Dione di Prusa Sull`invidia (orr. 77 e 78) - FreiDok plus
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Dione di Prusa Sull`invidia (orr. 77 e 78) - FreiDok plus
1 Dione di Prusa Sull’invidia (orr. 77 e 78) Inaugural-Dissertation zur Erlangung der Doktorwürde der Philologischen Fakultät der Albert-Ludwigs-Universität Freiburg i. Br. vorgelegt von Giacomo Gazzaniga aus Irgoli (Italien) SS 2005 2 Erstgutachter: Prof. Dr. Bernhard Zimmermann Zweitgutachter: Prof. Dr. Hans-Christian Günther Vorsitzender des Promotionsausschusses der Gemeinsamen Kommission der Philologischen, Philosophischen und Wirtschaftsund Verhaltenswissenschaftlichen Fakultät: Prof. Dr. Hermann Schwengel Datum der Fachprüfung im Promotionsfach: 06. 12. 2005 3 Premessa Dione Cristostomo è uno degli autori più significativi e influenti del movimento culturale chiamato, secondo la celebre formulazione filostratea, Seconda Sofistica1. Fu scrittore piuttosto fecondo: della sua produzione ci sono pervenuti ottanta discorsi, tre dei quali spuri: il 37 (Corinzia) ed il 64 (il secondo Sulla fortuna) assegnati al suo allievo Favorino di Arelate2, ed il 63 (il primo Sulla fortuna)3. Un numero così alto di scritti conservati testimonia nelle epoche successive uno straordinario interesse verso il lascito e la figura di Dione, documenta inoltre la sua straordinaria polimorfia intellettuale4. Accanto a scritti politici5, si sono conservati scritti di carattere letterario6, discorsi d’apparato recitati ad Atene, a Olimpia, a Novum Ilium e altri importanti centri dell’Impero7. È vero però che molte dialexeis dionee hanno una più marcata impronta filosofica, stoico-cinica in particolare: non solo le più lunghe ed elaborate orazioni diogeniane8, ma anche un gran numero di brevi diatribe su temi di morale9. La rinascenza degli studi dionei ha portato negli ultimi trent’anni a una cospicua messe di studi e di lavori di commento alle singole orazioni e a importanti volumi di carattere Per una messa a punto sulla Seconda Sofistica si rimanda al recente lavoro di WHITMARSH (2005). BARIGAZZI (1950) 95-115, (1951), 3-11 e (1966) 14-15, 245 e sgg., 298 e sgg. Vd. inoltre AMATO (1995) 44, 75 n. 7. 3 “It is likely that one or two of the shorter pieces are falsely attributed”, SWAIN (2000) 10. 4 Per un’attenta disamina della fortuna dionea si rimanda a BRANCACCI (1985). 5 solo alcuni esempi: 35 (A Celene di Frigia); 38 (Ai Nicomediesi sulla concordia con i Niceni); 40 (In patria, sulla concordia con gli Apameni); 41 (Agli abitanti di Apamea sulla concordia). 6 ancora solo alcuni esempi 52 (Su Eschilo e Sofocle e Euripide o sull’arco di Filottete); 53 (Su Omero); 54 (Su Socrate); 55 (Su Omero e Socrate); 58 (Achille); 59 (Filottete); 60 (Nesso o Deinira); 61 (Criseide). 7 alcuni esempi: 11 (Troiano); 12 (Olimpico); 13 (In Atene sull’esilio); 36 (Boristenico). 8 6 (Diogene o sulla tirannide); 8 (Diogene o sulla virtù); 9 (Diogene o Istmico); 10 (Diogene o sugli schiavi). 9 16 (Sul dolore); 24 (Sulla felicità); 70 (Sulla filosofia); 71 (Sul filosofo); 75 (Sulla legge); 76 (Sul costume). 1 2 4 generale10. In questo clima sono stati però trascurati molti scritti con tema filosofico appartenenti, secondo la ricostruzione di von Arnim, al periodo esiliaco di Dione. Tale dimenticanza risulta più evidente perché l’esilio e la presunta conversione alla filosofia costituiscono l’elemento fondamentale della fortuna di Dione e perché uno studio attento di tali orazioni avrebbe certamente contribuito al recupero e alla comprensione della reale personalità “filosofica” di un intellettuale che ha saputo operare una paradigmatica “sintesi di eloquentia e philosophia”11. I due testi di Dione di Prusa presi in esame in questo studio, le due orr. 77 e 78 Sull’invidia, non sono mai stati tradotti in italiano né commentati12. Vorrei esprimere al Prof. B. Zimmermann la mia più viva gratitudine per l’attenzione con cui ha seguito e sostenuto l’evoluzione di questo lavoro dandomi nei momenti di difficoltà preziosi consigli. Un sentito grazie al Seminario di Filologia Classica dell’Università di Friburgo, in particolare a Serena Pirrotta, Stelianos Chronopoulos e Chrostoforos Gkaras. Ai miei genitori, a mia sorella Dalia, a tutta la mia famiglia, ad Arne e tutti i miei amici un grazie, per l’amore e il sostegno che non mi hanno mai fatto mancare i questi anni. Commenti: or. 4 FERRANTE (1975); or. 6 KRAPINGER (1996); or. 7 AVEZZU’ (1985) e RUSSELL (1992); or. 8 CAPONE CIOLLARO (1983); or. 9 CAPONE CIOLLARO (1987); or. 11 VAGNONE (2003); or. 12 RUSSELL (1992), NADDEO (1998), KLAUCK-BÄBLER (2000); or. 13 VERRENGIA (2000); or. 30 MENCHELLI (1999); or. 32 WILMES (1970); or. 36 RUSSELL (1992); discorsi bitinici (38-51) CUVIGNY (1994); or. 52 LUZZATTO (1983). Monografie recenti: KINDSTRAND (1973); DESIDERI (1978); JONES (1978); FERRANTE (1981); BRANCACCI (1985); SWAIN (2000); DE NICOLA (2002); KRAUSE (2003). 11 BRANCACCI (1985) 9. 12 È in preparazione Dione di Prusa. Discorsi. a cura di E. AMATO, S. FORNARO, G. CAIAZZA e I. RAMELLI, Milano. 10 5 Introduzione 1. Le orr. 77 e 78 nella critica Grande fu la fama che Dione godette nei secoli dopo la sua morte. Filostrato include Dione fra i filosofi che per lo splendore del linguaggio ebbero fama di sofisti, e fra i suoi scritti sofistici include l'Euboico e l'Encomio del pappagallo. Sinesio, grande estimatore dello scrittore di Prusa, si oppone a questa visione filostratea della vita di Dione. Il vescovo di Tolemaide nello scritto Dione o del vivere secondo il suo modello13, ricostruisce le vicende biografiche di Dione: il Prusense fu da principio sofista e si convertì alla filosofia, causa scatenante di tale conversione fu l’esilio14, 38a-b. Sinesio reputò perciò di poter classificare tutte le orazioni dionee in sofistiche e filosofiche, le prime composte prima dell’esilio, le Sulla ricezione esegetica del magistero dioneo di Sinesio e relativa obiezioni si rimanda a TREU (1958) BRANCACCI (1985) 137-197. 14 EMPERIUS (1840) 6 postula che Dione sia stato esiliato da Domiziano per la caduta in disgrazia presso l’imperatore di T. Flavio Sabino, cugino dell’imperatore stesso e genero di Tito, nonché patrono di Dione; l’ipotesi è accolta e difesa da VON ARNIM (1898) 228-231 e (1899) 363-374; da MOMIGLIANO (1969) 260; da JONES (1973) 307 e (1978) 45-46; da DESIDERI (1978) 189 e sgg., il quale data l’inizio dell’esilio fra l’85 ed l’88 d.C., il bando gli avrebbe precluso esclusivamente l’ingresso a Prusa; da MOLES (1978) 84 e 93 e (1990) 333; da SALMERI (1982) 27. DESSAU (1899) 81-83 pone in discussione la ricostruzione di von Arnim: la collocazione cronologica della morte di T. Flavio Sabino e quindi del bando di Dione è incerta. JONES (1990) 348-357 identifica il patrono di Dione con Arecino Clemente. SWAIN (1996) 189 crede nella veridicità dell’esilio di Dione, limitandolo anch’egli alla sola Bitinia, ma rifiuta categoricamente l’idea di una conversione dalla retorica alla filosofia così netta, e appoggia la tesi di SIDEBOTTOM (1994) 265 e (1996) 447-456, il quale propone l’identificazione del patrono del Prusense in L. Ottone Cocceiano, nipote di Cocceio Nerva. Critica verso la storicità dell’esilio KRAUSE: “in keiner Rede sagt er (Dion) jedoch expressis verbis, daß Domitian ihn in die Verbannung schickte und die Existenz eines offiziellen Verbannungsurteils ist keineswegs unzweifelhaft, (2003) 40-41. JONES (1978) 49 considera la notizia della conversione un’invenzione di Sinesio; MOLES (1978) 79-100 similmente la rigetta, ma ne attribuisce l’invenzione a Dione stesso nel tentativo di riabilitarsi per la propria attività filoimperiale sotto il principato di Vespasiano, “the ‘conversion’ of Dio Chrysostom is a fraud”, 100. Cf. inoltre MOMIGLIANO (1969) 258; SWAIN (1996) 189-190; WHITMARSH (2001a) e (2001b) 159. Sul tema dell’esilio quale elemento autobiografico vd. anche ZIMMERMANN (2002) 187-195. 13 6 secondo dopo la sua conversione alla filosofia. L’atteggiamento ermeneutico con il quale la critica ha affrontato la lettura delle due Sull’invidia è stato viziato dalla ricostruzione, in diversi punti aporetica, della vita e delle opere di Dione operata da von Arnim alla fine dell’ottocento, debitrice dello schema interpretativo sinesiano. Sulla scia dell'esaegesi del vescovo di Tolemaide von Arnim sintetizza la biografia intellettuale del Crisostomo in tre fasi: una prima "sofistica"; una seconda "esiliaca", con il suo dedicarsi alla filosofia popolare di stampo cinico-stoico; una terza "post-esiliaca". Secondo questo quadro ermeneutico di riferimento le due orazioni Sull’invidia, accertatone il loro contenuto “filosofico”, furono inquadrate cronologicamente all’interno del periodo esiliaco. 1.1 Datazione e luogo di recitazione delle orr. 77 e 78 Von Arnim considera, sulla scia delle affermazioni di Emperius15, le due orr. 77 e 78 un’unica diatriba filosofica, appartentene alla categoria dei “wiedererzälten Dialoge der dionischen Sammlung”: Su Omero e Socrate (or. 55), Agamennone o sulla regalità (or. 56), Nesso o Deianira (or. 60), Criseide (or. 61), il primo Sulla fama (or. 66), Sulla filosofia (or. 70), Sulla slealtà (or. 74), Sulla bellezza (or. 21), Il sapiente è felice (or. 23), Sul demone (or. 25), Sul consultarsi (or. 26). Questi scritti, spesso piuttosto brevi, sarebbero le trascrizioni tachigrafiche, operate da suoi allievi, delle lezioni che Dione, filosofo di stampo cinicostoico, avrebbe tenuto durante il suo esilio. I due scritti Sull’invidia possono, secondo questo punta di vista esegetico, essere quindi datate fra l’82 d.C., data d’inizio, secondo von Arnim, del bando di Dione e il 96 d.C., data della morte dell’imperatore Domiziano e del conseguente rientro dall’esilio del Prusense16. Orat. LXXVII et LXXVIII nulla intercapedine inter se exceperint necesse est, et in eodem versantur argumento, idque sic, ut Oratione LXXVIII continentur, quorum Orat. LXXVII. Initium continet; porro ut nullum coampareat preater omissam copulam discidii vestigium. Nostro igitur jure contendemus, non duas has, sed unma commentationem esse, (1840) 8. 16 VON ARNIM (1898) 284 e sgg. 15 7 Jones stabilisce il terminus post quem al 68 d.C., anno che segna la morte di Nerone, o, con riserva, poco più tardi: lo studioso fonda questa ricostruzione cronologica sulla netta condanna della castrazione dei fanciulli: essa è sintomo di estrema dissolutezza e arbitrio, 78, 3617. Jones vi scorge un’allusione all’episodio di Nerone e Sporo: l’imperatore dopo al morte di Poppea, avvenuta nel 65 d.C., fece castrare il giovane liberto e lo sposò18. Desideri è il primo a porre dubbio la validità della posizione emperiana e propone, nel pieno rispetto della tradizione manoscritta, di affrontare l’esegesi dei due scritti separatamente. Lo studioso italiano postula che l’or. 78 preceda cronologicamente l’or. 77 e che sia stata composta nel periodo immediatamente successivo alla sua cacciata in esilio, in quella fase, secondo la sua stessa definizione, “del pessimismo sociale di Dione”19. A tale collocazione cronologica apparterebbero i cosiddetti discorsi diogeniani, i due Sulla schiavitù e la libertà ( orr. 14 e 15), Di quelli di Cilicia sulla libertà (or. 80) e i due paralleli Sulla lealtà e Sulla slealtà (orr. 73 e 74) e i primi due Sulla fama (orr. 66 e 67). Similmente a questi la seconda Sull’invidia affronta tematiche di condanna della società civile nei suoi difetti più evidenti (l’invidia, l’attaccamento ai beni materiali) e sviluppa il concetto della vera libertà, secondo i precetti del pensiero cinico, quali riscontriamo nel Diogene o sulla tirannide (or. 6)20. Desideri sposta la data di composizione dell’or. 77 al periodo postesiliaco: in esso sarebbero riscontrabili cenni a “situazioni e problemi di carattere cittadino” distintivi dell’attività politica dionea dopo la sua riabilitazione durante il regno di Nerva ed il suo ritorno in Bitinia. Desideri presuppone infatti che vi sia conformità di impianto ideologico fra questa breve orazione, i discorsi Bitinici e quelli Sulla regalità certamente attribuibili al periodo post-esiliaco. Desideri ribadisce comunque che non vi “Perciò non per mancanza di questo bene lo richiedono a chi è naturalmente dotato, ma il loro comportamento può essere paragonato ciò che fanno uomini eccessivamente dissoluti, i quali, benché vi siano donne in abbondanza, a causa della loro tracotanza e della loro ingiustizia desiderano trasformare uomini in donne, prendono dei fanciulli e li castrano. Onde nasce una razza peggiore e infelice , più debole e femminea delle donne stesse.” 18 JONES (1978) 133. 19 DESIDERI (1978) 201. 20 DESIDERI (1978) 204. 17 8 siano indicazioni atte a determinare il luogo e la circostanza in cui lo scritto venne pronunciato21. Per quanto concerne il luogo di recitazione, Lamar Crosby sostiene che debba comunque trattarsi di una grande città: Dione afferma (77, 8)22, la presenza di numerosi uditori e l’accenno al § 15 ad un discorso sulla ricchezza tenuto il giorno precedente suggerirebbero che “Dio had been in residence long enough to have attracted some attention” 23. In realtà manca qualsiasi elemento interno ai due scritti che permetta di stabilirne una datazione assoluta o anche solo relativa. 1.2 Interpretazione Il primo a occuparsi delle diatribe dionee è stato Hirzel nella sua monografia sul dialogo. Hirzel, pur non respingendo in toto la storicità dell’esilio di Dione, rifiuta tuttavia la drammaticità della sua conversione alla filosofia, ed inserisce la produzione dialogica del Prusense nella rinascenza di tale genere letterario sotto il principato e il patrocinio dell’imperatore Traiano: “so sind Dions Dialoge nicht der Ausdruck einer inneren oder äusseren Wirklichkeit, die nothwendige formale Erscheinung zu einer mächtig mit der Phantasie dramatisch oder mit dem Denken dialektisch arbeitenden Seele; sie sind vielmehr Formen, die er sich aus der rhetorischen Vorrathskammer zusammengesucht und dann mit dem nur gerade nicht widerstrebenden Inhalt erfüllt hat ... während sonst die Diatriben auf wirklich gehaltene Reden und Gespräche zurückgehen, die ein Anderer aufzeichnet hat und die deshalb durch den Vorzug historischer Wahrheit ersetzen, was ihen von kunstvoller Gestaltung der Dialoge abgeht, so haben dagegen die Gespräche der dionischen Diatriben niemals mehr als literarisches Dasein gehabt und verdanken ihren DESIDERIwohl (1978) nur 273-274. Ursprung Dions Wunsche, sich auch einmal auf diesem Gebiete als Darsteller zu 21 Alle stesse conclusioni giunge DESIDERI (1978) 453 n. 19. LAMAR CROSBY versuchen ”24. (19642) 259; cfr. anche VON ARNIM (1898) 288. 24 HIRZEL (1895) II 84-119, le citazioni sono delle pgg. 114-115 e 117. 22 23 9 Pochi anni dopo von Arnim pubblica la sua monografia Leben und Werke des Dio von Prusa, compimento di un lungo percorso di studio del testo e del magistero dionei, dal quale è nata, inoltre, l’edizione critica dell’opera del Crisostomo. Nel ricostruire le vicende biografiche del Prusense e del mutare del suo percorso intellettuale, von Arnim ravvisa il pericolo sotteso nelle pagine di Hirzel: uno svilimento dell’attività filosofica di Dione, testimoniata anche dalle orr. 77 e 78, a mera esibizione sofistica, nata dal manieristico e frivolo bisogno del Nostro di atteggiarsi a scrittore di dialoghi. Per von Arnim, la conversione di Dione alla filosofia dopo il suo esilio è un dato certo: egli si dedicò realmente per quasi vent’anni a una vita errabonda e alla predicazione popolare di stampo cinico-stoico. Gli scritti dionei appartenenti al periodo esiliaco, tra i quali i due Sull’invidia25, sono pittosto le trascrizioni tachigrafiche delle lezioni a carattere prevalentemente morale che il Prusense avrebbe tenuto con i propri allievi. Esse rispecchierebbero quindi la reale essenza del suo magistero filosofico, un magistero esclusivamente orale26. Von Arnim fonda le sue conclusioni sul paragone con l'opera di Epitteto che venne raccolta e pubblicata dal suo allievo Arriano. Moling27, benché la sua tesi di dottorato si riproponga un’analisi del rapporto fra Dione e i poeti classici, non offre dell’ or. 77, l’unico scritto dioneo dedicato all’esegesi di un verso esiodeo, che un compendio stringato e privo di qualsiasi commento. Milobenski28, nella sua monografia dedicata al concetto di invidia nella filosofia greca, dedica all’interpretazione dei due scritti Sull’invidia un maggiore e rinnovato interesse. Lo studioso tedesco li inquadra nell’ambito della filosofia popolare cinico-stoica, di cifra prettamente antistenica; egli stesso si vede però costretto ad ammettere: “die Popularphilosophen ihre Schriften gern nach dem Schema “Erkenntnis des Pahtos” ( ) und “Heilung des Pathos” ( ), gliederten. Diese Form der Disposition ist VON ARNIM (1898) 288-289. hingegen behaupte und werde zu beweisen versuchen, daß unter den dionischen Gespräche weitaus die meisten von fremder Hand herrührende Aufzeichnungen solcher Gespräche sind, die er als philosophischer Lehrer wirklich mit seinen Schülern gehalten hat und deren Wert, wie der der epiktetischen Diatriben, vorzugweise darauf beruht, daß sie ein im ganzen treues Bild von der thatsächlichen Lehrmethode Dios gewähren” VON ARNIM (1898) 282. 27 MOLING (1959) 129-132. 28 MILOBENSKI (1964) 125-134. 25 26“ich 10 bei Dion nicht gegeben”. L’analisi di Milobenski non apporta però alcun contributo di rilievo: egli, come già sottolineato per Moling, opera una semplice, ma non per questo succinta, sintesi delle argomentazioni dionee, senza affrontare l’esegesi dello scritto né nel suo complesso né di alcuna parte di esso. Desideri propone una datazione differente per l’or. 78 e la interpreta secondo categorie diverse: egli la pone in stretto rapporto con la Diogene o sulla tirannide (or. 6) e, come è stato precedentemente accennato al periodo della sua attività filosofica: nella seconda Sull’invidia Dione approfondirebbe riflessioni di stampo filosofico che là vengono solamente accennate29. La nostra orazione rappresenterebbe una sorta di manifesto dell’attività politica del filosofo cinico ed “attraverso l’invito a rifiutare di accettare la logica di questo sentimento (l’invidia) Dione svolge in realtà un durissimo attacco alla vita politica stessa delle città”30. Per Desideri due sono i mutamenti ideologici fondamentali tra il Dione pre e postesilico: il categorico rifiuto di ogni comportamento demagogico ha lasciato il posto ad una intesa con il popolo di Prusa, e l’ideale di città composta da pochi e abbienti abitanti a quello della città popolosa. In quest’ottica vanno visti sia l’or. 77 sia la sezione dell’Euboico nella quale Dione prende in considerazione le occupazioni che devono essere evitate. Nella 77 l’argomentazione assume invece un carattere positivo comprendendo “un’ipotesi di classificazione su parametri di ordine sociale”. Dione avrebbe l’obiettivo di illustrare come l’invidia non sia un sentimento proprio ad ogni categoria lavorativa, ma esclusivamente ai cuochi, ai tintori, ai tenutari di bordello, il Nostro allude quindi a quelle attività economiche considerate socialmente disonorevoli31. 2. Sono le orr. 77 e 78 un unico discorso? La storia testuale dei due scritti Sull’invidia costituisce una straordinaria testimonianza delle traversie della tradizione manoscritta del corpus dioneo32. DESIDERI (1978) 214-216. DESIDERI (1978) 453 n. 18. 31 DESIDERI (1978) 407-409. 32 per una esauriente trattazione della problematica si rimanda a VON ARNIM (1891) 363-407 e (1893) prolegomena; SONNY (1896) 1-35; MENCHELLI (1999) 93-146 e VERRENGIA (2000) 9-26. 29 30 11 Sonny suddivise i manoscritti dionei in tre classi33. I codici appartenenti alla terza di dette classi tramandano soltanto il discorso 77, ad esso segue l’Euboico34, laddove gli altri manoscritti, esattamente nel punto in cui si interrompono, fanno iniziare la 78. La nostra tradizione manoscritta ci ha trasmetto le due diatribe Sull'invidia sempre come due scritti a se stanti. È importante rilevare che questo stato del testo è anteriore al IX secolo a.C.: Fozio enumera nella Biblioteca (cod. 209) due orazioni Sull’invidia: , 168a. Come è possibile che più recenti edizioni esse vengono pubblicate come se fossero un'unica diatriba? Ciò deve essere attribuito ad Emperius, il quale, a latere dello scritto per Gottfried Hermann sull’esilio dioneo, dedica alcune considerazioni alle due orazioni Sull’invidia. Emperius si sofferma sul nesso (§ 16 dell’edizione von Arnim) e sulla citazione omerica; lo studioso giustamente osserva che precedentemente non viene menzionato alcun “primo” poeta ; egli suggerisce inoltre che l’or. 77 potrebbe essere interpretata come un commento al verso 25 delle Opere di Esiodo. Emperius trae quindi la conclusione che in realtà l’or. 78 altro non è che la prosecuzione dell'or. 77 (nostro igitur jure contendemus, non duas has, sed unam commentationem esse35). Come ciò sia accaduto Emperius si premura di precisarlo cursoriamente in nota al testo della sua edizione dionea: al vetustus liber, dal quale discenderebbe tutta la nostra tradizione manoscritta, avrebbe perso i fogli contenenti le ultime orazioni. I codici appartenenti alla terza famiglia, caratterizzata dall'assenza dell'or. 78, discenderebbero da una o più copie di questo manoscritto incompleto. Come spiegare però la presenza nei rappresentanti delle altre due famiglie della seconda diatriba Sull'invidia? Emperiun ipotizza che i fogli perduti sarebbero stati ritrovati in un secondo momento o che le parti mancanti sarebbero state copiate da esemplari più completi: i copisti non si sarebbero tuttavia resi conto che l’or. 78 SONNY (1896) Cf. VERRENGIA (1997) 147. 