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Dione di Prusa Sull`invidia (orr. 77 e 78) - FreiDok plus

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Dione di Prusa Sull`invidia (orr. 77 e 78) - FreiDok plus
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Dione di Prusa
Sull’invidia (orr. 77 e 78)
Inaugural-Dissertation
zur
Erlangung der Doktorwürde
der Philologischen Fakultät
der Albert-Ludwigs-Universität
Freiburg i. Br.
vorgelegt von
Giacomo Gazzaniga
aus Irgoli (Italien)
SS 2005
2
Erstgutachter: Prof. Dr. Bernhard Zimmermann
Zweitgutachter: Prof. Dr. Hans-Christian Günther
Vorsitzender des Promotionsausschusses
der Gemeinsamen Kommission der
Philologischen, Philosophischen und Wirtschaftsund Verhaltenswissenschaftlichen Fakultät:
Prof. Dr. Hermann Schwengel
Datum der Fachprüfung im Promotionsfach: 06. 12. 2005
3
Premessa
Dione Cristostomo è uno degli autori più significativi e influenti del movimento
culturale chiamato, secondo la celebre formulazione filostratea, Seconda Sofistica1. Fu
scrittore piuttosto fecondo: della sua produzione ci sono pervenuti ottanta discorsi, tre dei
quali spuri: il 37 (Corinzia) ed il 64 (il secondo Sulla fortuna) assegnati al suo allievo
Favorino di Arelate2, ed il 63 (il primo Sulla fortuna)3. Un numero così alto di scritti
conservati testimonia nelle epoche successive uno straordinario interesse verso il lascito e
la figura di Dione, documenta inoltre la sua straordinaria polimorfia intellettuale4. Accanto
a scritti politici5, si sono conservati scritti di carattere letterario6, discorsi d’apparato
recitati ad Atene, a Olimpia, a Novum Ilium e altri importanti centri dell’Impero7. È vero
però che molte dialexeis dionee hanno una più marcata impronta filosofica, stoico-cinica in
particolare: non solo le più lunghe ed elaborate orazioni diogeniane8, ma anche un gran
numero di brevi diatribe su temi di morale9.
La rinascenza degli studi dionei ha portato negli ultimi trent’anni a una cospicua messe
di studi e di lavori di commento alle singole orazioni e a importanti volumi di carattere
Per una messa a punto sulla Seconda Sofistica si rimanda al recente lavoro di WHITMARSH (2005).
BARIGAZZI (1950) 95-115, (1951), 3-11 e (1966) 14-15, 245 e sgg., 298 e sgg. Vd. inoltre AMATO (1995) 44,
75 n. 7.
3 “It is likely that one or two of the shorter pieces are falsely attributed”, SWAIN (2000) 10.
4 Per un’attenta disamina della fortuna dionea si rimanda a BRANCACCI (1985).
5 solo alcuni esempi: 35 (A Celene di Frigia); 38 (Ai Nicomediesi sulla concordia con i Niceni); 40 (In patria, sulla
concordia con gli Apameni); 41 (Agli abitanti di Apamea sulla concordia).
6 ancora solo alcuni esempi 52 (Su Eschilo e Sofocle e Euripide o sull’arco di Filottete); 53 (Su Omero); 54 (Su
Socrate); 55 (Su Omero e Socrate); 58 (Achille); 59 (Filottete); 60 (Nesso o Deinira); 61 (Criseide).
7 alcuni esempi: 11 (Troiano); 12 (Olimpico); 13 (In Atene sull’esilio); 36 (Boristenico).
8 6 (Diogene o sulla tirannide); 8 (Diogene o sulla virtù); 9 (Diogene o Istmico); 10 (Diogene o sugli schiavi).
9 16 (Sul dolore); 24 (Sulla felicità); 70 (Sulla filosofia); 71 (Sul filosofo); 75 (Sulla legge); 76 (Sul costume).
1
2
4
generale10. In questo clima sono stati però trascurati molti scritti con tema filosofico
appartenenti, secondo la ricostruzione di von Arnim, al periodo esiliaco di Dione. Tale
dimenticanza risulta più evidente perché l’esilio e la presunta conversione alla filosofia
costituiscono l’elemento fondamentale della fortuna di Dione e perché uno studio attento
di tali orazioni avrebbe certamente contribuito al recupero e alla comprensione della reale
personalità “filosofica” di un intellettuale che ha saputo operare una paradigmatica
“sintesi di eloquentia e philosophia”11. I due testi di Dione di Prusa presi in esame in questo
studio, le due orr. 77 e 78 Sull’invidia, non sono mai stati tradotti in italiano né
commentati12.
Vorrei esprimere al Prof. B. Zimmermann la mia più viva gratitudine per l’attenzione
con cui ha seguito e sostenuto l’evoluzione di questo lavoro dandomi nei momenti di
difficoltà preziosi consigli. Un sentito grazie al Seminario di Filologia Classica
dell’Università di Friburgo, in particolare a Serena Pirrotta, Stelianos Chronopoulos e
Chrostoforos Gkaras.
Ai miei genitori, a mia sorella Dalia, a tutta la mia famiglia, ad Arne e tutti i miei amici un
grazie, per l’amore e il sostegno che non mi hanno mai fatto mancare i questi anni.
Commenti: or. 4 FERRANTE (1975); or. 6 KRAPINGER (1996); or. 7 AVEZZU’ (1985) e RUSSELL (1992);
or. 8 CAPONE CIOLLARO (1983); or. 9 CAPONE CIOLLARO (1987); or. 11 VAGNONE (2003); or. 12
RUSSELL (1992), NADDEO (1998), KLAUCK-BÄBLER (2000); or. 13 VERRENGIA (2000); or. 30
MENCHELLI (1999); or. 32 WILMES (1970); or. 36 RUSSELL (1992); discorsi bitinici (38-51) CUVIGNY
(1994); or. 52 LUZZATTO (1983). Monografie recenti: KINDSTRAND (1973); DESIDERI (1978); JONES
(1978); FERRANTE (1981); BRANCACCI (1985); SWAIN (2000); DE NICOLA (2002); KRAUSE (2003).
11 BRANCACCI (1985) 9.
12 È in preparazione Dione di Prusa. Discorsi. a cura di E. AMATO, S. FORNARO, G. CAIAZZA e I.
RAMELLI, Milano.
10
5
Introduzione
1. Le orr. 77 e 78 nella critica
Grande fu la fama che Dione godette nei secoli dopo la sua morte. Filostrato include
Dione fra i filosofi che per lo splendore del linguaggio ebbero fama di sofisti, e fra i suoi
scritti sofistici include l'Euboico e l'Encomio del pappagallo. Sinesio, grande estimatore dello
scrittore di Prusa, si oppone a questa visione filostratea della vita di Dione. Il vescovo di
Tolemaide nello scritto Dione o del vivere secondo il suo modello13, ricostruisce le vicende
biografiche di Dione: il Prusense fu da principio sofista e si convertì alla filosofia, causa
scatenante di tale conversione fu l’esilio14, 38a-b. Sinesio reputò perciò di poter classificare
tutte le orazioni dionee in sofistiche e filosofiche, le prime composte prima dell’esilio, le
Sulla ricezione esegetica del magistero dioneo di Sinesio e relativa obiezioni si rimanda a TREU (1958)
BRANCACCI (1985) 137-197.
14 EMPERIUS (1840) 6 postula che Dione sia stato esiliato da Domiziano per la caduta in disgrazia presso
l’imperatore di T. Flavio Sabino, cugino dell’imperatore stesso e genero di Tito, nonché patrono di Dione;
l’ipotesi è accolta e difesa da VON ARNIM (1898) 228-231 e (1899) 363-374; da MOMIGLIANO (1969) 260; da
JONES (1973) 307 e (1978) 45-46; da DESIDERI (1978) 189 e sgg., il quale data l’inizio dell’esilio fra l’85 ed l’88
d.C., il bando gli avrebbe precluso esclusivamente l’ingresso a Prusa; da MOLES (1978) 84 e 93 e (1990) 333;
da SALMERI (1982) 27. DESSAU (1899) 81-83 pone in discussione la ricostruzione di von Arnim: la
collocazione cronologica della morte di T. Flavio Sabino e quindi del bando di Dione è incerta. JONES (1990)
348-357 identifica il patrono di Dione con Arecino Clemente. SWAIN (1996) 189 crede nella veridicità
dell’esilio di Dione, limitandolo anch’egli alla sola Bitinia, ma rifiuta categoricamente l’idea di una
conversione dalla retorica alla filosofia così netta, e appoggia la tesi di SIDEBOTTOM (1994) 265 e (1996)
447-456, il quale propone l’identificazione del patrono del Prusense in L. Ottone Cocceiano, nipote di
Cocceio Nerva. Critica verso la storicità dell’esilio KRAUSE: “in keiner Rede sagt er (Dion) jedoch expressis
verbis, daß Domitian ihn in die Verbannung schickte und die Existenz eines offiziellen Verbannungsurteils
ist keineswegs unzweifelhaft, (2003) 40-41. JONES (1978) 49 considera la notizia della conversione
un’invenzione di Sinesio; MOLES (1978) 79-100 similmente la rigetta, ma ne attribuisce l’invenzione a Dione
stesso nel tentativo di riabilitarsi per la propria attività filoimperiale sotto il principato di Vespasiano, “the
‘conversion’ of Dio Chrysostom is a fraud”, 100. Cf. inoltre MOMIGLIANO (1969) 258; SWAIN (1996)
189-190; WHITMARSH (2001a) e (2001b) 159. Sul tema dell’esilio quale elemento autobiografico vd. anche
ZIMMERMANN (2002) 187-195.
13
6
secondo dopo la sua conversione alla filosofia. L’atteggiamento ermeneutico con il quale la
critica ha affrontato la lettura delle due Sull’invidia è stato viziato dalla ricostruzione, in
diversi punti aporetica, della vita e delle opere di Dione operata da von Arnim alla fine
dell’ottocento, debitrice dello schema interpretativo sinesiano. Sulla scia dell'esaegesi del
vescovo di Tolemaide von Arnim sintetizza la biografia intellettuale del Crisostomo in tre
fasi: una prima "sofistica"; una seconda "esiliaca", con il suo dedicarsi alla filosofia
popolare di stampo cinico-stoico; una terza "post-esiliaca". Secondo questo quadro
ermeneutico di riferimento le due orazioni Sull’invidia, accertatone il loro contenuto
“filosofico”, furono inquadrate cronologicamente all’interno del periodo esiliaco.
1.1 Datazione e luogo di recitazione delle orr. 77 e 78
Von Arnim considera, sulla scia delle affermazioni di Emperius15, le due orr. 77 e 78
un’unica diatriba filosofica, appartentene alla categoria dei “wiedererzälten Dialoge der
dionischen Sammlung”: Su Omero e Socrate (or. 55), Agamennone o sulla regalità (or. 56),
Nesso o Deianira (or. 60), Criseide (or. 61), il primo Sulla fama (or. 66), Sulla filosofia (or. 70),
Sulla slealtà (or. 74), Sulla bellezza (or. 21), Il sapiente è felice (or. 23), Sul demone (or. 25), Sul
consultarsi (or. 26). Questi scritti, spesso piuttosto brevi, sarebbero le trascrizioni
tachigrafiche, operate da suoi allievi, delle lezioni che Dione, filosofo di stampo cinicostoico, avrebbe tenuto durante il suo esilio. I due scritti Sull’invidia possono, secondo
questo punta di vista esegetico, essere quindi datate fra l’82 d.C., data d’inizio, secondo
von Arnim, del bando di Dione e il 96 d.C., data della morte dell’imperatore Domiziano e
del conseguente rientro dall’esilio del Prusense16.
Orat. LXXVII et LXXVIII nulla intercapedine inter se exceperint necesse est, et in eodem versantur argumento,
idque sic, ut Oratione LXXVIII continentur, quorum Orat. LXXVII. Initium continet; porro ut nullum coampareat
preater omissam copulam discidii vestigium. Nostro igitur jure contendemus, non duas has, sed unma
commentationem esse, (1840) 8.
16 VON ARNIM (1898) 284 e sgg.
15
7
Jones stabilisce il terminus post quem al 68 d.C., anno che segna la morte di Nerone, o, con
riserva, poco più tardi: lo studioso fonda questa ricostruzione cronologica sulla netta
condanna della castrazione dei fanciulli: essa è sintomo di estrema dissolutezza e arbitrio,
78, 3617. Jones vi scorge un’allusione all’episodio di Nerone e Sporo: l’imperatore dopo al
morte di Poppea, avvenuta nel 65 d.C., fece castrare il giovane liberto e lo sposò18.
Desideri è il primo a porre dubbio la validità della posizione emperiana e propone, nel
pieno rispetto della tradizione manoscritta, di affrontare l’esegesi dei due scritti
separatamente. Lo studioso italiano postula che l’or. 78 preceda cronologicamente l’or. 77
e che sia stata composta nel periodo immediatamente successivo alla sua cacciata in esilio,
in quella fase, secondo la sua stessa definizione, “del pessimismo sociale di Dione”19. A
tale collocazione cronologica apparterebbero i cosiddetti discorsi diogeniani, i due Sulla
schiavitù e la libertà ( orr. 14 e 15), Di quelli di Cilicia sulla libertà (or. 80) e i due paralleli Sulla
lealtà e Sulla slealtà (orr. 73 e 74) e i primi due Sulla fama (orr. 66 e 67). Similmente a questi
la seconda Sull’invidia affronta tematiche di condanna della società civile nei suoi difetti
più evidenti (l’invidia, l’attaccamento ai beni materiali) e sviluppa il concetto della vera
libertà, secondo i precetti del pensiero cinico, quali riscontriamo nel Diogene o sulla
tirannide (or. 6)20. Desideri sposta la data di composizione dell’or. 77 al periodo postesiliaco: in esso sarebbero riscontrabili cenni a “situazioni e problemi di carattere
cittadino” distintivi dell’attività politica dionea dopo la sua riabilitazione durante il regno
di Nerva ed il suo ritorno in Bitinia. Desideri presuppone infatti che vi sia conformità di
impianto ideologico fra questa breve orazione, i discorsi Bitinici e quelli Sulla regalità
certamente attribuibili al periodo post-esiliaco. Desideri ribadisce comunque che non vi
“Perciò non per mancanza di questo bene lo richiedono a chi è naturalmente dotato, ma il loro
comportamento può essere paragonato ciò che fanno uomini eccessivamente dissoluti, i quali, benché vi
siano donne in abbondanza, a causa della loro tracotanza e della loro ingiustizia desiderano trasformare
uomini in donne, prendono dei fanciulli e li castrano. Onde nasce una razza peggiore e infelice , più debole e
femminea delle donne stesse.”
18 JONES (1978) 133.
19 DESIDERI (1978) 201.
20 DESIDERI (1978) 204.
17
8
siano indicazioni atte a determinare il luogo e la circostanza in cui lo scritto venne
pronunciato21.
Per quanto concerne il luogo di recitazione, Lamar Crosby sostiene che debba comunque
trattarsi di una grande città: Dione afferma
(77, 8)22, la
presenza di numerosi uditori e l’accenno al § 15 ad un discorso sulla ricchezza tenuto il
giorno precedente suggerirebbero che “Dio had been in residence long enough to have
attracted some attention” 23.
In realtà manca qualsiasi elemento interno ai due scritti che permetta di stabilirne una
datazione assoluta o anche solo relativa.
1.2 Interpretazione
Il primo a occuparsi delle diatribe dionee è stato Hirzel nella sua monografia sul dialogo.
Hirzel, pur non respingendo in toto la storicità dell’esilio di Dione, rifiuta tuttavia la
drammaticità della sua conversione alla filosofia, ed inserisce la produzione dialogica del
Prusense nella rinascenza di tale genere letterario sotto il principato e il patrocinio
dell’imperatore Traiano: “so sind Dions Dialoge nicht der Ausdruck einer inneren oder
äusseren Wirklichkeit, die nothwendige formale Erscheinung zu einer mächtig mit der
Phantasie dramatisch oder mit dem Denken dialektisch arbeitenden Seele; sie sind
vielmehr Formen, die er sich aus der rhetorischen Vorrathskammer zusammengesucht
und dann mit dem nur gerade nicht widerstrebenden Inhalt erfüllt hat ... während sonst
die Diatriben auf wirklich gehaltene Reden und Gespräche zurückgehen, die ein Anderer
aufzeichnet hat und die deshalb durch den Vorzug historischer Wahrheit ersetzen, was
ihen von kunstvoller Gestaltung der Dialoge abgeht, so haben dagegen die Gespräche der
dionischen Diatriben niemals mehr als literarisches Dasein gehabt und verdanken ihren
DESIDERIwohl
(1978) nur
273-274.
Ursprung
Dions Wunsche, sich auch einmal auf diesem Gebiete als Darsteller zu
21
Alle stesse conclusioni giunge DESIDERI (1978) 453 n. 19.
LAMAR CROSBY
versuchen
”24. (19642) 259; cfr. anche VON ARNIM (1898) 288.
24 HIRZEL (1895) II 84-119, le citazioni sono delle pgg. 114-115 e 117.
22
23
9
Pochi anni dopo von Arnim pubblica la sua monografia Leben und Werke des Dio von
Prusa, compimento di un lungo percorso di studio del testo e del magistero dionei, dal
quale è nata, inoltre, l’edizione critica dell’opera del Crisostomo. Nel ricostruire le vicende
biografiche del Prusense e del mutare del suo percorso intellettuale, von Arnim ravvisa il
pericolo sotteso nelle pagine di Hirzel: uno svilimento dell’attività filosofica di Dione,
testimoniata anche dalle orr. 77 e 78, a mera esibizione sofistica, nata dal manieristico e
frivolo bisogno del Nostro di atteggiarsi a scrittore di dialoghi. Per von Arnim, la
conversione di Dione alla filosofia dopo il suo esilio è un dato certo: egli si dedicò
realmente per quasi vent’anni a una vita errabonda e alla predicazione popolare di stampo
cinico-stoico. Gli scritti dionei appartenenti al periodo esiliaco, tra i quali i due
Sull’invidia25, sono pittosto le trascrizioni tachigrafiche delle lezioni a carattere
prevalentemente morale che il Prusense avrebbe tenuto con i propri allievi. Esse
rispecchierebbero quindi la reale essenza del suo magistero filosofico, un magistero
esclusivamente orale26. Von Arnim fonda le sue conclusioni sul paragone con l'opera di
Epitteto che venne raccolta e pubblicata dal suo allievo Arriano.
Moling27, benché la sua tesi di dottorato si riproponga un’analisi del rapporto fra Dione e
i poeti classici, non offre dell’ or. 77, l’unico scritto dioneo dedicato all’esegesi di un verso
esiodeo, che un compendio stringato e privo di qualsiasi commento.
Milobenski28, nella sua monografia dedicata al concetto di invidia nella filosofia greca,
dedica all’interpretazione dei due scritti Sull’invidia un maggiore e rinnovato interesse. Lo
studioso tedesco li inquadra nell’ambito della filosofia popolare cinico-stoica, di cifra
prettamente antistenica; egli stesso si vede però costretto ad ammettere: “die
Popularphilosophen ihre Schriften gern nach dem Schema “Erkenntnis des Pahtos”
(
) und “Heilung des Pathos” (
), gliederten. Diese Form der Disposition ist
VON ARNIM (1898) 288-289.
hingegen behaupte und werde zu beweisen versuchen, daß unter den dionischen Gespräche weitaus
die meisten von fremder Hand herrührende Aufzeichnungen solcher Gespräche sind, die er als
philosophischer Lehrer wirklich mit seinen Schülern gehalten hat und deren Wert, wie der der epiktetischen
Diatriben, vorzugweise darauf beruht, daß sie ein im ganzen treues Bild von der thatsächlichen
Lehrmethode Dios gewähren” VON ARNIM (1898) 282.
27 MOLING (1959) 129-132.
28 MILOBENSKI (1964) 125-134.
25
26“ich
10
bei Dion nicht gegeben”. L’analisi di Milobenski non apporta però alcun contributo di
rilievo: egli, come già sottolineato per Moling, opera una semplice, ma non per questo
succinta, sintesi delle argomentazioni dionee, senza affrontare l’esegesi dello scritto né nel
suo complesso né di alcuna parte di esso.
Desideri propone una datazione differente per l’or. 78 e la interpreta secondo categorie
diverse: egli la pone in stretto rapporto con la Diogene o sulla tirannide (or. 6) e, come è stato
precedentemente accennato al periodo della sua attività filosofica: nella seconda
Sull’invidia Dione approfondirebbe riflessioni di stampo filosofico che là vengono
solamente accennate29. La nostra orazione rappresenterebbe una sorta di manifesto
dell’attività politica del filosofo cinico ed “attraverso l’invito a rifiutare di accettare la
logica di questo sentimento (l’invidia) Dione svolge in realtà un durissimo attacco alla vita
politica stessa delle città”30. Per Desideri due sono i mutamenti ideologici fondamentali
tra il Dione pre e postesilico: il categorico rifiuto di ogni comportamento demagogico ha
lasciato il posto ad una intesa con il popolo di Prusa, e l’ideale di città composta da pochi e
abbienti abitanti a quello della città popolosa. In quest’ottica vanno visti sia l’or. 77 sia la
sezione dell’Euboico nella quale Dione prende in considerazione le occupazioni che devono
essere evitate. Nella 77 l’argomentazione assume invece un carattere positivo
comprendendo “un’ipotesi di classificazione su parametri di ordine sociale”. Dione
avrebbe l’obiettivo di illustrare come l’invidia non sia un sentimento proprio ad ogni
categoria lavorativa, ma esclusivamente ai cuochi, ai tintori, ai tenutari di bordello, il
Nostro allude quindi a quelle attività economiche considerate socialmente disonorevoli31.
2. Sono le orr. 77 e 78 un unico discorso?
La storia testuale dei due scritti Sull’invidia costituisce una straordinaria testimonianza
delle traversie della tradizione manoscritta del corpus dioneo32.
DESIDERI (1978) 214-216.
DESIDERI (1978) 453 n. 18.
31 DESIDERI (1978) 407-409.
32 per una esauriente trattazione della problematica si rimanda a VON ARNIM (1891) 363-407 e (1893)
prolegomena; SONNY (1896) 1-35; MENCHELLI (1999) 93-146 e VERRENGIA (2000) 9-26.
29
30
11
Sonny suddivise i manoscritti dionei in tre classi33. I codici appartenenti alla terza di
dette classi tramandano soltanto il discorso 77, ad esso segue l’Euboico34, laddove gli altri
manoscritti, esattamente nel punto in cui si interrompono, fanno iniziare la 78. La nostra
tradizione manoscritta ci ha trasmetto le due diatribe Sull'invidia sempre come due scritti a
se stanti. È importante rilevare che questo stato del testo è anteriore al IX secolo a.C.: Fozio
enumera nella Biblioteca (cod. 209) due orazioni Sull’invidia:
, 168a. Come è possibile che più recenti edizioni esse vengono pubblicate
come se fossero un'unica diatriba?
Ciò deve essere attribuito ad Emperius, il quale, a latere dello scritto per Gottfried
Hermann sull’esilio dioneo, dedica alcune considerazioni alle due orazioni Sull’invidia.
Emperius si sofferma sul nesso
(§ 16 dell’edizione von Arnim) e
sulla citazione omerica; lo studioso giustamente osserva che precedentemente non viene
menzionato alcun “primo” poeta ; egli suggerisce inoltre che l’or. 77 potrebbe essere
interpretata come un commento al verso 25 delle Opere di Esiodo. Emperius trae quindi la
conclusione che in realtà l’or. 78 altro non è che la prosecuzione dell'or. 77 (nostro igitur
jure contendemus, non duas has, sed unam commentationem esse35). Come ciò sia accaduto
Emperius si premura di precisarlo cursoriamente in nota al testo della sua edizione
dionea: al vetustus liber, dal quale discenderebbe tutta la nostra tradizione manoscritta,
avrebbe perso i fogli contenenti le ultime orazioni. I codici appartenenti alla terza famiglia,
caratterizzata dall'assenza dell'or. 78, discenderebbero da una o più copie di questo
manoscritto incompleto. Come spiegare però la presenza nei rappresentanti delle altre due
famiglie della seconda diatriba Sull'invidia? Emperiun ipotizza che i fogli perduti
sarebbero stati ritrovati in un secondo momento o che le parti mancanti sarebbero state
copiate da esemplari più completi: i copisti non si sarebbero tuttavia resi conto che l’or. 78
SONNY (1896)
Cf. VERRENGIA (1997) 147.
35 EMPERIUS (1840) 8 “ Orat. LXXVII et LXXVIII nulla intercapedine inter se exceperint necesse est, et in eodem
versantur argumento, idque sic, ut Oratione LXXVIII continentur, quorum Orat. LXXVII. Initium continet; porro ut
nullum coampareat preater omissam copulam discidii vestigium. Nostro igitur jure contendemus, non duas has, sed
unma commentationem esse”.
33
34
12
era in verità la continuazione della precedente e non uno scritto a se stante36. Tutti gli
editori successivi hanno accolto la tesi di Emperius.
Mahn, che a una disamina dei codici dionei aveva dedicato la sua dissertazione di
dottorato, pare ignorare completamente la questione37.
In un lungo articolo sulla genesi della raccolta degli scritti dionei, von Arnim accoglie la
tesi di Emperius, egli postula tuttavia che tale stato del testo si sia generato in maniera
differente: nell’archetipo dell’intera tradizione manoscritta la raccolta dei discorsi sarebbe
stata suddivisa in sei parti38. Questo Urexemplar avrebbe perduto gli ultimi fogli della
quinta parte, contenenti gli scritti 78-80, e forse anche la sesta parte. L’archetipo della terza
famiglia (mancante come si è già scritto dell'or. 78) sarebbe stato copiato dall’Urexemplar
dopo la mutilazione. L'archetipo delle altre due famiglie, che ci tramandano le due diatribe
distinte, sarebbe stato vergato quando ancora le pagine, che pur erano separate, non erano
ancora andate perdute39: “es ist viel einfacher anzunehmen, dass Blätter, die erst lose
geworden waren, hernach ganz verloren gingen”40.
Dopo aver ricapitolato lo stato della tradizione del testo delle orr. 77 e 78 il Lamar
Crosby illustra le sue argomentazioni a difesa della tesi dell’Emperius: entrambi i discorsi
disaminano il medesimo argomento e fra la prima sezione e la seconda non è percettibile
alcuna brusca interruzione41.
Desideri, che erroneamente attribuisce a von Arnim la riunificazione dei discorsi, è il
primo che abbia posto in discussione la validità di tale assunto: lo storico italiano
evidenzia come sia la testimonianza di Fozio che la diversità dell’argomentazione delle
due orazioni testimonino la debolezza delle deduzioni emperiane. Desideri consiglia
pertanti di seguire la tradizione manoscritta in ciò concorde e di leggere le due diatribe
separatamente42.
EMPERIUS (1844) 762.
MAHN (1889).
38 VON ARNIM (1891) 380: “von Seiten der Teubnerschen Textausgabe umfasst Theil 1 + 2= 251; Theil 3 + 4=
262 = 139 + 123; Theil 5 + 6= 227, 5 = 136 + 91, 5“.
39 VON ARNIM (1891) 394-395.
40 VON ARNIM (1891) 395; analisi ribadita nei prolegomena all’edizione dionea (1893) XXXIII.
41 LAMAR CROSBY (19642) 258.
42 DESIDERI (1978) 251 n. 70.
36
37
13
L'argomentazione di Emperius si rivela infatti non del tutto convincente e un poco
forzata. In primo luogo pare poco verosimile che del vetustus liber siano stati smarriti e
ritrovati i fogli contenenti l'or 78, in un arco di tempo che consentì la copiatura di almeno
un manoscritto. Ipotizzare che gli amanuensi non abbiano notato che l'inizio della nostra
or. 78 altro non era che la prosecuzione dell'or. 77 presuppone che la prima riga del primo
foglio staccatosi coincidesse con l'inizio della seconda Sull'invidia, esattamente con il
concludersi di una argomentazione e con il principio di un'altra. Postulare inoltre che la
lacuna sia stata colmata con l'ausilio di altri manoscritti implica che in essi l'or. 78 fosse
separata dalla 77: diversamente i copisti non avrebbero trascritto le due diatribe
singolarmente. Il riferiemento ad un secondo poeta in mancanza di un primo suscita
legittime perplessità. Credo che sia utile quindi rileggere l’incipit dell’or. 78, i §§ 15-17:
15. DIONE: L’uomo saggio e benevolo è magnanimo, esente dal dolore, consapevole dell’utilità
della propria e dell'altrui virtù. Egli è inoltre consapevole che mai nessun altro, neppure uno
dei più inetti, invidierebbe ad alcuno ciò, che è bene comune di tutti. Inoltre non ammira
assolutamente né considera di alcun valore ciò, che suscita nella massa invidia e gelosia, come
dicevamo ieri riguardo la ricchezza. 16. Così non invidierebbe ad alcuno l’oro o l’argento o le
greggi o la casa o qualcos’altro di cui dicevamo. Un altro poeta, il quale non volle esprimare la
propria opinione ma quella degli uomini, afferma infatti:
i quali vivono bene e sono chiamati ricchi;
egli intende dire che vengono chiamati ricchi, senza esserlo in in realtà. 17. Bene; l’uomo nobile
e perfetto non si lascia corrompere dalle ricchezze. Ma riguardo alla fama? Potrebbe egli
contendere e invidiare coloro che vedesse onorati maggiormente dalla folla? O diremo che non
ignora che la fama è la lode dei più, se dei più, chiaramente degli ignoranti?
Dione evoca con il suo anonimo, e forse fittizio, interlocutore una conversazione sulla
ricchezza tenutasi il giorno precedente, ed enumera i beni che il saggio non potrebbe in
alcun modo invidiare: oro, argento, greggi e possedimenti. Dione cita un secondo poeta,
Omero, e indica il tema della discussione seguente: il saggio non potrebbe invidiare la
fama altrui. Il rimando all’
è inquadrato all'interno del riferimento alla
lezione del giorno precedente sulla ricchezza, alla quale l’interlocutore ha preso parte (ciò
deve essere presupposto dall'uso costante della prima persona plurale: “come dicevamo
ieri riguardo la ricchezza”, “delle quali dicevamo”). Non è quindi neccessario congetturare
che Esiodo sia il primo poeta e che quindi l'or. 78 sia neccessariamente la prosecuzione
14
dell'or. 77. È altrettanto verosimile che il primo poeta sottinteso sia un poeta menzionato il
giorno precedente. Si potrebbe ipotizzare che tale menzione sia stata il punto di partenza
della discussione (come accade con Esiodo nell’or. 77) o che Dione avrebbe utilizzato per
confermare alla propria tesi. Queste brevi considerazioni e il rispetto di una tradizione
manoscritta sotto questo aspetto concorde indurrebbe a respingere la tesi di Emperius e
quindi a pubblicare e analizzare le orr. 77 e 78 separatamente.
