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Prof. Salvatore Costa: Lezioni di LABORATORIO DI FISICA 2 1 Lezione n.11 TUBI ELETTRONICI 2 INTRODUZIONE Noti anche come valvole termoelettroniche o valvole termoioniche. Erano componenti standard di antichi apparecchi radiotelevisivi. Tecnologicamente: superati dai transistors. Didatticamente: rimane invariata l’ importanza di studiarne il comportamento per mettere in evidenza, comprendere e caratterizzare il fenomeno fisico sul quale il loro funzionamento si basa: l’ Effetto termoelettronico (o termoionico) 3 EFFETTO TERMOELETTRONICO A ogni data temperatura, gli elettroni quasi liberi di un metallo, nel suo interno, non si muovono tutti con la stessa velocità poiché non possiedono tutti la stessa energia cinetica. Alla superficie del metallo ciò può fare sì che qualche elettrone dotato di sufficiente energia cinetica sfugga spontaneamente dal metallo. Per ogni elettrone che lascia il metallo, questo assume una corrispondente carica positiva, che esercita sull’ elettrone che si sta allontanando dal metallo una forza attrattiva che lo richiama nel metallo. Alla superficie del metallo si crea, quindi, una nuvola dinamica di elettroni che, usciti da esso, successivamente vi ricadono. Questa nube di carica negativa, chiamata carica spaziale, ostacola l’uscita di altri elettroni dal metallo. A bassa temperatura, il numero di elettroni usciti dal metallo è basso e inoltre essi possiedono una energia cinetica piccola che non riesce a farli allontanare molto dal metallo, per cui la loro emissione è praticamente inosservabile e la carica spaziale è poco estesa. Se si aumenta la temperatura del metallo cresce sia il numero di elettroni che possono uscire da esso sia la loro energia cinetica; conseguentemente la nuvola di carica spaziale si allunga estendendosi di più. Ma acuni elettroni acquistano una velocità talmente elevata, e alcuni hanno la direzione giusta, da superarne i confini muovendosi, poi, quasi liberamente nello spazio esterno a essa. Questi elettroni sono quelli che dànno luogo alla cosiddetta emissione termoelettronica, cioè causata da somministrazione di calore. Il fenomeno è convenientemente sfruttato in un dispositivo detto diodo a vuoto. 4 DIODO A VUOTO: SCHEMA DI PRINCIPIO Lo schema di principio di un dispositivo che sfrutti e evidenzi l’ effetto termoelettronico comprende: 1. 2. 3. Un metallo riscaldabile, che emette elettroni, detto catodo C. Un secondo elemento metallico che può essere raggiunto da (alcuni de)gli elettroni, detto anodo o placca (P). Un percorso conduttore esterno e un (milli-)/(micro-)amperometro che possa evidenziare un passaggio di corrente, imputabile esclusivamente all’ emissione. Se il dispositivo è in aria il numero di elettroni emessi che riescono a raggiungere l’ anodo è trascurabile a causa degli urti con le molecole di aria. Allora si racchiude il tutto in una ampolla in cui è praticato il vuoto. e- P A i C i 5 DIODO A VUOTO: DISPOSITIVO REALE Nella realizzazione pratica, allo schema di principio si apportano alcune migliorie. 1. Per prolungare la durata del catodo lo si riscalda indirettamente, riscaldando un filamento di altro materiale, che di per sé emette pochi elettroni, posto molto vicino al catodo. 2. Invece di utilizzare una sorgente di calore estemporanea, si inserisce il filamento da riscaldare in un altro circuito in cui circola corrente (continua o alternata). Dunque il filamento si riscalda per effetto Joule. 3. Nel circuito esterno tra C e P si inserisce una sorgente di f.e.m. che stabilisce una d.d.p. tra C e P, detta di “polarizzazione”, che “attira” verso P gli elettroni sfuggiti da C , permettendo quindi sia di assottigliare la nuvola di carica spaziale, sia a ulteriori elettroni di superarla più facilmente. e- P A i C i 6 DIODO A VUOTO: COMPORTAMENTO - 1 Ogni elettrone emesso subisce una forza che lo respinge verso il catodo a causa della regione di carica spaziale negativa. Esso possiede una velocità di emissione di direzione e modulo variabili. A ogni data temperatura, la distribuzione dei moduli della velocità è maxwelliana. Quindi una frazione di elettroni, piccola ma crescente con la temperatura, avrà velocità sufficiente in modulo, e una frazione di questi anche una direzione appropriata, per superare la regione di carica spaziale nonostante la forza repulsiva subìta: basta che la sua energia cinetica sia maggiore dell’ energia potenziale del campo elettrico contrario che incontra inizialmente. La distribuzione spaziale del potenziale al variare della distanza y nella regione tra C e P, per diversi valori della d.d.p. di “polarizzazione”tra C e P, è questa: V saturazione (no carica spaziale) VP3>VP2 VP1>VP2 VP1 catodo anodo y carica spaziale 7 DIODO A VUOTO: COMPORTAMENTO - 2 È intuitivo che la corrente nel circuito esterno sarà tanto maggiore quanto maggiore è la d.d.p. tra C e P, in quanto un maggior numero di elettroni emessi sarà accelerato a sufficienza da superare la regione di carica spaziale (che peraltro si riduce) e raggiungere la placca; ma è altresì chiaro che quando tutti gli elettroni emessi sono accelerati abbastanza da raggiungere la placca, la corrente non può più crescere; del resto, il tasso di emissione degli elettroni è ovviamente funzione della temperatura. L’ intensità di corrente massima Is ottenibile da un catodo di superficie S, portato ad una temperatura T (°K), è data dalla legge di Richardson: 2 eV kT I S AST e dove A 120 A/(cm2·°K2) è una costante uguale per tutti i metalli, k è la costante di Boltzmann, e V è il cosiddetto potenziale di estrazione, una grandezza che moltiplicata per la carica e dà l’ energia (o lavoro) necessaria per estrarre un elettone da un particolare metallo. Es. per tungsteno: V = 13 V. 8 DIODO A VUOTO: STUDIO L’ andamento della corrente nel circuito esterno (detta “corrente di placca” o “corrente anodica”) in funzione della d.d.p. tra catodo e placca, cioè la curva IP = f(VP), costituisce la“caratteristica” del diodo. Per studiarla in Lab adoperiamo questo circuito: + + 0/300 V - + VP - IP - P F C 6.3V ~ If Rs 9 DIODO A VUOTO: CARATTERISTICA La “caratteristica” attesa è, qualitativamente, di questo tipo [illustrata dettagliatamente negli “approfondimenti”]: IP Is(T2) (If2) IP = AST2e-eV/kT Is(T1) (If1) Io(T) IP = kVP3/2 (Legge di Langmuir-Child) IP VP Io(T) VP Poiché la caratteristica non è lineare non si può parlare di resistenza del diodo nel senso ohmico. Però in ciascun tratto di pendenza ~cost si può definire un valore locale di resistenza interna differenziale del diodo : VP VP che è funzione di VP. 2 1 I P2 I P1 10 RILIEVO CARATTERISTICA: ASPETTI PRATICI Evitare di adoperare temperature (= correnti) troppo basse del filamento: l’ intera curva potrebbe giacere così in basso da essere non o appena rilevabile data la sensibilità del micro-, o peggio milli-amperometro. Eseguire la misura per almeno 2-3 temperature diverse. Potrebbe non essere possibile rilevare l’ intera curva con un unico strumento (milli- o micro-amperometro). In tal caso misurare almeno alcuni punti nella zona di passaggio con entrambi gli strumenti per eseguire se necessario la normalizzazione dell’ uno all’ altro. Per rilevare la caratteristica nel tratto a VP negative (“caratteristica inversa”) bisogna: Polarizzare il diodo inversamente, cioè invertire i poli dell’ alimentatore. Invertire di conseguenza i collegamenti del voltmetro che misura VP NON invertire i collegamenti dell’ amperometro, dato che IP scorre sempre nello stesso verso pur riducendosi verso 0. Usare certamente il micro- e non il milli-amperometro, o se necessario e disponibile, un galvanometro. 11 LEGGE DI LANGMUIR-CHILD Verificare la legge con un best-fit limitato ai punti nella zona di VP positive e che appare approssimativamente comune a tutte le temperature. a Usare la funzione I P cVP lasciando quindi a libero e non vincolato al valore 1.5 Linearizzarla in ln I P ln c a ln VP y ax b Teoricamente si dovrebbe trovare a = 1.5, ma sperimentalmente a dipende fortemente dal fatto che siano perfetti (o meno) allineamento e planarità degli elettrodi e varia da ~1 a ~1.8. L’ altra costante, c, ricavabile pure dal best-fit è caratteristica del particolare materiale del catodo e della forma e dimensioni di entrambi gli elettrodi. 12 TERMINOLOGIA: “DIODO” Dall’esame della caratteristica di un diodo si evince che esso, utilizzato come elemento in un circuito, presenta una resistenza diretta (quando l’anodo è a potenziale positivo rispetto al catodo), relativamente bassa (non costante!!! ) In tal caso il diodo si dice nello stato di conduzione. Al contrario, quando l’anodo è negativo rispetto al catodo, il diodo lascia passare solo una debolissima corrente, ossia presenta una resistenza inversa di valore molto elevato. Questo stato si dice di interdizione. 13 USO DEL DIODO A VUOTO Data la proprietà di far passare nel circuito anodico una corrente elevata quando la tensione che lo polarizza è in un verso e una corrente piccola o nulla quando la tensione di polarizzazione è nel verso opposto, il diodo viene impiegato per “raddrizzare” una tensione alternata, cioè per selezionare solo parti di un verso (“positive”) da una tensione che alternativamente nel tempo assume valori dell’ uno o dell’ altro verso. 14 TRIODO A VUOTO Se tra il catodo e l’anodo di un diodo si interpone un terzo elettrodo, costituito - a seconda della geometria - da un sottile filo metallico avvolto attorno oppure da una reticella posta vicino al catodo, si può controllare la corrente anodica sia variando il potenziale dell’ anodo rispetto al catodo (come nel diodo) sia variando il potenziale di questo terzo elettrodo (sempre rispetto al catodo). Tale terzo elettrodo e’ detto griglia, G, e il tubo a vuoto così realizzato si chiama triodo. Nella costruzione del triodo, la distanza tra catodo e griglia è minore di quella tra catodo e anodo, cioè la griglia è posta vicino al catodo. P Simbolo del triodo a vuoto: G C 15 TRIODO: COMPORTAMENTO In generale, in un triodo la corrente di placca è funzione sia di VP che di VG: IP = f (VP , VG ). Per un fissato valore costante del potenziale anodico VP e con la griglia allo stesso potenziale del catodo (VG= 0), la corrente anodica assume un certo valore IP, come se si trattasse di un diodo. Se adesso portiamo la griglia ad un potenziale negativo rispetto al catodo (cioè inferiore a quello del catodo) essa respinge una parte degli elettroni che contribuiscono a questa corrente per cui essa diminuisce rispetto al valore assunto quando VG = 0. Man mano che si rende più negativa la griglia un maggior numero di elettroni viene respinto e la corrente anodica diminuisce sempre più fino a quando tutti gli elettroni vengono respinti e non circola più corrente nel circuito esterno: il triodo è portato nello stato di interdizione. Al contrario, se la griglia viene posta a un potenziale positivo rispetto al catodo (cioè maggiore di quello del catodo), il numero di elettroni che possono raggiungere la placca aumenta e, perciò, la corrente anodica – nella zona rappresentata dalla legge di Langmuir-Child, talvolta detta anche zona “attiva” - cresce rispetto al valore “da diodo”presentato per VG= 0. La distribuzione spaziale del potenziale in funzione della distanza y nella regione tra C e P, per un dato valore della d.d.p. di “polarizzazione”tra C e P, ma per diversi valori della d.d.p. di “regolazione”tra C e G, è questa: V VG>0 VG=0 VG<0 catodo griglia anodo y 16 TRIODO: CARATTERISTICA La caratteristica di un triodo, essendo una funzione di due variabili IP = f (VP , VG ), può essere rappresentata compiutamente solo con un grafico tridimensionale. È usanza tuttavia rappresentare questa caratteristica con sezioni bidimensionali, cioè con famiglie di curve: IP = f (VP , VG ) |VG = cost “caratteristiche anodiche” (curve concettualmente analoghe a quelle del diodo, ma per valori di VG fissati). IP = f (VP , VG ) |VP = cost “caratteristiche mutue” (al variare di VG, per valori di VP fissati). È chiaro che una stessa variazione IP della corrente anodica può essere ottenuta sia con una variazione VG della tensione di griglia sia con una variazione VP della tensione anodica, ma conseguenza della geometria di costruzione del triodo [di proposito così scelta], in cui la distanza tra catodo e griglia è minore di quella tra catodo ed anodo, è che per avere una data variazione IP della corrente anodica, basta una VG< VP . Come vedremo in dettaglio più avanti, da tale conseguenza discende la possibilità di impiegare il triodo come amplificatore di tensione. 17 TRIODO: STUDIO Le “caratteristiche” del triodo possono essere studiate in Lab mediante questo circuito: + + 0/300 V - IP P + G F VP - 0/30 V + - C VG + 6.3V ~ 18 TRIODO: CARATTERISTICHE ANODICHE ATTENZIONE: Andamento tipico. I valori riportati sono solo esempi. I valori reali dipendono dal particolare triodo adoperato ! IP(mA) 25 VG = +2 V 20 VG = 0 V 15 -1 -2 -3 -4 -5 10 5 Io(T) 0 100 200 300 400 VP(V) Per VG=0 abbiamo la caratteristica del diodo. Per VG via via più bassi (“negativi”) occorre una VP via via maggiore per (ri-)ottenere una data corrente IP. Quindi le curve si spostano via via più a destra. Per VG>0 a qualsiasi VP nella zona attiva più elettroni riescono a raggiungere la placca, quindi la corrente è maggiore che per VG=0 e la curva si sposta in alto. Inoltre cambia forma a causa di cambiamenti nella configurazione della nuvola di carica spaziale. 19 TRIODO: CARATTERISTICHE MUTUE IP(mA) 20 VP = 100 V VP = 200 V VP = 250 V ATTENZIONE: Andamento tipico. I valori riportati sono solo esempi. I valori reali dipendono dal particolare triodo adoperato ! 15 10 5 VG(V) -6 -4 -2 0 Per ogni valore di VP la corrente anodica IG decresce al crescere del potenziale di griglia VG . Per ogni valore di VP vi è un valore VG a cui la corrente anodica IG si riduce a zero. Questo valore di VG è detto di interdizione. La corrente si annulla perché al potenziale di interdizione nessun elettrone emesso dal catodo può raggiungere l’anodo a causa del campo elettrico catodo-griglia contrario al suo moto. Il meccanismo fisico con cui VG agisce è identico al caso del diodo polarizzato inversamente. 20 TRIODO: PARAMETRI Dall’ inverso della pendenza di ciascuna delle curve caratteristiche anodiche si può definire una resistenza interna differenziale del triodo, analogamente al diodo: (VP IP ) |VG = cost che come per il diodo è funzione di VP . Dalla pendenza di ciascuna delle curve caratteristiche mutue si può definire una conduttanza mutua del triodo: S (IP VG) |VP = cost che è funzione di VG . In regioni limitate le caratteristiche anodiche sono ~ parallele. Le ricavate da dati in quelle regioni dovrebbero essere ~ uguali tra loro. Verificherete sperimentalmente se, considerate le incertezze sperimentali di ciascuna, i valori di trovati sono compatibili o no. In regioni limitate le caratteristiche mutue sono ~ parallele. Le S ricavate da dati in quelle regioni dovrebbero essere ~ uguali tra loro. Verificherete sperimentalmente se, considerate le incertezze sperimentali di ciascuna, i valori di S trovati sono compatibili o no. Pensando alle condizioni in cui si potrebbe avere una IP costante pur variando le due tensioni si definisce il cosiddetto coefficiente di amplificazione del triodo: (VPVG ) |IP = cost . Significato: se si varia (aumenta in valore assoluto, quindi: diminuisce) la tensione di griglia di VG , la corrente anodica diminuirà; per ricondurla al valore precedente occorre variare in senso opposto (aumentare) la tensione di placca di VP= VG . Ma poiché la griglia è più vicina al catodo rispetto alla placca risulta 1, cioè la variazione di VP necessaria è in valore assoluto volte più grande di quella di VG . Sperimentalmente, si può ricavare dai dati raccolti, organizzati - eventualmente interpolando - a gruppi con IP costante, ma matematicamente vale anche che: I I I I 1 I P f (VP , VG ) dI P P dVP P dVG I P P VP P VG VP SVG VP VG const VP VG const VG VP const VG VP const I P const I P 0 V 1 VP VG (1) VP SVG 0 P S I P VG I P const 1 Dunque sperimentalmente si possono anche confrontare un valore ricavato “direttamente” dai dati con uno ricavato “indirettamente” mediante la (1) utilizzando e S determinati direttamente. Altro modo di percepire il significato di : se si varia la tensione di placca di una quantità VP a , mantenendo costante VG (VG 0) la corrente anodica varierà di IP a , ma se della stessa quantità a si variaVG , VG a , mantenendo costante VP (VP 0) la corrente anodica varierà di IP a cioè volte di più. 21 USO TRIODO COME AMPLIFICATORE L’ idea di amplificazione, intrinseca al funzionamento interno del triodo, può essere sfruttata per amplificare una tensione alternata esterna: Che significa? P G C Energia elettrica Questo può essere ottenuto inserendo nella scatola un circuito che comprende un triodo e un resistore, con collegamenti opportuni. L’ aumento di ampiezza costa energia. Questa proviene dalle 3 tensioni che alimentano il triodo (Vfilamento, VP, VG). 