precipuo all’autofinanziamento e
riluttanza ad attingere a finanziamenti esterni (in
ogni caso per quelli bancari a breve termine e non
mercato azionario) onde evitare la diluizione del
controllo famigliare;
5. per la scarsa propensione alle fusioni o ai take-over,
per non entrare in conflitto con altre famiglie;
6. per fare affidamento precipuamente sui componenti
della famiglia, che impediscono l’ingresso di talento
imprenditoriale esterno e favoriscono il
mantenimento di strutture organizzative arretrate
storia d'impresa 2015-16
► Questa raffigurazione dell’impresa famigliare è condivisa dalla scuola
chandleriana, in cui emerge la contrapposizione fra l’impresa famigliare e
quella manageriale di impronta USA, verso cui convergerebbero tutti i
percorsi di crescita
Le critiche al determinismo del paradigma chandleriano, hanno approfondito
il dibattito sulla natura, le determinanti e le modalità di crescita e di
declino dell’azienda famigliare
I temi principali di tale dibattito sono relativi a: definizione, boundaries,
rapporti col management .
► Il tema dell’impresa famigliare occupa grande spazio nella storiografia
europea, dove tale forma mantiene ancora una discreta vitalità e dove la
transizione verso il capitalismo manageriale non pare al momento
rappresentare ancora l’ineluttabile esito del processo evolutivo delle
imprese
► Si è poi cercato di spiegare il duraturo successo delle imprese famigliari in
determinati contesti quali:
a) elevata incertezza del mercato e/o scarsa efficacia del contesto
normativo perché consente di ridurre i costi di transazione, di far
circolare meglio le informazioni e di limitare con la successione
all’interno del gruppo famigliare i rischi connessi alla sostituzione
della leadership.
storia d'impresa 2015-16
b) settori con ridotte economie di scala, mantenimento di competenze artigianali
e forme organizzative relativamente semplici, come nelle attività più
tradizionali, nell’industria leggera e nella produzione flessibile
In Inghilterra il controllo famigliare sulle 200 maggiori imprese è cresciuto fra le
due guerre dal 55 al 70%.
In Francia gruppi famigliari hanno controllato grandi imprese quali la Schneider e
la Pont-à-Musson fino agli anni ‘60;
In Germania, Siemens e Krupp e sono rimaste in mano alle famiglie fondatrici
fino alla 2° G.M.
- in Svezia grandi banche, il settore dei media e imprese quali Electrolux, SaabScania, la SKF, o Ikea sono famigliari
In Italia oltre ad Agnelli, i Pesenti e i Pirelli, produttori di fama internazionale
impegnati in settori di nicchia o nel rinnovo di settori tradizionali, quali Del
Vecchio e Benetton
Ma non soltanto in Europa:
- Corea del sud, Taiwan o Cile, dove le diverse forme di gruppi di imprese
mantengono una chiara impronta famigliare,
- ma anche Stati Uniti : casi della famiglia Mellon rimasta in controllo della Gulf
Petroleum e della Aluminium Co. e soprattutto dei Ford.
storia d'impresa 2015-16
♦ grande impresa e proprietà familiare
⇛ alla fine del XX secolo più del 15% delle 100 maggiori
•
•
•
•
•
•
corporations americane e
tedesche erano ancora imprese famigliari (con una produzione dell’8% e del 12% del
PNL);
in Svizzera tale percentuale superava invece il 30%,
in Italia sfiorava il 50%;
in Olanda la quota delle aziende a controllo famigliare sulle 5.000 maggiori era del
46%
Ancora in USA dieci anni fa, 12,2 milioni di imprese famigliari generavano più di 1/3
del reddito nazionale.
A quella data in Europa, la stragrande maggioranza delle società con obbligo di
registrazione era rappresentata da imprese famigliari, con punte del 90% e più in
Italia, Svezia, e Paesi Bassi e quote comprese fra il 75 e l’85% in Gran Bretagna,
Germania e Spagna
L’impresa famigliare va considerata come una fra le molte forme d’impresa che si
pongono nel continuum di gerarchie e mercati.
storia d'impresa 2015-16
2 La grande impresa manageriale
Tanto negli Usa che in Europa all’origine della grande impresa moderna vi fu la costruzione
delle infrastrutture, canali e ferrovie
L’influenza delle ferrovie si esercitò attraverso molteplici vie:
• la loro costruzione stimolò fortemente lo sviluppo delle attività industriali a monte (i
cosiddetti backward linkages);
• una volta in servizio, le ferrovie sollecitarono le attività a valle (forward linkages),
tagliando i tempi di percorrenza, consentendo alle imprese di ampliare i propri mercati
e facilitando la movimentazione di merci e passeggeri
• le società ferroviarie fornirono il primo concreto esempio di big business moderno:
impianti di grandi dimensioni, organizzazione complessa, necessità di coordinamento
manageriale, crescente separazione fra proprietà e controllo.
