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Prof. Salvatore Costa: Lezioni di
LABORATORIO DI FISICA 2
1
Lezione n.11
TUBI ELETTRONICI
2
INTRODUZIONE
Noti anche come valvole termoelettroniche o
valvole termoioniche.
 Erano componenti standard di antichi apparecchi
radiotelevisivi.
 Tecnologicamente: superati dai transistors.
 Didatticamente: rimane invariata l’ importanza di
studiarne il comportamento per mettere in
evidenza, comprendere e caratterizzare il
fenomeno fisico sul quale il loro funzionamento si
basa: l’

Effetto termoelettronico (o termoionico)
3
EFFETTO TERMOELETTRONICO








A ogni data temperatura, gli elettroni quasi liberi di un metallo, nel suo interno, non si muovono tutti
con la stessa velocità poiché non possiedono tutti la stessa energia cinetica. Alla superficie del
metallo ciò può fare sì che qualche elettrone dotato di sufficiente energia cinetica sfugga
spontaneamente dal metallo.
Per ogni elettrone che lascia il metallo, questo assume una corrispondente carica positiva, che
esercita sull’ elettrone che si sta allontanando dal metallo una forza attrattiva che lo richiama nel
metallo.
Alla superficie del metallo si crea, quindi, una nuvola dinamica di elettroni che, usciti da esso,
successivamente vi ricadono. Questa nube di carica negativa, chiamata carica spaziale, ostacola
l’uscita di altri elettroni dal metallo.
A bassa temperatura, il numero di elettroni usciti dal metallo è basso e inoltre essi possiedono una
energia cinetica piccola che non riesce a farli allontanare molto dal metallo, per cui la loro emissione
è praticamente inosservabile e la carica spaziale è poco estesa.
Se si aumenta la temperatura del metallo cresce sia il numero di elettroni che possono uscire da
esso sia la loro energia cinetica; conseguentemente la nuvola di carica spaziale si allunga
estendendosi di più.
Ma acuni elettroni acquistano una velocità talmente elevata, e alcuni hanno la direzione giusta, da
superarne i confini muovendosi, poi, quasi liberamente nello spazio esterno a essa.
Questi elettroni sono quelli che dànno luogo alla cosiddetta emissione
termoelettronica, cioè causata da somministrazione di calore.
Il fenomeno è convenientemente sfruttato in un dispositivo detto diodo a vuoto.
4
DIODO A VUOTO: SCHEMA DI PRINCIPIO

Lo schema di principio di un dispositivo
che sfrutti e evidenzi l’ effetto
termoelettronico comprende:
1.
2.
3.


Un metallo riscaldabile, che emette
elettroni, detto catodo C.
Un secondo elemento metallico che
può essere raggiunto da (alcuni de)gli
elettroni, detto anodo o placca (P).
Un percorso conduttore esterno e un
(milli-)/(micro-)amperometro che
possa evidenziare un passaggio di
corrente, imputabile esclusivamente
all’ emissione.
Se il dispositivo è in aria il numero di
elettroni emessi che riescono a
raggiungere l’ anodo è trascurabile a
causa degli urti con le molecole di aria.
Allora si racchiude il tutto in una
ampolla in cui è praticato il vuoto.
e-
P
A
i
C
i
5
DIODO A VUOTO: DISPOSITIVO REALE
Nella realizzazione pratica, allo schema di
principio si apportano alcune migliorie.
1. Per prolungare la durata del catodo lo si
riscalda indirettamente, riscaldando un
filamento di altro materiale, che di per sé
emette pochi elettroni, posto molto vicino
al catodo.
2. Invece di utilizzare una sorgente di calore
estemporanea, si inserisce il filamento da
riscaldare in un altro circuito in cui circola
corrente (continua o alternata). Dunque il
filamento si riscalda per effetto Joule.
3. Nel circuito esterno tra C e P si inserisce
una sorgente di f.e.m. che stabilisce una
d.d.p. tra C e P, detta di “polarizzazione”,
che “attira” verso P gli elettroni sfuggiti da
C , permettendo quindi sia di assottigliare
la nuvola di carica spaziale, sia a ulteriori
elettroni di superarla più facilmente.

e-
P
A
i
C
i
6
DIODO A VUOTO: COMPORTAMENTO - 1





Ogni elettrone emesso subisce una forza
che lo respinge verso il catodo a causa
della regione di carica spaziale negativa.
Esso possiede una velocità di emissione
di direzione e modulo variabili.
A ogni data temperatura, la distribuzione
dei moduli della velocità è maxwelliana.
Quindi una frazione di elettroni, piccola
ma crescente con la temperatura, avrà
velocità sufficiente in modulo, e una
frazione di questi anche una direzione
appropriata, per superare la regione di
carica spaziale nonostante la forza
repulsiva subìta: basta che la sua
energia cinetica sia maggiore dell’
energia potenziale del campo elettrico
contrario che incontra inizialmente.
La distribuzione spaziale del potenziale
al variare della distanza y nella regione
tra C e P, per diversi valori della d.d.p. di
“polarizzazione”tra C e P, è questa:
V
saturazione
(no carica spaziale)
VP3>VP2
VP1>VP2
VP1
catodo
anodo
y
carica
spaziale
7
DIODO A VUOTO: COMPORTAMENTO - 2




È intuitivo che la corrente nel circuito esterno sarà tanto maggiore
quanto maggiore è la d.d.p. tra C e P, in quanto un maggior numero di
elettroni emessi sarà accelerato a sufficienza da superare la regione di
carica spaziale (che peraltro si riduce) e raggiungere la placca;
ma è altresì chiaro che quando tutti gli elettroni emessi sono accelerati
abbastanza da raggiungere la placca, la corrente non può più crescere;
del resto, il tasso di emissione degli elettroni è ovviamente funzione
della temperatura.
L’ intensità di corrente massima Is ottenibile da un catodo di superficie
S, portato ad una temperatura T (°K), è data dalla legge di Richardson:
2  eV
kT
I S  AST e
dove A  120 A/(cm2·°K2) è una costante uguale per tutti i metalli, k è la
costante di Boltzmann, e V è il cosiddetto potenziale di estrazione, una
grandezza che moltiplicata per la carica e dà l’ energia (o lavoro)
necessaria per estrarre un elettone da un particolare metallo. Es. per
tungsteno: V = 13 V.
8
DIODO A VUOTO: STUDIO

L’ andamento della corrente nel circuito esterno (detta “corrente di
placca” o “corrente anodica”) in funzione della d.d.p. tra catodo e
placca, cioè la curva IP = f(VP), costituisce la“caratteristica” del diodo.
Per studiarla in Lab adoperiamo questo circuito:
+
+
0/300 V
-
+

VP
-
IP -
P
F
C
6.3V ~
If
Rs
9
DIODO A VUOTO: CARATTERISTICA
La “caratteristica” attesa è, qualitativamente, di questo tipo
[illustrata dettagliatamente negli “approfondimenti”]:
IP
Is(T2)
(If2)
IP = AST2e-eV/kT
Is(T1)
(If1)
Io(T)
IP = kVP3/2 (Legge di Langmuir-Child)
IP
VP
Io(T)
VP
Poiché la caratteristica non è lineare non si può
parlare di resistenza del diodo nel senso ohmico.
Però in ciascun tratto di pendenza ~cost si può
definire un valore locale di resistenza interna
differenziale del diodo :
VP  VP
 
che è funzione di VP.
2
1
I P2  I P1
10
RILIEVO CARATTERISTICA: ASPETTI PRATICI




Evitare di adoperare temperature (= correnti) troppo basse del filamento: l’
intera curva potrebbe giacere così in basso da essere non o appena
rilevabile data la sensibilità del micro-, o peggio milli-amperometro.
Eseguire la misura per almeno 2-3 temperature diverse.
Potrebbe non essere possibile rilevare l’ intera curva con un unico
strumento (milli- o micro-amperometro). In tal caso misurare almeno alcuni
punti nella zona di passaggio con entrambi gli strumenti per eseguire se
necessario la normalizzazione dell’ uno all’ altro.
Per rilevare la caratteristica nel tratto a VP negative (“caratteristica inversa”)
bisogna:




Polarizzare il diodo inversamente, cioè invertire i poli dell’ alimentatore.
Invertire di conseguenza i collegamenti del voltmetro che misura VP
NON invertire i collegamenti dell’ amperometro, dato che IP scorre sempre nello
stesso verso pur riducendosi verso 0.
Usare certamente il micro- e non il milli-amperometro, o se necessario e
disponibile, un galvanometro.
11
LEGGE DI LANGMUIR-CHILD



Verificare la legge con un best-fit limitato ai punti nella zona di VP
positive e che appare approssimativamente comune a tutte le
temperature.
a
Usare la funzione I P  cVP
lasciando quindi a libero e non vincolato al valore 1.5
Linearizzarla in
ln I P  ln c  a ln VP  y  ax  b


Teoricamente si dovrebbe trovare a = 1.5, ma sperimentalmente a
dipende fortemente dal fatto che siano perfetti (o meno) allineamento e
planarità degli elettrodi e varia da ~1 a ~1.8.
L’ altra costante, c, ricavabile pure dal best-fit è caratteristica del
particolare materiale del catodo e della forma e dimensioni di entrambi
gli elettrodi.
12
TERMINOLOGIA: “DIODO”




Dall’esame della caratteristica di un diodo si evince che esso,
utilizzato come elemento in un circuito, presenta una resistenza
diretta (quando l’anodo è a potenziale positivo rispetto al catodo),
relativamente bassa (non costante!!! )
In tal caso il diodo si dice nello stato di conduzione.
Al contrario, quando l’anodo è negativo rispetto al catodo, il diodo
lascia passare solo una debolissima corrente, ossia presenta una
resistenza inversa di valore molto elevato.
Questo stato si dice di interdizione.
13
USO DEL DIODO A VUOTO

Data la proprietà di far passare nel circuito anodico una
corrente elevata quando la tensione che lo polarizza è in
un verso e una corrente piccola o nulla quando la
tensione di polarizzazione è nel verso opposto, il diodo
viene impiegato per “raddrizzare” una tensione
alternata, cioè per selezionare solo parti di un verso
(“positive”) da una tensione che alternativamente nel
tempo assume valori dell’ uno o dell’ altro verso.
14
TRIODO A VUOTO



Se tra il catodo e l’anodo di un diodo si interpone un terzo elettrodo,
costituito - a seconda della geometria - da un sottile filo metallico
avvolto attorno oppure da una reticella posta vicino al catodo, si può
controllare la corrente anodica sia variando il potenziale dell’ anodo
rispetto al catodo (come nel diodo) sia variando il potenziale di
questo terzo elettrodo (sempre rispetto al catodo).
Tale terzo elettrodo e’ detto griglia, G, e il tubo a vuoto così realizzato
si chiama triodo.
Nella costruzione del triodo, la distanza tra catodo e griglia è minore
di quella tra catodo e anodo, cioè la griglia è posta vicino al catodo.
P

Simbolo del triodo a vuoto:
G
C
15
TRIODO: COMPORTAMENTO





In generale, in un triodo la corrente di placca è funzione
sia di VP che di VG: IP = f (VP , VG ).
Per un fissato valore costante del potenziale anodico VP
e con la griglia allo stesso potenziale del catodo (VG= 0),
la corrente anodica assume un certo valore IP, come se
si trattasse di un diodo.
Se adesso portiamo la griglia ad un potenziale negativo
rispetto al catodo (cioè inferiore a quello del catodo) essa
respinge una parte degli elettroni che contribuiscono a
questa corrente per cui essa diminuisce rispetto al
valore assunto quando VG = 0. Man mano che si rende
più negativa la griglia un maggior numero di elettroni
viene respinto e la corrente anodica diminuisce sempre
più fino a quando tutti gli elettroni vengono respinti e non
circola più corrente nel circuito esterno: il triodo è portato
nello stato di interdizione.
Al contrario, se la griglia viene posta a un potenziale
positivo rispetto al catodo (cioè maggiore di quello del
catodo), il numero di elettroni che possono raggiungere la
placca aumenta e, perciò, la corrente anodica – nella
zona rappresentata dalla legge di Langmuir-Child,
talvolta detta anche zona “attiva” - cresce rispetto al
valore “da diodo”presentato per VG= 0.
La distribuzione spaziale del potenziale in funzione della
distanza y nella regione tra C e P, per un dato valore della
d.d.p. di “polarizzazione”tra C e P, ma per diversi valori
della d.d.p. di “regolazione”tra C e G, è questa:
V
VG>0
VG=0
VG<0
catodo griglia
anodo
y
16
TRIODO: CARATTERISTICA


La caratteristica di un triodo, essendo una funzione di due variabili
IP = f (VP , VG ), può essere rappresentata compiutamente solo con un
grafico tridimensionale.
È usanza tuttavia rappresentare questa caratteristica con sezioni
bidimensionali, cioè con famiglie di curve:




IP = f (VP , VG ) |VG = cost “caratteristiche anodiche” (curve concettualmente
analoghe a quelle del diodo, ma per valori di VG fissati).
IP = f (VP , VG ) |VP = cost “caratteristiche mutue” (al variare di VG, per valori di VP
fissati).
È chiaro che una stessa variazione IP della corrente anodica può essere
ottenuta sia con una variazione VG della tensione di griglia sia con una
variazione VP della tensione anodica, ma conseguenza della geometria di
costruzione del triodo [di proposito così scelta], in cui la distanza tra catodo
e griglia è minore di quella tra catodo ed anodo, è che per avere una data
variazione IP della corrente anodica, basta una VG< VP .
Come vedremo in dettaglio più avanti, da tale conseguenza discende la
possibilità di impiegare il triodo come amplificatore di tensione.
17
TRIODO: STUDIO

Le “caratteristiche” del triodo possono essere
studiate in Lab mediante questo circuito:
+
+
0/300 V
-
IP
P
+
G
F
VP
-
0/30 V
+
-
C
VG
+
6.3V ~
18
TRIODO: CARATTERISTICHE ANODICHE
ATTENZIONE:
Andamento tipico. I valori riportati sono solo esempi.
I valori reali dipendono dal particolare triodo adoperato !
IP(mA)
25
VG = +2 V
20
VG = 0 V
15
-1
-2
-3
-4
-5
10
5
Io(T)
0



100
200
300
400
VP(V)
Per VG=0 abbiamo la caratteristica del diodo.
Per VG via via più bassi (“negativi”) occorre una VP via via maggiore per (ri-)ottenere una data corrente IP.
Quindi le curve si spostano via via più a destra.
Per VG>0 a qualsiasi VP nella zona attiva più elettroni riescono a raggiungere la placca, quindi la corrente è
maggiore che per VG=0 e la curva si sposta in alto. Inoltre cambia forma a causa di cambiamenti nella
configurazione della nuvola di carica spaziale.
19
TRIODO: CARATTERISTICHE MUTUE
IP(mA)
20
VP = 100 V
VP = 200 V
VP = 250 V
ATTENZIONE:
Andamento tipico.
I valori riportati sono solo esempi.
I valori reali dipendono dal particolare
triodo adoperato !
15
10
5
VG(V)
-6




-4
-2
0
Per ogni valore di VP la corrente anodica IG decresce al crescere del potenziale di griglia VG .
Per ogni valore di VP vi è un valore VG a cui la corrente anodica IG si riduce a zero. Questo valore di VG è
detto di interdizione.
La corrente si annulla perché al potenziale di interdizione nessun elettrone emesso dal catodo può
raggiungere l’anodo a causa del campo elettrico catodo-griglia contrario al suo moto.
Il meccanismo fisico con cui VG agisce è identico al caso del diodo polarizzato inversamente.
20
TRIODO: PARAMETRI

Dall’ inverso della pendenza di ciascuna delle curve caratteristiche anodiche si può definire una resistenza interna
differenziale del triodo, analogamente al diodo:   (VP  IP ) |VG = cost che come per il diodo è funzione di VP .




Dalla pendenza di ciascuna delle curve caratteristiche mutue si può definire una conduttanza mutua del triodo: S
(IP  VG) |VP = cost che è funzione di VG .




In regioni limitate le caratteristiche anodiche sono ~ parallele.
Le  ricavate da dati in quelle regioni dovrebbero essere ~ uguali tra loro.
Verificherete sperimentalmente se, considerate le incertezze sperimentali di ciascuna, i valori di  trovati sono compatibili o no.
In regioni limitate le caratteristiche mutue sono ~ parallele.
Le S ricavate da dati in quelle regioni dovrebbero essere ~ uguali tra loro.
Verificherete sperimentalmente se, considerate le incertezze sperimentali di ciascuna, i valori di S trovati sono compatibili o no.
Pensando alle condizioni in cui si potrebbe avere una IP costante pur variando le due tensioni si definisce il
cosiddetto coefficiente di amplificazione del triodo:    (VPVG ) |IP = cost .