22 AMPLIFICATORE A TRIODO - 1 Basta aggiungere al circuito base del triodo: 1. Un resistore di carico Rc nella maglia di placca 2. La tensione alternata da amplificare Vin =Vosenwt in serie alla tensione di griglia La tensione alternata amplificata Vout si preleva ai capi di Rc. Vout IP Rc P G E F VP C Vin VG ~ 23 AMPLIFICATORE A TRIODO - 2 Dopo l’ inserimento di Rc, il conteggio delle d.d.p. nella maglia di placca dà: E I P Rc VP 0 E I P Rc VP VP E I P Rc L’ aggiunta della tensione sinusoidale Vin =Vosenwt (il “segnale”) alla maglia di griglia fa sì che, istante per istante, la d.d.p. tra catodo e griglia vale V’G= VG+Vosenwt V’G (t) . La variazione di questa tensione è la sua ampiezza V’G = ±Vo (esempio: ±0.3V) V’G(t) 0.3V 0- VG t VG -1 - Vin VG+Vin Adesso che questa V’G(t) varia sinusoidalmente, il numero di elettroni che raggiungono la placca fluttuerà sinusoidalmente e quindi anche IP varierà sinusoidalmente. Allora anche VP varierà sinusoidalmente in quanto differenza tra un termine costante (E) e uno che varia sinusoidalmente (IP Rc). Infine la d.d.p. ai capi di Rc, Vout, varierà sinusoidalmente in quanto Vout=IP Rc. L’ ampiezza della variazione di Vout deve essere uguale a quella di VP (Vout =VP ) ma le loro sinuosoidi devono essere sfasate di mezzo ciclo nel tempo, in quanto istante per istante la loro somma deve essere uguale al valore costante E. 24 AMPLIFICATORE A TRIODO - 3 Rimane ora da valutare l’ ampiezza di Vout e quindi il fattore di amplificazione (rapporto tra le ampiezze di Vout e Vin ). Ri-consideriamo come il differenziale di IP dipende da V’G e VP : I P f (VP , VG' ) I P 1 VP SVG' (1) Differenziamo anche la legge di Kirchoff applicata alla maglia di placca: E VP I P Rc 0 VP Rc I P I P (2) Eguagliando (1) e (2) si ottiene: VP Rc VP 1 1 VP 1 VP SVG' VP S Rc Rc VG' VG' Vout SRc Rc VP S S A ' VG Vin Rc ùRc 1 Rc 1 R R c c A è il fattore di amplificazione cercato. Esso dipende dalla resistenza Rc inserita nel circuito anodico e dai parametri caratteristici del triodo. Il segno meno rappresenta il fatto che istante per istante le tensioni sinusoidi Vout e Vin hanno segno opposto. Poiché si costruisce il triodo in modo che sia 1, solo se fosse Rc << potrebbe essere A < 1. In genere si sceglie una Rc >> quindi Rc + Rc e l’amplificazione ottenuta del “segnale” A . 25 Lezione n.12 SEMICONDUTTORI 26 CONDUZIONE NEI SEMICONDUTTORI I semiconduttori sono una classe di conduttori non ohmici di larghissimo impiego nei moderni apparati elettronici che grazie ai semiconduttori hanno visto una riduzione sempre maggiore delle loro dimensioni (circuiti integrati). Nei conduttori, il processo attraverso cui avviene la conduzione elettrica è la deriva di particelle cariche (gli elettroni, nel caso di un solido come un metallo) a causa di un campo elettrico. Nei materiali semiconduttori il meccanismo dominante è invece la diffusione di particelle cariche tra zone ad alta densità e zone a bassa densità di particelle cariche mobili, precisamente tra regioni aventi rispettivamente abbondanza e scarsità di particolari tipi di portatori di carica. La denominazione “semiconduttori” è dovuta dal fatto che la loro resistività (e quindi il suo inverso, la conduttività) è intermedia tra quella tipica di un conduttore metallico e quella di un materiale isolante. La ridotta conduttività del semiconduttore rispetto al conduttore è dovuto proprio al diverso meccanismo dominante di spostamento dei portatori di carica. L’ ordine di grandezza di e di altre rilevanti grandezze fisiche per un tipico materiale semiconduttore sono riportati in questa tabella, a confronto con un tipico conduttore e un tipico isolante. materiale densità portatori di carica (m-3) resistività Coeff. Termico di (.m) resistività α (°K-1) conduttore (rame) 1029 10-8 + 4·10-3 semiconduttore (silicio) 1016 103 - 7·10-2 isolante (vetro) 0 1012 0 27 STRUTTURA ATOMICA SEMICONDUTTORI Per comprendere – e poi sfruttare tecnicamente - il meccanismo di diffusione mediante il quale avviene la conduzione nei semiconduttori, è indispensabile partire dalla loro struttura atomica nello stato solido. I più comuni semiconduttori, silicio (Si) e germanio (Ge), formano nello stato solido un reticolo cristallino di forma cubica. I loro atomi possiedono 4 elettroni di valenza. Nel reticolo cristallino ciascun atomo è legato a 4 atomi vicini mediante 4 legami covalenti che utilizzano i 4 elettroni di valenza di ciascuno. In ogni legame vengono dunque condivisi 2 elettroni Ciascun atomo è circondato da uno strato chiuso di 8 elettroni. Con questa struttura, in un ipotetico stato a 0°K tutti gli elettroni sarebbero fortemente legati ai loro atomi e, non essendoci portatori di carica liberi di muoversi, il materiale si comporterebbe da isolante. 28 TEORIA A BANDE NEI SOLIDI - 1 Il secondo passo per comprendere il meccanismo mediante il quale avviene la conduzione nei semiconduttori è introdurre la cosiddetta teoria a bande, che in realtà consente di descrivere in modo unificato la conduzione in tutti i solidi. Vediamo le idee di base di questa teoria: In un atomo isolato si sa che gli elettroni occupano un numero discreto di livelli energetici, ciascuno dei quali è caratterizzato da un valore per l’ energia totale posseduta dagli elettroni che occupano quel livello. In un materiale solido, costituito quindi dall’insieme di moltissimi atomi, a causa dell’interazione reciproca fra questi, i valori di energia di ciascun singolo livello in ciascun atomo possono essere leggermente alterati. Come risultato abbiamo nel solido moltissimi livelli energetici, che si raggruppano in alcune bande di livelli singoli vicinissimi in energia fra di loro in un solido una banda energetica è larga pochi eV e contiene i livelli energetici di un numero di atomi dell’ordine del numero di Avogadro! E b.conduz. (vuota) E ~ 1 eV E ~ 10 eV b. valenza isolante conduttore semiconduttore 29 TEORIA A BANDE NEI SOLIDI - 2 La o le bande inferiori comprendono i livelli energetici occupati dagli elettroni più “interni”, che in nessun caso partecipano alla conduzione (rettangoli tratteggiati) La banda di energia più alta (rettangoli bianchi) è detta banda di conduzione. Contiene i livelli su cui un elettrone deve trovarsi per essere non più legato a uno specifico atomo e quindi disponibile per la conduzione. In condizioni normali questa banda è parzialmente occupata nei conduttori, vuota negli isolanti. La banda immediatamente sotto di essa (rettangoli neri) viene chiamata banda di valenza. Contiene i livelli energetici occupati dagli elettroni che formano i legami tra gli atomi. Le bande possono essere separate da intervalli di energia E non permessi, cioè valori di energia che nessun elettrone può possedere in nessuna circostanza. Questo è conseguenza del fatto che nei singoli atomi i valori di energia tra un livello e il successivo non sono permessi. L’intervallo E non permesso tra banda di valenza e di conduzione è detto gap. Questo intervallo di energia proibita corrisponde al fatto che per rompere un legame di valenza occorre fornire proprio una energia E. Se si fornisce una quantità di energia minore di E il legame non si rompe in quanto l’elettrone non può assorbirla. Questo schema spiega in maniera semplice la conduzione negli isolanti, nei conduttori, e anche nei semiconduttori: Negli isolanti il gap è di ~10 eV, una energia enorme per un elettrone di valenza che quindi ha una probabilità trascurabile di “liberarsi”, cioè passare nella banda di conduzione e muoversi tra gli atomi. Nei conduttori le due bande si sovrappongono senza alcun gap. Dunque parecchi elettroni si trovano normalmente in un livello sufficientemente alto per la conduzione e il loro numero non aumenta significativamente con la temperatura. Nei semiconduttori il gap c’ è ma è di solo ~1 eV, dunque eccetto che se fossimo a 0°K può essere “saltato” spontaneamente da un certo numero di elettroni per agitazione termica. APPROFONDIAMO QUESTO FENOMENO NELLA PROSSIMA SLIDE 30 CONDUZIONE IN SEMICONDUTTORE PURO A 0°K n un materiale semiconduttore puro (detto “semiconduttore intrinseco”) non ci sono cariche libere nella banda di conduzione perché a questa temperatura nessun elettrone può acquistare energia per superare il seppure piccolo gap e quindi il semiconduttore presenta le caratteristiche elettriche di un isolante. A ogni temperatura realistica qualche elettrone può acquistare, per agitazione termica, l’energia sufficiente a superare il gap e passare, quindi, nella banda di conduzione aumentando la conducibilità del materiale. Più è alta la temperatura. più elettroni passano nella banda di conduzione, dove sono liberi, e la conducibilità del semiconduttore aumenta o, che è lo stesso, la sua resistività diminuisce. Il coefficiente termico di resistività è, quindi, negativo. La relazione che lega la resistività di un semiconduttore puro al particolare valore del suo gap E e alla temperatura assoluta T è data da AeE/kT dove A è una costante e k la costante di Boltzmann. Quando un elettrone passa dalla banda di valenza a quella di conduzione, nella banda di valenza rimane un “vuoto” di carica negativa. Tale mancanza di carica viene chiamata buco (hole) o lacuna. Una lacuna può essere riempita di nuovo da un elettrone o già nella banda di conduzione o proveniente da qualche legame vicino che si rompe (e quindi saltato su dalla banda di valenza). Quando questo accade, cioè quando un elettrone si ricombina con una lacuna, poiché l’elettrone aveva ricevuto una energia E, è costretto a ri-emetterla sotto forma di fotoni o di calore, tornando quindi nella banda di valenza. Questa energia può essere assorbita da un altro elettrone che può rompere così il suo legame e creare un’altra coppia elettrone-lacuna; in tal modo si genera anche un moto delle lacune (energeticamente collocate nella banda di valenza) attraverso il reticolo cristallino. Se, ora, si applica un campo elettrico, sia il moto di elettroni sia quello delle lacune acquisteranno una componente nella direzione del campo. In un semiconduttore intrinseco, la conduzione avviene sia per cariche negative (gli elettroni) che per altrettante cariche positive (le lacune). 31 CONDUZIONE IN SEMICONDUTTORE DROGATO • E’ possibile variare in modo controllato la conduttività di un semiconduttore introducendo nel suo reticolo cristallino un numero controllato di impurità (atomi di specifici altri elementi) che vadano a sostituire alcuni degli atomi del semiconduttore. L’ introduzione si effettua per diffusione ad alta temperatura. Basta sostituire un atomo estraneo ogni 106÷107 atomi di semiconduttore perché la resistività si riduca di un fattore 10. • Un semiconduttore in cui sono stati inseriti atomi di impurità si dice “drogato”. Ma vi sono due possibilità, che producono entrambe una diminuzione di resistività, ma con due meccanismi di conduzione diversi! Se l’ impurità introdotta è un elemento pentavalente (P, Sb, As) la conduzione nel semiconduttore avviene essenzialmente per cariche negative (elettroni): Infatti tutti i legami covalenti degli atomi impurità con atomi del semiconduttore si completano con 4 dei 5 elettroni di valenza dell’ impurità. Resta quindi un elettrone poco legato il cui livello di energia risulta poco al disotto (~0.01 eV) della banda di conduzione: l’ agitazione termica è allora sufficiente per farlo passare nella banda di conduzione, e la resistività diminuisce. Gli elementi-impurità pentavalenti vengono detti donori (di elettroni). Il semiconduttore si dice drogato di tipo N. Se l’ impurità introdotta è un elemento trivalente (Al, B, Ga, In) la conduzione nel semiconduttore avviene essenzialmente per cariche positive (lacune): Infatti solo 3 dei 4 legami covalenti degli atomi del semiconduttore possono essere costituiti. Il 4° legame, possedendo l’ impurità solo 3 elettroni di valenza, manca di un elettrone. Si crea quindi una lacuna nella banda di valenza mentre il corrispondente livello energetico dell’ elettrone non appaiato risulta poco al disopra (~0.01 eV) della banda di valenza. Basta l’ agitazione termica a conferire a un elettrone della banda di valenza energia sufficiente a raggiungere tale livello, uscendo dalla banda di valenza e lasciando quindi una nuova lacuna nella banda di valenza. Aumentano, quindi, le cariche libere e la resistività diminuisce. Gli elementi-impurità trivalenti vengono detti accettori (di elettroni). Il semiconduttore si dice drogato di tipo P. 32 PROPRIETÀ SEMICONDUTTORI DROGATI semiconduttore drogato N semiconduttore drogato P n° elettroni liberi >> n° lacune libere n° lacune libere >> n° elettroni liberi Conduzione (1) per cariche negative Conduzione (1) per cariche positive Densità dei portatori di carica: Densità dei portatori di carica: n=1022 elettroni/m3 (maggioritari) p=1022 lacune/m3 (maggioritari) p=1016 lacune/m3 n=1016 elettroni/m3 (minoritari) (1) essenzialmente (minoritari) (1) essenzialmente Che cosa si può fare con un “singolo” blocco di un dato semiconduttore? 1. Se intrinseco si può realizzare un resistore di resistenza “elevata” (rispetto ai conduttori). 2. Se drogato (P oppure N), regolando la concentrazione delle impurità si può realizzare un resistore di resistenza intermedia qualsiasi tra quella di un semiconduttore intrinseco e di un conduttore. 33 STRUTTURA SEMICONDUTTORI DROGATI Sia i semiconduttori intrinseci sia quelli drogati (P o N) sono neutri, come i conduttori. Infatti l’ introduzione di atomi pentavalenti (donori) o trivalenti (accettori) che vanno a sostituire atomi tetravalenti introduce atomi completi con tanti elettroni quanti protoni. Ciò che cambia con il drogaggio è il numero di portatori di carica disponibili per la conduzione. A ciascun portatore di carica (che adesso può essere elettrone o lacuna) corrisponde naturalmente un atomo “fisso” ionizzato, cosi come accadeva nei conduttori. Solo che gli ioni fissi di un conduttore sono certamente positivi; in un semiconduttore possono essere sia positivi che negativi. Consideriamo due pezzi di semiconduttore drogato, uno di tipo N e l’altro di tipo P, separati, Nel pezzo di materiale di tipo N abbiamo: molti elettroni liberi, poche lacune libere e la maggior parte degli ioni fissi del reticolo cristallino sono quindi positivi (gli atomi donori). Nel pezzo di materiale di tipo P abbiamoç molte lacune libere, pochi elettroni liberi e la maggior parte degli ioni fissi del reticolo cristallino sono quindi negativi (gli atomi accettori) 34 GIUNZIONE P-N Supponiamo, adesso, di mettere a stretto contatto (a livello atomico) i due pezzi di semiconduttore creando quella che si chiama una giunzione P-N. Nell’ istante iniziale in cui la giunzione si forma, nel pezzo N ci saranno molti elettroni liberi e poche lacune libere. Viceversa nel pezzo P. A causa di questo gradiente di densità dei portatori maggioritari (elettroni in N e lacune in P) tra i due pezzi ora uniti assieme, avremo una diffusione di elettroni da N a P )ove vanno a ricombinarsi con lacune) e di lacune da P ad N (ove vengono occupate da elettroni) così come accade nel caso di un gas che diffonde da una zona a concentrazione più alta ad una più bassa. Questo moto di cariche costituisce una corrente di diffusione Idiff che è la somma algebrica di due contributi simultanei: uno dovuto a cariche negative che si spostano da N a P, e uno a cariche positive che si spostano da P a N. La somma algebrica dà una corrente uguale in valore assoluto alla somma delle due intensità e diretta (ossia “positiva”) da P a N. Man mano che il processo di diffusione evolve, il pezzo N perde cariche negative, caricandosi positivamente, mentre il pezzo P perde cariche positive nel senso che acquista una carica negativa (solo gli elettroni sono oggetti reali) . Ciò ostacola ulteriore passaggio di lacune ed elettroni attraverso la giunzione fino ad arrestarlo (quasi) completamente. Attorno alla giunzione si crea una zona, detta di svuotamento o di barriera, priva di cariche libere in quanto in questa zona avvengono le ricombinazioni conseguenza della diffusione (questa zona si comporta da isolante). Gli ioni fissi, non più bilanciati dalle cariche diffuse (positivi in N e negativi in P) generano una d.d.p. V0 che non permette più il passaggio delle cariche maggioritarie attraverso la giunzione ed il processo di diffusione si arresta. Ma le cariche minoritarie, poche ma presenti in ciascun pezzo, sono al contrario accelerate da questa d.d.p. e quindi generano una “normale” corrente di deriva, simile a un conduttore sottoposto a una d.d.p., Ider, di verso opposto a quella di diffusione Idiff delle cariche maggioritarie, attraverso la giunzione. All’equilibrio queste due correnti si bilanciano: Itot =Idiff - Ider=0. 1. 2. 3. Tutto questo processo avviene appena realizzata la giunzione, per cui quando utilizziamo un dispositivo a giunzione già realizzato, esso è già avvenuto e ci ritroviamo un dispositivo in cui: Esiste una d.d.p. V0 ”naturale” tra le due parti. Ciascuna parte presenta una zona quasi priva di cariche mobili immediatamente ai lati della giunzione. Non si osserva alcuna corrente netta attraverso la giunzione. Questo dispositivo, se alimentato dall’ esterno, si comporterà come un diodo ! 