• le necessità finanziarie per far fronte ai colossali investimenti richiesti stimolarono la
raccolta del capitale esterno: la formula preferita fu quella delle obbligazioni ma
specie in USA anche ricorso a emissioni azionarie (rischi speculativi).
storia d'impresa 2015-16
► in Europa
• in Francia la Chemin de Fer du Nord impiegava a fine secolo più di 50.000
addetti
• in UK nel 1860 19 società ferroviarie avevano un capitale in media di 15 milioni
di dollari, vs. una media delle società industriali di 2,5 milioni
• in Prussia tra il 1850 e il 1870 più del 75% degli investimenti totali andò nel
settore ferroviario
► in USA: il fenomeno anticipa gli sviluppi europei (maggiori dimensioni, minor
frammentazione dei mercati ecc.)
•
•
già nel 1855 la compagnia Erie impiegava 5.000 addetti
nel 1910 la Pennsylvania RR impiegava 110.000 addetti
L’entità di queste imprese richiese nuove strutture organizzative e nuove
procedure di coordinamento:
• una organizzazione per funzioni (merci, passeggeri, comunicazioni ecc.), basata
su gerarchie formali distinte per linee di autorità e deleghe di responsabilità
• Ammodernamento delle tecniche contabili
storia d'impresa 2015-16
2.1. La mano visibile e il paradigma chandleriano
♦ La grande impresa manageriale ha trovato in USA le condizioni socio-
economiche migliori per affermarsi:
→ il paese era scarsamente popolato ma aveva abbondanti risorse naturali e
una relativa disponibilità di capitale
→ sviluppo di tecnologie labour saving, ma ad alta intensità di risorse e di
capitale: ➸ precoce spinta alla meccanizzazione.
Di qui:
→ Standardizzazione della produzione - principio delle parti intercambiabili
- in molti settori: industria del legno, edilizia, meccanica (soprattutto di
precisione), alimentare, gomma:
→ american system of manufacturing → catena di montaggio: 1913, Ford T
nella fabbrica di Highland Park (Detroit)
♦ Negli USA verso fine ‘800 si avviò un processo irreversibile di
integrazione delle attività produttive, dal quale sarebbero ben presto
emerse alcune poche grandi imprese dominanti.
storia d'impresa 2015-16
La concentrazione condusse la «mano visibile» della grande impresa a sostituirsi
alla «mano invisibile» del mercato
⇛ si andò cioè delineando in modo netto la tendenza alla internalizzazione
nell'azienda di operazioni e transazioni fino allora coordinate dal mercato,
ormai incapace di assicurare le economie di scala e di ampiezza necessarie a
garantire quell’elevato, crescente flusso di prodotto (throughput) che era ormai
condizione indispensabile per lo sviluppo dell’impresa.
♦ Il «coordinamento manageriale» consentiva all’impresa di sviluppare appieno le
sue potenzialità produttive.
♦ In Usa la grande impresa manageriale integrata si diffuse soprattutto nei settori
caratterizzati da forte cambiamento tecnologico e sollecitati da una domanda
in rapida espansione.
Due gruppi di imprese:
1. quelle appartenenti ai settori del tabacco (American Tabacco), dell’alimentare (
Armour, Pabst, United Fruit, Wrigley's, Coca Cola) e della meccanica leggera
(Singer e McCormick):
- processo di crescita interno, mediante strategie di integrazione a valle nella
distribuzione e nel marketing e a monte nell' acquisizione delle materie prime
→ risorse finanziarie proprie, grazie all' elevato cash-flow generato dalla
produzione e dalla distribuzione di massa
storia d'impresa 2015-16
2. industrie ad elevata intensità di capitale: petrolio, chimica, l'elettromeccanica pesante, la
gomma e poi automobile ( Standard Oil, General Motors, General Electric, US Rubber, Du
Pont):
- strategie di integrazione orizzontale per il controllo dei prezzi e della produzione, poi
ristrutturazione produttiva e organizzativa, caratterizzata da forte spinta anche
all'integrazione verticale
→ ampio ricorso al mercato dei capitali per i massicci investimenti richiesti
♦ Tutte queste imprese avevano una caratteristica comune: quella di essere first movers, cioè le
prime imprese ad aver effettuato grandi investimenti in una triplice direzione:
1.
in economie di scala e di scopo per rafforzare la produzione,
2.
in un’organizzazione della distribuzione che rendesse fluido il collegamento fra l’impresa e il
mercato
3.
in una struttura manageriale di coordinamento e controllo delle due attività precedenti.