Significato: se si varia (aumenta in valore assoluto, quindi: diminuisce) la tensione di griglia di VG , la corrente anodica diminuirà;
per ricondurla al valore precedente occorre variare in senso opposto (aumentare) la tensione di placca di VP=  VG . Ma poiché
la griglia è più vicina al catodo rispetto alla placca risulta 1, cioè la variazione di VP necessaria è in valore assoluto  volte più
grande di quella di VG .
Sperimentalmente,  si può ricavare dai dati raccolti, organizzati - eventualmente interpolando - a gruppi con IP costante, ma
matematicamente vale anche che:
 I 
 I 
 I 
 I 
1
I P  f (VP , VG )  dI P   P 
dVP   P 
dVG  I P   P 
VP   P 
VG 
VP  SVG

 VP VG  const
 VP VG  const
 VG VP  const
 VG VP  const
I P  const  I P  0 


 V 
1
VP  VG  (1)
VP  SVG  0    P 
   S  I P 


 VG  I P  const
1
Dunque sperimentalmente si possono anche confrontare un valore ricavato “direttamente” dai dati con uno ricavato
“indirettamente” mediante la (1) utilizzando  e S determinati direttamente.
Altro modo di percepire il significato di  : se si varia la tensione di placca di una quantità VP a , mantenendo costante VG (VG 
0) la corrente anodica varierà di IP a  , ma se della stessa quantità a si variaVG , VG a , mantenendo costante VP (VP  0) la
corrente anodica varierà di IP  a  cioè  volte di più.
21
USO TRIODO COME AMPLIFICATORE


L’ idea di amplificazione, intrinseca al funzionamento interno del triodo, può
essere sfruttata per amplificare una tensione alternata esterna:
Che significa?
P
G
C
Energia elettrica


Questo può essere ottenuto inserendo nella scatola un circuito che
comprende un triodo e un resistore, con collegamenti opportuni.
L’ aumento di ampiezza costa energia. Questa proviene dalle 3 tensioni che
alimentano il triodo (Vfilamento, VP, VG).
22
AMPLIFICATORE A TRIODO - 1
Basta aggiungere al circuito base del triodo:
1. Un resistore di carico Rc nella maglia di placca
2. La tensione alternata da amplificare Vin =Vosenwt in serie alla tensione di griglia
La tensione alternata amplificata Vout si preleva ai capi di Rc.
Vout
IP
Rc
P
G
E
F
VP
C
Vin
VG
~
23
AMPLIFICATORE A TRIODO - 2

Dopo l’ inserimento di Rc, il conteggio delle d.d.p. nella maglia di placca dà:
E  I P Rc  VP  0  E  I P Rc  VP  VP  E  I P Rc


L’ aggiunta della tensione sinusoidale Vin =Vosenwt (il “segnale”) alla maglia di griglia fa sì che, istante per istante, la
d.d.p. tra catodo e griglia vale V’G= VG+Vosenwt  V’G (t) .
La variazione di questa tensione è la sua ampiezza V’G = ±Vo (esempio: ±0.3V)
V’G(t)
0.3V
0-
VG



t
VG
-1 -

Vin
VG+Vin
Adesso che questa V’G(t) varia sinusoidalmente, il numero di elettroni che raggiungono la placca fluttuerà
sinusoidalmente e quindi anche IP varierà sinusoidalmente.
Allora anche VP varierà sinusoidalmente in quanto differenza tra un termine costante (E) e uno che varia
sinusoidalmente (IP Rc).
Infine la d.d.p. ai capi di Rc, Vout, varierà sinusoidalmente in quanto Vout=IP Rc.
L’ ampiezza della variazione di Vout deve essere uguale a quella di VP (Vout =VP ) ma le loro sinuosoidi devono essere
sfasate di mezzo ciclo nel tempo, in quanto istante per istante la loro somma deve essere uguale al valore costante E.
24
AMPLIFICATORE A TRIODO - 3


Rimane ora da valutare l’ ampiezza di Vout e quindi il fattore di amplificazione (rapporto tra le ampiezze di Vout e Vin ).
Ri-consideriamo come il differenziale di IP dipende da V’G e VP :
I P  f (VP , VG' )  I P 

1

VP  SVG'
(1)
Differenziamo anche la legge di Kirchoff applicata alla maglia di placca:
E  VP  I P Rc  0  VP  Rc I P  I P  





(2)
Eguagliando (1) e (2) si ottiene:


VP
Rc
VP
1
1 VP
1 VP
 SVG' 
VP  

S

Rc

Rc VG'
 VG'
Vout
SRc
Rc
VP
S
S

 
 
 
 
 A
'
VG
Vin
  Rc
 ùRc
 1
   Rc 
1



 
R

R

c
 c



A è il fattore di amplificazione cercato. Esso dipende dalla resistenza Rc inserita nel circuito anodico e dai parametri
caratteristici del triodo.
Il segno meno rappresenta il fatto che istante per istante le tensioni sinusoidi Vout e Vin hanno segno opposto.
Poiché si costruisce il triodo in modo che sia 1, solo se fosse Rc <<  potrebbe essere A < 1.
In genere si sceglie una Rc >>  quindi Rc +  Rc e l’amplificazione ottenuta del “segnale” A  .
25
Lezione n.12
SEMICONDUTTORI
26
CONDUZIONE NEI SEMICONDUTTORI





I semiconduttori sono una classe di conduttori non ohmici di larghissimo impiego nei moderni apparati elettronici
che grazie ai semiconduttori hanno visto una riduzione sempre maggiore delle loro dimensioni (circuiti integrati).
Nei conduttori, il processo attraverso cui avviene la conduzione elettrica è la deriva di particelle cariche (gli
elettroni, nel caso di un solido come un metallo) a causa di un campo elettrico.
Nei materiali semiconduttori il meccanismo dominante è invece la diffusione di particelle cariche tra zone
ad alta densità e zone a bassa densità di particelle cariche mobili, precisamente tra regioni aventi
rispettivamente abbondanza e scarsità di particolari tipi di portatori di carica.
La denominazione “semiconduttori” è dovuta dal fatto che la loro resistività (e quindi il suo inverso, la conduttività) è
intermedia tra quella tipica di un conduttore metallico e quella di un materiale isolante. La ridotta conduttività del
semiconduttore rispetto al conduttore è dovuto proprio al diverso meccanismo dominante di spostamento dei
portatori di carica.
L’ ordine di grandezza di  e di altre rilevanti grandezze fisiche per un tipico materiale semiconduttore sono riportati
in questa tabella, a confronto con un tipico conduttore e un tipico isolante.
materiale
densità portatori
di carica (m-3)
resistività Coeff. Termico di
 (.m) resistività α (°K-1)
conduttore (rame)
1029
10-8
+ 4·10-3
semiconduttore (silicio)
1016
103
- 7·10-2
isolante (vetro)
0
1012
0
27
STRUTTURA ATOMICA SEMICONDUTTORI

Per comprendere – e poi sfruttare
tecnicamente - il meccanismo di
diffusione mediante il quale avviene la
conduzione nei semiconduttori, è
indispensabile partire dalla loro struttura
atomica nello stato solido.






I più comuni semiconduttori, silicio (Si) e
germanio (Ge), formano nello stato solido un
reticolo cristallino di forma cubica.
I loro atomi possiedono 4 elettroni di valenza.
Nel reticolo cristallino ciascun atomo è legato
a 4 atomi vicini mediante 4 legami covalenti
che utilizzano i 4 elettroni di valenza di
ciascuno.
In ogni legame vengono dunque condivisi 2
elettroni
Ciascun atomo è circondato da uno strato
chiuso di 8 elettroni.
Con questa struttura, in un ipotetico stato a
0°K tutti gli elettroni sarebbero fortemente
legati ai loro atomi e, non essendoci portatori
di carica liberi di muoversi, il materiale si
comporterebbe da isolante.
28
TEORIA A BANDE NEI SOLIDI - 1


Il secondo passo per comprendere il meccanismo mediante il quale avviene la conduzione nei
semiconduttori è introdurre la cosiddetta teoria a bande, che in realtà consente di descrivere in modo
unificato la conduzione in tutti i solidi.
Vediamo le idee di base di questa teoria:


In un atomo isolato si sa che gli elettroni occupano un numero discreto di livelli energetici, ciascuno dei quali è
caratterizzato da un valore per l’ energia totale posseduta dagli elettroni che occupano quel livello.
In un materiale solido, costituito quindi dall’insieme di moltissimi atomi, a causa dell’interazione reciproca fra
questi, i valori di energia di ciascun singolo livello in ciascun atomo possono essere leggermente alterati. Come
risultato abbiamo nel solido moltissimi livelli energetici, che si raggruppano in alcune bande di livelli singoli
vicinissimi in energia fra di loro

in un solido una banda energetica è larga pochi eV e contiene i livelli energetici di un numero di atomi dell’ordine del
numero di Avogadro!
E
b.conduz.
(vuota)
E ~ 1 eV
E ~ 10 eV
b. valenza
isolante
conduttore
semiconduttore
29
TEORIA A BANDE NEI SOLIDI - 2


La o le bande inferiori comprendono i livelli energetici occupati dagli elettroni più “interni”, che in nessun caso
partecipano alla conduzione (rettangoli tratteggiati)
La banda di energia più alta (rettangoli bianchi) è detta banda di conduzione. Contiene i livelli su cui un elettrone
deve trovarsi per essere non più legato a uno specifico atomo e quindi disponibile per la conduzione.





In condizioni normali questa banda è parzialmente occupata nei conduttori, vuota negli isolanti.
La banda immediatamente sotto di essa (rettangoli neri) viene chiamata banda di valenza. Contiene i livelli energetici
occupati dagli elettroni che formano i legami tra gli atomi.
Le bande possono essere separate da intervalli di energia E non permessi, cioè valori di energia che nessun
elettrone può possedere in nessuna circostanza. Questo è conseguenza del fatto che nei singoli atomi i valori di
energia tra un livello e il successivo non sono permessi.
L’intervallo E non permesso tra banda di valenza e di conduzione è detto gap. Questo intervallo di energia proibita
corrisponde al fatto che per rompere un legame di valenza occorre fornire proprio una energia E. Se si fornisce una
quantità di energia minore di E il legame non si rompe in quanto l’elettrone non può assorbirla.
Questo schema spiega in maniera semplice la conduzione negli isolanti, nei conduttori, e anche nei semiconduttori:



Negli isolanti il gap è di ~10 eV, una energia enorme per un elettrone di valenza che quindi ha una probabilità trascurabile di
“liberarsi”, cioè passare nella banda di conduzione e muoversi tra gli atomi.
Nei conduttori le due bande si sovrappongono senza alcun gap. Dunque parecchi elettroni si trovano normalmente in un livello
sufficientemente alto per la conduzione e il loro numero non aumenta significativamente con la temperatura.
Nei semiconduttori il gap c’ è ma è di solo ~1 eV, dunque eccetto che se fossimo a 0°K può essere “saltato” spontaneamente da
un certo numero di elettroni per agitazione termica. APPROFONDIAMO QUESTO FENOMENO NELLA PROSSIMA SLIDE 
30
CONDUZIONE IN SEMICONDUTTORE PURO






A 0°K n un materiale semiconduttore puro (detto “semiconduttore intrinseco”) non ci sono cariche libere nella banda
di conduzione perché a questa temperatura nessun elettrone può acquistare energia per superare il seppure piccolo
gap e quindi il semiconduttore presenta le caratteristiche elettriche di un isolante.
A ogni temperatura realistica qualche elettrone può acquistare, per agitazione termica, l’energia sufficiente a
superare il gap e passare, quindi, nella banda di conduzione aumentando la conducibilità del materiale. Più è alta la
temperatura. più elettroni passano nella banda di conduzione, dove sono liberi, e la conducibilità del semiconduttore
aumenta o, che è lo stesso, la sua resistività diminuisce. Il coefficiente termico di resistività è, quindi, negativo.
La relazione che lega la resistività di un semiconduttore puro al particolare valore del suo gap E e alla temperatura
assoluta T è data da   AeE/kT dove A è una costante e k la costante di Boltzmann.
Quando un elettrone passa dalla banda di valenza a quella di conduzione, nella banda di valenza rimane un “vuoto”
di carica negativa. Tale mancanza di carica viene chiamata buco (hole) o lacuna.
Una lacuna può essere riempita di nuovo da un elettrone o già nella banda di conduzione o proveniente da qualche
legame vicino che si rompe (e quindi saltato su dalla banda di valenza). Quando questo accade, cioè quando un
elettrone si ricombina con una lacuna, poiché l’elettrone aveva ricevuto una energia E, è costretto a ri-emetterla
sotto forma di fotoni o di calore, tornando quindi nella banda di valenza. Questa energia può essere assorbita da un
altro elettrone che può rompere così il suo legame e creare un’altra coppia elettrone-lacuna; in tal modo si genera
anche un moto delle lacune (energeticamente collocate nella banda di valenza) attraverso il reticolo cristallino.
Se, ora, si applica un campo elettrico, sia il moto di elettroni sia quello delle lacune acquisteranno una componente
nella direzione del campo.
In un semiconduttore intrinseco, la conduzione avviene sia per cariche
negative (gli elettroni) che per altrettante cariche positive (le lacune).
31
CONDUZIONE IN SEMICONDUTTORE DROGATO
• E’ possibile variare in modo controllato la conduttività di un semiconduttore introducendo nel suo reticolo cristallino un numero
controllato di impurità (atomi di specifici altri elementi) che vadano a sostituire alcuni degli atomi del semiconduttore.
L’ introduzione si effettua per diffusione ad alta temperatura.
 Basta sostituire un atomo estraneo ogni 106÷107 atomi di semiconduttore perché la resistività si riduca di un fattore 10.
• Un semiconduttore in cui sono stati inseriti atomi di impurità si dice “drogato”. Ma vi sono due possibilità, che producono entrambe una
diminuzione di resistività, ma con due meccanismi di conduzione diversi!

Se l’ impurità introdotta è un elemento
pentavalente (P, Sb, As) la conduzione nel
semiconduttore avviene essenzialmente per
cariche negative (elettroni):




Infatti tutti i legami covalenti degli atomi impurità
con atomi del semiconduttore si completano con
4 dei 5 elettroni di valenza dell’ impurità.
Resta quindi un elettrone poco legato il cui livello di
energia risulta poco al disotto (~0.01 eV) della
banda di conduzione: l’ agitazione termica è allora
sufficiente per farlo passare nella banda di
conduzione, e la resistività diminuisce.
Gli elementi-impurità pentavalenti vengono detti
donori (di elettroni).
Il semiconduttore si dice drogato di tipo N.

Se l’ impurità introdotta è un elemento trivalente (Al, B, Ga, In) la
conduzione nel semiconduttore avviene essenzialmente per cariche
positive (lacune):




Infatti solo 3 dei 4 legami covalenti degli atomi del semiconduttore
possono essere costituiti. Il 4° legame, possedendo l’ impurità solo
3 elettroni di valenza, manca di un elettrone.
Si crea quindi una lacuna nella banda di valenza mentre il
corrispondente livello energetico dell’ elettrone non appaiato risulta
poco al disopra (~0.01 eV) della banda di valenza. Basta l’ agitazione
termica a conferire a un elettrone della banda di valenza energia
sufficiente a raggiungere tale livello, uscendo dalla banda di valenza
e lasciando quindi una nuova lacuna nella banda di valenza.
Aumentano, quindi, le cariche libere e la resistività diminuisce.
Gli elementi-impurità trivalenti vengono detti accettori (di elettroni).
Il semiconduttore si dice drogato di tipo P.
32
PROPRIETÀ SEMICONDUTTORI DROGATI
semiconduttore drogato N
semiconduttore drogato P
n° elettroni liberi >> n° lacune libere
n° lacune libere >> n° elettroni liberi
Conduzione (1) per cariche negative
Conduzione (1) per cariche positive
Densità dei portatori di carica:
Densità dei portatori di carica:
n=1022 elettroni/m3 (maggioritari)
p=1022 lacune/m3 (maggioritari)
p=1016 lacune/m3
n=1016 elettroni/m3 (minoritari)
(1) essenzialmente
(minoritari)
(1) essenzialmente
Che cosa si può fare con un “singolo” blocco di un dato semiconduttore?
1. Se intrinseco si può realizzare un resistore di resistenza “elevata” (rispetto
ai conduttori).
2. Se drogato (P oppure N), regolando la concentrazione delle impurità si
può realizzare un resistore di resistenza intermedia qualsiasi tra quella di
un semiconduttore intrinseco e di un conduttore.
33
STRUTTURA SEMICONDUTTORI DROGATI

Sia i semiconduttori intrinseci sia quelli drogati (P o N) sono neutri, come i conduttori.
Infatti l’ introduzione di atomi pentavalenti (donori) o trivalenti (accettori) che vanno a sostituire atomi tetravalenti
introduce atomi completi con tanti elettroni quanti protoni.
Ciò che cambia con il drogaggio è il numero di portatori di carica disponibili per la conduzione.
A ciascun portatore di carica (che adesso può essere elettrone o lacuna) corrisponde naturalmente un atomo “fisso”
ionizzato, cosi come accadeva nei conduttori. Solo che gli ioni fissi di un conduttore sono certamente positivi; in un
semiconduttore possono essere sia positivi che negativi.
Consideriamo due pezzi di semiconduttore drogato, uno di tipo N e l’altro di tipo P, separati,

Nel pezzo di materiale di tipo N abbiamo:






molti elettroni liberi, poche lacune libere e la maggior parte degli ioni fissi del reticolo cristallino sono quindi positivi (gli atomi
donori).
Nel pezzo di materiale di tipo P abbiamoç

molte lacune libere, pochi elettroni liberi e la maggior parte degli ioni fissi del reticolo cristallino sono quindi negativi (gli atomi
accettori)
34
GIUNZIONE P-N










Supponiamo, adesso, di mettere a stretto contatto (a livello atomico) i
due pezzi di semiconduttore creando quella che si chiama una
giunzione P-N.
Nell’ istante iniziale in cui la giunzione si forma, nel pezzo N ci saranno
molti elettroni liberi e poche lacune libere. Viceversa nel pezzo P.
A causa di questo gradiente di densità dei portatori maggioritari
(elettroni in N e lacune in P) tra i due pezzi ora uniti assieme, avremo
una diffusione di elettroni da N a P )ove vanno a ricombinarsi con
lacune) e di lacune da P ad N (ove vengono occupate da elettroni) così
come accade nel caso di un gas che diffonde da una zona a
concentrazione più alta ad una più bassa.
Questo moto di cariche costituisce una corrente di diffusione Idiff che è
la somma algebrica di due contributi simultanei: uno dovuto a cariche
negative che si spostano da N a P, e uno a cariche positive che si
spostano da P a N. La somma algebrica dà una corrente uguale in
valore assoluto alla somma delle due intensità e diretta (ossia
“positiva”) da P a N.
Man mano che il processo di diffusione evolve, il pezzo N perde cariche
negative, caricandosi positivamente, mentre il pezzo P perde cariche
positive nel senso che acquista una carica negativa (solo gli elettroni
sono oggetti reali) .
Ciò ostacola ulteriore passaggio di lacune ed elettroni attraverso la
giunzione fino ad arrestarlo (quasi) completamente.
Attorno alla giunzione si crea una zona, detta di svuotamento o di
barriera, priva di cariche libere in quanto in questa zona avvengono le
ricombinazioni conseguenza della diffusione (questa zona si comporta
da isolante).
Gli ioni fissi, non più bilanciati dalle cariche diffuse (positivi in N e
negativi in P) generano una d.d.p. V0 che non permette più il passaggio
delle cariche maggioritarie attraverso la giunzione ed il processo di
diffusione si arresta.
Ma le cariche minoritarie, poche ma presenti in ciascun pezzo, sono al
contrario accelerate da questa d.d.p. e quindi generano una “normale”
corrente di deriva, simile a un conduttore sottoposto a una d.d.p., Ider,
di verso opposto a quella di diffusione Idiff delle cariche maggioritarie,
attraverso la giunzione.
All’equilibrio queste due correnti si bilanciano: Itot =Idiff - Ider=0.

1.
2.
3.
Tutto questo processo avviene appena realizzata la
giunzione, per cui quando utilizziamo un dispositivo a
giunzione già realizzato, esso è già avvenuto e ci ritroviamo
un dispositivo in cui:
Esiste una d.d.p. V0 ”naturale” tra le due parti.
Ciascuna parte presenta una zona quasi priva di
cariche mobili immediatamente ai lati della giunzione.
Non si osserva alcuna corrente netta attraverso la
giunzione.
Questo dispositivo, se alimentato dall’
esterno, si comporterà come un diodo !
35
GIUNZIONE IN POLARIZZAZIONE INVERSA



Applichiamo dall’esterno, mediante una batteria, una d.d.p. V agli estremi della giunzione P-N
collegando il polo positivo della batteria alla parte N della giunzione e il polo negativo alla parte P
(polarizzazione inversa).
L’altezza della barriera di potenziale naturalmente presente alla giunzione aumenta.
Di conseguenza le lacune nel pezzo P e gli elettroni nel pezzo N tendono a allontanarsi dalla
giunzione con il risultato di allargare la regione di svuotamento.



La corrente di deriva Ider , dovuta ai
portatori minoritari di carica, è
quasi indipendente dall’altezza
della barriera perché determinata
dal numero di coppie elettronelacuna generate per agitazione
termica, funzione, quindi, della
temperatura. Se questa non varia,
Ider  cost.
La corrente di diffusione Idiff
dovuta ai portatori maggioritari,
invece, dipende dall’altezza della
barriera: se questa aumenta, la Idiff
tenderà a diminuire e la corrente
totale Itot = Idiff  Ider non sarà più
nulla ma sarà diretta come la
corrente di deriva e minore di
questa in valore assoluto.
In queste condizioni la Itot é
piuttosto piccola e si chiama
corrente inversa.
36
GIUNZIONE IN POLARIZZAZIONE DIRETTA



Applichiamo dall’esterno, mediante una batteria, una d.d.p. V agli estremi della giunzione P-N
collegando il polo negativo della batteria alla parte N della giunzione e il polo positivo alla parte P
(polarizzazione diretta).
L’altezza della barriera di potenziale naturalmente presente alla giunzione diminuisce.
Di conseguenza le lacune nel pezzo P e gli elettroni nel pezzo N tendono a avvicinarsi alla giunzione
con il risultato di restringere la regione di svuotamento.