35 GIUNZIONE IN POLARIZZAZIONE INVERSA Applichiamo dall’esterno, mediante una batteria, una d.d.p. V agli estremi della giunzione P-N collegando il polo positivo della batteria alla parte N della giunzione e il polo negativo alla parte P (polarizzazione inversa). L’altezza della barriera di potenziale naturalmente presente alla giunzione aumenta. Di conseguenza le lacune nel pezzo P e gli elettroni nel pezzo N tendono a allontanarsi dalla giunzione con il risultato di allargare la regione di svuotamento. La corrente di deriva Ider , dovuta ai portatori minoritari di carica, è quasi indipendente dall’altezza della barriera perché determinata dal numero di coppie elettronelacuna generate per agitazione termica, funzione, quindi, della temperatura. Se questa non varia, Ider cost. La corrente di diffusione Idiff dovuta ai portatori maggioritari, invece, dipende dall’altezza della barriera: se questa aumenta, la Idiff tenderà a diminuire e la corrente totale Itot = Idiff Ider non sarà più nulla ma sarà diretta come la corrente di deriva e minore di questa in valore assoluto. In queste condizioni la Itot é piuttosto piccola e si chiama corrente inversa. 36 GIUNZIONE IN POLARIZZAZIONE DIRETTA Applichiamo dall’esterno, mediante una batteria, una d.d.p. V agli estremi della giunzione P-N collegando il polo negativo della batteria alla parte N della giunzione e il polo positivo alla parte P (polarizzazione diretta). L’altezza della barriera di potenziale naturalmente presente alla giunzione diminuisce. Di conseguenza le lacune nel pezzo P e gli elettroni nel pezzo N tendono a avvicinarsi alla giunzione con il risultato di restringere la regione di svuotamento. La corrente di deriva Ider , dovuta ai portatori minoritari di carica, è quasi indipendente dall’altezza della barriera perché determinata dal numero di coppie elettrone-lacuna generate per agitazione termica, funzione, quindi, della temperatura. Se questa non varia, Ider cost. La corrente di diffusione Idiff dovuta ai portatori maggioritari, invece, dipende dall’altezza della barriera: se questa diminuisce, la Idiff tenderà a aumentare (fortemente) e la corrente totale Itot = Idiff Ider non sarà più nulla ma sarà diretta come la corrente di diffusione e (lievemente) minore di questa. In queste condizioni la Itot é relativamente grande e si 37 chiama corrente diretta. DIODO A GIUNZIONE I fenomeni descritti avvengono all’ interno dei due blocchi di semiconduttore uniti a formare una giunzione P-N, ma quando la giunzione è connessa a una batteria esterna nulla arresta gli elettroni al confine tra semiconduttore e filo di collegamento. Una corrente identica alla Itot circola dunque nel circuito esterno. Anzi essa mantiene il fenomeno nel tempo, altrimenti, se ipoteticamente, i due elementi della giunzione fossero tenuti a potenziali più alti (in valore assoluto) di quelli naturali ma senza possibilità di circolazione di corrente, si raggiungerebbe semplicemente la situazione di equilibrio Itot =Idiff - Ider=0 in corrispondenza di una regione di svuotamento di ampiezza diversa da quella naturale. Ma allora: quando la polarizzazione è diretta la corrente nel circuito esterno sarà grande, quando la polarizzazione è inversa la corrente nel circuito esterno avrà verso opposto, ma soprattutto sarà piccola. Allora la giunzione P-N costituisce un diodo, il diodo a giunzione. 38 DIODO A GIUNZIONE: CARATTERISTICA La caratteristica di un diodo a giunzione è la curva Itot = f(V), ove Itot è in pratica la corrente misurata nel circuito estero che però abbiamo visto essere uguale alla corrente netta attraverso la giunzione e V è la d.d.p. applicata tra i due pezzi, assunta positiva quando la giunzione è polarizzata in maniera diretta. Risponde approssimativamente a questa espressione: eV I tot I 0 e kT 1 Simbolo diodo a giunzione per V 0 I tot 0 per V I tot I 0 per V I tot -1 Il valore costante –Io è detto corrente inversa di saturazione; il suo valore assoluto è caratteristico del materiale semiconduttore In polarizzazione diretta la resistenza del diodo è molto bassa, infatti I cresce molto rapidamente con V. In polarizzazione inversa la resistenza de diodo è molto alta e tende a ∞, infatti I cresce molto poco con V. 39 DIODO A GIUNZIONE: STUDIO Per rilevare la“caratteristica” del diodo a giunzione adoperiamo questo circuito: La figura riporta gli strumenti nella configurazione per polarizzazione diretta. Limitare la misura a pochi decimi di volt, o la corrente diventerà così elevata da bruciare il diodo a causa del calore sviluppato. Nella configurazione per polarizzazione inversa (deviatore in 2) usare: Per la misura della corrente un galvanometro, connesso in maniera opposta alla figura dato che nel diodo a giunzione in polarizzazione inversa la corrente scorre nel verso opposto. Per la misura della tensione un voltmetro digitale che ha una resistenza interna in genere >> di uno analogico, in quanto il diodo polarizzato inversamente presenta una resistenza molto alta e quindi, altrimenti, la maggior parte della corrente misurata sarebbe quella che scorre attraverso il voltmetro piuttosto che attraverso il diodo. 40 USO DEL DIODO A GIUNZIONE: LED Le cifre luminose (tipicamente rosse o verdi) di apparecchi digitali sono costruite mediante diodi a giunzione. Quando un elettrone della banda di conduzione del pezzo N si ricombina con una lacuna nella banda di valenza del pezzo P, si libera di una quantità di energia pari al gap proibito E. Questa energia può essere emessa sia sotto forma di radiazione elettromagnetica (fotone di energia hν) sia sotto forma di calore k; il bilancio energetico può essere scritto come: E = hν + k dove h è la costante di Planck, ν la frequenza della radiazione elettromagnetica. In un LED (Light Emitting Diode) prevale il primo processo e lo vediamo illuminarsi. Utilizzando dei materiali semiconduttori composti di gallio, arsenico e fosforo è possibile ottenere, variando il rapporto tra fosforo e arsenico, un valore di E tale che ν vada a cadere nella regione del visibile. Per evitare che buona parte dei fotoni emessi vengano riassorbiti da elettroni della banda di valenza facendoli passare in quella di conduzione, il semiconduttore viene fortemente drogato in modo da avere un numero di portatori maggioritari in forte eccesso rispetto a quello generato dall’agitazione termica nel materiale non drogato. Per avvicinarsi ulteriormente a tale condizione e per ottenere un elevato numero di fotoni emessi, la giunzione, inoltre, viene fortemente polarizzata in verso diretto, cosicché il forte campo elettrico sospinge un numero molto grande di portatori maggioritari attraverso la giunzione stessa. LED emettenti nell’ infrarosso vengono utilizzati nei sistemi di comunicazione mediante fibre ottiche. 41 TRANSISTOR A GIUNZIONE Il transistor è un dispositivo di materiale semiconduttore che ha sostituito il triodo a vuoto in quasi tutte le moderne applicazioni. Analogamente al triodo, il transistore può essere utilizzato come amplificatore. Ma può essere usato anche come interruttore automatico in risposta a specifiche condizioni di tensione-corrente. Il transistor è formato da 3 pezzi di semiconduttore drogati, con 2 giunzioni. È realizzato ponendo uno strato molto sottile ( 0,02 mm) di semiconduttore di tipo N fra due strati di tipo P (transistor PNP) oppure uno strato molto sottile di tipo P fra due strati di tipo N (transistor NPN). Il funzionamento di ambedue i tipi è identico per cui, per fissare le idee, nel seguito di questa lezione utilizzeremo il tipo PNP. I tre strati di materiale semiconduttore drogato sono chiamati, rispettivamente: emettitore, base, collettore. 42 SCHEMI CONNESSIONE TRANSISTORS La freccia sull’emettitore indica la direzione della corrente quando la giunzione emettitore-base è connessa in polarizzazione diretta (+ a P, - a N). Tuttavia, secondo una convenzione, le correnti di emettitore Ie , di base Ib e di collettore Ic sono da considerare positive quando fluiscono verso il transistore, come indicato in figura. Di conseguenza sono considerate positive le d.d.p. Veb , Vcb , Vce tra i tre elettrodi se come in figura a destra. Normalmente la giunzione emettitore-base viene polarizzata diretta mentre quella collettore-base in modo inverso. Quindi p.es. l’ effettiva Veb qui è considerata negativa. 43 CARATTERISTICHE TRANSISTOR Come nel caso del triodo, anche per il transistor si possono ricavare sperimentalmente le relazioni tra tensioni e correnti. Ma poiché nel transistor hanno interesse tutte e tre le correnti, in linea di principio, si possono determinare parecchie curve: Una di tre correnti in funzione di due di tre tensioni, per esempio: Ic f(Veb ,Vcb); Ib f(Veb ,Vcb); Ie f(Veb ,Vcb) o equivalentemente in funzione di altre due delle tre tensioni; infatti date due tensioni la terza è determinata. Nulla vieta di considerare tensioni (da applicare) in funzione di correnti (che si vogliano ottenere), come per esempio: Veb f(Ie ,Ic) ; Vcb f(Ie ,Ic) ; Vce f(Ib ,Ic) Le caratteristiche più usate sono quelle a base comune e a emettitore comune, in cui la connessione tra l’ingresso e l’uscita ha, rispettivamente, la base o l’emettitore in comune. 44 PRINCIPIO FUNZIONAMENTO TRANSISTOR Il funzionamento del transistor può essere compreso considerando il modo in cui l’ andamento del potenziale alle giunzioni non polarizzate viene modificato dall’applicazione di una polarizzazione esterna. In assenza di polarizzazione esterna le barriere di potenziale alle giunzioni raggiungono spontaneamente l’altezza necessaria perché non circoli corrente (0.20.3 volt). Quando le giunzioni vengono polarizzate, l’altezza delle barriere cambia. Precisamente, polarizzando direttamente la giunzione emettitore-base la rispettiva barriera viene abbassata di Veb mentre la polarizzazione inversa applicata alla giunzione base-collettore fa alzare la rispettiva barriera di Vcb. Diminuendo la barriera emettitore-base, le lacune presenti nell’emettitore acquistano una probabilità di diffondere verso la base e entrare in essa: l’emettitore, analogamente al catodo di un triodo, immette cariche nella base. Poiché lo spessore della base è molto piccolo le lacune diffondono rapidamente verso la giunzione base-collettore subendo nel frattempo una piccolissima ricombinazione con gli elettroni della base. Le lacune vengono raccolte al collettore, favorite dalla barriera di potenziale in discesa della giunzione basecollettore: il collettore è l’analogo dell’anodo di un triodo in quanto in esso avviene la raccolta delle cariche. Analogo processo avviene nel transistore NPN con protagonisti gli elettroni. 45 TRANSISTOR COME AMPLIFICATORE Rin Rout Vin Vout Il rapporto tra una variazione Ic della corrente di collettore e la corrispondente variazione Ie di quella di emettitore, con la d.d.p. Vcb tra collettore e base mantenuta costante, si chiama coefficiente di amplificazione in corrente: (Ic/Ie)|Vcb = cost (1) Questo rapporto risulta < 1, ma di poco (0.9500.995) Infatti Ic è di poco < Ie a causa del piccolo numero di ricombinazioni tra elettroni e lacune nella base. Tuttavia, si ottiene amplificazione in tensione applicando la tensione da amplificare Vin in serie a Veb , inserendo nella maglia emettitore-base una resistenza (d’ingresso) Rin relativamente piccola (2001000 ) e prelevando la tensione Vout ai capi di una resistenza (d’uscita) Rout molto più grande (valore tipico 1 M). Poiché Ic Ie il rapporto tra le ampiezze della tensione di uscita e di ingresso è al rapporto tra le resistenze (1000 5000 !) Un secondo coefficiente di amplificazione in corrente si può definire in termini di variazione Ib della corrente di base: (Ic/Ib )|Vce = cost (2) Possiamo trovare la relazione che intercorre tra i due coefficienti in quanto I c I e Ib Ie Ic Ie(1 ) Vcb è in genere di parecchi volt, e date le resistenze Rin e Rout per avere una Ic misurabile basta una Veb<<Vcb e quindi Vce Vcb , per cui (1) e (2) si possono combinare insieme e in definitiva Ie/(1 )Ie = /(1 ) che, per =0.950.995, dà 20 200. 46 TRANSISTOR A BASE COMUNE RC + - Veb + EEB - RE + IC - IE - + Il collegamento a base comune è quello realizzato in questo circuito. - ECB + VCB Questo circuito è adoperato in Lab per il rilievo delle “caratteristiche di un transistor a base comune”. Tra le molte curve che si possono scegliere, è tradizionale riportare la famiglia di curve Ic = f (Vcb , Veb ) |Ie = cost È da notare che sebbene la parametrizzazione sia tradizionalmente espressa in termini di Ie, un dato valore di Ie implica un preciso valore di Veb, che in questo circuito si ottiene regolando la resistenza variabile RE. 47 CARATTERISTICHE A BASE COMUNE Nel circuito adoperato le giunzioni sono polarizzate come nell’ impiego pratico: emettitore-base (P-N) direttamente, base-collettore (N-P) inversamente. Secondo la convenzione per cui sono considerate positive correnti entranti nel transistor, allora Ie è positiva e Ic negativa. Tuttavia i produttori di transistor non si curano delle convenzioni e riportano solo valori assoluti per entrambe le correnti. Nella scheda di Lab, ai fini dell’ illustrazione dei dati in grafico, Ic che la grandezza misurata è riportata come positiva. Per coerenza Ie che è da noi controllata è indicata con valori negativi. In ogni caso sono solo convenzioni e le correnti misurate sono positive dopo avere collegato correttamente gli strumenti. La denominazione delle regioni sembra una svista, in realtà la regione in cui Ic varia poco e inoltre ha un valore Ie è proprio quella in cui si fa funzionare il transitor a base comune quando deve essere adoperato come amplificatore. La regione “di saturazione” ha Vcb negativi. Significa avere invertito la polarità dell’ alimentatore di Vcb, cioè avere polarizzato anche la giunzione base-collettore direttamente, con il risultato di estinguere rapidamente la corrente di emettitore pur in presenza di corrente da emettitore a base. Nella regione di saturazione numericamente Ic è quasi indipendente da Ie e in pratica le curve collassano quasi in una singola curva. Limitandosi alla regione di saturazione, dai rapporti tra le differenze tra i valori di Ic che competono a due curve e i corrispondenti valori di Ie per Vcb costante si può ricavare sperimentalmente il parametro di amplificazione (Ic/Ie)|Vcb = cost 48 TRANSISTOR A EMETTITORE COMUNE IB + - + Il collegamento a emettitore comune è quello realizzato in questo circuito. IC - RC + VCE + + - EEB - - Veb RB ECE Questo circuito è adoperato in Lab per il rilievo delle “caratteristiche di un transistor a emettitore comune”. Tra le molte curve che si possono scegliere, è tradizionale riportare la famiglia di curve Ic = f (Vce , Veb ) |Ib = cost È da notare che sebbene la parametrizzazione sia tradizionalmente espressa in termini di Ib, un dato valore di Ib implica un preciso valore di Veb, che in questo circuito si ottiene regolando la resistenza variabile RB. 49 CARATTERISTICHE A EMETTITORE COMUNE Valgono considerazioni analoghe al caso precedente riguardo alle convenzioni sui segni delle correnti. Dai rapporti tra le differenze tra i valori di Ic che competono a due curve e i corrispondenti valori di Ib per Vce costante si può ricavare sperimentalmente il parametro di amplificazione (Ic/Ib )|Vce = cost Questo non risulta costante ma varia a seconda della regione considerata. Lo si può riportare in funzione dei Vce scelti, ma è tradizione riportarlo in funzione di Ic prendendo come ascissa per esempio il valore iniziale o il valore medio di ciascun intervallo Ic adoperato. L’ andamento di f(Ic) dovrebbe essere di questo tipo (i valori numerici sono solo esempi): 50 Lezione n.13 OSCILLATORE A DENTI DI SEGA 51 CONDUTTORI GASSOSI In condizioni normali i gas sono degli isolanti. In qualsiasi momento tuttavia, dato un volume di gas, a causa dei raggi cosmici (particelle di alta energia) che costantemente colpiscono la Terra e della radioattività naturale, qualche elettrone viene scalzato da qualche atomo che risulta quindi ionizzato, per essere successivamente ri-catturato. Il numero di elettroni liberati in questo modo “da cause naturali” in un dato intervallo di tempo è in genere troppo basso per dare luogo a una corrente elettrica apprezzabile. Tuttavia l’ applicazione di un elevato campo elettrico (ossia di una d.d.p. elevata) tra due elettrodi posti all’ interno di una ampolla riempita di gas può innescare nel gas la conduzione in maniera improvvisa. Se infatti la d.d.p. tra gli elettrodi supera una certa soglia, i pochi elettroni liberati da cause naturali, possono acquisire per accelerazione dal campo elettrico una velocità e quindi una energia superiore all’ energia di ionizzazione propria degli atomi dell’ elemento. Allora essi all’ urto con atomi scalzeranno altri elettroni (ionizzazione secondaria), i quali a loro volta appena liberati continueranno il processo: l’ intero volume di gas diviene improvvisamente conduttore. Una volta avviata, la conduzione si mantiene anche se la d.d.p. viene abbassata un poco rispetto al valore che lo ha innescato. Infatti gli elettroni non hanno tutti la stessa energia prima di un urto ma piuttosto una distribuzione di energie e anche se la d.d.p. dopo l’ innesco viene abbassata, basta che un numero sufficiente di essi, ancorché non tutti, abbiano energia superiore a quella di ionizzazione perché il processo di mantenga. Ma se la d.d.p. venisse abbassata ancora, sotto una certa altra soglia il numero di elettroni con energia superiore a quella di ionizzazione diventa trascurabile e la conduzione rapidamente cessa. 