→
Le imprese che hanno effettuato tale triplice investimento hanno potuto godere di un forte
vantaggio competitivo, creando delle solide barriere all’entrata (Chandler)
storia d'impresa 2015-16
Quattro strategie consentono alle grandi imprese di continuare
a crescere e a mantenersi ai vertici dell’economia:
→ Due hanno motivazioni essenzialmente difensive, poiché
sono finalizzate a proteggere gli investimenti già effettuati:
1. integrazione orizzontale: una strategia volta ad unirsi con, o
ad acquisire, imprese che utilizzano metodi produttivi simili,
per produrre uno stesso prodotto rivolto ad uno stesso
mercato;
2. integrazione verticale: strategia di assorbimento di unità
attive a monte o a valle del proprio processo produttivo.
→ Due strategie hanno carattere offensivo, sono cioè finalizzate
ad entrare in nuovi mercati e ad intraprendere nuove
attività, sfruttando appieno le proprie capabilities: messe in
atto soprattutto dopo la II guerra mondiale
1. diversificazione produttiva; che da luogo all’impresa
diversificata e/o conglomerata
2. espansione verso aree geograficamente lontane; che da
luogo al fenomeno delle multinazionali
storia d'impresa 2015-16
1. La diversificazione viene generalmente classificata in due categorie,
quella correlata e quella non correlata:
a) la prima riguarda l’espansione dell’impresa in linee di prodotto vicine per caratteristiche tecnologiche, produttive, di marketing e
distribuzione - al core business originario.
→ Ampiamente adottata dalle imprese USA nel II dopoguerra: nel 1949 circa
1/3 delle 500 più grandi imprese USA era classificabile come impresa
diversificata (nella quale cioè nessuna linea di prodotto raggiungeva il
70% del fatturato), venti anni più tardi tale quota sfiorava il 50%.
Nello stesso periodo la quota delle aziende single product dello stesso
campione (che ricavano cioè più del 95% del loro fatturato da un singolo
prodotto) scese però dal 28 al 7%.
Il fenomeno era già ben presente anche nei principali paesi europei, dove
nel 1949 la quota delle diversificate sulle prime cento imprese
raggiungeva già il 40% in Germania, il 36% in Francia e il 27% in Gran
Bretagna.
b) la seconda invece contempla una diversificazione in settori che, sulla
base delle suddette caratteristiche, appaiono remoti, il che dà vita
appunto all’impresa conglomerata: è cioè il punto di arrivo di una
strategia di diversificazione spinta
Negli USA nei primi anni ‘80 la quota delle conglomerate sulle 500 maggiori
imprese arrivò a superare il 22%.
→ Per molta letteratura manageriale, la crisi che colpì il capitalismo
americano negli anni Ottanta andava attribuita proprio agli eccessi di
diversificazione della grande impresa, in particolare alla sua
“degenerazione” nella conglomerata, che oltretutto prestava più
facilmente il fianco ad operazioni di leverage buy-out da parte del suo
management
storia d'impresa 2015-16
Tabella 3.7 Distribuzione settoriale della prime 200 imprese in alcuni paesi
1915 ca.
1973 ca.
1950 ca.
Usa
G.B.
Germ.
12,5
18,5
15,0
8,0
1,5
5,0
2,0
5,0
0,5
-
1,5
0,5
-
-
0,5
2,0
1,0
-
-
6,5
1,5
3,5
5,0
7,0
4,0
6,5
11,0
1,5
3,0
11,5
11,0
4,0
4,0
13,5
11,0
12,0
9,0
12,5
14,0
16,0
12,0
16,0
14,0
2,0
-
2,5
1,0
2,5
1,5
2,5
3,0
1,5
1,5
1,0
3,5
4,5
3,0
4,0
3,0
3,5
3,5
8,0
7,5
6,5
21,0
20,5
27,0
10,5
14,5
16,0
22,5
16,5
12,0
10,5
16,5
15,0
Meccanica (DK)
8,5
3,5
12,5
5,0
11,5
5,0
14,0
3,0
8,0
13,0
14,5
9,0
Macchine elettriche e ottiche (DL)
2,5
3,0
4,5
3,0
3,5
5,5
5,0
9,5
6,5
7,0
10,5
13,0
Mezzi di trasporto (DM)
12,0
11,5
8,0
13,0
14,5
10,5
9,0
8,5
9,5
8,0
7,0
6,5
Altre industrie (DN)
0,5
1,0
-
2,0
1,5
1,5
1,5
0,5
0,5
0,5
0,5
0,5
-
-
-
-
-
-
-
-
9,5
1,0
0,5
1,0
100
100
100
100
Sottosezione
Usa
G.B.