35 EMPERIUS (1840) 8 “ Orat. LXXVII et LXXVIII nulla intercapedine inter se exceperint necesse est, et in eodem versantur argumento, idque sic, ut Oratione LXXVIII continentur, quorum Orat. LXXVII. Initium continet; porro ut nullum coampareat preater omissam copulam discidii vestigium. Nostro igitur jure contendemus, non duas has, sed unma commentationem esse”. 33 34 12 era in verità la continuazione della precedente e non uno scritto a se stante36. Tutti gli editori successivi hanno accolto la tesi di Emperius. Mahn, che a una disamina dei codici dionei aveva dedicato la sua dissertazione di dottorato, pare ignorare completamente la questione37. In un lungo articolo sulla genesi della raccolta degli scritti dionei, von Arnim accoglie la tesi di Emperius, egli postula tuttavia che tale stato del testo si sia generato in maniera differente: nell’archetipo dell’intera tradizione manoscritta la raccolta dei discorsi sarebbe stata suddivisa in sei parti38. Questo Urexemplar avrebbe perduto gli ultimi fogli della quinta parte, contenenti gli scritti 78-80, e forse anche la sesta parte. L’archetipo della terza famiglia (mancante come si è già scritto dell'or. 78) sarebbe stato copiato dall’Urexemplar dopo la mutilazione. L'archetipo delle altre due famiglie, che ci tramandano le due diatribe distinte, sarebbe stato vergato quando ancora le pagine, che pur erano separate, non erano ancora andate perdute39: “es ist viel einfacher anzunehmen, dass Blätter, die erst lose geworden waren, hernach ganz verloren gingen”40. Dopo aver ricapitolato lo stato della tradizione del testo delle orr. 77 e 78 il Lamar Crosby illustra le sue argomentazioni a difesa della tesi dell’Emperius: entrambi i discorsi disaminano il medesimo argomento e fra la prima sezione e la seconda non è percettibile alcuna brusca interruzione41. Desideri, che erroneamente attribuisce a von Arnim la riunificazione dei discorsi, è il primo che abbia posto in discussione la validità di tale assunto: lo storico italiano evidenzia come sia la testimonianza di Fozio che la diversità dell’argomentazione delle due orazioni testimonino la debolezza delle deduzioni emperiane. Desideri consiglia pertanti di seguire la tradizione manoscritta in ciò concorde e di leggere le due diatribe separatamente42. EMPERIUS (1844) 762. MAHN (1889). 38 VON ARNIM (1891) 380: “von Seiten der Teubnerschen Textausgabe umfasst Theil 1 + 2= 251; Theil 3 + 4= 262 = 139 + 123; Theil 5 + 6= 227, 5 = 136 + 91, 5“. 39 VON ARNIM (1891) 394-395. 40 VON ARNIM (1891) 395; analisi ribadita nei prolegomena all’edizione dionea (1893) XXXIII. 41 LAMAR CROSBY (19642) 258. 42 DESIDERI (1978) 251 n. 70. 36 37 13 L'argomentazione di Emperius si rivela infatti non del tutto convincente e un poco forzata. In primo luogo pare poco verosimile che del vetustus liber siano stati smarriti e ritrovati i fogli contenenti l'or 78, in un arco di tempo che consentì la copiatura di almeno un manoscritto. Ipotizzare che gli amanuensi non abbiano notato che l'inizio della nostra or. 78 altro non era che la prosecuzione dell'or. 77 presuppone che la prima riga del primo foglio staccatosi coincidesse con l'inizio della seconda Sull'invidia, esattamente con il concludersi di una argomentazione e con il principio di un'altra. Postulare inoltre che la lacuna sia stata colmata con l'ausilio di altri manoscritti implica che in essi l'or. 78 fosse separata dalla 77: diversamente i copisti non avrebbero trascritto le due diatribe singolarmente. Il riferiemento ad un secondo poeta in mancanza di un primo suscita legittime perplessità. Credo che sia utile quindi rileggere l’incipit dell’or. 78, i §§ 15-17: 15. DIONE: L’uomo saggio e benevolo è magnanimo, esente dal dolore, consapevole dell’utilità della propria e dell'altrui virtù. Egli è inoltre consapevole che mai nessun altro, neppure uno dei più inetti, invidierebbe ad alcuno ciò, che è bene comune di tutti. Inoltre non ammira assolutamente né considera di alcun valore ciò, che suscita nella massa invidia e gelosia, come dicevamo ieri riguardo la ricchezza. 16. Così non invidierebbe ad alcuno l’oro o l’argento o le greggi o la casa o qualcos’altro di cui dicevamo. Un altro poeta, il quale non volle esprimare la propria opinione ma quella degli uomini, afferma infatti: i quali vivono bene e sono chiamati ricchi; egli intende dire che vengono chiamati ricchi, senza esserlo in in realtà. 17. Bene; l’uomo nobile e perfetto non si lascia corrompere dalle ricchezze. Ma riguardo alla fama? Potrebbe egli contendere e invidiare coloro che vedesse onorati maggiormente dalla folla? O diremo che non ignora che la fama è la lode dei più, se dei più, chiaramente degli ignoranti? Dione evoca con il suo anonimo, e forse fittizio, interlocutore una conversazione sulla ricchezza tenutasi il giorno precedente, ed enumera i beni che il saggio non potrebbe in alcun modo invidiare: oro, argento, greggi e possedimenti. Dione cita un secondo poeta, Omero, e indica il tema della discussione seguente: il saggio non potrebbe invidiare la fama altrui. Il rimando all’ è inquadrato all'interno del riferimento alla lezione del giorno precedente sulla ricchezza, alla quale l’interlocutore ha preso parte (ciò deve essere presupposto dall'uso costante della prima persona plurale: “come dicevamo ieri riguardo la ricchezza”, “delle quali dicevamo”). Non è quindi neccessario congetturare che Esiodo sia il primo poeta e che quindi l'or. 78 sia neccessariamente la prosecuzione 14 dell'or. 77. È altrettanto verosimile che il primo poeta sottinteso sia un poeta menzionato il giorno precedente. Si potrebbe ipotizzare che tale menzione sia stata il punto di partenza della discussione (come accade con Esiodo nell’or. 77) o che Dione avrebbe utilizzato per confermare alla propria tesi. Queste brevi considerazioni e il rispetto di una tradizione manoscritta sotto questo aspetto concorde indurrebbe a respingere la tesi di Emperius e quindi a pubblicare e analizzare le orr. 77 e 78 separatamente. 3. Proposta di lettura: l’or. 77 quale progymnasma In questo capitolo desidero proporre una lettura differente della orazione 77 rispetto a quella argomentata dalla critica. Il presupposto ermeneutico di tale analisi si fonda sulle conclusioni sin qui raggiunte: essa è uno scritto a se stante e compiuto, indipendente dalla 78; non vi sono elementi interni che giustifichino una qualsiasi datazione, per quanto approssimativa, è quindi impossibile inquadrarla nella griglia cronologica, e di conseguenza ideologica, di von Arnim pre-esiliaca/ periodo sofistico; esiliaca/ periodo filosofico; prost-esiliaca/ periodo politico. Dando questi elementi per assodati, la mia esegesi si concentrerà esclusivamente sul dettato testuale, nel tentativo di recuperare la facies retorica del magistero di Dione. Ciò implica inoltre la convinzione che il Prusense non abbandonò mai - non vi sono prove infatti che lo fece - la sua attività “sofistica”. Sono cosciente che questo tentativo ha dei predecessori: Fornaro, ad esempio, ha dimostrato in un articolo vertente intorno al discorso 53, Su Omero, alla luce della prassi scolastica coeva la Nostro, che esso è “un esercizio di scuola, un encomio di Omero [...] Un discorso così impersonale e poco originale come l’or. LIII sembra addirsi ad un ristretto pubblico di scuola, e di scuola retorica, piuttosto che a un esteso pubblico cittadino”43. La mia disamina parte dall’idea che lo scritto dione 77, Sull’invidia, è un esercizio di scuola, un progymnasma, e più in particolare una , composto da Dione quale modello per i suoi studenti. Tale indagina si articola nei seguenti punti: 1. il progymnasma; 2. la confronto fra 43 e or. 77. FORNARO (2002) 102. ; 3. 15 3.1 Il progymnasma “A Rome donc, come en pays de langue grecque, il y a trois degrés sucessifs d’ensignement, auxquels correspondent, normalement, trois types d'école confiés à trois maîtres spécialisés: à sept ans, l’enfant entre à l’ecóle primaire, qu’il quitte vers onze ou douze pour celle du grammaticus; à l’âge où il reçoit la toge virile, dès quinze ans quelquefois, il passe chez le rhéteur”44. Nella fase di passaggio dal grammaticus al rhetor gli studenti dovevano svolgere in esercizi preparatori, i cosiddetti progymnasmata45: “the exercises ... demanded that the student make active use of the grammatical and other knowledge acquired in the earlier stage and, most importantly, begin to write and to perform his own composition”46. La nostra conoscenza dei progymnasmata deriva da un piccolo numero di fonti: brevi riferimenti in Quintiliano e Svetonio, ma soprattutto da quattro manuali datati fra il primo ed il quinto secolo d. C.: Teone (I sec. d.C..), Pseudo-Ermogene (probabilmente III sec.), Aftonio (IV sec.) und Nicolao (V sec.). Nei corpora di Libanio, di Nicolao, di Niceforo Basilica (XII sec.) e Giorgio Pachimere (XIII sec.), sono, inoltre, tramandati esempi composti dai retori, che dovevano servire da modello per gli studenti. La successione degli esercizi, in una scala di crescente difficoltà, è più o meno la stessa in tutti i manuali47: mythos, la favola; personaggio famoso48; , il racconto; chreia, la discussione sul detto o sull’azione di un , fondamentalmente lo stesso esercizio sulle citazioni; , la confutazione di una storia e luogo comune; 49 , la conferma di una storia; koinos topos, , l’elogio; psogos, il biasimo; sygkrisis, il paragone; poiia, MARROU (1948) 359-360. In generale si rimanda a CLARK (1957) 177-212; BOMPAIRE (1958)36 sgg.; RUSSELL (1967) 140-141; REARDON (1971) 75-76; ANDERSON (1993) 47-53; HEATH (1995) 13-17; WEBB (2001) 289-316. 46 WEBB (2001) 289. 55 Seguo in tutta la trattazione Aftonio, il quale, pur non essendo il più vicino cronologicamente a Dione, godette nell’antichità di maggiore fortuna e attenzione. 56 Sulla chreia si rimanda allo studio generale di HOCK-O’NEIL (1986). 57 Nella trattatistica successiva e vengono trattate separatamente. 44 45 16 caratterizzazione50; ekphrasis, descrizione51; thesis, caso generale; nomou eisphora, introduzione di una legge. 3.2 La La è “una massima a carattere universale, che esorta a qualcosa o dissuade da qualcosa”52. Nell’elaborazione di questo esercizio lo studente doveva argomentare la sententia come se si trattasse di un tema di carattere morale: esempi canonici erano: Iliade 2, 24 “non deve dormire tutta la notte un uomo che siede in consiglio”, al quale Libanio consacra i primi due esempi della sua raccolta; Teognide 175-176, la povertà “deve fuggire e gettarsi, o Cirno, nel mare dai mostri abissali e dalle alte rocce”, elaborato da Aftonio; Demostene Ol. 1, 20 “dobbiamo avere solo denaro, e senza di esso non può essere compiuto nulla di ciò che deve essere fatto”, terzo modello dei progymnasmata di Libanio, il secondo della raccolta di Nicolao. Lo studente aveva a disposizione uno schema piuttosto rigido, uguale sia per la che per la chreia, “of course, there will be cases where the general framework is best modified or abandoned; but the student who has experience in working within the framework is likely to be a better judge of such occasions” 53. Questa traccia si articola nei seguenti punti: 1. : breve elogio del citato 2. : parafrasi della citazione 3. : dimostrazione della validità della sententia 4. 5. : esposizione del contrario : paragone 6. 50 59 7. : citazione di altri autori sullo stesso tema 8. : breve epilogo consistente in una esortazione Vd. HAGEN (1966). Vd. WEBB (1999) 7-18. , 60 53 : esempio HEATH (1995) 14. , 2, p. 25. 8-9 Spengel. 17 La similarità fra la chreia e la era stata notata sin dall’antichità e onde evitare l’insorgere di fraintendimenti, i trattatisti si sono prodigati a porre in chiaro le differenze: “la chreia si differenzia dalla in questo: la chreia concerne talvolta un’azione, la sempre un detto; la chreia necessita di un personaggio, la è espressa impersonalmente”54. I manuali pervenutici sono relativamente omogenei sia nella terminologia utilizzata sia nella divisione delle parti, ma “the impression of conformity which the surviving textbooks present is to some extent illusory. The frequent references to what ‘some people’ say, show that many competing systems were in existence in antiquity, and that the current corpus is the product of centuries of selection and rearrangement”55. Inoltre i modelli pervenutici rivelano, rispetto alle attese, una struttura compositiva meno ancorata a uno schema rigido prestabilito; ciò costituisce un elemento di analisi piuttosto importante nella proposta di lettura da me argomentata: pur nel rispetto di una intelaiatura compositiva, dalla quale sia il retore che lo studente non potevano prescindere, non dobbiamo sorprenderci di riscontrare delle "anomalie" rispetto allo schema generale. 3.3 Confronto fra e l’or. 77 L’or 77 si apre in medias res, con un encomio del poeta Esiodo pronunciato da Dione e dal suo anonimo interlocutore; l’elogio si articola nella menzione della fama di saggezza goduta dal poeta epico presso i Greci, saggezza di origine divina, ricavata dal dato biografico dell’incontro con le Muse sul monte Elicona e il dono della poesia rappresentato dal ramo d’alloro; e nel ricordo delle sue opere le Opere e giorni e la Teogonia; egli inoltre era conoscitore della psicologia umana. 1. DIONE: Proprio per tutti questi motivi Esiodo fu celebre presso i Greci per la sua saggezza e non si dimostrò in alcun modo immeritevole di tale reputazione: egli infati non compose e cantò i suoi poemi grazie ad un’arte umana, ma perché incontrò le Muse e ne divenne allievo? 54 , Spengel. 55 WEBB (2001) 296. , , , 2, p. 26. 2-6 18 Ne consegue che quanto gli venne in mente lo espresse in maniera musicale e sapiente e non espose nulla di inutile, come questo verso dimostra. INTERLOCUTORE: Quale? D.: ed il vasaio invidia il vasaio ed il carpentiere il carpentiere. 2. INT.: Esiodo compose molti altri bei versi sulle attività umane e sulle cose divine e su questioni più importanti di quella ora menzionata. Comunque le sue parole manifestano una vera ed esperta cognizione della natura umana. §§ 1-2 L’incipit dioneo corrisponde alla primo punto dello schema della Aftonio , definito da . La saggezza dell’encomiato è elemento topico dell’elogio e non deve necessariamente esprimere un reale convincimento di Dione. Nell’ambito dei progymnasmata tale lode viene veicolata generalmente tramite un ricordo della meraviglia suscitata nel lettore dalle opere del citato: nel primo esercizio proposto da Libanio, Omero viene ammirato per la saggezza e l’utilità dei suoi versi dal soldato, dall’architetto, dal marinaio ecc., 8, p. 106. 5-12 F. Nel terzo modello, incentrato sulla sententia tratta dall’Ol. 1, 20, la retorica è la cosa più utile di tutte e Demostene ne è il principale rappresentante. Secondo Nicolao, nel primo esercizio, molti sono i versi di Euripide da ammirare, soprattutto quelli nei quali filosofeggiò sulla sapienza, 1, pp. 278, 6-13 Walz; nel terzo esercizio sulla , dedicato al v. 208 delle Opere esiodee “stolto chi vuole opporsi a uno più forte”, leggiamo, similmente a quanto Dione sostiene nell’or. 77, , , , . , , p. 281, 3-7. La funzione di introdurre la parafrasi (nel nostro caso la citazione), è dimostrata dall’asserzione ‘come questo verso dimostra’, che corrisponde al di Libanio, 8, p. 107, 7 F. Tra i due encomi viene citata il v. 25 delle Opere, D.: ed il vasaio invidia il vasaio ed il carpentiere il carpentiere, § 1 Ci attenderemmo la parafrasi e non la citazione del verso, ma la prassi, ancora una volta ci soccorrono i modelli di Libanio, ci testimonia nuovamente una certa libertà. Il retore di Antiochia, difatti, nel primo progymnasma sulla gn , consacrato al verso iliadico 2, 24 19 “non deve dormire tutta la notte un uomo che siede in consiglio ( )”, in parte lo parafrasa, in parte lo riporta letteralmente : “non deve riposarsi tutta la notte, dice (sc. Omero), un uomo che necessita consiglio ( , , )”, 8, p. 107, 13-14 F. Similmente nel secondo modello dedicato al medesimo verso, Libanio ribadisce che secondo il poeta epico “non deve dormire tutta la notte, dice infatti, un uomo investito di grande potere ( )”, 8, p. 113, 15-16 F. Dione non passa subito alla discussione del verso esiodeo, ma si sofferma con il suo interlocutore sull’opportunità e l’utilità di una tale disamina D.: Desideri che le esaminiamo in maniera più approfondita? INT.: E come potrà una tale folla sopportarci mentre discutiamo di tali cose? D.: Perché? Non sono venuti per ascoltare parole sagge su parole sagge? INT.: Affermerebbero di si, così mi pare. D.: Ma considerano forse Esiodo mediocre e di poco valore? INT.: Assolutamente no. D.: Non sarebbe per loro utile ascoltare (discorsi) sull’invidia e sulla gelosia, su chi siano coloro che provano tali sentimenti verso gli altri e per quali motivi? INT.: Si tratta certamente della cosa più utile di tutte. § 2 Questo passo, non previsto dallo schema dei manuali, costituisce la transizione fra la sezione proemiale (elogio e citazione) e la trattazione vera e propria della . È una commessura funzionale allo sforzo di evitare un trapasso troppo brusco fra le due parti dell’esercizio. Libanio, ad esempio, nel primo esercizio sulla muto interlocutore 14-15 F) e si rivolge a un suo (8, p. 107, (8, p. 108, 5 F.). Perché Esiodo afferma che essi sono invidiosi e mal disposti verso gli altri? se non perché ciascuno trae meno guadagno nel proprio ambito lavorativo, qualunque esso sia, se vi sono molti che esercitano la medesima professione? INT.: Per quale altro motivo infatti?, § 3 Una volta appurata l’utilità dell’esegesi e della disponibilità dell’uditorio, Dione estrinseca la della sententia, e la natura esegetica della sua analisi: Ermogene, a proposito della chreia, scrive infatti 20 , 2, p. 6, 24-25 Spengel. Libanio nel primo progymnasma, dopo aver riportato, variandolo leggermente, come abbiamo visto, il verso omerico, dice “non afferma (sc. Omero) che non deve dormire per nulla, ma che non deve dormire sempre, cosicché la parte del giorno dedicata al sonno salvi il sovrano, la parte dedicata alla veglia il potere”, 8, p. 107, 16-19 F. Dione affronta ai §§ 3-4 quella che possiamo definire la pars costruens della sua indagine, che si articola in una serie di brevi corrispondente alla sezione : il macellaio, il tintore, il lenone. Essa di Aftonio, nella quale lo studente o il retore dovevano suffragare la validità della sententia citata. Aftonio offre accanto ai precetti teorici anche dei modelli esplicativi piuttosto stringati, e nella sezione relativa alla prende in esame i vv. 175-176 della raccolta teognidea: la povertà “deve fuggire e gettarsi, o Cirno, nel mare dai mostri abissali e dalle alte rocce”. Egli argomenta come segue: “chi vive in povertà per prima cosa non pratica la virtù nell’infanzia, divenuto adulto tutto è per lui difficilissimo; come ambasciatore danneggerà la patria in cambio di ricchezze, parlando nell’assemblea parlerà per l’argento, e da giudice si lascerà corrompere durante la votazione”, 2, p. 26, 22-27 Spengel. Libanio, nel primo esercizio, illustra come il sovrano non possa permettersi di dormire troppo a lungo, proprio a motivo di tutti suoi doveri: dovrà, ad esempio, prendersi cura dei marinai, dei timonieri, delle armi, dei salari, delle risorse di guerra, 8, p. 108, 15-16 F. Il retore Nicolao sulla , argomenta così: “per primo infatti le mura delle città sono 56 innalzate da molte mani, ma compiute da una più saggia deliberazione; poi le attività per mare: la nave è spinta da molti rematori, ma è governata dalle decisioni del timoniere; e in battaglia gli eserciti lottano con molti soldati, ma lo stratego con le sue decisioni consegue la vittoria”, 1, pp. 278-279, 16-5 Walz. I §§ 5-6 costituiscono un sezione di passaggio fra la sezione e quella : Dione approva l’asserzione, presupposto della disamina, che coloro che esercitano la medesima professione si invidiano e si odiano; propone di approfondire l’analisi. 56 Il verso, tratto dall’Antiope di Euripide, fr. 19, 3, . 