52 LAMPADE A GAS Un “sottoprodotto” della conduzione nei gas è la produzione di luce. Ogni dato elettrone liberato per qualunque ragione prima o poi viene catturato da un atomo e la conduzione - nel giusto intervallo di d.d.p. - continua dinamicamente, cioè grazie e sempre nuovi elettroni liberati. Ogni volta che un elettrone viene ri-catturato si libera dell’ energia cinetica che possiede in più rispetto al valore che gli compete sul livello energetico in cui viene catturato. Spesso lo fa, tra l’ altro, emettendo un fotone. Lampade a gas, specificamente: lampada (o “tubo”) al neon. Per l’ accensione è necessaria una d.d.p. inizialmente elevata, più elevata della normale tensione di rete. Essa viene prodotta in vari modi da apparecchi detti “starter” . Per esempio si può lasciare accumulare carica in un condensatore e dopo un tempo predefinito chiudere improvvisamente un interruttore che connette il condensatore carico agli elettrodi: il condensatore si scarica ma transitoriamente tra gli elettrodi è presente una d.d.p. molto maggiore di quella della rete elettrica domestica, e la conduzione viene innescata. La tensione di rete poi è sufficiente a mantenere la conduzione e quindi la produzione di luce, fino a quando, “spegnendo” l’ interruttore, la conduzione praticamente cessa. Una debole luminosità talvolta osservabile in un tubo a gas non connesso è dovuta ai fotoni emessi all’ atto della ri-cattura di quei pochi elettroni scalzati dagli agenti naturali Il comportamento elettrico di una lampada a gas è dunque caratterizzabile con due valori di tensione: 1. 2. Una tensione di innesco Vi , il valore minimo necessario perché la ionizzazione secondaria inizi e quindi inizi la conduzione. Una tensione di disinnesco Vd < Vi , al disotto della quale la conduzione non riesce più a mantenersi e la lampada si spegne. 53 TENSIONE A DENTI DI SEGA Si dice tensione a denti di sega una tensione che, idealmente, abbia questo andamento: V max T V t Tensione variabile, periodica, ma non alternata Vediamo come si può produrre e quali applicazioni ha. 54 OSCILLATORE A DENTI DI SEGA: CIRCUITO R V0 C G Lampada a gas (diodo a gas) (interruttore a gas) 55 OSC. A DENTI DI SEGA: FUNZIONAMENTO-1 In assenza della lampada a gas, alla chiusura del circuito il condensatore si carica attraverso la resistenza e la tensione ai suoi capi Vc cresce con legge temporale VC V0 1 e t RC R V0 C G L’ andamento nel tempo di Vc(t) è questo: 56 OSC. A DENTI DI SEGA: FUNZIONAMENTO-2 Se a un certo istante cortocircuitassimo il 1 condensatore chiudendo un tasto T come in figura, il condensatore si scaricherebbe con CO legge RtC VC V0e E 2. IT R Ig V0 f+ V Ma essendo la resistenza del -filo di cortocircuito Rf estremamente piccola, la scarica sarebbe estremamente rapida e somiglierebbe molto a una linea quasi verticale. Se poi togliessimo il cortocircuito la carica riprenderebbe e la figura si ripeterebbe. Ma ci sono due inconvenienti: 1. 2 C T G C G rg La fase crescente delle tensione sarebbe esponenziale e non lineare come desiderato. Non si può certo immaginare un dispositivo in cui si debba aprire e chiudere un interruttore manualmente. 57 OSC. A DENTI DI SEGA: FUNZIONAMENTO-3 Mettendo invece in parallelo al condensatore C una lampada a gas G, purché sia V0 > Vi , quando durante la fase di carica la d.d.p. ai capi del C e quindi di G raggiunge il valore di innesco Vi, la lampada diventa conduttrice, la sua resistenza diventa improvvisamente molto piccola, RG, e C si scarica attraverso il ramo con G come nel cortocircuito. Nel frattempo C si ri-carica attraverso R ma essendo R >> RG la ri-carica durante la scarica è trascurabile. Ma scaricandosi attraverso G la d.d.p. ai capi di C e G scende rapidamente e appena raggiunge il valore di disinnesco Vd la scarica attraverso G cessa. A questo punto la ricarica attraverso R diventa l’ unico processo e la carica riprende. Raggiunto di nuovo Vi si ha una nuova scarica attraverso G e così via. G si comporta dunque come un interruttore elettronico automatico che si “chiude” quando V ai suoi capi, crescendo, raggiunge Vi e si apre quando V, decrescendo, raggiunge Vd . Per il fatto che la conduzione avviene al di sopra di un certo valore e non al di sotto il dispositivo anche il nome di “diodo” (a gas). Il grafico temporale della tensione ai capi di C così ottenuta è (praticamente) quello voluto! R V0 C G 58 OSC. A DENTI DI SEGA: PROPRIETÀ A parte un breve periodo iniziale in cui “nasce” da zero, la tensione così prodotta ha caratteristiche vicine a quelle volute (andamento “triangolare”). La fase crescente è (anche così) teoricamente esponenziale, ma se si alimenta il C con un V0 sufficientemente >Vi (in pratica basta V0 >~(2÷3)Vi ) la crescita ha luogo nel primo tratto, che è quasi lineare. La fase decrescente è anche essa teoricamente esponenziale ma essendo molto rapida è praticamente quasi verticale. La tensione a denti di sega così realizzata è caratterizzata dalla ampiezza Vi - Vd e dal periodo T. Approssimando la fase di scarica come istantanea, quest’ ultimo è pari alla differenza tra l’ istante ti in cui inizia una scarica e l’ istante td in cui era terminata quella precedente. 59 OSC. A DENTI DI SEGA: PARAMETRI Il periodo T così definito non può che dipendere dalle caratteristiche costruttive del circuito oscillatore. La dipendenza si deduce dalla equazione della scarica: VC V0 1 e t RC t RC ln V V V 0 0 t I RC ln V0 V0 VI T t I t D RC ln ; t D RC ln C V0 V0 VD V0 VD V0 VI Nelle applicazioni si regola T a un valore desiderato agendo su V0 e/o su R, che può benissimo essere un resistore variabile. A volte regolazioni grosse sono ottenute mediante una manopola a scatti che seleziona C diversi. Invece Vi e Vd sono proprietà della lampada a gas che possono essere scelte oculatamente in fase di costruzione ma non variate durante l’ uso. 60 MISURA SPERIMENTALE PERIODO Se il periodo è relativamente lungo (valori di R e/o C relativamente grandi, allora è possibile misurarlo “a vista”. La lampada emette un lampo di luce ogni volta che avviene la scarica. Pertanto la durata di ciascun lampo è praticamente brevissima, mentre l’ intervallo tra un lampo e il successivo è praticamente pari al periodo T. Allora cronometrando il tempo per n lampi e dividendo per n si ottiene il periodo cercato. Ma se il periodo è inferiore a ~0.1 s per la persistenza delle immagini sulla retina la lampada appare sempre accesa. Allora bisogna utilizzare uno strumento che “produca” e visualizzi il grafico temporale VC(t) e misurare il periodo “graficamente”. Questo apparecchio esiste: l’ oscillografo (o oscilloscopio ). Nella sua versione originaria (oscillografo analogico - quello digitale sarà oggetto del corso di Elettronica) utilizza al suo interno proprio un oscillatore a denti di sega, anzi ne costituisce la principale applicazione. Naturalmente l’ oscillografo si utilizza per visualizzare il grafico di qualunque tensione variabile, non solo di una a dente di sega! 61 Lezione n.14 OSCILLOGRAFO (O OSCILLOSCOPIO) 62 TUBI A RAGGI CATODICI L’ oscillografo analogico appartiene alla più vasta categoria dei tubi a raggi catodici o CRT (Cathode Ray Tubes), alla quale appartiene per esempio anche il televisore non a schermo piatto. Infatti in entrambi i casi i principi di funzionamento di base sono gli stessi: 1. 2. Produrre un fascio accelerato di elettroni (eventualmente 3 fasci nel TV a colori) che colpiscono uno schermo fluorescente creando un puntino luminoso (o 3 puntini luminosi vicini) Guidare questo fascio verso vari punti dello schermo in risposta a un “criterio”, quale il valore di una tensione in “ingresso” all’ apparecchio una tensione variabile da graficare (oscillografo) una tensione variabile che rappresenta in istanti successivi l‘ intensità luminosa che ogni zona dello schermo deve avere per formare una immagine intelligibile (TV) 63 FUNZIONE La funzione di un oscillografo è quella di simulare elettronicamente il disegno a mano del grafico di una funzione. Immaginate di disegnare a mano il grafico di una funzione sinusoidale e pensate in dettaglio al moto che una penna che tenete tra le dita deve eseguire. La penna deve muoversi su e giù in verticale sinusoidalmente nel tempo, mentre contemporaneamente si sposta in maniera “regolare” in orizzontale da sin a dx. Se non spostaste la mano anche in orizzontale infatti la punta della penna si muoverebbe solo in verticale di moto armonico e disegnerebbe solo un segmento di lunghezza pari a 2 volte l’ ampiezza della sinusoide. In sostanza penna – e la vostra mano - si devono muovere di un moto piano bidimensionale che deve essere la composizione di due moti: uno armonico lungo y (la funzione da graficare!) e uno rettilineo uniforme di servizio lungo x! Lo stesso deve fare il fascio di elettroni di un CRT, che rappresenta la “punta” della penna. 64 PANNELLO FRONTALE 65 SCHEMA COSTRUTTIVO Schematicamente, un CRT presenta 3 sezioni: 1. Cannone elettronico 2. Sistema deflettente 3. Schermo fluorescente 66 IL CANNONE ELETTRONICO - 1 Il cannone elettronico produce un sottile fascio collimato di elettroni veloci monoenergetici che procedendo lungo l’asse del tubo andrebbe a colpire, in assenza altri fenomeni, il centro O dello schermo. In alcuni aspetti il cannone è del tutto simile a un triodo; le differenze sono principalmente di natura geometrica e hanno come obbiettivo il fatto che gli elettroni siano convogliati in un fascio sottile ben collimato. Gli elettroni sono emessi da un catodo simile a quello di un triodo a vuoto riscaldato da un filamento percorso da corrente alternata. Dopo qualche secondo dalla pressione del pulsante di accensione il catodo è caldo e comincia a emettere elettroni per effetto termoelettronico e un puntino luminoso al centro dello schermo appare. Il materiale del catodo (ricoperto di ossidi) è scelto in modo da avere un potenziale di estrazione relativamente basso. Gli elettroni emessi possiedono velocità aventi direzioni casuali e il cui valore quadratico medio, ricordando che è E 3kT/2, risulta ue 105 m/s a tipiche temperature intorno a 103 °K. La griglia, a potenziale più basso del catodo come nel triodo, serve a regolare il numero di elettroni che riescono a andare avanti lungo il tubo e quindi l’ intensità del fascio e quindi la brillantezza del punto sullo schermo, in modo da adattarla alla luminosità ambientale per una visualizzazione confortevole. La manopola “INTENSITY” varia un potenziometro dell’ alimentatore della griglia. 67 IL CANNONE ELETTRONICO - 2 L’ elettrodo di focalizzazione (non presente in un triodo) ha forma cilindrica e circonda il sistema filamento-catodo protendendosi verso l’ anodo. Come la griglia anche esso è mantenuto a un potenziale negativo rispetto al catodo dunque respingere da sé gli elettroni che a esso si avvicinano mentre tuttavia essi sono attratti dall’ anodo che è a potenziale (ben più) positivo rispetto al catodo. La manopola “FOCUS” varia un potenziometro dell’ alimentatore Vf, permettendo di ottenere un fascio più o meno collimato, ossia più o meno “sfocato”. L’ anodo, a differenza del triodo dove gli elettroni li si vuole raccogliere, è forato in modo che mentre i pochi elettroni che siano sfuggiti alla focalizzazione lo colpiscono e generano una (debole) corrente nel circuito anodico, la maggior parte degli elettroni vi passi attraverso proseguendo per inerzia data la grande accelerazione subita: gli elettroni sono “sparati” verso lo schermo come da un cannone (elettrostatico) Poiché la tensione positiva Va applicata all’anodo è molto maggiore di quella della griglia, l’energia cinetica con cui gli elettroni fuoriescono dall’anodo forato è, praticamente, Ec = mu2/2 = eVa , dalla quale, per Va 103 V, si ottiene u 107 m/s molto più grande di ue di emissione dal catodo. L’ energia finale di ciascun elettrone, somma di quella di emissione più quella cinetica acquisita grazie all’ accelerazione, coincide dunque in pratica con quest’ultima e il fascio può essere considerato monoenergetico. 68 LO SCHERMO FLUORESCENTE Lo schermo è costituito da un deposito di una sostanza fluorescente, detta fosforo, sulla faccia interna della base maggiore del tubo di vetro che costituisce l’ involucro del CRT. Il fosforo trasforma l’energia cinetica degli elettroni in luce visibile, in quanto i suoi atomi, colpiti dagli elettroni energetici del fascio si eccitano (cioè un loro elettrone esterno salta a un livello più alto) per poi diseccitarsi emettendo un fotone di energia pari alla differenza tra il livello eccitato e quello normale: tale energia è quella che noi chiamiamo verde cosicché il punto O d’incidenza degli elettroni appare come un puntino luminoso verde. 69 IL SISTEMA DEFLETTENTE È il “cervello” dell’ apparecchio, nel senso che è il sistema che guida il fascio verso un dato punto dello schermo, ed è capace di fare evolvere tale guida nel tempo in modo tale che il puntino spostandosi sullo schermo “disegni” il grafico della tensione da studiare. Costruttivamente è molto semplice: consiste semplicemente di due condensatori a facce piane e parallele (talvolta chiamati in questo caso “placchette deflettrici” in quanto il loro scopo è appunto quello di deflettere il fascio piuttosto che quello di accumulare carica), disposti uno con le placche orizzontali, l’ altro con le placche verticali. Per capire in che modo questo sistema riuscirà a disegnare il grafico di una tensione variabile, (ri)esaminiamo prima il moto di un elettrone all’ interno di un condensatore carico. 70 DEFLESSIONE ELETTROSTATICA Consideriamo un elettrone che entra all’interno dello spazio tra due placchette metalliche P parallele con velocità u perpendicolare al campo elettrico E generato da una d.d.p. V applicata alle placchette. Il campo elettrico E assoggetta l’elettrone ad una forza F = -eE = ma L’accelerazione a è nella stessa direzione del campo E, non ha quindi componente lungo l’asse x (di figura) e ha modulo a = ay = -eE/m = cost. Il moto risultante avrà traiettoria parabolica di equazioni: x = ut ; y = ayt2/2 da cui y = -eEx2/2mu2 e poiché E = V/d, sostituendo si ha: y = (-1/2)(e/m)(V/d)(x2/u2) 71 DEFLESSIONE VERTICALE - 1 Consideriamo ora le placchette deflettrici disposte orizzontalmente di un CRT. Vediamo che esse possono impartire una deflessione verticale pilotata al fascio. Ogni elettrone sparato dal cannone ha, come abbiamo visto, Ec = mu2/2 = eVa da cui u2 = 2eVa /m. Detta Vy la d.d.p. applicata alle placchette deflettrici in un dato istante, la deflessione |y| del fascio dalla sua traiettoria rettilinea a distanza x minore o uguale alla lunghezza l delle placchette, è espressa da: y = (-1/2)(e/m)(V/d)(x2/u2) |y| = (1/2)(e/m)(Vy/d)(mx2/2eVa) = = (1/4d)(Vy/Va)x2 72 DEFLESSIONE VERTICALE - 2 Quando il fascio esce dalla coppia di placchette deflettrici disposte orizzontalmente prosegue con moto rettilineo uniforme andando a colpire lo schermo, posto a distanza D dall’uscita di esse, in un punto P sulla verticale passante per il centro O. L’angolo tra la direzione della traiettoria rettilinea all’uscita dalla coppia di placchette e la direzione dell’asse di esse è dato da: tg = (dy/dx)x=l = (l/2d)(Vy/Va) e quindi la coordinata verticale di P sullo schermo vale: |y| = (1/4d)(Vy/Va)l2 + D(l/2d)(Vy/Va) = (l2+2lD)/4VadVy = SoyVy dove Soy rappresenta la sensibilità verticale. Nota Soy , è possibile misurare una tensione incognita costante Vy dalla misura dello spostamento y su una scala di riferimento tracciata sullo schermo: con Vy = Soy-1 |y| Soy-1 = 4Vad/(l2+2lD) Valori tipici delle costanti sono: superficie di ciascuna placchetta A = 5 cm2 ; d = 0,5 cm ; l = 2 cm ; Va = 2kV ; D = 20 cm ; da cui si ricava Soy-1 = 50 V/cm (e quindi Soy = 0,02 cm/V). È dunque possibile tarare lo schermo direttamente in volt. Meglio ancora, lo schermo ha una griglia di riferimento incisa o sovrapposta, e una manopola consente di variare la scala (V/div, ove “div” significa un quadretto) variando a scatti uno dei fattori della costante di proporzionalità, tipicamente Va oppure d. 73 DEFLESSIONE ORIZZONTALE Consideriamo ora le placchette deflettrici disposte verticalmente di un CRT. Vediamo che esse possono impartire una deflessione orizzontale pilotata al fascio. Con un ragionamento analogo a quello fatto per le placchette di deflessione orizzontale, si ottiene: Vx = Sox-1 |x| ove con x si intende qui la coordinata orizzontale sullo schermo, non quella lungo una direzione parallela ai piani delle placchette. 