Germ..
Alimentare, bevande e tabacco (DA)
17,5
32,0
13,5
Tessile e abbigliamento (DB)
4,5
13,0
Concia, pelle e cuoio (DC)
2,0
Legno e prodotti in legno (DD)
Italia
Usa
G.B.
Germ.
Italia
14,0
16,0
29,5
11,0
11,0
8,0
32,0
4,0
9,5
13,5
16,0
0,5
1,0
1,0
1,0
-
1,0
1,5
-
0,5
0,5
1,0
0,5
Carta, stampa, editoria (DE)
3,5
4,0
2,0
3,0
4,0
Industria petrolifera (DF)
11,0
1,5
2,5
0,5
Chimica (DG)
10,5
7,0
15,0
Gomma e materie plastiche (DH)
2,5
1,5
Minerali non metalliferi (DI)
2,5
Metallurgia (DJ)
Conglomerate
storia d'impresa 2015-16
Totale
Italia
Le imprese multinazionali
♦ L’espansione verso aree lontane, tramite investimenti diretti in unità
produttive all’estero (FDI) consente all’azienda di sfruttare anche
fuori dei confini nazionali il vantaggio competitivo offerto dalle sue
capabilities.
Avviene così la trasformazione delle imprese manageriali in imprese
multinazionali – o transnazionali - che «controllano operazioni ed
attività che generano reddito in più di un paese».
- Diversi fattori possono spingere l’impresa a creare propri impianti in un
paese estero:
1. tariffe doganali e altri interventi legislativi da questo messi in
atto per aumentare il prezzo dei prodotti importati;
2. il costo del lavoro; il desiderio della società madre di sfruttare
nuovi potenziali mercati;
3. la volontà di prevenire la concorrenza su un determinato
mercato,
4. la scelta di implementare strategie di differenziazione del
prodotto o della marca, in risposta ad esigenze locali
 Nel 1914 la Gran Bretagna era in cima alla lista dei paesi che avevano
effettuato non soltanto i maggiori investimenti di portafoglio
all’estero, ma anche i maggiori FDI
• Per altro a quella data, che segna l’acme dell’ imperialismo europeo,
circa l’80% dei FDI proveniva dal vecchio continente.
storia d'impresa 2015-16
Quota per paese sul totale mondiale
degli investimenti diretti all’estero nel 1911
- Nel 1914 ampio raggio di destinazione degli FDI: Asia (tanto India che Cina) col
21% e America Latina (Messico, Brasile ed Argentina ) col 33% erano i fruitori
principali, seguiti da USA e Europa orientale col 10% ciascuno
- il principale settore di attività delle multinazionali erano le risorse naturali, che
assorbiva il 55% degli FDI, poi i servizi col 30% e l’industria col 15%
- Soltanto una quota ridotta era costituita da imprese manageriali di grandi
dimensioni, di stile americano, come quelle descritte da Chandler.
- La maggior parte delle altre multinazionali invece, era rappresentata da
imprese registrate nella madre patria, ma che in essa non svolgevano alcuna
attività: non erano quindi filiazioni estere di grandi imprese nazionali, bensì
aziende specializzate in una singola attività, prodotto o servizio che fosse,
solitamente in un solo paese.
- Esse sono state identificate a partire da quelle britanniche, di cui se ne
contavano al 1914 parecchie migliaia e denominate dalla Wilkins free standing
companies.
storia d'impresa 2015-16
-
I FDI e le multinazionali ebbero nei decenni pre- 1914 una fase aurea, che si
protrasse, nonostante la guerra, fino al 1929.
♦ Le difficoltà di ordine monetario e la recessione degli anni ‘30, con la
conseguente graduale chiusura delle economie, rallentarono per quasi un
ventennio la crescita degli FDI, a vantaggio della costituzione di cartelli
internazionali fra produttori per il controllo di specifici mercati.
- Crebbe l’importanza del petrolio che, da solo, coprì una ragguardevole parte
dell’attività: nel 1940 USA (28%), G.B. (40%) e Olanda arrivavano all’80% dei
FDI
- con più del 50% dei flussi totali, Asia e America Latina rappresentavano
ancora le aree di maggior attrazione.
♦ A partire dagli anni ‘50 si ebbe invece una forte ripresa.