La corrente di deriva Ider , dovuta
ai portatori minoritari di carica, è
quasi indipendente dall’altezza
della barriera perché
determinata dal numero di
coppie elettrone-lacuna generate
per agitazione termica, funzione,
quindi, della temperatura. Se
questa non varia, Ider  cost.
La corrente di diffusione Idiff
dovuta ai portatori maggioritari,
invece, dipende dall’altezza della
barriera: se questa diminuisce,
la Idiff tenderà a aumentare
(fortemente) e la corrente totale
Itot = Idiff  Ider non sarà più nulla
ma sarà diretta come la corrente
di diffusione e (lievemente)
minore di questa.
In queste condizioni la Itot é
relativamente grande e si
37
chiama corrente diretta.
DIODO A GIUNZIONE



I fenomeni descritti avvengono all’ interno dei due blocchi di semiconduttore
uniti a formare una giunzione P-N, ma quando la giunzione è connessa a
una batteria esterna nulla arresta gli elettroni al confine tra semiconduttore
e filo di collegamento. Una corrente identica alla Itot circola dunque nel
circuito esterno.
Anzi essa mantiene il fenomeno nel tempo, altrimenti, se ipoteticamente, i
due elementi della giunzione fossero tenuti a potenziali più alti (in valore
assoluto) di quelli naturali ma senza possibilità di circolazione di corrente, si
raggiungerebbe semplicemente la situazione di equilibrio Itot =Idiff - Ider=0 in
corrispondenza di una regione di svuotamento di ampiezza diversa da
quella naturale.
Ma allora:
 quando la polarizzazione è diretta la corrente nel circuito esterno sarà grande,
 quando la polarizzazione è inversa la corrente nel circuito esterno avrà verso
opposto, ma soprattutto sarà piccola.
 Allora la giunzione P-N costituisce un diodo, il diodo a giunzione.
38
DIODO A GIUNZIONE: CARATTERISTICA

La caratteristica di un diodo a giunzione è la curva Itot = f(V), ove Itot è in pratica la
corrente misurata nel circuito estero che però abbiamo visto essere uguale alla
corrente netta attraverso la giunzione e V è la d.d.p. applicata tra i due pezzi,
assunta positiva quando la giunzione è polarizzata in maniera diretta.

Risponde approssimativamente a
questa espressione:

eV

I tot  I 0 e kT  1
Simbolo diodo a giunzione
per V  0  I tot  0
per V    I tot   I 0
per V    I tot  



-1
Il valore costante –Io è detto corrente
inversa di saturazione; il suo valore
assoluto è caratteristico del
materiale semiconduttore
In polarizzazione diretta la resistenza
del diodo è molto bassa, infatti I
cresce molto rapidamente con V.
In polarizzazione inversa la resistenza
de diodo è molto alta e tende a ∞,
infatti I cresce molto poco con V.
39
DIODO A GIUNZIONE: STUDIO

Per rilevare la“caratteristica” del diodo a giunzione adoperiamo questo circuito:

La figura riporta gli strumenti nella configurazione per polarizzazione diretta.


Limitare la misura a pochi decimi di volt, o la corrente diventerà così elevata da bruciare il diodo a causa del
calore sviluppato.
Nella configurazione per polarizzazione inversa (deviatore in 2) usare:


Per la misura della corrente un galvanometro, connesso in maniera opposta alla figura dato che nel diodo a
giunzione in polarizzazione inversa la corrente scorre nel verso opposto.
Per la misura della tensione un voltmetro digitale che ha una resistenza interna in genere >> di uno analogico, in
quanto il diodo polarizzato inversamente presenta una resistenza molto alta e quindi, altrimenti, la maggior parte
della corrente misurata sarebbe quella che scorre attraverso il voltmetro piuttosto che attraverso il diodo.
40
USO DEL DIODO A GIUNZIONE: LED







Le cifre luminose (tipicamente rosse o verdi) di apparecchi digitali sono costruite mediante diodi a giunzione.
Quando un elettrone della banda di conduzione del pezzo N si ricombina con una lacuna nella banda di valenza del
pezzo P, si libera di una quantità di energia pari al gap proibito E.
Questa energia può essere emessa sia sotto forma di radiazione elettromagnetica (fotone di energia hν) sia sotto
forma di calore k; il bilancio energetico può essere scritto come: E = hν + k dove h è la costante di Planck, ν la
frequenza della radiazione elettromagnetica.
In un LED (Light Emitting Diode) prevale il primo processo e lo vediamo illuminarsi.
Utilizzando dei materiali semiconduttori composti di gallio, arsenico e fosforo è possibile ottenere, variando il
rapporto tra fosforo e arsenico, un valore di E tale che ν vada a cadere nella regione del visibile.
Per evitare che buona parte dei fotoni emessi vengano riassorbiti da elettroni della banda di valenza facendoli
passare in quella di conduzione, il semiconduttore viene fortemente drogato in modo da avere un numero di portatori
maggioritari in forte eccesso rispetto a quello generato dall’agitazione termica nel materiale non drogato. Per
avvicinarsi ulteriormente a tale condizione e per ottenere un elevato numero di fotoni emessi, la giunzione, inoltre,
viene fortemente polarizzata in verso diretto, cosicché il forte campo elettrico sospinge un numero molto grande di
portatori maggioritari attraverso la giunzione stessa.
LED emettenti nell’ infrarosso vengono utilizzati nei sistemi di comunicazione mediante fibre ottiche.
41
TRANSISTOR A GIUNZIONE







Il transistor è un dispositivo di materiale semiconduttore che ha sostituito
il triodo a vuoto in quasi tutte le moderne applicazioni.
Analogamente al triodo, il transistore può essere utilizzato come
amplificatore.
Ma può essere usato anche come interruttore automatico in risposta a
specifiche condizioni di tensione-corrente.
Il transistor è formato da 3 pezzi di semiconduttore drogati, con 2
giunzioni.
È realizzato ponendo uno strato molto sottile ( 0,02 mm) di
semiconduttore di tipo N fra due strati di tipo P (transistor PNP) oppure
uno strato molto sottile di tipo P fra due strati di tipo N (transistor NPN).
Il funzionamento di ambedue i tipi è identico per cui, per fissare le idee,
nel seguito di questa lezione utilizzeremo il tipo PNP.
I tre strati di materiale semiconduttore drogato sono chiamati,
rispettivamente: emettitore, base, collettore.
42
SCHEMI CONNESSIONE TRANSISTORS
La freccia sull’emettitore
indica la direzione della
corrente quando la giunzione
emettitore-base è connessa
in polarizzazione diretta (+ a
P, - a N).
Tuttavia, secondo una
convenzione, le correnti di
emettitore Ie , di base Ib e di
collettore Ic sono da
considerare positive quando
fluiscono verso il transistore,
come indicato in figura.
Di conseguenza sono
considerate positive le d.d.p.
Veb , Vcb , Vce tra i tre elettrodi
se come in figura a destra.
Normalmente la giunzione
emettitore-base viene
polarizzata diretta mentre
quella collettore-base in
modo inverso.
Quindi p.es. l’ effettiva Veb
qui è considerata negativa.
43
CARATTERISTICHE TRANSISTOR






Come nel caso del triodo, anche per il transistor si possono ricavare
sperimentalmente le relazioni tra tensioni e correnti.
Ma poiché nel transistor hanno interesse tutte e tre le correnti, in linea di
principio, si possono determinare parecchie curve:
Una di tre correnti in funzione di due di tre tensioni, per esempio:
Ic f(Veb ,Vcb); Ib f(Veb ,Vcb); Ie f(Veb ,Vcb)
o equivalentemente in funzione di altre due delle tre tensioni; infatti date
due tensioni la terza è determinata.
Nulla vieta di considerare tensioni (da applicare) in funzione di correnti (che
si vogliano ottenere), come per esempio:
Veb  f(Ie ,Ic) ; Vcb  f(Ie ,Ic) ; Vce  f(Ib ,Ic)
Le caratteristiche più usate sono quelle a base comune e a emettitore
comune, in cui la connessione tra l’ingresso e l’uscita ha, rispettivamente,
la base o l’emettitore in comune.
44
PRINCIPIO FUNZIONAMENTO TRANSISTOR





Il funzionamento del transistor può essere compreso
considerando il modo in cui l’ andamento del potenziale
alle giunzioni non polarizzate viene modificato
dall’applicazione di una polarizzazione esterna.
In assenza di polarizzazione esterna le barriere di potenziale
alle giunzioni raggiungono spontaneamente l’altezza
necessaria perché non circoli corrente (0.20.3 volt).
Quando le giunzioni vengono polarizzate, l’altezza delle
barriere cambia. Precisamente, polarizzando direttamente
la giunzione emettitore-base la rispettiva barriera viene
abbassata di Veb mentre la polarizzazione inversa
applicata alla giunzione base-collettore fa alzare la
rispettiva barriera di Vcb.
Diminuendo la barriera emettitore-base, le lacune presenti
nell’emettitore acquistano una probabilità di diffondere
verso la base e entrare in essa: l’emettitore, analogamente
al catodo di un triodo, immette cariche nella base. Poiché lo
spessore della base è molto piccolo le lacune diffondono
rapidamente verso la giunzione base-collettore subendo nel
frattempo una piccolissima ricombinazione con gli elettroni
della base. Le lacune vengono raccolte al collettore, favorite
dalla barriera di potenziale in discesa della giunzione basecollettore: il collettore è l’analogo dell’anodo di un triodo in
quanto in esso avviene la raccolta delle cariche.
Analogo processo avviene nel transistore NPN con
protagonisti gli elettroni.
45
TRANSISTOR COME AMPLIFICATORE

Rin
Rout
Vin


Vout
Il rapporto tra una variazione Ic della
corrente di collettore e la corrispondente
variazione Ie di quella di emettitore, con la
d.d.p. Vcb tra collettore e base mantenuta
costante, si chiama coefficiente  di
amplificazione in corrente:
  (Ic/Ie)|Vcb = cost (1)
Questo rapporto risulta < 1, ma di poco
(0.9500.995) Infatti Ic è di poco < Ie a causa
del piccolo numero di ricombinazioni tra
elettroni e lacune nella base.


Tuttavia, si ottiene amplificazione in tensione
applicando la tensione da amplificare Vin in serie
a Veb , inserendo nella maglia emettitore-base una
resistenza (d’ingresso) Rin relativamente piccola
(2001000 ) e prelevando la tensione Vout ai capi
di una resistenza (d’uscita) Rout molto più grande
(valore tipico 1 M). Poiché Ic  Ie il rapporto tra
le ampiezze della tensione di uscita e di ingresso
è  al rapporto tra le resistenze (1000  5000 !)
Un secondo coefficiente di amplificazione in
corrente  si può definire in termini di variazione
Ib della corrente di base:
  (Ic/Ib )|Vce = cost (2)
Possiamo trovare la relazione che intercorre tra i
due coefficienti in quanto
 I c   I e
Ib  Ie  Ic  Ie(1  )
Vcb è in genere di parecchi volt, e date le
resistenze Rin e Rout per avere una Ic misurabile
basta una Veb<<Vcb e quindi Vce  Vcb , per cui (1)
e (2) si possono combinare insieme e in definitiva
   Ie/(1  )Ie = /(1  )
che, per  =0.950.995, dà   20 200.
46
TRANSISTOR A BASE COMUNE
RC
+
-
Veb
+
EEB
-
RE
+
IC
-
IE
-
+
Il collegamento a base comune è quello realizzato in questo circuito.
-

ECB
+
VCB



Questo circuito è adoperato in Lab per il rilievo delle “caratteristiche di un
transistor a base comune”.
Tra le molte curve che si possono scegliere, è tradizionale riportare la
famiglia di curve Ic = f (Vcb , Veb ) |Ie = cost
È da notare che sebbene la parametrizzazione sia tradizionalmente
espressa in termini di Ie, un dato valore di Ie implica un preciso valore di Veb,
che in questo circuito si ottiene regolando la resistenza variabile RE.
47
CARATTERISTICHE A BASE COMUNE







Nel circuito adoperato le giunzioni sono polarizzate come
nell’ impiego pratico: emettitore-base (P-N) direttamente,
base-collettore (N-P) inversamente.
Secondo la convenzione per cui sono considerate positive
correnti entranti nel transistor, allora Ie è positiva e Ic
negativa.
Tuttavia i produttori di transistor non si curano delle
convenzioni e riportano solo valori assoluti per entrambe le
correnti.
Nella scheda di Lab, ai fini dell’ illustrazione dei dati in
grafico, Ic che la grandezza misurata è riportata come
positiva. Per coerenza Ie che è da noi controllata è indicata
con valori negativi.
In ogni caso sono solo convenzioni e le correnti misurate
sono positive dopo avere collegato correttamente gli
strumenti.
La denominazione delle regioni sembra una svista, in realtà
la regione in cui Ic varia poco e inoltre ha un valore  Ie è
proprio quella in cui si fa funzionare il transitor a base
comune quando deve essere adoperato come
amplificatore.
La regione “di saturazione” ha Vcb negativi. Significa avere
invertito la polarità dell’ alimentatore di Vcb, cioè avere
polarizzato anche la giunzione base-collettore direttamente,
con il risultato di estinguere rapidamente la corrente di
emettitore pur in presenza di corrente da emettitore a base.


Nella regione di saturazione numericamente Ic è quasi
indipendente da Ie e in pratica le curve collassano quasi in una
singola curva.
Limitandosi alla regione di saturazione, dai rapporti tra le
differenze tra i valori di Ic che competono a due curve e i
corrispondenti valori di Ie per Vcb costante si può ricavare
sperimentalmente il parametro di amplificazione
  (Ic/Ie)|Vcb = cost
48
TRANSISTOR A EMETTITORE COMUNE
IB
+
-
+
Il collegamento a emettitore comune è quello realizzato in questo circuito.
IC
-



RC
+
VCE
+
+

-
EEB
-
-
Veb
RB
ECE
Questo circuito è adoperato in Lab per il rilievo delle “caratteristiche di un
transistor a emettitore comune”.
Tra le molte curve che si possono scegliere, è tradizionale riportare la
famiglia di curve Ic = f (Vce , Veb ) |Ib = cost
È da notare che sebbene la parametrizzazione sia tradizionalmente
espressa in termini di Ib, un dato valore di Ib implica un preciso valore di Veb,
che in questo circuito si ottiene regolando la resistenza variabile RB.
49
CARATTERISTICHE A EMETTITORE COMUNE

Valgono considerazioni analoghe al caso
precedente riguardo alle convenzioni sui segni
delle correnti.

Dai rapporti tra le differenze tra i valori di Ic che
competono a due curve e i corrispondenti valori
di Ib per Vce costante si può ricavare
sperimentalmente il parametro di amplificazione
  (Ic/Ib )|Vce = cost
Questo non risulta costante ma varia a seconda
della regione considerata.



Lo si può riportare in funzione dei Vce scelti, ma è
tradizione riportarlo in funzione di Ic prendendo
come ascissa per esempio il valore iniziale o il
valore medio di ciascun intervallo Ic adoperato.
L’ andamento di   f(Ic) dovrebbe essere di
questo tipo (i valori numerici sono solo esempi):
50
Lezione n.13
OSCILLATORE A DENTI DI SEGA
51
CONDUTTORI GASSOSI







In condizioni normali i gas sono degli isolanti.
In qualsiasi momento tuttavia, dato un volume di gas, a causa dei raggi cosmici (particelle di alta
energia) che costantemente colpiscono la Terra e della radioattività naturale, qualche elettrone viene
scalzato da qualche atomo che risulta quindi ionizzato, per essere successivamente ri-catturato.
Il numero di elettroni liberati in questo modo “da cause naturali” in un dato intervallo di tempo è in
genere troppo basso per dare luogo a una corrente elettrica apprezzabile.
Tuttavia l’ applicazione di un elevato campo elettrico (ossia di una d.d.p. elevata) tra due elettrodi
posti all’ interno di una ampolla riempita di gas può innescare nel gas la conduzione in maniera
improvvisa.
Se infatti la d.d.p. tra gli elettrodi supera una certa soglia, i pochi elettroni liberati da cause naturali,
possono acquisire per accelerazione dal campo elettrico una velocità e quindi una energia superiore
all’ energia di ionizzazione propria degli atomi dell’ elemento. Allora essi all’ urto con atomi
scalzeranno altri elettroni (ionizzazione secondaria), i quali a loro volta appena liberati continueranno
il processo: l’ intero volume di gas diviene improvvisamente conduttore.
Una volta avviata, la conduzione si mantiene anche se la d.d.p. viene abbassata un poco rispetto al
valore che lo ha innescato. Infatti gli elettroni non hanno tutti la stessa energia prima di un urto ma
piuttosto una distribuzione di energie e anche se la d.d.p. dopo l’ innesco viene abbassata, basta che
un numero sufficiente di essi, ancorché non tutti, abbiano energia superiore a quella di ionizzazione
perché il processo di mantenga.
Ma se la d.d.p. venisse abbassata ancora, sotto una certa altra soglia il numero di elettroni con
energia superiore a quella di ionizzazione diventa trascurabile e la conduzione rapidamente cessa.
52
LAMPADE A GAS






Un “sottoprodotto” della conduzione nei gas è la produzione di luce.
Ogni dato elettrone liberato per qualunque ragione prima o poi viene catturato da un atomo e la
conduzione - nel giusto intervallo di d.d.p. - continua dinamicamente, cioè grazie e sempre nuovi
elettroni liberati.
Ogni volta che un elettrone viene ri-catturato si libera dell’ energia cinetica che possiede in più
rispetto al valore che gli compete sul livello energetico in cui viene catturato. Spesso lo fa, tra l’ altro,
emettendo un fotone.
 Lampade a gas, specificamente: lampada (o “tubo”) al neon.
Per l’ accensione è necessaria una d.d.p. inizialmente elevata, più elevata della normale tensione di
rete. Essa viene prodotta in vari modi da apparecchi detti “starter” . Per esempio si può lasciare
accumulare carica in un condensatore e dopo un tempo predefinito chiudere improvvisamente un
interruttore che connette il condensatore carico agli elettrodi: il condensatore si scarica ma
transitoriamente tra gli elettrodi è presente una d.d.p. molto maggiore di quella della rete elettrica
domestica, e la conduzione viene innescata. La tensione di rete poi è sufficiente a mantenere la
conduzione e quindi la produzione di luce, fino a quando, “spegnendo” l’ interruttore, la conduzione
praticamente cessa.
Una debole luminosità talvolta osservabile in un tubo a gas non connesso è dovuta ai fotoni emessi
all’ atto della ri-cattura di quei pochi elettroni scalzati dagli agenti naturali
Il comportamento elettrico di una lampada a gas è dunque caratterizzabile con due valori di tensione:
1.
2.
Una tensione di innesco Vi , il valore minimo necessario perché la ionizzazione secondaria inizi e
quindi inizi la conduzione.
Una tensione di disinnesco Vd < Vi , al disotto della quale la conduzione non riesce più a mantenersi
e la lampada si spegne.
53
TENSIONE A DENTI DI SEGA

Si dice tensione a denti di sega una tensione che,
idealmente, abbia questo andamento:
V max
T
V
t


Tensione variabile, periodica, ma non alternata
Vediamo come si può produrre e quali applicazioni ha.
54
OSCILLATORE A DENTI DI SEGA: CIRCUITO
R
V0
C
G
Lampada a gas
(diodo a gas)
(interruttore a gas)
55
OSC. A DENTI DI SEGA: FUNZIONAMENTO-1