21 Dione ai § 6-9 affronta la pars destruens, di Aftonio, anch’essa si articola in brevi esemplificazioni: il marinaio, il timoniere, il medico. In questa sezione del progymnasma lo studente doveva esporre la situazione contraria rispetto a quella della sezione : in Aftonio leggiamo, ad esempio, “da fanciulli esercitano le cose più belle, e da adulti compiono ogni cosa magnificamente, pagando le coreghie nel corso delle feste, e portando il proprio contributo nelle battaglie”, 2, pp. 26-27, 29-2 Spengel. In Libanio, nei primi due esercizi, al sovrano, cui non è concesso dormire troppo a lungo, viene opposta la persona comune ( ), la quale ha da amministrare soltanto una casa modesta, tre o quattro schiavi e non molto denaro, 8, p. 110, 4-6 e p. 115, 1-5 F. La storia di Democede, narrata ai §§ 10-11 con dovizia di particolari, corrisponde al dei progymnasmata. È doveroso sottolineare che nei manuali e negli esercizi pervenutici il paradeigma svolge il compito di suffragare la sezione ; nell’or. 77, invece, esso è funzionale alla dimostrazione della validità della sezione . Le fonti degli exempla nei progymnasmata erano i ‘classici’, che lo studente aveva studiato presso il : nel primo modello della raccolta di Libanio, il 57 paradeigma è tratto dal decimo libro, la Doloneia: Ettore non permette che i Troiani dormano, ma invita un volontario a osservare segretamente il campo acheo; mentre Diomede e Odisseo si apprestano alla stessa impresa (8, pp. 111-112, 7-3 F.). Il retore Nicolao, nel primo e nel terzo esercizio sulla , utilizza un episodio tratto dall’opera di Erodoto (7, 143): “osserva Temistocle, che da solo, quando i Persiani avevano ricoperto la terra per il numero dei soldati e il mare con le triremi, avendo opposto una decisione più saggia confutò tutta la preparazione militare dei barbari”, 1, p. 279, 10-14 Walz. Infine il breve epilogo, o parak secondo Pseudo-Ermogene e Nicolao, Ma se per i timonieri e per i medici e per coloro che abbiamo or ora menzionato, non è meglio vivere senza che vi siano colleghi nel mestiere, forse per gli accorti ed i saggi è migliore e profittevole essere visti da soli?, § 14 “Texts from the classical canon provided models of the individual exercises in all the sources”, WEBB (2001) 301. 57 22 Libanio nel primo esercizio termina così “il re, osservando queste cose abbandoni il sonno, sapendo che non sono vicini l’oziare e il comandare molti (8, p. 112. 9-11 F.)”; nel terzo “così, se siamo presi dal desiderio di avere successo, dobbiamo prenderci cura dei redditi (8, p. 120. 13-14 F.)” 4. Struttura delle orr. 77 e 78 4.1 Or. 77 Proemio con un encomio del poeta Esiodo Cap. 1 saggezza di Esiodo, citazione del verso 25 degli Erga Cap. 2 Dione propone la disamina del verso esiodeo Cap. 3a interpretazione del verso e definizione del tema della conversazione Inizio della fase dimostrativa, dell’orazione Cap. 3b primi due esempi: il vasaio, il macellaio Cap. 4 altri due esempi: il tintore, il lenone Cap. 5a Dione trae le prime conclusioni: chi prativa un mestiere invidia chi gli fa concorrenza Cap. 5b altra citazione dagli Erga: verso 348, Esiodo non era solito dimostrare un principio con molti esempi Inizio della fase confutativa, anascheu dell’orazione Cap. 6 esempio: il marinaio Cap. 7a l’interlocutore inizia a comprendere il reale fine dell’analisi dionea e propone l’esempio del timoniere Cap. 8-9 il medico Paradigma Cap. 10-11a: Democede Cap. 11b Dione fa un primo bilancio delle argomentazioni della seconda fase: non tutti i lavoratori si odiano, contrariamente a quanto afferma Esiodo 23 Cap. 12-13 un altro esempio:gli armaioli, i costruttori di mura in una città che rischia l’assedio Cap. 14a l’asserzione esiodea vale solo per i vasai, i macellaio, i tintori e i lenoni, ma non per i timonieri e i medici Esortazione Cap. 14b “Ma se per i timonieri e per i medici e per coloro che abbiamo or ora menzionato, non è meglio vivere senza che vi siano colleghi nel mestiere, forse per gli accorti ed i saggi è migliore e profittevole essere visti da soli?” 4.2 Or. 78 Proemio Cap. 15 il saggio conosce il valore della virtù e non potrebbe invidiare alcuno Cap. 16 rinvio discussione sulla ricchezza del giorno precedente, Hom Od. 17, 423 Inizio della sezione Cap. 17 il saggio non invidia la fama altrui Cap. 18 esempio dell’aulete; aulete Tebano Capp. 19-20a parafigma di Orfeo Cap. 20b il saggio riguardo il suo stato di salute non ascolta il giudizio dei più Capp. 20c-21a Polidamante e Glaucone Cap. 21b il saggio non dà peso alla lode della massa acnhe per quanto riguarda la saggezza, la giustizia e ogni virtù Conformità ad un solo giudizio Cap. 22a esperto dell’arte del costruire non utilizza misure diverse ma una sola Capp. 22b-24 esempio del pittore Cap. 25 paradigma di Pandora Ricapitolazione Cap. 26 onori olimpici e pitici, iscrizioni dei demi e dei re, il saggio non ha bisogno di segni esteriori Cap. 27 Hom. Il 8, 233-234 24 Sezione sui piaceri del corpo Capp. 28-29a il saggio non invidia i piaceri del corpo: cibi, bevande e rapporti sessuali Cap. 29b paradigma di Sardanapallo Ricapitolazione delle sezioni sulla fama e i piaceri e paradigmi Cap. 30 riassunto: il saggio non si cura di fama ricchezze e piaceri Cap. 31a paradigma di Danae Capp. 21b-32a paradigma di Creso Cap. 32b paradigma Alcmeone Cap. 33 il saggio preferisce l’anonimato, allusione a Esiodo Erga 25-26. Condanna della corruzione dei filosofi Capp. 34a- 35 i ricchi amano circondarsi dei cosiddetti filosofi Capp. 34-35 paradigma di Circe Cap. 36 incontinenti e castrazione Qualità del vero saggio Capp. 37-40a il saggio non vende la sua libertà e ammonisce tutti, Hom. Il. 12, 267 Cap. 40b paragone con i Lacedemoni alle Termopili Cap. 41 il saggio non lascia rammollire il corpo Cap. 42 qualità civiche del saggio Cap. 43 paragone del medico Cap. 44 Eracle e TrGF fr. 126 Cap. 45 il saggio, come il medico, tenta di curare le malattie dell’anima 5. Il testo Questa non è un’edizione critica, ed il testo adottato in questa sede è quello dell'edizione curata da von Arnim (1896) II 206-219, con un apparato decisamente più snello. AVVERTENZE Le sigle utilizzate per le riviste sono quelle dell’Année Philologique. 25 Le sigle utilizzare per gli autori e per le opere greci sono quelle dell’LSJ. Le sigle utilizzare per gli autori e per le opere latini sono quelle dell’OLD. I titoli degli scritti dionei, onde evitare l’utilizzo di nomi differenti per la medesima orazione, sono citati secondo la nomenclatura di Desideri, per la quale si rimanda alla sua monografia58. 58 DESIDERI (1978) 583-599. 26 1 . , , , .— 2 — — — — — — — — — — 3 — — — 4 — ______________________________________________________________________________________________ 5 (vel ) libri, Causabon 10 PH UB M 12 corr. U ceteri 17 Arnim libri P 19 (B: ) UB M PH 25 PH U m. pr. BM 27 , .— — . , < > , , — .5— . ’ , — ’ , . .— . ’ ’ ’ ’ , , , [ , ] , , . 6 , — .— . , , — .— . ’ , , , — ________________________________________________________________________________ 2 et M 19 , Arnim H ’ , UBM (om. (hoc ord.) U 10 UB M 13 U (nisi quod hic om. item omissis (cet. om.) PH 17 U BMH P ’) PH 20 libri, corr. Pflugk 23 28 . 7 .— . ’ , ’ , , , — ’ .8— . .— — . , — ’ . .— . ’ .9— — . , , . , ’ , , 10 , , , ’ ________________________________________________________________________________ 1 Selden, libri 2 U 3 pro om. UBM fortasse recte, ut scribendum sit: UB 12 suppl. a corr. P 13 HP, iidem pro 17 M, in UM ex corr. 19 (om. )H praeter P H5 ’ P m. pr. 6 et 8 om. PH 10 16 libri, corr. Reiskius ( - a corr.) U libri 20 29 , . , . ’ , , . 11 , , , . , . , . , , , , — . 12 — [ , . ] ’ . , , ’ . 13 , , ’ , ’ ’ , . 14 , , . ________________________________________________________________________________ 4 restutuit Arnim ex Herodoto PH 8 H U m. pr. BMP 12 libri, corr. Dind. 20 PH Pflugk libri 22 P (?) ceteri UBM; Seld. U m. pr. BM om. PHM 17 M Arnim, PH ’ ( PH 5 a corr.) U 19 UB 21 30 — 15— . , , ’ , , . 16 17 — 18 — ________________________________________________________________________________________________ 1 seclusit Arnim pro M2 — seclusit Emp. 3 PHM B U m. pr. 5 om. U m. pr. BM inde ab his verbis deficiunt PH 7 pro U 15 ’ Od. 17, 423; ’ libri (at M in rasura) 18 Emp. M (om. ) UB 21 Arnim libri Reiskius transposit post 24 Reiske M UB 31 , . 19 , , ’ , , , , , [ ] , , ’ , , 20 ’ , . 21 — 22 — ________________________________________________________________________________________________ 6 del. Wil. 13 libri, corr. Selden. 14 seclusit Arnim, potuit per dittographiam oriri 15 M UB 16 Causab., M U B 19 add. Reiske 20 hic seclusit Reiske, addidit l. 23 24 M 25 om. M 32 , , 23 , , . , , , , , . , , , . , . 24 , , . ’ , , , , ’ 25 , , , ’ ’ [ ] , . , , ’ , . , ’ , . ________________________________________________________________________________________________ 4 bis exaravit U m. pr. 11 libri, corr. Dind. 15 om. U 17 B Arnim libri 23 25 Gasda, Arnim non probavit 25 libri, corr. Emp. 26 libri, corr. Emp. 33 26 27 , . 28 , ’ < , , ’ . 29 , , [ ] ________________________________________________________________________________________________ 3 U4 M5 ’ libri, corr. Dind. libri, corr. Dind. 6 B 10 M UB 11 Emp., libri 14 libri corr. U 15 Causab., libri 20 U Geelius, libri 22 UB 24 BM 25 M (at et a corr.) 34 , , 30 — .— . ’ , ,< ’ > 31 ’ , [ ], , , < > . 32 , . , , , , . 33 , . , , , , , , ________________________________________________________________________________________________ 1 6 U m. pr. 8 add. Reiske 10 (compendio) pro U m. pr. 11 seclusit Arnim 12 (vel - ) UBM T 13 U (at a corr.) 14 add. Emp. 23 ante U 26 M UB Pflugk., libri 35 , , , , , , , , — ’ ’ . 34 ,[ ] , , . 35 , , , . . ’ , ’ . 36 , ’ , ’ . [ . 37 ] , ’ ’ , ’ , ’ ’ ________________________________________________________________________________________________ 1 om. U 7 scripsit Arnim, libri 10 libri, corr. Dind. 10 secl. Wil., Emp. 13 corruptum, Wil. 15 M U 18 Reiskius, libri 20 Emp. dubitans, libri 23 seclusit Arnim 36 , , , , , 38 ’ , , , , , , , , 39 40 [ 41 , , ________________________________________________________________________________________________ 1 Causab., libri Emp., ’ UB M5 scripsit Arnim, libri 10 Casaub., libri 11 , libri, corr. Wil. 20 Geelius libri libri, Geel. suspiciose, quia = 22 — 23 del. Geelius 23 — 24 seclusit Arnim, idem voluit Hertlein 37 . ’ , ,< > . 42 , ’ ’ , , < > , , . 43 , , , , , . 44 , , , , , , 45 ________________________________________________________________________________________________ 5 libri, corr. Dind. 6 add. Geelius 17 UB metrum sic restituit Emperius: 20 libri, corr. Emp. 23 Causab., M UB 38 Traduzione or. 77: Sull’invidia 1. DIONE: Proprio per tutti questi motivi Esiodo fu celebre presso i Greci per la sua saggezza e non si dimostrò in alcun modo immeritevole di tale reputazione: egli infatti non compose e cantò i suoi poemi grazie ad un’arte umana, ma perché incontrò le Muse e ne divenne allievo? Ne consegue che quanto gli venne in mente lo espresse in maniera musicale e sapiente e non espose nulla di inutile, come questo verso dimostra. INTERLOCUTORE: Quale? D.: ed il vasaio invidia il vasaio ed il carpentiere il carpentiere. 2. INT.: Esiodo compose molti altri bei versi sulle attività umane e sulle cose divine e su questioni più importanti di quella ora menzionata. Comunque le sue parole manifestano una vera ed esperta cognizione della natura umana. D.: Desideri che le esaminiamo in maniera più approfondita? INT.: E come potrà una tale folla sopportarci mentre discutiamo di tali cose? D.: Perché? Non sono venuti per ascoltare parole sagge su parole sagge? INT.: Affermerebbero di si, così mi pare. D.: Forse considerano Esiodo mediocre e di poco valore? INT.: Assolutamente no. D.: Non sarebbe per loro utile ascoltare (discorsi) sull’invidia e sulla gelosia, su chi siano coloro che provano tali sentimenti verso gli altri e per quali motivi? INT.: Si tratta certamente della cosa più utile di tutte. 3. D.: Dunque è necessario che mettiamo gli uomini alla prova. Perché Esiodo afferma che essi sono invidiosi e mal disposti verso gli altri? Forse perché ciascuno trae meno guadagno nel proprio ambito lavorativo, qualunque esso sia, se vi sono molti che esercitano la medesima professione? INT.: Per quale altro motivo infatti? D.: Se ad un vasaio conviene che nella stessa città e villaggio non lavori un altro vasaio, ciò non sarebbe conveniente anche per un macellaio? Egli potrebbe così vendere a coloro 39 che ne hanno bisogno qualsiasi tipo di carne egli abbia, anche una bestia da macello minuta o vecchia. INT.: È ovvio che ciò sia conveniente anche per il macellaio. 4. D: Il tintore non preferirebbe esercitare la propria professione da solo piuttosto che far fronte alla concorrenza di altri rivali nel mestiere? Potrà così vendere alle donne qualsiasi tinta, poiché si accontenteranno di comperarne di poco migliori rispetto a quelle con le quali sono solite tingere nelle fattorie, e non desidereranno né i colori indelebili né le porpore. INT.: Come infatti li desidereranno? D.: Ed il lenone? Non guadagnerebbe più denaro se da solo portasse questo motivo di vergogna e godesse di cattiva reputazione senza doverli dividere con altri, sia che nutrisse e addestrasse tale genia in città, sia che la portasse alle Termopili e alle altre feste? INT.: Credo che il lenone si auguri di avere pochi concorrenti nella sua attivà. 5. D.: Esiodo riteneva che tutti coloro che esercitano il medesimo mestiere si danneggino e siano d’ostacolo gli uni agli altri per il sostentamento? INT.: Tutti, come è verosimile. D.: Esiodo però non era solito esaminare ogni problema nei singoli dettagli. Ed infatti in riferimento ad altri argomenti illustrò un concetto soltanto con uno o due esempi. Asserisce ad esempio che nessuno perde un bue senza che sia coinvolto un vicino malvagio; certo non intende dire che se un vicino malvagio dovesse ammazzare un bue o è complice di un altro, non ucciderebbe , se potesse farla franca, una pecora o una capra di quelle belle che danno molto latte e partoriscono gemelli. È indubbio che si rivolge ai lettori dei suoi poemi come a persone assennate. 6. Riassumendo possiamo affermare che il poeta con una breve enunciazione asserisce: coloro che svolgono lo stesso mestiere non si amano e non traggono alcun vantaggio gli dagli altri? INT: Senza dubbio. D.: Suvvia per gli dei, la navigazione è un mestiere, o la definiresti un'attività inferiore alla professione del vasaio o del macellaio? INT.: È indubbiamente un'attività non inferiore. 40 D.: Un marinaio potrebbe portare a termine il proprio lavoro su una grande nave con molte vele, che trasporta molto carico e molti passeggeri? Sarebbe per lui un vantaggio navigare senza che vi sia un altro marinaio sulla nave che conosca l’arte della navigazione quanto lui? Se, d’altra parte, fossero in tanti, si danneggerebbero e nuocerebbero vicendevolmente? In conseguenza di ciò in una nave la maggior parte dei marinai si odia? 7. INT: Quella dei marinai è un’altra faccenda. Ma ritengo che un timoniere non gradirebbe la presenza di un altro timoniere sulla stessa nave. D.: Se dovesse sorgesse una forte tempesta ed egli, perché vecchio e a causa della forza del mare, non fosse in grado di controllare uno dei due timoni, allora si rammaricherebbe della presenza di un altro timoniere e non si augurerebbe invece di vedere qualcuno che gli dia il cambio? O se avesse necessità di dormire, poiché veglia da molte notti e molti giorni di seguito, anche in questo caso odierebbe un altro timoniere e considererebbe la sua presenza sulla nave un danno per se? INT.: È probabile che in tal caso non lo odierebbe. Come potrebbe infatti? Ma noi non stiamo discutendo della navigazione né di ciò che avviene in mare. 8. D.: Bene; il medico guarisce sulla terra ferma e non pratica una professione inferiore a quella dei carpentieri. INT: Perché ciò? D.: Credi che egli desideri essere l’unico medico in una città così grande, particolarmente se vi sono molti malati? INT: Che cosa gli impedisce di voler essere il solo? Tanto peggio per gli altri: essi non possono essere curati da un’unica persona e la sua attività è così più onorata. È difatti impossibile dire quali e quanti onorari riceverebbe, unico medico fra tanti malati. D.: Ma io non ti parlo certo di un medico pazzo. 9. INT: Come? Ti pare che sia proprio di un pazzo desiderare di ricevere grandi onori e di guadagnare molte ricchezze? D.: Io lo reputo certamente pazzo, se si rallegrasse che non vi sia alcuno capace di curarlo o somministrargli la mandragora o un altro medicinale, qualora fosse colpito da febbre letargica o da delirio febbrile. E ciò solo per poter essere l’unico in città a ricevere 41 compensi e onori. Se dunque insieme a lui si ammalassero i figli e la moglie e gli amici, tutti gravemente, allora desidererebbe non poter trovare nessun altro medico che li soccorra? E se questo fosse presente, lo invidierebbe, come dice Esiodo? Potrebbe considerare un nemico colui che salva lui e i suoi cari? 10. Supponi che avvenga qualcosa di simile a quanto accadde ai medici Egizi; quelli infatti volevano guarire Dario il Persiano, a cui per una caduta da cavallo si era spostato l’astragalo. Essi non furono in grado di guarirlo secondo i precetti della loro professione, ma lo gettarono nell’insonnia e gli cagionarono terribili sofferenze, essi infatti tendevano e trattavano l’arto con durezza. Dario ordinò che venissero imprigionati, torturati ed uccisi. Il re venne a conoscenza della presenza di un medico Greco fra i suoi schiavi. 11. Lo fece chiamare, e gli ordinò, oramai disperato, di aiutarlo, se fosse in grado. Era Democede il Crotoniate, il migliore medico Greco. Questi lo fece immediatamente addormentare, applicò cataplasmi e fomentazioni, si prese cura del resto, e lo guarì in pochi giorni. Dario gli ordinò di prendere ciò che desiderasse, ma Democede richiese la liberazione dei medici Egizi. Ed essi furono certamente rilasciati grazie alla sua intercessione. Ritieni dunque che i medici Egizi provarono invidia nei confronti di Democede e lo cosiderarono un nemico come Esiodo afferma dei vasai e dei carpentieri, stimando, cioè, per loro più vantaggioso che non fosse presente alcun altro medico che guarisse il sovrano? O invece lo amarono tanto e gli furono grati? INT.: Verosimilmente gli furono grati. 12. D.: Nelle città lavorano fabbricanti di corazze e di elmi e costruttori di mura e fabbricanti di lance e molti altri artigiani. Mi interesserebbe veramente sapere se per questi è conveniente che in ciascuna città ci sia un unico artigiano nella propria professione invece che in numero sufficiente. Se i nemici si avvicinassero, la città fosse priva di mura, e non tutti possedessero un’armatura, è naturale che la città e i suoi abitanti si trovino in pericolo essendo privi di armi e di mura. 13. Caduta la città verranno catturati e incatenati (se non vengono uccisi), e verrano costretti a lavorare per i nemici gratuitamente, poiché vissero mollemente e vendevano le corazze e gli elmi e le lance a caro prezzo. Capiranno che non agirono né rettamente né per il loro interesse, qunado il fabbro invidiò e odiò il 42 fabbro ed il carpentiere il carpentiere. Capiranno inoltre che essere l'unico nella propria professione non è vantaggioso e preferibile. 14. Il principio enunciato da Esiodo è valido esclusivamente per i vasai e macellai e tintori e lenoni. Certamente l’invidia e la gelosia ed il non volere nessun concorrente nella propria attività, sia che si tratti della professione del macellaio che del tintore che del vasaio, sono più appropriati al lenone che ai medici e ai timonieri o a coloro che svolgono una professione più seria. Ma se per i timonieri e per i medici e per coloro che abbiamo or ora menzionato, non è meglio vivere senza che vi siano colleghi nel mestiere, forse per gli accorti ed i saggi è migliore e profittevole essere visti da soli? INT.: Per nulla. 43 Traduzione or. 78: Sull’invidia 15. DIONE: L’uomo saggio e benevolo è magnanimo, esente dal dolore, consapevole dell’utilità della propria e dell'altrui virtù. Egli è inoltre consapevole che mai nessun altro, neppure uno dei più inetti, invidierebbe ad alcuno ciò, che è bene comune di tutti. Inoltre non ammira assolutamente né considera di alcun valore ciò che suscita nella massa invidia e gelosia, come dicevamo ieri riguardo la ricchezza. 16. Così non invidierebbe ad alcuno l’oro o l’argento o le greggi o la casa o qualcos’altro di cui dicevamo. Un altro poeta, il quale non volle esprimare la propria opinione ma quella degli uomini, afferma infatti: i quali vivono bene e sono chiamati ricchi; egli intende dire che vengono chiamati ricchi, senza esserlo in realtà. 17. Bene; l’uomo nobile e perfetto non si lascia corrompere dalle ricchezze. Ma riguardo alla fama? Potrebbe egli contendere e invidiare coloro che vedesse onorati maggiormente dalla folla? O diremo che non ignora che la fama è la lode dei più, se dei più, chiaramente degli ignoranti? INTERLOCUTORE: È assolutamente inverosimile che egli lo ignori. 18. D.: Credi che un buon flautista si compiaccia della propria arte e sia orgoglioso dell'onore riservatogli da persone inesperte dell'arte musicale? Si esalterebbe se gli stessero intorno giovani porcari e pastori che lo ammirano e battono le mani? Considererebbe la loro lode la cosa più importante? Ma in verità il flautista Tebano lo dimostrò: non si curò né del pubblico presente a teatro né dei giudici inesperti dell’arte di suonare il flauto, benché gareggiasse per ottenere il premio e la vittoria; nondimeno non ardì allontanarsi dal ritmo opportuno, dichiarò infatti suonare per se stesso e le Muse. 19. Credi che Orfeo, figlio della Musa (se è vero il mito che lo riguarda) si rallegrerebbe mentre uccelli volano giù verso di lui mentre canta, mentre bestie, ammaliate dalla sua voce, giacciono presso di lui mansuete e senza fare rumore qualora iniziasse a cantare? Si rallegrerebbe inoltre mentre alberi in frutto e in fiore gli si avvicinano, e pietre si muovono e lo ascoltano, così da formare presso di lui grandi colonne di pietre? Si rallegrerebbe al vedere ciò, e, orgoglioso, riterrebbe di aver raggiunto l’apice del successo musicale, più che se sua madre Calliope lo lodasse mentre suona la cetra e gli dicesse accarezzandogli il 44 capo che ha raggiunto una sufficiente competenza dell'arte musicale e che è diventato il migliore? 