3. Proposta di lettura: l’or. 77 quale progymnasma
In questo capitolo desidero proporre una lettura differente della orazione 77 rispetto a
quella argomentata dalla critica. Il presupposto ermeneutico di tale analisi si fonda sulle
conclusioni sin qui raggiunte: essa è uno scritto a se stante e compiuto, indipendente dalla
78; non vi sono elementi interni che giustifichino una qualsiasi datazione, per quanto
approssimativa, è quindi impossibile inquadrarla nella griglia cronologica, e di
conseguenza ideologica, di von Arnim pre-esiliaca/ periodo sofistico; esiliaca/ periodo
filosofico; prost-esiliaca/ periodo politico. Dando questi elementi per assodati, la mia
esegesi si concentrerà esclusivamente sul dettato testuale, nel tentativo di recuperare la
facies retorica del magistero di Dione. Ciò implica inoltre la convinzione che il Prusense
non abbandonò mai - non vi sono prove infatti che lo fece - la sua attività “sofistica”. Sono
cosciente che questo tentativo ha dei predecessori: Fornaro, ad esempio, ha dimostrato in
un articolo vertente intorno al discorso 53, Su Omero, alla luce della prassi scolastica coeva
la Nostro, che esso è “un esercizio di scuola, un encomio di Omero [...] Un discorso così
impersonale e poco originale come l’or. LIII sembra addirsi ad un ristretto pubblico di
scuola, e di scuola retorica, piuttosto che a un esteso pubblico cittadino”43. La mia
disamina parte dall’idea che lo scritto dione 77, Sull’invidia, è un esercizio di scuola, un
progymnasma, e più in particolare una
, composto da Dione quale modello per i suoi
studenti. Tale indagina si articola nei seguenti punti: 1. il progymnasma; 2. la
confronto fra
43
e or. 77.
FORNARO (2002) 102.
; 3.
15
3.1 Il progymnasma
“A Rome donc, come en pays de langue grecque, il y a trois degrés sucessifs
d’ensignement, auxquels correspondent, normalement, trois types d'école confiés à trois
maîtres spécialisés: à sept ans, l’enfant entre à l’ecóle primaire, qu’il quitte vers onze ou
douze pour celle du grammaticus; à l’âge où il reçoit la toge virile, dès quinze ans
quelquefois, il passe chez le rhéteur”44. Nella fase di passaggio dal grammaticus al rhetor gli
studenti dovevano svolgere in esercizi preparatori, i cosiddetti progymnasmata45: “the
exercises ... demanded that the student make active use of the grammatical and other
knowledge acquired in the earlier stage and, most importantly, begin to write and to
perform his own composition”46.
La nostra conoscenza dei progymnasmata deriva da un piccolo numero di fonti: brevi
riferimenti in Quintiliano e Svetonio, ma soprattutto da quattro manuali datati fra il primo
ed il quinto secolo d. C.: Teone (I sec. d.C..), Pseudo-Ermogene (probabilmente III sec.),
Aftonio (IV sec.) und Nicolao (V sec.). Nei corpora di Libanio, di Nicolao, di Niceforo
Basilica (XII sec.) e Giorgio Pachimere (XIII sec.), sono, inoltre, tramandati esempi
composti dai retori, che dovevano servire da modello per gli studenti. La successione degli
esercizi, in una scala di crescente difficoltà, è più o meno la stessa in tutti i manuali47:
mythos, la favola;
personaggio famoso48;
, il racconto; chreia, la discussione sul detto o sull’azione di un
, fondamentalmente lo stesso esercizio sulle citazioni;
, la confutazione di una storia e
luogo comune;
49
, la conferma di una storia; koinos topos,
, l’elogio; psogos, il biasimo; sygkrisis, il paragone;
poiia,
MARROU (1948) 359-360.
In generale si rimanda a CLARK (1957) 177-212; BOMPAIRE (1958)36 sgg.; RUSSELL (1967) 140-141;
REARDON (1971) 75-76; ANDERSON (1993) 47-53; HEATH (1995) 13-17; WEBB (2001) 289-316.
46 WEBB (2001) 289.
55 Seguo in tutta la trattazione Aftonio, il quale, pur non essendo il più vicino cronologicamente a Dione,
godette nell’antichità di maggiore fortuna e attenzione.
56 Sulla chreia si rimanda allo studio generale di HOCK-O’NEIL (1986).
57 Nella trattatistica successiva
e
vengono trattate separatamente.
44
45
16
caratterizzazione50;
ekphrasis,
descrizione51;
thesis,
caso
generale;
nomou
eisphora,
introduzione di una legge.
3.2 La
La
è “una massima a carattere universale, che esorta a qualcosa o dissuade da
qualcosa”52. Nell’elaborazione di questo esercizio lo studente doveva argomentare la
sententia come se si trattasse di un tema di carattere morale: esempi canonici erano: Iliade 2,
24 “non deve dormire tutta la notte un uomo che siede in consiglio”, al quale Libanio
consacra i primi due esempi della sua raccolta; Teognide 175-176, la povertà “deve fuggire
e gettarsi, o Cirno, nel mare dai mostri abissali e dalle alte rocce”, elaborato da Aftonio;
Demostene Ol. 1, 20 “dobbiamo avere solo denaro, e senza di esso non può essere
compiuto nulla di ciò che deve essere fatto”, terzo modello dei progymnasmata di Libanio,
il secondo della raccolta di Nicolao.
Lo studente aveva a disposizione uno schema piuttosto rigido, uguale sia per la
che per la chreia, “of course, there will be cases where the general framework is best
modified or abandoned; but the student who has experience in working within the
framework is likely to be a better judge of such occasions” 53.
Questa traccia si articola nei seguenti punti:
1.
: breve elogio del citato
2.
: parafrasi della citazione
3.
: dimostrazione della validità della sententia
4.
5.
: esposizione del contrario
: paragone
6.
50
59
7.
: citazione di altri autori sullo stesso tema
8.
: breve epilogo consistente in una esortazione
Vd. HAGEN (1966).
Vd. WEBB (1999) 7-18.
,
60
53
: esempio
HEATH (1995) 14.
, 2, p. 25. 8-9 Spengel.
17
La similarità fra la chreia e la
era stata notata sin dall’antichità e onde evitare
l’insorgere di fraintendimenti, i trattatisti si sono prodigati a porre in chiaro le differenze:
“la chreia si differenzia dalla
in questo: la chreia concerne talvolta un’azione, la
sempre un detto; la chreia necessita di un personaggio, la
è espressa
impersonalmente”54.
I manuali pervenutici sono relativamente omogenei sia nella terminologia utilizzata sia
nella divisione delle parti, ma “the impression of conformity which the surviving
textbooks present is to some extent illusory. The frequent references to what ‘some people’
say, show that many competing systems were in existence in antiquity, and that the
current corpus is the product of centuries of selection and rearrangement”55. Inoltre i
modelli pervenutici rivelano, rispetto alle attese, una struttura compositiva meno ancorata
a uno schema rigido prestabilito; ciò costituisce un elemento di analisi piuttosto
importante nella proposta di lettura da me argomentata: pur nel rispetto di una
intelaiatura compositiva, dalla quale sia il retore che lo studente non potevano
prescindere, non dobbiamo sorprenderci di riscontrare delle "anomalie" rispetto allo
schema generale.
3.3 Confronto fra
e l’or. 77
L’or 77 si apre in medias res, con un encomio del poeta Esiodo pronunciato da Dione e dal
suo anonimo interlocutore; l’elogio si articola nella menzione della fama di saggezza
goduta dal poeta epico presso i Greci, saggezza di origine divina, ricavata dal dato
biografico dell’incontro con le Muse sul monte Elicona e il dono della poesia rappresentato
dal ramo d’alloro; e nel ricordo delle sue opere le Opere e giorni e la Teogonia; egli inoltre
era conoscitore della psicologia umana.
1. DIONE: Proprio per tutti questi motivi Esiodo fu celebre presso i Greci per la sua saggezza e
non si dimostrò in alcun modo immeritevole di tale reputazione: egli infati non compose e
cantò i suoi poemi grazie ad un’arte umana, ma perché incontrò le Muse e ne divenne allievo?
54
,
Spengel.
55 WEBB (2001) 296.
,
,
, 2, p. 26. 2-6
18
Ne consegue che quanto gli venne in mente lo espresse in maniera musicale e sapiente e non
espose nulla di inutile, come questo verso dimostra.
INTERLOCUTORE: Quale?
D.: ed il vasaio invidia il vasaio ed il carpentiere il carpentiere.
2. INT.: Esiodo compose molti altri bei versi sulle attività umane e sulle cose divine e su
questioni più importanti di quella ora menzionata. Comunque le sue parole manifestano una
vera ed esperta cognizione della natura umana. §§ 1-2
L’incipit dioneo corrisponde alla primo punto dello schema della
Aftonio
, definito da
. La saggezza dell’encomiato è elemento topico dell’elogio e non
deve necessariamente esprimere un reale convincimento di Dione. Nell’ambito dei
progymnasmata tale lode viene veicolata generalmente tramite un ricordo della meraviglia
suscitata nel lettore dalle opere del citato: nel primo esercizio proposto da Libanio, Omero
viene ammirato per la saggezza e l’utilità dei suoi versi dal soldato, dall’architetto, dal
marinaio ecc., 8, p. 106. 5-12 F. Nel terzo modello, incentrato sulla sententia tratta dall’Ol. 1,
20, la retorica è la cosa più utile di tutte e Demostene ne è il principale rappresentante.
Secondo Nicolao, nel primo esercizio, molti sono i versi di Euripide da ammirare,
soprattutto quelli nei quali filosofeggiò sulla sapienza, 1, pp. 278, 6-13 Walz; nel terzo
esercizio sulla
, dedicato al v. 208 delle Opere esiodee “stolto chi vuole opporsi a uno
più forte”, leggiamo, similmente a quanto Dione sostiene nell’or. 77,
,
,
,
.
,
,
p. 281, 3-7. La funzione di introdurre
la parafrasi (nel nostro caso la citazione), è dimostrata dall’asserzione ‘come questo verso
dimostra’, che corrisponde al
di Libanio, 8, p. 107, 7 F.
Tra i due encomi viene citata il v. 25 delle Opere,
D.: ed il vasaio invidia il vasaio ed il carpentiere il carpentiere, § 1
Ci attenderemmo la parafrasi e non la citazione del verso, ma la prassi, ancora una volta
ci soccorrono i modelli di Libanio, ci testimonia nuovamente una certa libertà. Il retore di
Antiochia, difatti, nel primo progymnasma sulla gn
, consacrato al verso iliadico 2, 24
19
“non deve dormire tutta la notte un uomo che siede in consiglio (
)”, in parte lo parafrasa, in parte lo riporta letteralmente : “non deve
riposarsi tutta la notte, dice (sc. Omero), un uomo che necessita consiglio (
,
,
)”, 8, p. 107, 13-14 F. Similmente nel
secondo modello dedicato al medesimo verso, Libanio ribadisce che secondo il poeta
epico “non deve dormire tutta la notte, dice infatti, un uomo investito di grande potere
(
)”, 8, p. 113, 15-16 F.
Dione non passa subito alla discussione del verso esiodeo, ma si sofferma con il suo
interlocutore sull’opportunità e l’utilità di una tale disamina
D.: Desideri che le esaminiamo in maniera più approfondita?
INT.: E come potrà una tale folla sopportarci mentre discutiamo di tali cose?
D.: Perché? Non sono venuti per ascoltare parole sagge su parole sagge?
INT.: Affermerebbero di si, così mi pare.
D.: Ma considerano forse Esiodo mediocre e di poco valore?
INT.: Assolutamente no.
D.: Non sarebbe per loro utile ascoltare (discorsi) sull’invidia e sulla gelosia, su chi siano
coloro che provano tali sentimenti verso gli altri e per quali motivi?
INT.: Si tratta certamente della cosa più utile di tutte. § 2
Questo passo, non previsto dallo schema dei manuali, costituisce la transizione fra la
sezione proemiale (elogio e citazione) e la trattazione vera e propria della
. È una
commessura funzionale allo sforzo di evitare un trapasso troppo brusco fra le due parti
dell’esercizio. Libanio, ad esempio, nel primo esercizio sulla
muto interlocutore
14-15 F) e
si rivolge a un suo
(8, p. 107,
(8, p. 108, 5 F.).
Perché Esiodo afferma che essi sono invidiosi e mal disposti verso gli altri? se non perché
ciascuno trae meno guadagno nel proprio ambito lavorativo, qualunque esso sia, se vi sono
molti che esercitano la medesima professione?
INT.: Per quale altro motivo infatti?, § 3
Una volta appurata l’utilità dell’esegesi e della disponibilità dell’uditorio, Dione
estrinseca la
della sententia, e la natura esegetica della sua analisi: Ermogene, a
proposito della chreia, scrive infatti
20
, 2, p. 6, 24-25 Spengel. Libanio nel primo progymnasma,
dopo aver riportato, variandolo leggermente, come abbiamo visto, il verso omerico, dice
“non afferma (sc. Omero) che non deve dormire per nulla, ma che non deve dormire
sempre, cosicché la parte del giorno dedicata al sonno salvi il sovrano, la parte dedicata
alla veglia il potere”, 8, p. 107, 16-19 F.
Dione affronta ai §§ 3-4 quella che possiamo definire la pars costruens della sua indagine,
che si articola in una serie di brevi
corrispondente alla sezione
: il macellaio, il tintore, il lenone. Essa
di Aftonio, nella quale lo studente o il retore
dovevano suffragare la validità della sententia citata. Aftonio offre accanto ai precetti
teorici anche dei modelli esplicativi piuttosto stringati, e nella sezione relativa alla
prende in esame i vv. 175-176 della raccolta teognidea: la povertà “deve fuggire e gettarsi,
o Cirno, nel mare dai mostri abissali e dalle alte rocce”. Egli argomenta come segue: “chi
vive in povertà per prima cosa non pratica la virtù nell’infanzia, divenuto adulto tutto è
per lui difficilissimo; come ambasciatore danneggerà la patria in cambio di ricchezze,
parlando nell’assemblea parlerà per l’argento, e da giudice si lascerà corrompere durante
la votazione”, 2, p. 26, 22-27 Spengel. Libanio, nel primo esercizio, illustra come il sovrano
non possa permettersi di dormire troppo a lungo, proprio a motivo di tutti suoi doveri:
dovrà, ad esempio, prendersi cura dei marinai, dei timonieri, delle armi, dei salari, delle
risorse di guerra, 8, p. 108, 15-16 F. Il retore Nicolao sulla
, argomenta così: “per primo infatti le mura delle città sono
56
innalzate da molte mani, ma compiute da una più saggia deliberazione; poi le attività per
mare: la nave è spinta da molti rematori, ma è governata dalle decisioni del timoniere; e
in battaglia gli eserciti lottano con molti soldati, ma lo stratego con le sue decisioni
consegue la vittoria”, 1, pp. 278-279, 16-5 Walz.
I §§ 5-6 costituiscono un sezione di passaggio fra la sezione
e quella
: Dione approva l’asserzione, presupposto della disamina, che coloro che
esercitano la medesima professione si invidiano e si odiano; propone di approfondire
l’analisi.
56
Il verso, tratto dall’Antiope di Euripide, fr. 19, 3,
.
21
Dione ai § 6-9 affronta la pars destruens,
di Aftonio, anch’essa si
articola in brevi esemplificazioni: il marinaio, il timoniere, il medico. In questa sezione del
progymnasma lo studente doveva esporre la situazione contraria rispetto a quella della
sezione
: in Aftonio leggiamo, ad esempio, “da fanciulli esercitano le cose
più belle, e da adulti compiono ogni cosa magnificamente, pagando le coreghie nel corso
delle feste, e portando il proprio contributo nelle battaglie”, 2, pp. 26-27, 29-2 Spengel. In
Libanio, nei primi due esercizi, al sovrano, cui non è concesso dormire troppo a lungo,
viene opposta la persona comune (
), la quale ha da amministrare soltanto una
casa modesta, tre o quattro schiavi e non molto denaro, 8, p. 110, 4-6 e p. 115, 1-5 F.
La storia di Democede, narrata ai §§ 10-11 con dovizia di particolari, corrisponde al
dei progymnasmata. È doveroso sottolineare che nei manuali e negli esercizi
pervenutici il paradeigma svolge il compito di suffragare la sezione
; nell’or.
77, invece, esso è funzionale alla dimostrazione della validità della sezione
. Le fonti degli exempla nei progymnasmata erano i ‘classici’, che lo studente aveva
studiato presso il
: nel primo modello della raccolta di Libanio, il
57
paradeigma è tratto dal decimo libro, la Doloneia: Ettore non permette che i Troiani
dormano, ma invita un volontario a osservare segretamente il campo acheo; mentre
Diomede e Odisseo si apprestano alla stessa impresa (8, pp. 111-112, 7-3 F.). Il retore
Nicolao, nel primo e nel terzo esercizio sulla
, utilizza un episodio tratto dall’opera
di Erodoto (7, 143): “osserva Temistocle, che da solo, quando i Persiani avevano ricoperto
la terra per il numero dei soldati e il mare con le triremi, avendo opposto una decisione
più saggia confutò tutta la preparazione militare dei barbari”, 1, p. 279, 10-14 Walz.
Infine il breve epilogo, o parak
secondo Pseudo-Ermogene e Nicolao,
Ma se per i timonieri e per i medici e per coloro che abbiamo or ora menzionato, non è meglio
vivere senza che vi siano colleghi nel mestiere, forse per gli accorti ed i saggi è migliore e
profittevole essere visti da soli?, § 14
“Texts from the classical canon provided models of the individual exercises in all the sources”, WEBB
(2001) 301.
57
22
Libanio nel primo esercizio termina così “il re, osservando queste cose abbandoni il
sonno, sapendo che non sono vicini l’oziare e il comandare molti (8, p. 112. 9-11 F.)”; nel
terzo “così, se siamo presi dal desiderio di avere successo, dobbiamo prenderci cura dei
redditi (8, p. 120. 13-14 F.)”
4. Struttura delle orr. 77 e 78
4.1 Or. 77
Proemio con un encomio del poeta Esiodo
Cap. 1 saggezza di Esiodo, citazione del verso 25 degli Erga
Cap. 2 Dione propone la disamina del verso esiodeo
Cap. 3a interpretazione del verso e definizione del tema della conversazione
Inizio della fase dimostrativa,
dell’orazione
Cap. 3b primi due esempi: il vasaio, il macellaio
Cap. 4 altri due esempi: il tintore, il lenone
Cap. 5a Dione trae le prime conclusioni: chi prativa un mestiere invidia chi gli fa
concorrenza
Cap. 5b altra citazione dagli Erga: verso 348, Esiodo non era solito dimostrare un
principio con molti esempi
Inizio della fase confutativa, anascheu dell’orazione
Cap. 6 esempio: il marinaio
Cap. 7a l’interlocutore inizia a comprendere il reale fine dell’analisi dionea e
propone l’esempio del timoniere
Cap. 8-9 il medico
Paradigma
Cap. 10-11a: Democede
Cap. 11b Dione fa un primo bilancio delle argomentazioni della seconda fase: non
tutti i lavoratori si odiano, contrariamente a quanto afferma Esiodo
23
Cap. 12-13 un altro esempio:gli armaioli, i costruttori di mura in una città che
rischia l’assedio
Cap. 14a l’asserzione esiodea vale solo per i vasai, i macellaio, i tintori e i lenoni, ma
non per i timonieri e i medici
Esortazione
Cap. 14b “Ma se per i timonieri e per i medici e per coloro che abbiamo or ora
menzionato, non è meglio vivere senza che vi siano colleghi nel mestiere, forse per gli
accorti ed i saggi è migliore e profittevole essere visti da soli?”
4.2 Or. 78
Proemio
Cap. 15 il saggio conosce il valore della virtù e non potrebbe invidiare alcuno
Cap. 16 rinvio discussione sulla ricchezza del giorno precedente, Hom Od. 17, 423
Inizio della sezione
Cap. 17 il saggio non invidia la fama altrui
Cap. 18 esempio dell’aulete; aulete Tebano
Capp. 19-20a parafigma di Orfeo
Cap. 20b il saggio riguardo il suo stato di salute non ascolta il giudizio dei più
Capp. 20c-21a Polidamante e Glaucone
Cap. 21b il saggio non dà peso alla lode della massa acnhe per quanto riguarda la
saggezza, la giustizia e ogni virtù
Conformità ad un solo giudizio
Cap. 22a esperto dell’arte del costruire non utilizza misure diverse ma una sola
Capp. 22b-24 esempio del pittore
Cap. 25 paradigma di Pandora
Ricapitolazione
Cap. 26 onori olimpici e pitici, iscrizioni dei demi e dei re, il saggio non ha bisogno
di segni esteriori
Cap. 27 Hom. Il 8, 233-234
24
Sezione sui piaceri del corpo
Capp. 28-29a il saggio non invidia i piaceri del corpo: cibi, bevande e rapporti
sessuali
Cap. 29b paradigma di Sardanapallo
Ricapitolazione delle sezioni sulla fama e i piaceri e paradigmi
Cap. 30 riassunto: il saggio non si cura di fama ricchezze e piaceri
Cap. 31a paradigma di Danae
Capp. 21b-32a paradigma di Creso
Cap. 32b paradigma Alcmeone
Cap. 33 il saggio preferisce l’anonimato, allusione a Esiodo Erga 25-26.
Condanna della corruzione dei filosofi
Capp. 34a- 35 i ricchi amano circondarsi dei cosiddetti filosofi
Capp. 34-35 paradigma di Circe
Cap. 36 incontinenti e castrazione
Qualità del vero saggio
Capp. 37-40a il saggio non vende la sua libertà e ammonisce tutti, Hom. Il. 12, 267
Cap. 40b paragone con i Lacedemoni alle Termopili
Cap. 41 il saggio non lascia rammollire il corpo
Cap. 42 qualità civiche del saggio
Cap. 43 paragone del medico
Cap. 44 Eracle e TrGF fr. 126
Cap. 45 il saggio, come il medico, tenta di curare le malattie dell’anima
5. Il testo
Questa non è un’edizione critica, ed il testo adottato in questa sede è quello dell'edizione
curata da von Arnim (1896) II 206-219, con un apparato decisamente più snello.
AVVERTENZE
Le sigle utilizzate per le riviste sono quelle dell’Année Philologique.
25
Le sigle utilizzare per gli autori e per le opere greci sono quelle dell’LSJ.
Le sigle utilizzare per gli autori e per le opere latini sono quelle dell’OLD.
I titoli degli scritti dionei, onde evitare l’utilizzo di nomi differenti per la medesima
orazione, sono citati secondo la nomenclatura di Desideri, per la quale si rimanda alla sua
monografia58.
58
DESIDERI (1978) 583-599.
26
1
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2 —
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5
(vel ) libri,
Causabon 10
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ceteri 17
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suppl. a corr. P 13
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17
M, in UM
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om. PH 10
16
libri, corr. Reiskius
( - a corr.) U libri 20
29
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________________________________________________________________________________
4
restutuit Arnim ex Herodoto
PH 8
H
U m. pr. BMP 12
libri, corr. Dind. 20
PH
Pflugk
libri 22
P (?)
ceteri
UBM;
Seld.
U m. pr. BM
om. PHM 17
M
Arnim,
PH
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(
PH
5
a corr.) U 19
UB 21
30
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17
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18 —
________________________________________________________________________________________________
1
seclusit Arnim
pro
M2
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seclusit Emp. 3
PHM
B
U m. pr. 5
om. U m. pr. BM inde ab his verbis deficiunt PH 7
pro
U 15
’ Od. 17, 423;
’ libri (at M in rasura) 18
Emp.
M (om.
) UB 21
Arnim
libri
Reiskius transposit post
24
Reiske
M
UB
31
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20
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21
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22 —
________________________________________________________________________________________________
6
del. Wil. 13
libri, corr. Selden. 14
seclusit Arnim, potuit per dittographiam
oriri 15
M
UB 16
Causab.,
M
U
B 19
add. Reiske 20
hic seclusit Reiske, addidit l. 23 24
M 25
om. M
32
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23
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________________________________________________________________________________________________
4
bis exaravit U m. pr. 11
libri, corr. Dind. 15
om. U 17
B
Arnim
libri 23
25
Gasda, Arnim non probavit 25
libri, corr. Emp. 26
libri, corr. Emp.
33
26
27
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________________________________________________________________________________________________
3
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libri, corr. Dind.
libri, corr. Dind. 6
B 10
M
UB 11
Emp.,
libri 14
libri
corr. U 15
Causab.,
libri 20
U
Geelius,
libri
22
UB 24
BM 25
M
(at et a corr.)
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________________________________________________________________________________________________
1
6
U m. pr. 8
add. Reiske 10
(compendio) pro
U
m. pr. 11
seclusit Arnim 12
(vel - ) UBM
T 13
U (at a corr.)
14
add. Emp. 23
ante
U 26
M
UB
Pflugk.,
libri
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1
om. U 7
scripsit Arnim,
libri 10
libri, corr. Dind. 10
secl. Wil.,
Emp. 13
corruptum,
Wil. 15
M
U 18
Reiskius,
libri 20
Emp. dubitans,
libri 23
seclusit Arnim
36
,
,
,
,
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38
’
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39
40
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41
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________________________________________________________________________________________________
1
Causab.,
libri
Emp., ’
UB
M5
scripsit Arnim,
libri 10
Casaub.,
libri 11
,
libri, corr. Wil. 20
Geelius
libri
libri,
Geel.
suspiciose, quia
=
22
— 23
del. Geelius 23 — 24
seclusit
Arnim, idem voluit Hertlein
37
.
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45
________________________________________________________________________________________________
5
libri, corr. Dind. 6
add. Geelius 17
UB metrum sic restituit
Emperius:
20
libri, corr. Emp. 23
Causab.,
M
UB
38
Traduzione or. 77: Sull’invidia
1. DIONE: Proprio per tutti questi motivi Esiodo fu celebre presso i Greci per la sua
saggezza e non si dimostrò in alcun modo immeritevole di tale reputazione: egli infatti
non compose e cantò i suoi poemi grazie ad un’arte umana, ma perché incontrò le Muse e
ne divenne allievo? Ne consegue che quanto gli venne in mente lo espresse in maniera
musicale e sapiente e non espose nulla di inutile, come questo verso dimostra.
INTERLOCUTORE: Quale?
D.: ed il vasaio invidia il vasaio ed il carpentiere il carpentiere.
2. INT.: Esiodo compose molti altri bei versi sulle attività umane e sulle cose divine e su
questioni più importanti di quella ora menzionata. Comunque le sue parole manifestano
una vera ed esperta cognizione della natura umana.
D.: Desideri che le esaminiamo in maniera più approfondita?
INT.: E come potrà una tale folla sopportarci mentre discutiamo di tali cose?
D.: Perché? Non sono venuti per ascoltare parole sagge su parole sagge?
INT.: Affermerebbero di si, così mi pare.
D.: Forse considerano Esiodo mediocre e di poco valore?
INT.: Assolutamente no.
D.: Non sarebbe per loro utile ascoltare (discorsi) sull’invidia e sulla gelosia, su chi siano
coloro che provano tali sentimenti verso gli altri e per quali motivi?
INT.: Si tratta certamente della cosa più utile di tutte.
3. D.: Dunque è necessario che mettiamo gli uomini alla prova. Perché Esiodo afferma
che essi sono invidiosi e mal disposti verso gli altri? Forse perché ciascuno trae meno
guadagno nel proprio ambito lavorativo, qualunque esso sia, se vi sono molti che
esercitano la medesima professione?
INT.: Per quale altro motivo infatti?
D.: Se ad un vasaio conviene che nella stessa città e villaggio non lavori un altro vasaio,
ciò non sarebbe conveniente anche per un macellaio? Egli potrebbe così vendere a coloro
39
che ne hanno bisogno qualsiasi tipo di carne egli abbia, anche una bestia da macello
minuta o vecchia.
INT.: È ovvio che ciò sia conveniente anche per il macellaio.
4. D: Il tintore non preferirebbe esercitare la propria professione da solo piuttosto che far
fronte alla concorrenza di altri rivali nel mestiere? Potrà così vendere alle donne qualsiasi
tinta, poiché si accontenteranno di comperarne di poco migliori rispetto a quelle con le
quali sono solite tingere nelle fattorie, e non desidereranno né i colori indelebili né le
porpore.
INT.: Come infatti li desidereranno?
D.: Ed il lenone? Non guadagnerebbe più denaro se da solo portasse questo motivo di
vergogna e godesse di cattiva reputazione senza doverli dividere con altri, sia che nutrisse
e addestrasse tale genia in città, sia che la portasse alle Termopili e alle altre feste?
INT.: Credo che il lenone si auguri di avere pochi concorrenti nella sua attivà.
5. D.: Esiodo riteneva che tutti coloro che esercitano il medesimo mestiere si danneggino e
siano d’ostacolo gli uni agli altri per il sostentamento?
INT.: Tutti, come è verosimile.
D.: Esiodo però non era solito esaminare ogni problema nei singoli dettagli. Ed infatti in
riferimento ad altri argomenti illustrò un concetto soltanto con uno o due esempi.
Asserisce ad esempio che nessuno perde un bue senza che sia coinvolto un vicino
malvagio; certo non intende dire che se un vicino malvagio dovesse ammazzare un bue o è
complice di un altro, non ucciderebbe , se potesse farla franca, una pecora o una capra di
quelle belle che danno molto latte e partoriscono gemelli. È indubbio che si rivolge ai
lettori dei suoi poemi come a persone assennate. 6. Riassumendo possiamo affermare che
il poeta con una breve enunciazione asserisce: coloro che svolgono lo stesso mestiere non
si amano e non traggono alcun vantaggio gli dagli altri?
INT: Senza dubbio.
D.: Suvvia per gli dei, la navigazione è un mestiere, o la definiresti un'attività inferiore
alla professione del vasaio o del macellaio?
INT.: È indubbiamente un'attività non inferiore.
40
D.: Un marinaio potrebbe portare a termine il proprio lavoro su una grande nave con
molte vele, che trasporta molto carico e molti passeggeri? Sarebbe per lui un vantaggio
navigare senza che vi sia un altro marinaio sulla nave che conosca l’arte della navigazione
quanto lui? Se, d’altra parte, fossero in tanti, si danneggerebbero e nuocerebbero
vicendevolmente? In conseguenza di ciò in una nave la maggior parte dei marinai si odia?
7. INT: Quella dei marinai è un’altra faccenda. Ma ritengo che un timoniere non
gradirebbe la presenza di un altro timoniere sulla stessa nave.
D.: Se dovesse sorgesse una forte tempesta ed egli, perché vecchio e a causa della forza
del mare, non fosse in grado di controllare uno dei due timoni, allora si rammaricherebbe
della presenza di un altro timoniere e non si augurerebbe invece di vedere qualcuno che
gli dia il cambio? O se avesse necessità di dormire, poiché veglia da molte notti e molti
giorni di seguito, anche in questo caso odierebbe un altro timoniere e considererebbe la
sua presenza sulla nave un danno per se?
INT.: È probabile che in tal caso non lo odierebbe. Come potrebbe infatti? Ma noi non
stiamo discutendo della navigazione né di ciò che avviene in mare.
8. D.: Bene; il medico guarisce sulla terra ferma e non pratica una professione inferiore a
quella dei carpentieri.
INT: Perché ciò?
D.: Credi che egli desideri essere l’unico medico in una città così grande,
particolarmente se vi sono molti malati?
INT: Che cosa gli impedisce di voler essere il solo? Tanto peggio per gli altri: essi non
possono essere curati da un’unica persona e la sua attività è così più onorata. È difatti
impossibile dire quali e quanti onorari riceverebbe, unico medico fra tanti malati.
D.: Ma io non ti parlo certo di un medico pazzo.
9. INT: Come? Ti pare che sia proprio di un pazzo desiderare di ricevere grandi onori e
di guadagnare molte ricchezze?
D.: Io lo reputo certamente pazzo, se si rallegrasse che non vi sia alcuno capace di curarlo
o somministrargli la mandragora o un altro medicinale, qualora fosse colpito da febbre
letargica o da delirio febbrile. E ciò solo per poter essere l’unico in città a ricevere
41
compensi e onori. Se dunque insieme a lui si ammalassero i figli e la moglie e gli amici,
tutti gravemente, allora desidererebbe non poter trovare nessun altro medico che li
soccorra? E se questo fosse presente, lo invidierebbe, come dice Esiodo? Potrebbe
considerare un nemico colui che salva lui e i suoi cari? 10. Supponi che avvenga qualcosa
di simile a quanto accadde ai medici Egizi; quelli infatti volevano guarire Dario il
Persiano, a cui per una caduta da cavallo si era spostato l’astragalo. Essi non furono in
grado di guarirlo secondo i precetti della loro professione, ma lo gettarono nell’insonnia e
gli cagionarono terribili sofferenze, essi infatti tendevano e trattavano l’arto con durezza.