• Il flusso totale dei FDI crebbe di 5 volte fra la fine degli anni ‘50 e il 1980: gli
stessi tre paesi coprivano ancora più del 60%
- ma gli USA a questo punto facevano la parte del leone, con il 40% del totale
dei flussi diretti verso l’estero, mentre anche il Giappone, con il 7%,
compariva tra i principali investitori → settore manifatturiero
Quota per paese sul totale mondiale
degli investimenti diretti all’estero nel 1980
storia d'impresa 2015-16
♦ La fase più recente dell’evoluzione delle
multinazionali è segnata negli anni ’80 da un
vero e proprio boom dei FDI, cresciuti ad un
ritmo del 15% annuo → globalizzazione.
⇛ Tutti i paesi industrializzati oggi
contribuiscono agli FDI:
• il ruolo degli USA si è gradualmente
ridimensionato
• anche l’Italia vede crescere la propria quota:
poche grandi imprese – Eni, Fiat, Telecom –
ma crescente numero di «multinazionali
tascabili», imprese di medie dimensioni che
perseguono la conquista di nicchie di
mercato all’estero
•
•
Negli anni ‘90 è aumentata la forza
d’attrazione degli FDI dell’Europa (43%) e
degli USA (21%); l’aumento della quota
asiatica (13%) è da collegarsi all’interesse per
la Cina.
Si registra anche un nuovo cambiamento
nella direzione settoriale degli investimenti:
già nel 1992 i servizi assorbivano più del 50%
degli FDI
storia d'impresa 2015-16
Quota per paese sul totale
mondiale degli investimenti
diretti all’estero nel 1993
3.1. I gruppi di imprese, gli ‘ zaibatsu’ e il modello asiatico
♦ La diversificazione ha rappresentato la via maestra di crescita delle
imprese dei paesi di più recente industrializzazione nell'Asia
orientale ed in Sud America.
E’ l’effetto della precoce formazione di gruppi di imprese interrelate
che anziché specializzarsi in una singola linea di prodotti, hanno
sfruttato le tecnologie straniere mature, ormai disponibili sul
mercato, per dar vita a un ventaglio di industrie, sovente
tecnologicamente non convergenti, in grado di attuare
un'aggressiva politica di espansione sui mercati esteri : una
precoce forma quindi di gruppo conglomerato
1. LO ZAIBATSU GIAPPONESE
E’ un grande gruppo diversificato di imprese, posseduto e controllato
da ricche famiglie di origini mercantili - come i big 4, Mitsui,
Sumimoto, Mitsubishi e Yasuda, oltre a zaibatsu minori
• Tra l'epoca Meiji e la II guerra mondiale lo zaibatsu è apparso, con
lo stato, l’istituzione fondamentale nel modello di crescita
giapponese
• Tale forma d’impresa si spiegava anche con la iniziale carenza del
paese di talento manageriale, che spingeva un limitato numero di
imprese a operare in molteplici settori.
storia d'impresa 2015-16
•Il gruppo Mitsubishi venne fondato nel 1870 come
shipping company e ben presto diversificò in un largo range
di attività manifatturiere, dall’elettricità, alla meccanica
all’automobile, alla chimica, alla fotografia (Nikon),
Smembrato dopo la guerra, si ricostituì a partire dal 1952,
acquisendo parte delle compagnie dello Yasuda
•Il gruppo Mitsui ha origini seicentesche come manifattura
di Kimono. La Mitsui bank (1876) fu la 1° banca privata
giapponese e venne rapidamente affiancata da attività
manifatturiere molto diversificate. Dopo la guerra alcune
delle compagnie principali –Toshiba, Suntory, Toyota – si
staccarono: la Toyota divenne a sua volta un grande gruppo
integrato verticalmente
•Il gruppo Sumitomo tre origine da attività lavorazione dei
metalli che datano al 1600; a partire dal 1880 diversifica nel
commercio, nella banca, nell’edilizia, materiale elettrico,
chimica e meccanica (Mazda)
•Lo Yasuda nasce come gruppo finanziario, bancario ed
assicurativo e non diversifica in attività manifatture. Si
scioglie dopo la guerra e le sue attività vengono assorbite
dagli altri gruppi
storia d'impresa 2015-16
The Big Four
Mitsubishi
Mitsui
Sumitomo
Yasuda
Il 2° livello
Asano
Fujita
Furukawa
Mori
Kawasaki
Nakajima
Nitchitsu
Nissan
Nisso
Nomura
Okura
Riken
Shibusawa
Il suo successo favorito dalla presenza di un polmone finanziario rappresentato da
una house bank, con caratteri che replicavano quelli della banca mista di
modello tedesco
- La "democratizzazione dell'economia giapponese" durante l'occupazione
americana portò allo smantellamento degli zaibatsu (e delle grandi famiglie che
li controllavano) coinvolti pesantemente nella militarizzazione dell'economia
giapponese
- Col recupero della sovranità (1952) il governo tornò a favorire la formazione di
gruppi di imprese ( ora denominati keiretsu)
i keiretsu si differenziavano dai precedenti zaibatsu per la maggior democrazia
gestionale, la struttura manageriale e, inizialmente, per la proprietà diffusa del
capitale azionario.