20. Io infatti credo che riguardo la musica preferirebbe essere lodato da Filammone o qualcuno di coloro che allora erano esperti del canto con accompagnamento della cetra piuttosto che da bestie e uccelli. Egli non presterebbe alcuna attenzione neppure ai cigni che lo dovessero accompagnare nel canto, poiché non sono in possesso di un’abilità tecnica e non hanno una conoscenza dell’arte di cantare. E poi? L’uomo saggio riguardo la sua salute accetterebbe la testimonianza e la lode di un medico e di un esperto della cura del corpo o di molte migliaia di uomini ignoranti, i quali, se ciò accadesse, esalterebbero qualcuno enfiato e purulento a causa di una malattia come se fosse Polidamante il Tessalo e Glaucone di Caristo, stimandolo superiore per vigore? 21. Quanto concerne il suonare il flauto e il canto con l’accompagnamento della cetra e l’eccellere nella lotta e nel pugilato, l’approvazione degli esperti è per coloro che sono competenti più dolce e degna della più grande attenzione rispetto a quella di tutti gli altri. In riferimento alla saggezza e alla giustizia e ogni virtù la lode degli sciocchi e dei primi venuti rallegra il saggio e ne soddisfa l’intelligenza? INT.: In nessuna maniera. 22. D.: Credi che l’esperto dell’arte del costruire, qualora voglia fabbricare qualcosa diritto, si persuada, felice, dell’esattezza del suo lavoro se ha utilizzato un regolo e ha misurato con una cordicella o se ha regolato e misurato con molti legni irregolari? Per Zeus, hai sentito di quel raffinato pittore il quale aveva esposto al pubblico un quadro meraviglioso e accurato, rappresentante un cavallo? 23. Dicono che avesse ordinato al figlio di sorvegliare coloro che l’avrebbero guardato, di memorizzare le loro critiche e i loro elogi e di riferiglieli. Si narra che ognuno esprimesse sul quadro un parere differente e criticasse, chi la testa, chi i fianchi, chi le zampe. Osservavano inolte che, se ciascuna di queste parti fosse state dipinta in altro modo, il quadro sarebbe stato assai più bello. Si narra inoltre che dopo aver udito ciò che il figlio gli riferì, e dipinse un altro quadro secondo l’opinione e il giudizio dei più, e ordinò che fosse posto accanto al primo. La differenza fra le die opere era notevole: la prima era dipinto con grande precisione, la seconda era invece orrendo e assai ridicolo, simile a tutto tranne che a un cavallo. 24. È chiaro che se chi 45 necessita l’approvazione dei più e considera il loro biasimo o la loro lode più importante della propria opinione, agirà in tal modo e desidererà adattarsi al giudizio dei più. Egli somiglierà più che al primo cavallo, opera vile dell’arte di un solo pittore, all’altro meraviglioso prodotto artistico frutto dell’arte di molti, che non soddisfa neppure i medesimi artisti, perché dipinto secondo il proposito e l’attività creativa di tutti. 25. Il mito narra, similmente, che Pandora non fu opera di una sola divinità, bensì di tutte: ciascuno degli dei contribuì alla crazione offrendo un dono diverso. Pandora non si rivelò essere né opera saggia né destinata a un buon fine, ma sventura variamente multiforme per coloro che l’accettarono. Se la moltitudine e il popolo degli dei pur creando e lavorando insieme non fu capace di forgiare alcunché di bello e di irreprensibile, che cosa si direbbe di ciò che è creato dall’opinione umana, si tratti di un modo di vivere o di un essere umano? È chiaro che se uno fosse in verità assennato per natura, non presterebbe alcuna attenzione all’opinione dei più e non cercherebbe in alcun modo di ottenerne la lode, né la considererebbe di conseguenza grande o degna di onore o buona, per così dire. E poiché non la ritiene un bene, sarà incapace di invidiare coloro che la possiedono. 26. Dunque un uomo siffatto, nobile e saggio e moderato, non inseguirà le ricchezze e le lodi e le corone olimpiche e pitiche e le iscrizioni nelle colonne e le testimonianze scritte di comunità e sovrani, per divenire illustre e noto, vivrà invece in maniera corretta e modesta per quanto è possibile. La sua stessa intelligenza lo rende umile e moderato; egli non sentirà il bisogno di ornamenti esteriori né di onori fittizi né di falere né di piume, come i mercenari mediocri, i quali indossano piume e cimieri, fanno dipingere Gorgoni sugli scudi, e battendo questi con le lance, poi fuggono, al sopraggiungere di un piccolo pericolo. 27. È possibile vedere molte persone simili fra coloro che sono considerati agiati, comandanti e demagoghi e sofisti, i quali si vantano nei teatri e presso i discepoli e nelle tende dell’accampamento, se capita che siano ubriachi a mezzogiorno, che ognuno avrebbe affrontato anche cento o duecento Troiani; ma se un solo uomo li assale e li insegue, fuggono a precipizio, e si rivelano tutti indegni di lui. 28. Inoltre non dà valore ai piaceri del mangiare, del bere o del sesso, o alla bellezza di una donna, alla grazia di un fanciullo; non desidera ottenerli né attribuisce loro alcuna 46 importanza. Egli non stima beato chi li consegue, sia che si tratti di satrapi e dinasti e, per Zeus, di artigiani e di schiavi nati in casa i quali si sono arricchiti, chi grazie alle loro capacità, chi per aver derubato i loro padroni. Egli non si addolorerebbe certo per la mancanza e l’assenza di questi piaceri né si considererebbe infelice per questo motivo. Non li invidia né trama in ogni modo contro di loro né si augura la loro rovina. 29. O ammetteremo che l’uomo nobile e magnanimo abbia le stesse debolezze dei cani, dei cavalli e degli altri animali? Questi infatti sono incapaci di dominarsi, e quando notano altri che si saziano e si accoppiano, essi si adirano, fremono e sono in collera con coloro che ne godono, e sono pronti a saltare su, mordere, cozzare con le corna, combattersi in ogni maniera per godere di questi piaceri. Diremmo che l'uomo nobile e magnanimo si comporterà in tale modo? Affermerà che sono cose importanti? Riterrà di dover imitare Sardanapalo, il quale testimoniò di aver trascorso la sua vita banchettando e dedicandosi ai piaceri con gli eunuchi e le donne? Per questo potrà invidiare la felicità delle capre e degli asini? 30. INT.: Pensare che un uomo misurato e colto agisca in tale maniera saerebbe empio. D.: Se egli non considera la fama, in beni, i piaceri del mangiare o del bere, i rapporti sessuali fonte di beatitudine, ne li ritiene desiderabili e di valore, essi non costituiranno per lui motivo di contesa e invidia, come egli non potrebbe invidiare la sabbia sulle spiagge o il rumore e l’eco delle onde a quanti abitano presso il mare. 31. Neppure se oro scendesse dal cielo e gli riempisse il seno: si narra che oro colò su Danae (a motivo della sua bellezza), mentre veniva sorvegliata in una camera di bronzo. Neppure se un torrente gli trasportasse oro abbondantissimo, come se fosse fango: dicono che prima il Pattolo, che attraversa Sardi, trasportasse a Creso ricchezze pronte, tributo e imposta superiore a quello di tutta la Frigia e la Lidia e i Meoni e i Misi e tutti coloro abitano oltre il fiume Alis. 32. Né Solone né un altro dei saggi di allora invidiò l’Alcmeone che ricevette da Creso il dono: si narra infatti il Lidio aprì i suoi tesori e gli consentì di prendere tutto oro che volesse. Alcmeone entrò, si riempì del dono regale con fare molto audace: indossava il chitone lungo sino ai piedi, aveva riempito la profonda piega del vestito femminile, indossato deliberatamente calzari grandi e vuoti, e infine aveva cosparso la chioma e la 47 barba con polvere (d’oro) e riempito la bocca ed entrambe le guance. Si narra che uscisse a fatica, come un flautista che suona il parto di Semele, offrendo a Creso e ai Lidi uno spettacolo risibile. 33. E in tali condizioni Alcmeone non si dimostrò degno di una dracma. Come dicevo, egli non invidierebbe la fama di chi vedesse applaudito e incoronato da dieci o ventimila persone, il quale si comporta in modo altero e superbo come un cavallo vittorioso, e viene scortato da più persone di quante non accompagnino gli sposi. Egli invece preferirebbe essere meno conosciuto dei mendicanti, più solo di coloro che giacciono nelle strade, considerato da tutti indegno di parola, come dicono che erano una volta i Megaresi, poiché erano incapaci di adulare e di conversare con grazia: egli è per natura severo e amico della verità né dissimula. Non sarà simile ai vasai, ai carpentieri ed agli aedi, né si piega perché si trova in indigenza. Non muta il suo modo d'agire perché si vede disprezzato, né diviene perciò un adulatore e un ciarlatano invece che nobile e sincero. 34. Ma perché alcuni ricchi desiderano essere serviti da persone che affermano di essere libere, e desiderano vedere presso le loro porte i cosiddetti filosofi umili e disprezzati, per Zeus, come Circe voleva che la sua dimora fosse sorvegliata da leoni codardi e spaventati? Non erano veri leoni quelli che la sorvegliavano, ma uomini miseri e sciocchi, rovinati dalla rilassatezza dei costumi e dalla pigrizia. 35. Se qualcuno vedesse uno dei cosiddetti filosofi scodinzolare umilmente presso i cortili e le porte dei ricchi, si rammenterebbe lecitamente di quei leoni, simili a cani affamati e codardi, che ululano in modo assai acuto, poiché sono corrotti da stregonerie. Ma non saprei come definire questo desiderio. Sono migliaia coloro che volontariamente e con grande impegno corteggiano i ricchi e i potenti; il mondo è pieno di adulatori che fanno ciò con esperienza e arte. 36. Perciò non per mancanza di questo bene lo richiedono a chi è naturalmente dotato, ma il loro comportamento può essere paragonato ciò che fanno uomini eccessivamente dissoluti, i quali, benché vi siano donne in abbondanza, a causa della loro tracotanza e della loro ingiustizia desiderano trasformare uomini in donne, prendono dei fanciulli e li castrano. Onde nasce una razza peggiore e infelice , più debole e femminea delle donne stesse. 37. Ma all’uomo veramente coraggioso e magnanimo ciò non potrebbe accadere né egli potrebbe rinunciare alla propria indipendenza e la propria libertà di parola per 48 qualche onore indegno, potere o ricchezze; egli inoltre non invidierebbe coloro che cambiano parte e mutano le vesti per questi doni, al contrario li considererebbe simili a coloro che vengono trasformati da uomini in serpenti o altre bestie. Egli non li imiterà né li invidierà per la loro mollezza, proverà invece per essi pietà e commiserazione, qualora per si taglino i capelli, anche in tarda età, per ottenere come i bambini, quei doni. 38. Egli per quanto concerne se stesso tenterà di curarsi dignitosamente e con sicurezza, non abbandonerà mai il suo posto, onorerà e incrementerà sempre la virtù e la saggezza, e tenterà di condurre tutti ad esse: alcuni li convincerà ed esorterà, altri li biasimerà e rimprovererà, se potesse allontanare qualcuno dalla stoltezza, dai desideri ignobili, dalla dissolutezza e dalla mollezza. Li prenderà da parte e li ammonirà in gruppo, ogni qual volta ne capiti l’occasione a volte con parole cortesi, altre dure. 39. E farà ciò fino a quando, ritengo, avrà trascorso la sua vita dandosi pensiero degli uomini, non dei buoi né dei cavalli né dei cammelli e delle case, corretto nel parlare, corretto nell’agire, per chiunque mite compagno di viaggio o di navigazione, presagio felice per chi sacrifica. Egli non provoca lotta né avidità né contese né invidie né guadagni infami, invece richiama alla memoria la prudenza e la giustizia e fa crescere la concordia, per quanto è possibile cacciando il desiderio insaziabile e l’impudenza e la debolezza morale, più sacro degli araldi che in tempo di guerra recano le tregue. 40. Egli vuole e desidera, per quanto è nelle sua capacità, essere utile a tutti. Talvolta è sopraffatto da altri uomini e attività; la sua forza è poca o nulla. Infine purifica la sua facoltà di comprendere con la ragione e tenta di renderla libera, combattendo per la propria libertà contro i piaceri e la gloria e tutti gli uomini insieme con i pochi che desiderano aiutarlo assai più di quanto fecero gli Spartani, i quali occuparono le Porte e combatterono contro tutta l’Asia, benché pochi di numero, per tre giorni e tre giorni di seguito, finché furono circondati per il tradimento di un solo uomo, e, rimasti nello stesso luogo furono datti a pezzi: [infatti ritenevano di difendere Sparta priva di mura]. 41. Egli esercita il corpo e lo abitua alla fatica secondo le proprie forze, non si lascia così fiaccare da bagni e oli profumati e unguenti, per non divenire indolente e vizioso, come un vaso di pessima fattura. Alcuni 49 nel vedere ciò affermano che egli esercita il corpo perché stupido e folle, e poiché non si cura della ricchezza e degli onori e non è alla ricerca del piacere continuo, lo disprezzano e lo considerano pazzo e non lo tengono in alcuna considerazione. 42. Egli non tuttavia è con loro in collera né se la prende, ma, ritengo, si comporta con ciascuno più benevolmente del padre e dei fratelli e degli amici. Egli nutre rispetto per i suoi concittadini e gli amici e i parenti, nonostante ciò non dissimula, perché li considera più familiari e indispensabili di quelli, e, per quanto è possibile, tende i discorsi e ammonisce ed esorta se stesso e agli altri con più energia. 43. Il medico, che per necessità deve curare il padre o la madre o i propri figli o anche se stesso perché non è presente alcun altro medico, se si trovasse nella condizione di dover operare o cuaterizzare, non lo farebbe con un bisturi ottuso né con una fiamma tiepida perché ama i figli e onora il padre e la madre, al contrario (con un bisturi) più appuntito e (con una fiamma) più calda possibile. 44. Dicono che Eracle, ad esempio, poiché non poteva guarire il corpo colpito da una terribile malattia, chiamò i suoi figli e ordinò loro di bruciarlo come su un rogo funebre con fuoco vigorosissimo. Poiché i figli esitavano e si voltavano dall’altra parte li insultò definendoli codardi e indegni di lui, simili piuttosto alla loro madre, e disse loro, come afferma il poeta: dove vi volgete, o vili e indegni di essere mia progenie, immagini di vostra madre Etolica. 45. È necessario che l'uomo saggio si rivolga prima a se stesso e ai più cari e prossimi con la più grande franchezza e libertà, senza esitare né essere arrendevole nei discorsi. Difatti , per Zeus, uno spirito corrotto non da unguenti o da bevande né da un qualche veleno usato come unguento, ma dall’ignoranza e dalla malvagità e dall’arroganza e dall’invidia e dal dolore e infiniti desideri, è molto peggiore di un corpo danneggiato e malato. Questa malattia e sofferenza è più difficile da curare di quella che colpisce il corpo e richiede una cauterizzazione più grande e vigorosa. È necessario invitare senza esitazione a tale guarigione e liberazione il padre, il figlio, i parenti, l’estraneo, il concittadino e lo straniero. 50 Commento or. 77: Sull’invidia it. Il titolo è attestato nel codice 209 della Biblioteca del Patriarca Fozio ( ); della nostra tradizione diretta i codici Meermannianus (M, unico a riprodurre la numerazione delle orazioni testimoniataci da Fozio), e il Vaticanus 91 (H) offrono la sola titolazione ; l’Urbinas Gr. 124 (U) e il Parisinus Gr. 2958 (B), entrambi riproducenti la numerazione aretea, danno come titolo ; laddove il Palatinus Gr. 117 (P) lo omette completamente. Von Arnim sostenne che i titoli delle orazioni non siano da ascrivere a Dione, bensì a un redattore successivo, (1898) 204-205. § 1 ... lo scritto si apre con un breve exordium contenente l’encomio del poeta Esiodo e della sua produzione poetica. Vengono menzionati gli elementi distintivi della tradizione esiodea: la sua attività come poeta e come esecutore delle sue opere; l’incontro con le Muse presso l’Elicona e l’investitura poetica. Sono elementi austoschediastici, cioè rintracciabili nella Teogonia (su ciò si rimanda Kambylis (1965) 31-68)). Particolare attenzione riceve la saggezza del poeta e delle sue opere (al rigo 25 p. 206 von Arnim egli stesso è detto produzione è definita ; al rigo 2 p. 207 von Arnim l’intera sua ); essa non deriva da una superiorità di Esiodo o da una tecnica appresa da altri aedi, ma è frutto dell’insegnamente e dell’ispirazione divina. Licino, nello scritto lucianeo Dialogo con Esiodo, rivolge al poeta epico parole elogiative simili , , - - , § 1. Merita di essere notato che il reale intento di Licino non è elogiare il poeta, ma (e ciò si chiarirà nel corso del breve scritto) di criticarlo. Tale exordium, ingannevolmente encomiastico, pare riallacciarsi alla tradizione della eironeia socratica: si veda il prologo dello Ione platonico (per una definizione dell’ironia, perticolarmente nei dialoghi platonici, si rimanda a Boder (1973); Rutherford 51 (1995) 77-78). Una chiave di lettura di questo passo potrebbe essere rappresentata dal desiderio di Dione di richiamarsi a questa tradizione dialogica di impronta socratica. Ma un approccio differente potrebbe nascere dalla disamina dei progymnasmata: secondo la precettistica dei manuali di retorica relativi ai progymnasmata sulla chreia e sulla l’esercizio doveva iniziare propriamente con un breve encomio del citato, , Herm. Prog. II 6, 19-20 Spengel; , , Nicol. Prog. III 463, 7-9. Valga un esempio per tutti tratto da un progymnasma sulla di Nicolao Sofista, dedicato al verso 208 delle Opere e giorni di Esiodo: , , , , , , , Walz I 281, 3-7. §1 l’exordium è ex abrupto: il lettore è proiettato nel dialogo fra Dione ed il suo anonimo interlocutore senza alcuna prolusione, dalla quale egli possa trarre indicazioni sul luogo preciso e l’occasione del dialogo stesso. Diversamente avviene in altre scritti ben più impegnativi del corpus dioneo quali il Boristenico, l’Euboico e in diversi dialoghi platonici e senofontei (Simposio, Fedro, Ione, Simposio), letture canoniche e modelli incontestati dell’educazione sia filosofica che retorica di ogni pepaideumenos (Trapp (1990) 141-173 e (2000) 213-239). Queste prime parole di Dione suscitano il dubbio che una prima parte della conversazione, nella quale si è discusso diffusamente della poesia esiodea, si sia appena conclusa. Del resto questo così vistoso rinvio ad altre argomentazioni potrebbe ingenerare il convincimento che lo stato del testo del dialogo conservatosi sia dovuto ad una mutilazione dell’esordio: che, cioé, nella storia della trasmissione del corpus dioneo sia andata perduta la prima sezione di questa ‘lezione’ filosofica-letteraria. Ma se questo fosse realmente il caso, ci troveremmo dinanzi ad un redattore finale piuttosto maldestro, il quale nel suo frettoloso lavoro di “taglia e cuci” ha trascurato di rimuovere un riferimento (troppo evidende proprio perché al principio dello 52 scritto) alla sezione appena soppressa. Ben più plausibile è l’ipotesi avanzata da Hirzel (1895) II 115: tale exordium scaturirebbe dalla volontà di Dione stesso di riprodurre la spontaneità e l’accidentale dipanarsi dell’insegnamento dialogico improvvisato. A commento dell’inizio del discorso Euboico, che con la nostra orazione condivide tale elemento distintivo Russell sottolinea che “the abrupt beginning may be just a device, a way of plunging in medias res, leaving the reader to infer the purpose of what is said”, (1992) 109. Incipit di tale natura, infatti, non sono inconsueti nel corpus dioneo: all’inizio dell’orazione Sulla pace e sulla guerra leggiamo , 22, 1; vd. inoltre le orr. 23, 25, 56, 60, 67, 70. 