Dario ordinò che venissero imprigionati, torturati ed uccisi. Il re venne a conoscenza della
presenza di un medico Greco fra i suoi schiavi. 11. Lo fece chiamare, e gli ordinò, oramai
disperato, di aiutarlo, se fosse in grado. Era Democede il Crotoniate, il migliore medico
Greco. Questi lo fece immediatamente addormentare, applicò cataplasmi e fomentazioni,
si prese cura del resto, e lo guarì in pochi giorni. Dario gli ordinò di prendere ciò che
desiderasse, ma Democede richiese la liberazione dei medici Egizi. Ed essi furono
certamente rilasciati grazie alla sua intercessione. Ritieni dunque che i medici Egizi
provarono invidia nei confronti di Democede e lo cosiderarono un nemico come Esiodo
afferma dei vasai e dei carpentieri, stimando, cioè, per loro più vantaggioso che non fosse
presente alcun altro medico che guarisse il sovrano? O invece lo amarono tanto e gli
furono grati?
INT.: Verosimilmente gli furono grati.
12. D.: Nelle città lavorano fabbricanti di corazze e di elmi e costruttori di mura e
fabbricanti di lance e molti altri artigiani. Mi interesserebbe veramente sapere se per questi
è conveniente che in ciascuna città ci sia un unico artigiano nella propria professione
invece che in numero sufficiente. Se i nemici si avvicinassero, la città fosse priva di mura, e
non tutti possedessero un’armatura, è naturale che la città e i suoi abitanti si trovino in
pericolo essendo privi di armi e di mura. 13. Caduta la città verranno catturati e incatenati
(se non vengono uccisi), e verrano costretti a lavorare per i nemici gratuitamente, poiché
vissero mollemente e vendevano le corazze e gli elmi e le lance a caro prezzo. Capiranno
che non agirono né rettamente né per il loro interesse, qunado il fabbro invidiò e odiò il
42
fabbro ed il carpentiere il carpentiere. Capiranno inoltre che essere l'unico nella propria
professione non è vantaggioso e preferibile. 14. Il principio enunciato da Esiodo è valido
esclusivamente per i vasai e macellai e tintori e lenoni. Certamente l’invidia e la gelosia ed
il non volere nessun concorrente nella propria attività, sia che si tratti della professione del
macellaio che del tintore che del vasaio, sono più appropriati al lenone che ai medici e ai
timonieri o a coloro che svolgono una professione più seria. Ma se per i timonieri e per i
medici e per coloro che abbiamo or ora menzionato, non è meglio vivere senza che vi siano
colleghi nel mestiere, forse per gli accorti ed i saggi è migliore e profittevole essere visti da
soli?
INT.: Per nulla.
43
Traduzione or. 78: Sull’invidia
15. DIONE: L’uomo saggio e benevolo è magnanimo, esente dal dolore, consapevole
dell’utilità della propria e dell'altrui virtù. Egli è inoltre consapevole che mai nessun altro,
neppure uno dei più inetti, invidierebbe ad alcuno ciò, che è bene comune di tutti. Inoltre
non ammira assolutamente né considera di alcun valore ciò che suscita nella massa invidia
e gelosia, come dicevamo ieri riguardo la ricchezza. 16. Così non invidierebbe ad alcuno
l’oro o l’argento o le greggi o la casa o qualcos’altro di cui dicevamo. Un altro poeta, il
quale non volle esprimare la propria opinione ma quella degli uomini, afferma infatti:
i quali vivono bene e sono chiamati ricchi;
egli intende dire che vengono chiamati ricchi, senza esserlo in realtà. 17. Bene; l’uomo
nobile e perfetto non si lascia corrompere dalle ricchezze. Ma riguardo alla fama? Potrebbe
egli contendere e invidiare coloro che vedesse onorati maggiormente dalla folla? O diremo
che non ignora che la fama è la lode dei più, se dei più, chiaramente degli ignoranti?
INTERLOCUTORE: È assolutamente inverosimile che egli lo ignori.
18. D.: Credi che un buon flautista si compiaccia della propria arte e sia orgoglioso
dell'onore riservatogli da persone inesperte dell'arte musicale? Si esalterebbe se gli
stessero intorno giovani porcari e pastori che lo ammirano e battono le mani?
Considererebbe la loro lode la cosa più importante? Ma in verità il flautista Tebano lo
dimostrò: non si curò né del pubblico presente a teatro né dei giudici inesperti dell’arte di
suonare il flauto, benché gareggiasse per ottenere il premio e la vittoria; nondimeno non
ardì allontanarsi dal ritmo opportuno, dichiarò infatti suonare per se stesso e le Muse. 19.
Credi che Orfeo, figlio della Musa (se è vero il mito che lo riguarda) si rallegrerebbe
mentre uccelli volano giù verso di lui mentre canta, mentre bestie, ammaliate dalla sua
voce, giacciono presso di lui mansuete e senza fare rumore qualora iniziasse a cantare? Si
rallegrerebbe inoltre mentre alberi in frutto e in fiore gli si avvicinano, e pietre si muovono
e lo ascoltano, così da formare presso di lui grandi colonne di pietre? Si rallegrerebbe al
vedere ciò, e, orgoglioso, riterrebbe di aver raggiunto l’apice del successo musicale, più
che se sua madre Calliope lo lodasse mentre suona la cetra e gli dicesse accarezzandogli il
44
capo che ha raggiunto una sufficiente competenza dell'arte musicale e che è diventato il
migliore? 20. Io infatti credo che riguardo la musica preferirebbe essere lodato da
Filammone o qualcuno di coloro che allora erano esperti del canto con accompagnamento
della cetra piuttosto che da bestie e uccelli. Egli non presterebbe alcuna attenzione
neppure ai cigni che lo dovessero accompagnare nel canto, poiché non sono in possesso di
un’abilità tecnica e non hanno una conoscenza dell’arte di cantare. E poi? L’uomo saggio
riguardo la sua salute accetterebbe la testimonianza e la lode di un medico e di un esperto
della cura del corpo o di molte migliaia di uomini ignoranti, i quali, se ciò accadesse,
esalterebbero qualcuno enfiato e purulento a causa di una malattia come se fosse
Polidamante il Tessalo e Glaucone di Caristo, stimandolo superiore per vigore? 21. Quanto
concerne il suonare il flauto e il canto con l’accompagnamento della cetra e l’eccellere nella
lotta e nel pugilato, l’approvazione degli esperti è per coloro che sono competenti più
dolce e degna della più grande attenzione rispetto a quella di tutti gli altri. In riferimento
alla saggezza e alla giustizia e ogni virtù la lode degli sciocchi e dei primi venuti rallegra il
saggio e ne soddisfa l’intelligenza?
INT.: In nessuna maniera.
22. D.: Credi che l’esperto dell’arte del costruire, qualora voglia fabbricare qualcosa diritto,
si persuada, felice, dell’esattezza del suo lavoro se ha utilizzato un regolo e ha misurato
con una cordicella o se ha regolato e misurato con molti legni irregolari? Per Zeus, hai
sentito di quel raffinato pittore il quale aveva esposto al pubblico un quadro meraviglioso
e accurato, rappresentante un cavallo? 23. Dicono che avesse ordinato al figlio di
sorvegliare coloro che l’avrebbero guardato, di memorizzare le loro critiche e i loro elogi e
di riferiglieli. Si narra che ognuno esprimesse sul quadro un parere differente e criticasse,
chi la testa, chi i fianchi, chi le zampe. Osservavano inolte che, se ciascuna di queste parti
fosse state dipinta in altro modo, il quadro sarebbe stato assai più bello. Si narra inoltre
che dopo aver udito ciò che il figlio gli riferì, e dipinse un altro quadro secondo l’opinione
e il giudizio dei più, e ordinò che fosse posto accanto al primo. La differenza fra le die
opere era notevole: la prima era dipinto con grande precisione, la seconda era invece
orrendo e assai ridicolo, simile a tutto tranne che a un cavallo. 24. È chiaro che se chi
45
necessita l’approvazione dei più e considera il loro biasimo o la loro lode più importante
della propria opinione, agirà in tal modo e desidererà adattarsi al giudizio dei più. Egli
somiglierà più che al primo cavallo, opera vile dell’arte di un solo pittore, all’altro
meraviglioso prodotto artistico frutto dell’arte di molti, che non soddisfa neppure i
medesimi artisti, perché dipinto secondo il proposito e l’attività creativa di tutti. 25. Il mito
narra, similmente, che Pandora non fu opera di una sola divinità, bensì di tutte: ciascuno
degli dei contribuì alla crazione offrendo un dono diverso. Pandora non si rivelò essere né
opera saggia né destinata a un buon fine, ma sventura variamente multiforme per coloro
che l’accettarono. Se la moltitudine e il popolo degli dei pur creando e lavorando insieme
non fu capace di forgiare alcunché di bello e di irreprensibile, che cosa si direbbe di ciò che
è creato dall’opinione umana, si tratti di un modo di vivere o di un essere umano? È chiaro
che se uno fosse in verità assennato per natura, non presterebbe alcuna attenzione
all’opinione dei più e non cercherebbe in alcun modo di ottenerne la lode, né la
considererebbe di conseguenza grande o degna di onore o buona, per così dire. E poiché
non la ritiene un bene, sarà incapace di invidiare coloro che la possiedono. 26. Dunque un
uomo siffatto, nobile e saggio e moderato, non inseguirà le ricchezze e le lodi e le corone
olimpiche e pitiche e le iscrizioni nelle colonne e le testimonianze scritte di comunità e
sovrani, per divenire illustre e noto, vivrà invece in maniera corretta e modesta per quanto
è possibile. La sua stessa intelligenza lo rende umile e moderato; egli non sentirà il bisogno
di ornamenti esteriori né di onori fittizi né di falere né di piume, come i mercenari
mediocri, i quali indossano piume e cimieri, fanno dipingere Gorgoni sugli scudi, e
battendo questi con le lance, poi fuggono, al sopraggiungere di un piccolo pericolo. 27. È
possibile vedere molte persone simili fra coloro che sono considerati agiati, comandanti e
demagoghi e sofisti, i quali si vantano nei teatri e presso i discepoli e nelle tende
dell’accampamento, se capita che siano ubriachi a mezzogiorno,
che ognuno avrebbe affrontato anche cento o duecento Troiani;
ma se un solo uomo li assale e li insegue, fuggono a precipizio, e si rivelano tutti indegni
di lui. 28. Inoltre non dà valore ai piaceri del mangiare, del bere o del sesso, o alla bellezza
di una donna, alla grazia di un fanciullo; non desidera ottenerli né attribuisce loro alcuna
46
importanza. Egli non stima beato chi li consegue, sia che si tratti di satrapi e dinasti e, per
Zeus, di artigiani e di schiavi nati in casa i quali si sono arricchiti, chi grazie alle loro
capacità, chi per aver derubato i loro padroni. Egli non si addolorerebbe certo per la
mancanza e l’assenza di questi piaceri né si considererebbe infelice per questo motivo.
Non li invidia né trama in ogni modo contro di loro né si augura la loro rovina. 29. O
ammetteremo che l’uomo nobile e magnanimo abbia le stesse debolezze dei cani, dei
cavalli e degli altri animali? Questi infatti sono incapaci di dominarsi, e quando notano
altri che si saziano e si accoppiano, essi si adirano, fremono e sono in collera con coloro
che ne godono, e sono pronti a saltare su, mordere, cozzare con le corna, combattersi in
ogni maniera per godere di questi piaceri. Diremmo che l'uomo nobile e magnanimo si
comporterà in tale modo? Affermerà che sono cose importanti? Riterrà di dover imitare
Sardanapalo, il quale testimoniò di aver trascorso la sua vita banchettando e dedicandosi
ai piaceri con gli eunuchi e le donne? Per questo potrà invidiare la felicità delle capre e
degli asini?
30. INT.: Pensare che un uomo misurato e colto agisca in tale maniera saerebbe empio.
D.: Se egli non considera la fama, in beni, i piaceri del mangiare o del bere, i rapporti
sessuali fonte di beatitudine, ne li ritiene desiderabili e di valore, essi non costituiranno
per lui motivo di contesa e invidia, come egli non potrebbe invidiare la sabbia sulle
spiagge o il rumore e l’eco delle onde a quanti abitano presso il mare. 31. Neppure se oro
scendesse dal cielo e gli riempisse il seno: si narra che oro colò su Danae (a motivo della
sua bellezza), mentre veniva sorvegliata in una camera di bronzo. Neppure se un torrente
gli trasportasse oro abbondantissimo, come se fosse fango: dicono che prima il Pattolo, che
attraversa Sardi, trasportasse a Creso ricchezze pronte, tributo e imposta superiore a
quello di tutta la Frigia e la Lidia e i Meoni e i Misi e tutti coloro abitano oltre il fiume Alis.
32. Né Solone né un altro dei saggi di allora invidiò l’Alcmeone che ricevette da Creso il
dono: si narra infatti il Lidio aprì i suoi tesori e gli consentì di prendere tutto oro che
volesse. Alcmeone entrò, si riempì del dono regale con fare molto audace: indossava il
chitone lungo sino ai piedi, aveva riempito la profonda piega del vestito femminile,
indossato deliberatamente calzari grandi e vuoti, e infine aveva cosparso la chioma e la
47
barba con polvere (d’oro) e riempito la bocca ed entrambe le guance. Si narra che uscisse a
fatica, come un flautista che suona il parto di Semele, offrendo a Creso e ai Lidi uno
spettacolo risibile. 33. E in tali condizioni Alcmeone non si dimostrò degno di una dracma.
Come dicevo, egli non invidierebbe la fama di chi vedesse applaudito e incoronato da
dieci o ventimila persone, il quale si comporta in modo altero e superbo come un cavallo
vittorioso, e viene scortato da più persone di quante non accompagnino gli sposi. Egli
invece preferirebbe essere meno conosciuto dei mendicanti, più solo di coloro che
giacciono nelle strade, considerato da tutti indegno di parola, come dicono che erano una
volta i Megaresi, poiché erano incapaci di adulare e di conversare con grazia: egli è per
natura severo e amico della verità né dissimula. Non sarà simile ai vasai, ai carpentieri ed
agli aedi, né si piega perché si trova in indigenza. Non muta il suo modo d'agire perché si
vede disprezzato, né diviene perciò un adulatore e un ciarlatano invece che nobile e
sincero. 34. Ma perché alcuni ricchi desiderano essere serviti da persone che affermano di
essere libere, e desiderano vedere presso le loro porte i cosiddetti filosofi umili e
disprezzati, per Zeus, come Circe voleva che la sua dimora fosse sorvegliata da leoni
codardi e spaventati? Non erano veri leoni quelli che la sorvegliavano, ma uomini miseri e
sciocchi, rovinati dalla rilassatezza dei costumi e dalla pigrizia. 35. Se qualcuno vedesse
uno dei cosiddetti filosofi scodinzolare umilmente presso i cortili e le porte dei ricchi, si
rammenterebbe lecitamente di quei leoni, simili a cani affamati e codardi, che ululano in
modo assai acuto, poiché sono corrotti da stregonerie. Ma non saprei come definire questo
desiderio. Sono migliaia coloro che volontariamente e con grande impegno corteggiano i
ricchi e i potenti; il mondo è pieno di adulatori che fanno ciò con esperienza e arte. 36.
Perciò non per mancanza di questo bene lo richiedono a chi è naturalmente dotato, ma il
loro comportamento può essere paragonato ciò che fanno uomini eccessivamente
dissoluti, i quali, benché vi siano donne in abbondanza, a causa della loro tracotanza e
della loro ingiustizia desiderano trasformare uomini in donne, prendono dei fanciulli e li
castrano. Onde nasce una razza peggiore e infelice , più debole e femminea delle donne
stesse. 37. Ma all’uomo veramente coraggioso e magnanimo ciò non potrebbe accadere né
egli potrebbe rinunciare alla propria indipendenza e la propria libertà di parola per
48
qualche onore indegno, potere o ricchezze; egli inoltre non invidierebbe coloro che
cambiano parte e mutano le vesti per questi doni, al contrario li considererebbe simili a
coloro che vengono trasformati da uomini in serpenti o altre bestie. Egli non li imiterà né li
invidierà per la loro mollezza, proverà invece per essi pietà e commiserazione, qualora per
si taglino i capelli, anche in tarda età, per ottenere come i bambini, quei doni. 38. Egli per
quanto concerne se stesso tenterà di curarsi dignitosamente e con sicurezza, non
abbandonerà mai il suo posto, onorerà e incrementerà sempre la virtù e la saggezza, e
tenterà di condurre tutti ad esse: alcuni li convincerà ed esorterà, altri li biasimerà e
rimprovererà, se potesse allontanare qualcuno dalla stoltezza, dai desideri ignobili, dalla
dissolutezza e dalla mollezza. Li prenderà da parte e li ammonirà in gruppo, ogni qual
volta ne capiti l’occasione
a volte con parole cortesi, altre dure.
39. E farà ciò fino a quando, ritengo, avrà trascorso la sua vita dandosi pensiero degli
uomini, non dei buoi né dei cavalli né dei cammelli e delle case, corretto nel parlare,
corretto nell’agire, per chiunque mite compagno di viaggio o di navigazione, presagio
felice per chi sacrifica. Egli non provoca lotta né avidità né contese né invidie né guadagni
infami, invece richiama alla memoria la prudenza e la giustizia e fa crescere la concordia,
per quanto è possibile cacciando il desiderio insaziabile e l’impudenza e la debolezza
morale, più sacro degli araldi che in tempo di guerra recano le tregue. 40. Egli vuole e
desidera, per quanto è nelle sua capacità, essere utile a tutti. Talvolta è sopraffatto da altri
uomini e attività; la sua forza è poca o nulla. Infine purifica la sua facoltà di comprendere
con la ragione e tenta di renderla libera, combattendo per la propria libertà contro i piaceri
e la gloria e tutti gli uomini insieme con i pochi che desiderano aiutarlo assai più di quanto
fecero gli Spartani, i quali occuparono le Porte e combatterono contro tutta l’Asia, benché
pochi di numero, per tre giorni e tre giorni di seguito, finché furono circondati per il
tradimento di un solo uomo, e, rimasti nello stesso luogo furono datti a pezzi: [infatti
ritenevano di difendere Sparta priva di mura]. 41. Egli esercita il corpo e lo abitua alla
fatica secondo le proprie forze, non si lascia così fiaccare da bagni e oli profumati e
unguenti, per non divenire indolente e vizioso, come un vaso di pessima fattura. Alcuni
49
nel vedere ciò affermano che egli esercita il corpo perché stupido e folle, e poiché non si
cura della ricchezza e degli onori e non è alla ricerca del piacere continuo, lo disprezzano e
lo considerano pazzo e non lo tengono in alcuna considerazione. 42. Egli non tuttavia è
con loro in collera né se la prende, ma, ritengo, si comporta con ciascuno più
benevolmente del padre e dei fratelli e degli amici. Egli nutre rispetto per i suoi
concittadini e gli amici e i parenti, nonostante ciò non dissimula, perché li considera più
familiari e indispensabili di quelli, e, per quanto è possibile, tende i discorsi e ammonisce
ed esorta se stesso e agli altri con più energia. 43. Il medico, che per necessità deve curare il
padre o la madre o i propri figli o anche se stesso perché non è presente alcun altro
medico, se si trovasse nella condizione di dover operare o cuaterizzare, non lo farebbe con
un bisturi ottuso né con una fiamma tiepida perché ama i figli e onora il padre e la madre,
al contrario (con un bisturi) più appuntito e (con una fiamma) più calda possibile. 44.
Dicono che Eracle, ad esempio, poiché non poteva guarire il corpo colpito da una terribile
malattia, chiamò i suoi figli e ordinò loro di bruciarlo come su un rogo funebre con fuoco
vigorosissimo. Poiché i figli esitavano e si voltavano dall’altra parte li insultò definendoli
codardi e indegni di lui, simili piuttosto alla loro madre, e disse loro, come afferma il
poeta:
dove vi volgete, o vili
e indegni di essere mia progenie,
immagini di vostra madre Etolica.
45. È necessario che l'uomo saggio si rivolga prima a se stesso e ai più cari e prossimi con
la più grande franchezza e libertà, senza esitare né essere arrendevole nei discorsi. Difatti ,
per Zeus, uno spirito corrotto non da unguenti o da bevande né da un qualche veleno
usato come unguento, ma dall’ignoranza e dalla malvagità e dall’arroganza e dall’invidia e
dal dolore e infiniti desideri, è molto peggiore di un corpo danneggiato e malato. Questa
malattia e sofferenza è più difficile da curare di quella che colpisce il corpo e richiede una
cauterizzazione più grande e vigorosa. È necessario invitare senza esitazione a tale
guarigione e liberazione il padre, il figlio, i parenti, l’estraneo, il concittadino e lo straniero.
50
Commento or. 77: Sull’invidia
it. Il titolo
è attestato nel codice 209 della Biblioteca del Patriarca Fozio (
); della nostra tradizione diretta i codici
Meermannianus (M, unico a riprodurre la numerazione delle orazioni testimoniataci da
Fozio), e il Vaticanus 91 (H) offrono la sola titolazione
; l’Urbinas Gr. 124 (U)
e il Parisinus Gr. 2958 (B), entrambi riproducenti la numerazione aretea, danno come titolo
; laddove il Palatinus Gr. 117 (P) lo omette completamente. Von Arnim
sostenne che i titoli delle orazioni non siano da ascrivere a Dione, bensì a un redattore
successivo, (1898) 204-205.
§ 1
...
lo scritto si apre con un breve exordium contenente l’encomio del
poeta Esiodo e della sua produzione poetica. Vengono menzionati gli elementi distintivi
della tradizione esiodea: la sua attività come poeta e come esecutore delle sue opere;
l’incontro con le Muse presso l’Elicona e l’investitura poetica. Sono elementi
austoschediastici, cioè rintracciabili nella Teogonia (su ciò si rimanda Kambylis (1965)
31-68)). Particolare attenzione riceve la saggezza del poeta e delle sue opere (al rigo 25 p.
206 von Arnim egli stesso è detto
produzione è definita
; al rigo 2 p. 207 von Arnim l’intera sua
); essa non deriva da una superiorità di Esiodo
o da una tecnica appresa da altri aedi, ma è frutto dell’insegnamente e dell’ispirazione
divina. Licino, nello scritto lucianeo Dialogo con Esiodo, rivolge al poeta epico parole
elogiative simili
,
,
-
-
, § 1. Merita di essere notato che il reale intento
di Licino non è elogiare il poeta, ma (e ciò si chiarirà nel corso del breve scritto) di
criticarlo. Tale exordium, ingannevolmente encomiastico, pare riallacciarsi alla tradizione
della eironeia socratica: si veda il prologo dello Ione platonico (per una definizione
dell’ironia, perticolarmente nei dialoghi platonici, si rimanda a Boder (1973); Rutherford
51
(1995) 77-78). Una chiave di lettura di questo passo potrebbe essere rappresentata dal
desiderio di Dione di richiamarsi a questa tradizione dialogica di impronta socratica.
Ma un approccio differente potrebbe nascere dalla disamina dei progymnasmata: secondo
la precettistica dei manuali di retorica relativi ai progymnasmata sulla chreia e sulla
l’esercizio doveva iniziare propriamente con un breve encomio del citato,
, Herm. Prog. II 6, 19-20 Spengel;
,
, Nicol. Prog. III 463, 7-9. Valga un esempio per tutti tratto
da un progymnasma sulla
di Nicolao Sofista, dedicato al verso 208 delle Opere e
giorni di Esiodo:
,
,
,
,
,
,
, Walz I 281, 3-7.
§1
l’exordium è ex abrupto: il lettore è proiettato nel dialogo fra
Dione ed il suo anonimo interlocutore senza alcuna prolusione, dalla quale egli possa
trarre indicazioni sul luogo preciso e l’occasione del dialogo stesso. Diversamente avviene
in altre scritti ben più impegnativi del corpus dioneo quali il Boristenico, l’Euboico e in
diversi dialoghi platonici e senofontei (Simposio, Fedro, Ione, Simposio), letture canoniche e
modelli incontestati dell’educazione sia filosofica che retorica di ogni pepaideumenos (Trapp
(1990) 141-173 e (2000) 213-239). Queste prime parole di Dione suscitano il dubbio che una
prima parte della conversazione, nella quale si è discusso diffusamente della poesia
esiodea, si sia appena conclusa. Del resto questo così vistoso rinvio ad altre
argomentazioni potrebbe ingenerare il convincimento che lo stato del testo del dialogo
conservatosi sia dovuto ad una mutilazione dell’esordio: che, cioé, nella storia della
trasmissione del corpus dioneo sia andata perduta la prima sezione di questa ‘lezione’
filosofica-letteraria. Ma se questo fosse realmente il caso, ci troveremmo dinanzi ad un
redattore finale piuttosto maldestro, il quale nel suo frettoloso lavoro di “taglia e cuci” ha
trascurato di rimuovere un riferimento (troppo evidende proprio perché al principio dello
52
scritto) alla sezione appena soppressa. Ben più plausibile è l’ipotesi avanzata da Hirzel
(1895) II 115: tale exordium scaturirebbe dalla volontà di Dione stesso di riprodurre la
spontaneità e l’accidentale dipanarsi dell’insegnamento dialogico improvvisato. A
commento dell’inizio del discorso Euboico, che con la nostra orazione condivide tale
elemento distintivo Russell sottolinea che “the abrupt beginning may be just a device, a
way of plunging in medias res, leaving the reader to infer the purpose of what is said”,
(1992) 109. Incipit di tale natura, infatti, non sono inconsueti nel corpus dioneo: all’inizio
dell’orazione Sulla pace e sulla guerra leggiamo
, 22, 1; vd. inoltre le orr. 23, 25, 56, 60, 67, 70.
1
...
l’immagine della saggezza esiodea ricorre in altre orazioni di Dione:
nelle orazioni 7, 110 e 12, 23. Nella sezione dell’Euboico (l’or. 7 appunto) comprendente i §§
109-122, Dione delinea una netta distinzione fra le attività degne di un uomo integerrimo e
quelle che un padre, desideroso di insegnare una professione al proprio figlio, non
dovrebbe neppure prendere in considerazione, si tratta di riflessioni di ordine morale e
non sociale, e auctoritatis gratia viene menzionato Esiodo, il quale “essendo uomo saggio
(
), non avrebbe mai approvato qualsiasi professione, se avesse ritenuto che
alcunché di malvagio e turpe avesse tale nome”, 7, 110 (il riferimento è a Op. 311, vedi a
commento del passo dioneo Russell (1992) 141). Nell’Olimpico, dopo la prolalia e all’inizio
della propositio Dione domanda al suo pubblico se non debba esordire come fece Esiodo, il
quale invocò l’ausilio delle Muse, “e quale poeta più saggio (
) e
migliore di quello che per la sua opera invoca aiuto in questa maniera?”, seguono i primi
otto versi del proemio delle Opere, 12, 23-24. In entrambi i casi il richiamo alla saggezza di
Esiodo non poggia su una reale e incondizionata fede di Dione nella saggezza del poeta,
esso ha una forte valenza logica e psicologica: da un lato rafforza l’argomentazione dionea,
dall’altro il retore si giova dell’autorità ed il rispetto del poeta presso i destinatari del
discorso. Nell’orazione 77, invece, la lode della saggezza e dell’utilità della poesia esiodea
potrebbe rifarsi, come abbiamo visto, alla teoria dell’exordium dei progymnasmata; del resto
53
potrebbe sottintendere un valore ironico di impronta socratica: Esiodo è un poeta saggio,
profondo conoscitore della natura umana, l’argomentazione dionea tende, invece, a
dimostrare che il verso delle Opere citato, punto di partenza della diatriba, è calzante solo
per il cuoco, per il tintore, per il lenone, ma non per il medico, per il timoniere ed in ultima
analisi per il saggio, § 14. Questo architettura ‘ironica’ del dialogo, come detto, è
tipicamente platonica: nello Ione, ad esempio, Socrate esprime la sua invidia per la
posseduta dai rapsodi (530b), ma al termine del dialogo, afferma (questa è la sua ultima
asserzione) “ebbene, Ione, da parte nostra ti spetta questa definizione più bella, cioè di
essere un interprete di Omero divinamente ispirato, ma di non possedere alcuna
(
§ 1
)”, 542b.
il termine
ricorre per la prima volta in Omero, riferito al mestiere
dell’artigiano, il quale grazie all’ispirazione della dea Atena è esperto del suo mestiere, Il.
14, 412. La prima attestazione del termine
in riferimento alla poesia, che sia databile
con una certa sicurezza (l’Inno ad Hermes, in riferimento ai vv. 483 e 511, è tra gli inni
omerici il più recente, Radermacher (1931) 232 n. 2) si trova in Solone nell’elegia alle Muse.
Il legislatore ateniese afferma che alcuni uomini guadagnano da vivere tramite il lavoro
delle proprie mani nelle arti di Atena ed Efesto, “un altro istruito dalle Muse Olimpie,
conoscendo
la
misura
della
saggezza
desiderabile
(
)”, 1 D= 13 W. 51-52. Come ha evidenziato Maehler (1963) 67-68, Solone opera
per primo una “Bedeutungserweiterurng” del termine
dalla sfera pratica a quella
spirituale, esso non avrebbe indicato soltanto la capacità meramente tecnica della
produzione e dell’esecuzione poetica, ma anche “das rechte Denken” che è dono delle
Muse, e ciò costituisce il presupposto per le riflessioni dei successivi poeti lirici. Il poeta e
filosofo Senofane di Colofone si pone sulla scia di queste considerazioni: egli proclamò,
contrapponendosi all’ideale atletico, la sua arte (
) superiore alla forza degli
uomini e dei cavalli, B2 11-12 (per una accurata discussione della complessa storia
interpretativa di questo passo si veda Untersteiner (1956) 113-114 e Gladigow (1965)
32-38). A questa orgogliosa dichiarazione di superiorità spirituale del poeta si riallaccia il
54
più aristocratico fra i poeti lirici, Pindaro, “der Schlüssel zu Pindars Dichtertum, zu seinem
Selbstverständnis als Rapräsentant hoher aristokratischer Gesinnung ist der Begriff der
, Gladigow (1965) 39. Al termine della prima Olimpica Pindaro si augura di
accompagnarsi sempre con i vincitori e di essere superiore per sapienza (
) a tutti i
Greci (vv.115-116), e nella seconda Olimpica, in un celebre passo, sostiene che il saggio
conosce ogni cosa per natura, v 86; cf. inoltre O. 1, 9; 14, 7; P. I 12; 4, 248, e in generale
Maehler (1963) 81-101. Nelle Rane di Aristofane il servo di Plutone racconta a Xantia, il
servo di Dioniso, come negli Inferi vi sia la tradizione di assegnare un trono a fianco di
Plutone stesso a colui che nel suo ambito artistico si sia dimostrato il migliore, finché non
giunga chi conosca l’arte meglio di lui (
cosiddetto
, v. 766). Al termine del
(l’espressione è di Radermacher (1921) 29) fra i due tragediografi
Eschilo ed Euripide, Dioniso, incerto su chi riportare in vita, dichiara “uno lo giudico
saggio (
), l’altro mi piace”, v. 1413. Nella prima attestazione viene sottolineata la
perizia, quasi artigianale, del poeta di avvalersi degli elementi tecnici della sua arte, nella
seconda Dioniso dà importanza invece all’aspetto paideutico delle opere di Eschilo, che
potranno ridare salvezza alla città e al teatro. La presunzione di
del poeta implica
una evidente pretesa di autorità, che non è assolutamente sfuggita alla critica di Platone.