Nuovi gruppi di imprese, a struttura verticale, si andarono affiancando ai vecchi
conglomerati, a struttura orizzontale raggiungendo un'elevata competitività in
settori quali l'automobile (Toyota) o l'elettronica (Sony)
Tanto negli zaibatsu che nei keiretsu, l'aspetto della flessibilità è essenziale: il
fenomeno si spiega
- sia con la prolungata permanenza di un mercato segmentato, che ha richiesto
produzioni di nicchia,
- sia con la diversa organizzazione del lavoro e della produzione che ha da
subito caratterizzato le industrie che facevano parte dell'impresa-gruppo:
gestita non a livello centrale ma a livello delle singole unità produttive
storia d'impresa 2015-16
• Nella sua conformazione a struttura verticale il modo di produzione
giapponese è organizzato in un sistema di gruppi di imprese
organizzate a piramide, al centro del quale vi è un'impresa nucleo –
l’ «azienda guida» - che esercita il coordinamento pianificato delle
attività di gruppo, ovvero delle aziende satelliti che spesso agiscono
da subappaltatrici dell'impresa principale.
• Fra aziende guida e aziende satelliti vi è collaborazione e un
continuo flusso di tecnologia, di maestranze e di manager,
• l'impiego permanente, garantito soltanto ai livelli più elevati della
piramide di imprese, è l'obiettivo di tutti coloro che lavorano nel
gruppo: i lavoratori sono fortemente stimolati a collaborare nel
perseguimento dei comuni fini aziendali.
• Grazie a questo impegno collettivo, le aziende hanno integrato
l'abilità e gli sforzi degli operai al proprio potenziale organizzativo,
• ciò ha consentito al Giappone di essere all'avanguardia in sistemi
di produzione innovativi quali il just in time, i controlli di qualità e la
specializzazione flessibile
storia d'impresa 2015-16
2. Il chaebol coreano
I cromosomi del modello giapponese vennero trapiantati nel tessuto socio-
economico coreano durante l’occupazione giapponese della penisola prima della II
guerra mondiale:
1. un ambiente microeconomico favorevole, creato da uno stato imprenditore e
“sviluppista” dai forti tratti autoritari e dirigisti;
2. l’apprendimento dalle economie più avanzate mediante import di tecnologie adeguate a
settori mid-tech
3. ma, soprattutto, la formazione di gruppi d’imprese diversificate a proprietà famigliare, i
chaebol.
→ Il chaebol, ricalca nelle sue linee essenziali lo zaibatsu, tranne che per il fatto
che esso non può controllare banche
• Il sistema del chaebol si forma nel dopoguerra, quando l’ingresso delle grandi
famiglie in attività economiche sostitutive delle importazioni venne facilitato
dall’acquisizione a condizioni favorevoli di proprietà confiscate ai giapponesi o
da prestiti americani.
• Grazie alla diversificazione spinta, all’aggressiva politica commerciale e agli
investimenti in capacità manageriali, i chaebol hanno registrato una crescita
impressionante:
in un solo decennio, dal 1974 al 1984, la % di PNL dei primi 10 gruppi, passò dal
15,1 al 67,4 del totale;
nel 1988 poco meno del 50% del PNL proveniva dai 4 più grandi chaebol:
Hyundai, Samsung, Daewoo (poi fallito), Lucky Goldstar
storia d'impresa 2015-16
3. Altre forme di gruppi di imprese
♦ I gruppi di imprese non rappresentano una esclusiva dell’Estremo
Oriente: caratterizzati da controllo famigliare, essi si ritrovano
più o meno in tutti i paesi ad industrializzazione tardiva dell’area
del Pacifico, in India e in America Latina:
- in Sud America i grupos - imprese multisocietarie che operano su
diversi mercati ma con gestione e imprenditoriale e finanziaria
unificata - incominciano a formarsi a cavallo del ‘900 e si
moltiplicano negli anni Venti, prima del boom post-crisi delle
multinazionali
- I gruppi sono presenti anche nei paesi più sviluppati - in Francia, in
Svezia e in Germania: è l’esito di una «ricerca di adattamento
organizzativo efficiente» alle esigenze di taluni settori,
complementare al paradigma chandleriano
- In Italia, poi, la diffusione di tale forma di organizzazione ha solide
radici storiche, tanto da essere identificata come una
caratteristica strutturale del nostro sistema economico
storia d'impresa 2015-16
4. Forme flessibili di produzione: reti di imprese e distretti
♦ La specializzazione flessibile attiene all’organizzazione della
produzione in reticoli territoriali di piccola impresa
♦ Secondo alcuni autori essa avrebbe offerto un’alternativa
storica alla produzione di massa altrettanto efficiente e, in
più, avrebbe evitato la de-qualificazione del lavoratore
operata dalla grande fabbrica razionalizzata.