In assenza della lampada a
gas, alla chiusura del circuito
il condensatore si carica
attraverso la resistenza e la
tensione ai suoi capi Vc
cresce con legge temporale

VC  V0 1  e

t
 RC
R
V0
C
G

L’ andamento nel tempo di
Vc(t) è questo:
56
OSC. A DENTI DI SEGA: FUNZIONAMENTO-2

Se a un certo istante cortocircuitassimo il 1
condensatore chiudendo un tasto T come in
figura, il condensatore si scaricherebbe con CO
legge
 RtC
VC  V0e E



2.
IT
R
Ig
V0
f+
V
Ma essendo la resistenza del -filo di
cortocircuito Rf estremamente piccola, la
scarica sarebbe estremamente rapida e
somiglierebbe molto a una linea quasi
verticale.
Se poi togliessimo il cortocircuito la carica
riprenderebbe e la figura si ripeterebbe.
Ma ci sono due inconvenienti:
1.
2
C
T
G
C
G
rg
La fase crescente delle tensione sarebbe
esponenziale e non lineare come desiderato.
Non si può certo immaginare un dispositivo
in cui si debba aprire e chiudere un
interruttore manualmente.
57
OSC. A DENTI DI SEGA: FUNZIONAMENTO-3








Mettendo invece in parallelo al condensatore C una lampada
a gas G, purché sia V0 > Vi , quando durante la fase di carica
la d.d.p. ai capi del C e quindi di G raggiunge il valore di
innesco Vi, la lampada diventa conduttrice, la sua resistenza
diventa improvvisamente molto piccola, RG, e C si scarica
attraverso il ramo con G come nel cortocircuito.
Nel frattempo C si ri-carica attraverso R ma essendo R >> RG
la ri-carica durante la scarica è trascurabile.
Ma scaricandosi attraverso G la d.d.p. ai capi di C e G scende
rapidamente e appena raggiunge il valore di disinnesco Vd la
scarica attraverso G cessa.
A questo punto la ricarica attraverso R diventa l’ unico
processo e la carica riprende.
Raggiunto di nuovo Vi si ha una nuova scarica attraverso G e
così via.
G si comporta dunque come un interruttore elettronico
automatico che si “chiude” quando V ai suoi capi, crescendo,
raggiunge Vi e si apre quando V, decrescendo, raggiunge Vd .
Per il fatto che la conduzione avviene al di sopra di un certo
valore e non al di sotto il dispositivo anche il nome di “diodo”
(a gas).
Il grafico temporale della tensione ai capi di C così ottenuta è
(praticamente) quello voluto!
R
V0
C
G
58
OSC. A DENTI DI SEGA: PROPRIETÀ




A parte un breve periodo iniziale in cui
“nasce” da zero, la tensione così prodotta ha
caratteristiche vicine a quelle volute
(andamento “triangolare”).
La fase crescente è (anche così) teoricamente
esponenziale, ma se si alimenta il C con un
V0 sufficientemente >Vi (in pratica basta V0
>~(2÷3)Vi ) la crescita ha luogo nel primo
tratto, che è quasi lineare.
La fase decrescente è anche essa
teoricamente esponenziale ma essendo
molto rapida è praticamente quasi verticale.
La tensione a denti di sega così realizzata è
caratterizzata dalla ampiezza Vi - Vd e dal
periodo T. Approssimando la fase di scarica
come istantanea, quest’ ultimo è pari alla
differenza tra l’ istante ti in cui inizia una
scarica e l’ istante td in cui era terminata
quella precedente.
59
OSC. A DENTI DI SEGA: PARAMETRI

Il periodo T così definito non può che
dipendere dalle caratteristiche costruttive
del circuito oscillatore. La dipendenza si
deduce dalla equazione della scarica:

VC  V0 1  e
t
 RC
  t  RC ln V V V
0
0
 t I  RC ln
V0
V0  VI
 T  t I  t D  RC ln

; t D  RC ln
C
V0
V0  VD
V0  VD
V0  VI
Nelle applicazioni si regola T a un valore
desiderato agendo su V0 e/o su R, che può
benissimo essere un resistore variabile. A
volte regolazioni grosse sono ottenute
mediante una manopola a scatti che
seleziona C diversi.

Invece Vi e Vd sono proprietà
della lampada a gas che
possono essere scelte
oculatamente in fase di
costruzione ma non variate
durante l’ uso.
60
MISURA SPERIMENTALE PERIODO

Se il periodo è relativamente lungo (valori di R e/o C relativamente grandi,
allora è possibile misurarlo “a vista”.



La lampada emette un lampo di luce ogni volta che avviene la scarica. Pertanto
la durata di ciascun lampo è praticamente brevissima, mentre l’ intervallo tra un
lampo e il successivo è praticamente pari al periodo T.
Allora cronometrando il tempo per n lampi e dividendo per n si ottiene il periodo
cercato.
Ma se il periodo è inferiore a ~0.1 s per la persistenza delle immagini sulla
retina la lampada appare sempre accesa.




Allora bisogna utilizzare uno strumento che “produca” e visualizzi il grafico
temporale VC(t) e misurare il periodo “graficamente”.
Questo apparecchio esiste: l’ oscillografo (o oscilloscopio ).
Nella sua versione originaria (oscillografo analogico - quello digitale sarà oggetto
del corso di Elettronica) utilizza al suo interno proprio un oscillatore a denti di
sega, anzi ne costituisce la principale applicazione.
Naturalmente l’ oscillografo si utilizza per visualizzare il grafico di qualunque
tensione variabile, non solo di una a dente di sega!
61
Lezione n.14
OSCILLOGRAFO (O OSCILLOSCOPIO)
62
TUBI A RAGGI CATODICI


L’ oscillografo analogico appartiene alla più vasta categoria dei tubi
a raggi catodici o CRT (Cathode Ray Tubes), alla quale appartiene
per esempio anche il televisore non a schermo piatto.
Infatti in entrambi i casi i principi di funzionamento di base sono gli
stessi:
1.
2.
Produrre un fascio accelerato di elettroni (eventualmente 3 fasci nel
TV a colori) che colpiscono uno schermo fluorescente creando un
puntino luminoso (o 3 puntini luminosi vicini)
Guidare questo fascio verso vari punti dello schermo in risposta a un
“criterio”, quale il valore di una tensione in “ingresso” all’ apparecchio


una tensione variabile da graficare (oscillografo)
una tensione variabile che rappresenta in istanti successivi l‘ intensità
luminosa che ogni zona dello schermo deve avere per formare una immagine
intelligibile (TV)
63
FUNZIONE


La funzione di un oscillografo è quella di simulare elettronicamente il
disegno a mano del grafico di una funzione.
Immaginate di disegnare a mano il grafico di una funzione sinusoidale e
pensate in dettaglio al moto che una penna che tenete tra le dita deve
eseguire.




La penna deve muoversi su e giù in verticale sinusoidalmente nel tempo,
mentre contemporaneamente si sposta in maniera “regolare” in orizzontale da
sin a dx.
Se non spostaste la mano anche in orizzontale infatti la punta della penna si
muoverebbe solo in verticale di moto armonico e disegnerebbe solo un
segmento di lunghezza pari a 2 volte l’ ampiezza della sinusoide.
In sostanza penna – e la vostra mano - si devono muovere di un moto piano
bidimensionale che deve essere la composizione di due moti: uno armonico
lungo y (la funzione da graficare!) e uno rettilineo uniforme di servizio lungo x!
Lo stesso deve fare il fascio di elettroni di un CRT, che rappresenta la
“punta” della penna.
64
PANNELLO FRONTALE
65
SCHEMA COSTRUTTIVO

Schematicamente, un CRT presenta 3 sezioni:
1. Cannone elettronico 2. Sistema deflettente
3. Schermo fluorescente
66
IL CANNONE ELETTRONICO - 1






Il cannone elettronico produce un sottile fascio collimato di
elettroni veloci monoenergetici che procedendo lungo l’asse
del tubo andrebbe a colpire, in assenza altri fenomeni, il
centro O dello schermo.
In alcuni aspetti il cannone è del tutto simile a un triodo; le
differenze sono principalmente di natura geometrica e
hanno come obbiettivo il fatto che gli elettroni siano
convogliati in un fascio sottile ben collimato.
Gli elettroni sono emessi da un catodo simile a quello di un triodo
a vuoto riscaldato da un filamento percorso da corrente
alternata. Dopo qualche secondo dalla pressione del pulsante di
accensione il catodo è caldo e comincia a emettere elettroni per
effetto termoelettronico e un puntino luminoso al centro dello
schermo appare.
Il materiale del catodo (ricoperto di ossidi) è scelto in modo da
avere un potenziale di estrazione relativamente basso. Gli
elettroni emessi possiedono velocità aventi direzioni casuali e il
cui valore quadratico medio, ricordando che è E  3kT/2,
risulta ue  105 m/s a tipiche temperature intorno a 103 °K.
La griglia, a potenziale più basso del catodo come nel triodo,
serve a regolare il numero di elettroni che riescono a andare
avanti lungo il tubo e quindi l’ intensità del fascio e quindi la
brillantezza del punto sullo schermo, in modo da adattarla alla
luminosità ambientale per una visualizzazione confortevole.
La manopola “INTENSITY” varia un potenziometro dell’
alimentatore della griglia.
67
IL CANNONE ELETTRONICO - 2




L’ elettrodo di focalizzazione (non presente in un triodo) ha forma
cilindrica e circonda il sistema filamento-catodo protendendosi
verso l’ anodo.
Come la griglia anche esso è mantenuto a un potenziale negativo
rispetto al catodo dunque respingere da sé gli elettroni che a
esso si avvicinano mentre tuttavia essi sono attratti dall’ anodo
che è a potenziale (ben più) positivo rispetto al catodo.
La manopola “FOCUS” varia un potenziometro dell’ alimentatore
Vf, permettendo di ottenere un fascio più o meno collimato, ossia
più o meno “sfocato”.
L’ anodo, a differenza del triodo dove gli elettroni li si vuole
raccogliere, è forato in modo che mentre i pochi elettroni che
siano sfuggiti alla focalizzazione lo colpiscono e generano una
(debole) corrente nel circuito anodico, la maggior parte degli
elettroni vi passi attraverso proseguendo per inerzia data la
grande accelerazione subita:

gli elettroni sono “sparati” verso lo schermo come da un
cannone (elettrostatico)

Poiché la tensione positiva Va applicata all’anodo è molto
maggiore di quella della griglia, l’energia cinetica con cui gli
elettroni fuoriescono dall’anodo forato è, praticamente, Ec =
mu2/2 = eVa , dalla quale, per Va  103 V, si ottiene u  107 m/s
molto più grande di ue di emissione dal catodo.
L’ energia finale di ciascun elettrone, somma di quella di
emissione più quella cinetica acquisita grazie all’ accelerazione,
coincide dunque in pratica con quest’ultima e il fascio può essere
considerato monoenergetico.

68
LO SCHERMO FLUORESCENTE


Lo schermo è costituito da un deposito di una
sostanza fluorescente, detta fosforo, sulla
faccia interna della base maggiore del tubo di
vetro che costituisce l’ involucro del CRT.
Il fosforo trasforma l’energia cinetica degli
elettroni in luce visibile, in quanto i suoi atomi,
colpiti dagli elettroni energetici del fascio si
eccitano (cioè un loro elettrone esterno salta a
un livello più alto) per poi diseccitarsi
emettendo un fotone di energia pari alla
differenza tra il livello eccitato e quello
normale: tale energia è quella che noi
chiamiamo verde cosicché il punto O
d’incidenza degli elettroni appare come un
puntino luminoso verde.
69
IL SISTEMA DEFLETTENTE



È il “cervello” dell’ apparecchio, nel senso che è il
sistema che guida il fascio verso un dato punto dello
schermo, ed è capace di fare evolvere tale guida nel
tempo in modo tale che il puntino spostandosi sullo
schermo “disegni” il grafico della tensione da studiare.
Costruttivamente è molto semplice: consiste
semplicemente di due condensatori a facce piane e
parallele (talvolta chiamati in questo caso “placchette
deflettrici” in quanto il loro scopo è appunto quello di
deflettere il fascio piuttosto che quello di accumulare
carica), disposti uno con le placche orizzontali, l’ altro
con le placche verticali.
Per capire in che modo questo sistema riuscirà a
disegnare il grafico di una tensione variabile,
(ri)esaminiamo prima il moto di un elettrone all’ interno
di un condensatore carico.
70
DEFLESSIONE ELETTROSTATICA





Consideriamo un elettrone che entra all’interno dello spazio tra due placchette metalliche P parallele
con velocità u perpendicolare al campo elettrico E generato da una d.d.p. V applicata alle placchette.
Il campo elettrico E assoggetta l’elettrone ad una forza F = -eE = ma
L’accelerazione a è nella stessa direzione del campo E, non ha quindi componente lungo l’asse x (di
figura) e ha modulo a = ay = -eE/m = cost.
Il moto risultante avrà traiettoria parabolica di equazioni:
x = ut ; y = ayt2/2
da cui
y = -eEx2/2mu2

e poiché E = V/d, sostituendo si ha:
y = (-1/2)(e/m)(V/d)(x2/u2)
71
DEFLESSIONE VERTICALE - 1



Consideriamo ora le placchette deflettrici
disposte orizzontalmente di un CRT.
Vediamo che esse possono impartire una
deflessione verticale pilotata al fascio.
Ogni elettrone sparato dal cannone ha,
come abbiamo visto, Ec = mu2/2 = eVa da cui
u2 = 2eVa /m. Detta Vy la d.d.p. applicata alle
placchette deflettrici in un dato istante, la
deflessione |y| del fascio dalla sua traiettoria
rettilinea a distanza x minore o uguale alla
lunghezza l delle placchette, è espressa da:
y = (-1/2)(e/m)(V/d)(x2/u2) 
|y| = (1/2)(e/m)(Vy/d)(mx2/2eVa) =
= (1/4d)(Vy/Va)x2
72
DEFLESSIONE VERTICALE - 2




Quando il fascio esce dalla coppia di placchette deflettrici disposte orizzontalmente prosegue con
moto rettilineo uniforme andando a colpire lo schermo, posto a distanza D dall’uscita di esse, in un
punto P sulla verticale passante per il centro O. L’angolo  tra la direzione della traiettoria rettilinea
all’uscita dalla coppia di placchette e la direzione dell’asse di esse è dato da:
tg = (dy/dx)x=l = (l/2d)(Vy/Va)
e quindi la coordinata verticale di P sullo schermo vale:
|y| = (1/4d)(Vy/Va)l2 + D(l/2d)(Vy/Va) = (l2+2lD)/4VadVy = SoyVy
dove Soy rappresenta la sensibilità verticale.
Nota Soy , è possibile misurare una tensione incognita costante Vy dalla misura dello spostamento y
su una scala di riferimento tracciata sullo schermo:
con



Vy = Soy-1 |y|
Soy-1 = 4Vad/(l2+2lD)
Valori tipici delle costanti sono: superficie di ciascuna placchetta A = 5 cm2 ; d = 0,5 cm ; l = 2 cm ;
Va = 2kV ; D = 20 cm ; da cui si ricava Soy-1 = 50 V/cm (e quindi Soy = 0,02 cm/V).
È dunque possibile tarare lo schermo direttamente in volt.
Meglio ancora, lo schermo ha una griglia di riferimento incisa o sovrapposta, e una manopola
consente di variare la scala (V/div, ove “div” significa un quadretto) variando a scatti uno dei fattori
della costante di proporzionalità, tipicamente Va oppure d.
73
DEFLESSIONE ORIZZONTALE



Consideriamo ora le placchette deflettrici disposte
verticalmente di un CRT.
Vediamo che esse possono impartire una
deflessione orizzontale pilotata al fascio.
Con un ragionamento analogo a quello fatto per le
placchette di deflessione orizzontale, si ottiene:
Vx = Sox-1 |x|
ove con x si intende qui la coordinata orizzontale
sullo schermo, non quella lungo una direzione
parallela ai piani delle placchette.
74
VISUALIZZAZIONE TENSIONI VARIABILI






Che succede se alle placchette di deflessione verticale viene
applicata non una tensione fissa ma una variabile nel tempo?
Semplice: istante per istante lo spostamento verticale sullo schermo
è proporzionale al valore istantaneo della tensione, dunque il punto
si muoverà verticalmente pilotato dal valore della tensione che varia.
Basta questo per “visualizzare” il grafico temporale della tensione?
No, perché è come se la vostra mano si muovesse verticalmente
seguendo il variare del valore della funzione ma senza spostarsi
orizzontalmente.
Per esempio se la tensione applicata alle placchette di deflessione
verticale è una tensione sinusoidale che si vorrebbe visualizzare, il
punto luminoso sullo schermo si muoverebbe su e giù di moto
armonico, descrivendo un segmento verticale posto al centro dello
schermo.
Bisogna in qualche modo “simulare” anche lo spostamento
orizzontale della mano!
75
GRAFICO TENSIONE VARIABILE

Come simulare anche lo spostamento orizzontale della mano?

Applicando alle placchette di deflessione orizzontale una tensione a denti di sega!




1.
2.

1.
2.

In questo modo, mentre la tensione da visualizzare varia per i fatti suoi facendo muovere verticalmente il puntino
luminoso sullo schermo in modo a essa proporzionale, il puntino si muove anche orizzontalmente di moto rettilineo
uniforme, in quanto si muove proporzionalmente al valore della tensione che in un periodo cresce (quasi) linearmente
con il tempo: V(t)  kt … esattamente come la vostra mano!
Differenza: una volta tracciata la curva con la penna il segno sul foglio permane. Invece sullo schermo, pur
rimanendo la tensione da visualizzare applicata alle placchette di deflessione verticale, se a quelle di deflessione
orizzontale si applicasse una tensione linearmente crescente con il tempo “una sola volta”, ossia per un solo periodo
dell’ oscillatore, il grafico apparirebbe per la durata del periodo e poi scomparirebbe.
Inoltre se si applicasse solo la tensione a denti di sega, che ha un min che non è zero, il punto sarebbe al min non a
sin nello schermo e nemmeno al centro ma già spostato di un poco verso destra e solo la porzione destra dello
schermo sarebbe praticamente utilizzabile.
Ma:
La tensione a denti di sega viene applicata alle placchette di deflessione orizzontale con continuità
Viene applicata in serie a essa anche una tensione fissa “negativa” il cui valore è calcolato in modo che quando
quella a denti di sega vale il suo min sposti il fascio all’ estremo sin dello schermo.
In questo modo:
Il punto arriva al bordo destro dello schermo quando la tensione a dente di sega raggiunge il valore di innesco.
In quell’ istante avviene, quasi istantaneamente, la scarica entro l’ interruttore a gas, la tensione
momentaneamente scende al valore di disinnesco (non a zero!) che sommato algebricamente alla tensione fissa
produce la deflessione giusta affinché il fascio punti verso il bordo sin dello schermo, e il “disegno” ricomincia”.
Se il periodo del dente di sega è inferiore a a ~0.1 s, per la persistenza delle immagini sulla retina il grafico, che si
rinnova in realtà a ogni periodo, appare stabile.
76
SCALA DEI TEMPI





Dunque orizzontalmente siamo a sin nello schermo quando la tensione dell’
oscillatore a denti di sega interno all’ oscillografo, applicata alle placchette di
deflessione orizzontale, è pari a quella di disinnesco, e arriviamo a destra quanto
tale tensione, crescendo linearmente con il tempo, raggiunge il valore di innesco.
Ma questo in realtà non interessa operativamente. Quello che interessa è che l’
intera escursione orizzontale sullo schermo corrisponde a un periodo del dente di
sega. Poiché il costruttore conosce il periodo può dire il valore dell’ intervallo di
tempo corrispondente a una escursione orizzontale completa.
Anzi si fa ancora meglio: poiché sia il periodo che la costante di proporzionalità tra
tensione e spostamento orizzontale Sox sono regolabili, una manopola a scatti
permette di regolare in un ampio intervallo il tempo corrispondente all’ intera
escursione orizzontale dello schermo.
Per comodità, dato che sullo schermo è tracciata una griglia quadrata di riferimento,
anche il valore di tempo è riferito al lato del quadretto (sec/div) piuttosto che alla
larghezza dell’ intero schermo.
Se vi è solo la manopola a scatti, il valore in tempo della divisione si legge sulla
ghiera della manopola. In modelli più sofisticati vi è anche una manopola continua
per regolazione fine (varia R de/o V0 dell’ oscillatore), e allora il valore in tempo della
divisione appare sullo schermo.
77
ASPETTO DEL GRAFICO

Se per una qualche impostazione della scala dei tempi (= periodo dell’ oscillatore a
denti di sega interno) il periodo della tensione (p.es. sinusoidale) da visualizzare,
coincidesse esattamente con quello dell’ oscillatore, allora si vede esattamente un
singolo periodo della sinusoide:

Se il periodo della tensione da visualizzare fosse, ad esempio, la metà, se ne vedono
due. Infatti nel tempo in cui l’ oscillatore completa una rampa ascendente e il fascio
si muove all’ estremo sin a quello dx dello schermo, la tensione da visualizzare ha
completato due periodi:

Sta all’ operatore quindi regolare la scala dei tempi per ottenere una visualizzazione
“comoda” della tensione da studiare.
Questo è del tutto equivalente a scegliere opportunamente la scala di un grafico
affinché tutta la regione di interesse sia compresa sullo schermo o sul foglio o, all’
opposto non occupi giusto una loro piccola regione: i valori da visualizzare non
cambiano, ma la leggibilità dell’ informazione sì.