Nel Fedro platonico, Socrate ribatte che se egli dovesse assentire al giudizio del suo
interlocutore, Fedro appunto, sulla validità del discorso erotico di Lisia, gli scrittori antichi
e saggi (
) lo avrebbero certamente confutato (235b), e poco dopo
definisce saggio (
) il poeta Anacreonte (235c), similmente a quanto dice di Simonide
nella Repubblica 331e. Se da un lato è vero che, come ha sottolineato De Vries (1969) 74-75,
l’aggettivo
è in Platone una designazione convenzionale sia per i poeti che per i
sofisti, esso, però, in un contesto generale, sottintende una forte carica ironica: Socrate
nella sua difesa afferma che i poeti compongono per ispirazione divina e non per sapienza
(
), senza che essi possano spiegare alcunché di ciò che essi dicono, a tal punto da
rivelarsi più ignoranti degli altri su quelle tematiche che essi affrontano nelle loro
composizioni poetiche, Ap. 22a-b. Nel dialogo Ione, consacrato al tema dell’ispirazione
poetica e della definizione della natura della sapienza del poeta (Murray (1996) 8), Socrate
55
sostiene che i poeti non per il possesso di una
posseduti da una forza divina (
compongono poemi così belli, ma
), 534c; su ciò vedi Velardi (1989) 16 n. 8 e
46-48. In Dione la saggezza del poeta è oramai diventato un topos, i componimenti poetici
vengono citati nella maggioranza dei casi per dare all’argomentazione la forza della sua
autorità: accade così, ad esempio, nell’Olimpico, il retore si chiede se non debba iniziare il
suo discorso come fece Esiodo, il quale invitò le Muse a narrare di Zeus, loro padre, “e
quale poeta è più saggio e migliore (
) di quello che
domanda che lo si aiuti nella sua opera in questa maniera?”, e vengono citati i primi otto
versi del proemio delle Opere, 12, 23. Sempre nello stesso discorso è Fidia che si rivolge ad
Omero e lo chiama “il più sapiente fra i poeti (
)”, 12, 73.
Nell’Euboico, Dione opera una distinzione fra i mestieri accettabili o no per la classe meno
abbiente, esclusivamente in base agli effetti che essi hanno sul corpo e sull’anima, poiché
non vi è nulla di vergognoso in una occupazione onesta, “Esiodo, che era saggio (
), non avrebbe lodato ogni lavoro se vi fosse stato alcunché di malvagio e turpe che
avesse questo nome”, 7, 110. Ci troviamo dinanzi a citazioni ed allusioni o, talvolta
soltanto riferimenti, autoritativi, i quali, grazie al credito intellettuale e morale goduto dal
poeta, rafforzano il pensiero dell’oratore e danno peso al concetto da lui espresso. Per un
uso simile in autori contemporanei di Dione, si veda Plu Moralia. 1b e 10a (entrambi su
Euripide). Diverso è invece il caso del Troiano, nel quale Dione rimprovera ai cittadini di
Ilio di riporre eccessiva fiducia nel poeta dell’Iliade e di considerarlo uomo divino e saggio,
sebbene sia evidente che mentì spudoratamente sui fatti di Troia, 11, 4. Non si deve però
dimenticare che nella scuola retorica, cui Dione non è estraneo, l’
del citato (ad es.
, come nello specifico della 77) precede la chreia: Ermogene, Progymnasmata
6, 19-24 Spengel. Sul concetto generale di
si veda Snell (1924), oltre al già citato
Gladigow (1965).
§ 1
…
la saggezza, la bellezza, la
musicalità dei versi di Esiodo non derivano da una techn , da una sua sapienza umana, ma
da un insegnamento divino, impartito dalle Muse stesse. Essa è anzitutto un elemento
56
peculiare della tradizione esiodea e non poteva certamente essere ignorata in un encomio
del poeta, come suffragano le parole introduttive, già citate, di Nicolao Sofista
,
,
,
,
,
,
, Walz I 281, 3-7.
L’allusione, però, in un certo qual modo provocatoria, potrebbe essere, come è stato già
accennato, allo Ione di Platone, dialogo nel quale Socrate si premura di dimostrare che
l’aedo per l’ispirazione divina è capace di interpretare i poeti e non per il possesso di una
, esattamente come i poeti posseduti dal dio creano i loro componimenti; il filosofo
ateniese mina alla base ogni pretesa autorità del poeta
Qui Dione accenna, brevemente ed ambiguamente, anche al tema dell’ispirazione divina
in quanto presupposto della creazione poetica, e della dipendenza del poeta
dall’intervento della divinità: ogni cosa che si presenta alla mente di Esiodo viene espressa
musicalmente e con saggezza. Dione si sofferma sul concetto sulla genesi divina della
sapienza dei poeti in un passo del Boristenico. Utilizzando una terminologia di chiara
matrice misterica (Kindstrand (1973) 117), il Prusense sostiene che i poeti “non sono
completamente iniziati secondo il culto e la consuetudine degli iniziati e non sanno nulla
di certo sulla verità”, esso vengono paragonati ai servitori dei riti che stanno fuori dei
templi senza che possano entrarvi e che di tanto in tanto odono una parola e vedono un
bagliore,
,
,
...
, 36, 32-35; per una commento
d’insieme del passo si veda Luzzatto (1983) 73-74. La posizione dionea appare tutt’altro
che coerente: nella Sull’invidia il poeta, Esiodo, viene istruito direttamente dalla divinità,
tutto ciò che egli compone e canta di conseguenza possiede le virtù della saggezza e
dell’utilità; dall’altra egli non ha una piena visione della verità, egli ne percepisce dei
deboli bagliori, consegue che una qualsiasi ricostruzione della “Bedeutung der Inspiration
bei Dion”, come tenta invece Kindstrand (1973) 115-119, risulti piuttosto parziale.
57
è certamente degno di nota che Dione accenni
§ 1
all’attività di Esiodo sia come poeta che come esecutore, ma lo stesso poeta di Ascra ne fa
riferimento: egli si recò a Calcide per prendere parte alle gare indette in onore di
Anfidamante, ove egli avrebbe conseguito il primo premio con l’esecuzione di un inno,
Op. 650-660. Si è voluto identificare questo “poema” con la Teogonia,
(1958) 8 e
West (1966) 44-45. Il Certamen Hesiodi et Homeri, di epoca tarda offre però una versione
alternativa: i due poeti, su invito del re Panide, dovettero cantare il meglio della propria
produzione, 177-179; ed è possibile che Dione non si riferisca ad una recitazione della
Teogonia, ma segua la versione che ritroviamo nel Certamen, che egli dimostra di conoscere
per la citazione dei vv. 213-214 in 2, 11, (sulla conoscenza dionea del Certamen si rimanda a
Heldmann (1982) 37-45).
figura etymologica. L’espressione ricorre simile nell’Or. 2, 4
§1
…
. Cf. inoltre Hdt.
3, 135; Pl. Phd. 60d, 61b; Aeschin. 1, 74; Lucianus Salt. 74.
§1
...
richiamo a Hes. Theog. 22-34, per il cui commento si
rimanda a Latte (1946) 152-163; Kambylis (1965); West (1966) 158-167. Dione fa riferimento
a questi versi dell’opera esiodea anche nella Su Omero e Socrate, “egli (sc. Esido) afferma
infatti che mentre pascolava il gregge sull’Elicona ricevette in dono dalle Muse la poesia in
un ramo di alloro (
), 55, 1. Anche
Licino nel Dialogo con Esiodo di Luciano, afferma, rivolgendosi ad Esiodo in persona, che
egli ricevette dalle Muse il dono di essere un ottimo poeta insieme con l’alloro, § 1; Plu
Moralia 105d; Max. Tyr. 32, 8; Lib. Ep. 1540, 25; Id. Prog. 10, 5, 21, 3. Non dobbiamo tuttavia
ritenere, come Kambylis (1965) 61 n. 123 e Kinstrand (1973) 119, che Dione creda realmente
a Esiodo: esso è, difatti, un elemento esclusivamente retorico e dal punto di vista
argomentativo parte di quella eventuale sottile ironia che permea il dialogo, tesa
nell’iniziale esaltazione della saggezza divina di Esiodo ad accentuarne la sua parziale
caduta e confutazione. Nella tarda antichità l’epifania delle Muse è stata interpretata
58
spesso in senso allegorico: Frontone, secondo la testimonianza di Marco Aurelio hinc
Hesiodum pastorem, quem dormientem poetam ais factum, Ep. 1, 4, 7. Decisamente originale mi
pare la lettura di Dione: egli accoglie la descrizione esiodea di questa manifestazione
divina, ma interpreta il dono della poesia nel simbolo del ramo di alloro come un’allegoria
dell’insegnamento personale e continuato da parte delle dee. In maniera analoga il filosofo
Diogene spiega ad Alessandro che l’espressione omerica
(Od. 19,
178-179) riferita a Minosse deve essere interpretata quale “associato di Zeus” e di
conseguenza suo allievo, or. 4, 39-40 (cf. inoltre le orr. 1, 37-38; 53, 11 ed il dialogo
pseudoplatonico Minosse 319 b-e): la comunione fra divinità e uomo si risolve in un
rapporto tra maestro e discepolo.
§ 1
Hes. Op. 25. Aristide Colonna traduce questo
...
verso erroneamente: “ed il vasaio gareggia col vasaio, e l’artigiano con l’artigiano”, (1977);
interpretazione condivisa da Broecker (1954) 135, il quale scrive
v. 25 et
v.
26 ad bonam Erin pertinent apud Hesiodum. Tale esegesi è errata, e ciò è testimoniato da un
lato dagli scrittori ai quali Broecker stesso fa riferimento, fra cui Dione, essi citano il verso
in esame dando al verbo
il significato negativo di “invidiare, provare gelosia”,
dall’altra dallo scolio ai vv. 25-26, secondo il quale i due verbi (
riferiscono alla cattiva contesa; “
and
e
) si
are not in the spirit of the good Eris,
but the idea of rivalry makes the lines enough for Esiod”, ha sottolineato West (1978) 147. I
versi 25-26 (
) erano diventati nell’antichità
proverbiali e per ciò vennero citati frequentemente, Lewy (1899) 85. Merita di essere presa
in considerazione l’attestazione platonica, ove Socrate dichiara di aver udito qualcuno dire
che il simile è ostile al simile e gli uomini buoni agli uomini buoni,
,
, vengono allora citati, in maniera errata, i vv.
25-26, Ly. 215c. Plutarco cita nello scritto La tranquillità dell’animo lo stesso verso delle Opere
col fine di condannare il sentimento umano dell’invidia (473a), ed ugualmente nel Come
trarre profitto dai propri nemici afferma che esattamente come il vasaio non deve invidiare il
vasaio, allo stesso modo non deve sussistere alcuna gelosia verso vicini, parenti o fratelli,
59
92a. Sulla fortuna di questa
si veda inoltre Arist. EE. 1235a18, Pol. 1312b5, Rh.
1381b16, 1388a17; Tert. Ad nat. I, 20 sic figulus figulo, faber fabro invidet.
La citazione della
oggetto del progymnasma non è parte dello schema pervenutoci
nei manuali, essa veniva infatti tendenzialmente parafrasata; tali compendi non devono
essere considerati “as sets if rigid ‘rules’ or definitions of fixed types of discourses, but as
the archeological remains of a broader educational process”, Webb (2001) 290, cf. inolte
Malcolm (1995) 14. Se la teoria appare, direi, quasi sclerotizzata, la prassi doveva essere
assai più libera Ciò è difatti documentato da Libanio, il quale nel primo progymnasma della
sua raccolta, dedicato alla gnome cita al § 2 il verso omerico in oggetto (Il. 2, 5) pressoché
testualmente, e lo parafrasa subito dopo, 8, 107. Il caso dioneo non è quindi una anomalia.
§2
l’interlocutore di Dione fa riferimento ai
poemi esiodei più noti: da un lato la sua opera didascalica le Opere e giorni, il cui tema è la
vita quotidiana degli uomini; dall’altro la Teogonia, che ha invece come argomento centrale
l’origine e le genealogie degli dei. La capacità dei poeti di sondare la vera profondità
dell’animo umano viene sottolineata da Dione anche in altri passi della sua opera: nella
Criseide, il Prusense loda la sua anonima interlocutrice perché ammira Omero non come gli
altri irretita dalla fama di Omero, ella ne è una vera interprete poiché comprende quale sia
la più grande dote del poeta: cioé la conoscenza dei sentimenti umani, 61, 1.
Sull’affidabilità dei poeti in ambito “teologico”, Dione pare non voler prendere posizione:
nell’or. 53, Su Omero, viene menzionata la concezione platonica della conoscenza del poeta
della natura umana e divina, che si dimostra essere completamente opposta ”Platone lo
(sc. Omero) biasima spesso per i miti sugli dei”, § 2. Socrate nella progettazione della sua
città ideale, pone l’istruzione musicale al principio dell’educazione dei guardiani dello
stato, e illustra la necessità di impedire che i fanciulli imparino ciò che è contrario ai
principi secondo i quali devono essere allevati: le favole “piccole e grandi”, ossia quelle
raccontate dalle madri e dalle balie, e quelle cantate da Omero, da Esiodo e dagli altri
poeti, soprattutto se la menzogna è insidiosa, come “quando qualcuno immagina
malamente di esporre in discorso la vera natura degli dei”, R. 377e, Socrate passa quindi in
60
rassegna gli errori della rappresentazione degli dei e degli eroi nell’Iliade, R. 378c-385c e
390e-392a. Dione soggiunge però che non gli pare cosa semplice da dirimere se avesse,
cioé, ragione Omero o Platone
,
,
,
,
, 53, 3, si rimanda a Valgimigli (1915) 11-14; Kindstrand (1973) 113.
§2
“più attico sarebbe
”, Verrengia (2000) 117, esso è peculiare
degli atticisti, come aveva precedentemente osservato Barigazzi (1966) 40; Dione adopera
spesso questa espressione, ad esempio orr. 2, 1; 4, 93; 6, 18; 7, 1; 11, 1, 13, 26.
i manoscritti hanno il presente
§ 2
, mentre la forma al congiuntivo è correzione presente nel manoscritto U,
confermata delle attestazioni in Pl. R. 521c
1, 1
’
,
, e X. Mem. 2,
; Ar. Ra.
420-421
/
; Libanio nel primo progymnasma
sulle sententiae scrive
, 1, 6, 5. Emperius, che non aveva collazionato
U, nota in apparato “
sic dedi. Idem voluit Pfluck”.
§2
...
alla domanda se la
folla adunatasi sia capace di sopportare la loro conversazione Dione, in una climax, chiede
prima se non siano interessati ad ascoltare cose sagge, quindi se considerino Esiodo
indegno di attenzione ed infine se il tema dell’invidia non sia utile. Solo dopo aver preso
atto della ricettività dell’uditorio inizia la “discussione filosofica” con la definizione dell’
invidia.
§2
“Zusammenstellung verschiedener Flexionsformen desselben
Wortes”, Schmid (1887) I 171.
61
nella seconda orazione Sulla regalità ciò che Filippo di Macedonia
§ 2
domanda al giovane Alessandro
,
,
,
,
; 2, 8.
probabilmente dittologia sinonimica, per questa figura
§2
retorica tutt’altro che rara negli scritti dionei si rimanda a Wenkebach (1908) 98-100; cf. ad
esempio 53, 6
; vedi inoltre 31, 40, 99; 44, 8; 61, 13, 15. Il
nesso
e
non è attestato prima del I sec. a. C.: cf. Plu Pel. 4, 34, Arat. 54,
7, Moralia 78 e, 96 b, 468b, 484 c, 485 e, 486 b; Epict. 3, 22, 61; Porph. Abst. 3, 22, 22
§3
Dione parafrasa la citazione esiodea e stabilisce il
...
tema della conversazione: la gelosia cui il poeta si riferisce è l’invidia che nasce dalla
rivalità economica fra artigiani che praticano il medesimo mestiere. La parafrasi della
sententia è nello schema standardizzato dei progymnasmata sulla chreia e sulla
un
elemento fondamentale, essa seguiva l’encomio del citato
,
, Herm. Prog. II 6, 19-21
Spengel;
,
,
,
., Aphth. Prog. II 23, 13-15 Spengel: cf.
inoltre Nicolao Sofista III 462, 11-12 Spengel.
§ 3
la particella
(Denniston (19542) 216) e
dopo l’imperativo è collocata generalmente dopo il verbo
viene utilizzata prevalentemente per introdurre
un’interrogativa (Radicke (1995) 141); contrariamente all’uso platonico (cf. Bailly (2004)
151) in Dione non indica il cambio di battuta fra un intelocutore e l’altro, con l'unica
eccezione dell'or. 77, 6.
cf. Isocrate
§ 3
, ntidosi 245.
62
§3
inizia la sezione, sino al § 5, katacheuastica dell’orazione, nella quale Dione
tenta di suffragare la bontà della massima esiodea. Tale sezione si articola in tre brevi e
intelligenti
§ 3
ispirate alla vita quotidiana: il macellaio; il tintore; il lenone.
il termine indica, in generale, il macellatore e l’addetto alla preparazione
delle carni. In principio la mansione del
rientrava fra i doveri cultuali: sacrificare
la vittima e preparare il banchetto. Il termine passò ad indicare, quindi, anche il macellaio
ed il cuoco (sull’evoluzione semantica del termine si vedano Dohm (1964) 1-10 e
Berthiaume (1982) 5-14). L’accezione di cuoco è certamente quella più attestata, ad
esempio, presso i commediografi (vd. Giannini (1960) 135-216, Dohm (1964), Nesselrath
(1990) 297-309), o Dione stesso. Decisamente interessante è la suddivisione proposta da
Berthiaume ((1982) 44-70), che dedica a ciascuna un capitolo del suo saggio, fra
come “boucher” e
come “vendeur de viande”. In questo passo dell’orazione
Sull’invidia Dione non si riferisce certamente al cuoco ma al macellaio, che vende la
propria merce nell’agorà, e che, trovandosi solo a praticare tale mestiere, può senza
difficoltà rifilare carne di qualità scadente; su ciò è interessante la testimonianza di
Artemidoro, il quale attesta la presenza di
che nella piazza macellano e vendono
la carne, 3, 56. In Aristofane la figura del cuoco viene più volte menzionata (Ach. 1015, Eq.
216, 376, 418; Pax 1017; R 517), eppure “die Kochrolle ist (...) meistens “episodisch”, d.h.
der Koch tritt in Szenen auf, die mit der Handlung der Komödie nur sehr locker
verbunden sind und die sich leicht harauslösen ließen, ohne daß die Handlung des Stücks
dadurch eine wesentliche Einbuße erführe”, Dohm (1964) 30-31. È con la mese che il cuoco
ad assurgere a figura più rilevante nell’economia della commedia, per poi con la nea
passare nuovamente in secondo piano e essere caratterizzato come fanfarone, e ladro;
Cicerone nel De officis scrive minimeque artes eae probabdae, quae ministrae sunt voluptarum
“cetarii, lanii, coqui, fartores, piscatores” ut ait Terentius, 1, 42, 150. Ma già Teofrasto nei
Caratteri a proposito del dissennato aveva espresso un duro giudizio di condanna
,
,
,
, 6, 5. Nell'or. 20, 9
63
Dione eredita quindi nell’immagine del cuoco una figura negativa, connotata da
spacconeria, scaltrezza e disonestà, e questa negatività non poteva passare inosservato ai
suoi ascoltatori/lettori. Sulla figura del
vedi inoltre Rankin (1907); Latte (1928)
393-395.
§3
“giebt durch sein häufiges Vorkommen (...) der Rede ein eigenes Ethos, indem es
eine gewisse Eindringlichkeit der Vorstellung bezweckt; es ist bekanntlich auch dem Plato
sehr beliebt, ebenso dem Xenophon“, Schmid (1887) I 131.
nel significato di “magro, scarno”. In ambito medico la carne magra veniva
§3
particolarmente sconsigliata per un adeguato regime alimentare
...
, Orib. 2, 69,
3. Troviamo l’aggettivo in riferimento alla carne presso Senofonte: Ciro afferma di
disprezzare la selvaggina cacciata nei parchi, per la mancanza di spazio e perché essa è
“magra e rognosa (
)”, Cyr. 1, 4, 11. In Dione non troviamo alcun altro
accenno.
§3
indica la bestia da macello (cf. Hp. Aff. 52) e la vittima sacrificale, che poteva
essere venduta dal macellaio in piazza: nei Cavalieri di Aristofane Paflagone minaccia il
Salsicciaio di denunciarlo ai pritani per non aver pagato la decima, “le trippe dovute agli
dei” (vv. 300-302) e lo scoliasta spiega che era costume che i macellai (
pritani la decima parte delle bestie sacrificate (
) dessero ai
), che poi venivano vendute al
mercato. Ciò accadeva ancora nel I sec. d. C. come testimonia San Paolo nella prima
pistola ai Corinzi, ove esorta i fedeli a non mangiare la carne che sia stata sacrificata agli
dei (
), 10, 28. Sulla pratica della vendita delle carni sacrificate e per una esegesi
sia del passo aristofaneo che di quello paolino si rimanda a Berthiaume (1982) 62-65, 68-69.
cf. Orib. 2, 68, 9
§3
.
64
§ 4
la similitudine col tintore richiama, sul piano esclusivamente
...
lessicale, un brano della Repubblica di Platone, 429d-e; ciò è dimostrato dal fatto che Dione
utilizza tre termini che ricorrono nella pagina platonica:
’
...
,
. In Platone l’elaborato
procedimento (scelta del colore bianco, preparazione della lana) con il quale i tintori
rendono la lana purpurea di un colore che non stinga, è similitudine dell’educazione che
deve essere impartita ai futuri soldati affinché ricevano nel miglior modo le leggi, così che
la loro opinione su ciò che è temibile diventi indelebile; in questa orazione il tintore e
l’ipotetica libertà, nell’assenza di altri tintori, di vendere mercanzia scadente costituiscono
per Dione invece un semplice paradigma della disonestà e della cupidigia umana. Nella
letteratura greca la figura del tintore è quasi assente, certamente gustosa è l’attestazione in
Difilo:
’
, fr. 73 K.-A..
Nell’Euboico Dione esprime un parere negativo nei confronti delle attività atte ad adornare
sia le persone che gli edifici, fra cui la professione del tintore, del profumiere, del
parrucchiere, non dovrebbero essere ammesse in alcuna città, 7, 117 (vedi Russel (1992)
144-145); nell’Olimpico al tintore che mescola le tinte è paragonato Omero che compose i
suoi poemi mescolando i dialetti greci, 12, 66. Sull’influenza platonica in Dione si rimanda
a Rahn (1944), Trapp (1990) 141-173, e (2000) 213-239.
Per la professione del tintore e relativa terminologia nell’antichità si veda Blümner (1912)
I 225-233. Dione vi fa riferimento in altre due orazioni: nell’Olimpico nel passo già citato e
nel secondo Tarsico, ove viene difesa la dignità anche dei lavori più umili, per qual cosa
non è opportuno riprendere qualcuno perché tintore o conciapelli o carpentiere, 34, 14.
65
l’indicazione al mestiere del tintore con l’aggettivo
§ 4
...
sostantivato
ricorre solo nuovamente nel corpus dioneo al § 14. Cf. inoltre Plu
Moralia 228 b.
il termine indica la competizione fra persone della stessa categoria
§ 4
lavorativa o artistica. Cf. Pl. R. 493a: i politici definiscono gli insegnati privati sofisti e li
riconsiderano rivali; Id. Phd. 60d, Lg. 817b; Ar. Ra. 816 (ove Euripide è l’
di
Eschilo); D.H. 3, 72; Plu Moralia 369d, 661e. In Dione è attestato soltanto nell’Olimpico, ove
il retore sostiene che i gli scultori, i pittori e gli intagliatori forgiarono le loro raffigurazioni
del divino seguendo i miti già composti dai poeti o la propria immaginazione
, 12, 46.
si tratta di un in Dione, indica i colori che venivano utilizzati per la
§ 4
tintura dei tessuti. Cf. Ar. Ach. 112, Pax 1174; Pl. Lg. 956 a; Plu Moralia 54e.
§
la
4
costruzione
di
coll’infinito
corrisponderebbe secondo lo Stephanus s.v. al verbo latino “soleo”, mentre il LSJ s.v.
traduce “to be fond of doing, wont to do, like”, si potrebbe invece tradurre con
“accontentarsi”. Questo uso è attestato già in Isocarte (18, 50) e Demostene (55, 19), dove
però Rennie, contro tutti i testimoni, ha emendato l’infinito in participio. Probabilmente si
tratta di un uso non corretto che si è affermato con la koiné, troviamo infatti attestazioni in
autori quali Aristotele Oec. 1348a29; e nella LXX Ps. 33, 13, Ho. 12, 7. In Dione si hanno solo
altre due attestazioni: rivolgendosi agli Apamei afferma
, 41, 3; nella 61
sostiene invece che Criseide
§ 4
infatti
termine
, § 8.
in Dione, “aus Platos Gebrauch”, Schmid (1887) I 141. Platone scrive
,
, R. 429e. Il
indicava in realtà il tintore, ciò nonostante in riferimento alle tinte,
66
come in questo passo dioneo, “die Farben dauerhaft und waschecht”, Blümner (1912) 230;
vedi inoltre Ruhnken (1789) 75-78.
§4
termine utilizzato per qualsiasi tipo di porpora, Blümner (1912) 234 n. 2; LSJ
s.v. “always in sense sea-purple, i.e. genuine purple dye, opp. imitation”. Eraclide Pontico
nel suo scritto Sul piacere asserisce che ad Atene, nel momento del suo più grande
splendore, gli uomini erano soliti indossare abiti tinti di porpora (
) quale segno di distinzione, Ath. 12, 512 b-c, vedi Gottschalk (1980) 90.
Sin da Senofane tali raffinatezze venivano associate in maniera critica al fasto orientale: i
Colofoni, sviati dai Lidi verso inutili mollezze, si recavano alle riunioni indossando con
superbia vesti interamente purpuree (
’
) fr. 3, 3 (per il
commento di questo frammento e per ulteriori riferimenti alla modo orientale del vestiario
color porpora si rimanda a Bowra (1941) 119-126). Agamennone, nell’omonima tragedia
eschilea, si agugura di non venir colpito dall’invidia degli dei mentre cammina su abiti
color porpora (
’
’
), 946-947; cf anche Ar. Eq. 967 (a
commento Sommerstein (1981) 195). Che questa sfoggio di ricchezza fosse messo alla
berlina e fosse oggetto di riso è indicato da un frammento del comico Anassandride dalla
commedia Protesilao, nel quale si fa beffe della vanagloria di Ificrate, “si dice che fosse un
dissoluto, che stendesse tappeti color porpora sino al nord”, fr. 42, 4-7 (cf. Plu Moralia
527b). Nei Dialoghi delle cortigiane di Luciano gli abiti color porpora sono associati allo stile
di vita dissoluto e lussuoso delle meretrici, 80, 6, 2. In Dione
compare sempre in
un contesto decisamente negativo: nella prima orazione Sulla regalità nella riproposizione
del racconto allegorico di Eracle al bivio, la veste della Tirannide viene così descritta
“varia, una parte color porpora, un’altra invece rosso cupo, un’altra ancora zafferano”, 1,
81, è da sottolineare che questi colori hanno una valenza morale: lo zafferano era il colore
delle donne e degli uomini effeminati. Sardanapalo, inoltre, era solito ritrarsi nelle stanze
delle donne e sedersi su un divano d’oro coperto di cuscini color porpora, 62, 6, cf. inoltre
7, 82 e 80, 13.
67
il tenutario di postribolo è personaggio tipico della commedia, di
§ 4
origine siciliana e magnogreca secondo Crusius (1892) 50); Nesselrath (1990) 324 pensa
invece ad una “Erfindung” della mese, cf. Webster (1970) 64 n. 2. Nella commedia antica è
figura decisamente marginale e viene raramente menzionata: Ar. Pax 848, Myrtil. fr. 5. È
invece con la commedia di mezzo che assurge a figura di rilevo nell’economia della trama,
importanza che continua con la nea: sono attestate diverse commedie col titolo
, ad esempio: Eub. frr.87, 88 e Anaxil; Posidipp. frr. 23 e 24.
Il lenone è caratterizzato per la sua avidità e per la sua bramosia di denaro, nella
commedia “like the soldier, the leno with his greed stands in the way of the triumph of
young love”, Hunter (1985) 71. Alla commedia si riallaccia Eronda, che alla figura del
lenone dedica il suo secondo mimiambo “dans le mime d’Hérodas il montre le traits
caractéristiques à son métier: avidité, impertinence, brutalité, ruse”, Groeneboom (1922;
1973 rist.) 68. Un giudizio più preciso è sulla figura del lenone possiamo verificare non
tanto negli insufficienti frammenti della commedia greca pervenutici, quanto nelle
commedie romane, in particolare di Plauto e di Terenzio: ubicumque a Plauto leno
describitur, praecipue conspiciuntur eius personae avaritia ac pecuniae cupiditas, Stotz (1920) 20,
alla cui dissertazione si rimanda per uno studio più particolareggiato della figura del
lenone nella commedia. Valutazione di carattere morale assolutamente negativa viene
espressa in ambito filosofico da Aristotele nell’Etica Nicomachea 1121b: vi sono persone che
per l’amore del denaro non si astengono dal dedicarsi ad impieghi degradanti
,
. I
pochissimi riferimenti nel corpus dioneo all’attività di lenone esprimono una recisa e
costante condanna: nella quarta Sulla regalità Dione paragona lo spirito dell’avarizia ad un
uomo insignificante, che non sorride mai e combatte sempre, simile ad un ignobile e
misero lenone (
, § 96), ed afferma che molti di coloro che sembrano re non sono in realtà che
commercianti, gabellieri e lenoni (§ 98). Nell’Euboico Dione si scaglia veementemente
contro la prostituzione e la dissolutezza con argomentazioni che sono state accostate alle
dottrine di Musonio (Russell (1992) 150), 7, 133-138 (cf. inoltre Halperin (1990) 34; Houser
68
(2002) 327-353; Hubbard (2003) 448). Da questi pochi riferimenti si può notare che sia in
generale nell’immaginario letterario greco che nella produzione dionea, il lenone è
caratterizzato
da
avarizia
e
spregiuducatezza,
qualità
che
ben
si
adattano
all’argomentazione dionea: solo personaggi negativi potrebbero desiderare di non avere
concorrenti nelle loro immorali attività. Sulla prostituzione nell’antichità, in particolar
modo nel mondo romano, si rinvia a McGinn (1998) e (2004); Stumpp (2001).
il termine è un hapax in Dione, mentre l’intera espressione è un
§4
hapax assoluto nella letteratura greca. Viene utilizzato nel significato di “ricavo, profitto” ;
cf. in riferimento alle prostitute Artemidoro 1, 78, 32; Dione Cassio 79, 13.
§4
col significato di “avere una cattiva reputazione”, corrispondente al
latino male audire; cf. Platone
, Hp. Ma. 304e; Isocrate
§ 4
,
,
’
’
, Antidosi 303.