♦ La flessibilità non è una caratteristica nuova nella storia
dell'industria mondiale.
Esempi:
1. la manifattura a domicilio dell'età preindustriale
2. è stata il tratto dominante dell' industria tessile svizzera e di
larghi settori della manifattura francese (la seta di Lione) e
della stessa industria americana (area di Philadelphia)
3. ha accompagnato in modo originale la modernizzazione
dell’economia e della società giapponesi.
4. La specializzazione flessibile, infine, rappresenta l'aspetto più
originale e significativo dei distretti industriali
storia d'impresa 2015-16
Il distretto industriale
☛ può essere definito come una entità socio-territoriale caratterizzata
dalla compresenza attiva, in un’area territoriale circoscritta,
naturalisticamente e storicamente determinata, di una comunità di
persone e di una popolazione di imprese, che tendono a
compenetrarsi
Nel 1959 esistevano in Italia 149 distretti, che davano lavoro
complessivamente a circa 360.000 addetti.
Nel 1971, il numero dei distretti era salito a 166, con una occupazione di
poco più di un milione di lavoratori;
nel 1991, invece si erano censiti 238 distretti, con quasi 1.700.000
occupati.
La localizzazione geografica dei distretti vedeva nel 1991 una netta
prevalenza nella cosiddetta “Terza Italia” – il Nord-est del paese,
alcune aree del centro e la costa adriatica – ma anche in Lombardia,
in Piemonte e in Puglia.
I distretti occupavano più del 50% degli addetti italiani del settore
tessile, dell’abbigliamento e delle calzature, il 40% degli addetti
dell’industria del pellame, di quella della lavorazione del legno e della
produzione di mobili, più del 30% della cartotecnica, della plastica,
della ceramica e del vetro: complessivamente circa un terzo della
manodopera del settore manifatturiero
storia d'impresa 2015-16
Le alternative alla grande impresa: il distretto industriale
clienti
comunità
Territorio
e risorse
fornitori
clienti
clienti
imprese
mercato
fornitori
storia d'impresa 2015-16
Le quattro componenti del distretto industriale
La comunità socio-economica
•un sistema di valori comune
•un sistema di istituzioni e regole
condivise che che genera fiducia
•interscambio continuo
e capacità di assimilazione
La popolazione di imprese
•indipendenza e correlazione
•pluriattività interna a un macro settore
•interpenetrazione tra attività produttiva e comunità
•frazionabilità del processo produttivo
•legami e accordi tra imprese
Le risorse umane
•mobilità del lavoro interna al distretto
•imprenditori senza fabbrica
•sistema delle imprese e sistema delle famiglie
•il lavoro a domicilio
Il mercato
•mercati interni e esterni al distretto
•l’identità di prodotti e strategie commerciali
•le reti per gli approvvigionamenti
•rapporti con il mercato locale dei capitali
•la cooperazione tra imprese
•internalizzazione e esternalizzazione
storia d'impresa 2015-16
Le imprese cooperative
☛ associazioni autogestite e volontarie di individui che si uniscono
fra di loro per soddisfare le proprie aspirazioni economiche,
sociali e culturali e si fondano sui valori della responsabilità e
dell’aiuto reciproco, della democrazia, dell’equità,
dell’eguaglianza e della solidarietà.