1 ... l’immagine della saggezza esiodea ricorre in altre orazioni di Dione: nelle orazioni 7, 110 e 12, 23. Nella sezione dell’Euboico (l’or. 7 appunto) comprendente i §§ 109-122, Dione delinea una netta distinzione fra le attività degne di un uomo integerrimo e quelle che un padre, desideroso di insegnare una professione al proprio figlio, non dovrebbe neppure prendere in considerazione, si tratta di riflessioni di ordine morale e non sociale, e auctoritatis gratia viene menzionato Esiodo, il quale “essendo uomo saggio ( ), non avrebbe mai approvato qualsiasi professione, se avesse ritenuto che alcunché di malvagio e turpe avesse tale nome”, 7, 110 (il riferimento è a Op. 311, vedi a commento del passo dioneo Russell (1992) 141). Nell’Olimpico, dopo la prolalia e all’inizio della propositio Dione domanda al suo pubblico se non debba esordire come fece Esiodo, il quale invocò l’ausilio delle Muse, “e quale poeta più saggio ( ) e migliore di quello che per la sua opera invoca aiuto in questa maniera?”, seguono i primi otto versi del proemio delle Opere, 12, 23-24. In entrambi i casi il richiamo alla saggezza di Esiodo non poggia su una reale e incondizionata fede di Dione nella saggezza del poeta, esso ha una forte valenza logica e psicologica: da un lato rafforza l’argomentazione dionea, dall’altro il retore si giova dell’autorità ed il rispetto del poeta presso i destinatari del discorso. Nell’orazione 77, invece, la lode della saggezza e dell’utilità della poesia esiodea potrebbe rifarsi, come abbiamo visto, alla teoria dell’exordium dei progymnasmata; del resto 53 potrebbe sottintendere un valore ironico di impronta socratica: Esiodo è un poeta saggio, profondo conoscitore della natura umana, l’argomentazione dionea tende, invece, a dimostrare che il verso delle Opere citato, punto di partenza della diatriba, è calzante solo per il cuoco, per il tintore, per il lenone, ma non per il medico, per il timoniere ed in ultima analisi per il saggio, § 14. Questo architettura ‘ironica’ del dialogo, come detto, è tipicamente platonica: nello Ione, ad esempio, Socrate esprime la sua invidia per la posseduta dai rapsodi (530b), ma al termine del dialogo, afferma (questa è la sua ultima asserzione) “ebbene, Ione, da parte nostra ti spetta questa definizione più bella, cioè di essere un interprete di Omero divinamente ispirato, ma di non possedere alcuna ( § 1 )”, 542b. il termine ricorre per la prima volta in Omero, riferito al mestiere dell’artigiano, il quale grazie all’ispirazione della dea Atena è esperto del suo mestiere, Il. 14, 412. La prima attestazione del termine in riferimento alla poesia, che sia databile con una certa sicurezza (l’Inno ad Hermes, in riferimento ai vv. 483 e 511, è tra gli inni omerici il più recente, Radermacher (1931) 232 n. 2) si trova in Solone nell’elegia alle Muse. Il legislatore ateniese afferma che alcuni uomini guadagnano da vivere tramite il lavoro delle proprie mani nelle arti di Atena ed Efesto, “un altro istruito dalle Muse Olimpie, conoscendo la misura della saggezza desiderabile ( )”, 1 D= 13 W. 51-52. Come ha evidenziato Maehler (1963) 67-68, Solone opera per primo una “Bedeutungserweiterurng” del termine dalla sfera pratica a quella spirituale, esso non avrebbe indicato soltanto la capacità meramente tecnica della produzione e dell’esecuzione poetica, ma anche “das rechte Denken” che è dono delle Muse, e ciò costituisce il presupposto per le riflessioni dei successivi poeti lirici. Il poeta e filosofo Senofane di Colofone si pone sulla scia di queste considerazioni: egli proclamò, contrapponendosi all’ideale atletico, la sua arte ( ) superiore alla forza degli uomini e dei cavalli, B2 11-12 (per una accurata discussione della complessa storia interpretativa di questo passo si veda Untersteiner (1956) 113-114 e Gladigow (1965) 32-38). A questa orgogliosa dichiarazione di superiorità spirituale del poeta si riallaccia il 54 più aristocratico fra i poeti lirici, Pindaro, “der Schlüssel zu Pindars Dichtertum, zu seinem Selbstverständnis als Rapräsentant hoher aristokratischer Gesinnung ist der Begriff der , Gladigow (1965) 39. Al termine della prima Olimpica Pindaro si augura di accompagnarsi sempre con i vincitori e di essere superiore per sapienza ( ) a tutti i Greci (vv.115-116), e nella seconda Olimpica, in un celebre passo, sostiene che il saggio conosce ogni cosa per natura, v 86; cf. inoltre O. 1, 9; 14, 7; P. I 12; 4, 248, e in generale Maehler (1963) 81-101. Nelle Rane di Aristofane il servo di Plutone racconta a Xantia, il servo di Dioniso, come negli Inferi vi sia la tradizione di assegnare un trono a fianco di Plutone stesso a colui che nel suo ambito artistico si sia dimostrato il migliore, finché non giunga chi conosca l’arte meglio di lui ( cosiddetto , v. 766). Al termine del (l’espressione è di Radermacher (1921) 29) fra i due tragediografi Eschilo ed Euripide, Dioniso, incerto su chi riportare in vita, dichiara “uno lo giudico saggio ( ), l’altro mi piace”, v. 1413. Nella prima attestazione viene sottolineata la perizia, quasi artigianale, del poeta di avvalersi degli elementi tecnici della sua arte, nella seconda Dioniso dà importanza invece all’aspetto paideutico delle opere di Eschilo, che potranno ridare salvezza alla città e al teatro. La presunzione di del poeta implica una evidente pretesa di autorità, che non è assolutamente sfuggita alla critica di Platone. Nel Fedro platonico, Socrate ribatte che se egli dovesse assentire al giudizio del suo interlocutore, Fedro appunto, sulla validità del discorso erotico di Lisia, gli scrittori antichi e saggi ( ) lo avrebbero certamente confutato (235b), e poco dopo definisce saggio ( ) il poeta Anacreonte (235c), similmente a quanto dice di Simonide nella Repubblica 331e. Se da un lato è vero che, come ha sottolineato De Vries (1969) 74-75, l’aggettivo è in Platone una designazione convenzionale sia per i poeti che per i sofisti, esso, però, in un contesto generale, sottintende una forte carica ironica: Socrate nella sua difesa afferma che i poeti compongono per ispirazione divina e non per sapienza ( ), senza che essi possano spiegare alcunché di ciò che essi dicono, a tal punto da rivelarsi più ignoranti degli altri su quelle tematiche che essi affrontano nelle loro composizioni poetiche, Ap. 22a-b. Nel dialogo Ione, consacrato al tema dell’ispirazione poetica e della definizione della natura della sapienza del poeta (Murray (1996) 8), Socrate 55 sostiene che i poeti non per il possesso di una posseduti da una forza divina ( compongono poemi così belli, ma ), 534c; su ciò vedi Velardi (1989) 16 n. 8 e 46-48. In Dione la saggezza del poeta è oramai diventato un topos, i componimenti poetici vengono citati nella maggioranza dei casi per dare all’argomentazione la forza della sua autorità: accade così, ad esempio, nell’Olimpico, il retore si chiede se non debba iniziare il suo discorso come fece Esiodo, il quale invitò le Muse a narrare di Zeus, loro padre, “e quale poeta è più saggio e migliore ( ) di quello che domanda che lo si aiuti nella sua opera in questa maniera?”, e vengono citati i primi otto versi del proemio delle Opere, 12, 23. Sempre nello stesso discorso è Fidia che si rivolge ad Omero e lo chiama “il più sapiente fra i poeti ( )”, 12, 73. Nell’Euboico, Dione opera una distinzione fra i mestieri accettabili o no per la classe meno abbiente, esclusivamente in base agli effetti che essi hanno sul corpo e sull’anima, poiché non vi è nulla di vergognoso in una occupazione onesta, “Esiodo, che era saggio ( ), non avrebbe lodato ogni lavoro se vi fosse stato alcunché di malvagio e turpe che avesse questo nome”, 7, 110. Ci troviamo dinanzi a citazioni ed allusioni o, talvolta soltanto riferimenti, autoritativi, i quali, grazie al credito intellettuale e morale goduto dal poeta, rafforzano il pensiero dell’oratore e danno peso al concetto da lui espresso. Per un uso simile in autori contemporanei di Dione, si veda Plu Moralia. 1b e 10a (entrambi su Euripide). Diverso è invece il caso del Troiano, nel quale Dione rimprovera ai cittadini di Ilio di riporre eccessiva fiducia nel poeta dell’Iliade e di considerarlo uomo divino e saggio, sebbene sia evidente che mentì spudoratamente sui fatti di Troia, 11, 4. Non si deve però dimenticare che nella scuola retorica, cui Dione non è estraneo, l’ del citato (ad es. , come nello specifico della 77) precede la chreia: Ermogene, Progymnasmata 6, 19-24 Spengel. Sul concetto generale di si veda Snell (1924), oltre al già citato Gladigow (1965). § 1 … la saggezza, la bellezza, la musicalità dei versi di Esiodo non derivano da una techn , da una sua sapienza umana, ma da un insegnamento divino, impartito dalle Muse stesse. Essa è anzitutto un elemento 56 peculiare della tradizione esiodea e non poteva certamente essere ignorata in un encomio del poeta, come suffragano le parole introduttive, già citate, di Nicolao Sofista , , , , , , , Walz I 281, 3-7. L’allusione, però, in un certo qual modo provocatoria, potrebbe essere, come è stato già accennato, allo Ione di Platone, dialogo nel quale Socrate si premura di dimostrare che l’aedo per l’ispirazione divina è capace di interpretare i poeti e non per il possesso di una , esattamente come i poeti posseduti dal dio creano i loro componimenti; il filosofo ateniese mina alla base ogni pretesa autorità del poeta Qui Dione accenna, brevemente ed ambiguamente, anche al tema dell’ispirazione divina in quanto presupposto della creazione poetica, e della dipendenza del poeta dall’intervento della divinità: ogni cosa che si presenta alla mente di Esiodo viene espressa musicalmente e con saggezza. Dione si sofferma sul concetto sulla genesi divina della sapienza dei poeti in un passo del Boristenico. Utilizzando una terminologia di chiara matrice misterica (Kindstrand (1973) 117), il Prusense sostiene che i poeti “non sono completamente iniziati secondo il culto e la consuetudine degli iniziati e non sanno nulla di certo sulla verità”, esso vengono paragonati ai servitori dei riti che stanno fuori dei templi senza che possano entrarvi e che di tanto in tanto odono una parola e vedono un bagliore, , , ... , 36, 32-35; per una commento d’insieme del passo si veda Luzzatto (1983) 73-74. La posizione dionea appare tutt’altro che coerente: nella Sull’invidia il poeta, Esiodo, viene istruito direttamente dalla divinità, tutto ciò che egli compone e canta di conseguenza possiede le virtù della saggezza e dell’utilità; dall’altra egli non ha una piena visione della verità, egli ne percepisce dei deboli bagliori, consegue che una qualsiasi ricostruzione della “Bedeutung der Inspiration bei Dion”, come tenta invece Kindstrand (1973) 115-119, risulti piuttosto parziale. 57 è certamente degno di nota che Dione accenni § 1 all’attività di Esiodo sia come poeta che come esecutore, ma lo stesso poeta di Ascra ne fa riferimento: egli si recò a Calcide per prendere parte alle gare indette in onore di Anfidamante, ove egli avrebbe conseguito il primo premio con l’esecuzione di un inno, Op. 650-660. Si è voluto identificare questo “poema” con la Teogonia, (1958) 8 e West (1966) 44-45. Il Certamen Hesiodi et Homeri, di epoca tarda offre però una versione alternativa: i due poeti, su invito del re Panide, dovettero cantare il meglio della propria produzione, 177-179; ed è possibile che Dione non si riferisca ad una recitazione della Teogonia, ma segua la versione che ritroviamo nel Certamen, che egli dimostra di conoscere per la citazione dei vv. 213-214 in 2, 11, (sulla conoscenza dionea del Certamen si rimanda a Heldmann (1982) 37-45). figura etymologica. L’espressione ricorre simile nell’Or. 2, 4 §1 … . Cf. inoltre Hdt. 3, 135; Pl. Phd. 60d, 61b; Aeschin. 1, 74; Lucianus Salt. 74. §1 ... richiamo a Hes. Theog. 22-34, per il cui commento si rimanda a Latte (1946) 152-163; Kambylis (1965); West (1966) 158-167. Dione fa riferimento a questi versi dell’opera esiodea anche nella Su Omero e Socrate, “egli (sc. Esido) afferma infatti che mentre pascolava il gregge sull’Elicona ricevette in dono dalle Muse la poesia in un ramo di alloro ( ), 55, 1. Anche Licino nel Dialogo con Esiodo di Luciano, afferma, rivolgendosi ad Esiodo in persona, che egli ricevette dalle Muse il dono di essere un ottimo poeta insieme con l’alloro, § 1; Plu Moralia 105d; Max. Tyr. 32, 8; Lib. Ep. 1540, 25; Id. Prog. 10, 5, 21, 3. Non dobbiamo tuttavia ritenere, come Kambylis (1965) 61 n. 123 e Kinstrand (1973) 119, che Dione creda realmente a Esiodo: esso è, difatti, un elemento esclusivamente retorico e dal punto di vista argomentativo parte di quella eventuale sottile ironia che permea il dialogo, tesa nell’iniziale esaltazione della saggezza divina di Esiodo ad accentuarne la sua parziale caduta e confutazione. Nella tarda antichità l’epifania delle Muse è stata interpretata 58 spesso in senso allegorico: Frontone, secondo la testimonianza di Marco Aurelio hinc Hesiodum pastorem, quem dormientem poetam ais factum, Ep. 1, 4, 7. Decisamente originale mi pare la lettura di Dione: egli accoglie la descrizione esiodea di questa manifestazione divina, ma interpreta il dono della poesia nel simbolo del ramo di alloro come un’allegoria dell’insegnamento personale e continuato da parte delle dee. In maniera analoga il filosofo Diogene spiega ad Alessandro che l’espressione omerica (Od. 19, 178-179) riferita a Minosse deve essere interpretata quale “associato di Zeus” e di conseguenza suo allievo, or. 4, 39-40 (cf. inoltre le orr. 1, 37-38; 53, 11 ed il dialogo pseudoplatonico Minosse 319 b-e): la comunione fra divinità e uomo si risolve in un rapporto tra maestro e discepolo. § 1 Hes. Op. 25. Aristide Colonna traduce questo ... verso erroneamente: “ed il vasaio gareggia col vasaio, e l’artigiano con l’artigiano”, (1977); interpretazione condivisa da Broecker (1954) 135, il quale scrive v. 25 et v. 26 ad bonam Erin pertinent apud Hesiodum. Tale esegesi è errata, e ciò è testimoniato da un lato dagli scrittori ai quali Broecker stesso fa riferimento, fra cui Dione, essi citano il verso in esame dando al verbo il significato negativo di “invidiare, provare gelosia”, dall’altra dallo scolio ai vv. 25-26, secondo il quale i due verbi ( riferiscono alla cattiva contesa; “ and e ) si are not in the spirit of the good Eris, but the idea of rivalry makes the lines enough for Esiod”, ha sottolineato West (1978) 147. I versi 25-26 ( ) erano diventati nell’antichità proverbiali e per ciò vennero citati frequentemente, Lewy (1899) 85. Merita di essere presa in considerazione l’attestazione platonica, ove Socrate dichiara di aver udito qualcuno dire che il simile è ostile al simile e gli uomini buoni agli uomini buoni, , , vengono allora citati, in maniera errata, i vv. 25-26, Ly. 215c. Plutarco cita nello scritto La tranquillità dell’animo lo stesso verso delle Opere col fine di condannare il sentimento umano dell’invidia (473a), ed ugualmente nel Come trarre profitto dai propri nemici afferma che esattamente come il vasaio non deve invidiare il vasaio, allo stesso modo non deve sussistere alcuna gelosia verso vicini, parenti o fratelli, 59 92a. Sulla fortuna di questa si veda inoltre Arist. EE. 1235a18, Pol. 1312b5, Rh. 1381b16, 1388a17; Tert. Ad nat. I, 20 sic figulus figulo, faber fabro invidet. La citazione della oggetto del progymnasma non è parte dello schema pervenutoci nei manuali, essa veniva infatti tendenzialmente parafrasata; tali compendi non devono essere considerati “as sets if rigid ‘rules’ or definitions of fixed types of discourses, but as the archeological remains of a broader educational process”, Webb (2001) 290, cf. inolte Malcolm (1995) 14. Se la teoria appare, direi, quasi sclerotizzata, la prassi doveva essere assai più libera Ciò è difatti documentato da Libanio, il quale nel primo progymnasma della sua raccolta, dedicato alla gnome cita al § 2 il verso omerico in oggetto (Il. 2, 5) pressoché testualmente, e lo parafrasa subito dopo, 8, 107. Il caso dioneo non è quindi una anomalia. §2 l’interlocutore di Dione fa riferimento ai poemi esiodei più noti: da un lato la sua opera didascalica le Opere e giorni, il cui tema è la vita quotidiana degli uomini; dall’altro la Teogonia, che ha invece come argomento centrale l’origine e le genealogie degli dei. La capacità dei poeti di sondare la vera profondità dell’animo umano viene sottolineata da Dione anche in altri passi della sua opera: nella Criseide, il Prusense loda la sua anonima interlocutrice perché ammira Omero non come gli altri irretita dalla fama di Omero, ella ne è una vera interprete poiché comprende quale sia la più grande dote del poeta: cioé la conoscenza dei sentimenti umani, 61, 1. Sull’affidabilità dei poeti in ambito “teologico”, Dione pare non voler prendere posizione: nell’or. 53, Su Omero, viene menzionata la concezione platonica della conoscenza del poeta della natura umana e divina, che si dimostra essere completamente opposta ”Platone lo (sc. Omero) biasima spesso per i miti sugli dei”, § 2. Socrate nella progettazione della sua città ideale, pone l’istruzione musicale al principio dell’educazione dei guardiani dello stato, e illustra la necessità di impedire che i fanciulli imparino ciò che è contrario ai principi secondo i quali devono essere allevati: le favole “piccole e grandi”, ossia quelle raccontate dalle madri e dalle balie, e quelle cantate da Omero, da Esiodo e dagli altri poeti, soprattutto se la menzogna è insidiosa, come “quando qualcuno immagina malamente di esporre in discorso la vera natura degli dei”, R. 377e, Socrate passa quindi in 60 rassegna gli errori della rappresentazione degli dei e degli eroi nell’Iliade, R. 378c-385c e 390e-392a. Dione soggiunge però che non gli pare cosa semplice da dirimere se avesse, cioé, ragione Omero o Platone , , , , , 53, 3, si rimanda a Valgimigli (1915) 11-14; Kindstrand (1973) 113. §2 “più attico sarebbe ”, Verrengia (2000) 117, esso è peculiare degli atticisti, come aveva precedentemente osservato Barigazzi (1966) 40; Dione adopera spesso questa espressione, ad esempio orr. 2, 1; 4, 93; 6, 18; 7, 1; 11, 1, 13, 26. i manoscritti hanno il presente § 2 , mentre la forma al congiuntivo è correzione presente nel manoscritto U, confermata delle attestazioni in Pl. R. 521c 1, 1 ’ , , e X. Mem. 2, ; Ar. Ra. 420-421 / ; Libanio nel primo progymnasma sulle sententiae scrive , 1, 6, 5. Emperius, che non aveva collazionato U, nota in apparato “ sic dedi. Idem voluit Pfluck”. §2 ... alla domanda se la folla adunatasi sia capace di sopportare la loro conversazione Dione, in una climax, chiede prima se non siano interessati ad ascoltare cose sagge, quindi se considerino Esiodo indegno di attenzione ed infine se il tema dell’invidia non sia utile. Solo dopo aver preso atto della ricettività dell’uditorio inizia la “discussione filosofica” con la definizione dell’ invidia. §2 “Zusammenstellung verschiedener Flexionsformen desselben Wortes”, Schmid (1887) I 171. 61 nella seconda orazione Sulla regalità ciò che Filippo di Macedonia § 2 domanda al giovane Alessandro , , , , ; 2, 8. probabilmente dittologia sinonimica, per questa figura §2 retorica tutt’altro che rara negli scritti dionei si rimanda a Wenkebach (1908) 98-100; cf. ad esempio 53, 6 ; vedi inoltre 31, 40, 99; 44, 8; 61, 13, 15. Il nesso e non è attestato prima del I sec. a. C.: cf. Plu Pel. 4, 34, Arat. 54, 7, Moralia 78 e, 96 b, 468b, 484 c, 485 e, 486 b; Epict. 3, 22, 61; Porph. Abst. 3, 22, 22 §3 Dione parafrasa la citazione esiodea e stabilisce il ... tema della conversazione: la gelosia cui il poeta si riferisce è l’invidia che nasce dalla rivalità economica fra artigiani che praticano il medesimo mestiere. La parafrasi della sententia è nello schema standardizzato dei progymnasmata sulla chreia e sulla un elemento fondamentale, essa seguiva l’encomio del citato , , Herm. Prog. II 6, 19-21 Spengel; , , , ., Aphth. Prog. II 23, 13-15 Spengel: cf. inoltre Nicolao Sofista III 462, 11-12 Spengel. § 3 la particella (Denniston (19542) 216) e dopo l’imperativo è collocata generalmente dopo il verbo viene utilizzata prevalentemente per introdurre un’interrogativa (Radicke (1995) 141); contrariamente all’uso platonico (cf. Bailly (2004) 151) in Dione non indica il cambio di battuta fra un intelocutore e l’altro, con l'unica eccezione dell'or. 77, 6. cf. Isocrate § 3 , ntidosi 245. 62 §3 inizia la sezione, sino al § 5, katacheuastica dell’orazione, nella quale Dione tenta di suffragare la bontà della massima esiodea. Tale sezione si articola in tre brevi e intelligenti § 3 ispirate alla vita quotidiana: il macellaio; il tintore; il lenone. il termine indica, in generale, il macellatore e l’addetto alla preparazione delle carni. In principio la mansione del rientrava fra i doveri cultuali: sacrificare la vittima e preparare il banchetto. Il termine passò ad indicare, quindi, anche il macellaio ed il cuoco (sull’evoluzione semantica del termine si vedano Dohm (1964) 1-10 e Berthiaume (1982) 5-14). L’accezione di cuoco è certamente quella più attestata, ad esempio, presso i commediografi (vd. Giannini (1960) 135-216, Dohm (1964), Nesselrath (1990) 297-309), o Dione stesso. Decisamente interessante è la suddivisione proposta da Berthiaume ((1982) 44-70), che dedica a ciascuna un capitolo del suo saggio, fra come “boucher” e come “vendeur de viande”. In questo passo dell’orazione Sull’invidia Dione non si riferisce certamente al cuoco ma al macellaio, che vende la propria merce nell’agorà, e che, trovandosi solo a praticare tale mestiere, può senza difficoltà rifilare carne di qualità scadente; su ciò è interessante la testimonianza di Artemidoro, il quale attesta la presenza di che nella piazza macellano e vendono la carne, 3, 56. In Aristofane la figura del cuoco viene più volte menzionata (Ach. 1015, Eq. 216, 376, 418; Pax 1017; R 517), eppure “die Kochrolle ist (...) meistens “episodisch”, d.h. der Koch tritt in Szenen auf, die mit der Handlung der Komödie nur sehr locker verbunden sind und die sich leicht harauslösen ließen, ohne daß die Handlung des Stücks dadurch eine wesentliche Einbuße erführe”, Dohm (1964) 30-31. È con la mese che il cuoco ad assurgere a figura più rilevante nell’economia della commedia, per poi con la nea passare nuovamente in secondo piano e essere caratterizzato come fanfarone, e ladro; Cicerone nel De officis scrive minimeque artes eae probabdae, quae ministrae sunt voluptarum “cetarii, lanii, coqui, fartores, piscatores” ut ait Terentius, 1, 42, 150. Ma già Teofrasto nei Caratteri a proposito del dissennato aveva espresso un duro giudizio di condanna , , , , 6, 5. Nell'or. 20, 9 63 Dione eredita quindi nell’immagine del cuoco una figura negativa, connotata da spacconeria, scaltrezza e disonestà, e questa negatività non poteva passare inosservato ai suoi ascoltatori/lettori. Sulla figura del vedi inoltre Rankin (1907); Latte (1928) 393-395. §3 “giebt durch sein häufiges Vorkommen (...) der Rede ein eigenes Ethos, indem es eine gewisse Eindringlichkeit der Vorstellung bezweckt; es ist bekanntlich auch dem Plato sehr beliebt, ebenso dem Xenophon“, Schmid (1887) I 131. nel significato di “magro, scarno”. In ambito medico la carne magra veniva §3 particolarmente sconsigliata per un adeguato regime alimentare ... , Orib. 2, 69, 3. Troviamo l’aggettivo in riferimento alla carne presso Senofonte: Ciro afferma di disprezzare la selvaggina cacciata nei parchi, per la mancanza di spazio e perché essa è “magra e rognosa ( )”, Cyr. 1, 4, 11. In Dione non troviamo alcun altro accenno. §3 indica la bestia da macello (cf. Hp. Aff. 52) e la vittima sacrificale, che poteva essere venduta dal macellaio in piazza: nei Cavalieri di Aristofane Paflagone minaccia il Salsicciaio di denunciarlo ai pritani per non aver pagato la decima, “le trippe dovute agli dei” (vv. 300-302) e lo scoliasta spiega che era costume che i macellai ( pritani la decima parte delle bestie sacrificate ( ) dessero ai ), che poi venivano vendute al mercato. Ciò accadeva ancora nel I sec. d. C. come testimonia San Paolo nella prima pistola ai Corinzi, ove esorta i fedeli a non mangiare la carne che sia stata sacrificata agli dei ( ), 10, 28. Sulla pratica della vendita delle carni sacrificate e per una esegesi sia del passo aristofaneo che di quello paolino si rimanda a Berthiaume (1982) 62-65, 68-69. cf. Orib. 2, 68, 9 §3 . 