74 VISUALIZZAZIONE TENSIONI VARIABILI Che succede se alle placchette di deflessione verticale viene applicata non una tensione fissa ma una variabile nel tempo? Semplice: istante per istante lo spostamento verticale sullo schermo è proporzionale al valore istantaneo della tensione, dunque il punto si muoverà verticalmente pilotato dal valore della tensione che varia. Basta questo per “visualizzare” il grafico temporale della tensione? No, perché è come se la vostra mano si muovesse verticalmente seguendo il variare del valore della funzione ma senza spostarsi orizzontalmente. Per esempio se la tensione applicata alle placchette di deflessione verticale è una tensione sinusoidale che si vorrebbe visualizzare, il punto luminoso sullo schermo si muoverebbe su e giù di moto armonico, descrivendo un segmento verticale posto al centro dello schermo. Bisogna in qualche modo “simulare” anche lo spostamento orizzontale della mano! 75 GRAFICO TENSIONE VARIABILE Come simulare anche lo spostamento orizzontale della mano? Applicando alle placchette di deflessione orizzontale una tensione a denti di sega! 1. 2. 1. 2. In questo modo, mentre la tensione da visualizzare varia per i fatti suoi facendo muovere verticalmente il puntino luminoso sullo schermo in modo a essa proporzionale, il puntino si muove anche orizzontalmente di moto rettilineo uniforme, in quanto si muove proporzionalmente al valore della tensione che in un periodo cresce (quasi) linearmente con il tempo: V(t) kt … esattamente come la vostra mano! Differenza: una volta tracciata la curva con la penna il segno sul foglio permane. Invece sullo schermo, pur rimanendo la tensione da visualizzare applicata alle placchette di deflessione verticale, se a quelle di deflessione orizzontale si applicasse una tensione linearmente crescente con il tempo “una sola volta”, ossia per un solo periodo dell’ oscillatore, il grafico apparirebbe per la durata del periodo e poi scomparirebbe. Inoltre se si applicasse solo la tensione a denti di sega, che ha un min che non è zero, il punto sarebbe al min non a sin nello schermo e nemmeno al centro ma già spostato di un poco verso destra e solo la porzione destra dello schermo sarebbe praticamente utilizzabile. Ma: La tensione a denti di sega viene applicata alle placchette di deflessione orizzontale con continuità Viene applicata in serie a essa anche una tensione fissa “negativa” il cui valore è calcolato in modo che quando quella a denti di sega vale il suo min sposti il fascio all’ estremo sin dello schermo. In questo modo: Il punto arriva al bordo destro dello schermo quando la tensione a dente di sega raggiunge il valore di innesco. In quell’ istante avviene, quasi istantaneamente, la scarica entro l’ interruttore a gas, la tensione momentaneamente scende al valore di disinnesco (non a zero!) che sommato algebricamente alla tensione fissa produce la deflessione giusta affinché il fascio punti verso il bordo sin dello schermo, e il “disegno” ricomincia”. Se il periodo del dente di sega è inferiore a a ~0.1 s, per la persistenza delle immagini sulla retina il grafico, che si rinnova in realtà a ogni periodo, appare stabile. 76 SCALA DEI TEMPI Dunque orizzontalmente siamo a sin nello schermo quando la tensione dell’ oscillatore a denti di sega interno all’ oscillografo, applicata alle placchette di deflessione orizzontale, è pari a quella di disinnesco, e arriviamo a destra quanto tale tensione, crescendo linearmente con il tempo, raggiunge il valore di innesco. Ma questo in realtà non interessa operativamente. Quello che interessa è che l’ intera escursione orizzontale sullo schermo corrisponde a un periodo del dente di sega. Poiché il costruttore conosce il periodo può dire il valore dell’ intervallo di tempo corrispondente a una escursione orizzontale completa. Anzi si fa ancora meglio: poiché sia il periodo che la costante di proporzionalità tra tensione e spostamento orizzontale Sox sono regolabili, una manopola a scatti permette di regolare in un ampio intervallo il tempo corrispondente all’ intera escursione orizzontale dello schermo. Per comodità, dato che sullo schermo è tracciata una griglia quadrata di riferimento, anche il valore di tempo è riferito al lato del quadretto (sec/div) piuttosto che alla larghezza dell’ intero schermo. Se vi è solo la manopola a scatti, il valore in tempo della divisione si legge sulla ghiera della manopola. In modelli più sofisticati vi è anche una manopola continua per regolazione fine (varia R de/o V0 dell’ oscillatore), e allora il valore in tempo della divisione appare sullo schermo. 77 ASPETTO DEL GRAFICO Se per una qualche impostazione della scala dei tempi (= periodo dell’ oscillatore a denti di sega interno) il periodo della tensione (p.es. sinusoidale) da visualizzare, coincidesse esattamente con quello dell’ oscillatore, allora si vede esattamente un singolo periodo della sinusoide: Se il periodo della tensione da visualizzare fosse, ad esempio, la metà, se ne vedono due. Infatti nel tempo in cui l’ oscillatore completa una rampa ascendente e il fascio si muove all’ estremo sin a quello dx dello schermo, la tensione da visualizzare ha completato due periodi: Sta all’ operatore quindi regolare la scala dei tempi per ottenere una visualizzazione “comoda” della tensione da studiare. Questo è del tutto equivalente a scegliere opportunamente la scala di un grafico affinché tutta la regione di interesse sia compresa sullo schermo o sul foglio o, all’ opposto non occupi giusto una loro piccola regione: i valori da visualizzare non cambiano, ma la leggibilità dell’ informazione sì. 78 Lezione n.15 MISURA DI CAMPI MAGNETICI 79 SOLENOIDE Si chiama solenoide una bobina di filo conduttore la cui lunghezza sia significativamente maggiore della sua dimensione trasversale (raggio o diametro) Se alimentato, come tutti i conduttori percorsi da corrente, genera un campo magnetico. Il campo magnetico generato da un solenoide è interessante come il campo elettrico prodotto da un condensatore, in quanto è concentrato per la maggior parte al suo interno e è praticamente uniforme in una regione interna al solenoide escluse le zone vicino alle estremità: Il modulo del campo magnetico nella zona in cui è uniforme è dato da B 0 iS nS 0 iS NS lS 80 FLUSSO DEL CAMPO MAGNETICO Consideriamo un conduttore ripiegato a formare una spira (di forma teoricamente qualsiasi, ma nelle applicazioni pratiche di forma regolare: circolare, rettangolare, quadrata), collocato in una regione in cui è presente un campo magnetico, eventualmente (ma non necessariamente) uniforme. Si definisce flusso del campo magnetico attraverso la superficie così individuata: ( B) B dS S BdS cos S Attenzione: la definizione è formalmente identica a quella del flusso del campo elettrico utilizzato nel Teorema di Gauss, ma la superficie gaussiana è un guscio chiuso che racchiude un volume, mentre quella di interesse per i fenomeni magnetici è una membrana di cui si può identificare il contorno. Se questo flusso varia nel tempo, cioè se d( B) 0 dt Si consideri una (qualsiasi) superficie a membrana di cui il conduttore sia il confine. nella spira circola corrente pur non essendo alimentata, e se la spira fosse non perfettamente chiusa ma brevemente interrotta, tra i due capi si osserverebbe una f.e.m.. 81 F.E.M. INDOTTA Dunque una variazione di flusso magnetico induce una f.e.m. (indotta) in una spira. d( B) Si osserva (e si può mostrare) che il valore della f.e.m. indotta vale A maggior ragione in una bobina di n spire: n dt d( B) dt In base alla sua definizione, il flusso può variare per 3 motivi diversi o per combinazioni simultanee di essi: 1. Varia il vettore B nel tempo (cambia modulo o direzione o entrambi): d B 2. 0 Varia la superficie nel tempo (la spira o bobina viene stirata, compressa, o anche solo deformata: ricordiamo che i dS sono vettori!): dSdt 0 3. è questo il caso oggetto di una esperienza in Lab. dt è questo il caso che si presta meglio a spiegare didatticamente la generazione della f.e.m. indotta. Varia nel tempo l’ angolo tra spira o bobina e campo magnetico: d (cos ) 0 dt è questo il caso più comodo da realizzare (basta far ruotare la bobina!) e è infatti quello sfruttato per la produzione industriale di elettricità. 82 MISURA B IN SOLENOIDE In una esperienza, misuriamo il modulo del B prodotto da un solenoide in questo modo: introduciamo al suo interno una bobina non alimentata, variamo nel tempo il campo magnetico del solenoide in una maniera particolare, cioè accendendo e/o spegnendo l’ alimentatore del solenoide: variazione 0 0iS n,S misuriamo la carica trasportata dalla corrente che circola in un circuito chiuso nel quale la bobina è inserita, la quale corrente circola grazie proprio alla f.e.m. indotta nella bobina dalla variazione di flusso dovuta alla variazione di B causata come sopra. 83 APPARATO MISURA B SOLENOIDE S R T A E Rv C sono due circuiti indipendenti senza connessione elettrica tra essi: 1. 2. G Solenoide S, E, A, T, RV Bobina, galvanometro G, resistore a cassette R La variazione improvvisa di B da 0 a 0iS nS e/o viceversa si ottiene chiudendo/aprendo il tasto T. RV invece viene utilizzata per ripetere la misura più volte facendo scorrere in S correnti iS diverse, ottenendo quindi B diversi. 84 PRINCIPIO DI FUNZIONAMENTO S R T A Rv E G Chiudendo o aprendo l’ interruttore T il flusso di B attraverso la bobina passa da zero a un certo valore (B) quando si chiude T o, al contrario, da tale valore a zero quando si apre T. Il circuito il cui la bobina è inserita è percorso da una corrente data dalla f.e.m. indotta nella bobina diviso la resistenza totale del circuito: i(t ) 1 d( B) Rtot dt Rtot rbobina rg R La variazione di flusso non è continua nel tempo ma impulsiva, pertanto la corrente indotta non è stabile ma transitoria, dunque il galvanometro si comporterà da balistico e la sua deviazione d sarà proporzionale alla carica che lo attraversa durante l’ impulso di corrente indotta. Con opportuni passaggi, dalla misura della carica che il galvanometro ci fornisce risaliremo a B. Prima di svolgerli osserviamo che la misura della carica dalla deviazione dell’ indice del galvanometro osservata richiede la conoscenza della costante balistica del galvanometro che è fornita (o misurata, o ricavabile facilmente) non per qualunque valore di Rtot ma solo per ∞, KB (che non interessa in questo caso, altrimenti non circolerebbe corrente), o per il valore critico Rc, KBc . Quindi bisogna regolare la R a cassette in modo che Rtot = Rc : Rtot Rc R Rc rbobina rg 85 DA DEVIAZIONE A CAMPO MAGNETICO Sostituita Rc a Rtot riscriviamo la corrente indotta così: 1 d(B) i(t) Rc dt o anche i(t)dt 1 d(B) Rc Integrando il primo membro nell’ intervallo di tempo da 0 a T (non noto, ma breve) in cui la variazione di flusso avviene e il secondo membro tra i valori del flusso (ben noti) agli estremi di questo intervallo di tempo si ha: T 0 1 (B) i (t )dt d ( B ) 0 Rc Per quanto appunto il valore di T non sia noto, l integrale a primo membro è semplicemente la carica totale fluita nel circuito, che noi misuriamo sperimentalmente con il galvanometro, mentre il secondo membro è il flusso a regime diviso per Rc dato che il flusso al tempo iniziale è nullo (o il viceversa all’ apertura del tasto T: in valore assoluto la variazione di flusso è la stessa, ma la corrente fluirà in verso opposto e il galvanometro devierà della stessa quantità ma dalla parte opposta. Detto n il numero di spire della bobina e A la loro area si ha: q K Bc d ( B) nAB Rc Rc K Bc dRc B nA 86 SUGGERIMENTI OPERATIVI 1. 2. Se siete sicuri che il galvanometro è lo stesso che avete adoperato nella esperienza sul galvanometro balistico al Primo Ciclo, usate la KBc misurata da voi. Altrimenti, letta sull’ apparecchio la sensibilità di carica sq si risale a KBc così: K eK se c B B q 3. 4. Variando (almeno una decina di volte) RV dare correnti diverse al solenoide e misurare ogni volta sia iS (letta direttamente sull’ amperometro) sia B (nel modo descritto). Da un best fit della relazione lineare B 0iS nS ricavare il numero di spire per unità di lunghezza del solenoide e confrontarlo con il valore presunto. 87 EFFETTO HALL Se un conduttore (o un semiconduttore) percorso da corrente è immerso in un campo magnetico B , i portatori di carica non sono distribuiti uniformemente al suo interno ma subiscono una dislocazione dinamica che genera una d.d.p. tra pareti opposte del (semi)conduttore. Per evidenziare, e sfruttare quantitativamente, questo fenomeno, si usano (semi)conduttori a sezione rettangolare con le due dimensioni della sezione piuttosto diverse: una “lamina” di sezione a x b con b>a e disposto in modo che B sia alla lamina. 88 DESCRIZIONE EFFETTO - 1 Stabilito un sistema di riferimento nella lamina come in figura si ha: B Byˆ La corrente i non è un vettore, ma la densità di corrente sì: i i j xˆ xˆ nevd S ab i Questa espressioneè valida sia per elettroni sia per (eventuali) portatori di carica positivi: Per elettroni, vd è opposto al verso di i , cioè opposto al versore ma e è un numero negativo: e e j nevd n( e )(vd xˆ ) (n e vd ) xˆ jxˆ , (verso destra in figura) Per portatori positivi, vd è concorde al verso di i , cioè al versore mentre e è un numero positivo: e e j nevd n e vd xˆ n e vd xˆ jxˆ x̂ : vd vd xˆ x̂ : vd vd xˆ , (verso destra anche in questo caso) 89 DESCRIZIONE EFFETTO - 2 In mancanza di B , la conduzione avviene normalmente: i portatori si muovono, ma sono equamente distribuiti nel volume del conduttore. vd i In presenza di un B con l’ orientazione datagli di proposito ( alla lamina) e limitandoci per fissare le idee al caso di un conduttore metallico in cui i portatori sono elettroni, si ha che sugli elettroni, i quali sono in moto a causa di una sorgente esterna di f.e.m., per il fatto di essere in moto agisce la forza di Lorentz: F qv B e v B Nel caso preso in esame B Byˆ , vd vd xˆ L d quindi FL e vd B e vd xˆ Byˆ e vd Bxˆ yˆ e vd Bzˆ 90 DESCRIZIONE EFFETTO - 3 L’ effetto sugli elettroni (che già sono in moto in quanto costituiscono la corrente) è di tendere a dislocarli all’ interno della lamina facendoli accumulare su un lato (lato “superiore” in figura): rimangono comunque in moto (verso sinistra in figura) ma non sono più distribuiti uniformemente nel volume della lamina. L’ effetto sugli elettroni è dunque analogo a quello di un campo elettrico fittizio diretto in verso opposto a FL , denominato campo elettromotore o campo di Hall E H , e dato da: e vd Bz FL EH vd Bz vd B( z ) qe e Di per sé il campo di Hall farebbe crescere indefinitamente il numero di elettroni in moto dislocati, ma questo non è possibile né teoricamente (il numero di elettroni mobili è finito) né praticamente perché la dislocazione crea essa stessa all’ interno del conduttore un altro campo elettrico Eel opposto a E H . FL i Se pensiamo al processo come avente inizio al momento dell’ “accensione” di un campo magnetico esterno al conduttore già percorso da corrente, il campo E H ha un valore fisso, mentre Eel cresce man mano che la dislocazione ha luogo fino a quando eguaglia in modulo E H : Eel EH 91 DESCRIZIONE EFFETTO - 4 La configurazione delle cariche nel conduttore appare simile a quella di un conduttore sottoposto a induzione elettrostatica. Nel caso elettrostatico gli elettroni dislocati assumono posizioni fisse (configurazione statica). In questo caso gli elettroni continuano a muoversi nel verso (opposto alla) corrente, ma - per così dire - schiacciati, addossati, contro una parete. La dislocazione è dunque dinamica, non sono sempre gli stessi elettroni negli stessi posti, ma poiché tutti gli elettroni sono identici, la distribuzione spaziale delle cariche ha la stessa configurazione del caso elettrostatico, cioè è ugualmente stabile. A causa di questa dislocazione dinamica ma stabile tra le due pareti strette opposte della lamina e esternamente a essa appare e si può misurare una d.d.p. stabile, che sussiste solo finché sussistono sia i sia B . i Come meccanismo di produzione, essa è chiaramente associata al campo Eel , ma dato che questo è uguale in modulo al campo fittizio E H , è tradizione riferirla a quest’ ultimo. Che Eel e E H abbiano versi opposti non è importante, infatti anche i e B possono avere versi opposti a quelli assunti in figura, e dunque alla fine la d.d.p. può avere, in generale, uno tra i due versi a seconda del segno dei portatori di carica e dei versi di i e B . 92 TENSIONE DI HALL ev B FL VH EH b b d b vd Bb e e Già si capisce che la tensione di Hall è proporzionale a B e dunque una misura diretta di d.d.p. può portare alla misura indiretta di B. Però non conosciamo con esattezza vd, ma possiamo misurare i. Si ha allora: i neSvd nesabvd vd VH ibB iB vd bB neab nea Con i versi di B e i del nostro esempio, si ha: 1. 