78
Lezione n.15
MISURA DI CAMPI MAGNETICI
79
SOLENOIDE

Si chiama solenoide una bobina di filo
conduttore la cui lunghezza sia
significativamente maggiore della sua
dimensione trasversale (raggio o
diametro)

Se alimentato, come tutti i conduttori
percorsi da corrente, genera un campo
magnetico.

Il campo magnetico generato da un
solenoide è interessante come il campo
elettrico prodotto da un condensatore, in
quanto è concentrato per la maggior parte
al suo interno e è praticamente uniforme in
una regione interna al solenoide escluse le
zone vicino alle estremità:

Il modulo del campo magnetico nella zona
in cui è uniforme è dato da
B   0 iS nS   0 iS
NS
lS
80
FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO

Consideriamo un conduttore ripiegato a
formare una spira (di forma teoricamente
qualsiasi, ma nelle applicazioni pratiche di
forma regolare: circolare, rettangolare,
quadrata), collocato in una regione in cui è
presente un campo magnetico,
eventualmente (ma non necessariamente)
uniforme.

Si definisce flusso del campo magnetico
attraverso la superficie così individuata:
( B) 


 B dS
S

 BdS cos 
S
Attenzione: la definizione è formalmente
identica a quella del flusso del campo elettrico
utilizzato nel Teorema di Gauss, ma la
superficie gaussiana è un guscio chiuso che
racchiude un volume, mentre quella di
interesse per i fenomeni magnetici è una
membrana di cui si può identificare il contorno.
Se questo flusso varia nel tempo, cioè se
d( B)
 0
dt

Si consideri una (qualsiasi) superficie a
membrana di cui il conduttore sia il confine.
nella spira circola corrente pur non essendo
alimentata, e se la spira fosse non
perfettamente chiusa ma brevemente
interrotta, tra i due capi si osserverebbe una
f.e.m..
81
F.E.M. INDOTTA

Dunque una variazione di flusso magnetico induce una f.e.m. (indotta) in
una spira.
d( B)
Si osserva (e si può mostrare) che il valore della f.e.m. indotta vale   

A maggior ragione in una bobina di n spire:   n

dt
d( B)
dt
In base alla sua definizione, il flusso può variare per 3 motivi diversi o per
combinazioni simultanee di essi:
1. Varia il vettore B nel tempo (cambia modulo o direzione o entrambi): d B 


2.
0
Varia la superficie nel tempo (la spira o bobina viene stirata, compressa, o
anche solo deformata: ricordiamo che i dS sono vettori!): dSdt  0

3.
è questo il caso oggetto di una esperienza in Lab.
dt
è questo il caso che si presta meglio a spiegare didatticamente la generazione
della f.e.m. indotta.
Varia nel tempo l’ angolo tra spira o bobina e campo magnetico:

d (cos  )
 0
dt
è questo il caso più comodo da realizzare (basta far ruotare la bobina!) e è
infatti quello sfruttato per la produzione industriale di elettricità.
82
MISURA B IN SOLENOIDE

In una esperienza, misuriamo il modulo del B
prodotto da un solenoide in questo modo:
introduciamo al suo interno una bobina non alimentata,
 variamo nel tempo il campo magnetico del solenoide in
una maniera particolare, cioè accendendo e/o
spegnendo l’ alimentatore del solenoide: variazione
0  0iS n,S
 misuriamo la carica trasportata dalla corrente che
circola in un circuito chiuso nel quale la bobina è
inserita, la quale corrente circola grazie proprio alla
f.e.m. indotta nella bobina dalla variazione di flusso
dovuta alla variazione di B causata come sopra.

83
APPARATO MISURA B SOLENOIDE
S
R
T
A
E


Rv
C sono due circuiti indipendenti senza connessione elettrica tra essi:
1.
2.

G
Solenoide S, E, A, T, RV
Bobina, galvanometro G, resistore a cassette R
La variazione improvvisa di B da 0 a 0iS nS e/o viceversa si ottiene
chiudendo/aprendo il tasto T.
RV invece viene utilizzata per ripetere la misura più volte facendo scorrere
in S correnti iS diverse, ottenendo quindi B diversi.
84
PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO

S
R
T
A
Rv
E


G
Chiudendo o aprendo l’ interruttore T il flusso
di B attraverso la bobina passa da zero a un
certo valore (B) quando si chiude T o, al
contrario, da tale valore a zero quando si
apre T.
Il circuito il cui la bobina è inserita è percorso
da una corrente data dalla f.e.m. indotta nella
bobina diviso la resistenza totale del circuito:
i(t ) 
1 d( B)
Rtot dt
Rtot  rbobina  rg  R



La variazione di flusso non è continua nel
tempo ma impulsiva, pertanto la corrente
indotta non è stabile ma transitoria, dunque il
galvanometro si comporterà da balistico e la
sua deviazione d sarà proporzionale alla carica
che lo attraversa durante l’ impulso di corrente
indotta.
Con opportuni passaggi, dalla misura della
carica che il galvanometro ci fornisce
risaliremo a B.
Prima di svolgerli osserviamo che la misura
della carica dalla deviazione dell’ indice del
galvanometro osservata richiede la conoscenza
della costante balistica del galvanometro che è
fornita (o misurata, o ricavabile facilmente) non
per qualunque valore di Rtot ma solo per ∞, KB
(che non interessa in questo caso, altrimenti
non circolerebbe corrente), o per il valore
critico Rc, KBc .
Quindi bisogna regolare la R a cassette in
modo che Rtot = Rc :
Rtot  Rc  R  Rc  rbobina  rg
85
DA DEVIAZIONE A CAMPO MAGNETICO

Sostituita Rc a Rtot riscriviamo la corrente
indotta così:

1 d(B)
i(t) 
Rc dt

o anche
i(t)dt 

1
d(B)
Rc
Integrando il primo membro nell’ intervallo di
tempo da 0 a T (non noto, ma breve) in cui la
variazione di flusso avviene e il secondo
membro tra i valori del flusso (ben noti) agli
estremi di questo intervallo di tempo si ha:

T
0
1 (B)
i (t )dt 
d ( B )

0
Rc

Per quanto appunto il valore di T non sia noto, l
integrale a primo membro è semplicemente la
carica totale fluita nel circuito, che noi
misuriamo sperimentalmente con il
galvanometro, mentre il secondo membro è il
flusso a regime diviso per Rc dato che il flusso
al tempo iniziale è nullo (o il viceversa all’
apertura del tasto T: in valore assoluto la
variazione di flusso è la stessa, ma la corrente
fluirà in verso opposto e il galvanometro
devierà della stessa quantità ma dalla parte
opposta.
Detto n il numero di spire della bobina e A la
loro area si ha:
q  K Bc d 
( B)
nAB

Rc
Rc
K Bc dRc
 B 
nA
86
SUGGERIMENTI OPERATIVI
1.
2.
Se siete sicuri che il galvanometro è lo stesso che avete
adoperato nella esperienza sul galvanometro balistico al
Primo Ciclo, usate la KBc misurata da voi.
Altrimenti, letta sull’ apparecchio la sensibilità di carica sq
si risale a KBc così: K  eK  se
c
B

B
q
3.
4.
Variando (almeno una decina di volte) RV dare correnti
diverse al solenoide e misurare ogni volta sia iS (letta
direttamente sull’ amperometro) sia B (nel modo descritto).
Da un best fit della relazione lineare B  0iS nS
ricavare il numero di spire per unità di lunghezza del
solenoide e confrontarlo con il valore presunto.
87
EFFETTO HALL


Se un conduttore (o un semiconduttore) percorso da
corrente è immerso in un campo magnetico B , i
portatori di carica non sono distribuiti uniformemente al
suo interno ma subiscono una dislocazione dinamica
che genera una d.d.p. tra pareti opposte del
(semi)conduttore.
Per evidenziare, e sfruttare quantitativamente, questo
fenomeno, si usano (semi)conduttori a sezione
rettangolare con le due dimensioni della sezione
piuttosto diverse: una “lamina” di sezione a x b con b>a
e disposto in modo che B sia  alla lamina.
88
DESCRIZIONE EFFETTO - 1

Stabilito un sistema di riferimento
nella lamina come in figura si ha:

B  Byˆ


La corrente i non è un vettore, ma la
densità di corrente sì:


i
i
j 
xˆ 
xˆ  nevd
S
ab
i
Questa espressioneè valida sia per elettroni sia per (eventuali) portatori di carica positivi:

Per elettroni, vd è opposto al verso di i , cioè opposto al versore
ma e è un numero negativo: e   e


 j  nevd  n( e )(vd xˆ )  (n e vd ) xˆ  jxˆ

,
(verso destra in figura)

Per portatori positivi, vd è concorde al verso di i , cioè al versore
mentre e è un numero positivo: e   e


 j  nevd  n e vd xˆ  n e vd xˆ  jxˆ
x̂ : vd  vd xˆ

x̂ : vd  vd xˆ
,
(verso destra anche in questo caso)
89
DESCRIZIONE EFFETTO - 2



In mancanza di B , la
conduzione avviene
normalmente:
i portatori si muovono, ma
sono equamente distribuiti nel
volume del conduttore.
vd
i
In presenza di un B con l’ orientazione datagli di proposito ( alla
lamina) e limitandoci per fissare le idee al caso di un conduttore
metallico in cui i portatori sono elettroni, si ha che sugli elettroni, i
quali sono in moto a causa di una sorgente esterna
di f.e.m.,
per il



fatto di essere in moto agisce la forza di Lorentz: F  qv  B   e v  B

Nel caso preso in esame B  Byˆ , vd  vd xˆ
L

d



quindi FL   e vd  B   e  vd xˆ  Byˆ  e vd Bxˆ  yˆ   e vd Bzˆ
90
DESCRIZIONE EFFETTO - 3


L’ effetto sugli elettroni (che già sono in moto
in quanto costituiscono la corrente) è di
tendere a dislocarli all’ interno della lamina
facendoli accumulare su un lato (lato
“superiore” in figura): rimangono comunque
in moto (verso sinistra in figura) ma non sono
più distribuiti uniformemente nel volume
della lamina.
L’ effetto sugli elettroni è dunque analogo a
quello di un campo
 elettrico fittizio diretto in
verso opposto a FL , denominato campo
elettromotore o campo di Hall E H , e dato da:



e vd Bz
FL


EH 

 vd Bz  vd B( z )
qe
 e

Di per sé il campo di Hall farebbe crescere
indefinitamente il numero di elettroni in moto
dislocati, ma questo non è possibile né
teoricamente (il numero di elettroni mobili è
finito) né praticamente perché la dislocazione
crea essa stessa all’ interno
 del conduttore

un altro campo elettrico Eel opposto a E H .
FL
i

Se pensiamo al processo come avente inizio
al momento dell’ “accensione” di un campo
magnetico esterno al conduttore
già percorso

da corrente,
 il campo E H ha un valore fisso,
mentre Eel cresce man mano che la
dislocazione
 ha luogo fino a quando eguaglia
in modulo E H :


Eel  EH
91
DESCRIZIONE EFFETTO - 4





La configurazione delle cariche nel
conduttore appare simile a quella di un
conduttore sottoposto a induzione
elettrostatica.
Nel caso elettrostatico gli elettroni dislocati
assumono posizioni fisse (configurazione
statica).
In questo caso gli elettroni continuano a
muoversi nel verso (opposto alla) corrente,
ma - per così dire - schiacciati, addossati,
contro una parete.
La dislocazione è dunque dinamica, non
sono sempre gli stessi elettroni negli stessi
posti, ma poiché tutti gli elettroni sono
identici, la distribuzione spaziale delle
cariche ha la stessa configurazione del caso
elettrostatico, cioè è ugualmente stabile.
A causa di questa dislocazione dinamica ma
stabile tra le due pareti strette opposte della
lamina e esternamente a essa appare e si
può misurare una d.d.p. stabile, che sussiste
solo finché sussistono sia i sia B .
i


Come meccanismo di produzione, essa è
chiaramente associata al campo Eel , ma dato
 che
questo è uguale in modulo al campo fittizio E H , è
tradizione

 riferirla a quest’ ultimo.
Che Eel e E H abbiano versi opposti non è
importante, infatti anche i e B possono avere versi
opposti a quelli assunti in figura, e dunque alla
fine la d.d.p. può avere, in generale, uno tra i due
versi a seconda del segno dei portatori di carica e
dei versi di i e B .
92
TENSIONE DI HALL




ev B
FL
VH   EH  b  
b   d b  vd Bb
e
e
Già si capisce che la tensione di Hall è
proporzionale a B e dunque una misura
diretta di d.d.p. può portare alla misura
indiretta di B.
Però non conosciamo con esattezza vd, ma
possiamo misurare i.
Si ha allora:
i  neSvd  nesabvd  vd 
VH

ibB
iB
 vd bB  
 
neab
nea



Con i versi di B e i del nostro esempio, si ha:
1.
2.

i
neab
VH
VH positiva (il potenziale aumenta nel verso
positivo di z) per portatori positivi
VH negativa (il potenziale diminuisce nel
verso positivo di z) per portatori negativi
Per conduttori metallici dunque VH sarebbe
negativa
Considerando adesso il valore numerico (assoluto):
n è caratteristico del materiale impiegato e si
potrebbe determinare con una taratura iniziale.
Anzi, è consuetudine inglobare n nella costante di
proporzionalità, cioè definire una costante di Hall
RH e esprimere |VH | come:
RH 

1
1 iB
iB
 VH 
 RH
ne
ne a
a
Misurando VH per i e B noti si determina RH:
RH 
VH
a
misurato
inotoBnoto
93
SONDA DI HALL


Una volta determinata RH per una data lamina di un
dato materiale, questa lamina può essere usata come
“sonda” da inserire all’ interno di un campo magnetico
per determinare il valore (locale) di B : la sonda di Hall.
La procedura di misura consiste nel misurare lo
spessore a della lamina e la tensione di Hall VH tra i due
bordi opposti della lamina che appare quando in essa si
fa circolare una corrente i.
1. Ruotando la sonda in situ fino a quando |VH | è max si
determina la direzione di B ( al piano della lamina).
V
2. Il modulo di B è dato da B  Ra i.
3. Dal verso di VH , cioè quale bordo è a potenziale più basso
(o più alto) si determina il verso di B .
H
H
94
ESPERIENZA SU EFFETTO HALL


L’ esperienza di Lab consiste nel determinare la costante di Hall RH per una
sonda di Hall in bismuto, ossia nel tarare la sonda.
Si può fissare B (letto da un’ altra sonda di Hall già tarata) e misurare in
correlazione |VH | al variare di i, che si sceglie e si legge direttamente. Si
determina RH da un best-fit della relazione
VH

Si può fissare i e misurare in correlazione |VH | al variare di B. Si determina
RH da un best fit della relazione
VH


misurato
 RH B fissato 
i
 
a


misurato
 RH i fissato 
 B
 
a


Infine si confrontano i due valori così determinati tra loro e con quello
reperibile in letteratura per il bismuto: RH = 5·10-7 m3/As
Dal valore di RH si può ricavare immediatamente il numero di elettroni liberi
per unità di volume n nel bismuto.
95
Lezione n.16
DEFLESSIONE ELETTROSTATICA E MAGNETICA DI
ELETTRONI MEDIANTE IL TUBO DI WENHELT;
MISURA DI e/m DELL’ ELETTRONE
96
TUBO DI WEHNELT







Il Tubo di Wehnelt è un tubo a raggi catodici, sagomato a forma di ampolla globulare,
atta a osservare il moto di elettroni in un campo magnetico.
Un fascio monoenergetico di elettroni è prodotto da un cannone elettronico simile a
quello utilizzato nell’ oscillografo o nel televisore a CRT.
Il tubo viene collocato all’ interno di una regione in cui è prodotto un campo
magnetico (quasi) uniforme.
Il campo magnetico produce una deflessione degli elettroni, conferendo loro una
traiettoria circolare.
Il cerchio percorso dagli elettroni è contenuto in tutto o in parte all’ interno dell’
ampolla.
Il percorso degli elettroni è reso visibile indirettamente dalla diseccitazione,
mediante emissione di fotoni, di atomi colpiti, durante il loro percorso, da alcuni
degli elettroni accelerati dal cannone.
Questi possono essere, a seconda dei modelli:


Atomi di un gas a bassa pressione che riempie l’ ampolla
Atomi di una sostanza fluorescente che ricopre uno schermo posizionato in modo da intercettare
il fascio.
97
PRIMO MODELLO DI TUBO DI WEHNELT
Ampolla globulare
Bobine di Helmholtz
Cannone elettronico
98
PRIMO MODELLO: SCHEMA CONCETTUALE








V0





r








FL  qv  B   e v0  B
Ampolla riempita di
gas H2

v0
 

v0  B

FL

 
FL  ev0 B sin( v0 , B) 
 ev0 B  1  ev0 B
 “ruota” con
v

v  v0  cost

e direzione

v  r
A
99
DETERMINAZIONE e/m - 1

Da


F  ma
riscritta per i moti rotatori:
2
2
v0
v
F  ma  m
 FL  ev0 B  m

r
r
mv0
v0 Velocità all’ uscita dal cannone
e
 r 


eB
m
rB
Si deduce dalle caratteristiche
del cannone
Si misura
sperimentalmente
osservando la
circonferenza
descritta dal
fascetto
Si calcola per le
bobine di Helmholtz
100
DETERMINAZIONE e/m - 2



Il modulo della velocità all’ emissione dal cannone è data dalla somma della
componente lungo l’ asse del cannone della velocità di emissione, vem z, e
della velocità acquisita grazie all’ accelerazione da parte del cannone, vacc:
v0 = vem z+ vacc .
Ma poiché come abbiamo visto in generale per i CRT, vem z<< vacc  v0  vacc.
vacc si deduce dalla conservazione dell’ energia:
E pot  Ecin  eVA 

Sostituendo nell’ espressione di e/m si ha:
e
1

m
rB

1
1
2
2
mvacc  mv0  v0 
2
2
2eVA
m
2eVA
e2
1 2eVA
e
2V
 2  2 2

 2 A2
m
m
r B
m
m
r B
Osservando l’ intera circonferenza è pratico misurare il diametro della
traiettoria d = 2r:
e
2V
2VA
8VA
 2 A2 

2
m
r B
d 2B2
d  2
  B
2
Potenziale anodico
101
BOBINE DI HELMHOLTZ
102
CAMPO BOBINE DI HELMHOLTZ
Per distanza tra bobine pari
al raggio delle stesse , B è
quasi uniforme nello spazio
tra le stesse.
 In particolare, se si utilizza
solo la metà centrale dell’
intervallo, cioè entro  R/4
da O, il campo varia meno
dello 0.5%.