Il termine significa in generale “animale, creatura” (vedi LSJ s.v. 2 e 3),
probabilmente Dione allude all’etimologia del nome
, “qui homo
” (Stotz (1920) 2), egli difatti subito dopo utilizza il verbo
, che indica sia
“allevare” (cf. Hom. Il. 22, 69; Ar. Av. 1084) che “proteggere”, in riferimento alla
prostituzione (cf. Antiph. fr. 2; Diph. fr. 87). Nella De verna inscr. Delphica ap. Boeckh vol. 1
p.833, inoltre, leggiamo al rigo 14 di un [ ]
[
]
: lo Stephanus s.
mette il passo in connessione con i lenoni, in nota all’edizione dell’iscrizione il termine
è spiegato come
.
compare nella Sulla sua attrazione per i discorsi, ove il pubblico con il quale Dione
si accompagna durante le esibizioni dei sofisti è definito
,
19, 3. Secondo Schmid (1887) 142 “aus der tragischen Sprache von Plato übernommen”,
esso compare infatti frequentemente in Platone: R. 493a, 569b, 589b; Lg. 639a, 777c, 790d;
Phdr. 230d; 240b; nei tragici il termine è meno presente: A. Pers. 33, 309; Th. 182; S. OT 1143;
Tr. 574, 1093, 1099; E. El. 622; IA 598.
69
§ 4
si tratta del termine tecnico con il quale veniva indicata l’anfizionia
pilaico-delfica, che aveva luogo ogni anno in primavera ed in autunno, presso il santuario
di Demetra in Antea alle Termopili e a Delfi. Il nome le derivava dalle Pylai, meglio note
come Termopili, Johannsen (2001) 613 e bibliografia. Dopo un periodo di seria decadenza
il santuario conobbe un nuovo fase di splendore sotto il governo dei Flavi. Durante il
principato di Traiano il sobborgo di Pila è interessanto da un’intensa attività di riordino
urbanistico, che ci è testimoniato fra l’altro da Plutarco: “a quel modo che alberi fiorenti
germogliano, così Delfi ringiovanisce e della sua stessa linfa si nutre Pila, che attraverso le
risorse delfiche, acquista sempre più figura e forma, e s’abbellisce di templi e di sale di
consiglio e fontane, in un progresso di cui non s’era avuta idea da un millennio”, Moralia.
409a. Nell’orazione Sull’invidia, Dione fa riferimento ad altre panegyreis, da ciò si intende
che egli allude esclusivamente all’aspetto commerciale, e non politico, della festa: la
presenza di molti visitatori, infatti, richiamava gran numero di mercanti, e quindi anche di
lenoni con il loro seguito di prostitute. Questo è l’unico riferimento a Pylaia nel corpus
dioneo.
§ 4
il termine indica qualsiasi raduno frequentato da una folla numerosa;
l’elemento religioso, in una prima fase secondario, diviene la componente fondante e
caratterizzante della festività. Con esso si faceva riferimento in modo particolare alle
quattro feste principali dei Greci: l’olimpica, la pitica, l’istmica e la nemea. Accanto
all’aspetto religioso e culturale, di grandissima rilevanza era quello commerciale, “viel
wichtiger aber für die große Masse der Besucher und auch notwendiger war, daß die P.
wohl regelmäßig mit einem Jahrmarkt, einer ´Messe´ verbunden war, wo man sich
verpflegen konnte, und: was sonst das Herz begehrte, feilgeboten fand”, Ziehen (1949)
582. Le
erano un’occasione durante la quale si ritrovavano ogni sorta di
persone, pronte a qualsiasi tipo di commercio: lo stesso Dione rappresenta il filosofo cinico
Diogene mentre si reca ai giochi istmici, non certo per assistere alle competizioni sportive,
quanto per “osservare gli uomini e la loro follia”, 9, 1. Su
, il cui numero e
70
importanza riscopre un momento di splendore durante il II e III sec. a. C. (Mitchell (1990)
183-193), vedi in generale Ziehen (1949) 581-583. “Prostitutes were drawn to a variety of
occasions that attracted a crowd of people, including potential clients, such as markets,
fairs, and public shows of every kind ... Visitors to religious events and centers might have
had more than one motive. In this context pilgrimage and tourism could be viewed as two
sides of the same coin”, McGinn (2004) 26-27.
“coloro che esercitano la stessa professione”; cf. Pl. Chrm. 171c, Thg. 125e,
§4
La. 186, Hdt. 2, 89, Plu Moralia 973d., ed in Dione i §§ 6 e 14 della medesima orazione e
l’Olimpico
§§ 5-6
’
, 12, 46.
questa sezione dell’orazione riveste una doppia funzione :
...
1. conclude la prima parte, la dimostrativa, la
, della “interpretazione filosofica” del
verso esiodeo: partito dal particolare Dione giunge a una formulazione generale: ogni
lavoratore invidia chi compie il suo mestiere. Ricapitola i punti fondamentali sin ora
discussi, questa asserzione viene ripresa all’inizio del § 6; 2. costituisce il raccordo fra la
fase catascheuastica alla anascheuastica: Dione, nel citare un’altro celebre verso esiodeo,
mostra come in realtà non ci si possa sentire appagati dalle poche esemplificazioni sinora
presentate.
allitterazione cf. § 1. Aristotele utilizza la medesima
§ 5
espressione in caso differente (
, EN 1121b32) in
riferimento a coloro che per amore del denaro si degradano a svolgere qualsiasi lavoro, tra
essi, come accade nella nostra orazione, i tenutari di bordello; per l’utilizzo di
in
riferimento al commercio delle prostitute vd. D. 59, 113 e Aeschin. 1, 124.
§ 5
l’espressione ricorre con inversione dei termini nel Agli
’
Alessandrini
’
, 32, 54. Il verbo
ha generalmente in Dione il
71
significato di “descrivere in dettaglio”, e viene utilizzato in formule retoriche quali
, 17, 18 (cf. inoltre 2, 65; 33, 26; 53, 2). Nella nostra
orazione mi pare che esso debba essere piuttosto tradotto con “esaminare”, conferendogli
un leggera sfumatura dialettica, nello stesso senso col quale Socrate dice
, Pl. R. 437a.
§ 5
cf. Plutarco
...
,
.
‘
,
’
, Moralia 34b = SVF II 100 p. 31; vd. Valgiglio (1973) 226. “Methode des
Chrysipp: der Ausspruch des Dichters wird ausgeweitet, verallgemeinert und übertragen
auf die ähnlichen sittlichen Fälle“, Rabbow (1954) 219, e 311-312 n. 65 e 352; per un’analisi
della prassi interpretativa della poesia in Crisippo si rimanda a Steinmetz (1986) 26-28 e
Long (1992) 49. La decisa somiglianza dell’argomentazione e l’utilizzo della medesima
citazione esiodea lasciano ipotizzare che sia Dione che Plutarco dipendano dalla stessa
opera di Crisippo.
§5
...
Dione cita liberamente Hes. Op. 348
,
. Analogamente al verso riportato al § 1 esso venne nell’antichità
considerato proverbiale ed è attestato presso vari autori: Plu Moralia 34b; Ael. VH 9, 28; Jul.
Ep. 198 (p. 224, 20 Bidez-Coumont).
§ 5
entrambi i verbi sono degli in
Dione; potebbe essere una allusione alla poesia teocritea, possibilmente al celebre idillio
Tirsi
, 1, 25; cf. sempre in Teocrito 3, 34; 5,
84; 8, 45. Tuttavia Teocrito non viene mai nominato da Dione e non ho notizia di citazioni
occulte del poeta alessandrino nell’opera dionea. Plutarco, certo non avaro di riferimenti a
poeti meno importanti, cita Teocrito solo una volta (la seconda citazione indicata da
72
Helmbold-O’Neil (1959) 69 è errata). Luciano, mi attengo allo studio di Householder
(1941), non cita mai Teocrito. Schmid (1887) I 157 suggerisce, invece, che l’uso di
sia una reminiscenza aristotelica.
il verbo nel significato di “leggere”: cf. LJS s.v. III “of books,
§5
meet with (…) hence, read”, si veda in generale Achelis (1913) 420-423 con riferimenti da
Luciano e numerosi autori del periodo imperiale. Proprio in riferimento a questo passo
della 77 Schmid (1887) I 141-142 suggerisce la traduzione “sich befassen, studieren”. Per
altri usi dionei cf. orr. 2, 6; 18, 6, 9; 52, 1 su cui Valgimigli (1912) 60 “una facile e piana
lettura” e Luzzatto (1983) 29 n. 1, che discordando con l’interpretazione di Valgimigli,
afferma “questo verbo viene usato per indicare una lettura attenta”. Dal contesto della
Sull’invidia (“ma è chiaro che parla a chi legge come a persone assennate”) si evince che
Dione presuppone non già ad una semplice scorsa del testo esiodeo, quanto un’accorta
disamina del pensiero del poeta, ciò è dimostrato dal fatto che le attestazioni dionee
sopraccitate ricorrono in contesti in cui il testo poetico viene sottoposto ad una attenta
indagine o, nell'or. 18, ove Dione offre preziose indicazioni sugli autori la cui lettura
(studio) è atta all’educazione dell’uomo politico.
negli scoli attribuiti ad Areta leggiamo
§6
.
§6
. „damit kommen wir zum „elenktischen“ Teil der Unterredung, in dem der
Schüler zu dem Eingeständnis veranlaßt wird, daß es in manchen Berufen Situationen und
Momente gebe, in denen die Anwesenheit eines Berufskollegen nicht nur nicht
schädigend, sondern vielmehr nützlich und wünschenswert sei, und daß infolgedessen
gegenseitiger Haß und Neid in solchen Fällen geradezu unsinnig wäre“, Milobenski (1964)
126. Nella trattatistica dei progymnasmata tale sezione era detta
Ermogene Spengel II 6, 28,
da Aftonio Spengel II 26-27.
da
73
Questa sezione è decisamente più diffusa articolata della prima: vengono proposte
quattro
(il marinaio, il timoniere, il medico e i costruttori di armi e mura) e un
(l’episodio di Democede).
§6
...
cf. Senofonte
,
,
,
,
; Oec. 1, 1.
§ 6
il termine ha il significato generico di marinaio, ma anche specifico di
rematore, Casson (1971) 309. L’immagine del
viene ripresa di frequente da Libanio
nei suoi progymnasmata, prendendo in considerazione esclusivamente quelli sulla
si
rimanda a 4, 1, 6; 4, 2, 8.
§ 7
il gubernator navis era l’“executive officer when the trierarch had the
experience and desire to take command, and commanding officer when he did not. Under
way, the kybernetes took the captain’s traditional station on the poop. In emergencies he
might handle the tiller himself, but normally he used quartermasters”, Casson (1971) 302.
Il timoniere sottostava agli ordini del
, che aveva finanziato il mantenimento
della trireme. Nelle orazioni dionee il timoniere e l’arte della direzione della nave
compaiono sovente utilizzate quali termini di paragone in metafore, purtroppo trascurate
dall’analisi di Oesch (1916), che specificamente ai paragoni nell’opera dionea ha dedicato
la sua tesi di dottorato. Queste immagini sono di chiara derivazione platonica. In Dione
egli è termine di paragone per il sovrano: il re è il migliore fra gli uomini, perché in se
raccoglie al massimo grado le qualità del coraggio della giustizia e della filantropia,
similmente chi non sa governare una nave non può essere un timoniere e chi non conosce
l’arte della medicina un medico, 4,24-25; cf. inoltre 1, 29 e 3, 56. L’allegoria della città come
una nave compare per la prima volta Alceo (cf. 6, 73, 208a, 249 e 306i e sull’argomento
Gentili (1998b) 197-215) per divenire un luogo comune, è presente in Dione nelle orazioni
più prettamente politiche: rivolgendosi ai Nicomedi nel tentativo di persuaderli alla
74
concordia coi Nicei, afferma che tutti coloro che navigano sono coscienti che la loro
salvezza dipende dall’armonia dei marinai e dalla loro obbedienza alle disposizioni del
timoniere, se dovesse scoppiare una rivolta, allo stesso modo la salvezza di una città è data
dalla concordia dei capi e dall’obbedienza dei cittadini, 38, 14-15. Nell’Olimpico Dione
utilizza una immagine di origine platonica (Plt. 272e, 273c) e stoica (SVF II 1055 e 1171): la
divinità è paragonata a
, 12, 34.
La figura del timoniere ricorre quale metafora anche nei progymnasmata, PseudoErmogene nella sua esemplificazione di come si debba comporre un esercizio sulla
,
scrive
,
, 4, 37. Un altro esempio ricorre
in un progymnasma di Libanio sulla
:
,
’
,
,
;
;
,
,
,
.
’
, 8 , 1, 13; cf.
sempre in Libanio anche 4, 2, 8 e 7, 3, 19.
§7
duale, la nave greca possedeva difatti due timoni; in Dione è attestato
esclusivamente il singolare, unica eccezione: 75, 10, ove troviamo il nominativo plurale: il
riferimento è, infatti, a varie navi. L’uso del duale è relativamente di frequente in Dione cf.
21, 13; 55, 3, 7, 9; negli autori cosiddetti atticisti “künstlich wiederlebt”, Schmid (1887) I 87;
poiché nella koinè era scomparso, vd. Blass-Debrunner (19549) § 65. In questo passo
nell’uso del duale (a mia conoscenza è l’unico caso in cui la forma
è attestata)
Dione si mostra “più attico degli attici”: Platone (Plt. 272e), Aristofane (Eq. 542), Cratino
(fr. 143, 2) e Difilo (fr. 42, 11) utilizzano la forma al plurale. Per la descrizione del timone e
la terminologia realtiva si rimanda a Casson (1971) 224-228, in particolare la n. 2.
75
§8
la figura del medico compare nella letteratura greca già nei poemi omerici:
nell’Iliade tra i capi dei contingenti greci vengono nominati Macaone e Podalirio, i due figli
di Asclepio, “medici illustri” (2, 729-732) e nel quarto libro viene descritta con minuzia
come Macaone cura la ferita di Menelao, procuratagli dalla freccia di Pandaro, vv.190-219.
Nella quarta Pitica Pindaro, rivolgendosi ad Arcesilao re di Cirene, paragona per la prima
volta (Cordes (1994) 26; di questo topos si farà largo abuso) il sovrano con il medico: “tu
sei il medico giusto al tempo giusto ... devi accostare morbida la mano al taglio della ferita
e curarlo”, vv. 271 e sgg. (vedi a commento Braswell (1988) 371-372, Gentili (19982a) 503 e,
per una esauriente analisi della figura del medico nella poesia pindarica, il già citato
Cordes (1994) 25-31). Se nella tragedia e nella commedia antica sono presenti numerose
metafore tratte dall’ambito medico (cf. Zimmermann (1992) 513-525), è solo con mese e la
nea che il medico, come vero e proprio personaggio, fa la sua comparsa sulla scena
teatrale: commedie di Antifane (frr. 106-107); Aristofane (frr. 4-5); Filemone (frr. 35-36) e
Teofilo (fr. 4), hanno il titolo
. L’Aspis di Menandro ci offre un’idea di come la figura
del medico venisse rappresentata parodisticamente: Davo propone a Cherestrato di
inscenare la propria morte con l’ausilio di un medico compiacente, “faremo venire un
medico che darà arie di sapiente e diagnosticherà una pleurite, o una frenite...” (vv.
340-341), ma nell’impossibilità di trovarne uno, il vecchio servo si offre di prendere un suo
amico, che con una parrucca, un mantello e un bastone e parlando straniero si farà passare
per medico (vv. 370-373 “hier (in der Neuen Komödie) wird schonungslos Kritik an der
Medizin geübt, indem die Wichtigtuerei, Eitelkeit, Unfähigkeit, aber auch Armut der
Ärzte verspottet wird”, Cordes (1994) 187. Il medico e le immagini tratte dall’arte medica
costituiscono nei dialoghi platonici le metafore più ricorrenti, egli è, ad esempio, modello
dello statista: nel Gorgia “Socrates works out the analogy between physical and moral
health. As medicine in the
penology) is the
for restoring the former, so justice (or as we say now,
for restoring the latter”, Dodds (19795) 254. Il filosofo ateniese
definisce la politica, che si divide in legiferazione e giustizia, come l’arte che riguarda
l’anima, mentre la medicina e la ginnastica, che delle due precedenti sono l’equivalente,
riguardano il corpo, 477b e sgg. Il medico è però anche paradigma del filosofo; per
76
un’analisi approfondita di tale tematica in Platone si rimanda a Wehrli (1951) 177-184 ed in
particolare a Cordes (1994). Dalle scuole socratiche le metafore mediche sono passate al
cinismo ed allo stoicismo.
Anche nel corpus dioneo, i paragoni che si riferiscono all’arte medica sono, fra quelli
tratti dall’ambito dei mestieri, i più ricorrenti, Oesch (1916) 15-19. Il Prusense segue la
tradizione filosofica a lui precedente: il medico diviene simbolo del filosofo, in particolare
al filosofo cinico Diogene, il quale si reca ai giochi istmici non per assistere ai vari
spettacoli, ma per osservare la più autentica natura dell’uomo, la quale si palesa soltanto
nelle feste pubbliche, egli desidera curare, proprio come il medico, quando le patologie
sono più evidenti, 9, 2; cf. anche 10, 1 e Lucianus Vit.Auct. 8. Anche l’oratore viene
paragonato al medico, il primo deve parlare anche di ciò che può risultare sgradito al suo
uditorio, come il secondo è talvolta costretto a toccare parti imbarazzanti per i suoi
pazienti (33, 44). Ma la figura può anche essere connotata negativamente: i sofisti ed i poeti
che si esibiscono dinanzi agli Alessandrini e che fanno la parte dei filosofi sono simili a
quei medici che portano dall’ammalato non cure ma etere ed unguento (32, 10). Per
paragoni in Epitteto vedi 2, 13, 12; 3, 23, 30 e Billerbeck (1978) 137.
§ 8
cf. Isocrate
’
, panath. 117. Lamar
Crosby ritiene in base all’indicazione dionea che la lezione di cui le orr. 77 e 78 sono una
trascrizione abbia avuto luogo in una grande città, e che la presenza di numerosi uditori e
l’accenno al § 15 ad un discorso sulla ricchezza tenuto il giorno precedente facciano
inferire che “Dio had been in residence long enough to have attracted some attention”,
(19642) 259; cfr. anche von Arnim (1898) 288
§ 8
“pour désigner le salaire ou les honoraires d’un médecin, c’est en général
qui est employé, chez Héraclite comme chez Diodore de Sicile, dans le table
d’Édalion comme dans les inscriptions plus récentes et dans le Corpus hippocratique
77
comme chez Galien”, van Brock (1961) 71. Cf. Erodoto su Democede
, 3, 131.
§9
Cicerone durante il suo esilio in Macedonia incontra
...
Filisco, che lo rimprovera per il suo continuo lamentarsi e si offre di consolarlo,
,
,
.
’
,
.
’
, D.C. 38, 18.
§9
si tratta di un in Dione, indica la febbre letargica ed in questo significato il
termine è attestato quasi esclusivamente nella letteratura medica cf. Hp. Morb. 2, 65; 3, 5;
Gal. De locis affectis libri VI 8, 127, 9; 8, 166, 7.
dioneo. Pianta appartenente alla famiglia delle solanaceae, delle due
§ 9
specie diffuse nel bacino del Mediterraneo l’unica presente in Grecia è la Mandragora
autumnalis, Tutin
Heywood (1964-1980) 120. Le radici della mandragora, peraltro
piuttosto velenosa, venivano utilizzate nell’antichità per le sue molte e differenti proprietà:
come afrodisiaco, cf. Diosc. Med. 4, 75; come narcotico, cf. Hp. Loc. hom. 39,1; come pianta
magica; e come panacea contro ogni malattia; nel medioevo era utilizzata come analgesico
durante le operazini chirurgiche. L’anonimo autore del trattato di età imperiale de morbis
acutis et chroniciis prescrive la mandragora specificamente nella cura della frenite, 1, 8. Per
una trattazione più puntuale e riferimenti si rimanda a Kruse (1928) 1028-1038.
cf. Demostene il quale rivolgendosi agli
§ 9
Ateniesi radunati in assemblea afferma
, Phil. 4, 6; il passo demostenico era ben noto nell’antichità e viene registrato nei
78
manuali di retorica: da Elio Aristide quale esempio di
Ermogene quale esempio di
§§ 10-11
,
, Id. 1, 7, 31.
corrisponde al
...
trattatistica retorica, i
, Ars Rhetorica 15, 1, 3; da
della
costituivano, secondo la divisione di Quintiliano, il
terzo genere di prova tecnica, “das exemplum hat also eine inhaltliche Quelle [...], eine
utilitas-Funktion [...] und eine literarische Form (commemoratio)”, Lausberg (19903) 228. La
commemoratio poteva assumere a sua volta una forma stringata o più ampia (“als narratio
ist das exemplum eine digressio [...] innerhalb der argumentatio, Lausberg (19903) 229): il
dioneo rientra in questa ultima categoria, esso non è un mero
riecheggiamento della storia di Democede: viene infatti narrata diffusamente. Questo
exemplum costituisce tuttavia una lunga pausa che parrebbe spezzare il ritmo della sin qui
serrata argomentazione dionea: si corre il rischio di perdere il filo della discussione,
particolarmente se viene accolta l’ipotesi dell’estemporaneità dell’orazione in esame. Negli
esempli di progymnasmata compilati dai retori antichi, quali Libanio, tali
sono tratti principalmente da Omero, da Erodoto, da Demostene.
§§ 10-11
,
...
la fonte è Erodoto, 3,
129-130 e 132. Dione segue sostanzialmente la narrazione dello storico di Alicarnasso,
apportandovi quelle poche ma essenziali modifiche, atte a ricreare, o meglio, ad adattare
l’ethos del medico crotoniate. Viene, ad esempio, completamente omesso il momento nel
quale Democede, condotto alla presenza di Dario in catene e vestito di stracci, alla
domanda del re se abbia una qualche conoscenza dell’arte medica, per paura di non poter
più tornare in Grecia, lo nega, e soltanto alla vista di fruste e pungoli lo confessa: il medico
crotoniate appare nel racconto erodoteo certamente meno coraggioso e generoso di quanto
Dione voglia lasciar intendere. Inoltre il Prusense falsa il corso della narrazione, nel
momento in cui rievoca come il medico crotoniate abbia chiesto quale ricompensa per la
guarigione del re a Dario di liberare i medici egizi che il sovrano aveva condannato a
morte. Erodoto, invece, narra che il re retribuì Democede con dei ceppi d’oro, e dopo le
79
pacate rimostranze di quest’ultimo lo fece condurre presso le mogli per ricevere una
grande quantità di oggetti preziosi. È solo al § 132, dopo aver ripercorso le tappe della
biografia di Democede, che lo storico riferisce che il medico Greco, oramai in confidenza
con il sovrano, lo pregò di graziare i colleghi Egizi. Dione altera palesemente alcuni dati
del racconto, riadatta l’ethos di Democede alle esigenze della sua argomentazione: da un
lato il Crotoniate deve apparire il prototipo del medico che, incurante dei suoi propri
interessi e pur trovandosi nella condizione di ottenere da Dario qualsiasi cosa desideri, a
tutto ciò antepone, per spirito di categoria, la vita dei suoi colleghi Egizi; dall’altro deve
esemplificare la convenienza per un medico della presenza di altro medici nella stessa
città. Nella prima orazione Sulla schiavitù e la libertà Dione “ricicla” questo stesso episodio,
variandone ancora una volta la prospettiva, assecondando l’argomentazione, senza fare
alcuna menzione del medico crotoniate: Dario, che pur era sovrano dei Persiani, non
godeva realmente di grande libertà, feritosi a un piede durante una battuta di caccia fu
costretto ad affidarsi a medici egizi che tendevano e torcevano con violenza l’arto ferito,
14, 8. L’episodio non ha trovato particolare eco nell’antichità, viene ripreso da Ateneo, il
quale narra come i Crotoniati si fossero dati al lusso per quanto accadde a Democede, il
quale, secondo il racconto erodoteo, catturato da Dario, dopo la morte di Policrate, curò la
moglie Atossa e ricevette in ricompensa il permesso di ritornare in patria, 12, 522a-c.
con questa frase Dione introduce la parte
§ 10
paradigmatica secondo lo schema dei progymnasmata, cf. ad esempio Aftonio II 26, 2
Spengel;
.
,
, Ermogene, II 8, 24-26 Spengel. “Das
Exemplum =
(Ars rhet. 1,2, 13; Quint. 5, 11, I; Aps. Techn. 8) wird definiert als
rei gestae aut ut gestae utilis ad persuadendum id quod intenderis commemoratio (Quint. 5, 11,
6)”, Lausberg (19903) 227-228.
80
§ 10
’
cf. Erodoto
...
.
’
, 3, 129.
fu uno dei più celebri medici della sua epoca e capo
§ 11
dell’influente scuola crotonese. La fonte primaria sulla vita di Democede è Erodoto 3, 125,
129-131, 137 (dalla quale la maggior parte delle testimonianze successive dipendono):
Democede, per l’intrattabilità del padre Callifonte, abbandonò Crotone e si stabilì
nell’isola di Egina, ove pur mancando degli strumenti sopravanzò i medici locali, e si
trasferì successivamente a Samo presso la corte di Policrate. Allorché Policrate venne fatto
assassinare a tradimento da Orete, Democede, che faceva parte del suo seguito, venne
condotto come schiavo presso Dario re di Persia, e là ebbe l’occasione di curare sia il re,
come narra anche Dione, sia la regina Atossa. Ritornato a Crotone sposò la figlia dell’atleta
Milone. Per una analisi di queste pagine erodotee si veda Brandeburg (1976) 34-37; Cordes
(1994) 66-69; Asheri (1998) 341-342 con ulteriore bibliografia. Le testimonianze sono
raccolte in D.-K. 9 e Cardini Timpanaro (1957) 106-116, quest’ultimo con commento; vedi
inoltre Freeman (1953) 87-88 e Michler (1966) 213-229.
PH.
si tratta di termini tecnici del linguaggio medico, che
§ 11
Dione usa piuttosto raramente, il primo è attestato in 48, 12; il secondo invece è un hapax;
si veda inoltre per
Hp. Art. 36; VC 13; Gal. De symptomatum causis libri III 7,
142, 16; e per
Hp. Epid. 5, 58; 7, 76; Mul 1, 34; Gal. De methodo medendi libri XIV
10, 237, 9.
e
ricorrono insieme soltanto in Alessandro medico
Therapeutica 2, 381, 23. I due termini mancano invece nel racconto erodoteo, lo storico
greco utilizza al § 130 l’espressione
, e verosimilmente
con essi Dione intendeva porre in maggiore evidenza la differenza metodologica e
terapeutica fra la medicina egizia e quella greca, paragone che si risolve a favore di
quest’ultima: da una parte i medici egizi
non fanno che
81
accrescere le sofferenze di Dario (Erodoto ha
Democede semplicemente
, § 129), dall’altra
cura il sovrano in breve tempo;
sulle differenze fra la medicina egizia e greca nel racconto in Erodoto si rimanda a Cordes
(1994) 67 n. 11.
§ 12
il termine ricorre nella letteratura greca solamente altre due volte:
Senofonte Mem. 3, 10, 9 e Ateneo 5, 63, 20. Lo storico ateniese è certamente la fonte di
Ateneo, il quale cita il nome del fabbricante di corazze con il quale Socrate si intrattiene, e
potebbe esserlo anche di Dione: Socrate difatti domanda all’artigiano Pistia, che gli aveva
mostrato alcune corazze ben lavorate, perché le venda a un prezzo maggiore, per quanto
non siano forgiate né più robuste né con materiale più prezioso rispetto a quelle degli altri
artigiani. Questo attacco alla avidità dei fabbricanti di corazze viene ripreso infatti da
Dione, il quale nell’argomentazione dell’or. 77 ipotizza che solo i fabbricanti di corazze
stolti potrebbero vendere i loro prodotti a un prezzo troppo alto.
§ 12
si tratta di un altro hapax dioneo, termine peraltro piuttosto rara: ricorre
esclusivamente in Aristofane in Pax 1255 e nel relativo scolio .
§ 12
Arnim propone l’espunzione perché omessi dai codici PHM,
espunzione che non viene accolta né da de Budé né da Lamar Crosby. Potrebbe in realtà
trattarsi di una omissione del copista per omoteleuto con il termine precedente
. La simmetria dell’argomentazione infatti lo richiede: ben due volte viene
evidenziato che nell’eventualità di un attacco nemico l’assenza di mura e di armi per tutti
pregiudichi la possibilità della città di far fronte all’assalto, cf. Wenkenbach (1908) 90.
è in Dione un hapax, e viene utilizzato nel significato meno comune di operai
addetti alla costruzione di mura. Il termine indicava più frequentemente il magistrato
preposto al controllo ed alla riparazione delle mura: la carica di
è posta da
Aristotele fra le magistrature fondamentali per l’amministrazione di qualsiasi stato, Pol.
1321b; cf. inoltre Demostene Sulla corona 55 e 113.
82
il termine è un hapax in Dione indica “il fabbricante di lance”, le uniche
§ 12
attestazione nel periodo classico ricorrono in Aristofane, che possiamo sostenere abbia
forgiato il termine, Pax 447, 549 e 1213, particolarmente interessante è la prima
attestazione, ove Trigeo rivolgendosi al corifeo sottolinea la cupidigia dei fabbricanti di
lance
,
’
,
.
Il termine ricorre inoltre in Plu Pel. 12, 1; Ael. NA 14, 26; Lib. Decl. 33, 1, 17. La variante
offerta dal codice P è inammissibile perché vox nihili.
§ 12
l’espressione, che in Dione è un hapax, è attestata con
’
minime variati, nell’oratoria: Isocrate ad Nic. 1, 4; Arch. 88, 1; pac. 37, 1; antid. 224, 1;
Demostene 16, 23; 49, 68; Lys. 10, 9. Per quanto riguarda la letteratura dialogica è presente
in Platone:
,
, Tht. 143e; cf. inoltre
Cra. 399c, Hp.Mi. 363a, R. 328e; Senofonte
, Smp.
4, 49, 2.
§ 12
nella distinzione fra
alla koinè, cf.
§ 12
e
Dione non segue il greco classico, ma si allinea
(19549) §§ 426-432; Russell (1992) 118; Krapinger (1996) 60.
il termine significa sia “privo di scudo” sia “privo di armatura protettiva”;
dal contesto si evince che la seconda accezione, d’altra parte la più comune, è la più
probabile, inoltre “hoplites took their name from their arms and armour as a whole, their
hopla in that all-compassing sense”,
§ 13
(1996) 27.
questo sintagma, d’altra parte poco consueto, ricorre nel
corpus dioneo altre due volte: 11, 139 (in riferimento alla presa di Troia) e 31, 54.
83
Demostene descrive la presa di Platea (
,
), 59, 103.
variazione di Dione del verso esiodeo citato
§ 13
al § 1.
Dione riutilizza l’espressione al § 14. Il nesso ricorre per la
§ 13
prima volta in poesia Hom. Od. 1, 376, e 2, 141 (
), ove Telemaco per
due volte biasima i pretendenti “se poi vi sembra più facile e meglio consumare la roba
d’uno solo senza compenso, ebbene mangiate” (trad. Privitera). Dione cita il verso in 12,
15. In prosa dobbiamo attendere invece Senofonte An. 6, 2, 15; 7, 6, 44; Lac. 8, 5, 6; Vect. 6, 2
e 6, 2 (
o
), la cui reminiscenza, come già segnalato da Schmid (1887) I
146 almeno per Vect. 6, 2, potrebbe aver influenzato Dione; l’espressione ricorre inoltre in
Plu Moralia 271c; Arr. An. 7, 26, 2, 4 e Peripl. M. Eux. 22, 2, 2. In Platone ritroviamo invece
, Lg. 828a, cf. Polibio 8, 28, 7, 2. In tutte le attestazioni, escluse quelle
omeriche e dionea, la formula allude alla sfera religiosa e più in particolare alla pratica
della vaticinazione, “est la formule rituelle dans le demandes et dans le réponses
d’oracles”, Gauthier (1976) 219. Anche a una rapida scorsa del passo risulta palese che
Dione non si richiama alla pratica della divinazione; è allora ipotizzabile un utilizzo
ironico della forma rituale o una allusione al passo, connotato in maniera ugualmente
negativa, dell’Odissea.