2. i neab VH VH positiva (il potenziale aumenta nel verso positivo di z) per portatori positivi VH negativa (il potenziale diminuisce nel verso positivo di z) per portatori negativi Per conduttori metallici dunque VH sarebbe negativa Considerando adesso il valore numerico (assoluto): n è caratteristico del materiale impiegato e si potrebbe determinare con una taratura iniziale. Anzi, è consuetudine inglobare n nella costante di proporzionalità, cioè definire una costante di Hall RH e esprimere |VH | come: RH 1 1 iB iB VH RH ne ne a a Misurando VH per i e B noti si determina RH: RH VH a misurato inotoBnoto 93 SONDA DI HALL Una volta determinata RH per una data lamina di un dato materiale, questa lamina può essere usata come “sonda” da inserire all’ interno di un campo magnetico per determinare il valore (locale) di B : la sonda di Hall. La procedura di misura consiste nel misurare lo spessore a della lamina e la tensione di Hall VH tra i due bordi opposti della lamina che appare quando in essa si fa circolare una corrente i. 1. Ruotando la sonda in situ fino a quando |VH | è max si determina la direzione di B ( al piano della lamina). V 2. Il modulo di B è dato da B Ra i. 3. Dal verso di VH , cioè quale bordo è a potenziale più basso (o più alto) si determina il verso di B . H H 94 ESPERIENZA SU EFFETTO HALL L’ esperienza di Lab consiste nel determinare la costante di Hall RH per una sonda di Hall in bismuto, ossia nel tarare la sonda. Si può fissare B (letto da un’ altra sonda di Hall già tarata) e misurare in correlazione |VH | al variare di i, che si sceglie e si legge direttamente. Si determina RH da un best-fit della relazione VH Si può fissare i e misurare in correlazione |VH | al variare di B. Si determina RH da un best fit della relazione VH misurato RH B fissato i a misurato RH i fissato B a Infine si confrontano i due valori così determinati tra loro e con quello reperibile in letteratura per il bismuto: RH = 5·10-7 m3/As Dal valore di RH si può ricavare immediatamente il numero di elettroni liberi per unità di volume n nel bismuto. 95 Lezione n.16 DEFLESSIONE ELETTROSTATICA E MAGNETICA DI ELETTRONI MEDIANTE IL TUBO DI WENHELT; MISURA DI e/m DELL’ ELETTRONE 96 TUBO DI WEHNELT Il Tubo di Wehnelt è un tubo a raggi catodici, sagomato a forma di ampolla globulare, atta a osservare il moto di elettroni in un campo magnetico. Un fascio monoenergetico di elettroni è prodotto da un cannone elettronico simile a quello utilizzato nell’ oscillografo o nel televisore a CRT. Il tubo viene collocato all’ interno di una regione in cui è prodotto un campo magnetico (quasi) uniforme. Il campo magnetico produce una deflessione degli elettroni, conferendo loro una traiettoria circolare. Il cerchio percorso dagli elettroni è contenuto in tutto o in parte all’ interno dell’ ampolla. Il percorso degli elettroni è reso visibile indirettamente dalla diseccitazione, mediante emissione di fotoni, di atomi colpiti, durante il loro percorso, da alcuni degli elettroni accelerati dal cannone. Questi possono essere, a seconda dei modelli: Atomi di un gas a bassa pressione che riempie l’ ampolla Atomi di una sostanza fluorescente che ricopre uno schermo posizionato in modo da intercettare il fascio. 97 PRIMO MODELLO DI TUBO DI WEHNELT Ampolla globulare Bobine di Helmholtz Cannone elettronico 98 PRIMO MODELLO: SCHEMA CONCETTUALE V0 r FL qv B e v0 B Ampolla riempita di gas H2 v0 v0 B FL FL ev0 B sin( v0 , B) ev0 B 1 ev0 B “ruota” con v v v0 cost e direzione v r A 99 DETERMINAZIONE e/m - 1 Da F ma riscritta per i moti rotatori: 2 2 v0 v F ma m FL ev0 B m r r mv0 v0 Velocità all’ uscita dal cannone e r eB m rB Si deduce dalle caratteristiche del cannone Si misura sperimentalmente osservando la circonferenza descritta dal fascetto Si calcola per le bobine di Helmholtz 100 DETERMINAZIONE e/m - 2 Il modulo della velocità all’ emissione dal cannone è data dalla somma della componente lungo l’ asse del cannone della velocità di emissione, vem z, e della velocità acquisita grazie all’ accelerazione da parte del cannone, vacc: v0 = vem z+ vacc . Ma poiché come abbiamo visto in generale per i CRT, vem z<< vacc v0 vacc. vacc si deduce dalla conservazione dell’ energia: E pot Ecin eVA Sostituendo nell’ espressione di e/m si ha: e 1 m rB 1 1 2 2 mvacc mv0 v0 2 2 2eVA m 2eVA e2 1 2eVA e 2V 2 2 2 2 A2 m m r B m m r B Osservando l’ intera circonferenza è pratico misurare il diametro della traiettoria d = 2r: e 2V 2VA 8VA 2 A2 2 m r B d 2B2 d 2 B 2 Potenziale anodico 101 BOBINE DI HELMHOLTZ 102 CAMPO BOBINE DI HELMHOLTZ Per distanza tra bobine pari al raggio delle stesse , B è quasi uniforme nello spazio tra le stesse. In particolare, se si utilizza solo la metà centrale dell’ intervallo, cioè entro R/4 da O, il campo varia meno dello 0.5%. R/4 103 CALCOLO CAMPO BOBINE - 1 Spira circolare Filo generico dl dl r dB 0 i 4 r3 i r P dl dB dB y 90 r R dB x x i P I vari dB y si elidono a coppie B R d B d B d B cos d B sin d B x r 0i dlr sin 90 R 0i R 0i R 0 R 2 B dl 2R i 4 r3 r 4 r 3 4 r 3 2 r3 104 CALCOLO CAMPO BOBINE - 2 0 R 2 0 R2 B i 3 B iN 3 2 r 2 r Per una bobina di N spire: Per due bobine con i nello stesso verso, nel punto di mezzo, i dB sono uguali per ciascuna bobina BH ( elmholtz) 2 B[singolabobina] BH R2 0iN 3 r r dipende dal punto P in cui si calcola B. Per le bobine di Helmholtz (= distanza tra le bobine pari al raggio R, stessa corrente iH nello stesso verso in entrambe) volendo calcolare BH nel punto di mezzo si può esplicitare r come segue e si ha: R x r 2 R2 x2 R R2 2 2 R2 2 R 4 3 5 2 5 2 2 3 R r R 4 4 3 R2 R2 R2 4 2 1 BH 0iH N 3 0iH N 0 iH N 0 iH N 3 3 2 2 r 5 R 5 2 5 3 R R 4 4 Questo valore, approssimativamente, è costante in tutto lo spazio compreso tra le due bobine, specialmente nella metà centrale di tale spazio, come già visto. 105 ESPRESSIONE DI e/m In conclusione il rapporto e/m dell’ elettrone si può esprimere nel modo seguente, atto alla sua misura sperimentale indiretta: e 8V 2 A2 m d B 3 8VA 4 2 1 2 d 0 iH N 5 R 3 2 8VA R 2 78 R 2 VA 1 5 2 2 2 2 0 2 N 2 iH 2 d 2 4 d 0 iH N costanti caratteristiche geometriche delle bobine fissate dallo sperimentatore osservato 106 DUE MODELLI, DUE ESPERIENZE Abbiamo due modelli di tubo di Wehnelt: 1. 2. Grande ampolla sferica, riempita di gas H2 a bassa pressione, grandi bobine di Helmholtz, cannone incluso entro il volume sferico. Basso VA (0 ÷ 300 V) piccolo raggio r, intera traiettoria contenuta entro ampolla: si vede l’ intera circonferenza, ma fascio “visibile” debole, necessita buio spinto (il gas deve essere a bassissima pressione poche molecole pochi urti pochi fotoni) per non distruggere la traiettoria di tutti gli elettroni. Scala graduata fuori dalla ampolla, lontana dal fascio. Questo modello è atto a una visualizzazione qualitativa, molto meno a misure quantitative. SUGGERIMENTO: Osservate per il piacere di vedere una circonferenza intera, ma non spendete piè di 15 min in questa esperienza. Potete eseguire misure, ma solo se vi abbonda il tempo. Piccola ampolla sferica, a vuoto. Cannone in protuberanza esterna dell’ampolla, che immette gli elettroni nella parte sferica. Alto VA (0 ÷ 5000 V) grande raggio r solo un arco della traiettoria circolare è contenuto entro ampolla, ma fascio brillante e ben visibile: esso è leggermente sfocato (sezione trasversale non trascurabile). Schermo ricoperto di sostanza fluorescente posto “di traverso” di pochi gradi a intercettare la traiettoria del fascio. Singoli elettroni colpiscono “di striscio” lo schermo, che emette luce, lungo il loro percorso. Lo schermo è graduato e permette di ricavare il raggio della traiettoria da misure delle coordinate di alcuni punti. Questo modello è molto più adatto per misure quantitative. All’ interno dell’ ampolla, sono poste anche le lastre piane e parallele di un grande condensatore, che permette di stabilire entro l’ ampolla anche un campo elettrico. 107 SECONDO MODELLO DI TUBO DI WEHNELT Schermo fluorescente con griglia Fascio di elettroni deviato Piastra condensatore Bobine di Helmholtz Cannone elettronico 108 SECONDO MODELLO: SCHEMA CONCETTUALE Elettrodi metallici e E B Schermo fluorescente V0 Cannone elettronico Verso il centro della circonferenza + Bobine di Helmholtz 109 A GEOMETRIA DETERMINAZIONE RAGGIO y 2 2 AP AB BP r r (r y ) x 2 2 2 2 x2 y 2 r 2y B B P(x,y) e x O Traiettoria a B spento 110 DETERMINAZIONE RAGGIO DA BEST-FIT Nella slide precedente è illustrata la geometria per ricavare il raggio r dall’ osservazione di un solo punto sul reticolo di riferimento. Si ottiene un amigliore misura di r rilevando diverse coppie (xi, yi) in punti “comodi” (incroci tra linee del reticolo o punti medi di lati dei quadretti). 2 2 2 Tutte queste coppie devono soddisfare l’ espressione i i Si fa un best-fit con la funzione linearizzata: (r y ) x r (r y ) 2 x 2 r 2 r 2 Y y2 x2 y 2ry x r 2ry y x y 2r 1 2 2 y; X y x ; a Y aX 2r 2 2 Dato a dal best fit, si ricava r = 1/(2a) . Questo valore di r si usa nella formula 2 2 2 e 2V 2 A,2 m r B con i valori di VA e B appropriati per questo cannone e queste bobine di Helmholtz. In questo caso ovviamente si usa il raggio e non il diametro. 111 DEFLESSIONE MAGNETICA + ELETTRICA Accendendo anche il condensatore… per opportuno valore di E1 deviazione nulla! E Fm B V0 - + Fe E1 + 112 e/m DA DEFLESSIONE NULLA Per un opportuno valore di E1, dunque, la risultante delle forze agenti sul fascio di elettroni è nulla; quindi, in modulo: E1 v0 B ev0 B eE1 Ricordando l’espressione della velocità v0 derivante dalla conservazione dell’energia, si ha: E1 B 2 e E1 m 2 B 2V A 2eVA m Ricordando inoltre che il campo elettrico generato tra due piastre poste a distanza d e portate ad una differenza di potenziale VP vale VP/d ,si ha infine: 2 P e V m 2 B 2VA d 2 113 STUDIO DEFLESSIONE ELETTROSTATICA Lasciando acceso solo il campo elettrico tra le piastre, si può verificare che la deflessione segue una traiettoria parabolica. L’ equazione della traiettoria vista alcune slides fa, può essere così riscritta utilizzando i simboli attuali: 1 e VP x 2 1 e VP x 2 1 e VP x 2 m VP 2 y x (1) 2 2 eV 2 m d v0 2 m d 2 m d 2eVA 4dVA A m Fissati VP e VA, si rilevano coppie (xi, yi) lungo la traiettoria e si verifica la (1) eseguendo il best-fit dei dati con la relazione (1) dopo averla linearizzata, e verificando se il c2 ridotto valga 1. Si possono fissare diversi valori di VP e/o VA e eseguire quindi più verifiche mediante dei best fit. 114 Lezione n.17 CIRCUITI ELETTRICI PERCORSI DA CORRENTE ALTERNATA 115 F.E.M. ALTERNATA La produzione industriale di energia elettrica avviene mediante la generazione di una f.e.m. indotta facendo ruotare una bobina in un campo magnetico. La f.e.m. così prodotta risulta avere la forma m sin wt in cui: 1. 2. w o meglio ν (w =2 ν), il numero di rotazioni che la bobina fa al secondo, è deciso da accordi internazionali (ν=50Hz in Europa, 60 Hz in USA,…), m = NSBw. Con N = 3000, S = 1m2, B 0.5 T, ν = 50 Hz m = 480000 V. Partitori di tensione in cascata la portano nelle nostre case con m = 310 (=220·2) V. 116 TENSIONI ALTERNATE SINUSOIDALI Le tensioni alternate sinusoidali sono importanti per tre ragioni: ASPETTO ECONOMICO: sono semplici da produrre ASPETTO TECNICO: rendono possibile la trasmissione codificata di informazione (comunicazioni radio e telefoniche, riproduzione sonora (impianti Hi-Fi), navigazione cieca, televisione, satelliti, …) ASPETTO TEORICO: una qualsiasi funzione periodica del tempo, quindi anche una qualsiasi tensione periodica non sinusoidale, può essere espressa mediante una serie di funzioni sinusoidali del tempo, detta serie di Fourier. Nel seguito di questa lezione tratteremo dunque solo tensioni sinusoidali 117 CONVERSIONE ALTERNATACONTINUA Detta anche in gergo “raddrizzamento” di una tensione alternata. Si ottiene con il seguente circuito: diodo + VG C Vu Ru _ i La tensione originaria VG è alternata (sinusoidale). La tensione (quasi) continua da utilizzare Vu si “preleva” ai capi di C, cioè si connette il “resto del dispositivo” in parallelo a C e Ru. 118 FUNZIONAMENTO RADDRIZZATORE - 1 Se vi fosse solo Ru ma non C, ai capi di Ru si troverebbe una tensione con questo andamento: diodo V G t + G Ru V G Vu _ Vu t i Infatti il diodo conduce solo quando l’anodo è a potenziale positivo rispetto al catodo, quindi soltanto durante la semionda positiva della tensione VG alternata, fornita dal generatore G, può scorrere una corrente i nella resistenza Ru e nel diodo. Questa corrente pulsante darà luogo ai capi di Ru ad una d.d.p. pulsante Vu: raddrizzatore a una semionda 119 FUNZIONAMENTO RADDRIZZATORE - 2 Aggiungendo in parallelo a Ru un condensatore C di opportuna capacità, durante il tempo in cui la tensione alternata sale al suo valore massimo positivo, C si carica a tale valore molto rapidamente, dato che si carica attraverso la sola resistenza dei fili che lo collegano a Ru(e non attraverso Ru, che è a lui in parallelo e non in serie). Dunque la d.d.p. ai capi di C segue inizialmente lo stesso andamento della prima semionda positiva di VG, nella sua prima fase crescente. Poi, quando VG scende verso zero il condensatore si scarica attraverso la resistenza Ru. Se la costante di tempo RuC è abbastanza più grande del periodo della tensione alternata da raddrizzare, il C si scarica lentamente e in particolare continua a scaricarsi lentamente durante la fase di semionda negativa soppressa dal diodo, e quando inizia la nuova semionda positiva, con la sua fase iniziale crescente, la d.d.p. ai capi di C è scesa solo di poco prima che riprenda a crescere rapidamente. Si ottiene una tensione “filtrata” come quella riportata in rosso nella figura. diodo + VG Ru Vu C Vu _ i t raddrizzatore a una semionda con filtro 120 STUDIO CIRCUITO IN ALTERNATA Lo studio di un circuito alimentato da tensione alternata consiste, esattamente come per un circuito alimentato da tensione continua, nel determinare alcune grandezze conoscendone altre. Solo che adesso le grandezze (tensioni e correnti) sono tutte funzioni del tempo, quindi l’ uso delle leggi di Kirckhoff (equazioni delle maglie e dei nodi) comporta la risoluzione di equazioni differenziali anziché algebriche, il che è più complicato e tedioso. Sono stati sviluppati due metodi (tra loro equivalenti) per velocizzare tale studio: la rappresentazione vettoriale e quella complessa. Nella rappresentazione vettoriale, la risoluzione di equazioni differenziali è sostituita da operazioni (essenzialmente somma e sottrazioni) di vettori. Nella rappresentazione complessa dalla stessa procedura, utilizzando a sua volta la notazione vettoriale dei numeri complessi o da operazioni algebriche utilizzando la notazione algebrica dei numeri complessi. I due metodi vengono: Introdotti, illustrando i termini della loro applicabilità Verificati studiando circuiti semplici di cui siano note le espressioni delle grandezze da una risoluzione diretta delle equazioni differenziali Adoperati per circuiti generici 121 CIRCUITO RLC SERIE Equazione della maglia: Va (t ) VR VL VC Va (t ) i di q m sin wt iR L 0 dt C VR Da soluzione eq. differenziale, corrente: i m Z i i (t ) Z R sin wt im sin wt 1 R wL wC Ae 2 L t sin wt arctan 2 R 1 2 R wL wC XL m φ ε~ L a C XC Grafico: ε(t), i(t) VL VC ϕ εm im t(s), ωt(rad) trascurabile a regime 0 122 PECULIARITÀ Se un circuito è alimentato da una tensione alternata sarà percorso da correnti pure alternate. Nota l’ ampiezza della tensione, l’ ampiezza delle correnti non è predicibile dalla sola conoscenza degli elementi del circuito: dipende anche da w. Fisicamente questo non sorprende: gli elettroni saranno sottoposti a una deriva avanti e indietro di entità oscillante in modo armonico. Dato un circuito, usato qui (w =314 rad/s) vi scorre una certa corrente, portato in USA (w =377 rad/s) e ammesso che l’ ampiezza della tensione sia la stesa, vi scorrerà una corrente diversa! Se un circuito non è composto solo da resistori, ma comprende induttori e/o condensatori (e quasi tutti lo sono, dato che molti resistori hanno la forma di bobina), nasce un fenomeno fisico nuovo: lo sfasamento tra corrente e tensione. Questo sembra essere l’ aspetto meno rilevante: dopotutto tutte le tensioni e correnti in tutte le maglie sono alternate, con la stesa frequenza e quindi con lo stesso periodo, che importa che non passino per zero tutte negli stessi istanti … 123 SFASAMENTO Motivi fisici per l’ esistenza dello sfasamento: 1. 2. Quando corrente circola in una maglia che comprende un C, il C si carica (o scarica) gradualmente, quindi se la corrente è alternata, la tensione ai capi di C varia “in ritardo” rispetto al variare della corrente nella maglia. In un induttore, non tutta l’ energia potenziale presente istante per istante tra i suoi capi può essere convertita per effetto Joule dalla corrente come avverrebbe in una R, dato che una parte viene immagazzinata come energia magnetica, quindi mentre la tensione ai capi di L – per esempio - aumenta, la corrente nella maglia non “tiene il passo” e quindi è la corrente nella maglia a aumentare “in ritardo” rispetto al crescere della tensione ai capi di L. Analogamente nelle fasi in cui la tensione ai capi di L decresce la corrente decresce “dopo” dato che energia immagazzinata viene restituita e si aggiunge a quella dissipata per effetto Joule. In entrambi i casi è la corrente nella maglia a variare “in ritardo” rispetto al variare della tensione ai capi dell’ elemento. Quando sono presenti sia C sia L, vi saranno specifici valore di sfasamento tra correnti e tensioni dipendente dai valori di L e C, ma anche di R e w. Effetto “drammatico” dello sfasamento: Istante per istante, a somma istantanea delle tensioni ai capi degli elementi in una maglia deve essere zero, quindi la somma dei valori istantanei delle tensioni in tutti gli utilizzatori deve essere uguale alla somma dei valori istantanei delle tensioni fornite dagli alimentatori, ma poiché le loro sinusoidi non sono necessariamente sincronizzate, allora le ampiezze delle tensioni ai capi degli utilizzatori possono anche essere maggiori di quelle di alimentazione! Sovratensione !, che non viola la conservazione dell’ energia. 