R/4
103
CALCOLO CAMPO BOBINE - 1
Spira circolare
Filo generico

dl
 

 dl  r
dB  0 i
4
r3
i

r
P

dl

dB

dB y
90

r
R
 dB
x

x
i
P

I vari dB y si elidono a coppie

B 




 R
d
B

d
B

d
B
cos


d
B
sin


d
B

 x 

 r 

 0i dlr sin 90 R
 0i R
 0i R
0 R 2
B 

dl 
2R 
i
4 
r3
r
4 r 3 
4 r 3
2 r3
104
CALCOLO CAMPO BOBINE - 2




0 R 2
0
R2
B 
i 3  B 
iN 3
2
r
2
r
Per una bobina di N spire:

Per due bobine con i nello stesso verso, nel punto di mezzo, i dB


sono uguali per ciascuna bobina  
BH ( elmholtz)  2 B[singolabobina]  BH


R2
 0iN 3
r
r dipende dal punto P in cui si calcola B.
Per le bobine di Helmholtz (= distanza tra le bobine pari al raggio R,
stessa corrente iH nello stesso verso in entrambe) volendo calcolare
BH nel punto di mezzo si può esplicitare r come segue e si ha:
R
x 
 r 
2
R2  x2 
R
R2   
2
2

R2
2
R 

4
3
5 2
 5 2 2
3
R  r   R  
4
4

3

R2
R2
R2
 4 2 1
 BH  0iH N 3  0iH N
  0 iH N
  0 iH N  
3
3
2
2
r
5 R
5 2
5 3
R
R


 
4

4

Questo valore, approssimativamente, è costante in tutto lo spazio
compreso tra le due bobine, specialmente nella metà centrale di tale
spazio, come già visto.
105
ESPRESSIONE DI e/m

In conclusione il rapporto e/m dell’ elettrone si
può esprimere nel modo seguente, atto alla
sua misura sperimentale indiretta:
e
8V
 2 A2 
m
d B
3
8VA

 4  2 1 
2
d  0 iH N  


5
R




3
2
8VA R 2
78 R 2 VA 1
5
   2 2 2 2 
 0 2 N 2 iH 2 d 2
 4  d  0 iH N
costanti
caratteristiche geometriche delle bobine
fissate dallo sperimentatore
osservato
106
DUE MODELLI, DUE ESPERIENZE

Abbiamo due modelli di tubo di Wehnelt:
1.


2.


Grande ampolla sferica, riempita di gas H2 a bassa pressione, grandi bobine di Helmholtz,
cannone incluso entro il volume sferico. Basso VA (0 ÷ 300 V)  piccolo raggio r, intera
traiettoria contenuta entro ampolla: si vede l’ intera circonferenza, ma fascio “visibile” debole,
necessita buio spinto (il gas deve essere a bassissima pressione  poche molecole  pochi
urti  pochi fotoni) per non distruggere la traiettoria di tutti gli elettroni. Scala graduata fuori
dalla ampolla, lontana dal fascio.
Questo modello è atto a una visualizzazione qualitativa, molto meno a misure quantitative.
SUGGERIMENTO: Osservate per il piacere di vedere una circonferenza intera, ma non
spendete piè di 15 min in questa esperienza. Potete eseguire misure, ma solo se vi abbonda
il tempo.
Piccola ampolla sferica, a vuoto. Cannone in protuberanza esterna dell’ampolla, che immette
gli elettroni nella parte sferica. Alto VA (0 ÷ 5000 V)  grande raggio r  solo un arco della
traiettoria circolare è contenuto entro ampolla, ma fascio brillante e ben visibile: esso è
leggermente sfocato (sezione trasversale non trascurabile). Schermo ricoperto di sostanza
fluorescente posto “di traverso” di pochi gradi a intercettare la traiettoria del fascio. Singoli
elettroni colpiscono “di striscio” lo schermo, che emette luce, lungo il loro percorso. Lo
schermo è graduato e permette di ricavare il raggio della traiettoria da misure delle
coordinate di alcuni punti.
Questo modello è molto più adatto per misure quantitative.
All’ interno dell’ ampolla, sono poste anche le lastre piane e parallele di un grande
condensatore, che permette di stabilire entro l’ ampolla anche un campo elettrico.
107
SECONDO MODELLO DI TUBO DI WEHNELT
Schermo fluorescente con
griglia
Fascio di elettroni deviato
Piastra condensatore
Bobine di Helmholtz
Cannone elettronico
108
SECONDO MODELLO: SCHEMA CONCETTUALE
Elettrodi metallici
e
E


B
Schermo
fluorescente
V0
Cannone elettronico
Verso il centro della
circonferenza
+
Bobine di Helmholtz
109
A
GEOMETRIA DETERMINAZIONE RAGGIO
y
2
2
AP  AB  BP
r
r  (r  y )  x
2
2
2
2
x2  y 2
r
2y
B
B
P(x,y)
e
x
O
Traiettoria a B spento
110
DETERMINAZIONE RAGGIO DA BEST-FIT




Nella slide precedente è illustrata la geometria per ricavare il raggio r dall’ osservazione di un solo
punto sul reticolo di riferimento.
Si ottiene un amigliore misura di r rilevando diverse coppie (xi, yi) in punti “comodi” (incroci tra linee
del reticolo o punti medi di lati dei quadretti).
2
2
2
Tutte queste coppie devono soddisfare l’ espressione
i
i
Si fa un best-fit con la funzione linearizzata:
(r  y )  x
 r
(r  y ) 2  x 2  r 2 
r
2

Y


y2  x2
 y  2ry  x  r  2ry  y  x  y 
2r
1
2
2
 y; X  y  x ; a 
 Y  aX

2r 
2
2
Dato a dal best fit, si ricava r = 1/(2a) .
Questo valore di r si usa nella formula
2
2
2
e
2V
 2 A,2
m
r B
con i valori di VA e B appropriati per questo cannone e queste bobine di Helmholtz.

In questo caso ovviamente si usa il raggio e non il diametro.
111
DEFLESSIONE MAGNETICA + ELETTRICA
Accendendo anche il condensatore… per opportuno valore di E1 deviazione nulla!
E
Fm
B
V0

-
+ Fe
E1
+
112
e/m DA DEFLESSIONE NULLA

Per un opportuno valore di E1, dunque, la risultante delle forze agenti
sul fascio di elettroni è nulla; quindi, in modulo:
E1
v0 
B
ev0 B  eE1

Ricordando l’espressione della velocità v0 derivante dalla
conservazione dell’energia, si ha:
E1

B

2
e
E1

m
2 B 2V A
2eVA
m
Ricordando inoltre che il campo elettrico generato tra due piastre
poste a distanza d e portate ad una differenza di potenziale VP vale
VP/d ,si ha infine:
2
P
e
V

m
2 B 2VA d 2
113
STUDIO DEFLESSIONE ELETTROSTATICA


Lasciando acceso solo il campo elettrico tra le piastre, si può
verificare che la deflessione segue una traiettoria parabolica.
L’ equazione della traiettoria vista alcune slides fa, può essere così
riscritta utilizzando i simboli attuali:
1 e VP x 2
1 e VP x 2
1 e VP x 2 m
VP
2
y 



x
(1)
2
2
eV
2 m d v0
2 m d
2 m d 2eVA
4dVA
A
m


Fissati VP e VA, si rilevano coppie (xi, yi) lungo la traiettoria e si
verifica la (1) eseguendo il best-fit dei dati con la relazione (1) dopo
averla linearizzata, e verificando se il c2 ridotto valga 1.
Si possono fissare diversi valori di VP e/o VA e eseguire quindi più
verifiche mediante dei best fit.
114
Lezione n.17
CIRCUITI ELETTRICI PERCORSI DA CORRENTE
ALTERNATA
115
F.E.M. ALTERNATA


La produzione industriale di energia elettrica avviene
mediante la generazione di una f.e.m. indotta facendo
ruotare una bobina in un campo magnetico.
La f.e.m. così prodotta risulta avere la forma
   m sin wt
in cui:
1.
2.


w o meglio ν (w =2 ν), il numero di rotazioni che la bobina fa al
secondo, è deciso da accordi internazionali (ν=50Hz in Europa,
60 Hz in USA,…),
m = NSBw.
Con N = 3000, S = 1m2, B  0.5 T, ν = 50 Hz m = 480000 V.
Partitori di tensione in cascata la portano nelle nostre case
con m = 310 (=220·2) V.
116
TENSIONI ALTERNATE SINUSOIDALI
Le tensioni alternate sinusoidali sono importanti per tre
ragioni:
 ASPETTO ECONOMICO: sono semplici da produrre
 ASPETTO TECNICO: rendono possibile la trasmissione
codificata di informazione (comunicazioni radio e telefoniche,
riproduzione sonora (impianti Hi-Fi), navigazione cieca, televisione,

satelliti, …)
ASPETTO TEORICO: una qualsiasi funzione periodica del tempo,
quindi anche una qualsiasi tensione periodica non sinusoidale, può
essere espressa mediante una serie di funzioni sinusoidali del
tempo, detta serie di Fourier.
Nel seguito di questa lezione tratteremo dunque solo tensioni sinusoidali
117
CONVERSIONE ALTERNATACONTINUA


Detta anche in gergo “raddrizzamento” di una tensione alternata.
Si ottiene con il seguente circuito:
diodo
+
 VG
C Vu
Ru
_
i

La tensione originaria VG è alternata (sinusoidale). La tensione (quasi)
continua da utilizzare Vu si “preleva” ai capi di C, cioè si connette il “resto
del dispositivo” in parallelo a C e Ru.
118
FUNZIONAMENTO RADDRIZZATORE - 1

Se vi fosse solo Ru ma non C, ai capi di Ru si troverebbe una tensione con questo andamento:
diodo
V
G
t
+
G
Ru
 V
G
Vu
_
Vu
t
i

Infatti il diodo conduce solo quando l’anodo è a potenziale positivo rispetto al catodo, quindi soltanto durante la
semionda positiva della tensione VG alternata, fornita dal generatore G, può scorrere una corrente i nella resistenza
Ru e nel diodo. Questa corrente pulsante darà luogo ai capi di Ru ad una d.d.p. pulsante Vu:

raddrizzatore a una semionda
119
FUNZIONAMENTO RADDRIZZATORE - 2



Aggiungendo in parallelo a Ru un condensatore C di opportuna capacità, durante il tempo in cui la tensione alternata
sale al suo valore massimo positivo, C si carica a tale valore molto rapidamente, dato che si carica attraverso la sola
resistenza dei fili che lo collegano a Ru(e non attraverso Ru, che è a lui in parallelo e non in serie).
Dunque la d.d.p. ai capi di C segue inizialmente lo stesso andamento della prima semionda positiva di VG, nella sua
prima fase crescente. Poi, quando VG scende verso zero il condensatore si scarica attraverso la resistenza Ru. Se la
costante di tempo RuC è abbastanza più grande del periodo della tensione alternata da raddrizzare, il C si scarica
lentamente e in particolare continua a scaricarsi lentamente durante la fase di semionda negativa soppressa dal
diodo, e quando inizia la nuova semionda positiva, con la sua fase iniziale crescente, la d.d.p. ai capi di C è scesa solo
di poco prima che riprenda a crescere rapidamente.
Si ottiene una tensione “filtrata” come quella riportata in rosso nella figura.
diodo
+
 VG
Ru
Vu
C
Vu
_
i

t
raddrizzatore a una semionda con filtro
120
STUDIO CIRCUITO IN ALTERNATA






Lo studio di un circuito alimentato da tensione alternata consiste, esattamente come
per un circuito alimentato da tensione continua, nel determinare alcune grandezze
conoscendone altre.
Solo che adesso le grandezze (tensioni e correnti) sono tutte funzioni del tempo,
quindi l’ uso delle leggi di Kirckhoff (equazioni delle maglie e dei nodi) comporta la
risoluzione di equazioni differenziali anziché algebriche, il che è più complicato e
tedioso.
Sono stati sviluppati due metodi (tra loro equivalenti) per velocizzare tale studio: la
rappresentazione vettoriale e quella complessa.
Nella rappresentazione vettoriale, la risoluzione di equazioni differenziali è sostituita
da operazioni (essenzialmente somma e sottrazioni) di vettori.
Nella rappresentazione complessa dalla stessa procedura, utilizzando a sua volta la
notazione vettoriale dei numeri complessi o da operazioni algebriche utilizzando la
notazione algebrica dei numeri complessi.
I due metodi vengono:



Introdotti, illustrando i termini della loro applicabilità
Verificati studiando circuiti semplici di cui siano note le espressioni delle grandezze da una
risoluzione diretta delle equazioni differenziali
Adoperati per circuiti generici
121
CIRCUITO RLC SERIE

Equazione della maglia:
Va (t )    VR  VL  VC  Va (t )
i
di
q
 m sin wt  iR  L

 0
dt
C

VR
Da soluzione eq. differenziale, corrente:
i 
m
Z
i  i (t ) 
Z

R
sin wt     im sin wt   

1 

R
 wL 


wC   Ae 2 L t
sin wt  arctan  
2
R



1 

2


R   wL 




wC 
XL
m
φ
ε~
L
a
C
XC
Grafico: ε(t), i(t)
VL
VC
ϕ
εm
im
t(s), ωt(rad)
trascurabile a regime
0
122
PECULIARITÀ

Se un circuito è alimentato da una tensione alternata sarà percorso da
correnti pure alternate.


Nota l’ ampiezza della tensione, l’ ampiezza delle correnti non è predicibile
dalla sola conoscenza degli elementi del circuito: dipende anche da w.


Fisicamente questo non sorprende: gli elettroni saranno sottoposti a una deriva
avanti e indietro di entità oscillante in modo armonico.
Dato un circuito, usato qui (w =314 rad/s) vi scorre una certa corrente, portato in
USA (w =377 rad/s) e ammesso che l’ ampiezza della tensione sia la stesa, vi
scorrerà una corrente diversa!
Se un circuito non è composto solo da resistori, ma comprende induttori e/o
condensatori (e quasi tutti lo sono, dato che molti resistori hanno la forma
di bobina), nasce un fenomeno fisico nuovo: lo sfasamento tra corrente e
tensione. Questo sembra essere l’ aspetto meno rilevante:

dopotutto tutte le tensioni e correnti in tutte le maglie sono alternate, con la
stesa frequenza e quindi con lo stesso periodo, che importa che non passino per
zero tutte negli stessi istanti …
123
SFASAMENTO

Motivi fisici per l’ esistenza dello sfasamento:
1.
2.


Quando corrente circola in una maglia che comprende un C, il C si carica (o scarica)
gradualmente, quindi se la corrente è alternata, la tensione ai capi di C varia “in ritardo”
rispetto al variare della corrente nella maglia.
In un induttore, non tutta l’ energia potenziale presente istante per istante tra i suoi capi può
essere convertita per effetto Joule dalla corrente come avverrebbe in una R, dato che una
parte viene immagazzinata come energia magnetica, quindi mentre la tensione ai capi di L –
per esempio - aumenta, la corrente nella maglia non “tiene il passo” e quindi è la corrente
nella maglia a aumentare “in ritardo” rispetto al crescere della tensione ai capi di L.
Analogamente nelle fasi in cui la tensione ai capi di L decresce la corrente decresce “dopo”
dato che energia immagazzinata viene restituita e si aggiunge a quella dissipata per effetto
Joule. In entrambi i casi è la corrente nella maglia a variare “in ritardo” rispetto al variare della
tensione ai capi dell’ elemento.
Quando sono presenti sia C sia L, vi saranno specifici valore di sfasamento tra
correnti e tensioni dipendente dai valori di L e C, ma anche di R e w.
Effetto “drammatico” dello sfasamento:

Istante per istante, a somma istantanea delle tensioni ai capi degli elementi in una maglia
deve essere zero, quindi la somma dei valori istantanei delle tensioni in tutti gli utilizzatori
deve essere uguale alla somma dei valori istantanei delle tensioni fornite dagli alimentatori,
ma poiché le loro sinusoidi non sono necessariamente sincronizzate, allora le ampiezze delle
tensioni ai capi degli utilizzatori possono anche essere maggiori di quelle di alimentazione!

Sovratensione !, che non viola la conservazione dell’ energia.
124
RAPPRESENTAZIONE VETTORIALE


In generale, data una grandezza sinusoidale A = Am sinwt , raffiguriamo in un sistema di riferimento
cartesiano un vettore di modulo Am.
Scegliamo l’ asse x come origine degli angoli, come verso degli angoli crescenti il verso antiorario, e
collochiamo il vettore a un angolo pari all’ argomento della funzione, wt:
y
Am
A = Am sinwt
wt
Am


x

Immaginando che il vettore Am ruoti nel nostro sistema di riferimento cartesiano con velocità
angolare costante w, la sua proiezione sull’ asse y è sempre pari al valore istantaneo della grandezza
sinusoidale, A.
In particolare, per t = 0 , wt = 0, il vettore giace sull’ asse orizzontale e la sua proiezione vale A=0
come deve essere.
125
VETTORI TENSIONE E CORRENTE




Nella rappresentazione
vettoriale, è immediato
visualizzare lo
sfasamento tra tensione e
corrente.
Per esempio, con
riferimento all’
espressione della
corrente nel RLC serie
appena rivisitata, appare
come in figura.
In questo caso, φ>0.
Al trascorrere del tempo i
due vettori ruotano, ma
ruotando con la stessa
velocità angolare, la loro
“differenza angolare”,
cioè il loro sfasamento,
rimane costante: φ.
y
i
im
εm
ε
φ
wt’
im
φ
wt
εm
wt+φ
x
126
RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 1


In realtà per
rappresentare la
posizione relativa nel
tempo dei due vettori e
quindi il loro sfasamento
non è necessario pensare
i due vettori come rotanti:
dato che φ è costante nel
tempo, basta
rappresentare i due
vettori in un singolo
istante qualsiasi.
Per esempio, ma non
necessariamente, per t=0.
y
im
εm
im
φ
φ
εm
x
127
RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 2

Caso φ<0:
y
im
εm
φ
φ
εm
x
im
128
RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 3

Caso φ=0:
y
im
εm
εm
x
im
129
RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 4
Lo sfasamento è un
concetto relativo:


In questo caso (già visto)
è φ<0 quello della
corrente rispetto alla
tensione, ma nulla
vieterebbe di
rappresentare la corrente
come
i(t )  im sin wt
di conseguenza la
tensione come
 (t )  im Z sin wt      m sin wt   

e allora questo stesso
grafico illustrerebbe lo
sfasamento della
tensione rispetto alla
corrente e diremmo che
φ>0 .
y
φ
εm
x
im
130
UTILITÀ RAPPRESENTAZIONE VETTORIALE


L’ utilità della rappresentazione vettoriale va ben oltre la
semplice visualizzazione.
Essa consente la determinazione di una ampiezza non nota
di una tensione o corrente e di uno sfasamento φ non noto
tra tensione e corrente in una maglia generica dalla
conoscenza dei valori delle grandezze elettriche (R, L o C)
degli elementi presenti nella maglia, e di w, semplicemente
dando per scontato che la forma della grandezza da trovare
sia sinusoidale con espressione generica A(t )  A sin wt    e
utilizzando operazioni geometriche sui vettori.
Per illustrare il metodo pratico per tale valutazione, è
necessario scoprire il valore di φ tra tensione corrente e
tensione in ciascun singolo elemento separatamente: R, L o
C.
m

131
CIRCUITO PURAMENTE RESISTIVO

Equazione della maglia:
Va (t )    VR  Va (t )
 m sin wt  iR  0

Corrente:
i  i (t ) 

m
R
ε(t)
~
R
i(t)
y
sin wt  im sin wt
Tensione ai capi di R:
VR     m sin wt

Sfasamento tensione-corrente:
φ=0.