64 § 4 la similitudine col tintore richiama, sul piano esclusivamente ... lessicale, un brano della Repubblica di Platone, 429d-e; ciò è dimostrato dal fatto che Dione utilizza tre termini che ricorrono nella pagina platonica: ’ ... , . In Platone l’elaborato procedimento (scelta del colore bianco, preparazione della lana) con il quale i tintori rendono la lana purpurea di un colore che non stinga, è similitudine dell’educazione che deve essere impartita ai futuri soldati affinché ricevano nel miglior modo le leggi, così che la loro opinione su ciò che è temibile diventi indelebile; in questa orazione il tintore e l’ipotetica libertà, nell’assenza di altri tintori, di vendere mercanzia scadente costituiscono per Dione invece un semplice paradigma della disonestà e della cupidigia umana. Nella letteratura greca la figura del tintore è quasi assente, certamente gustosa è l’attestazione in Difilo: ’ , fr. 73 K.-A.. Nell’Euboico Dione esprime un parere negativo nei confronti delle attività atte ad adornare sia le persone che gli edifici, fra cui la professione del tintore, del profumiere, del parrucchiere, non dovrebbero essere ammesse in alcuna città, 7, 117 (vedi Russel (1992) 144-145); nell’Olimpico al tintore che mescola le tinte è paragonato Omero che compose i suoi poemi mescolando i dialetti greci, 12, 66. Sull’influenza platonica in Dione si rimanda a Rahn (1944), Trapp (1990) 141-173, e (2000) 213-239. Per la professione del tintore e relativa terminologia nell’antichità si veda Blümner (1912) I 225-233. Dione vi fa riferimento in altre due orazioni: nell’Olimpico nel passo già citato e nel secondo Tarsico, ove viene difesa la dignità anche dei lavori più umili, per qual cosa non è opportuno riprendere qualcuno perché tintore o conciapelli o carpentiere, 34, 14. 65 l’indicazione al mestiere del tintore con l’aggettivo § 4 ... sostantivato ricorre solo nuovamente nel corpus dioneo al § 14. Cf. inoltre Plu Moralia 228 b. il termine indica la competizione fra persone della stessa categoria § 4 lavorativa o artistica. Cf. Pl. R. 493a: i politici definiscono gli insegnati privati sofisti e li riconsiderano rivali; Id. Phd. 60d, Lg. 817b; Ar. Ra. 816 (ove Euripide è l’ di Eschilo); D.H. 3, 72; Plu Moralia 369d, 661e. In Dione è attestato soltanto nell’Olimpico, ove il retore sostiene che i gli scultori, i pittori e gli intagliatori forgiarono le loro raffigurazioni del divino seguendo i miti già composti dai poeti o la propria immaginazione , 12, 46. si tratta di un in Dione, indica i colori che venivano utilizzati per la § 4 tintura dei tessuti. Cf. Ar. Ach. 112, Pax 1174; Pl. Lg. 956 a; Plu Moralia 54e. § la 4 costruzione di coll’infinito corrisponderebbe secondo lo Stephanus s.v. al verbo latino “soleo”, mentre il LSJ s.v. traduce “to be fond of doing, wont to do, like”, si potrebbe invece tradurre con “accontentarsi”. Questo uso è attestato già in Isocarte (18, 50) e Demostene (55, 19), dove però Rennie, contro tutti i testimoni, ha emendato l’infinito in participio. Probabilmente si tratta di un uso non corretto che si è affermato con la koiné, troviamo infatti attestazioni in autori quali Aristotele Oec. 1348a29; e nella LXX Ps. 33, 13, Ho. 12, 7. In Dione si hanno solo altre due attestazioni: rivolgendosi agli Apamei afferma , 41, 3; nella 61 sostiene invece che Criseide § 4 infatti termine , § 8. in Dione, “aus Platos Gebrauch”, Schmid (1887) I 141. Platone scrive , , R. 429e. Il indicava in realtà il tintore, ciò nonostante in riferimento alle tinte, 66 come in questo passo dioneo, “die Farben dauerhaft und waschecht”, Blümner (1912) 230; vedi inoltre Ruhnken (1789) 75-78. §4 termine utilizzato per qualsiasi tipo di porpora, Blümner (1912) 234 n. 2; LSJ s.v. “always in sense sea-purple, i.e. genuine purple dye, opp. imitation”. Eraclide Pontico nel suo scritto Sul piacere asserisce che ad Atene, nel momento del suo più grande splendore, gli uomini erano soliti indossare abiti tinti di porpora ( ) quale segno di distinzione, Ath. 12, 512 b-c, vedi Gottschalk (1980) 90. Sin da Senofane tali raffinatezze venivano associate in maniera critica al fasto orientale: i Colofoni, sviati dai Lidi verso inutili mollezze, si recavano alle riunioni indossando con superbia vesti interamente purpuree ( ’ ) fr. 3, 3 (per il commento di questo frammento e per ulteriori riferimenti alla modo orientale del vestiario color porpora si rimanda a Bowra (1941) 119-126). Agamennone, nell’omonima tragedia eschilea, si agugura di non venir colpito dall’invidia degli dei mentre cammina su abiti color porpora ( ’ ’ ), 946-947; cf anche Ar. Eq. 967 (a commento Sommerstein (1981) 195). Che questa sfoggio di ricchezza fosse messo alla berlina e fosse oggetto di riso è indicato da un frammento del comico Anassandride dalla commedia Protesilao, nel quale si fa beffe della vanagloria di Ificrate, “si dice che fosse un dissoluto, che stendesse tappeti color porpora sino al nord”, fr. 42, 4-7 (cf. Plu Moralia 527b). Nei Dialoghi delle cortigiane di Luciano gli abiti color porpora sono associati allo stile di vita dissoluto e lussuoso delle meretrici, 80, 6, 2. In Dione compare sempre in un contesto decisamente negativo: nella prima orazione Sulla regalità nella riproposizione del racconto allegorico di Eracle al bivio, la veste della Tirannide viene così descritta “varia, una parte color porpora, un’altra invece rosso cupo, un’altra ancora zafferano”, 1, 81, è da sottolineare che questi colori hanno una valenza morale: lo zafferano era il colore delle donne e degli uomini effeminati. Sardanapalo, inoltre, era solito ritrarsi nelle stanze delle donne e sedersi su un divano d’oro coperto di cuscini color porpora, 62, 6, cf. inoltre 7, 82 e 80, 13. 67 il tenutario di postribolo è personaggio tipico della commedia, di § 4 origine siciliana e magnogreca secondo Crusius (1892) 50); Nesselrath (1990) 324 pensa invece ad una “Erfindung” della mese, cf. Webster (1970) 64 n. 2. Nella commedia antica è figura decisamente marginale e viene raramente menzionata: Ar. Pax 848, Myrtil. fr. 5. È invece con la commedia di mezzo che assurge a figura di rilevo nell’economia della trama, importanza che continua con la nea: sono attestate diverse commedie col titolo , ad esempio: Eub. frr.87, 88 e Anaxil; Posidipp. frr. 23 e 24. Il lenone è caratterizzato per la sua avidità e per la sua bramosia di denaro, nella commedia “like the soldier, the leno with his greed stands in the way of the triumph of young love”, Hunter (1985) 71. Alla commedia si riallaccia Eronda, che alla figura del lenone dedica il suo secondo mimiambo “dans le mime d’Hérodas il montre le traits caractéristiques à son métier: avidité, impertinence, brutalité, ruse”, Groeneboom (1922; 1973 rist.) 68. Un giudizio più preciso è sulla figura del lenone possiamo verificare non tanto negli insufficienti frammenti della commedia greca pervenutici, quanto nelle commedie romane, in particolare di Plauto e di Terenzio: ubicumque a Plauto leno describitur, praecipue conspiciuntur eius personae avaritia ac pecuniae cupiditas, Stotz (1920) 20, alla cui dissertazione si rimanda per uno studio più particolareggiato della figura del lenone nella commedia. Valutazione di carattere morale assolutamente negativa viene espressa in ambito filosofico da Aristotele nell’Etica Nicomachea 1121b: vi sono persone che per l’amore del denaro non si astengono dal dedicarsi ad impieghi degradanti , . I pochissimi riferimenti nel corpus dioneo all’attività di lenone esprimono una recisa e costante condanna: nella quarta Sulla regalità Dione paragona lo spirito dell’avarizia ad un uomo insignificante, che non sorride mai e combatte sempre, simile ad un ignobile e misero lenone ( , § 96), ed afferma che molti di coloro che sembrano re non sono in realtà che commercianti, gabellieri e lenoni (§ 98). Nell’Euboico Dione si scaglia veementemente contro la prostituzione e la dissolutezza con argomentazioni che sono state accostate alle dottrine di Musonio (Russell (1992) 150), 7, 133-138 (cf. inoltre Halperin (1990) 34; Houser 68 (2002) 327-353; Hubbard (2003) 448). Da questi pochi riferimenti si può notare che sia in generale nell’immaginario letterario greco che nella produzione dionea, il lenone è caratterizzato da avarizia e spregiuducatezza, qualità che ben si adattano all’argomentazione dionea: solo personaggi negativi potrebbero desiderare di non avere concorrenti nelle loro immorali attività. Sulla prostituzione nell’antichità, in particolar modo nel mondo romano, si rinvia a McGinn (1998) e (2004); Stumpp (2001). il termine è un hapax in Dione, mentre l’intera espressione è un §4 hapax assoluto nella letteratura greca. Viene utilizzato nel significato di “ricavo, profitto” ; cf. in riferimento alle prostitute Artemidoro 1, 78, 32; Dione Cassio 79, 13. §4 col significato di “avere una cattiva reputazione”, corrispondente al latino male audire; cf. Platone , Hp. Ma. 304e; Isocrate § 4 , , ’ ’ , Antidosi 303. Il termine significa in generale “animale, creatura” (vedi LSJ s.v. 2 e 3), probabilmente Dione allude all’etimologia del nome , “qui homo ” (Stotz (1920) 2), egli difatti subito dopo utilizza il verbo , che indica sia “allevare” (cf. Hom. Il. 22, 69; Ar. Av. 1084) che “proteggere”, in riferimento alla prostituzione (cf. Antiph. fr. 2; Diph. fr. 87). Nella De verna inscr. Delphica ap. Boeckh vol. 1 p.833, inoltre, leggiamo al rigo 14 di un [ ] [ ] : lo Stephanus s. mette il passo in connessione con i lenoni, in nota all’edizione dell’iscrizione il termine è spiegato come . compare nella Sulla sua attrazione per i discorsi, ove il pubblico con il quale Dione si accompagna durante le esibizioni dei sofisti è definito , 19, 3. Secondo Schmid (1887) 142 “aus der tragischen Sprache von Plato übernommen”, esso compare infatti frequentemente in Platone: R. 493a, 569b, 589b; Lg. 639a, 777c, 790d; Phdr. 230d; 240b; nei tragici il termine è meno presente: A. Pers. 33, 309; Th. 182; S. OT 1143; Tr. 574, 1093, 1099; E. El. 622; IA 598. 69 § 4 si tratta del termine tecnico con il quale veniva indicata l’anfizionia pilaico-delfica, che aveva luogo ogni anno in primavera ed in autunno, presso il santuario di Demetra in Antea alle Termopili e a Delfi. Il nome le derivava dalle Pylai, meglio note come Termopili, Johannsen (2001) 613 e bibliografia. Dopo un periodo di seria decadenza il santuario conobbe un nuovo fase di splendore sotto il governo dei Flavi. Durante il principato di Traiano il sobborgo di Pila è interessanto da un’intensa attività di riordino urbanistico, che ci è testimoniato fra l’altro da Plutarco: “a quel modo che alberi fiorenti germogliano, così Delfi ringiovanisce e della sua stessa linfa si nutre Pila, che attraverso le risorse delfiche, acquista sempre più figura e forma, e s’abbellisce di templi e di sale di consiglio e fontane, in un progresso di cui non s’era avuta idea da un millennio”, Moralia. 409a. Nell’orazione Sull’invidia, Dione fa riferimento ad altre panegyreis, da ciò si intende che egli allude esclusivamente all’aspetto commerciale, e non politico, della festa: la presenza di molti visitatori, infatti, richiamava gran numero di mercanti, e quindi anche di lenoni con il loro seguito di prostitute. Questo è l’unico riferimento a Pylaia nel corpus dioneo. § 4 il termine indica qualsiasi raduno frequentato da una folla numerosa; l’elemento religioso, in una prima fase secondario, diviene la componente fondante e caratterizzante della festività. Con esso si faceva riferimento in modo particolare alle quattro feste principali dei Greci: l’olimpica, la pitica, l’istmica e la nemea. Accanto all’aspetto religioso e culturale, di grandissima rilevanza era quello commerciale, “viel wichtiger aber für die große Masse der Besucher und auch notwendiger war, daß die P. wohl regelmäßig mit einem Jahrmarkt, einer ´Messe´ verbunden war, wo man sich verpflegen konnte, und: was sonst das Herz begehrte, feilgeboten fand”, Ziehen (1949) 582. Le erano un’occasione durante la quale si ritrovavano ogni sorta di persone, pronte a qualsiasi tipo di commercio: lo stesso Dione rappresenta il filosofo cinico Diogene mentre si reca ai giochi istmici, non certo per assistere alle competizioni sportive, quanto per “osservare gli uomini e la loro follia”, 9, 1. Su , il cui numero e 70 importanza riscopre un momento di splendore durante il II e III sec. a. C. (Mitchell (1990) 183-193), vedi in generale Ziehen (1949) 581-583. “Prostitutes were drawn to a variety of occasions that attracted a crowd of people, including potential clients, such as markets, fairs, and public shows of every kind ... Visitors to religious events and centers might have had more than one motive. In this context pilgrimage and tourism could be viewed as two sides of the same coin”, McGinn (2004) 26-27. “coloro che esercitano la stessa professione”; cf. Pl. Chrm. 171c, Thg. 125e, §4 La. 186, Hdt. 2, 89, Plu Moralia 973d., ed in Dione i §§ 6 e 14 della medesima orazione e l’Olimpico §§ 5-6 ’ , 12, 46. questa sezione dell’orazione riveste una doppia funzione : ... 1. conclude la prima parte, la dimostrativa, la , della “interpretazione filosofica” del verso esiodeo: partito dal particolare Dione giunge a una formulazione generale: ogni lavoratore invidia chi compie il suo mestiere. Ricapitola i punti fondamentali sin ora discussi, questa asserzione viene ripresa all’inizio del § 6; 2. costituisce il raccordo fra la fase catascheuastica alla anascheuastica: Dione, nel citare un’altro celebre verso esiodeo, mostra come in realtà non ci si possa sentire appagati dalle poche esemplificazioni sinora presentate. allitterazione cf. § 1. Aristotele utilizza la medesima § 5 espressione in caso differente ( , EN 1121b32) in riferimento a coloro che per amore del denaro si degradano a svolgere qualsiasi lavoro, tra essi, come accade nella nostra orazione, i tenutari di bordello; per l’utilizzo di in riferimento al commercio delle prostitute vd. D. 59, 113 e Aeschin. 1, 124. § 5 l’espressione ricorre con inversione dei termini nel Agli ’ Alessandrini ’ , 32, 54. Il verbo ha generalmente in Dione il 71 significato di “descrivere in dettaglio”, e viene utilizzato in formule retoriche quali , 17, 18 (cf. inoltre 2, 65; 33, 26; 53, 2). Nella nostra orazione mi pare che esso debba essere piuttosto tradotto con “esaminare”, conferendogli un leggera sfumatura dialettica, nello stesso senso col quale Socrate dice , Pl. R. 437a. § 5 cf. Plutarco ... , . ‘ , ’ , Moralia 34b = SVF II 100 p. 31; vd. Valgiglio (1973) 226. “Methode des Chrysipp: der Ausspruch des Dichters wird ausgeweitet, verallgemeinert und übertragen auf die ähnlichen sittlichen Fälle“, Rabbow (1954) 219, e 311-312 n. 65 e 352; per un’analisi della prassi interpretativa della poesia in Crisippo si rimanda a Steinmetz (1986) 26-28 e Long (1992) 49. La decisa somiglianza dell’argomentazione e l’utilizzo della medesima citazione esiodea lasciano ipotizzare che sia Dione che Plutarco dipendano dalla stessa opera di Crisippo. §5 ... Dione cita liberamente Hes. Op. 348 , . Analogamente al verso riportato al § 1 esso venne nell’antichità considerato proverbiale ed è attestato presso vari autori: Plu Moralia 34b; Ael. VH 9, 28; Jul. Ep. 198 (p. 224, 20 Bidez-Coumont). § 5 entrambi i verbi sono degli in Dione; potebbe essere una allusione alla poesia teocritea, possibilmente al celebre idillio Tirsi , 1, 25; cf. sempre in Teocrito 3, 34; 5, 84; 8, 45. Tuttavia Teocrito non viene mai nominato da Dione e non ho notizia di citazioni occulte del poeta alessandrino nell’opera dionea. Plutarco, certo non avaro di riferimenti a poeti meno importanti, cita Teocrito solo una volta (la seconda citazione indicata da 72 Helmbold-O’Neil (1959) 69 è errata). Luciano, mi attengo allo studio di Householder (1941), non cita mai Teocrito. Schmid (1887) I 157 suggerisce, invece, che l’uso di sia una reminiscenza aristotelica. il verbo nel significato di “leggere”: cf. LJS s.v. III “of books, §5 meet with (…) hence, read”, si veda in generale Achelis (1913) 420-423 con riferimenti da Luciano e numerosi autori del periodo imperiale. Proprio in riferimento a questo passo della 77 Schmid (1887) I 141-142 suggerisce la traduzione “sich befassen, studieren”. Per altri usi dionei cf. orr. 2, 6; 18, 6, 9; 52, 1 su cui Valgimigli (1912) 60 “una facile e piana lettura” e Luzzatto (1983) 29 n. 1, che discordando con l’interpretazione di Valgimigli, afferma “questo verbo viene usato per indicare una lettura attenta”. Dal contesto della Sull’invidia (“ma è chiaro che parla a chi legge come a persone assennate”) si evince che Dione presuppone non già ad una semplice scorsa del testo esiodeo, quanto un’accorta disamina del pensiero del poeta, ciò è dimostrato dal fatto che le attestazioni dionee sopraccitate ricorrono in contesti in cui il testo poetico viene sottoposto ad una attenta indagine o, nell'or. 18, ove Dione offre preziose indicazioni sugli autori la cui lettura (studio) è atta all’educazione dell’uomo politico. negli scoli attribuiti ad Areta leggiamo §6 . §6 . „damit kommen wir zum „elenktischen“ Teil der Unterredung, in dem der Schüler zu dem Eingeständnis veranlaßt wird, daß es in manchen Berufen Situationen und Momente gebe, in denen die Anwesenheit eines Berufskollegen nicht nur nicht schädigend, sondern vielmehr nützlich und wünschenswert sei, und daß infolgedessen gegenseitiger Haß und Neid in solchen Fällen geradezu unsinnig wäre“, Milobenski (1964) 126. Nella trattatistica dei progymnasmata tale sezione era detta Ermogene Spengel II 6, 28, da Aftonio Spengel II 26-27. da 73 Questa sezione è decisamente più diffusa articolata della prima: vengono proposte quattro (il marinaio, il timoniere, il medico e i costruttori di armi e mura) e un (l’episodio di Democede). §6 ... cf. Senofonte , , , , ; Oec. 1, 1. § 6 il termine ha il significato generico di marinaio, ma anche specifico di rematore, Casson (1971) 309. L’immagine del viene ripresa di frequente da Libanio nei suoi progymnasmata, prendendo in considerazione esclusivamente quelli sulla si rimanda a 4, 1, 6; 4, 2, 8. § 7 il gubernator navis era l’“executive officer when the trierarch had the experience and desire to take command, and commanding officer when he did not. Under way, the kybernetes took the captain’s traditional station on the poop. In emergencies he might handle the tiller himself, but normally he used quartermasters”, Casson (1971) 302. Il timoniere sottostava agli ordini del , che aveva finanziato il mantenimento della trireme. Nelle orazioni dionee il timoniere e l’arte della direzione della nave compaiono sovente utilizzate quali termini di paragone in metafore, purtroppo trascurate dall’analisi di Oesch (1916), che specificamente ai paragoni nell’opera dionea ha dedicato la sua tesi di dottorato. Queste immagini sono di chiara derivazione platonica. In Dione egli è termine di paragone per il sovrano: il re è il migliore fra gli uomini, perché in se raccoglie al massimo grado le qualità del coraggio della giustizia e della filantropia, similmente chi non sa governare una nave non può essere un timoniere e chi non conosce l’arte della medicina un medico, 4,24-25; cf. inoltre 1, 29 e 3, 56. L’allegoria della città come una nave compare per la prima volta Alceo (cf. 6, 73, 208a, 249 e 306i e sull’argomento Gentili (1998b) 197-215) per divenire un luogo comune, è presente in Dione nelle orazioni più prettamente politiche: rivolgendosi ai Nicomedi nel tentativo di persuaderli alla 74 concordia coi Nicei, afferma che tutti coloro che navigano sono coscienti che la loro salvezza dipende dall’armonia dei marinai e dalla loro obbedienza alle disposizioni del timoniere, se dovesse scoppiare una rivolta, allo stesso modo la salvezza di una città è data dalla concordia dei capi e dall’obbedienza dei cittadini, 38, 14-15. Nell’Olimpico Dione utilizza una immagine di origine platonica (Plt. 272e, 273c) e stoica (SVF II 1055 e 1171): la divinità è paragonata a , 12, 34. La figura del timoniere ricorre quale metafora anche nei progymnasmata, PseudoErmogene nella sua esemplificazione di come si debba comporre un esercizio sulla , scrive , , 4, 37. Un altro esempio ricorre in un progymnasma di Libanio sulla : , ’ , , ; ; , , , . ’ , 8 , 1, 13; cf. sempre in Libanio anche 4, 2, 8 e 7, 3, 19. §7 duale, la nave greca possedeva difatti due timoni; in Dione è attestato esclusivamente il singolare, unica eccezione: 75, 10, ove troviamo il nominativo plurale: il riferimento è, infatti, a varie navi. L’uso del duale è relativamente di frequente in Dione cf. 21, 13; 55, 3, 7, 9; negli autori cosiddetti atticisti “künstlich wiederlebt”, Schmid (1887) I 87; poiché nella koinè era scomparso, vd. Blass-Debrunner (19549) § 65. In questo passo nell’uso del duale (a mia conoscenza è l’unico caso in cui la forma è attestata) Dione si mostra “più attico degli attici”: Platone (Plt. 272e), Aristofane (Eq. 542), Cratino (fr. 143, 2) e Difilo (fr. 42, 11) utilizzano la forma al plurale. Per la descrizione del timone e la terminologia realtiva si rimanda a Casson (1971) 224-228, in particolare la n. 2. 