124 RAPPRESENTAZIONE VETTORIALE In generale, data una grandezza sinusoidale A = Am sinwt , raffiguriamo in un sistema di riferimento cartesiano un vettore di modulo Am. Scegliamo l’ asse x come origine degli angoli, come verso degli angoli crescenti il verso antiorario, e collochiamo il vettore a un angolo pari all’ argomento della funzione, wt: y Am A = Am sinwt wt Am x Immaginando che il vettore Am ruoti nel nostro sistema di riferimento cartesiano con velocità angolare costante w, la sua proiezione sull’ asse y è sempre pari al valore istantaneo della grandezza sinusoidale, A. In particolare, per t = 0 , wt = 0, il vettore giace sull’ asse orizzontale e la sua proiezione vale A=0 come deve essere. 125 VETTORI TENSIONE E CORRENTE Nella rappresentazione vettoriale, è immediato visualizzare lo sfasamento tra tensione e corrente. Per esempio, con riferimento all’ espressione della corrente nel RLC serie appena rivisitata, appare come in figura. In questo caso, φ>0. Al trascorrere del tempo i due vettori ruotano, ma ruotando con la stessa velocità angolare, la loro “differenza angolare”, cioè il loro sfasamento, rimane costante: φ. y i im εm ε φ wt’ im φ wt εm wt+φ x 126 RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 1 In realtà per rappresentare la posizione relativa nel tempo dei due vettori e quindi il loro sfasamento non è necessario pensare i due vettori come rotanti: dato che φ è costante nel tempo, basta rappresentare i due vettori in un singolo istante qualsiasi. Per esempio, ma non necessariamente, per t=0. y im εm im φ φ εm x 127 RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 2 Caso φ<0: y im εm φ φ εm x im 128 RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 3 Caso φ=0: y im εm εm x im 129 RAPPRESENTAZIONE SFASAMENTO - 4 Lo sfasamento è un concetto relativo: In questo caso (già visto) è φ<0 quello della corrente rispetto alla tensione, ma nulla vieterebbe di rappresentare la corrente come i(t ) im sin wt di conseguenza la tensione come (t ) im Z sin wt m sin wt e allora questo stesso grafico illustrerebbe lo sfasamento della tensione rispetto alla corrente e diremmo che φ>0 . y φ εm x im 130 UTILITÀ RAPPRESENTAZIONE VETTORIALE L’ utilità della rappresentazione vettoriale va ben oltre la semplice visualizzazione. Essa consente la determinazione di una ampiezza non nota di una tensione o corrente e di uno sfasamento φ non noto tra tensione e corrente in una maglia generica dalla conoscenza dei valori delle grandezze elettriche (R, L o C) degli elementi presenti nella maglia, e di w, semplicemente dando per scontato che la forma della grandezza da trovare sia sinusoidale con espressione generica A(t ) A sin wt e utilizzando operazioni geometriche sui vettori. Per illustrare il metodo pratico per tale valutazione, è necessario scoprire il valore di φ tra tensione corrente e tensione in ciascun singolo elemento separatamente: R, L o C. m 131 CIRCUITO PURAMENTE RESISTIVO Equazione della maglia: Va (t ) VR Va (t ) m sin wt iR 0 Corrente: i i (t ) m R ε(t) ~ R i(t) y sin wt im sin wt Tensione ai capi di R: VR m sin wt Sfasamento tensione-corrente: φ=0. Rappresentazione vettoriale εm VRm x im 132 R IN RLC SERIE Corrente nella maglia: i Z sin wt im sin wt i R Tensione ai capi di R: VR VR (t ) Ri (t ) Ri m sin wt R m m Z ε~ sin wt VRm sin wt y Rappresentazione vettoriale Sfasamenti: VR in fase con i. i però è per conto suo sfasata di φ rispetto a ε, quindi VR sfasata di φ rispetto a ε. a L C VL VC im VRm φ VR εm x 133 CIRCUITO PURAMENTE INDUTTIVO Equazione della maglia: m sin wt L Corrente: m Va (t ) VL Va (t ) m m 1 cos wt L L L w m cos wt m sin wt im sin wt wL 2 2 X wL di (t ) sin wtdt i (t ) sin wtdt ε(t) di(t ) 0 dt ~ L i(t) y L Tensione ai capi di L: VL m sin wt Sfasamento tensione-corrente: φ= -/2. Si dice che la corrente è in ritardo (di ¼ di ciclo) rispetto alla tensione. Rappresentazione vettoriale εm 2 x VLm im 134 L IN RLC SERIE Corrente nella maglia: i m Z sin wt im sin wt i R Tensione ai capi di L: di (t ) d im sin wt L dt dt wLim coswt wL m sin wt VLm sin wt Z 2 2 VL VL (t ) L ε~ L XL Rappresentazione vettoriale Sfasamenti: VL in anticipo di /2 rispetto a i. i però è per conto suo sfasata di φ rispetto a ε, quindi VL sfasata di φ+/2 rispetto a ε. VR VL y VLm C im a φ εm x VC NOTA: può essere wL>Z VLm > εm ! (sovratensione”) 135 CIRCUITO PURAMENTE CAPACITIVO Equazione della maglia: Corrente: Va (t ) VC Va (t ) m sin wt dq(t ) wC m cos wt dt 1m sin wt im sin wt 2 2 X wC q(t ) C m sin wt i(t ) ε(t) q(t ) 0 C ~ C i(t) y im C Tensione ai capi di C: VC m sin wt Sfasamento tensione-corrente: φ= +/2. Si dice che la corrente è in anticipo (di ¼ di ciclo) rispetto alla tensione. 2 εm x VCm Rappresentazione vettoriale 136 C IN RLC SERIE Corrente nella maglia: i m Z sin wt im sin wt i Tensione ai capi di C: VC VC (t ) q (t ) 1 C C i(t )dt R 1 C i m sin wt dt 1 m 1 m coswt sin w t dt C Z wC Z 1 m sin wt VCm sin wt 2 2 XC wC Z Rappresentazione vettoriale Sfasamenti: VC in ritardo di /2 rispetto a i. i però è per conto suo sfasata di φ rispetto a ε, quindi VL sfasata di φ/2 rispetto a ε. ε~ L VR VL y im a φ VCm εm C VC x NOTA: può essere 1/wC>Z VCm > εm ! (sovratensione”) 137 STUDIO RLC SERIE VETTORIALMENTE Sia un circuito RLC serie di cui conosciamo R, L, C e (almeno) w della tensione di alimentazione. Rappresentiamo vettorialmente la corrente in un istante in cui il suo vettore sia orientato come l’ asse x positivo: ci saranno molti istanti del genere, sebbene non t=0, e non importa conoscere quali siano. In quello stesso istante sappiamo come sono orientati, rispetto alla corrente comune alla maglia, i vettori tensione ai capi di ciascun elemento. Fissata una scala, rappresentiamoli con frecce di lunghezza proporzionale a VRm, VLm, VCm. Notiamo che basta che le frecce siano proporzionali a R, w L, 1 /w C, dato che il resto del fattore (εm/Z) è comune a tutti - ecco perché per valutare lo sfasamento non è indispensabile conoscere, della tensione di alimentazione, là ampiezza εm, ma solo w. A questo punto eseguiamo graficamente l’ operazione di somma vettoriale tra i 3 vettori. Il vettore risultante rappresenterà la tensione risultante (ovvio fisicamente: la somma delle 3 tensioni in qualunque istante, compreso quello arbitrariamente scelto per la rappresentazione, deve essere uguale alla tensione di alimentazione in quell’ istante). La sua differenza angolare con il vettore im rappresenterà lo sfasamento cercato! VLm ε VLm - VCm φ VCm VRm im In questo esempio poiché evidentemente in moulo VLm>VCm (circuito prevalentemente induttivo) la corrente risulta in ritardo rispetto alla tensione di alimentazione 138 DA GEOMETRIA A PARAMETRI Supponiamo di avere misurato i, e conoscere quindi im e w sperimentalmente (oltre che come detto R, L, C) e volere risalire a ε. Sappiamo solo che la forma è m sin wt ma non conosciamo né εm né φ. Sappiamo anche che entro ciascun elemento VRm im R; VLm im X L ; VCm im X C Dalle operazioni sui vettori ho m m VR2m VLm VCm 2 im R 2 im X L im X C 2 m im R 2 X L X C im Z 2 arctan VLm VCm VRm im X L im X C iX L X C im R R Si noti che φ è identico a quello ricavato analiticamente a meno del segno, ma infatti qui rappresenta lo sfasamento di ε(t) rispetto a i(t). 139 RAPPRESENTAZIONE COMPLESSA - 1 Un’ altra metodologia per studiare più facilmente circuiti alimentati da tensione alternata è la rappresentazione delle grandezze elettriche alternate mediante numeri complessi, detta per brevità rappresentazione complessa, che discende direttamente dalla rappresentazione vettoriale. Infatti: Un vettore v può essere espresso mediante la somma di due vettori ortogonali presi, lungo gli assi cartesiani x ed y. Un numero complesso è fondamentalmente definito come una coppia ordinata di numeri reali: z=(a,b) . Questa coppia può essere vista come la coppia di coordinate di un punto in un piano cartesiano e il numero complesso può essere rappresentato graficamente come un vettore nel sistema di riferimento cartesiano: un vettore orientato dall’ origine al punto P di coordinate (a,b). Ma c’ è anche la rappresentazione algebrica dei numeri complessi z=a+ib e sostituendo il simbolo j al posto di i per l’ operatore “unità immaginaria” al fine di non creare confusione con la corrente, possiamo rappresentare una grandezza elettrica sia graficamente mediante un vettore nel piano sia analiticamente come z=a+jb, essendo a e b le misure delle proiezioni del corrispondente vettore sugli assi. 140 RAPPRESENTAZIONE COMPLESSA - 2 La rappresentazione vettoriale allora si trasforma in (o si accoppia a) una rappresentazione algebrica nel piano complesso, atta a eseguire poi calcoli con le regole dell’ algebra. Considereremo: la grandezza (tensione o la corrente) di riferimento come numero reale; le grandezze sfasate di π/2 in anticipo da quella di riferimento come numeri immaginari puri positivi; le grandezze sfasate di π/2 in ritardo da quella di riferimento come numeri immaginari puri negativi; le grandezze non sfasate come numeri reali. 141 RLC SERIE IN RAPPRESENTAZIONE COMPLESSA La somma istantanea delle tensioni dà: VR VL VC V V V Lm Cm m La soma vettoriale (eseguita finora graficamente) si può così formalizzare: Rm La grandezza di riferimento è la corrente, in quanto è comune a tutti gli elementi, e vettorialmente è rappresentata da i . m Utilizzando la rappresentazione complessa: VR è in fase con im , pertanto la consideriamo come numero reale e precisamente VRm=imR . VL è in anticipo rispetto a mi , per quanto detto quindi la considereremo come immaginario puro positivo e precisamente VLm=+jimXL . VCm è in ritardo rispetto a im , e la considereremo come immaginario puro negativo e precisamente VCm=-jimXC . La somma di questi numeri complessi dà il numero complesso m : m m m im R jim X L jim X C im R j ( X L X C ) im Z ove Z è il numero complesso verso di m e modulo a jb R j ( X L X C ) , ossia un vettore che ha direzione e R2 ( X L X C )2 Lo sfasamento è l’ arco la cui tangente è il rapporto tra parte immaginaria e parte reale: arctan X XC b arctan L a R Può sembrare che abbiamo ottenuto l’ opposto di quanto atteso, ma per la procedura con cui è stato ricavato questo è lo sfasamento di ε(t) rispetto a i(t), mentre nella espressione completa di i(t) ricavata prima c’ è lo sfasamento di i(t) rispetto a ε(t). 142 CIRCUITO RLC PARALLELO Per tale circuito, la tensione ε(t) è comune a tutti e tre gli elementi mentre le correnti circolanti in ciascuno di essi sono diverse. Utilizzando la rappresentazione vettoriale con asse orizzontale riportante la grandezza comune ε, si ha: Con la rappresentazione complessa: im m j m j m R XL XC 1 1 1 m m j R X L Z XC ove Z è il numero complesso il cui inverso è 1 1 1 1 j R X X Z L C ossia un vettore che ha direzione e verso di im e modulo 2 2 1 1 1 R XL XC iC ε ~ C iL L iR R iC iRm iL - iC εm φ im 1 iL 143 STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 1 Gli strumenti progettati specificamente per misurare tensioni o corrente alternate (c.a.) (come gli amperometri - e relativi voltmetri - a filo caldo) non restituiscono i valori istantanei (e se lo facessero non sarebbero comodi: dovremmo inseguire un ago oscillante avanti e indietro 50 volte al secondo) né disegnano i grafici temporali (che sarebbe più utile) ma restituiscono i cosiddetti valori efficaci, una specie di valore medio nel tempo, appropriato per funzioni sinusoidali (il vero valor medio sarebbe inutile perché è sempre zero; il valore efficace è il valore quadratico medio: radice del valore medio della funzione al quadrato): V (t ) Vm senwt Veff Vm ; 2 i(t ) im senwt ieff im 2 Con opportune modifiche si possono usare per grandezze alternate anche gli strumenti a bobina mobile progettati per misure in corrente continua (c.c.). Se li si usasse tali quali senza modifiche, l’equipaggio mobile ruoterebbe solo di un angolo piccolissimo alternativamente nei due sensi e quindi l’ indice apparirebbe vibrare solo un po’ attorno allo zero. Ciò perché la rotazione della bobina fino all’ angolo a cui si ha l’ equilibrio dei momenti richiede tempi dell’ ordine del secondo, mentre la frequenza anche relativamente bassa della tensione di rete è comunque di 50 Hz, quindi la corrente max in un verso si raggiunge ogni 0.02 s, un tempo durante il quale la bobina ha appena cominciato a muoversi, in ognuno dei due sensi. Con un artificio però lo stesso tipo di equipaggio mobile può essere usato quando lo strumento è attraversato da corrente alternata. 144 STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 2 L’artificio consiste nel raddrizzare mediante un diodo la c.a. in esame trasformando, come abbiamo visto, in pulsante la corrente che attraversa lo strumento per c.c. : isenωt Adesso la bobina non vuole più invertire il moto e il fatto che il suo tempo di rotazione sia >>T della corrente pulsante consente all’ ago di stabilizzarsi a un angolo proporzionale al valor medio della corrente pulsante. Al contrario della corrente alternata, questo non è zero ma vale: T 2 iP im senwtdt 0 T im senwtdwt 0 2 im 0.3183im Se leggessimo direttamente la scala tracciata per c.c. allora, p.es. se leggiamo 10 A, significa che iP 10 A im iP 31.415 A Stesso fattore di conversione in un voltmetro, dato che la differenza costruttiva è solo nella resistenza RV in serie ma non nell’ equipaggio rotante. 145 STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 3 Basterebbe tracciare una scala ausiliaria per leggere direttamente i valori di im. Ma per uniformità con gli strumenti intrinsecamente sensibili al quadrato della corrente che restituiscono “naturalmente” i valori efficaci, e per adattarsi alla convenzione universale di citare i valori efficaci, si tara tale scala ausiliaria in modo da leggere i valori efficaci: ieff 2.2214 iP Quindi per esempio la posizione dell’ ago che in continua corrisponde a 10 A, e che leggendo i valori medi pulsati, cioè leggendo un iP 10 A , corrisponde a im 31.415 A, corrisponde al valore efficace: ieff 0.7071 iP im 0.7071 im 0.3183 2 im 0.7071 im 0.7071 31.415 A 22.214 A 2 In pratica nella scala ausiliaria per c.a. non si scrive 22.214 al posto di 10, ma piuttosto si segnano delle tacce sfalsate rispetto a quelle della scala per c.c. , corrispondenti a valori tondi di ieff. Molti degli strumenti disponibili in Lab sono strumenti a bobina mobile. Un interruttore marcato DC/AC (“Direct Current /Alternate Current”), quando posto nella posizione AC, inserisce il diodo raddrizzatore nel circuito interno e allora la lettura della scala ausiliaria restituisce direttamente il valore di ieff (o di Veff ). 146 STRUMENTI MISURA i E V ALTERNATE - 4 In alcuni strumenti la corrente è raddrizzata da un raddrizzatore a doppia semionda. In questo caso le semionde positive sono preservate come in quello a una semionda e la semionda negativa è ribaltata, cosicché la corrente raddrizzata è effettivamente il doppio e il suo valore medio vale il doppio: T 2 iP 2im senwtdt T 0 2 2im 0.6366im Quindi il fattore di conversione della scala per rappresentare il valore efficace diviene: ieff 0 2im senwtdwt 0.7071 iP im 0.7071 im 0.6366 2 1.1107 iP In questo caso la scala per AC è solo leggermente sfalsata rispetto a quella per DC. Il raddrizzatore a doppia semionda funziona in questo modo: La corrente è presentata agli ingressi A e B e condotta ai nodi C e D. Durante la semionda in cui il potenziale di C è > di quello di D il diodo in rosso D1 conduce, la corrente scorre nella bobina mobile nel verso indicato dalla freccia rossa e continua a scorrere nel diodo in rosso D4. In questa fase i diodi in nero sono in interdizione. Durante la semionda in cui il potenziale di D è > di quello di C il diodo in nero D2 conduce, la corrente scorre nella bobina mobile nel verso indicato dalla freccia nera, e continua a scorrere nel diodo in nero D3. In questa fase i diodi in rosso sono in interdizione. Ma il verso delle frecce rossa e nera è lo stesso, dunque la corrente nella bobina scorre sempre nello stesso verso mentre varia nel tempo come in figura. D1 D2 D C D3 A D4 B 147 CIRCUITO RC SERIE IN ALTERNATA Caso ben diverso da alimentazione con tensione continua: A meno che il periodo della tensione sia T>>RC, il C non arriva mai a caricarsi completamente: comincia a caricarsi, ma presto la carica si riduce quando la tensione decresce, torna scarico qualche istante dopo che ε(t) passa per zero (non simultaneamente: a causa dello sfasamento VC (o QC che è proporzionale a VC) è in ritardo rispetto a ε), inizia a caricarsi nel senso opposto, ma presto la carica si riduce quando la tensione ε (negativa) risale verso zero e così via. Diverso anche dal raddrizzatore a una semionda: in quel caso, rispetto al generatore, R e C sono in parallelo tra loro e noi ci attacchiamo in parallelo a entrambi. Nel caso presente R e C sono in serie al generatore in una singola maglia. i R VR ε~ Lo studio consiste nell’ esaminare il comportamento di VC e VR al variare di w o ν dell’ alimentazione. In ogni caso sono funzioni sinusoidali del tempo … … esaminiamo come le loro ampiezze dipendono da w. Scopriremo che anche in questo caso si può parlare di un comportamento “filtro”, che viene sfruttato connettendo un altro circuito in parallelo o a C o a R invece che direttamente al generatore. C VC 148 STUDIO DEL CIRCUITO VRm Vettorialmente im φ VCm Quantitativamente: VC VC (t ) VCm sin wt 2 εm VR VR (t ) VRm sin wt Dovremmo già sapere, e lo rivedremo, che ampiezze VCm e VRm dipendono da w. Esse possono essere misurate sperimentalmente perché i voltmetri per tensioni alternate restituiscono i cosiddetti valori efficaci: V V VCeff Cm 2 VReff Rm 2 la cui dipendenza da w è peraltro la stessa delle ampiezze. Studieremo la dipendenza delle ampiezze da w ma tale studio vale pari pari per i valori misurati, quelli efficaci. 