Rappresentazione vettoriale 
εm
VRm
x
im
132
R IN RLC SERIE

Corrente nella maglia:
i 


Z
sin wt     im sin wt   
i
R
Tensione ai capi di R:
VR  VR (t )  Ri (t )  Ri m sin wt    
 R

m
m
Z
ε~
sin wt     VRm sin wt   
y
Rappresentazione
vettoriale 
Sfasamenti:
 VR in fase con i.
 i però è per conto
suo sfasata di φ
rispetto a ε, quindi
VR sfasata di φ
rispetto a ε.
a
L
C
VL
VC
im
VRm
φ
VR
εm
x
133
CIRCUITO PURAMENTE INDUTTIVO


Equazione della maglia:
 m sin wt  L
Corrente:
m
Va (t )    VL  Va (t )
m
m 
1

cos wt  

L
L
L  w







  m cos wt  m sin  wt    im sin  wt  
wL
2
2

X wL 
di (t ) 
sin wtdt  i (t ) 
 sin wtdt

ε(t)
di(t )
 0
dt
~
L
i(t)
y
L

Tensione ai capi di L:
VL     m sin wt


Sfasamento tensione-corrente:
φ= -/2. Si dice che la corrente è
in ritardo (di ¼ di ciclo) rispetto
alla tensione.
Rappresentazione vettoriale 
εm
  

2
x
VLm
im
134
L IN RLC SERIE

Corrente nella maglia:
i 

m
Z
sin wt     im sin wt   
i
R
Tensione ai capi di L:
di (t )
d
im sin wt    
 L
dt
dt





 wLim coswt     wL m sin  wt      VLm sin  wt    
Z
2
2


VL  VL (t )   L
ε~
L
XL


Rappresentazione
vettoriale 
Sfasamenti:
 VL in anticipo di
/2 rispetto a i.
 i però è per conto
suo sfasata di φ
rispetto a ε, quindi
VL sfasata di
φ+/2 rispetto a ε.
VR
VL
y
VLm
C
im
a
φ
εm
x
VC
NOTA: può essere
wL>Z VLm > εm !
(sovratensione”)
135
CIRCUITO PURAMENTE CAPACITIVO


Equazione della maglia:
Corrente:
Va (t )    VC  Va (t )
 m sin wt 
dq(t )
 wC m cos wt 
dt





 1m sin  wt    im sin  wt  
2
2

X wC 
q(t )  C m sin wt  i(t ) 
ε(t)
q(t )
 0
C
~
C
i(t)
y
im
C

Tensione ai capi di C:
VC     m sin wt


Sfasamento tensione-corrente:
φ= +/2. Si dice che la corrente è
in anticipo (di ¼ di ciclo) rispetto
alla tensione.
  

2
εm
x
VCm
Rappresentazione vettoriale 
136
C IN RLC SERIE

Corrente nella maglia:
i 

m
Z
sin wt     im sin wt   
i
Tensione ai capi di C:
VC  VC (t ) 
q (t )
1

C
C
 i(t )dt
R

1
C
i
m
sin wt   dt 
1 m
1 m


 coswt    
sin
w
t


dt

C Z 
wC Z
1 m





sin  wt      VCm sin  wt    
2
2


XC wC Z



Rappresentazione
vettoriale 
Sfasamenti:
 VC in ritardo di /2
rispetto a i.
 i però è per conto
suo sfasata di φ
rispetto a ε, quindi
VL sfasata di φ/2 rispetto a ε.
ε~
L
VR
VL
y
im
a
φ
VCm
εm
C
VC
x
NOTA: può essere
1/wC>Z VCm > εm !
(sovratensione”)
137
STUDIO RLC SERIE VETTORIALMENTE





Sia un circuito RLC serie di cui conosciamo R, L, C e (almeno) w della tensione di alimentazione.
Rappresentiamo vettorialmente la corrente in un istante in cui il suo vettore sia orientato come l’ asse
x positivo: ci saranno molti istanti del genere, sebbene non t=0, e non importa conoscere quali siano.
In quello stesso istante sappiamo come sono orientati, rispetto alla corrente comune alla maglia, i
vettori tensione ai capi di ciascun elemento. Fissata una scala, rappresentiamoli con frecce di
lunghezza proporzionale a VRm, VLm, VCm. Notiamo che basta che le frecce siano proporzionali a R, w
L, 1 /w C, dato che il resto del fattore (εm/Z) è comune a tutti - ecco perché per valutare lo sfasamento
non è indispensabile conoscere, della tensione di alimentazione, là ampiezza εm, ma solo w.
A questo punto eseguiamo graficamente l’ operazione di somma vettoriale tra i 3 vettori. Il vettore
risultante rappresenterà la tensione risultante (ovvio fisicamente: la somma delle 3 tensioni in
qualunque istante, compreso quello arbitrariamente scelto per la rappresentazione, deve essere
uguale alla tensione di alimentazione in quell’ istante).
La sua differenza angolare con il vettore im rappresenterà lo sfasamento cercato!
VLm
ε
VLm - VCm
φ
VCm
VRm
im
In questo esempio
poiché evidentemente
in moulo VLm>VCm
(circuito
prevalentemente
induttivo) la corrente
risulta in ritardo
rispetto alla tensione di
alimentazione
138
DA GEOMETRIA A PARAMETRI



Supponiamo di avere misurato i, e conoscere quindi im e w
sperimentalmente (oltre che come detto R, L, C) e volere risalire a ε.
Sappiamo solo che la forma è  m sin wt    ma non conosciamo né
εm né φ.
Sappiamo anche che entro ciascun elemento
VRm  im R; VLm  im X L ; VCm  im X C

Dalle operazioni sui vettori ho

m  m 

VR2m  VLm  VCm

2

im R 2
 im X L  im X C  
2
  m  im R 2   X L  X C   im Z
2
  arctan

VLm  VCm
VRm

im X L  im X C
iX L  X C

im R
R
Si noti che φ è identico a quello ricavato analiticamente a meno del
segno, ma infatti qui rappresenta lo sfasamento di ε(t) rispetto a i(t).
139
RAPPRESENTAZIONE COMPLESSA - 1


Un’ altra metodologia per studiare più facilmente circuiti alimentati da
tensione alternata è la rappresentazione delle grandezze elettriche
alternate mediante numeri complessi, detta per brevità rappresentazione
complessa, che discende direttamente dalla rappresentazione vettoriale.
Infatti:





Un vettore v può essere espresso mediante la somma di due vettori ortogonali
presi, lungo gli assi cartesiani x ed y.
Un numero complesso è fondamentalmente definito come una coppia ordinata
di numeri reali: z=(a,b) .
Questa coppia può essere vista come la coppia di coordinate di un punto in un
piano cartesiano e il numero complesso può essere rappresentato graficamente
come un vettore nel sistema di riferimento cartesiano: un vettore orientato dall’
origine al punto P di coordinate (a,b).
Ma c’ è anche la rappresentazione algebrica dei numeri complessi z=a+ib e
sostituendo il simbolo j al posto di i per l’ operatore “unità immaginaria” al
fine di non creare confusione con la corrente, possiamo rappresentare una
grandezza elettrica sia graficamente mediante un vettore nel piano sia
analiticamente come z=a+jb, essendo a e b le misure delle proiezioni del
corrispondente vettore sugli assi.
140
RAPPRESENTAZIONE COMPLESSA - 2

La rappresentazione vettoriale allora si trasforma in (o si accoppia a)
una rappresentazione algebrica nel piano complesso, atta a eseguire
poi calcoli con le regole dell’ algebra.

Considereremo:




la grandezza (tensione o la corrente) di riferimento come numero reale;
le grandezze sfasate di π/2 in anticipo da quella di riferimento come
numeri immaginari puri positivi;
le grandezze sfasate di π/2 in ritardo da quella di riferimento come
numeri immaginari puri negativi;
le grandezze non sfasate come numeri reali.
141
RLC SERIE IN RAPPRESENTAZIONE COMPLESSA






La somma istantanea delle tensioni dà: VR  VL  VC  

V

V

V


Lm
Cm
m
La soma vettoriale (eseguita finora graficamente) si può così formalizzare: Rm
La grandezza di riferimento
è la corrente, in quanto è comune a tutti gli elementi, e vettorialmente è

rappresentata da i .
m

Utilizzando
la rappresentazione
complessa:


 VR è in fase con im , pertanto
 la consideriamo come numero reale e precisamente VRm=imR .

 VL è in anticipo rispetto a mi , per quanto detto quindi la considereremo come immaginario puro
positivo
e precisamente VLm=+jimXL .

 VCm è in ritardo rispetto a im , e la considereremo come immaginario puro negativo e
precisamente VCm=-jimXC .


 La somma di questi numeri complessi dà il numero complesso m :
m
m


 m  im R  jim X L  jim X C  im R  j ( X L  X C )  im Z



ove Z è il numero complesso
verso di m e modulo
a  jb  R  j ( X L  X C ) , ossia un vettore che ha direzione e
R2  ( X L  X C )2
Lo sfasamento è l’ arco la cui tangente è il rapporto tra parte immaginaria e parte reale:
  arctan

X  XC
b
 arctan L
a
R
Può sembrare che abbiamo ottenuto l’ opposto di quanto atteso, ma per la procedura con cui è stato
ricavato questo è lo sfasamento di ε(t) rispetto a i(t), mentre nella espressione completa di i(t)
ricavata prima c’ è lo sfasamento di i(t) rispetto a ε(t).
142
CIRCUITO RLC PARALLELO



Per tale circuito, la tensione ε(t) è comune a tutti
e tre gli elementi mentre le correnti circolanti in
ciascuno di essi sono diverse.
Utilizzando la rappresentazione vettoriale con
asse orizzontale riportante la grandezza comune
ε, si ha:
Con la rappresentazione complessa:




im  m  j m  j m 
R
XL
XC
1
 1

1 
  m
  m   j 

R
X L 
Z
 XC

ove Z è il numero complesso il cui
inverso è 1
 1
1
1 

 
 j

R
X
X
Z
L 
 C
ossia
 un vettore che ha direzione e verso
di im e modulo
2
2



1
1
1


   
 


 R
XL  
 XC


iC
ε ~
C
iL
L
iR
R
iC
iRm
iL - iC
εm
φ
im
1
iL
143
STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 1

Gli strumenti progettati specificamente per misurare tensioni o corrente alternate (c.a.) (come gli
amperometri - e relativi voltmetri - a filo caldo) non restituiscono i valori istantanei (e se lo facessero
non sarebbero comodi: dovremmo inseguire un ago oscillante avanti e indietro 50 volte al secondo)
né disegnano i grafici temporali (che sarebbe più utile) ma restituiscono i cosiddetti valori efficaci,
una specie di valore medio nel tempo, appropriato per funzioni sinusoidali (il vero valor medio
sarebbe inutile perché è sempre zero; il valore efficace è il valore quadratico medio: radice del valore
medio della funzione al quadrato):
V (t )  Vm senwt  Veff 




Vm
;
2
i(t )  im senwt  ieff 
im
2
Con opportune modifiche si possono usare per grandezze alternate anche gli strumenti a bobina
mobile progettati per misure in corrente continua (c.c.).
Se li si usasse tali quali senza modifiche, l’equipaggio mobile ruoterebbe solo di un angolo
piccolissimo alternativamente nei due sensi e quindi l’ indice apparirebbe vibrare solo un po’ attorno
allo zero.
Ciò perché la rotazione della bobina fino all’ angolo a cui si ha l’ equilibrio dei momenti richiede tempi
dell’ ordine del secondo, mentre la frequenza anche relativamente bassa della tensione di rete è
comunque di 50 Hz, quindi la corrente max in un verso si raggiunge ogni 0.02 s, un tempo durante il
quale la bobina ha appena cominciato a muoversi, in ognuno dei due sensi.
Con un artificio però lo stesso tipo di equipaggio mobile può essere usato quando lo strumento è
attraversato da corrente alternata.
144
STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 2

L’artificio consiste nel raddrizzare mediante un diodo la c.a. in esame trasformando,
come abbiamo visto, in pulsante la corrente che attraversa lo strumento per c.c. :
isenωt


Adesso la bobina non vuole più invertire il moto e il fatto che il suo tempo di
rotazione sia >>T della corrente pulsante consente all’ ago di stabilizzarsi a un
angolo proporzionale al valor medio della corrente pulsante.
Al contrario della corrente alternata, questo non è zero ma vale:

T
2
iP 
im  senwtdt
0
T

im  senwtdwt
0
2

im

 0.3183im

Se leggessimo direttamente la scala tracciata per c.c. allora, p.es. se leggiamo 10 A,
significa che iP  10 A  im  iP   31.415 A

Stesso fattore di conversione in un voltmetro, dato che la differenza costruttiva è
solo nella resistenza RV in serie ma non nell’ equipaggio rotante.
145
STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 3


Basterebbe tracciare una scala ausiliaria per leggere direttamente i valori di im.
Ma per uniformità con gli strumenti intrinsecamente sensibili al quadrato della
corrente che restituiscono “naturalmente” i valori efficaci, e per adattarsi alla
convenzione universale di citare i valori efficaci, si tara tale scala ausiliaria in modo
da leggere i valori efficaci:
ieff 


 2.2214 iP
Quindi per esempio la posizione dell’ ago che in continua corrisponde a 10 A, e che
leggendo i valori medi pulsati, cioè leggendo un iP  10 A , corrisponde a im  31.415 A,
corrisponde al valore efficace:
ieff 

0.7071 iP
im
 0.7071 im 
0.3183
2
im
 0.7071 im  0.7071  31.415 A  22.214 A
2
In pratica nella scala ausiliaria per c.a. non si scrive 22.214 al posto di 10, ma
piuttosto si segnano delle tacce sfalsate rispetto a quelle della scala per c.c. ,
corrispondenti a valori tondi di ieff.
Molti degli strumenti disponibili in Lab sono strumenti a bobina mobile. Un
interruttore marcato DC/AC (“Direct Current /Alternate Current”), quando posto nella
posizione AC, inserisce il diodo raddrizzatore nel circuito interno e allora la lettura
della scala ausiliaria restituisce direttamente il valore di ieff (o di Veff ).
146
STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 4


In alcuni strumenti la corrente è raddrizzata da un raddrizzatore a doppia
semionda.
In questo caso le semionde positive sono preservate come in quello a una
semionda e la semionda negativa è ribaltata, cosicché la corrente raddrizzata è
effettivamente il doppio e il suo valore medio vale il doppio:

T
2
iP 

2im  senwtdt

T

0
2

2im

 0.6366im
Quindi il fattore di conversione della scala per rappresentare il valore efficace
diviene:
ieff 

0
2im  senwtdwt
0.7071 iP
im
 0.7071 im 
0.6366
2
 1.1107 iP
In questo caso la scala per AC è solo leggermente sfalsata rispetto a quella per
DC.
Il raddrizzatore a doppia semionda funziona in questo modo:




La corrente è presentata agli ingressi A e B e condotta ai nodi C e D.
Durante la semionda in cui il potenziale di C è > di quello di D il diodo in rosso D1
conduce, la corrente scorre nella bobina mobile nel verso indicato dalla freccia rossa e
continua a scorrere nel diodo in rosso D4. In questa fase i diodi in nero sono in
interdizione.
Durante la semionda in cui il potenziale di D è > di quello di C il diodo in nero D2
conduce, la corrente scorre nella bobina mobile nel verso indicato dalla freccia nera, e
continua a scorrere nel diodo in nero D3. In questa fase i diodi in rosso sono in
interdizione.
Ma il verso delle frecce rossa e nera è lo stesso, dunque la corrente nella bobina
scorre sempre nello stesso verso mentre varia nel tempo come in figura.
D1
D2
D
C
D3
A

D4
B
147
CIRCUITO RC SERIE IN ALTERNATA

Caso ben diverso da alimentazione con tensione
continua:

A meno che il periodo della tensione sia T>>RC, il C non
arriva mai a caricarsi completamente: comincia a caricarsi,
ma presto la carica si riduce quando la tensione decresce,
torna scarico qualche istante dopo che ε(t) passa per zero
(non simultaneamente: a causa dello sfasamento VC (o QC
che è proporzionale a VC) è in ritardo rispetto a ε), inizia a
caricarsi nel senso opposto, ma presto la carica si riduce
quando la tensione ε (negativa) risale verso zero e così via.

Diverso anche dal raddrizzatore a una semionda:

in quel caso, rispetto al generatore, R e C sono in parallelo
tra loro e noi ci attacchiamo in parallelo a entrambi.
Nel caso presente R e C sono in serie al generatore in una
singola maglia.





i
R
VR
ε~
Lo studio consiste nell’ esaminare il comportamento di
VC e VR al variare di w o ν dell’ alimentazione.
In ogni caso sono funzioni sinusoidali del tempo …
… esaminiamo come le loro ampiezze dipendono da w.
Scopriremo che anche in questo caso si può parlare di un
comportamento “filtro”, che viene sfruttato connettendo un
altro circuito in parallelo o a C o a R invece che direttamente
al generatore.
C
VC
148
STUDIO DEL CIRCUITO

VRm
Vettorialmente 
im
φ
VCm

Quantitativamente:


VC  VC (t )  VCm sin  wt    
2



εm
VR  VR (t )  VRm sin wt   
Dovremmo già sapere, e lo rivedremo, che ampiezze VCm e VRm dipendono da w.
Esse possono essere misurate sperimentalmente perché i voltmetri per tensioni
alternate restituiscono i cosiddetti valori efficaci:
V
V
VCeff 

Cm
2
VReff 
Rm
2
la cui dipendenza da w è peraltro la stessa delle ampiezze.
Studieremo la dipendenza delle ampiezze da w ma tale studio vale pari pari per i
valori misurati, quelli efficaci.
149
TENSIONE AI CAPI DI C

Da VC ai capi di C nel RLC serie, esplicitiamo la dipendenza di VCm da w :
VCm 


m
1 

R   wL 

wC 

2

m
1 

wC R   

 wC 
2

2
m
w 2C 2 R 2  1
Come visto, questo si spiega bene da un punto di vista fisico: più rapidamente si inverte il segno
di ε meno il C riesce a caricarsi prima che debba ri-scaricarsi.
Quantitativamente si usa definire una funzione di trasferimento o di attenuazione:
AC (w ) 

2

È sempre VCm< εm eccetto se w = 0 (tensione continua).
VCm decresce con w. Più è alta la frequenza della tensione di alimentazione, più
piccola è l’ ampiezza della tensione sinusoidale ai capi di C (la sua frequenza è
ovviamente uguale a quella di alimentazione).