75 §8 la figura del medico compare nella letteratura greca già nei poemi omerici: nell’Iliade tra i capi dei contingenti greci vengono nominati Macaone e Podalirio, i due figli di Asclepio, “medici illustri” (2, 729-732) e nel quarto libro viene descritta con minuzia come Macaone cura la ferita di Menelao, procuratagli dalla freccia di Pandaro, vv.190-219. Nella quarta Pitica Pindaro, rivolgendosi ad Arcesilao re di Cirene, paragona per la prima volta (Cordes (1994) 26; di questo topos si farà largo abuso) il sovrano con il medico: “tu sei il medico giusto al tempo giusto ... devi accostare morbida la mano al taglio della ferita e curarlo”, vv. 271 e sgg. (vedi a commento Braswell (1988) 371-372, Gentili (19982a) 503 e, per una esauriente analisi della figura del medico nella poesia pindarica, il già citato Cordes (1994) 25-31). Se nella tragedia e nella commedia antica sono presenti numerose metafore tratte dall’ambito medico (cf. Zimmermann (1992) 513-525), è solo con mese e la nea che il medico, come vero e proprio personaggio, fa la sua comparsa sulla scena teatrale: commedie di Antifane (frr. 106-107); Aristofane (frr. 4-5); Filemone (frr. 35-36) e Teofilo (fr. 4), hanno il titolo . L’Aspis di Menandro ci offre un’idea di come la figura del medico venisse rappresentata parodisticamente: Davo propone a Cherestrato di inscenare la propria morte con l’ausilio di un medico compiacente, “faremo venire un medico che darà arie di sapiente e diagnosticherà una pleurite, o una frenite...” (vv. 340-341), ma nell’impossibilità di trovarne uno, il vecchio servo si offre di prendere un suo amico, che con una parrucca, un mantello e un bastone e parlando straniero si farà passare per medico (vv. 370-373 “hier (in der Neuen Komödie) wird schonungslos Kritik an der Medizin geübt, indem die Wichtigtuerei, Eitelkeit, Unfähigkeit, aber auch Armut der Ärzte verspottet wird”, Cordes (1994) 187. Il medico e le immagini tratte dall’arte medica costituiscono nei dialoghi platonici le metafore più ricorrenti, egli è, ad esempio, modello dello statista: nel Gorgia “Socrates works out the analogy between physical and moral health. As medicine in the penology) is the for restoring the former, so justice (or as we say now, for restoring the latter”, Dodds (19795) 254. Il filosofo ateniese definisce la politica, che si divide in legiferazione e giustizia, come l’arte che riguarda l’anima, mentre la medicina e la ginnastica, che delle due precedenti sono l’equivalente, riguardano il corpo, 477b e sgg. Il medico è però anche paradigma del filosofo; per 76 un’analisi approfondita di tale tematica in Platone si rimanda a Wehrli (1951) 177-184 ed in particolare a Cordes (1994). Dalle scuole socratiche le metafore mediche sono passate al cinismo ed allo stoicismo. Anche nel corpus dioneo, i paragoni che si riferiscono all’arte medica sono, fra quelli tratti dall’ambito dei mestieri, i più ricorrenti, Oesch (1916) 15-19. Il Prusense segue la tradizione filosofica a lui precedente: il medico diviene simbolo del filosofo, in particolare al filosofo cinico Diogene, il quale si reca ai giochi istmici non per assistere ai vari spettacoli, ma per osservare la più autentica natura dell’uomo, la quale si palesa soltanto nelle feste pubbliche, egli desidera curare, proprio come il medico, quando le patologie sono più evidenti, 9, 2; cf. anche 10, 1 e Lucianus Vit.Auct. 8. Anche l’oratore viene paragonato al medico, il primo deve parlare anche di ciò che può risultare sgradito al suo uditorio, come il secondo è talvolta costretto a toccare parti imbarazzanti per i suoi pazienti (33, 44). Ma la figura può anche essere connotata negativamente: i sofisti ed i poeti che si esibiscono dinanzi agli Alessandrini e che fanno la parte dei filosofi sono simili a quei medici che portano dall’ammalato non cure ma etere ed unguento (32, 10). Per paragoni in Epitteto vedi 2, 13, 12; 3, 23, 30 e Billerbeck (1978) 137. § 8 cf. Isocrate ’ , panath. 117. Lamar Crosby ritiene in base all’indicazione dionea che la lezione di cui le orr. 77 e 78 sono una trascrizione abbia avuto luogo in una grande città, e che la presenza di numerosi uditori e l’accenno al § 15 ad un discorso sulla ricchezza tenuto il giorno precedente facciano inferire che “Dio had been in residence long enough to have attracted some attention”, (19642) 259; cfr. anche von Arnim (1898) 288 § 8 “pour désigner le salaire ou les honoraires d’un médecin, c’est en général qui est employé, chez Héraclite comme chez Diodore de Sicile, dans le table d’Édalion comme dans les inscriptions plus récentes et dans le Corpus hippocratique 77 comme chez Galien”, van Brock (1961) 71. Cf. Erodoto su Democede , 3, 131. §9 Cicerone durante il suo esilio in Macedonia incontra ... Filisco, che lo rimprovera per il suo continuo lamentarsi e si offre di consolarlo, , , . ’ , . ’ , D.C. 38, 18. §9 si tratta di un in Dione, indica la febbre letargica ed in questo significato il termine è attestato quasi esclusivamente nella letteratura medica cf. Hp. Morb. 2, 65; 3, 5; Gal. De locis affectis libri VI 8, 127, 9; 8, 166, 7. dioneo. Pianta appartenente alla famiglia delle solanaceae, delle due § 9 specie diffuse nel bacino del Mediterraneo l’unica presente in Grecia è la Mandragora autumnalis, Tutin Heywood (1964-1980) 120. Le radici della mandragora, peraltro piuttosto velenosa, venivano utilizzate nell’antichità per le sue molte e differenti proprietà: come afrodisiaco, cf. Diosc. Med. 4, 75; come narcotico, cf. Hp. Loc. hom. 39,1; come pianta magica; e come panacea contro ogni malattia; nel medioevo era utilizzata come analgesico durante le operazini chirurgiche. L’anonimo autore del trattato di età imperiale de morbis acutis et chroniciis prescrive la mandragora specificamente nella cura della frenite, 1, 8. Per una trattazione più puntuale e riferimenti si rimanda a Kruse (1928) 1028-1038. cf. Demostene il quale rivolgendosi agli § 9 Ateniesi radunati in assemblea afferma , Phil. 4, 6; il passo demostenico era ben noto nell’antichità e viene registrato nei 78 manuali di retorica: da Elio Aristide quale esempio di Ermogene quale esempio di §§ 10-11 , , Id. 1, 7, 31. corrisponde al ... trattatistica retorica, i , Ars Rhetorica 15, 1, 3; da della costituivano, secondo la divisione di Quintiliano, il terzo genere di prova tecnica, “das exemplum hat also eine inhaltliche Quelle [...], eine utilitas-Funktion [...] und eine literarische Form (commemoratio)”, Lausberg (19903) 228. La commemoratio poteva assumere a sua volta una forma stringata o più ampia (“als narratio ist das exemplum eine digressio [...] innerhalb der argumentatio, Lausberg (19903) 229): il dioneo rientra in questa ultima categoria, esso non è un mero riecheggiamento della storia di Democede: viene infatti narrata diffusamente. Questo exemplum costituisce tuttavia una lunga pausa che parrebbe spezzare il ritmo della sin qui serrata argomentazione dionea: si corre il rischio di perdere il filo della discussione, particolarmente se viene accolta l’ipotesi dell’estemporaneità dell’orazione in esame. Negli esempli di progymnasmata compilati dai retori antichi, quali Libanio, tali sono tratti principalmente da Omero, da Erodoto, da Demostene. §§ 10-11 , ... la fonte è Erodoto, 3, 129-130 e 132. Dione segue sostanzialmente la narrazione dello storico di Alicarnasso, apportandovi quelle poche ma essenziali modifiche, atte a ricreare, o meglio, ad adattare l’ethos del medico crotoniate. Viene, ad esempio, completamente omesso il momento nel quale Democede, condotto alla presenza di Dario in catene e vestito di stracci, alla domanda del re se abbia una qualche conoscenza dell’arte medica, per paura di non poter più tornare in Grecia, lo nega, e soltanto alla vista di fruste e pungoli lo confessa: il medico crotoniate appare nel racconto erodoteo certamente meno coraggioso e generoso di quanto Dione voglia lasciar intendere. Inoltre il Prusense falsa il corso della narrazione, nel momento in cui rievoca come il medico crotoniate abbia chiesto quale ricompensa per la guarigione del re a Dario di liberare i medici egizi che il sovrano aveva condannato a morte. Erodoto, invece, narra che il re retribuì Democede con dei ceppi d’oro, e dopo le 79 pacate rimostranze di quest’ultimo lo fece condurre presso le mogli per ricevere una grande quantità di oggetti preziosi. È solo al § 132, dopo aver ripercorso le tappe della biografia di Democede, che lo storico riferisce che il medico Greco, oramai in confidenza con il sovrano, lo pregò di graziare i colleghi Egizi. Dione altera palesemente alcuni dati del racconto, riadatta l’ethos di Democede alle esigenze della sua argomentazione: da un lato il Crotoniate deve apparire il prototipo del medico che, incurante dei suoi propri interessi e pur trovandosi nella condizione di ottenere da Dario qualsiasi cosa desideri, a tutto ciò antepone, per spirito di categoria, la vita dei suoi colleghi Egizi; dall’altro deve esemplificare la convenienza per un medico della presenza di altro medici nella stessa città. Nella prima orazione Sulla schiavitù e la libertà Dione “ricicla” questo stesso episodio, variandone ancora una volta la prospettiva, assecondando l’argomentazione, senza fare alcuna menzione del medico crotoniate: Dario, che pur era sovrano dei Persiani, non godeva realmente di grande libertà, feritosi a un piede durante una battuta di caccia fu costretto ad affidarsi a medici egizi che tendevano e torcevano con violenza l’arto ferito, 14, 8. L’episodio non ha trovato particolare eco nell’antichità, viene ripreso da Ateneo, il quale narra come i Crotoniati si fossero dati al lusso per quanto accadde a Democede, il quale, secondo il racconto erodoteo, catturato da Dario, dopo la morte di Policrate, curò la moglie Atossa e ricevette in ricompensa il permesso di ritornare in patria, 12, 522a-c. con questa frase Dione introduce la parte § 10 paradigmatica secondo lo schema dei progymnasmata, cf. ad esempio Aftonio II 26, 2 Spengel; . , , Ermogene, II 8, 24-26 Spengel. “Das Exemplum = (Ars rhet. 1,2, 13; Quint. 5, 11, I; Aps. Techn. 8) wird definiert als rei gestae aut ut gestae utilis ad persuadendum id quod intenderis commemoratio (Quint. 5, 11, 6)”, Lausberg (19903) 227-228. 80 § 10 ’ cf. Erodoto ... . ’ , 3, 129. fu uno dei più celebri medici della sua epoca e capo § 11 dell’influente scuola crotonese. La fonte primaria sulla vita di Democede è Erodoto 3, 125, 129-131, 137 (dalla quale la maggior parte delle testimonianze successive dipendono): Democede, per l’intrattabilità del padre Callifonte, abbandonò Crotone e si stabilì nell’isola di Egina, ove pur mancando degli strumenti sopravanzò i medici locali, e si trasferì successivamente a Samo presso la corte di Policrate. Allorché Policrate venne fatto assassinare a tradimento da Orete, Democede, che faceva parte del suo seguito, venne condotto come schiavo presso Dario re di Persia, e là ebbe l’occasione di curare sia il re, come narra anche Dione, sia la regina Atossa. Ritornato a Crotone sposò la figlia dell’atleta Milone. Per una analisi di queste pagine erodotee si veda Brandeburg (1976) 34-37; Cordes (1994) 66-69; Asheri (1998) 341-342 con ulteriore bibliografia. Le testimonianze sono raccolte in D.-K. 9 e Cardini Timpanaro (1957) 106-116, quest’ultimo con commento; vedi inoltre Freeman (1953) 87-88 e Michler (1966) 213-229. PH. si tratta di termini tecnici del linguaggio medico, che § 11 Dione usa piuttosto raramente, il primo è attestato in 48, 12; il secondo invece è un hapax; si veda inoltre per Hp. Art. 36; VC 13; Gal. De symptomatum causis libri III 7, 142, 16; e per Hp. Epid. 5, 58; 7, 76; Mul 1, 34; Gal. De methodo medendi libri XIV 10, 237, 9. e ricorrono insieme soltanto in Alessandro medico Therapeutica 2, 381, 23. I due termini mancano invece nel racconto erodoteo, lo storico greco utilizza al § 130 l’espressione , e verosimilmente con essi Dione intendeva porre in maggiore evidenza la differenza metodologica e terapeutica fra la medicina egizia e quella greca, paragone che si risolve a favore di quest’ultima: da una parte i medici egizi non fanno che 81 accrescere le sofferenze di Dario (Erodoto ha Democede semplicemente , § 129), dall’altra cura il sovrano in breve tempo; sulle differenze fra la medicina egizia e greca nel racconto in Erodoto si rimanda a Cordes (1994) 67 n. 11. § 12 il termine ricorre nella letteratura greca solamente altre due volte: Senofonte Mem. 3, 10, 9 e Ateneo 5, 63, 20. Lo storico ateniese è certamente la fonte di Ateneo, il quale cita il nome del fabbricante di corazze con il quale Socrate si intrattiene, e potebbe esserlo anche di Dione: Socrate difatti domanda all’artigiano Pistia, che gli aveva mostrato alcune corazze ben lavorate, perché le venda a un prezzo maggiore, per quanto non siano forgiate né più robuste né con materiale più prezioso rispetto a quelle degli altri artigiani. Questo attacco alla avidità dei fabbricanti di corazze viene ripreso infatti da Dione, il quale nell’argomentazione dell’or. 77 ipotizza che solo i fabbricanti di corazze stolti potrebbero vendere i loro prodotti a un prezzo troppo alto. § 12 si tratta di un altro hapax dioneo, termine peraltro piuttosto rara: ricorre esclusivamente in Aristofane in Pax 1255 e nel relativo scolio . § 12 Arnim propone l’espunzione perché omessi dai codici PHM, espunzione che non viene accolta né da de Budé né da Lamar Crosby. Potrebbe in realtà trattarsi di una omissione del copista per omoteleuto con il termine precedente . La simmetria dell’argomentazione infatti lo richiede: ben due volte viene evidenziato che nell’eventualità di un attacco nemico l’assenza di mura e di armi per tutti pregiudichi la possibilità della città di far fronte all’assalto, cf. Wenkenbach (1908) 90. è in Dione un hapax, e viene utilizzato nel significato meno comune di operai addetti alla costruzione di mura. Il termine indicava più frequentemente il magistrato preposto al controllo ed alla riparazione delle mura: la carica di è posta da Aristotele fra le magistrature fondamentali per l’amministrazione di qualsiasi stato, Pol. 1321b; cf. inoltre Demostene Sulla corona 55 e 113. 82 il termine è un hapax in Dione indica “il fabbricante di lance”, le uniche § 12 attestazione nel periodo classico ricorrono in Aristofane, che possiamo sostenere abbia forgiato il termine, Pax 447, 549 e 1213, particolarmente interessante è la prima attestazione, ove Trigeo rivolgendosi al corifeo sottolinea la cupidigia dei fabbricanti di lance , ’ , . Il termine ricorre inoltre in Plu Pel. 12, 1; Ael. NA 14, 26; Lib. Decl. 33, 1, 17. La variante offerta dal codice P è inammissibile perché vox nihili. § 12 l’espressione, che in Dione è un hapax, è attestata con ’ minime variati, nell’oratoria: Isocrate ad Nic. 1, 4; Arch. 88, 1; pac. 37, 1; antid. 224, 1; Demostene 16, 23; 49, 68; Lys. 10, 9. Per quanto riguarda la letteratura dialogica è presente in Platone: , , Tht. 143e; cf. inoltre Cra. 399c, Hp.Mi. 363a, R. 328e; Senofonte , Smp. 4, 49, 2. § 12 nella distinzione fra alla koinè, cf. § 12 e Dione non segue il greco classico, ma si allinea (19549) §§ 426-432; Russell (1992) 118; Krapinger (1996) 60. il termine significa sia “privo di scudo” sia “privo di armatura protettiva”; dal contesto si evince che la seconda accezione, d’altra parte la più comune, è la più probabile, inoltre “hoplites took their name from their arms and armour as a whole, their hopla in that all-compassing sense”, § 13 (1996) 27. questo sintagma, d’altra parte poco consueto, ricorre nel corpus dioneo altre due volte: 11, 139 (in riferimento alla presa di Troia) e 31, 54. 83 Demostene descrive la presa di Platea ( , ), 59, 103. variazione di Dione del verso esiodeo citato § 13 al § 1. Dione riutilizza l’espressione al § 14. Il nesso ricorre per la § 13 prima volta in poesia Hom. Od. 1, 376, e 2, 141 ( ), ove Telemaco per due volte biasima i pretendenti “se poi vi sembra più facile e meglio consumare la roba d’uno solo senza compenso, ebbene mangiate” (trad. Privitera). Dione cita il verso in 12, 15. In prosa dobbiamo attendere invece Senofonte An. 6, 2, 15; 7, 6, 44; Lac. 8, 5, 6; Vect. 6, 2 e 6, 2 ( o ), la cui reminiscenza, come già segnalato da Schmid (1887) I 146 almeno per Vect. 6, 2, potrebbe aver influenzato Dione; l’espressione ricorre inoltre in Plu Moralia 271c; Arr. An. 7, 26, 2, 4 e Peripl. M. Eux. 22, 2, 2. In Platone ritroviamo invece , Lg. 828a, cf. Polibio 8, 28, 7, 2. In tutte le attestazioni, escluse quelle omeriche e dionea, la formula allude alla sfera religiosa e più in particolare alla pratica della vaticinazione, “est la formule rituelle dans le demandes et dans le réponses d’oracles”, Gauthier (1976) 219. Anche a una rapida scorsa del passo risulta palese che Dione non si richiama alla pratica della divinazione; è allora ipotizzabile un utilizzo ironico della forma rituale o una allusione al passo, connotato in maniera ugualmente negativa, dell’Odissea. § 14 ... si tratta della : essa costituiva la sezione conclusiva di un progymnasma; Ermogene, sulla struttura della chreia che nella trattatistica si sovrappone a quella della , scrive , , Waltz I 7. Libanio nella sua raccolta di progymnasmata offre alcuni esempi: al termine della sul verso omerico Il. 2, 24 ( ) sostiene , Foerster 112, § 18. 84 § 14 qui termina secondo la tradizione manoscritta l’or. 77; la conclusione di Milobenski (1964) 128 “da wäre ein wenig ergebnisreicher Schluß” mi pare priva di fondamento: Dione in realtà consegue il suo obiettivo, che nello svolgimento del dialogo si svela differente rispetto alle battute iniziali, che lasciavano intendere una trattazione ben più estesa: egli infatti obbliga il suo anonimo interlocutore a riconoscere la parziale validità sia delle proposizioni dalle quali il dialogo aveva tratto origine che dell’iniziale panegirico della esperta cognizione di Esiodo della natura umana. 85 Commento or. 78: Sull’invidia Tit. il codice Urbinas Gr. 124 (U), appartenente alla prima classe (Sonny (1896) 2-5) offre come titolo ; il Meemannianus (M, seconda classe) e il Parisinus Gr. 2958 (B, prima classe) danno invece la semplice titolazione . §§ 15-16 introduzione: il saggio oltre ad essere magnanimo ed esente da dolore non potrebbe in alcun modo provare invidia per ciò che è bene comune del genere umano, come non potrebbe invidiare la ricchezza: Dione ha dimostrato questo punto il giorno precedente in una diatriba sulla ricchezza. § 15 Dione esordisce con un inatteso . Müller, a commento dell’incipit del Sisifo pseudo-platonico, evidenzia “der etwas abrupte Einsatz der Unterhaltung (...) zielt darauf ab, den Eindruck der Unmittelbarkeit und Natürlichkeit hervorzurufen”, (1975) 50. § 15 la grandezza d’anima è nella speculazione dionea elemento distintivo essenziale ed imprescindibile dell’ottimo sovrano e in generale del buon politico. Al termine della prima Sulla regalità viene presentato l’aneddoto, caro alla tradizione cinica, della scelta di Eracle fra la Tirannia e la Regalità: accanto allo scettro di quest’ultima si trova Nomos, la legge, , , senza il quale né Eunomia né Dike né Eirene possono fare alcunché, 1, 75. Che tale grandezza d’animo non sia semplicemente portamento e una artificiosa esteriorità è dimostrato dal tentativo della Tirannia di imitare la solenne compostezza della Regalità, con il suo rifiutarsi di guardare coloro che entrano alla sua presenza essa trasmette non dignità e gravità, quanto disprezzo e denigrazione: la non è altezzosità costruita ad arte, ma sintomo di una grandezza interiore, quasi innata. La grandezza d’animo non è però esclusiva prerogativa del sovrano e dei suoi consiglieri, nella stessa maniera in cui esistono sovrani retti, magnanimi e generoso e tiranni spietati e ingiusti, allo stesso modo esistono due forme di democrazia: la retta, che partecipa della natura divina e regale, è mite, 86 benevola, magnanima ( ), che onora gli uomini ed i discorsi probi, a questa si oppone invece la forma più frequente, che è sfrontata e tracotante, 32, 27-28. La magnanimità di un governo popolare non è quindi quella aristocratica superiorità di carattere etico di uno spirito nobile, come nelle orazioni Sulla regalità, ma umiltà, mitezza e rispetto per tutto ciò che è buono. Nell’or. 78 l’analisi dionea si sposta da un piano politico e pubblico, le qualità del buon re e del d retto, a un piano strettamente privato: le scelte, che queste doti morali determinano, hanno ripercussioni sull’intera collettività, a carattere sopranazionale nel caso dell’imperatore, a carattere provinciale o semplicemente cittadino nel caso del filosofo. Queste riflessioni dionee utilizzano la medesima terminologia già utilizzata in riferimento al buon re: al § 15 da , , al § 29 da accompagnato ed al § 37 da . Musonio, maestro di Dione, invita l’uomo a seguire l’esempio divino ed aggiunge , , , , , 18, pg. 90 linee 8-12 Hense. § 15 il termine compare soltanto nel V sec. a. C., frequentemente attestato in tragedia, è però totalmente assente in Eschilo: il coro euripideo dell’Alcesti si augura, nel suo triste accomiatarsi dalla protagonista di trovare una simile compagna, la quale non potrebbe recare alcun dolore ( ), 475 (altra possibile traduzione è “che non patirebbe dolore”, sull’ironica ambiguità di questo passo si veda Conacher (1988) 175); vd. inoltre S. Tr. 168; El. 1002; OC 1519, 1765. È però più tardi che esso entra nel linguaggio filosofico: nelle pseudoplatoniche Definizioni l’ viene definita ’ , 412c. Questa può essere considerata la prima formulazione filosofica della . Essa viene ripresa da Aristotele, il quale nell’Etica Nicomachea scrive che l’intemperanza è uno stato dell’anima volontario, contrariamente alla viltà, perché se la prima deriva dal piacere, ed è quindi ricercata, la seconda è un effetto incontrollato della paura, la viltà non presenta pericoli ( ), ma talvolta può turbare a tal punto che i soldati gettano le armi, 1119a. È tuttavia con la filosofia ellenistica che 87 diviene elemento distintivo del vero filosofo e virtù necessaria al conseguimento della felicità: , . , ’ . ’ , SVF III 107, 35-39= D.L. 7, 96. Cleante, il secondo scolarca della Stoa, al Dio attribuisce le massime virtù: , , , , , SVF I 557, 3-4=Clem.Al. Protr. 