§ 14
...
si tratta della
: essa costituiva la sezione conclusiva di un
progymnasma; Ermogene, sulla struttura della chreia che nella trattatistica si sovrappone a
quella della
, scrive
,
, Waltz I 7. Libanio nella sua raccolta di progymnasmata offre alcuni
esempi: al termine della
sul verso omerico Il. 2, 24 (
) sostiene
, Foerster 112, § 18.
84
§ 14
qui termina secondo la tradizione manoscritta l’or. 77; la conclusione di
Milobenski (1964) 128 “da wäre ein wenig ergebnisreicher Schluß” mi pare priva di
fondamento: Dione in realtà consegue il suo obiettivo, che nello svolgimento del dialogo si
svela differente rispetto alle battute iniziali, che lasciavano intendere una trattazione ben
più estesa: egli infatti obbliga il suo anonimo interlocutore a riconoscere la parziale
validità sia delle proposizioni dalle quali il dialogo aveva tratto origine che dell’iniziale
panegirico della esperta cognizione di Esiodo della natura umana.
85
Commento or. 78: Sull’invidia
Tit. il codice Urbinas Gr. 124 (U), appartenente alla prima classe (Sonny (1896) 2-5) offre
come titolo
; il Meemannianus (M, seconda classe) e il Parisinus Gr. 2958 (B,
prima classe) danno invece la semplice titolazione
.
§§ 15-16 introduzione: il saggio oltre ad essere magnanimo ed esente da dolore non
potrebbe in alcun modo provare invidia per ciò che è bene comune del genere umano,
come non potrebbe invidiare la ricchezza: Dione ha dimostrato questo punto il giorno
precedente in una diatriba sulla ricchezza.
§ 15
Dione esordisce con un inatteso
. Müller, a commento dell’incipit del Sisifo
pseudo-platonico, evidenzia “der etwas abrupte Einsatz der Unterhaltung (...) zielt darauf
ab, den Eindruck der Unmittelbarkeit und Natürlichkeit hervorzurufen”, (1975) 50.
§ 15
la grandezza d’anima è nella speculazione dionea elemento distintivo
essenziale ed imprescindibile dell’ottimo sovrano e in generale del buon politico. Al
termine della prima Sulla regalità viene presentato l’aneddoto, caro alla tradizione cinica,
della scelta di Eracle fra la Tirannia e la Regalità: accanto allo scettro di quest’ultima si
trova Nomos, la legge,
,
, senza il quale né
Eunomia né Dike né Eirene possono fare alcunché, 1, 75. Che tale grandezza d’animo non
sia semplicemente portamento e una artificiosa esteriorità è dimostrato dal tentativo della
Tirannia di imitare la solenne compostezza della Regalità, con il suo rifiutarsi di guardare
coloro che entrano alla sua presenza essa trasmette non dignità e gravità, quanto
disprezzo e denigrazione: la
non è altezzosità costruita ad arte, ma
sintomo di una grandezza interiore, quasi innata. La grandezza d’animo non è però
esclusiva prerogativa del sovrano e dei suoi consiglieri, nella stessa maniera in cui esistono
sovrani retti, magnanimi e generoso e tiranni spietati e ingiusti, allo stesso modo esistono
due forme di democrazia: la retta, che partecipa della natura divina e regale, è mite,
86
benevola, magnanima (
), che onora gli uomini ed i discorsi probi, a questa si
oppone invece la forma più frequente, che è sfrontata e tracotante, 32, 27-28. La
magnanimità di un governo popolare non è quindi quella aristocratica superiorità di
carattere etico di uno spirito nobile, come nelle orazioni Sulla regalità, ma umiltà, mitezza e
rispetto per tutto ciò che è buono. Nell’or. 78 l’analisi dionea si sposta da un piano politico
e pubblico, le qualità del buon re e del d
retto, a un piano strettamente privato: le
scelte, che queste doti morali determinano, hanno ripercussioni sull’intera collettività, a
carattere sopranazionale nel caso dell’imperatore, a carattere provinciale o semplicemente
cittadino nel caso del filosofo. Queste riflessioni dionee utilizzano la medesima
terminologia già utilizzata in riferimento al buon re: al § 15
da
,
, al § 29 da
accompagnato
ed al § 37 da
. Musonio, maestro
di Dione, invita l’uomo a seguire l’esempio divino ed aggiunge
,
,
,
,
, 18, pg. 90 linee 8-12 Hense.
§ 15
il termine compare soltanto nel V sec. a. C., frequentemente attestato in
tragedia, è però totalmente assente in Eschilo: il coro euripideo dell’Alcesti si augura, nel
suo triste accomiatarsi dalla protagonista di trovare una simile compagna, la quale non
potrebbe recare alcun dolore (
), 475 (altra possibile traduzione è “che non
patirebbe dolore”, sull’ironica ambiguità di questo passo si veda Conacher (1988) 175); vd.
inoltre S. Tr. 168; El. 1002; OC 1519, 1765. È però più tardi che esso entra nel linguaggio
filosofico: nelle pseudoplatoniche Definizioni l’
viene definita
’
, 412c. Questa può essere considerata la prima formulazione
filosofica della
. Essa viene ripresa da Aristotele, il quale nell’Etica Nicomachea
scrive che l’intemperanza è uno stato dell’anima volontario, contrariamente alla viltà,
perché se la prima deriva dal piacere, ed è quindi ricercata, la seconda è un effetto
incontrollato della paura, la viltà non presenta pericoli (
), ma talvolta può turbare
a tal punto che i soldati gettano le armi, 1119a. È tuttavia con la filosofia ellenistica che
87
diviene elemento distintivo del vero filosofo e virtù necessaria al conseguimento
della felicità:
,
.
,
’
.
’
, SVF III 107, 35-39= D.L. 7, 96.
Cleante, il secondo scolarca della Stoa, al Dio attribuisce le massime virtù:
,
,
,
,
,
SVF I 557, 3-4=Clem.Al. Protr. 6, 72. Certo da non sottovalutare è questo passaggio di
da definizione di uno stato d’animo e condizione di vita alla sua elevazione a
rango di virtù etica. Alla dottrina stoica si riallaccia il filosofo Epitteto, contemporaneo di
Dione ed anch’egli allievo di Musonio: “dass Epiktet als echter Stoiker alle Trauer und
Furcht verbannt wissen wollte, geht aus allen seinen Reden hervor: mit Entschiedenheit
fordert er, dass der Mensch als Bedingung der Glückseligkeit die
dass er
und
sich aneignen,
werden musse”, Bonhöffer (1890) 303, vd. inoltre sempre
Bonhöffer (1894) 47; cf. in Epitteto 2, 14, 8; 2, 17, 29. Un altro illustre contemporaneo,
Plutarco, nello scritto La tranquillità dell’animo, si rallegra che Paccio, il destinatario
dell’opera, non si sia fatto traviare dalle ricchezze, dai successi politici e dalle amicizie
influenti, perché tutto ciò non porta certo alla serenità dell’animo (
),
465a. Solo chi si esercita ad immaginare i mali che possono colpire l’uomo (le malattie,
l’esilio, la sofferenza) comprende veramente quanto di falso è presente in questi timori,
molti sono invece sopraffatti dalla paura
, 476d. Questa
consiste per Plutarco non tanto nello scansare ogni
occasione che potrebbe causare dolore, ciò non sarebbe possibile, quanto nell’abituarsi con
l’immaginazione alla sua costante presenza proprio nel momento in cui pare di esserne
così lontani.
88
L’
è una caratteristica anche del filosofo cinico, secondo la formulazione di
Epitteto:
;
,
,
;, 3, 22,
48.
Nella concezione epicurea l’
al contrario non viene considerata un requisito
necessario al filosofo e all’uomo saggio, Epicuro nella lettera indirizzata a Dositeo scrive:
’
:
, Plu Moralia. 1101a-b= fr. 40 Arrighetti.
Per quanto concerne Dione è necessario sottolineare la ricorrenza esclusiva dell’aggettivo
ed il relativo avverbio, manca d’altra parte l’attestazione del sostantivo
; dal punto
di vista semantico esso ha sia il significato passivo che l’attivo, è da notare che, escluse le
attestazioni dell’avverbio, è preponderante il primo. Lamar Crosby (19642) V 275 traduce
con il termine “inoffensive” (seguito da Elliger (1967) 761 “Harmlosigkeit”), e
propenderebbe quindi per un significato attivo, forse in considerazione del fatto che il
saggio è nelle parole di Dione sia magnanimo (
(
) sia filantropo
), e ciò potrebbe avere senso quale azione utile per la collettività. Io ritengo
invece che sia debba tradurre con “esente da dolore” proprio perché le attestazioni
filosofiche e le scarse attestazioni nel campo della filosofia in Dione si riferiscono al cinico
Diogene o allo scultore Fidia: nell’or. Diogene o Istmico il filosofo cinico, mentre assiste ai
giochi istmici, domanda ad un giovane vincitore, acclamato da una folla festante, cosa stia
accadendo intorno a lui e dopo aver sentito della sua vittoria lo ammonisce, ricordandogli
che non è per questo divenuto più intelligente, né meno vile, né sarà in grado di vivere
una vita priva di dolore (
), 9, 15. Stesso concetto espresso dal
filosofo di Sinope, il quale ad un uomo che si reca al santuario di Delfi per sapere ove sia
fuggito il suo unico schiavo, replica che come chi non ha scarpe cammina senza,
similmente molti vivono più agiatamente e senza paura del dolore di quanti possiedono
molti schiavi (
), 10, 8, vd. nello stesso
discorso il § 16. Decisamente interessanti sono le parole che Fidia (in una bellissima
ethopoiia) pronuncia in difesa della sua raffigurazione di Zeus presso il santuario del dio ad
Olimpia: lo scultore ha con l’ausilio della sua arte ritratto Zeus “mite e maestoso in
89
contegno benevolo (
), 12, 74. In questo passo l’
, che presso
filosofi stoici nonché nei pensatori cristiani (Acta Joannis 29), è attributo sostanziale della
divinità e come tale modello per l’uomo, viene addirittura raffigurata tramite l’arte
figurativa, facendo di Fidia un vero e proprio filosofo, non un semplice se pur geniale
artista, che ha inteso la vera natura del dio ed è stato capace con i mezzi della sua arte di
infonderla nella muta e fredda pietra. Cf. inoltre Krapinger (1996) 73; Capone Ciollaro
(1983) 40.
la philanthropia è uno dei concetti fondamentali della filosofia cinica,
§ 15
come ha sottolineato Gerhard “erfüllt von
erkennt er (der Kyniker) es als
seine Aufgabe, die Menschen zu fördern,
, wie der terminus technicus lautete”,
(1909) 32-33, vd. Inolte Bernays (1879) 101 sg. Cratete di Tebe, allievo di Diogene, incarna
nella tradizione cinica il filosofo philanthropos: “die philanthropischen Züge des
Idealkynikers
sind in der ersten Linie Krates entlichen, dessen mildes
und
menschenfreundliches Wesen sprichwörtlich war“, Billerbeck (1978) 7 n. 34. Luciano così
scrive di Demonatte
, Demon. 10. La
è sin da Isocrate (
.
., Ad Nic. 15) uno degli elementi costitutivi della rapresentazione di se
nell’ideologia ellenica attraverso i secoli (Hirzel (1912) 25; Downey (1955) 199-208;
Whitmarsh (2001b) 117 n. 97 con bibliografia). Tale presupposto rimane costante anche
nella letteratura d’età imperiale: “Plutarch appears to believe that two important
character-traits, namely
(gentleness, calmness) and
(humanity,
clemency, beneficence) are typical Greek qualities, whereas brutality and cruelty are not
proper features of the Greek character but raher peculiar to barbarians”, Nikolaidis (1986)
239. Sull’ideale cinico della
§ 15
si rimanda a Dudley (1937; fotorist. 1967) 161.
la virtù è il fine supremo sia dello stoicismo che del cinismo; le due
correnti filosofiche si differenziano nel modo nel quale la virtù possa essere conseguita: il
90
cinismo con il raggiungimento dell’autarchia; lo stoicismo con lo svolgimento dei doveri
sociali.
§ 15
poliptoto, alcuni esempi nel corpus dioneo 3, 107; 12, 35;
...
17, 11; 38, 3.
§ 25
alliterazione e poliptoto, di questa figura retorica con il termine
faceva un grande abuso, ricorre altre quattro volte in Dione,
46, 13;
si
: 17, 20; 31, 74;
9, 19 (su cui Capone Ciollaro (1983) 17; cf. ad es. S. El. 728, Pl. Tht.
171e, 179b, R. 579a, X. An. 2, 1, 16.
§ 15
verbo con valore sostantivato, cf. Plu Moralia 681d. “Für die Antike
besteht zwischen diesen Wörtern (
,
) hinsichtlich ihrer Bedeutung ein
Unterschied. Für sie ist die Bedeutung von Baskania stärker im Vergleich zu Phthonos;
schließt den Schaden des anderen ein. Diese antike Erklärung des
Unterschiedes von Phthonos und Baskania wird aber nicht immer streng beibehalten.
Baskania verliert bisweilen die besondere Nuance, die wir oben aufgezeigt haben, und
wird mit Phthonos identifiziert”, Nikolau (1969) 19 Dione non opera alcuna
differenziazione fra baskania e phthonos.
In Dione è attestata esclusivamente la costruzione
con il dativo: ai §§ 25 e 37
dell’or. 78; 40, 18; 43, 2. Tale costruzione è raramente attestata nella classicità: mai presente
ad esempio in Isocrate (
nell’Antidosi 62, nel Panatenaico 155 regge l’accusativo);
è attestata una sola volta in Demostene Contro Leptine 24 (di contro almeno due
attestazioni con l’accusativo nella Sul Chersoneso, 19 e Sulla corona, 190), ad indicare
probabilmente che l’accezione di “invidiare” era decisamente di minore importanza
rispetto a quella di “malignare”. Assai più frequente è d’altra parte nelle opere di autori
più tardi: ad esempio Giuseppe Flavio AJ, 10, 257; Vit., 425; Ap., 2, 286; Plutarco, presso il
quale è però maggiormente attestata la costruzione con l’accusativo, Moralia 538d; 806a;
Philostr. VA 5, 33 e 7, 31; Hermog. 1, 1, 58; Ael. VH 2, 13; 12, 16; Eun. VS 10, 6,1. L’invidia,
91
, costituisce il tema sostanziale di questo dialogo come dell’or. 77, il punto
di vista è fondamentalmente diverso, lo dimostra l’argomentazione della diatriba stessa:
non si tratta più della gelosia suscitata nel ceto degli artigiani da una spietata concorrenza
economica, ma dell’invidia che scaturisce dal desiderio del possesso della fama e della
reputazione, del vigore fisico, dei talenti artistici, dei premi sportivi e dei riconoscimenti
pubblici (queste sono alcune delle esemplificazioni che lo stesso Dione porta), che sono
invece appannaggio di altri. Il termine compare nelle orazioni summenzionate, ma anche
in questo caso abbiamo un mutamento di prospettiva: è l’invidia politica fra concorrenti al
primato per il governo della polis, essa è “uno dei motivi più forti di contesa politica
all’interno delle città”, Desideri (1978) 456 n. 18. Non c’è quindi da stupirsi che Dione la
stigmatizzi in ogni sua forma con tanta decisione.
§ 15
l’espressione ricorda la definizione
,
dell’invidia nello scritto
,
di Andronico
, SVF
, 100, 21.
se prestassimo fede alle parole di Dione e volessimo
§ 15
rintracciare nel corpus dioneo la trascrizione della lezione filosofica sulla ricchezza tenuta il
giorno precedente ritroveremmo un solo scritto con tale titolo, l’or. 79, che nel lascito
dioneo, come ci è pervenuto, segue la 78. Le parole del Prusense
,
.
’
,
lasciano trasparire la natura delle riflessioni dionee: il
saggio non potrebbe invidia la ricchezza altrui. Hirzel (1895) II, 114-115: “so sind Dions
Dialoge nicht der Ausdruck einer inneren oder äusseren Wirklichkeit. Sie sind vielmehr
Formen, die er sich aus der rhetorischen Vorrathskammer zusammengesucht und dann
mit einem nur gerade nicht widerstrebenden Inhalt erfüllt hat“. Questa collocazione
temporale è per von Arnim (1898) 288 un palese e incontrovertibile indizio della realtà dei
dialoghi dionei: “es liegt auf der Hand, daß dieses Citat ... nicht als blosse Fiction gefaßt
92
werden könnte, weil kein vernünftiger Grund solcher Fiction sich denken lässt ... auch
dieses Citat ist also ein vollgültiger Beweis, dass der Dialog kein “papierener” ist, sondern
auf der mündlichen Lehrtätigkeit Dios bruht.” Von Arnim a sostegno della sua
interpretazione cita un passo simile dell’Agamennone o sulla regalità: Dione afferma al
termine della “lezione”, durante la quale ha voluto dimostrare che il sovrano che non
debba rendere conto ad alcuno del suo operato non esiste,
,
,
’
(56, 16). Se fosse
giusta l’ipotesi ventilata da von Arnim potremmo concludere che la conversazione cui
Dione fa riferimento si tratti dell’or. 79 o di un dialogo andato perduto nella burrascosa
storia della tradizione dionea. Lamar Crosby (19642) 259, sulla scia di von Arnim, inferisce
quindi che “Dio had been in residence long enough to have attracted some attention.”
L’ipotesi di una collocazione temporale fittizia della conversazione non è in realtà così
peregrina come von Arnim argomenta: i dialoghi platonici offrono alla critica talvolta
difficoltà insolubili nel dirimere le varie divergenze cronologiche, valga l’esempio del
Fedro, ove il riferimento alla presenza ad Atene di Fedro, esiliato dal 415/4 sino al 404/3, e
di Lisia, rientrato da Turi presumibilmente nel 412/1, nonché il riferimento ad Euripide e
Sofocle ancora in vita, sono dati inconciliabili, De Vries (1969) 7; ulteriori anacronismi
platonici sono discussi da Müller (1975) 47 e n. 9. Merita di essere menzionata l’ipotesi
avanzata da Müller della presenza nelle Einleitung degli scritti platonici di un "
-
Topos", il quale porta a prova della sua tesi riferimenti dall’Eutidemo, dal Carmide, dal
Simposio, dal Sofista, dal Politico e dal Timeo, (1975), 50 e n. 2. Se Dione rinvi a un discorso
realmente pronunciato il giorno precedente o si tratti di un elemento fittizio, è quindi in
mancanza di dati ulteriori difficilmente risolvibile.
§ 15
“Reichtum, der zu Gier und Habsucht verleitet, ist ein Haupthema
der Popularphilosophie”, Billerbeck (1979) 7. Opere
sono attribuite, ad
esempio, a Speussipo (D.L. 4, 4), Senocrate (D.L. 4, 9), Aristotele (D.L. 5, 22), Teofrasto
(D.L. 5, 47), Diogene (D.L. 6, 86); Dione stesso consacra a questo tema una sua diatriba:
93
l’or. 79 Per una trattazione più approfondita del tema della ricchezza nella letteratura
greca si rimanda a Vischer (1965).
l’anonimo poeta è Omero. Sull’uso del termine
§ 16
in relazione
ad Omero nel corpus dioneo si rimanda al meticoloso studio di Kindstrand (1973) 14-15.
l’espressione ricorre per la prima volta in Erodoto: Creso,
§ 16
avvertito in sogno che il figlio Atys sarebbe morto trafitto da una punta di ferro, tenta di
impedire che quest’ultimo vada a caccia del cinghiale che devasta le coltivazioni dei Misi,
ma cede persuaso dalle argomentazioni del figlio,
, 1, 40; vd. inoltre 2, 120 e 3, 71. Decisamente più significativa è invece
l’attestazione nello Ione platonico: Socrate illustra a Ione come non sia verosimile che
l’aedo sia in grado di recitare e interpretare Omero ma non gli altri poeti, e gli domanda se
esista chi possa essere in grado di commentare le opere di Polignoto, ma si trovi in estrema
difficoltà ed sia colto da uno stato di torpore dinanzi a quelle di un qualsiasi altro artista, e
che solo al momento di esprime la sua opinione (
) su Polignoto si
risvegli ed abbia abbondanza di idee, 532e-533a; cfr. inoltre Prt. 336d, Grg. 466c. Un’altra
attestazione nell’ambito della critica letteraria si trova presso Aristotele, nell’analizzare le
forme dell’arte poetiche scrive lo Stagirita
,
, Po. 1450a.
§ 16
...
lezione
Hom. Od. 17, 423 e 19, 79. La totalità dei manoscritti offre la
’, che, a mio parere deve essere mantenuta: 1. per il rispetto di una tradizione
unanimemente concorde, come in questo caso; 2. perché il dativo del testo omerico si
riferisce alle
, delle quali Dione non fa alcuna menzione: il dativo non
avrebbe nel testo di Dione alcun senso ed è quindi presumibile che il Prusense abbai
adattato il verso. Questa è l’unica citazione nella letteratura greca del verso omerico.
94
il lemma ricorre in Dione al genitivo al rigo seguente e nell’or. 33, 2
§ 16
’
§ 16
...
’
, ove il riferimento è però a Il. 2, 285.
“un passo omerico in cui sembra che il poeta condivida
’
l’opinione comune della felicità dei ricchi viene giustificato in due diversi modi: a) il poeta
non esprime la sua idea, ma ripete l’opinione comune; b) dei ricchi si dice che sono
semplicemente chiamati, non che siano realmente felici”, Desideri (1978) 476, il quale in n.
25 rinvia al passo
,
,
, 2, 44. Merita di essere notato lo scolio 455a 7-9 alle Opere e giorni esiodee
,
. La Suda s.v
4633 esprime lo stesso
giudizio con i termini in sostanza identici a quelli dionei:
,
. La glossa del lessico bizantino non ha la sua
fonte nello scolio ad Esiodo, si rivela invece una citazione occulta del passo dell’orazione
Sull’invidia di Dione Crisostomo in esame, Gazzaniga (2005) 361-365. Il tema della
rappresentazione della ricchezza nella poesia viene esposto da Dione in maniera
sporadica, il giudizio risulta però di costante condanna, per quanto debbano essere
rilevate considerevoli differenze: Filippo nella seconda orazione Sulla regalità provoca il
giovane Alessandro, appassionato ammiratore della poesia omerica,
,
.
,
’
,
,
,
,
.
,
,
’
,
; Alessandro si affretta a pronunciarne una entusiastica apologia: Omero infatti
,
.
,
95
, 2, 37-39. Cf. quanto nella Sulla ricchezza il retore
sostiene rigurdo la descrizione nell’Odissea delle dimore di Alcinoo e Menelao
,
, 79, 1.
Secondo una interpretazione pedagogica della poesia omerica il poeta rappresenterebbe,
così afferma Alessandro Magno, sia il bene che il male (
, 53, 11, cfr. inoltre 55, 13-14) e la descrizione dei personaggi moralmente negativi
corrisponde alla volontà del compositore di edificare il suo pubblico con tali paradigmi:
ammaestra in maniera più efficace che se “avesse usato le semplici parole”, come Dione
stesso sostiene dell’insegnamento socratico, 55, 13. Nella Su Omero invece si trova una
antitesi interpretativa della poesia omerica simile a quella riassunta dalla contrapposizione
fra passi in cui viene espressa l’opinione del poeta e ed altri in cui invece il pensiero della
massa: il filosofo stoico Zenone contrariamente a Platone non avrebbe rimproverato
Omero in nulla, ma
,
, metodo interpretativo che fu proprio del maestro del filosofo stoico,
Antistene per il quale
,
, 53, 4-5 (per
un’analisi del significato dell’espressione nella dottrina di Zenone si veda Steinmetz (1986)
19-25 e Hillgruber (1989) 15-24, in quella di Antistene Giannantoni (1990) IV, 338-346). È
verosimile che proprio a questa distinzione interpretativa della poesia omerica alludesse
Dione nel passo della 78, senza naturalmente avere la pretesa della coerenza che un
coscienzioso sistema esegetico avrebbe richiesto: il poeta da una parte erra nella
descrizione di ciò che è male (69, 1) ; d’altra parte esprime in ciò l’opinione della massa, 78;
dall’altra rappresenta il vizio espressamente per educare il suo pubblico, 2, 37-39 e 55, 13.
§ 17
indica che un punto della discussione è dato per risolto e stabilisce il passaggio a
una fase successiva, cf. Dover (1980) 85.
96
§ 17
...
la Suda
126 ha
, e la Adler ne individua la fonte in un proverbio, ma a mio parere il locus classicus sia
ancora l’or. 78.
come nell’or. 8, 15 “il termine ha qui un significato cinico”, Capone
§ 17
Ciollaro (1983) 43; ed proprio nell’or. 8, 15 Diogene ci offre la definizione dell’uomo nobile
(Höistad (1948) 199-200): 1
;2
; 3
;4
;5
...
; 6
;7
;8
;9
; 10
.
In Dione cf. inoltre 31, 125; 78, 26;
inizia la sezione dello scritto, nella quale Dione illustra come il saggio
§ 17
non possa invidiare la fama di cui gli altri godono, perché essa corrisponderebbe alla
esaltazione degli ignoranti; il Prusense utilizza esemplificazioni tratte dall’ambito
musicale, §§ 18-20 con i paradigmi dell’aulete Tebano e di Orfeo; dall’ambito medicosalutistico, § 20 con i paradigmi di Polidamante e Glauco; dell’arte del costruire, § 22;
dell’arte figurativa, §§ 22-24, con i paradigmi del pittore e di Pandora. Nel corpus dioneo
sono tramandati tre discorsi Sulla fama: 66, 67, 68. “The concept
is a very common in
Cynic thought and in Cynic writings and usually has a negative meaning as “opinion” or
“self-conceit”, Kindstrand (1976) 223, vd. inoltre Gerhard (1909) 87 sgg.
§ 17
nell’interpretazione della Suda s.
...
,
.
1362
:
,
. Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una citazione di Dione,
Gazzaniga (2005) 361-365.
97
§ 18
è correzione di von Arnim, non accolta da De Budé, per
dei codici. Denniston scrive: “
, lezione unanime
is very common in Plato, being used in the strictly
inferential, and in the looser progressive, sense ... In Xenophon interrogative
is
common, particularly in the Socratic works”, (19542) 434-435, mi pare quindi corretta la
scelta di De Budé.
Socrate nei Memorabili senofontei: per allontanare i suoi discepoli dalla
§ 18
vanteria e per convincerli che non esiste altra via alla vera fama che essere veramente
bravi in ciò che si vuole apparirlo, e contrario: “supponiamo, affermava, che qualcuno non
di sua volontà voglia diventare un buon falutista (
): che cosa dovrebbe
fare? ... Dal momento che molti li lodano (
), anche egli dovrà
procacciarsi molti ammiratori, 1, 7, 2. Vedi anche Eliano VH 14, 8, 10. Sull’auletica
nell’antichità si rinvia a Huchzermeyer (1931); Schlesinger (1939 (rist. 1970)); Zaminer
(2000) 547-549.
Reiske l’ha posto dopo
§ 18
, non seguito dagli altri editori.
nel significato di “non musicale, che non conosce la musica” riferito a
§ 18
persone, questa è l’accezione nell’or. 78 (cf. inoltre in Pl. R. 335c, 349e; Dione 10, 19, 36, 6,
27, 3, 69, 8. Sul sostantivo corrispondente Dione nell’Agli Alessandrini costruisce un gioco
di parole: il Prusense paragona i musicisti attivi ad Alessandria con Anfione e Orfeo,
quest’ultimo era figlio della Musa Calliope (
Disarmonia (
), 32, 61.
l’espressione è un hapax in Dione e ricorre simile in Plutarco:
§ 18
Moralia
66d
. Il codice U offre la varia lectio
Ind. 12.
), i loro artisti invece discendenti della
; 802d
, presente in Lucianuns
98
si tratta di un nesso omerico, Il. 21, 282
§ 18
,
’
Il termine
.
è attestato in Omero una volta nell’Iliade e 7 volte nell’Odissea, in
Dione è invece un hapax. Thomas Magister nella sua Ecloga nominum et verborum atticorum
scrive
,
, fatta eccezione
per Omero, la lessicografia omerica e gli studi omerici testimoniatici dagli scoli,
possediamo, infatti, ben poche attestazioni in prosa, nessuna risalente al periodo classico.
Fabio Pittore, il quale narra che Romolo e Remo diventati adulti non assomigliavano agli
altri pastori (
), fr. 1, 66.
i due verbi insieme sono un hapax in Dione, ma compare
§ 18
in Plutarco:
.
,
, Moralia 334b; cf.
anche Them. 17, 2,
; e Libanio, il quale potrebbe aver avuto
presente questo passo dioneo per la presenza in entrambi del verbo
,
:
, Ep. 490, 2, 1.
Sull’applauso scrive Korenjak “Klatschen ist in der Antike wie heutzutage eine
ungemein gebräuchliche Klanggeste ... Bei sophistischen Reden stellt Klatschen im
griechischen Raum neben dem Aufstehen und –springen die gebräuchlichste Form des
Beifalls überhaupt dar“, (2000) 88.
§ 18
l’aneddoto dell’aulete tebano costituisce il paradigma
dell’argomentazione dionea: benché incurante dell’approvazione o del biasimo di un
pubblico e di giudici ignoranti e inesperti, egli suonò per conseguire la vittoria, e sostenne
di farlo per se e le Muse. L’auletica era particolarmente praticata dai Peloponnesiaci e dai
Beoti, come ci testimonia anche Massimo di Tiro
,
, 17, 2. “Auch die Namen vieler
99
boiotischer und argivischer Aulosspieler bezeugen die Wertschätzung des Aulos bei
diesen Stämmen“, Huchzermeyer (1931) 28; gli auleti presenti ai vari agoni ateniesi erano
quasi sempre stranieri e in meniera preponderante Tebani, il che spiega l’associazione
nella tradizione letteraria greca dell’auletica con Tebe, Dione stesso nel Boristenico
ribadisce
,
,
, 7, 120. Vd. inolte Baker (1984) 97,
268, 271 n. 52.
litote, cf. in Dione 9, 15; 78, 48; X. Mem. 4, 3, 15; Lucianus Nav. 29.
§ 18
probabilmente espressione della terminologia musicale, cf.
§ 18
Plutarco
; Moralia 813f; Marco Aurelio
, 7, 49; Elio Aristide
,
,
, Contro coloro che tradiscono i
misteri 401.