1 m
1

wC Z
wC
VCm
m

1
w 2C 2 R 2  1
AC(w) = 1 per w = 0 (tensione continua), AC(w) → 0 per w → ∞.
Si definisce per convenzione una “frequenza di taglio”:
AC (w ) 
1

2
1
w 2C 2 R 2  1

1
1
 w 2 C 2 R 2  1  2  w 2 C 2 R 2  1  wC 
RC
2
150
FILTRO PASSA-BASSO
VCm
m 
m/2 
wC=1/RC

w
Più alta la frequenza della tensione in
“ingresso” al “filtro”, più attenuata è la
tensione se prelevata “in uscita” ai capi di C.
151
SIGNIFICATO
εm

4 possibili tensioni
di ingresso:
stessa ampiezza,
frequenze diverse
ν (Hz)
VCm
m 
Le corrispondenti tensioni
di uscita ai capi di C
ν (Hz)
152
TENSIONE AI CAPI DI R

Da VR ai capi di R nel RLC serie, esplicitiamo la dipendenza di VRm da w :
VRm  R


Z
 R
m
1 

R 2   wL 

wC 

2
m

1 

R2   

 wC 
1
R
2
m

1
1
w R 2C 2
2
È sempre VRm< εm . Per w = 0 (tensione continua) VRm → 0.


m
Comprensibile da un punto di vista fisico: dopo un transitorio in cui il C si carica, non circola più corrente, e
quindi non c’ è d.d.p. ai capi di R.
VRm cresce con w. Più è alta la frequenza della tensione di alimentazione, più grande è l’ ampiezza
della tensione sinusoidale ai capi di R, fino al massimo possibile: VRm → εm per w → ∞.
Quantitativamente si usa definire una funzione di trasferimento o di attenuazione:
AR (w ) 
VRm
m

1
1
1
w C 2R2
2


AR(w) = 0 per w = 0 (tensione continua), AR(w) → 1 per w → ∞.
Si definisce per convenzione una “frequenza di taglio”:
AR (w ) 
1

2
1
1
1
w C 2R2

1
1
1
 2 2 2  1  2  2w 2C 2 R 2  1  w 2C 2 R 2  w R 
wC R
RC
2
2
che risulta la stessa che per AC(w) .
153
FILTRO PASSA-ALTO
V Rm
m 
m/2 
wR=1/RC

w
Più alta la frequenza della tensione in
“ingresso” al “filtro”, meno attenuata è la
tensione se prelevata “in uscita” ai capi di R.
154
FILTRO RC

In conclusione, il circuito RC serie, adoperato in tensione alternata, agisce da circuito
“filtro” nei riguardi della frequenza della tensione di alimentazione:
1.
2.

Prelevando la tensione ai capi di C si usa il filtro come passa-basso, si ottiene cioè una
tensione tanto meno attenuata in ampiezza quanto più bassa è la frequenza.
Prelevando al stessa tensione ai capi di R si usa il filtro come passa-alto, si ottiene cioè una
tensione tanto meno attenuata in ampiezza quanto più alta è la frequenza.
In ogni caso, la tensione di ingresso è ripartita tra i due elementi

In particolare in corrispondenza della frequenza di taglio è ripartita in parti uguali.
VCm VRm
0 
0/2 
wC=wR=1/RC
w
155
SFASAMENTI IN FILTRO RC
VRm
im
ϕR
VCm



ϕC
Per w piccolo:
tan  R 
, VR sfasato di

2
tan  R     R 

tan C  0  C  0
, VC in fase con ε.

tan R  0  R  0
, VR in fase con ε.

tan C    C  
Per w grande:

2
, VC sfasato di


VRm
VCm
1
wRC
 wRC
rispetto a ε.

2
VRm
tan C  
εm

VCm

2
rispetto a ε.
Ai capi sia di R che di C, una maggiore attenuazione è accompagnata da
maggiore sfasamento rispetto alla tensione di alimentazione e viceversa.
156
RISONANZA IN RLC SERIE
i  im sin wt   

Corrente:

L’ ampiezza della corrente dipende dalla
frequenza o pulsazione della tensione di
alimentazione:
im 

m
1 

R   wL 

wC 

2
2
1 

R 2   wL 

wC 

2

R2  X L  X C 
2
Sperimentalmente si studia la dipendenza
del valore efficace della corrente dalla
frequenza ν.

ieff
Z

Questa dipendenza deriva dalla
dipendenza dell’ impedenza Z da w:
Z 

m
Poiché sperimentalmente anche della
tensione si misura il valore efficace, lo
studio sperimentale fatto sui valori efficaci
investiga esattamente la stessa dipendenza
da w (o ν) che per le ampiezze.
i
 m 
2
m / 2
1 

R 2   wL 

wC 

2

 eff
1 

R 2   wL 

wC 

2
In questa figura
f = frequenza
I = ampiezza della corrente
157
SIGNIFICATO RISONANZA

L’ impedenza è minima quando
2
1 
1

w
L


0

w
L

 0  w 


wC 
wC



1
 w0  Z (w0 )  Z min  R
LC
w0=2π ν0: pulsazione (ν0: frequenza) “di risonanza”.
Per questo valore di w:
1. il circuito è puramente resistivo.
2. l’ ampiezza o il valore efficace della corrente sono
massimi:


im  im max 
m
R
;
ieff  ieff
max

eff
R
3. se w (o ν) della tensione sono regolabili, la corrente varia
salendo fino a questo massimo per w=w0.
158
SFASAMENTO IN RISONANZA

Anche φ dipende dalla frequenza o pulsazione della
tensione di alimentazione:
1 

 wL 

wC 
  arctan  
R







In risonanza, cioè per w  w0 
1.
2.
Lo sfasamento è nullo: φ=0.
Le ampiezze delle tensioni ai capi di L e C sono
uguali:
VLm  wL
3.
1
:
LC
m
Z
 wL
m
R

VLm
1 m
 VCm
wC R
Allora ciascuna di esse può essere anche molto
grande, in particolare >>εm (sovratensione ai
capi di L e C) e tuttavia nella somma vettoriale si
annullano sempre, producendo un
comportamento puramente resistivo!
VRm
εm
im
VCm
159
COEFFICIENTE DI QUALITÀ

Si caratterizza un circuito RLC risonante mediante un parametro costruito con tutte e
3 le grandezze (R, L, C), ma a partire dalla pulsazione di risonanza w0, in cui R non
entra:
w0 L 
wL
1
1
L
LC
1
 0 



w0C
R
w0 RC
RC
R
R LC
L
 Q
C

Questo parametro caratterizza quantitativamente le condizioni di sovratensione:

1 m
VLm (w0 )  w0 L m  Q m ;
VCm (w0 ) 
 Q m
R
w0 C R

Quindi: non solo, in risonanza, le ampiezze della tensione ai capi di L e C sono
uguali, ma valgono Q volte l’ ampiezza della tensione di alimentazione.
È chiaro che con una scelta opportuna di R, L e C, Q può essere >1 o anche >>1:

Q 1

Se
1
R
L
L
L
1 2 1 2  C
C
RC
R
L
 C la sovratensione sarà cospicua.
R2
160
USO: SINTONIZZAZIONE





La risonanza permette di utilizzare un circuito RLC serie come sintonizzatore:
Incluso infatti, p. es., in una radio esso riceve in ingresso parecchie tensioni di frequenze diverse
tutte contemporaneamente, in quanto riceve segnali da più stazioni, ma solo la tensione avente
frequenza pari o molto vicina a quella di risonanza 1/LC (che è una proprietà del circuito, non della
tensione) produce in esso una corrente particolarmente elevata. Se la corrente viene fatta circolare
nell’ altoparlante, sarà particolarmente intenso il suono che segue la codifica della stazione che
trasmette con quella frequenza.
Si costruisce il circuito in modo che la sua frequenza di risonanza si possa variare. Questo si può fare
p. es. impiegando un condensatore a capacità variabile (simile al voltmetro elettrostatico, con
armature imperniate rotanti che si affacciano gradualmente ruotando una manopola), allora 1/LC si
può regolare a piacere in modo da rendere alto il suono di una particolare stazione a scapito delle
altre. Questa operazione si chiama “sintonizzazione”.
La radio è giusto un caso. In generale, quando è alimentato da tensioni che codificano informazione,
un circuito sintonizzatore privilegia le tensioni di ingresso di una frequenza particolare nel senso che
la corrente nel circuito è molto alta quando la tensione di ingresso ha la frequenza giusta. E’ poi il
resto dell’ apparecchio che decodifica l’ informazione contenuta nel modo di variare della corrente.
È ovvio che la sintonizzazione è tanto migliore quanto più stretto è il picco della corrente in funzione
di w (selettività). In tal modo se, come avviene in pratica, le stazioni trasmittenti hanno frequenze che
variano non con continuità ma in maniera discreta, è possibile selezionarne una escludendo di fatto
completamente tutte le altre: basta che la larghezza del picco di risonanza sia inferiore alla distanza
tra due frequenze contigue utilizzate.


Illustrato nella prossima slide 
Poiché ai fini della percezione di suono o immagini la grandezza rilevante non è la corrente stessa ma
la potenza da essa trasportata, e questa è proporzionale al quadrato della corrente, si usa studiare la
selettività del circuito RLC con riferimento al comportamento di i2 piuttosto che di i.
161
SELETTIVITÀ



Si plotti (im)2 o (ieff)2 in funzione di w (o ν) .
Anche il picco di (im)2 più stretto è meglio è.
Quantitativamente, il picco viene
caratterizzato dal punto di vista pratico
utilizzando la cosiddetta larghezza a metà
altezza:
im2 [A2]
In questa figura
f = frequenza
w1 / 2  w2  w1



detta anche banda passante B.
R
Si può dimostrare che
B  w1 / 2 
L
Quindi in un circuito in cui C è variabile per
permettere la sintonizzazione e L è scelta in
im2 ( f R )
modo che i valori di w0 che si ottengono
2
siano quelli di interesse nella applicazione, la
selettività del circuito per la frequenza da
sintonizzare è tanto migliore quanto più
piccola è R.
1
Risulta anche che: w0
1 L
LC
w1 / 2


R
L

R
C
 Q
Nell’ esperienza si traccia
sperimentalmente questa curva, si ricava
Q dai valori graficati e lo si confronta con
il valore previsto in base alla definizione.
162
RISONANZA IN RLC PARALLELO

Anche in tale circuito l’ ampiezza della
corrente dipende dalla frequenza o
pulsazione della tensione di
alimentazione
im 

m
Z
2
 m
1
 1

 wC 
  
R
 wL


ε ~
C
iL
L
iR
R
Anche in tale circuito si ha una
“risonanza” per
1
w  w0 

2
iC
LC
Ma in questo caso per questo valore di w
l’ ampiezza o il valore efficace della
corrente sono minimi.
Per questo motivo il circuito RLC
parallelo si chiama anche circuito
tampone, in quanto rappresenta un
blocco (= piccolissima corrente
risultante) per la tensione con
pulsazione per cui si verifica la
condizione di risonanza.
163
CIRCUITO RIFASATORE


Un altro circuito di grande interesse pratico è
quello con Le R in serie tra loro e il loro
insieme in parallelo a C.
Questo circuto trova impiego tecnico come
“rifasatore”. Il senso è questo:





Sia un apparecchio che comprende una
bobine di qualche forma.
Se di materiale conduttore essa presenta
resistenza ma alimentata con tensione
alternata presenta anche induttanza.
Schematicamente questo elemento è dunque
un gruppo LR in serie.
In questo apparecchio circolerà una corrente
sfasata di un qualche angolo rispetto alla
tensione, con conseguente spreco di energia.
Ebbene, l’ aggiunta di un C in parallelo all’
elemento, con un valore di capacità
opportunamente calcolato, fa sì che la
corrente diventi in fase con la tensione.
i
ε
~
iC
L
C
iLR
R
164
FUNZIONAMENTO RIFASATORE - 1









Prendiamo come asse di riferimento orizzontale il vettore che rappresenta la corrente iLR.
La tensione VR ai capi del resistore R è in fase con la corrente iLR che lo attraversa.
La tensione VL ai capi dell’ induttore L è in anticipo di 90° rispetto alla corrente iLR che lo attraversa.
La tensione ai capi del gruppo LR è la somma dei due vettori di modulo VRm e VLm. Essa è uguale alla
tensione ai capi del condensatore, e a quella di alimentazione,  (rami in parallelo).
La corrente iC che attraversa il condensatore è in anticipo di 90°rispetto alla tensione ai suoi capi
ossia rispetto a .
La corrente totale i è la somma dei due vettori di modulo iCm e iLRm.
A seconda della grandezza del modulo di iCm , la corrente totale i può anticipare o ritardare rispetto
alla tensione applicata .
Ma allora è possibile che, per opportuni valori di R, L e C, la corrente totale i e la tensione applicata 
siano in fase fra loro.
In queste condizioni il circuito si dice in risonanza per il particolare valore della pulsazione della
tensione di alimentazione .
iCm
im
VLm
εm
φ
φLR
iLRm
VRm
165
FUNZIONAMENTO RIFASATORE - 2

La condizione di risonanza è rappresentata qui:
VLm
εm
im
iCm


φLR
iLRm


VRm
Dalla geometria del diagramma, e dalla considerazione
che ILRm=m /ZLR ove ZLR è l’ impedenza del gruppo LR
in serie, ricaviamo adesso la relazione che devono
soddisfare i valori degli elementi R, L, C per realizzarla.
Si ha:
m
m
Z LR
im  iLR cos  LR 


2
2
1  tan  LR
V 
wL
R
 wL 
1

 R 
wL
L
Z LR 1   m 
 VC 
 m
m
R 2  w 2 L2

 VL
1 m
 VC
 m




2
m

m
R 2  w 2 L2  w 2 L2  w 4 R 4
R2
R 2  w 2 L2

 wL 
1

 R 
mR
2
R  w 2 L2
2
2
R 2  w 2 L2
m

Per R→0 o comunque R<<wL l’ ampiezza della corrente
tende a zero o a un valore molto piccolo. Anche questo
circuito quindi funziona da circuito tampone.
Il valore di tale pulsazione si deduce infine osservando che
se la condizione è stata realizzata allora φLR, che in
generale è l’ angolo di fase tra iLR e , è allora anche l’
angolo di fase tra iLR e im , che è dato da:
iC
iC
tan  LR
sin  LR  m 
 m 
iLRm
iLRm
1  tan 2  LR



 mwC

m
R 2  w 2 L2
wC
1

R 2  w 2 L2
L
L
1
R2
2
2 2
2 2
2
2
 R w L  w L 
 R  w 
 2
C
C
LC
L
 w  w0 
1
R2
 2 
LC
L
1
LC
in quanto nei circuiti risonanti in genere è R2/L2 << 1/LC.
166
STUDIO CIRCUITO (RL SERIE)C PARALLELO
Consiste nel rilevare la sua curva di risonanza im=f(w) o,
praticamente, im=f(v).
1. La curva di risonanza va determinata adoperando un unico
strumento misuratore di corrente (o un’ unica scala in un
amperometro a diverse portate), altrimenti la corrente varierebbe
non solo al variare della frequenza, ma anche al momento di
cambiare strumento (o portata) in quanto cambia la resistenza
interna dello strumento e quindi l’ impedenza dell’ intero circuito.
2. Nella regione di frequenze attorno alla risonanza l’ ampiezza della
corrente raggiunge i valori più piccoli, che - dato che non è possibile
passare a uno strumento o a una scala con f.s. più piccolo sarebbero misurati nella porzione inferiore della scala dello
strumento, dove l’ errore relativo che si commette è maggiore.
 Per ovviare a questi inconvenienti si usa un circuito più complesso in
cui si misura una corrente complementare a quella di interesse.

167
CIRCUITO PER MISURA
i0(t)
R
X
i1(t)
i2(t)


G
L
C1
C
A

Nel nodo X la corrente i0(t) si
divide in i1(t), che passa
attraverso il circuito LC in
oggetto, e i2(t) che attraversa l’
amperometro A. Tutte e 3 queste
correnti variano nel tempo con
legge sinusoidale.
Tra le loro ampiezze sussiste la
relazione
i0 m  i1m  i2 m


Ora, se si ha l’ accortezza di fare in modo che l’ ampiezza della corrente i0(t), i0m, non
vari al variare della frequenza, allora i0m è una costante e i2m=i0m-i1m varierà con la
frequenza con andamento esattamente inverso a i1m.
i2m presenterà quindi una curva di risonanza con un massimo per ν = ν0, come in un
circuito RLC serie. Sebbene ribaltata, la curva rilevata misurando i2m avrà la stessa
forma di i1m e presenterà il suo massimo in corrispondenza dello stesso valore di ν
per il quale i1m avrebbe presentato il suo minimo.
168
MISURA DI i2
i0(t)
R





i1(t)
i2(t)
G
L
C1

X
C
A
Il diodo nel ramo con i2(t) raddrizza la corrente che attraversa l’ amperometro.
Questo è uno strumento per corrente continua. Infatti non è possibile adoperare un normale
amperometro per correnti alternate, in quanto tale tipo di apparecchio è appropriato per correnti di
frequenze prossime a quella della rete elettrica (50 Hz), mentre dati i valori di L e C nell’ esperienza
si devono raggiungere frequenze dell’ ordine dei kHz e oltre.
Usando uno strumento per corrente continua come già visto il valore che esso segna è il valor medio
della corrente raddrizzata, il quale è proporzionale all’ ampiezza della corrente alternata da misurare
in quel ramo, i2m
Il condensatore C1 in parallelo all’ amperometro, di resistenza interna rA, costituisce un circuito RC
parallelo, il quale in presenza di correnti sinusoidali nei suoi rami (la corrente raddrizzata non è
alternata ma ha andamento sinusoidale), si comporta in maniera simile al RC serie: ai capi di rA come
un filtro passa-alto, e ai capi di C1 come un filtro passa-basso.
Precisamente la corrente scorre essenzialmente attraverso l’ amperometro se la sua frequenza è
relativamente alta e in tal caso l’ ago - come desiderato - non può seguirne la variazione di ampiezza,
mentre quando la frequenza fosse molto bassa, la corrente fluirebbe essenzialmente nel ramo con il
condensatore (nel senso che esso si caricherebbe durante le semionde attive, e si scaricherebbe
durante quelle soppresse) proteggendo l’ equipaggio mobile dall’ oscillare avanti e indietro.
169
MISURA SPERIMENTALE




Inizialmente si sceglie un valore di m o in pratica di eff ,
il valore misurato della tensione alternata di
alimentazione.
Per mantenere costante i0m, ogni volta che si varia ν si
ripristina il valore di eff agendo sul suo potenziometro,
il che assicura che anche i0m viene ripristinato.
La R del ramo RL non è altro che la resistenza del
conduttore di cui è costituito l’ induttore.
Una volta determinata la frequenza di risonanza ν0 si
può determinare il valore di L assumendo noto C:
w0 
1
1
1
 LC  2  L 
w0
4 2 02C
LC
170
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