- Le cooperative, al pari delle molteplici forme di imprese nonprofit, non rientrano nella tipologia delle imprese capitalistiche,
in quanto le loro strategie e i loro comportamenti sono
subordinati innanzitutto a logiche etico-sociali diverse da quelle
del profitto e del mercato
L’origine delle imprese cooperative risale in Europa all’epoca della
maturazione delle rivoluzione industriale e trae ispirazione dalle
idee di vari esponenti del socialismo utopistico: Robert Owen e
Etienne Cabet
Fin dal primo Ottocento erano attive in Inghilterra le friendly
societies, embrionali società di mutuo soccorso fra i lavoratori,
che prepararono il terreno per la formazione delle prime
associazioni cooperative e l’organizzazione delle trade unions
storia d'impresa 2015-16
La data di inizio: la costituzione in un sobborgo di
Manchester della Rochdale Equitable Pioneers
Society (1844): uno spaccio cooperativo di
prodotti alimentari e di candele, messo in piedi
da qualche decina di operai tessili, con lo scopo
di acquistare all’ingrosso beni di prima necessità
e di cederli ai soci a prezzi vantaggiosi.
Accanto al modello di consumo britannico, la
storiografia ha identificato altri tre modelli di
cooperazione in Europa:[
- In Francia si è avuto soprattutto lo sviluppo di
cooperative di produzione: esse hanno tratto
origine dagli ateliers nationaux, per quanto
soppressi pochi mesi dopo la loro costituzione,
durante l’estate del ’48
- In Germania la cooperazione fu invece
particolarmente intensa nel settore del credito,
dove fin dal 1840 F. W. Reiffesen aveva creato
nella valle del Reno la prima cassa rurale, un
istituto cooperativo ad azionariato popolare con
una attività limitata ai soci, soprattutto piccoli
agricoltori, cui praticava credito a tassi
particolarmente favorevoli
- I paesi scandinavi e la Finlandia, infine, si
segnalarono fin da metà ‘800 per la diffusione
delle cooperative agricole.
storia d'impresa 2015-16
Gli USA rivendicano la primogenitura in fatto di
cooperazione (1756, Philadelphia: mutua
assicurazione) e vantano la paternità del
simbolo
Una forte presenza di cooperative agricole nel
paese fino ai giorni nostri: il 30% del
prodotto delle imprese agricole arriva al
mercato tramite cooperative
- Il loro sviluppo interessò soprattutto le aree a
ovest dei Grandi laghi - Wisconsin,
Michigan e Minnesota - terra d’approdo dei
consistenti flussi di immigrazione
scandinava e finlandese, che portarono con
sé le esperienze di cooperazione della
patria d’origine.
- Una seconda fase si ebbe durante il New
Deal roosveltiano quando venne agevolata,
sia a livello finanziario che normativo, la
costituzione di cooperative di consumo e,
soprattutto, di cooperative rurali per il
trasporto e la distribuzione dell’energia
elettrica
- Nel 2005 in Usa ca. 30.000 coop, 2/3 in
agricoltura, edilizia, energia e credito (128
milioni di soci)
storia d'impresa 2015-16
In Italia il movimento mosse i primi passi nel Regno di Sardegna: nel
1854 venne costituita a Torino la prima cooperativa di consumo.
- Il cammino della cooperazione ha poi avuto un avvio lento e faticoso
nella seconda metà dell’800, un decollo geograficamente
circoscritto in età giolittiana, e, successivamente un periodo difficile
durante il fascismo
- Nel dopoguerra notevole incremento quantitativo e qualitativo,
concentrato soprattutto, inizialmente al Nord:
- in Emilia Romagna e in Toscana, dove si afferma la Lega delle
cooperative, di matrice social-comunista
- Nelle tre Venezie e in Lombardia dove si radicano soprattutto le
cooperative bianche legate alla Confcooperative
- Dagli anni ’80 significativa affermazione anche in Puglia e
Campania, seppure con unità di minori dimensioni
- Il movimento mostra agli inizi un certo eclettismo, poiché nessuna
delle quattro attività prima ricordate risulta predominante
storia d'impresa 2015-16
La cooperazione in Italia
storia d'impresa 2015-16
- Alla fine del ‘900 le cooperative costituivano una componente di
tutto rispetto dell’economia italiana:
– stime recenti e provvisorie fanno riferimento a più di 70.000 imprese
con circa 11,5 milioni di soci e un’occupazione di più di un milione di
persone
– 1,4% di tutte le imprese, 6% della forza lavoro, 4,4% del fatturato
• Negli ultimi decenni si è anche precisato meglio il tipo di attività
prevalente:
– Soprattutto cooperazione di consumo (2,4%), edilizia (3,8%), agricole e
alimentari (37,3% degli occupati del settore)
– Ma anche banche e servizi (9%)
– Resta fortemente minoritaria la cooperazione nel settore manifatturiero,
come per altro anche nel resto d’Europa
• Secondo molti autori le coop hanno avuto un ruolo fondamentale
nella modernizzazione della “provincia” italiana (management,
gestione ecc.)
storia d'impresa 2015-16
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