§ 19
questo riferimento ad Orfeo costituisce il secondo paradigma mitologico
del presupposto, secondo il quale l’esperto della sua arte non potrà prestare la minima
attenzione all’ammirazione e al plauso degli sciocchi: nella sua monografia su Bione di
Boristene Kindstrand scrive: “some comparisons use a person, either a historical or
mythical figure or a general type”, (1976) 32. Orfeo è figura mitica che compare nel corpus
dioneo frequentemente, ma l’operazione esegetica operata da Dione vertente intorno alla
Gestalt mitica di Orfeo risulta tutt'altro che univoca. Essa si innesta in una lunga tradizione
letteraria che affonda le sue radici nell’immaginario greco sin dal VI secolo a. C. Si deve
tuttavia notare che Orfeo non viene mai ricordato quale fondatore dell’orfismo e autore di
numerose opere sia in prosa e che in versi, non è mai menzionato il mito della sua discesa
agli Inferi canonizzatosi nel racconto ovidiano, Metamorfosi 10, 1-63: Orfeo è per Dione
100
semplicemente il paradigma per eccellenza della forza della musica e della poesia di
ammaliare e trascinare, con le sue implicazioni ora positive ora negative, e tali
connotazioni
vengono
piegate
dall’oratore
ai
fini
strettamente
contingenti
dell’argomentazione, secondo quella polimorfia tipica degli autori della cosiddetta Seconda
Sofistica. Decisamente positiva è, ad esempio, l’esegesi offerta nella prima orazione Sulla
Regalità: viene narrata la parabola della scelta di Eracle fra la Regalità e la Tirannia, che
Dione dice aver udito da un’anziana donna incontrata nei pressi del fiume Alfeo, essa lo
ammonisce a prestare grande attenzione: le parole ispirate dagli dei sono infatti superiori
ai sofismi umani,
’
,
[
]
, 1, 57-8. Questa asserzione è importante
perché Orfeo è raffigurato quale prototipo del poeta ispirato e perché Dione espone la
concezione dell’ispirazione divina nel processo della creazione poetica: l’aedo quando
sotto l’influenza del dio è il tramite fra quest’ultimo e gli uomini nella trasmissione della
verità. Nello scritto Su Omero il poeta dell’Iliade e dell’Odissea viene giudicato superiore sia
alle Sirene che ad Orfeo, poiché ammaliare (
, si tenga presente però la negatività del
verbo) e condurre animali e pietre ed alberi (ciò che fece Orfeo) non è diverso
dall’incantare uomini che non conoscono la lingua greca come fece Omero, 53, 7. Orfeo
non risulta vincitore, ma tale sconfitta non deve trarre in inganno, poiché nell’encomio il
paragone deve “essere inteso in lode e non in dispregio del paragonato”, Valgimigli (1912)
49. L’or. 32, l’Agli Alessandrini, è intessuta di numerosi riferimenti alla figura del cantore
trace ed in essa Dione si sente legittimato a proporre l’esegesi probabilmente più singolare,
e a dargli la forma di un mito canzonatorio per gli abitanti di Alessandria, riferitogli, così
narra il Nostro in una fictio di erodotea memoria, da un uomo Frigio. Il Prusense biasima
con forza l’entusiasmo che gli Alessandrini nutrono per gli spettacoli teatrali e musicali in
genere: Orfeo vagava per la Tracia e la Macedonia e al suo canto si avvicinava una gran
folla d’ogni sorta di animali, in particolar modo uccelli e pecore, seguendolo ovunque
andasse. Alla morte di Orfeo però gli animali furono presi da un dolore tale, da non poter
101
trovare conforto; Zeus, cedendo alle preghiere di Calliope, li trasformò in esseri umani, la
loro anima, così sensibile alla forza ammaliatrice della musica, rimase però immutata, 32,
61-66. I Macedoni e quindi gli Alessandrini (è evidente che Dione si rivolge ai parlanti
greco) discendono da quegli animali mutati, solo fisicamente, in esseri umani. Nell’or. 78
in una elencazione stucchevole e ridondante Dione mette in mostra il proprio dominio
della tradizione: il passo è intessuto di citazioni e rimandi a una cultura letteraria
vastissima. Il passo risulta piuttosto elaborato anche da un punto di vista retorico. Su
Orfeo si rimanda a Kern (1922); Guthrie (1993); Linforth (1941); Segal (1989); Riedweg
(1996) 1251-1280.
secondo la più diffusa tradizione mitica la madre di Orfeo era
§ 19
Calliope, la Musa della poesia epica. Erano comunque attestate versioni concorrenti: le
Muse Polimnia, Clio e Menippe, vedi Orphicorum Fragmenta test. 24-26 e Ziegler (1939)
1219-1220. Dione non si discosta dal mito più conosciuto: Calliope viene menzionata poco
dopo nel medesimo paragrafo.
costruzione con il genitivo;
§ 19
regge generalmente il
dativo dell’oggetto o della persona e raremente l’accusativo.
§ 19
Calliope è la dea dell’epos e della poesia d’amore. Calliope viene inoltre
citata da Dione nell’or. 2, 24 senza tuttavia alcun riferimento ad Orfeo, in generale sulla
Musa si veda Weicker (1919) 1654-1655; Walde (2001) 199.
§ 19
...
Dione offre una delle più dettagliate e verbose
descrizioni dei prodigi operati da Orfeo, la quale non trova eguali nell’intera letteratura
greca. Una tale ricercatezza e manieristico bisogno di ostentare la propria paideia, non
soltanto ingenera nel lettore noia, ma mette in discussione la tesi dell’estemporaneità del
dialogo, o, per lo meno, che il dettato testuale pervenutoci non sia frutto di una
rielaborazione successiva: sembrerebbe infatti poco adatta ad una sobria ed spontanea
102
lezione filosofica. Sono qui presenti tutti gli elementi che nell’immaginario dioneo e nella
tradizione più antica sono parte del mito su Orfeo. Il riferimento agli uccelli che si
radunano intorno al cantore tracio trova un solo parallelo in Dione: nella Agli Alessandrini,
passo precedentemente citato, il Prusense asserisce che mentre Orfeo cantava per la Tracia
e la Macedonia gli si avvicinò
, 32, 63; rari i riferimenti nel resto dell’antichità, cf. Conone FGrHist 26 F 1, e nella
letteratura latina Seneca quae silvas et aves saxaque traxerat, Her. F. 572. Sugli alberi: nell’or.
Su Omero l’incantamento suscitato dalla poesia omerica in popoli che non conoscono la
lingua greca né i fatti che nei poemi vengono cantati non è certo inferiore all’ammaliare e
trascinare sassi e piante e animali, come fece Orfeo, 53, 8; vd. inoltre in Dione 35, 9 ove si fa
riferimento più specificamente alle querce (su questa versione cf. Antip.Sid. AP 7, 8, 1;
Damag. AP 7, 9, 3; Anon. AP 7, 10, 8; Verg. G. 4, 510; Hor. Carm. 1, 12, 12); in generale vd.
inoltre E. Ba 563; Apollod. Bibliotheca 1, 3, 2; Verg. Culex 118; Sen. Med 229. Sulle pietre si
vedano in Dione i passi già citati: 53, 8; 35, 9 ed in generale E. IA 1212, A. R. 1, 26;
Antip.Sid. AP 7,, 8, 1; Orph. A. 436.
cf. Hdt. 3, 111
§ 19
; il
verbo è un hapax in Dione.
cf. Dione 20, 15
§ 19
; cf inoltre Mosco, alla morte di Bione
’
’
, 3, 32; Ath. 12, 79, 19-20
.
§ 19
“among human beings, a gesture of affection
and concern”, Olson (1998) 82. La rara espressione compare in una delle sue prime
attestazioni in Erodoto, 6, 61, 5. L’attestazion del Fedone platonico (
, 89b), potrebbe aver con maggiore probabilità influenzato Dione: se fosse
vera la notizia riportata da Filostrato, secondo la quale Dione avrebbe portato con sé
103
durante in esilio esclusivamente la Sulla corrotta ambasceria di Demostene ed il Fedone di
Platone, VS 1, 7 p. 206. Il Fedone, indipendentemente dalle più o meno attendibili notizie
di Filostrato, era d’altra parte un testo che Dione conosceva molto bene, come hanno
indicato Moles (2000) 201-202 e Trapp (2000) 223-225. Cf. inoltre sempre in riferimento
all’affetto di Socrate per i suoi allievi X. Ap. 28
.
leggendario citareda delfico. Figlio di Apollo e padre dei poeti Eumolpo e
§ 20
Tamiri; secondo la notizia di Eraclide riportata dallo Ps.-Plutarco, sarebbe stato il primo a
disporre intorno al santuario delfico il coro femminile, avendo composto un canto sulla
nascita di Latona, Artemide e Apollo, De mus. 3 (a commento del passo cf. Gamberini
(1979) 164. Filammone rappresenta nell’argomentazione il ”tecnico”, conoscitore dell’arte
della cetra, la cui approvazione Orfeo avrebbe ricercato più della lode delle bestie. Vd. in
generale su Filammone Del Grande (1932) 40; Maas (1938) 2123; Kossatz-Deissmann (1997)
LIMC 8. 1, 982-983; Knorr (2000) 782.
“der Gesang der Schwäne hat die Alten eingehend beschäftigt“, Gossen
§ 20
(1921) 785. Classico è il passo del Fedone platonico, in cui Socrate afferma
,
,
,
,
,
, 84e. cf. inoltre sulla tradizione dell’ultimo canto del cigno prima della sua morte
Eschilo A. 1444-1446
.
Artemidoro
...
, 2, 20;
Aristotele HA. 615b2. Già nell’antichità vi fu chi mise in discussione che il cigno canti: Ael.
A 2, 32 e VH 1, 14; Lucianus Electr. 5; Plinius NH 10, 63;. si rimanda inoltre a Thompson
(19662) 179-186; in generale Gossen (1921) 782-792.
104
nel raro significato di intonare, cf. A. Pers. 1054
§ 20
; Ar. Av. 895-897
’
/
; Pherecr. fr. 138, 5 K.-A.
’
/
’,
.
l’espressione, nella quale le termini sono sinonimi, ricorre
§ 20
simile nell’or. 12, 15
terminologia (
; Platone aveva utilizzato la medesima
’
, Ion 536c) per
negare all’aedo qualsiasi abilità; cf. inoltre Pl. Ion 533c, Prt. 357b, R. 438d, 522c; Isoc. panath.
29, 30; Plu Moralia 2a.
§ 20
...
seconda esemplificazione trattazione dionea sulla fama: l’uomo
assennato non presterebbe maggior attenzione riguardo la sua salute al giudizio dei più
rispetto a chi è esperto di medicina.
§ 20
atleta di Scotussa in Tessaglia, vincitore nel 408 a.C.
ai giochi olimpici nel pancrazio, celeberrimo nell’antichità per la forza e la straordinaria
prestanza fisica. Polidamante viene menzionato da Platone R. 338d, Luciano Herod. 8,
Pr.Im. 19, Hist.Conscr. 35, Deor.Conc. 12; da Elio Aristide 24, 23; da Filostrato Gym 2, 22, 43.
Questo è l’unico riferimento di Dione al celebre atleta. Sulla sua figura in generale vd.
Scherling (1952) 1601, Moretti (1957) n. 348 p. 110; Decker (2001) 589. Sulla lotta
nell’antichità si rimanda a Jüthner (1949) 82-89.
§ 20
celebre pugile del VI sec. a. C., vincitore di tutti e quattro i
grandi giochi panellenici, del quale Simonide aveva cantato la vittoria olimpica (fr. 4= 509
Page). Viene ricordato da Demostene nella Sulla corona 319 e da Eschine nella Ctesifontea
189. La sua figura insieme a quella di Polidamante diviene nella tradizione successiva un
topos: Luciano Herod. 8, Pr.Im. 19, da Elio Aristide 24, 23, da Filostrato Gym. 20 (non è
105
menzionato Polidamante) e Libanio Decl. 16, 59; questa è l’unica attestazione in Dione. Si
rimanda per ulteriori approfondimenti a Kirchner (1910) 1417.
cf.
§ 20
, 67, 6; l’espressione è una “Verdoppelung sinnverwandter Wörter”
(Wenkebach (1908) 98 e sgg.) per il cui uso in Dione si veda, ad esempio,
, 32, 27
§ 21
1. ricapitolazione dei paradigmi sinora
...
presentati: l’auletica e la citarodia esemplificate rispettivamente dal flautista Tebano e da
Orfeo; la lotta e il pugilato rispettivamente da Polidamante e da Glauco; 2. Dione conclude
la prima microsequenza
con una
: per quanto riguarda la saggezza,
la giustizia e ogni altra virtù l’uomo assennato non si lascerebbe persuadere certo dal
plauso degli sciocchi.
il verbo
§ 21
“soddisfare”, cf. ad es. Pl. Chrm. 169c
è un in Dione, e significa
’
; per l’espressione
anche se con accezione differente
, Ph. Sac. 64.
§§ 22-25 dopo aver stabilito che il saggio non possa in alcun modo invidiare e dare ascolto
alla lode e all’opinione della massa, Dione disamina se non sia opportuno che egli si
avvalga di un solo retto giudizio. Vegono adotte le seguenti esemplificazioni: l’esperto
dell’arte di costruire; il pittore, Pandora.
§ 22
...
Dione nella seconda Sulla gloria scrive
,
,
;, 67, 2.
106
§ 22
“
was one of the most widely used terms in Greek art criticism (...)
When applied to the arts
and
have several subtle shades of meaning
and association, but the basis of all of these variations is always the fundamental idea of
“precision” or “exactitude””, Pollitt (1974) 123. Cf. Dionisio d’Alicarnasso
,
, 16, 3, 6.
§ 24
mal celata ironia: la vita di chi alla ricerca del plauso
...
di tutti adatterà la propria esistenza alla loro varia opinone è simile non già al primo,
mediocre dipinto frutto dell’arte di un singolo, quanto alla meravigliosa opera d’arte
concepita secondo l’idea dei più.
§ 24
è in simmetrica antitesi con
.
“the work of many craftmen”, LSJ s.v II, questa sembra essere l’unica
attestazione dell’aggettivo con questo significato; è in antitesi all’espressione
.
“opera, prodotto”, il termine ricorre per la prima volta in Dionisio
§ 24
d’Alicarnasso vertente intorno il suo opuscolo De compositione verborum 1, 5. Il termine
ricorre in Dione in 12, 34 e 49 (riferto alla statua di Zeus scolpita da Fidia), in 48, 14 (il
è il mondo, cf. Zeleuco (Stobeo 4, 2, 19)).
§ 25
...
unica menzione in Dione del mito di Pandora:
esso costituisce il paradigma mitologico dell’intera argomentazione. Il riferimento del
retore di Prusa non è alla Teogonia (570-602), ove leggiamo soltanto che essa fu forgiata da
Efesto e che Atena la rivestì di una veste d’argento, la coronò di ghirlande e di un serto
d’oro; bensì alla versione più estesa delle Opere (60-89). In questo secondo poema
ritroviamo infatti gli elementi cui il racconto dioneo accenna: gli dei collaborano alla
creazione della prima donna: Efesto forgia Pandora, Atena le insegna a tessere ed Afrodite
107
versa grazia sul suo capo, mentre Zeus ordina ad Ermes di infonderle impudenza e
scaltrezza, le Grazie e la Persuasione le pongono corone d’oro e le Ore la inghirlandano di
fiori. Sul mito di Pandora vd. Lendle (1957); West (1978) 164-166; Olstein (1980) 295-312;
Arrighetti (1981) 27-48; Harder (2000) 236-237.
§ 25
cf. Apollodoro
...
...
,
, Bibliotheca 1, 7, 2.
Singolare è invece la somiglianza dell’espressione dionea con lo scolio 22a al Timeo di
Platone
.
§ 25
questa negativa e quasi blasfema esegesi
...
dionea del mito di Pandora quale spaventosa e rovinosa creazione di tutti gli dei, incapaci
insieme di creare alcunché di positivo, non trova, a mia conoscenza, paralleli nella storia
della letteratura greca.
§ 25
cf. le asserzione euripidee sulla donna
...
’
,
, fr. 1059, 6-8.
non mi pare che Dione compia alcun tentativo di distinguere i due
§ 25
termini, alla luce del fatto che l’intero passo è ricco di altre dittonimie sinonimiche:
,
. Il sintagma ricorre
in Pl. Grg. 502c; Isoc. Arch. 64; Plu Moralia 854 a
.
§ 25
“modo di vivere”, cf. Ammonio
,
.
,
108
.
(fr. om. Rose)
.
§ 25
:
, 100, 6-9.
“man, opp. god“, LSJ s.v. II, non uomo in opposizione a donna; cf. Hom. Il. 1,
544; Hdt. 5, 63.
§ 26 Dione riassume brevemente le argomentazioni
sinora portate: il saggio
non invidia le ricchezze, le lodi e i riconoscimenti esteriori.
§ 26
...
“particolarmente interessante in questo passo l’allusione
sprezzante alle iscrizioni onorifiche che sappiamo costruire tanta parte della
documentazione storica in nostro possesso per quest’epoca”, Desideri (1978) 251 n. 75.
Numerose sono le attestazioni ufficiali documentate per il periodo della Seconda Sofistica:
per incarico dello stato e dell’imperatore vennero dedicate ai retori più prestigiosi non solo
iscrizioni, ma anche decreti, lettere e talvolta statue, Puech (2002) 15 e sgg.
i giochi olimpici e pitici (a Delfi) erano
§ 26
gli agoni più importanti fra i quattro (gli altri due erano le stmiche, che si svolgevano nei
pressi di Corinto, e le
emee). Ai tempi di Dione si svolgevano ancora i giochi olimpici
(aboliti dall’imperatore Teodosio nel 393 d.C.). La vittoria in tali agoni era talmente
prestigiosa che gli atleti ricevevano soltanto corone, contrariamente a quanto accadeva
presso altre festività: ad Olimpia d’olivo; a Corinto di pino; a Delfi d’alloro; a Nemea di
sedano. Sull’agonistica sportiva in Dione e nella letteratura di età imperiale si rimanda a
Capone Ciollaro (1987) 20-26. In generale sugli agoni si rimanda a Bili
(1979); sui
giochi olimpici Bengtson (19722); Herrmann (1972); Swaddling (2004); sui giochi pitici
Deines (2001) 665-666.
§ 26
...
Diogene, presente ai giochi pitici, così ribatte a chi gli
ribatte, secondo la rappresentazione dionea, che egli non può portare la corona di pino
109
perché non aveva vinto:
,
,
,
,
,
,
,
,
, 9, 11-12.
§ 26
l’aggettivo, che in Dione è un hapax, ha generalemente il significato di
“armato alla leggera, maneggevole”, in questo passo significa invece “di buone maniere,
corretto”, similmente Socrate definisce Anito
,
, Men.
90a.
§ 26
“not puffed up” LSJ sv.; “with the Cynics
became almost a technical
term ... the opponent of the Cynics was ‘puffed up’ and arrogant”, Dudley (1967) 56 n. 8.
Sul significato del termine
Kindstrand scrive “it seems to have a twofold meaning
for the Cynics, referring partly to vanity, conceit and partly to illusion”, (1976) 195. Con la
Stoa l’
diviene qualità imperativa del saggio
·
SVF III 646, 21-22=D.L. 7, 117. Cleante ne fa
una caratteristica del dio
,
,
,
,
SVF I 557, 10=Clem.Al. Protr. 6, 72. In Dione è un .
§ 26
“dans le grec profane, le
désigne le plus souvent ce qui est vil,
peu relevé, de basse extraction ... exerçant un humble métier (Démosthène, C. Eubolidès,
LVII, 5), sans considération et même la bassesse d’âme. Cette nuance de dépréciation
restera dans les formules de politesse monastique et ecclésiastiques du VIe siècle. Mai quoi
qu’il en soit de cette acception prépondérante de bassesse et de petitesse, la
a
été aussi considérée come una vertu par les païens eux-même, celle de «modestie» ou de
mesure, associée à la
, l’
, la
, la
et même à la
110
; l’opposé de
, de l’
et de l’
”, Spicq (1978) II
878-879 con bibliografia; inoltre Billebeck (1978) 162.
con il significato raro di ornamenti (il termine significa piastra dell’elmo),
§ 26
cf. inoltre Plu Moralia 528a. In Dione il termine ricorre anche nella seconda orazione Sulla
regalità 2, 51.
era consuetudine piuttosto diffusa che i soldati
§ 26
possedessero uno scudo decorato con la testa di Medusa, il cosiddetto gorgoneion, con la
funzione precipua di atterrire i nemici e renderli quindi meno bellicosi, come ci informa lo
scolio 1128c agli Acarnesi di Aristofane; ed infatti in questa commedia del poeta Ateniese il
generale Lamaco ordina che gli venga portato il suo scudo rotondo con la figura della
Gorgone (
), 1124 (cf. Pax 561). Dione allude precisamente a questa finalità,
evidenziando quanto vi è di caricaturale in quei mercenari che pur abbigliandosi in
maniera terrificante e che fanno rumore con le loro lance, fuggono successivamente al
minimo pericolo.
percuotono gli scudi con le lance, come scrive Polibio
§ 26
’
,
, 15, 12, 8, cf.
inoltre 1, 34, 2 e 11, 30, 1. Lo scopo, come per il gorgoneion, era spaventare il nemico: Cesare
ci informa che neque frustra antiquitus institutum est, ut signa undique concinerent
clamoremque universi tollerent; quibus rebus et hostes terreri et suos incitari existimaverunt, BC 3,
92, 5.
§ 27
...
cf. la quarta ororazione Sulla regalità
, 4, 132; e la seconda Sulla fama
111
,
, 66,
12.
il termine è utilizzato in maniera schiettamente denigratoria, Desideri
§ 27
commenta: “ci son davvero pochi dubbi circa il giudizio che egli dà su coloro cui lo
riferisce; si può solo fare una gradazione di intensità di disgusto, ma in generale è chiaro
che Dione indica così quegli operatori culturali che tradiscono il compito di cui
dovrebbero sentirsi investiti”, (1978) 243 n. 65a.
§ 27
cf. il comico Posidippo in Ath. 9, 20:
...
’
,
’,
.
Le metafore tratte dall’ambito militare sono assai frequenti nelle diatribe d’ambito di
filosofia popolare, come già sottolineato da Billerbeck (1978) 133.
possibile ricordo del passo senofonteo
§ 27
, HG. 5, 4, 40,
cf. anche 6, 4, 8
. Il verbo
in realtà significa
“bere moderatamente”, cf. Anacr. 63, 11; Ar. Fr. 496; Pl. R. 372d; o “sorseggiare”, cf. Ar.
Av. 494; il perfetto
può invece essere tradotto con “brillo”, cf. Ar. Pax 874,
Lys. 395; è probabilmente a questo ultimo significato che si ricollega Dione; anche Fozio,
s.v. 630, e la Suda s.v. lo interpretano con
. L’
parafrasa il verso omerico (Il. 8, 232.), che precede quello citato dal Prusense:
,
è un in Dione, e la lezione
dell’unanime
dei codici.
è un emendamento di Emperius
dioneo
112
§ 27
Hom. Il. 8, 233-234. Cf. Eustazio
...
»
«
,
, Commentari ad Homeri Iliadem pertinentes II 571, 11-13.
reminiscenza del passo platonico (
§ 27
, Smp. 221b) nel quale Alcibiade loda il coraggio
dimostrato da Socrate nella battaglia presso Delo.
§ 27
è la parafrasi dei versi omerici Il. 8, 228-235
...
,
,
’
,
,
.
,
'
;
§§ 28-29
’
...
Dione passa alla sezione sui piaceri: il
saggio non invidierebbe coloro che conseguono i piaceri del bere, della mensa e dell’amore
e non si commisererebbe qualora egli non fosse nella condizione di ottenerli. Coloro che si
abbandonano a tali piaceri vengono paragonati ad animali incapaci di dominare i propri
istinti e al re Sardanapallo
“the springtime of life, the bloom of youth”, LSJ sv. II; cf.
§ 28
, Ar. Av. 138;
14.
, X. Smp. 2, 1; inoltre Lucianus Symp. 15, Cat
113
“governatori”, “greek literary writers liked to avoid technical terms of
§ 28
Roman administration; it helped to make the writing more classical”, Russell (1992)
127-128; zone dell’Anatolia vengono chiamate con il loro vecchio nome etnico, benché essi
non corrispondano più alla divisione amministrativa delle provincie e “governors become
“satraps” or “harmosts”, and technical term are referred to as “nations” (
by the technical term eparcheia (
) instead of
)”, Bowie (1970) 33. “Quanto al significato di
direi che Dione definisce così ironicamente (la stessa ironia che c’è nell’uso
dell’espressione “re dei Persiani“ per “imperatore”) i funzionari imperiali, in particolare,
se vale il parallelo con i Persiani, i governatori provinciali”, Desideri (1978) 250 n. 59.
Krause, la quale sembra ignorare le asse zioni di Desideri, sottolinea invece che “jedoch
findet sich keine Stelle bei Dion, wo er eindeutig auf einen römischen Beamter referiert”,
(2003) 70.
§ 29
...
Dione paragona coloro che si affaticano per conseguire i
piaceri della carne a dei cani e dei cavalli: “Tiere, Pferde besonders und Hunde liefern
lehrreiche Parallelen zum Leben der Menschen”, Gerhard (1909) 23-24. Per i paragoni tratti
dall’ambito animale in Dione si rimanda a Oesch (1916) 81-94.
§ 29
una comune figura etymologica, in Dione 7, 152
, cf. inoltre Hrd. 3, 156; E. Supp. 11, 790; Pl. Phlb.60d, Sph. 245c; Plu Moralia 643e.
§ 29
“saziarsi, essere pieno”, cf. Hom. Od. 7, 221; Hrd. 8, 117; Ar. V. 911.
Cf. di contro la termperanza di Socrate, il quale, secondo le parole di Senofonte:
,
,
,
, Mem.
1, 3, 6.
§ 29
si tratta di una climax, per altri esempi in
Dione relativi alle orazioni 8 e 9 si rimanda a Capone Ciollaro (1983) 18 e (1987) 27. I tre
114
verbi sono attestati insieme per la prima volta in Dione, per essere poi ripresi da Claudio
Flavio Luciano
, Contra Galilaeos 190 e nella Suda
17
.
,
.
celebre re assiro, è per Dione “il modello mitico negativo”
§ 29
(Desideri (1978) 349 n. 24): nell’asse paradigmatico egli ricopre la peculiare funzione di
assommare tutte le depravazioni, le dissolutezze, le debolezze che il buon sovrano, come il
Prusense lo teorizza nelle sue orazioni, non deve possedere. “Wie Krösus Repräsentant
des Reichtums ist, nimmt Sardanapal in der Popularphilosophie als Exempel der
einen festen Platz ein“, Billerbeck (1978) 88. Benché sia Erodoto, fra gli storici, il primo a
menzionare Sardanapalo e la sua straordinaria ricchezza (2, 150, vd. a proposito Lloyd
(1988) 129), è possibile, però, postulare che la fonte dionea sia in realtà, per via diretta o
non, Ctesia di Cnido, il quale trascrive l’epigrafe sepolcrale del sovrano assiro (FGrHist 688
F 1 (23)), che leggiamo, con poche varianti, anche nella quarta Sulla regalità, 4, 135. Ateneo,
d’altra parte, riconosce di aver trascritto l’epigrafe da uno scritto del filosofo stoico
Crisippo, 8, 336a.
“simple, modéré, modeste” Places (1964) 342; “l’uomo capace di
§ 30
misura”, Vegetti (1998) II 107 . “Besonders häufig dient es um ein freundlich mildes
Benehmen gegen Anderen zu bezeichnen, namentlich in dem Verhältniss politisch,
moralisch oder finanziell Stärkerer zu Schwächeren“ Schmidt (1882) I 316. Cf. nella prosa
filosofica: Pl. Phd. 82b; R. 396c5, 423e6, 538d3; Arist. EN 1124b29; in ambito politico Isoc.
12, 31, 18, 32; Aeschin. 1, 1, 3, 129; D. 24, 190.
§§ 30-33
...
Dione tira le somme della sua lezione: il saggio non
considera beato se stesso o un altro a motivo della fama e dei beni e dei piaceri del
mangiare o del bere o dei rapporti sessuali né litigherebbe per ottenerle. Egli impreziosisce
115
la sua argomentazione con due allusioni: una mitologica a Danae, l’altra storico-letteraria
all’episodio di Alcmeone narrato da Erodoto.
§ 31
...
il mito narra che Acriso, padre di Danae e re di
Argo, apprese da un oracolo, che ella avrebbe dato alla luce chi l’avrebbe ucciso, e
rinchiuse la figlia in una camera di bronzo. Zeus, però, invaghitosi della fanciulla, riuscì a
introdursi trasformatosi in pioggia d’oro, si unì a lei generando Perseo. Danae e Perseo
vennero rinchiusi da Acrisio in una cassa e gettati in mare, Apollodoro Bibliotheca 2, 4, 1.
Una delle testimoninaze più celebri del mito è il cosiddetto Lamento di Danae di Simonide
(fr. 543), tramandato da Dionisio d’Alicarnasso nell’opuscolo De compositione verborum, 26.
Questo è l’unico riferimento a Danae in tutto il corpus dioneo. Vd. su Danae Harder (1997)
305-306.
il sintagma venne espunto da von Arnim come interpolazione;
§ 31
espunzione non accolta né de Budé, il quale però la include successivamente nella lista
delle interpolazioni ((1920) 12), né da Lamar Crosby.
“torrente”, cf. Pl. Lg. 736b, X. HG 4, 4, 7; in funzione aggettivale “che
§ 31
scorre d’inverno”, cf. Hdt. 3, 81. In Dione è un hapax.
§ 31
...
similmente afferma Dione rivolgendosi ai Tarsici
’
,
,
§ 31
’
, 33, 23.
(560-547 a.C.) ultimo sovrano della Lidia appartente alla dinastia
Mermonade, celebre per la sua ricchezza, cf. Hdt 1, 30, 32; Teocrito 10, 32; Lucianus Tim. 23
e 42. Negli scritti dionei Creso, così come nella filosofia popolare, è il proverbiale simbolo
della ricchezza, cf. Epict. 3, 22, 27 e Billerbeck (1978) 86. Per Dione egli veicola, tuttavia,
l’umana incapacità di comprendere la volontà divina: nella Diogene o sugli schiavi il filosofo
116
cinico, volendo instillare nel suo interlocutore il dubbio che i responsi del dio possano
essere fraintesi dagli uomini, menziona la paradigmatica esperienza di Creso, il quale
ritenendo di interpretare correttamente l’oracolo, secondo il quale se avesse mosso guerra
ai Persiani avrebbe distrutto un grande impero, attraversò il fiume Ali, perse il regno, fu
messo in catene e rischiò di essere arso vivo, 10, 26 (cf. Hdt 1, 53, 55 e 84-87). Nella In Atene
sull’esilio Dione accenna ai propri timori dinanzi al bando ed alle incertezze che l’esilio
aveva fatto nascere in lui, ma lo rinfrancò il ricordo di Creso, a cui Apollo aveva vaticinato
di abbandonare la propria patria di buon grado e di non vergognarsi se anche gli altri
uomini lo avessero deriso considerandolo un vile, 13, 6-7 (cf. Hdt. 1, 55). Nella prima Sulla
fortuna Dione dimostra di conoscere l’episodio della morte del figlio di Creso che il re
cercò inutilmente di salvare, 64, 1 (cf. Hdt. 1, 34-45), e della visita di Solone presso il
sovrano lidio, 64, 27 (cf. Hdt. I 30-33). Sulla figura di Creso nella letteratura antica si
rimanda a Högemann (1999) 858-859 e Schmidt (1999) 858-860.
§ 31
il Pattolo è fiume della Lidia e affluente dell’Ermo. Il
...
riferimento è alla indicazione riportata per primo da Erodoto, il quale scrive che il Pattolo
scorrendo attraverso il mercato di Sardi
, 5,
101. Nel testo dello storico di Alicarnasso manca però qualsiasi cenno a Creso, che è invece
presente in Strabone
’
,
,
’
, 13, 4, 5; cf. inoltre Filostrato VA 6, 37, 2. L’oro del Pattolo
diviene poi un topos letterario, cf. S. Ph. 394; Dione stesso 33, 23; Lucianus Apol. 14; benché
già ai tempi di Strabone (vd. passo sopraccitato) ciò era considerato oramai appartenente
al passato; ma come ha ribadito Bowie “the archaism of language and style known as
Atticism is only a part of a wider tendency, a tendency that prevails in literature not only
in style but also in choice of theme and traetment”, (1970) 3.
§ 31
...
dei popoli soggetti a Creso
la fonte di questo passo è con sicurezza la lista erodotea
117
(...)
,
:
,
,
1, 28.
§ 31
<
integrato per congettura da Emperius. Dione non accetta
>
quindi l’equiparazione, accolta da una parte della tradizione antica, dei Lidi con i Meoni,
Kaletsch (1999) 715.