149 TENSIONE AI CAPI DI C Da VC ai capi di C nel RLC serie, esplicitiamo la dipendenza di VCm da w : VCm m 1 R wL wC 2 m 1 wC R wC 2 2 m w 2C 2 R 2 1 Come visto, questo si spiega bene da un punto di vista fisico: più rapidamente si inverte il segno di ε meno il C riesce a caricarsi prima che debba ri-scaricarsi. Quantitativamente si usa definire una funzione di trasferimento o di attenuazione: AC (w ) 2 È sempre VCm< εm eccetto se w = 0 (tensione continua). VCm decresce con w. Più è alta la frequenza della tensione di alimentazione, più piccola è l’ ampiezza della tensione sinusoidale ai capi di C (la sua frequenza è ovviamente uguale a quella di alimentazione). 1 m 1 wC Z wC VCm m 1 w 2C 2 R 2 1 AC(w) = 1 per w = 0 (tensione continua), AC(w) → 0 per w → ∞. Si definisce per convenzione una “frequenza di taglio”: AC (w ) 1 2 1 w 2C 2 R 2 1 1 1 w 2 C 2 R 2 1 2 w 2 C 2 R 2 1 wC RC 2 150 FILTRO PASSA-BASSO VCm m m/2 wC=1/RC w Più alta la frequenza della tensione in “ingresso” al “filtro”, più attenuata è la tensione se prelevata “in uscita” ai capi di C. 151 SIGNIFICATO εm 4 possibili tensioni di ingresso: stessa ampiezza, frequenze diverse ν (Hz) VCm m Le corrispondenti tensioni di uscita ai capi di C ν (Hz) 152 TENSIONE AI CAPI DI R Da VR ai capi di R nel RLC serie, esplicitiamo la dipendenza di VRm da w : VRm R Z R m 1 R 2 wL wC 2 m 1 R2 wC 1 R 2 m 1 1 w R 2C 2 2 È sempre VRm< εm . Per w = 0 (tensione continua) VRm → 0. m Comprensibile da un punto di vista fisico: dopo un transitorio in cui il C si carica, non circola più corrente, e quindi non c’ è d.d.p. ai capi di R. VRm cresce con w. Più è alta la frequenza della tensione di alimentazione, più grande è l’ ampiezza della tensione sinusoidale ai capi di R, fino al massimo possibile: VRm → εm per w → ∞. Quantitativamente si usa definire una funzione di trasferimento o di attenuazione: AR (w ) VRm m 1 1 1 w C 2R2 2 AR(w) = 0 per w = 0 (tensione continua), AR(w) → 1 per w → ∞. Si definisce per convenzione una “frequenza di taglio”: AR (w ) 1 2 1 1 1 w C 2R2 1 1 1 2 2 2 1 2 2w 2C 2 R 2 1 w 2C 2 R 2 w R wC R RC 2 2 che risulta la stessa che per AC(w) . 153 FILTRO PASSA-ALTO V Rm m m/2 wR=1/RC w Più alta la frequenza della tensione in “ingresso” al “filtro”, meno attenuata è la tensione se prelevata “in uscita” ai capi di R. 154 FILTRO RC In conclusione, il circuito RC serie, adoperato in tensione alternata, agisce da circuito “filtro” nei riguardi della frequenza della tensione di alimentazione: 1. 2. Prelevando la tensione ai capi di C si usa il filtro come passa-basso, si ottiene cioè una tensione tanto meno attenuata in ampiezza quanto più bassa è la frequenza. Prelevando al stessa tensione ai capi di R si usa il filtro come passa-alto, si ottiene cioè una tensione tanto meno attenuata in ampiezza quanto più alta è la frequenza. In ogni caso, la tensione di ingresso è ripartita tra i due elementi In particolare in corrispondenza della frequenza di taglio è ripartita in parti uguali. VCm VRm 0 0/2 wC=wR=1/RC w 155 SFASAMENTI IN FILTRO RC VRm im ϕR VCm ϕC Per w piccolo: tan R , VR sfasato di 2 tan R R tan C 0 C 0 , VC in fase con ε. tan R 0 R 0 , VR in fase con ε. tan C C Per w grande: 2 , VC sfasato di VRm VCm 1 wRC wRC rispetto a ε. 2 VRm tan C εm VCm 2 rispetto a ε. Ai capi sia di R che di C, una maggiore attenuazione è accompagnata da maggiore sfasamento rispetto alla tensione di alimentazione e viceversa. 156 RISONANZA IN RLC SERIE i im sin wt Corrente: L’ ampiezza della corrente dipende dalla frequenza o pulsazione della tensione di alimentazione: im m 1 R wL wC 2 2 1 R 2 wL wC 2 R2 X L X C 2 Sperimentalmente si studia la dipendenza del valore efficace della corrente dalla frequenza ν. ieff Z Questa dipendenza deriva dalla dipendenza dell’ impedenza Z da w: Z m Poiché sperimentalmente anche della tensione si misura il valore efficace, lo studio sperimentale fatto sui valori efficaci investiga esattamente la stessa dipendenza da w (o ν) che per le ampiezze. i m 2 m / 2 1 R 2 wL wC 2 eff 1 R 2 wL wC 2 In questa figura f = frequenza I = ampiezza della corrente 157 SIGNIFICATO RISONANZA L’ impedenza è minima quando 2 1 1 w L 0 w L 0 w wC wC 1 w0 Z (w0 ) Z min R LC w0=2π ν0: pulsazione (ν0: frequenza) “di risonanza”. Per questo valore di w: 1. il circuito è puramente resistivo. 2. l’ ampiezza o il valore efficace della corrente sono massimi: im im max m R ; ieff ieff max eff R 3. se w (o ν) della tensione sono regolabili, la corrente varia salendo fino a questo massimo per w=w0. 158 SFASAMENTO IN RISONANZA Anche φ dipende dalla frequenza o pulsazione della tensione di alimentazione: 1 wL wC arctan R In risonanza, cioè per w w0 1. 2. Lo sfasamento è nullo: φ=0. Le ampiezze delle tensioni ai capi di L e C sono uguali: VLm wL 3. 1 : LC m Z wL m R VLm 1 m VCm wC R Allora ciascuna di esse può essere anche molto grande, in particolare >>εm (sovratensione ai capi di L e C) e tuttavia nella somma vettoriale si annullano sempre, producendo un comportamento puramente resistivo! VRm εm im VCm 159 COEFFICIENTE DI QUALITÀ Si caratterizza un circuito RLC risonante mediante un parametro costruito con tutte e 3 le grandezze (R, L, C), ma a partire dalla pulsazione di risonanza w0, in cui R non entra: w0 L wL 1 1 L LC 1 0 w0C R w0 RC RC R R LC L Q C Questo parametro caratterizza quantitativamente le condizioni di sovratensione: 1 m VLm (w0 ) w0 L m Q m ; VCm (w0 ) Q m R w0 C R Quindi: non solo, in risonanza, le ampiezze della tensione ai capi di L e C sono uguali, ma valgono Q volte l’ ampiezza della tensione di alimentazione. È chiaro che con una scelta opportuna di R, L e C, Q può essere >1 o anche >>1: Q 1 Se 1 R L L L 1 2 1 2 C C RC R L C la sovratensione sarà cospicua. R2 160 USO: SINTONIZZAZIONE La risonanza permette di utilizzare un circuito RLC serie come sintonizzatore: Incluso infatti, p. es., in una radio esso riceve in ingresso parecchie tensioni di frequenze diverse tutte contemporaneamente, in quanto riceve segnali da più stazioni, ma solo la tensione avente frequenza pari o molto vicina a quella di risonanza 1/LC (che è una proprietà del circuito, non della tensione) produce in esso una corrente particolarmente elevata. Se la corrente viene fatta circolare nell’ altoparlante, sarà particolarmente intenso il suono che segue la codifica della stazione che trasmette con quella frequenza. Si costruisce il circuito in modo che la sua frequenza di risonanza si possa variare. Questo si può fare p. es. impiegando un condensatore a capacità variabile (simile al voltmetro elettrostatico, con armature imperniate rotanti che si affacciano gradualmente ruotando una manopola), allora 1/LC si può regolare a piacere in modo da rendere alto il suono di una particolare stazione a scapito delle altre. Questa operazione si chiama “sintonizzazione”. La radio è giusto un caso. In generale, quando è alimentato da tensioni che codificano informazione, un circuito sintonizzatore privilegia le tensioni di ingresso di una frequenza particolare nel senso che la corrente nel circuito è molto alta quando la tensione di ingresso ha la frequenza giusta. E’ poi il resto dell’ apparecchio che decodifica l’ informazione contenuta nel modo di variare della corrente. È ovvio che la sintonizzazione è tanto migliore quanto più stretto è il picco della corrente in funzione di w (selettività). In tal modo se, come avviene in pratica, le stazioni trasmittenti hanno frequenze che variano non con continuità ma in maniera discreta, è possibile selezionarne una escludendo di fatto completamente tutte le altre: basta che la larghezza del picco di risonanza sia inferiore alla distanza tra due frequenze contigue utilizzate. Illustrato nella prossima slide Poiché ai fini della percezione di suono o immagini la grandezza rilevante non è la corrente stessa ma la potenza da essa trasportata, e questa è proporzionale al quadrato della corrente, si usa studiare la selettività del circuito RLC con riferimento al comportamento di i2 piuttosto che di i. 161 SELETTIVITÀ Si plotti (im)2 o (ieff)2 in funzione di w (o ν) . Anche il picco di (im)2 più stretto è meglio è. Quantitativamente, il picco viene caratterizzato dal punto di vista pratico utilizzando la cosiddetta larghezza a metà altezza: im2 [A2] In questa figura f = frequenza w1 / 2 w2 w1 detta anche banda passante B. R Si può dimostrare che B w1 / 2 L Quindi in un circuito in cui C è variabile per permettere la sintonizzazione e L è scelta in im2 ( f R ) modo che i valori di w0 che si ottengono 2 siano quelli di interesse nella applicazione, la selettività del circuito per la frequenza da sintonizzare è tanto migliore quanto più piccola è R. 1 Risulta anche che: w0 1 L LC w1 / 2 R L R C Q Nell’ esperienza si traccia sperimentalmente questa curva, si ricava Q dai valori graficati e lo si confronta con il valore previsto in base alla definizione. 162 RISONANZA IN RLC PARALLELO Anche in tale circuito l’ ampiezza della corrente dipende dalla frequenza o pulsazione della tensione di alimentazione im m Z 2 m 1 1 wC R wL ε ~ C iL L iR R Anche in tale circuito si ha una “risonanza” per 1 w w0 2 iC LC Ma in questo caso per questo valore di w l’ ampiezza o il valore efficace della corrente sono minimi. Per questo motivo il circuito RLC parallelo si chiama anche circuito tampone, in quanto rappresenta un blocco (= piccolissima corrente risultante) per la tensione con pulsazione per cui si verifica la condizione di risonanza. 163 CIRCUITO RIFASATORE Un altro circuito di grande interesse pratico è quello con Le R in serie tra loro e il loro insieme in parallelo a C. Questo circuto trova impiego tecnico come “rifasatore”. Il senso è questo: Sia un apparecchio che comprende una bobine di qualche forma. Se di materiale conduttore essa presenta resistenza ma alimentata con tensione alternata presenta anche induttanza. Schematicamente questo elemento è dunque un gruppo LR in serie. In questo apparecchio circolerà una corrente sfasata di un qualche angolo rispetto alla tensione, con conseguente spreco di energia. Ebbene, l’ aggiunta di un C in parallelo all’ elemento, con un valore di capacità opportunamente calcolato, fa sì che la corrente diventi in fase con la tensione. i ε ~ iC L C iLR R 164 FUNZIONAMENTO RIFASATORE - 1 Prendiamo come asse di riferimento orizzontale il vettore che rappresenta la corrente iLR. La tensione VR ai capi del resistore R è in fase con la corrente iLR che lo attraversa. La tensione VL ai capi dell’ induttore L è in anticipo di 90° rispetto alla corrente iLR che lo attraversa. La tensione ai capi del gruppo LR è la somma dei due vettori di modulo VRm e VLm. Essa è uguale alla tensione ai capi del condensatore, e a quella di alimentazione, (rami in parallelo). La corrente iC che attraversa il condensatore è in anticipo di 90°rispetto alla tensione ai suoi capi ossia rispetto a . La corrente totale i è la somma dei due vettori di modulo iCm e iLRm. A seconda della grandezza del modulo di iCm , la corrente totale i può anticipare o ritardare rispetto alla tensione applicata . Ma allora è possibile che, per opportuni valori di R, L e C, la corrente totale i e la tensione applicata siano in fase fra loro. In queste condizioni il circuito si dice in risonanza per il particolare valore della pulsazione della tensione di alimentazione . iCm im VLm εm φ φLR iLRm VRm 165 FUNZIONAMENTO RIFASATORE - 2 La condizione di risonanza è rappresentata qui: VLm εm im iCm φLR iLRm VRm Dalla geometria del diagramma, e dalla considerazione che ILRm=m /ZLR ove ZLR è l’ impedenza del gruppo LR in serie, ricaviamo adesso la relazione che devono soddisfare i valori degli elementi R, L, C per realizzarla. Si ha: m m Z LR im iLR cos LR 2 2 1 tan LR V wL R wL 1 R wL L Z LR 1 m VC m m R 2 w 2 L2 VL 1 m VC m 2 m m R 2 w 2 L2 w 2 L2 w 4 R 4 R2 R 2 w 2 L2 wL 1 R mR 2 R w 2 L2 2 2 R 2 w 2 L2 m Per R→0 o comunque R<<wL l’ ampiezza della corrente tende a zero o a un valore molto piccolo. Anche questo circuito quindi funziona da circuito tampone. Il valore di tale pulsazione si deduce infine osservando che se la condizione è stata realizzata allora φLR, che in generale è l’ angolo di fase tra iLR e , è allora anche l’ angolo di fase tra iLR e im , che è dato da: iC iC tan LR sin LR m m iLRm iLRm 1 tan 2 LR mwC m R 2 w 2 L2 wC 1 R 2 w 2 L2 L L 1 R2 2 2 2 2 2 2 2 R w L w L R w 2 C C LC L w w0 1 R2 2 LC L 1 LC in quanto nei circuiti risonanti in genere è R2/L2 << 1/LC. 166 STUDIO CIRCUITO (RL SERIE)C PARALLELO Consiste nel rilevare la sua curva di risonanza im=f(w) o, praticamente, im=f(v). 1. La curva di risonanza va determinata adoperando un unico strumento misuratore di corrente (o un’ unica scala in un amperometro a diverse portate), altrimenti la corrente varierebbe non solo al variare della frequenza, ma anche al momento di cambiare strumento (o portata) in quanto cambia la resistenza interna dello strumento e quindi l’ impedenza dell’ intero circuito. 2. Nella regione di frequenze attorno alla risonanza l’ ampiezza della corrente raggiunge i valori più piccoli, che - dato che non è possibile passare a uno strumento o a una scala con f.s. più piccolo sarebbero misurati nella porzione inferiore della scala dello strumento, dove l’ errore relativo che si commette è maggiore. Per ovviare a questi inconvenienti si usa un circuito più complesso in cui si misura una corrente complementare a quella di interesse. 167 CIRCUITO PER MISURA i0(t) R X i1(t) i2(t) G L C1 C A Nel nodo X la corrente i0(t) si divide in i1(t), che passa attraverso il circuito LC in oggetto, e i2(t) che attraversa l’ amperometro A. Tutte e 3 queste correnti variano nel tempo con legge sinusoidale. Tra le loro ampiezze sussiste la relazione i0 m i1m i2 m Ora, se si ha l’ accortezza di fare in modo che l’ ampiezza della corrente i0(t), i0m, non vari al variare della frequenza, allora i0m è una costante e i2m=i0m-i1m varierà con la frequenza con andamento esattamente inverso a i1m. i2m presenterà quindi una curva di risonanza con un massimo per ν = ν0, come in un circuito RLC serie. Sebbene ribaltata, la curva rilevata misurando i2m avrà la stessa forma di i1m e presenterà il suo massimo in corrispondenza dello stesso valore di ν per il quale i1m avrebbe presentato il suo minimo. 168 MISURA DI i2 i0(t) R i1(t) i2(t) G L C1 X C A Il diodo nel ramo con i2(t) raddrizza la corrente che attraversa l’ amperometro. Questo è uno strumento per corrente continua. Infatti non è possibile adoperare un normale amperometro per correnti alternate, in quanto tale tipo di apparecchio è appropriato per correnti di frequenze prossime a quella della rete elettrica (50 Hz), mentre dati i valori di L e C nell’ esperienza si devono raggiungere frequenze dell’ ordine dei kHz e oltre. Usando uno strumento per corrente continua come già visto il valore che esso segna è il valor medio della corrente raddrizzata, il quale è proporzionale all’ ampiezza della corrente alternata da misurare in quel ramo, i2m Il condensatore C1 in parallelo all’ amperometro, di resistenza interna rA, costituisce un circuito RC parallelo, il quale in presenza di correnti sinusoidali nei suoi rami (la corrente raddrizzata non è alternata ma ha andamento sinusoidale), si comporta in maniera simile al RC serie: ai capi di rA come un filtro passa-alto, e ai capi di C1 come un filtro passa-basso. Precisamente la corrente scorre essenzialmente attraverso l’ amperometro se la sua frequenza è relativamente alta e in tal caso l’ ago - come desiderato - non può seguirne la variazione di ampiezza, mentre quando la frequenza fosse molto bassa, la corrente fluirebbe essenzialmente nel ramo con il condensatore (nel senso che esso si caricherebbe durante le semionde attive, e si scaricherebbe durante quelle soppresse) proteggendo l’ equipaggio mobile dall’ oscillare avanti e indietro. 169 MISURA SPERIMENTALE Inizialmente si sceglie un valore di m o in pratica di eff , il valore misurato della tensione alternata di alimentazione. Per mantenere costante i0m, ogni volta che si varia ν si ripristina il valore di eff agendo sul suo potenziometro, il che assicura che anche i0m viene ripristinato. La R del ramo RL non è altro che la resistenza del conduttore di cui è costituito l’ induttore. Una volta determinata la frequenza di risonanza ν0 si può determinare il valore di L assumendo noto C: w0 1 1 1 LC 2 L w0 4 2 02C LC 170