§ 32
Hrd. 6, 125. Vi è una perfetta aderenza del racconto dioneo a
...
quello erodoteo, già notata da Lamar Crosby (1951) 290 n. 1, sia sul piano della narrazione,
sia su quello puramente terminologico. Constatiamo che Dione riprende di peso alcuni
vocaboli presenti nel racconto dello storico di Alicarnasso:
,
,
,
,
in
,
Dione;
,
...
,
,
,
in Erodoto. L’episodio viene riadoperato
da Dione anche nell’orazione Sulla prepotenza, senza però che Alcmeone venga citato, il
discorso subisce una certa generalizzazione con i conseguenti adattamenti funzionali al
presupposto ideologico dello scritto: Creso desiderando mettere alla prova l’insaziabilità e
l’avidità degli uomini fece introdurre diverse persone nella stanza del suo tesoro,
invitandolo a portare con sé ciò che potessero
,
,
, 17, 22.
§ 32
figlio dell’Alcmeonide Megacle, guidò le truppe Ateniesi durante la
Prima Guerra Sacra; fu il primo Ateniese a vincere ai giochi olimpici nella specialità corsa
dei carri, nel 592 a. C. Si rimanda a Davies (1971) 9688.
§ 32
Solone è posto in antitesi ad Alcmeone ed ha la perspicua funzione di
dimostrare che il saggio disprezza le ricchezze. Dione allude all’episodio narrato da
Erodoto (1, 30-33): alla domanda di Creso su chi egli ritenga l’uomo più felice, Solone
indica, suscitanto il disappunto del sovrano, Tello, e i giovani fratelli Cleobi e Bitone; il
118
politco e poeta Ateniese, risoluto, ribatte:
,
, 32; cf. inoltre in Dione 10, 26 e Plu Sol. 27; e il commento di Asheri
(1988) 281-283. Per Dione Solone incarna la figura per eccellenza dell’oratore-politicofilosofo, che già era stata teorizzata da Cicerone nel De Oratore, 3, 54 e sgg: nella Rifiuto di
carica in consiglio Solone viene posto tra i pochi filosofi che ebbero incarichi di governo e la
cui attività fu utile alla comunità, similmente ad Aristide e Pericle per gli Ateniesi, ad
Epaminonda per i Tebani, e a Numa Pompilio per i Romani, 49. 6. Nella Sulla pace e sulla
guerra Dione sembra voler precisar che tuttavia non tutti filosofi debbano prestare la
propria opera alla politica, certamente non quelli che accettano compensi e il cui esclusivo
pensiero sono le controversie private, mentre Solone è posto fra i filosofi per la condotta
politica ed fra i retori per la nobile e vera oratoria, 22, 2; cf. Plu Sol.
,
, 3, 4. Altre volte è citato
esclusivamente per la sua attività di politico e legislatore: nella Rodiese viene ricordata la
misura che prescriveva la cancellazione dei debiti, 31, 69 (cf. Aristotele Ath. 10, 1 e Plu Sol.
15). Un’unica riserva sull’operato politico soloniano viene espressa nella Sulla libertà: le
persone lottano perché vogliono attenersi a delle leggi piuttosto che ad altre, benché
alcuna di esse corrisponda ad un ideale di perfezione, Solone stesso afferma infatti di non
aver dato agli Ateniesi una costituzione corrispondente ai suoi desideri, ma come era
consapevole che essi l’avrebbero accolta, 80, 3. Sulla figura di Solone di rinvia a
(2001) 705-710
§ 32
“il chitone lungo sino ai piedi”, corrisponde al
erodoteo; cf., X. Cyr. 6, 4, 2; Paus. 1, 19, 1; 1, 24, 7; 5, 19, 6. Plu Moralia 672; Lucianus VH 1,
13; 2, 46; JTr. 41; E. Ba. 833 (
§ 32
);
è hapax in Dione.
il verbo non mi pare sia corretto,
perché: 1. non si attiene alle linee del racconto erodoteo, peraltro fedelmente seguite
(
); 2. è palesemente
119
illogico che Alcmeone indossi nella sua “vestizione” un chitone lungo sino ai piedi,
riempia “la femminea e profonda piega del chitone” (con che cosa?) e si allacci sandali
particolarmente
grossi.
È
ipotizzabile
che
il
verbo
originario
parafrasasse
il
erodoteo, e che il copista si sia fatto influenzare dal
del § 31 (r. 1 von Arnim). È pur vero che Dione sempre in riferimento a
questo passo erodoteo scrive
,
, 17, 22; ma, in questo caso
il rinvio è alla sezione del dettato erodoteo che segue la ridicola vestizione di Alcmeone
, 6, 125.
§ 32
corrisponde al
...
,
erodoteo.
“Dio’s piper may well have performed
§ 32
in a Semelê pantomime”, Lamar Crosby (1951) 290 n. 2; seguito da Elliger (1967) 833 n. 15
“wohl als Art Pantomime”; Luciano in effetti nel De saltatione ci offre una cursoria lista di
temi mitologici dei pantomimi tra cui al § 38 i dolori del parto di Leto (
) e al
§ 39 Semele bruciata e Dioniso nato due volte (
). Ciò nonostante rimane poco chiaro perché Dione paragoni
Alcmeone che barcolla sotto il peso dell’oro ad un flautista che suona il parto di Semele: se
si trattasse di un pantomimo Alcmeone verrebbe paragonato ad un mimo, l’aulete infatti
descrive il mito con il solo utilizzo dello strumento musicale. Molto più probabilmente si
riferisce in realtà all’aspetto comico delle gote gonfie di Alcmeone simili a quelle di un
aulete durante la sua esecuzione, si confronti ad esempio la reazione sdegnata di Atena nel
Marsia di Melanippide di Melo per il suo viso deformato dal doppio flauto, secondo la
testimonianza di Plutarco De musica 1141a, cf. inolte Aristotele Pol. 1341b2-6. Il riferimento
dioneo, certamente dotto, sarebbe non tanto ad un’esecuzione del pantomimo quanto a
celebre ditirambo Il parto di Semele (
) di Timoteo, di cui abbiamo
120
testimonianza in Ateneo, il quale riporta il gustoso aneddoto del celebre citarista
Stratonico
,
),
,
’
,
; 8, 352a. Questa battuta salace
di Stratonico ed il riferimento ironico di Dione, se il rinvio è proprio a questa opera,
indicherebbero che la musica del ditirambo di Timoteo fosse piuttosto acuta e quindi le
guance dell’auleta fossero particolarmente gonfie. Per una più dettagliata discussione
della questione si rimanda a Wilamowitz (1903) 70, 110; Ieranò (1997) 164-165; Hordern
(2002) 95, 249. Cf inoltre Alceo Messenio
/
, AP 16, 7, 2-3=HE 55-56), per il quale si rimanda a Gow-Page
(1965) II 15. Il termine
è fondamentalmente poetico: E. Suppl. 920, Ion 452; Orph. H.
36, 4; ed è un hapax in Dione.
§ 32
...
corrisponde all’erodoteo
, 1,
125; e ripreso da Dione nella Sulla prepotenza
, 17, 22.
“essere incoronato”, si tratta di un in Dione, Ar. Ra. 393; “it was
§ 33
common to congratulate a victor in any sort of contest (athletic, dramatic, symposiac, even
military, by tying long, trailing ribbonsround his head”, Sommerstein (1996) 191.
cf. Esichio
§ 33
:
3749
e Suda
2109
, si rimanda a proposito a Bossi (1973/1974) 229-230.
significa “alzare il collo” in riferimento al cavallo, cf. AP 9, 777, e in senso figurato
“insuperbirsi”, cf. Plb. 27, 15, 6.
§ 33
è un hapax in Dione.
è una delle caratteristiche del saggio secondo la Stoa:
,
, SVF III 637, 20-22=D.L. 7, 117.
’
121
cf.
§ 33
’
, SVF III 638, 25-26=Stob. II 114, 22;
e SVF III 637, 20-22=D.L. 7, 117.
§ 34
sintagma espunto da von Arnim, su suggerimento di Wilamowitz; Reiske
aveva espunto soltanto
, mentre Emperius aveva congetturato
segue pedissequamente von Arnim. “Mir scheint, daß,
; de Budé
nicht einen Wortverlust,
sondern eine Wortstellung anzeigt, die ich durch den Ersatz von
durch < >
augenscheinlich und sinnvoll behebe”, Wenkebach (1941) 117. Io proporrei invece
, a sostegno Denniston “progressive. This is very common use, particularly in prose,
where
often introduces a new argument, a new item in a series, or a new point of
any kind”, (19542) 351-352.
§ 33
allusione alle Opere esiodee vv. 25-26:
...
§ 34
Hom. Od. 10, 210-214. “Il mito di Circe simboleggia qui
...
(nella 78) efficacemente la degradazione dei filosofi che non hanno il coraggio e la forza di
opporsi alle pressioni del potere, venendo meno alla loro funzione istituzionale”, Desideri
(1978) 215. La metamorfosi da uomini in bestie, feroci solo in apparenza, viene intesa
metaforicamente: Omero, secondo il punto di vista ermeneutico adottato da Dione in
questa occasione, intenderebbe dare al suo pubblico un insegnamento morale sui rovinosi
effetti della sregolatezza. L’utilizzo in chiave allegorica di questo racconto è presente in
Dione in un altro passo: nella Diogene o sulla virtù il filosofo cinico dice
,
’
,
,
,
,
,
’
,
,
122
,
, 8, 21 (su cui si rimanda a Capone Ciollaro (1983) 46; cf. inoltre 32,
64; 33, 58-59. Decleva Caizzi sostiene di poter individuare la fonte del discorso diogenico
di Dione nello scritto perduto di Antistene Su Circe, nel quale, il filosofo cinico avrebbe
paragonato agli esseri umani mutati in bestie dalle arti magiche di Circe coloro che si
abbandonano al lusso e al piacere, (1966) 84-85, vedi inoltre Kaiser (1964) 202. Se l’ipotesi
ventilata da Decleva Caizzi risultasse corretta, appurata la similarità del passo nell’or. 78
con quanto detto nell’or. 8, saremmo autorizzati a postulare una dipendenza dallo scritto
antistenico anche per il paragrafo della Sull’invidia in esame. Questa operazione
ermeneutica dell’episodio dell’Odissea è, però, presente già nei Memorabili di Senofonte:
Socrate ammonisce i presenti a non eccedere sia nel mangiare che nel bere
’
, 1, 3, 7. Dione
conosceva questo passo: nella Su Omero e Socrate egli a commento del sistema paideutico
di Socrate dice
,
, 55,
11; come nel succitato passo senofonteo
, Mem. 1, 3, 8. Plutarco riporta l’episodio degli adulatori di Dionisio, i quali,
quando tiranno si interessava di filosofia, si dedicavano alla geometria, ma subito dopo la
caduta in disgrazia di Platone e il ritorno del tiranno ai suoi vecchi costumi,
,
Moralia 60d. Porfirio a commento di Od. 10, 239-240 interpreta in chiave pitagorica la
metamorfosi degli uomini in animali
,
,
,
. Per una raccolta di passi dionei sulla figura di Circe
si rinvia a Kindstrand (1973) 132-133; su Circe in generale cf. Kaiser (1964) 197-213; Beck
(1965) 1-29; Dyck (1981) 196-198; Dräger (1999) 487-489.
123
§ 34
“like this word has a very negative meaning, indicating the opposite of the
ideal Cynic life, i.e. a life of pleasure”, Kindstrand (1976). 218. Per l’uso di
in Dione
si rimanda a Krapinger (1996) 66-67.
cf. Plutarco
§ 35
’
, Moralia 68d, su questo passo plutarcheo “non
escluderei un riferimento a un detto proverbiale o ad una favola esopica non pervenutaci”,
Gallo – Pettine (1988) 192 n. 136.
§ 36
...
Russell (1992) 157 individua in questo passo
un’allusione all’omosessualità, la cui condanna nel corpus dioneo sarebbe costante (Russell
fa riferimento ai seguenti passi: 7, 149-152; 4, 102; 36, 8). Houser (2002) 327-353, invece,
dopo un’attenta indagine sia della bibliografia precedente che delle orazioni dionee
giunge a considerazioni decisamente differenti: la condanna dell’omosessualità in Dione è
legata all’occasione del discorso, “unlike Musonius, however, Dio does not condemn
male-male relations per se, although he condemns the hedonist’s attempts to gain sexual
access to the youths from noble households”, 347. Ed è sulla scia di queste considerazioni
che, a mio parere, si deve respingere l’idea che Dione in questo passo dell’or. 77 censuri
l’omosessualità; il Prusense in realtà deplora l’intemperanza sessuale umana, che non
conosce alcun freno se non la propria fantasia e il proprio arbitrio; il riferimento, come già
suggerito contemporaneamente da Jones (1978) 133 e Desideri (1978) 251 n. 80, è a un
episodio della storia recente, a un episodio tristemente noto della vita dell’imperatore
Nerone: dopo la morte di Poppea Nerone fece castrare il suo giovane amante Sporo per
renderlo simile ad una donna. Nella orazione Sulla bellezza di Dione leggiamo un altro
riferimento a questa vicenda
,
’
,
, 21, 6; si veda anche la testimonianza di Svetonio puerum Sporum
exectis testibus etiam in muliebrem naturam transfigurare conatus cum dote et flammeo per
124
sollemnia nuptiarum celeberrimo officio deductum ad se pro uxore habuit, Nero, 28, 1; e Dione
Cassio
,
,
,
,
, 62, 28, 2-3. Sulla
castrazione in generale si rimanda a Browe (1936), Guyot (1980).
§ 37
’
sull’incorruttibilità del saggio si
...
confronti la testimonianza di Seneca sul filosofo cinico Demetrio cum C. Caesar illi ducenta
donaret, ridens reiecit ne dignam quidem summam iudicans, qua non accepta gloriaretur. Di
deaeque, quam pusillo animo illum aut honorare voluit aut corrumpere! Reddendum egregio viro
testimonium est; ingentem rem ab illo dici audivi, cum miraretur Gai dementia, quod se putasset
tanti posse mutari: Si temptare, inquit, me constituerat, toto ili fui experiendus imperio, de ben, 7,
11, 1-2.
“è da notare che questo termine ha in Dione invariabilmente valore
§ 37
positivo; in quanto definisce, in opposizione a
, il comportamento del filosofo, o
del vero politico, di fronte ai potenti o di fronte al popolo”, Desideri (1978) 460 n. 3. La
(“libertà di parlare, franchezza”) è uno degli aspetti costitutivi della ricca e
multiforme leggenda biografica sul filosofo cinico Diogene, pervenutaci tramite le chreiai
in Diogene Laerzio (
,
,
(D.L. 6, 69)),
le quali d’altra parte circolavano all’epoca dell’impero romano anche nelle scuole di
retorica (Krueger (1996) 223) e “tutta la critica moderna è concorde nel sottolineare
l’importanza fondamentale che la
«mordacità» nei confronti delle
ha nelle raffigurazione di Diogene, della sua
e dei
”, Giannantoni (1990) IV 511. Dione non
si allontana minimamente da questa tradizione nella sua raffigurazione del filosofo cinico,
cf. in particolar modo le cosiddette “orazioni diogeniche”: 6, 57; 8; 3; 9, 7 e Capone Ciollaro
(1983) 37. Per una ulteriore trattazione e bibliografia si rimanda a Spicq (1982) 526-533. Del
poeta e filosofo epicureo Filodemo di Gadara è conservato uno scritto
.
Nell’Atene classica esso era termine chiave nell’ideologia e nel meccanismo democratici e
125
indicava il diritto di parola nell’assemblea cittadina (Peterson (1929) 283-285; Scarpat
(1964) 29-45; Raaflaub (1983) 517-544, Halliwell (1991) 48-70).
§ 37
ossimoro, Schmid (1887) I 174.
...
forse reminiscenza delle parole che Menelao rivolge a
§ 37
Telemaco in Hom. Od. 4, 364
“
§ 37
presents, as retaining fees or bribes”, LSJ s.v. 2.
in senso assoluto “tagliarsi i capelli”, cf. Ar. Nu. 836, ove a commento
§ 37
“Pheidippides and other young men of high social pretensions wore their hair long, but
not artlessly”, Dover (1968) 201.
“ (= statio) nel pensiero stoico di età imperiale
§ 38
(specialmente Epitteto) rappresenta il complesso dei doveri che spettano ad ogni
individuo in relazione alla posizione che occupa”, Deisderi (1978) 252 n. 81. Chiara rimane
comunque la metafora tratta dall’ambito militare, che nell’ambito della diatriba cinicostoica è di casa: l’uomo saggio, come il buon soldato non deve abbandonare il suo posto
nello schieramento. Socrate si rivolge ai giudici
,
,
,
,
,
,
,
,
,
, Pl.
Ap. 28 -29a. Cf. Epict 1, 14, 15; 3, 24, 31; Lucianus Vit.Auct. 8 e Gerhard (1909) 191 e
Billerbeck (1978) 133, 154, 157, 164.
126
gli stoici definivano il desiderio, secondo la testimonianza di Stobeo,
§ 38
'
,
,
,
, 2, 90, 7 =SVF III 394, 36-38.
“incontinenza”, è sinonimo di
§ 38
. Il suo opposto, l’
,
“devient (...), avec Socrate, le fondement de la vertu, aussi indispensable que l’est au
marcheur une bonne chaussure. Elle est la première disposition qu’on doive établir en son
âme: sans elle, impossible de connaître le bien er de le pratiquer”,
(1959)
578. Cf. inoltre la testimoninza di Aristotele
,
, EN 1145a16-17. L’
era uno dei vizi condannati dalla
filosofia cinica e stoica.
§ 38
il filosofo non solo è chiamato a redarguire
...
amorevolmente il suo prossimo, egli è anzi in questo suo sforzo educativo legittimato,
secondo la circostanza, a insultarlo; similmente nella seconda or. Sulla regalità il filosofo
cinico Diogene dice di Omero
,
,
, 2, 44. Dione, come sottolinea Desideri, “si dichiara spesso contrario
alla
XXXII, 6; 11; 19; XXXIV, 23; 33”, (1978) 506 n. 25. La
caratteristiche negative dei cinici nella rappresentazione di Luciano:
,
,
,
è una delle
’
-
,
, Fug. 14; cf.
Peregr. 3, 18, 19.
§ 38
il filosofo deve adattare la sua predicazione alle
circostanze e al suo uditorio: alcuni necessitano aspri rimproveri, altri dolci esortazione.
127
§ 38
Hom. Il. 12, 267.
...
§ 39
sia
...
che
sono
degli hapax in Dione e l’intera espressione è una allusione, soltanto lessicale, al passo
senofonteo
,
,
,
, Mem. 2, 2, 12. L’argomentazione dionea è però opposta a quella senofontea:
nella 78 il filosofo è talmente mite da rappresentare quasi l’ideale compagno di viaggio,
mentre nel dialogo socratico“der Reisegefährte zu Land und zu Wasser ... repräsentiert die
schwächste Form menschlicher Beziehung”, Gigon (1956) 100.
“indecenza, mancanza di vergogna”; tratto proverbiale dell’etica cinica, in
§ 39
particolare della figura di Diogene, strettamente legata al
in speech is
, “the counterpart of
in action” Dudley (1967) 29; vd. inoltre Giannantoni
(1990) IV 492-497; Krueger (1996) 222-239, e per Dione Capone Ciollaro (1983) 40-41. “Die
kynische
, die jener (Diogene) in den Dienst seiner sittlichen Mission stellte und
die zudem eng mit seiner Persönlichkeit verknüpft war ... hatte sich bei den Epigonen, den
kaiserzeitlichen Strassenkynikern, zu einer negativen Eigenschaft, ja geradezu zum
Zweck entwickelt“, Billebeck (1978) 68. In questo passo della Sull’invidia ha invece la più
consueta accezzione negativa di impudenza.
l’aggettivo, piuttosto raro, è un in Dione, significa “che non è mai stato
§ 40
schiavo”, è attestato per la prima volta in Iperide fr. 139a=Suid. sv. Nell’ambito della
filosofia ricorre esclusivamente in Epitteto
,
’
,
’
, 2, 10, 1.
§ 40
...
Hdt. 7, 202-225; Dione fa riferimento
all’estrema difesa del passo strategico fra il monte Callidromo e l’Euripo da parte dei
128
6000-7000 Greci guiddati da Leonida, durante la seconda guerra persiana, ai primi di
agosto del 480 a. C. “Or il est bien connu que cette image de guerres médique jouissait
d’une large diffusion. Forgée à l’époque classique, elle est reprise dans toutes sortes de
textes de l’époque impériale, notamment dans la meletê, où elle constitue une source
inépuisable de sujets, et des morceaux de bravoure”, Pernot (1993) 742. Sulla guerra
persiana vd. Lazenby (1993) 117-150.
per l’espressione confronta Isocrate: nel
§ 40
Panegirico descrive l’arroganza di Serse, il quale osò aggiogare l’Ellesponto e perforare il
monte Athos nel tentativo di ridurre la Grecia sotto il suo dominio, e in ciò raccolse tutte le
forze dell’Asia (
§ 40
), 88-89.
secondo il racconto erodoteo è Epialte di Trachis ad
’
indicare a Serse il sentiero che avrebbe condotto l’esercito persiano agevolmente alle
Termopili, causando la rovina dei Greci, 7, 213-217.
§ 40
de Budé: “ Dion n’ eût pas relevé ces details, qui n’intéressent
...
en rien la comparaison”, (1920) 12; Geel aveva espunto solo sino a
Hertlein, seguito da von Arnim, unicamente la seconda parte, cioè da
§ 40
...
, mentre
a
.
il passaggio non pare avere alcuna logica connessione con
il contesto, e sembra essere quindi una interpolazione, in ogni caso è una possibile
reminiscenza di Senofonte
cf. Plu Lys. 14, 6 (
§ 41
...
,
G 6, 5, 28.
).
“wie schon in klassischer Zeit, so galten bis in die römische
Kaiserzeit heiße Bäder als Luxus. Sie werden sowohl in der Komödie als auch vin den
Moralisten erwähnt. Plutarch (Mor. 734 A.B) hält den Wechsel zwischen heißen und
kalten Temperaturen für gesundheitsschädlich“, Bernhardt (2003) 217.
129
nella filosofia popolare non erano infrequenti i paragoni con
§ 41
oggetti: Bione di Boristene, ad esempio, paragona coloro che prestano attenzione alle
lusinghe a vasi che vengono trasportati per i manici, vd. Kindstrand (1976) 31-32.
§ 41
...
cf. quanto lo stesso Dione afferma del cinico
Diogene
,
,
§ 42
, 9, 8
si confronti quanto Dione scrive sul
...
nell’orazione Sulla
,
legge
, 75, 6.
§ 43
il paragone fra il saggio e il medico è caratteristico anche della filosofia cinica,
“der Cyniker ist der Arzt, welcher sie (die Menschen) von dieser Krankeiten (die Lüste)
heilen”, Zeller (19225) II 1, 332. Esso diviene presto patrimonio dell’immaginario anche
della scuola stoica, come ci testimoniano i frammenti raccolti da von Arnim: frr. III 120, 19;
109, 44; 164, 28. Questa immagine è presente in Dione, talvolta in maniera ossessiva: orr.
32, 10; 34, 26; 57, 5, cf. inoltre Desideri (1978) 152 n. 24.
§ 43
l’aggettivo è un hapax nel corpus dioneo. L’aggettivo
è
nell’ambito medico raramente utilizzato relativamente gli strumenti chirurgici utilizzati
dal medico: Galeno nel de anatomicis administrationibus scrive che il bisturi più affilato è
adatto alla asportazione, quello più smussato invece alla separazione dei muscoli, 2, 244, 7;
vd. inoltre 2, 247, 5 e 10.
130
l’espressione è un ossimoro, finalizzato ad esprimere
§ 43
l’impossibilità per il medico di cauterizzare con una fiamma che non sia ardente, è
necessario sottolineare che comunque Dione formula questa impossibilità con un periodo
ipotetico della possibilità; l’aggettivo è un hapax in Dione.
§ 44
Dione introduce un exemplum tratto dalla
...
storia letteraria, che svolge il compito di veicolare il presupposto generale esposto nella
similitudo del medico. Dione fa riferimento a questo stesso episodio, in maniera peraltro
cursoria, nell’or. Nesso o Deianira, il Prusense vi opera una interpretazione razionalistica
del mito
’
,
, 60, 8: la veste intrisa del sangue di Nesso non è che una metafora
della mollezza e del disfacimento morale di Eracle, causati dal suo abbandonarsi ai piaceri
della vita agiata. Su tutti svetta per rilevanza la tragedia senechiana Hercules Oetaeus, in
particolar modo la struggente preghiera di Eracle, il dialogo fra l’eroe e Alcmena e il Illo,
vv. 1290-1516, per il cui commento si rinvia a Zwierlein (1986) 397-412, Averna (2002)
220-241. Per una ironica allusione allo stesso episodio si rimanda al Peregrino di Luciano,
ove viene narrata in forma di epistola la storia di Peregrino, finto filosofo cinico, che in
occasione dei giochi olimpici del 167 d. C. annucia di gettarsi sul rogo, adempiendo
finanche la sua promessa, e si richiama all’eroe cinico per eccellenza:
, 33; sulla figura di Peregrino e la sua interpretazione si rimanda a
Jones (1986) 117-132; Hornsby (1991) 167-181; Macleod (1991) 269-276.
§ 44
Eracle rappresenta nell’armamentario mitico-ideologico dioneo una delle
figure più rilevanti di indiscussa matrice cinica. L’innalzamento di Eracle a modello di
vita, sanzionato da Diogene di Sinope, D.L. 6, 71, era già avvenuto con l’apologo di Ercole
al bivio di Prodico tramandatoci da Senofonte nei Memorabili, 2, 1, 20-34= D.-K. 84 B 2, vedi
a commento Alpers (1912); Unterstein (19672) II 178-189; Kuntz (1994) 163-181. L’immagine
della scelta di Eracle fra la virtù e la voluttà viene ripresa da Dione nella prima orazione
131
Sulla regalità, 1, 50-84; cf. Massimo di Tiro 14, 1 e Trapp (1997) 126. Per una messa a punto
sulla figura di Eracle nella letteratura del periodo imperiale Höistad (1948) 50-61. Derichs
(1951); Nilsson (1922) 310-316; sulla fortuna della figura di Eracle nella cristianità Sparn
(1984) 73-107; Faraone (1994) 115-136; dal punto di vista iconografico Boardman (1988)
LIMC IV 728-838.
il verbo è un in Dione; l’immagine di Eracle che ordina di essere
§ 44
collocato sulla pira ritorna nell’or. Nesso o Deianira, dove Dione utilizza
, 60, 8. Il
significato del verbo in questo passo è quello assai raro di “burn as on a funeral-pyre”, LSJ
s.v 2. Cf. Erodoto, il quale difatti impiega il verbo proprio in questa accezione: 3, 45 e 4,
69.
§ 44
; TrGF fr. 126. Emperius, seguito da Kannicht e Snell,
’ ...
propone in apparato :
’
.
Wilamowitz (1893) 24 “neque credibile cantico tragico inductum fuisse Herculem his vel Pindaro
dignis dactyloeptritis filios obiurgantem quod rogum Oetaeum accendere vererentur
,
’
.
Quae ducibus numeris bene restituta esse puto.” Tucker (1904) 431 per
improbabile
propone un
“i.e. ‘ (petted) nurselings.’ They were
(Aesch. S. c. T 777).”
§ 45
...
si tratta della esortazione che contestualizza sia la similitudo
del medico che l’exemplum di Eracle: l’uomo assennato non può esimersi dall’essere franco
e libero con se stesso e con gli altri. Nelle Leggi platoniche l’Ateniese sostiene l’importanza
132
delle presenza nello stato di un un uomo coraggioso che in pienà libertà dica ai propri
cittadini ciò che ritiene giusto, Lg. 835c.
cf. la domanda che Fedra rivolge alla nutrice sulla
§ 45
natura del farmaco che debba procurarle la guarigione
;, E. Hipp. 516.
“l’avvio immediato all’insorgere del pathos è dato dalla violenza con cui
§ 45
un’impressione esterna irrompe in noi. Questa però può agire solo se l’anima non ha la
forza di resistere, non avendo in sé, come sicuro possesso, la nozione del destino
dell’uomo. La vera causa del pathos è quindi la mancanza di quella nozione, l’agnoia”,
Pohlenz (1967) I 297.
§ 45
Crisippo afferma che
’
,
,
, SVF III 394,
41-2.
§ 45
il termine compare relativamente tardi nella letteratura greca, la prima
attestazione è in Diodoro Siculo (I° sec. a.C.; 24, 2, 1) per divenire quindi più usuale: vd. J.
Vit. 295; Plu. Rom. 20, 7, Crass. 2, 5; App. Mac 16, BC 1, 3. Il corrispettivo classico (anch’esso
in verità raro) è
: cf. Hrd. 8, 55; Pl. R. 470a; Aeschin. Contro Ctesifonte 157. Nel
corpus dioneo compare ancora soltanto nell’Agli Alessandrini: gli effetti nocivi e degradanti
degli spettacoli teatrali possono essere ancora avvertiti agli angoli delle strade e lungo le
vie per parecchi giorni, come le conseguenze di un incendio sono visibili a tutti per lungo
tempo, 33, 42.
§ 45
si tratta di hapax in Dione. Nel linguaggio medico il termine indica la
guarigione dai mali fisici (cf. Hp. Coac. 378), e su questa doppia valenza semantica gioca
Dione, riallacciandosi alla metafora del filosofo-medico. Nel linguaggio filosofico indica
133
sia la liberazione dell’anima dai mali spirituali sia la morte fisica: Socrate a colloquio con i
suoi discepoli per l’ultima volta sostiene che il corpo e le sue passioni sono la causa delle
guerre e divisioni e che l’uomo è loro schiavo, la filosofia costituisce l’unico sollievo.
L’uomo sarà più vicino alla conoscenza nella misura in cui sarà in grado di evitare, per
quanto è possibile, ogni contatto con il corpo, “finché il dio non vorrà liberarci (
”, Pl. Phd. 67a. Questa concezione ebbe nell’antichità grande
fortuna e fu ripresa fra gli altri dal filosofo Epitteto, allievo, come Dione, del filosofo stoico
Musonio: l’uomo non deve anticipare la propria morte per il desiderio di affrancarsi dal
questa schiavitù terrena, deve invece attendere il segno del dio che
, 1, 9, 16, cf. inoltre 1, 29, 63, ove Epitteto sostiene che la
deve
liberare dai padroni di ogni essere umano: la morte, la vita, il piacere e la fatica. Secondo la
pseudo-epicurea Lettera ad Erodoto riportata da Diogene Laerzio l’atarassia si fonda sulla
libertà da ogni errore e turbamento e che l’applicazione della dottrina teorizzata da
Epicuro permette di rintracciare la causa di tali paure e di liberarsene (
82.
), 10,
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Sommario
1
Premessa
3
Introduzione
3
1. Le orr. 77 e 78 nella critica
4
1.1 Datazione e luogo di recitazione delle orr. 77 e 78
6
1.2 Interpretazione
8
2. Sono le orr. 77 e 78 un unico discorso?
11
3. Proposta di lettura: l’or. 77 quale progymnasma
12
3.1 Il progymnasma
13
3.2 La
15
3.3 Confronto fra
19
4. Struttura delle orr. 77 e 78
19
4.1 Or. 77
20
4.2 Or. 78
22
5. Il testo
21
Avvertenze
23
Testo greco
35
Traduzione or. 77: Sull’invidia
40
Traduzione or. 78: Sull’invidia
47
Commento or. 77: Sull’invidia
e l’or. 77
149
82
Commento or. 78: Sull’invidia
131
Bibliografia
131
1. Edizioni
131
2. Indice
131
3. Traduzioni
131
4. Monografie, studi e opere di carattere generale
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