6, 72. Certo da non sottovalutare è questo passaggio di da definizione di uno stato d’animo e condizione di vita alla sua elevazione a rango di virtù etica. Alla dottrina stoica si riallaccia il filosofo Epitteto, contemporaneo di Dione ed anch’egli allievo di Musonio: “dass Epiktet als echter Stoiker alle Trauer und Furcht verbannt wissen wollte, geht aus allen seinen Reden hervor: mit Entschiedenheit fordert er, dass der Mensch als Bedingung der Glückseligkeit die dass er und sich aneignen, werden musse”, Bonhöffer (1890) 303, vd. inoltre sempre Bonhöffer (1894) 47; cf. in Epitteto 2, 14, 8; 2, 17, 29. Un altro illustre contemporaneo, Plutarco, nello scritto La tranquillità dell’animo, si rallegra che Paccio, il destinatario dell’opera, non si sia fatto traviare dalle ricchezze, dai successi politici e dalle amicizie influenti, perché tutto ciò non porta certo alla serenità dell’animo ( ), 465a. Solo chi si esercita ad immaginare i mali che possono colpire l’uomo (le malattie, l’esilio, la sofferenza) comprende veramente quanto di falso è presente in questi timori, molti sono invece sopraffatti dalla paura , 476d. Questa consiste per Plutarco non tanto nello scansare ogni occasione che potrebbe causare dolore, ciò non sarebbe possibile, quanto nell’abituarsi con l’immaginazione alla sua costante presenza proprio nel momento in cui pare di esserne così lontani. 88 L’ è una caratteristica anche del filosofo cinico, secondo la formulazione di Epitteto: ; , , ;, 3, 22, 48. Nella concezione epicurea l’ al contrario non viene considerata un requisito necessario al filosofo e all’uomo saggio, Epicuro nella lettera indirizzata a Dositeo scrive: ’ : , Plu Moralia. 1101a-b= fr. 40 Arrighetti. Per quanto concerne Dione è necessario sottolineare la ricorrenza esclusiva dell’aggettivo ed il relativo avverbio, manca d’altra parte l’attestazione del sostantivo ; dal punto di vista semantico esso ha sia il significato passivo che l’attivo, è da notare che, escluse le attestazioni dell’avverbio, è preponderante il primo. Lamar Crosby (19642) V 275 traduce con il termine “inoffensive” (seguito da Elliger (1967) 761 “Harmlosigkeit”), e propenderebbe quindi per un significato attivo, forse in considerazione del fatto che il saggio è nelle parole di Dione sia magnanimo ( ( ) sia filantropo ), e ciò potrebbe avere senso quale azione utile per la collettività. Io ritengo invece che sia debba tradurre con “esente da dolore” proprio perché le attestazioni filosofiche e le scarse attestazioni nel campo della filosofia in Dione si riferiscono al cinico Diogene o allo scultore Fidia: nell’or. Diogene o Istmico il filosofo cinico, mentre assiste ai giochi istmici, domanda ad un giovane vincitore, acclamato da una folla festante, cosa stia accadendo intorno a lui e dopo aver sentito della sua vittoria lo ammonisce, ricordandogli che non è per questo divenuto più intelligente, né meno vile, né sarà in grado di vivere una vita priva di dolore ( ), 9, 15. Stesso concetto espresso dal filosofo di Sinope, il quale ad un uomo che si reca al santuario di Delfi per sapere ove sia fuggito il suo unico schiavo, replica che come chi non ha scarpe cammina senza, similmente molti vivono più agiatamente e senza paura del dolore di quanti possiedono molti schiavi ( ), 10, 8, vd. nello stesso discorso il § 16. Decisamente interessanti sono le parole che Fidia (in una bellissima ethopoiia) pronuncia in difesa della sua raffigurazione di Zeus presso il santuario del dio ad Olimpia: lo scultore ha con l’ausilio della sua arte ritratto Zeus “mite e maestoso in 89 contegno benevolo ( ), 12, 74. In questo passo l’ , che presso filosofi stoici nonché nei pensatori cristiani (Acta Joannis 29), è attributo sostanziale della divinità e come tale modello per l’uomo, viene addirittura raffigurata tramite l’arte figurativa, facendo di Fidia un vero e proprio filosofo, non un semplice se pur geniale artista, che ha inteso la vera natura del dio ed è stato capace con i mezzi della sua arte di infonderla nella muta e fredda pietra. Cf. inoltre Krapinger (1996) 73; Capone Ciollaro (1983) 40. la philanthropia è uno dei concetti fondamentali della filosofia cinica, § 15 come ha sottolineato Gerhard “erfüllt von erkennt er (der Kyniker) es als seine Aufgabe, die Menschen zu fördern, , wie der terminus technicus lautete”, (1909) 32-33, vd. Inolte Bernays (1879) 101 sg. Cratete di Tebe, allievo di Diogene, incarna nella tradizione cinica il filosofo philanthropos: “die philanthropischen Züge des Idealkynikers sind in der ersten Linie Krates entlichen, dessen mildes und menschenfreundliches Wesen sprichwörtlich war“, Billerbeck (1978) 7 n. 34. Luciano così scrive di Demonatte , Demon. 10. La è sin da Isocrate ( . ., Ad Nic. 15) uno degli elementi costitutivi della rapresentazione di se nell’ideologia ellenica attraverso i secoli (Hirzel (1912) 25; Downey (1955) 199-208; Whitmarsh (2001b) 117 n. 97 con bibliografia). Tale presupposto rimane costante anche nella letteratura d’età imperiale: “Plutarch appears to believe that two important character-traits, namely (gentleness, calmness) and (humanity, clemency, beneficence) are typical Greek qualities, whereas brutality and cruelty are not proper features of the Greek character but raher peculiar to barbarians”, Nikolaidis (1986) 239. Sull’ideale cinico della § 15 si rimanda a Dudley (1937; fotorist. 1967) 161. la virtù è il fine supremo sia dello stoicismo che del cinismo; le due correnti filosofiche si differenziano nel modo nel quale la virtù possa essere conseguita: il 90 cinismo con il raggiungimento dell’autarchia; lo stoicismo con lo svolgimento dei doveri sociali. § 15 poliptoto, alcuni esempi nel corpus dioneo 3, 107; 12, 35; ... 17, 11; 38, 3. § 25 alliterazione e poliptoto, di questa figura retorica con il termine faceva un grande abuso, ricorre altre quattro volte in Dione, 46, 13; si : 17, 20; 31, 74; 9, 19 (su cui Capone Ciollaro (1983) 17; cf. ad es. S. El. 728, Pl. Tht. 171e, 179b, R. 579a, X. An. 2, 1, 16. § 15 verbo con valore sostantivato, cf. Plu Moralia 681d. “Für die Antike besteht zwischen diesen Wörtern ( , ) hinsichtlich ihrer Bedeutung ein Unterschied. Für sie ist die Bedeutung von Baskania stärker im Vergleich zu Phthonos; schließt den Schaden des anderen ein. Diese antike Erklärung des Unterschiedes von Phthonos und Baskania wird aber nicht immer streng beibehalten. Baskania verliert bisweilen die besondere Nuance, die wir oben aufgezeigt haben, und wird mit Phthonos identifiziert”, Nikolau (1969) 19 Dione non opera alcuna differenziazione fra baskania e phthonos. In Dione è attestata esclusivamente la costruzione con il dativo: ai §§ 25 e 37 dell’or. 78; 40, 18; 43, 2. Tale costruzione è raramente attestata nella classicità: mai presente ad esempio in Isocrate ( nell’Antidosi 62, nel Panatenaico 155 regge l’accusativo); è attestata una sola volta in Demostene Contro Leptine 24 (di contro almeno due attestazioni con l’accusativo nella Sul Chersoneso, 19 e Sulla corona, 190), ad indicare probabilmente che l’accezione di “invidiare” era decisamente di minore importanza rispetto a quella di “malignare”. Assai più frequente è d’altra parte nelle opere di autori più tardi: ad esempio Giuseppe Flavio AJ, 10, 257; Vit., 425; Ap., 2, 286; Plutarco, presso il quale è però maggiormente attestata la costruzione con l’accusativo, Moralia 538d; 806a; Philostr. VA 5, 33 e 7, 31; Hermog. 1, 1, 58; Ael. VH 2, 13; 12, 16; Eun. VS 10, 6,1. L’invidia, 91 , costituisce il tema sostanziale di questo dialogo come dell’or. 77, il punto di vista è fondamentalmente diverso, lo dimostra l’argomentazione della diatriba stessa: non si tratta più della gelosia suscitata nel ceto degli artigiani da una spietata concorrenza economica, ma dell’invidia che scaturisce dal desiderio del possesso della fama e della reputazione, del vigore fisico, dei talenti artistici, dei premi sportivi e dei riconoscimenti pubblici (queste sono alcune delle esemplificazioni che lo stesso Dione porta), che sono invece appannaggio di altri. Il termine compare nelle orazioni summenzionate, ma anche in questo caso abbiamo un mutamento di prospettiva: è l’invidia politica fra concorrenti al primato per il governo della polis, essa è “uno dei motivi più forti di contesa politica all’interno delle città”, Desideri (1978) 456 n. 18. Non c’è quindi da stupirsi che Dione la stigmatizzi in ogni sua forma con tanta decisione. § 15 l’espressione ricorda la definizione , dell’invidia nello scritto , di Andronico , SVF , 100, 21. se prestassimo fede alle parole di Dione e volessimo § 15 rintracciare nel corpus dioneo la trascrizione della lezione filosofica sulla ricchezza tenuta il giorno precedente ritroveremmo un solo scritto con tale titolo, l’or. 79, che nel lascito dioneo, come ci è pervenuto, segue la 78. Le parole del Prusense , . ’ , lasciano trasparire la natura delle riflessioni dionee: il saggio non potrebbe invidia la ricchezza altrui. Hirzel (1895) II, 114-115: “so sind Dions Dialoge nicht der Ausdruck einer inneren oder äusseren Wirklichkeit. Sie sind vielmehr Formen, die er sich aus der rhetorischen Vorrathskammer zusammengesucht und dann mit einem nur gerade nicht widerstrebenden Inhalt erfüllt hat“. Questa collocazione temporale è per von Arnim (1898) 288 un palese e incontrovertibile indizio della realtà dei dialoghi dionei: “es liegt auf der Hand, daß dieses Citat ... nicht als blosse Fiction gefaßt 92 werden könnte, weil kein vernünftiger Grund solcher Fiction sich denken lässt ... auch dieses Citat ist also ein vollgültiger Beweis, dass der Dialog kein “papierener” ist, sondern auf der mündlichen Lehrtätigkeit Dios bruht.” Von Arnim a sostegno della sua interpretazione cita un passo simile dell’Agamennone o sulla regalità: Dione afferma al termine della “lezione”, durante la quale ha voluto dimostrare che il sovrano che non debba rendere conto ad alcuno del suo operato non esiste, , , ’ (56, 16). Se fosse giusta l’ipotesi ventilata da von Arnim potremmo concludere che la conversazione cui Dione fa riferimento si tratti dell’or. 79 o di un dialogo andato perduto nella burrascosa storia della tradizione dionea. Lamar Crosby (19642) 259, sulla scia di von Arnim, inferisce quindi che “Dio had been in residence long enough to have attracted some attention.” L’ipotesi di una collocazione temporale fittizia della conversazione non è in realtà così peregrina come von Arnim argomenta: i dialoghi platonici offrono alla critica talvolta difficoltà insolubili nel dirimere le varie divergenze cronologiche, valga l’esempio del Fedro, ove il riferimento alla presenza ad Atene di Fedro, esiliato dal 415/4 sino al 404/3, e di Lisia, rientrato da Turi presumibilmente nel 412/1, nonché il riferimento ad Euripide e Sofocle ancora in vita, sono dati inconciliabili, De Vries (1969) 7; ulteriori anacronismi platonici sono discussi da Müller (1975) 47 e n. 9. Merita di essere menzionata l’ipotesi avanzata da Müller della presenza nelle Einleitung degli scritti platonici di un " - Topos", il quale porta a prova della sua tesi riferimenti dall’Eutidemo, dal Carmide, dal Simposio, dal Sofista, dal Politico e dal Timeo, (1975), 50 e n. 2. Se Dione rinvi a un discorso realmente pronunciato il giorno precedente o si tratti di un elemento fittizio, è quindi in mancanza di dati ulteriori difficilmente risolvibile. § 15 “Reichtum, der zu Gier und Habsucht verleitet, ist ein Haupthema der Popularphilosophie”, Billerbeck (1979) 7. Opere sono attribuite, ad esempio, a Speussipo (D.L. 4, 4), Senocrate (D.L. 4, 9), Aristotele (D.L. 5, 22), Teofrasto (D.L. 5, 47), Diogene (D.L. 6, 86); Dione stesso consacra a questo tema una sua diatriba: 93 l’or. 79 Per una trattazione più approfondita del tema della ricchezza nella letteratura greca si rimanda a Vischer (1965). l’anonimo poeta è Omero. Sull’uso del termine § 16 in relazione ad Omero nel corpus dioneo si rimanda al meticoloso studio di Kindstrand (1973) 14-15. l’espressione ricorre per la prima volta in Erodoto: Creso, § 16 avvertito in sogno che il figlio Atys sarebbe morto trafitto da una punta di ferro, tenta di impedire che quest’ultimo vada a caccia del cinghiale che devasta le coltivazioni dei Misi, ma cede persuaso dalle argomentazioni del figlio, , 1, 40; vd. inoltre 2, 120 e 3, 71. Decisamente più significativa è invece l’attestazione nello Ione platonico: Socrate illustra a Ione come non sia verosimile che l’aedo sia in grado di recitare e interpretare Omero ma non gli altri poeti, e gli domanda se esista chi possa essere in grado di commentare le opere di Polignoto, ma si trovi in estrema difficoltà ed sia colto da uno stato di torpore dinanzi a quelle di un qualsiasi altro artista, e che solo al momento di esprime la sua opinione ( ) su Polignoto si risvegli ed abbia abbondanza di idee, 532e-533a; cfr. inoltre Prt. 336d, Grg. 466c. Un’altra attestazione nell’ambito della critica letteraria si trova presso Aristotele, nell’analizzare le forme dell’arte poetiche scrive lo Stagirita , , Po. 1450a. § 16 ... lezione Hom. Od. 17, 423 e 19, 79. La totalità dei manoscritti offre la ’, che, a mio parere deve essere mantenuta: 1. per il rispetto di una tradizione unanimemente concorde, come in questo caso; 2. perché il dativo del testo omerico si riferisce alle , delle quali Dione non fa alcuna menzione: il dativo non avrebbe nel testo di Dione alcun senso ed è quindi presumibile che il Prusense abbai adattato il verso. Questa è l’unica citazione nella letteratura greca del verso omerico. 94 il lemma ricorre in Dione al genitivo al rigo seguente e nell’or. 33, 2 § 16 ’ § 16 ... ’ , ove il riferimento è però a Il. 2, 285. “un passo omerico in cui sembra che il poeta condivida ’ l’opinione comune della felicità dei ricchi viene giustificato in due diversi modi: a) il poeta non esprime la sua idea, ma ripete l’opinione comune; b) dei ricchi si dice che sono semplicemente chiamati, non che siano realmente felici”, Desideri (1978) 476, il quale in n. 25 rinvia al passo , , , 2, 44. Merita di essere notato lo scolio 455a 7-9 alle Opere e giorni esiodee , . La Suda s.v 4633 esprime lo stesso giudizio con i termini in sostanza identici a quelli dionei: , . La glossa del lessico bizantino non ha la sua fonte nello scolio ad Esiodo, si rivela invece una citazione occulta del passo dell’orazione Sull’invidia di Dione Crisostomo in esame, Gazzaniga (2005) 361-365. Il tema della rappresentazione della ricchezza nella poesia viene esposto da Dione in maniera sporadica, il giudizio risulta però di costante condanna, per quanto debbano essere rilevate considerevoli differenze: Filippo nella seconda orazione Sulla regalità provoca il giovane Alessandro, appassionato ammiratore della poesia omerica, , . , ’ , , , , . , , ’ , ; Alessandro si affretta a pronunciarne una entusiastica apologia: Omero infatti , . , 95 , 2, 37-39. Cf. quanto nella Sulla ricchezza il retore sostiene rigurdo la descrizione nell’Odissea delle dimore di Alcinoo e Menelao , , 79, 1. Secondo una interpretazione pedagogica della poesia omerica il poeta rappresenterebbe, così afferma Alessandro Magno, sia il bene che il male ( , 53, 11, cfr. inoltre 55, 13-14) e la descrizione dei personaggi moralmente negativi corrisponde alla volontà del compositore di edificare il suo pubblico con tali paradigmi: ammaestra in maniera più efficace che se “avesse usato le semplici parole”, come Dione stesso sostiene dell’insegnamento socratico, 55, 13. Nella Su Omero invece si trova una antitesi interpretativa della poesia omerica simile a quella riassunta dalla contrapposizione fra passi in cui viene espressa l’opinione del poeta e ed altri in cui invece il pensiero della massa: il filosofo stoico Zenone contrariamente a Platone non avrebbe rimproverato Omero in nulla, ma , , metodo interpretativo che fu proprio del maestro del filosofo stoico, Antistene per il quale , , 53, 4-5 (per un’analisi del significato dell’espressione nella dottrina di Zenone si veda Steinmetz (1986) 19-25 e Hillgruber (1989) 15-24, in quella di Antistene Giannantoni (1990) IV, 338-346). È verosimile che proprio a questa distinzione interpretativa della poesia omerica alludesse Dione nel passo della 78, senza naturalmente avere la pretesa della coerenza che un coscienzioso sistema esegetico avrebbe richiesto: il poeta da una parte erra nella descrizione di ciò che è male (69, 1) ; d’altra parte esprime in ciò l’opinione della massa, 78; dall’altra rappresenta il vizio espressamente per educare il suo pubblico, 2, 37-39 e 55, 13. § 17 indica che un punto della discussione è dato per risolto e stabilisce il passaggio a una fase successiva, cf. Dover (1980) 85. 96 § 17 ... la Suda 126 ha , e la Adler ne individua la fonte in un proverbio, ma a mio parere il locus classicus sia ancora l’or. 78. come nell’or. 8, 15 “il termine ha qui un significato cinico”, Capone § 17 Ciollaro (1983) 43; ed proprio nell’or. 8, 15 Diogene ci offre la definizione dell’uomo nobile (Höistad (1948) 199-200): 1 ;2 ; 3 ;4 ;5 ... ; 6 ;7 ;8 ;9 ; 10 . In Dione cf. inoltre 31, 125; 78, 26; inizia la sezione dello scritto, nella quale Dione illustra come il saggio § 17 non possa invidiare la fama di cui gli altri godono, perché essa corrisponderebbe alla esaltazione degli ignoranti; il Prusense utilizza esemplificazioni tratte dall’ambito musicale, §§ 18-20 con i paradigmi dell’aulete Tebano e di Orfeo; dall’ambito medicosalutistico, § 20 con i paradigmi di Polidamante e Glauco; dell’arte del costruire, § 22; dell’arte figurativa, §§ 22-24, con i paradigmi del pittore e di Pandora. Nel corpus dioneo sono tramandati tre discorsi Sulla fama: 66, 67, 68. “The concept is a very common in Cynic thought and in Cynic writings and usually has a negative meaning as “opinion” or “self-conceit”, Kindstrand (1976) 223, vd. inoltre Gerhard (1909) 87 sgg. § 17 nell’interpretazione della Suda s. ... , . 1362 : , . Anche in questo caso ci troviamo di fronte a una citazione di Dione, Gazzaniga (2005) 361-365. 97 § 18 è correzione di von Arnim, non accolta da De Budé, per dei codici. Denniston scrive: “ , lezione unanime is very common in Plato, being used in the strictly inferential, and in the looser progressive, sense ... In Xenophon interrogative is common, particularly in the Socratic works”, (19542) 434-435, mi pare quindi corretta la scelta di De Budé. Socrate nei Memorabili senofontei: per allontanare i suoi discepoli dalla § 18 vanteria e per convincerli che non esiste altra via alla vera fama che essere veramente bravi in ciò che si vuole apparirlo, e contrario: “supponiamo, affermava, che qualcuno non di sua volontà voglia diventare un buon falutista ( ): che cosa dovrebbe fare? ... Dal momento che molti li lodano ( ), anche egli dovrà procacciarsi molti ammiratori, 1, 7, 2. Vedi anche Eliano VH 14, 8, 10. Sull’auletica nell’antichità si rinvia a Huchzermeyer (1931); Schlesinger (1939 (rist. 1970)); Zaminer (2000) 547-549. Reiske l’ha posto dopo § 18 , non seguito dagli altri editori. nel significato di “non musicale, che non conosce la musica” riferito a § 18 persone, questa è l’accezione nell’or. 78 (cf. inoltre in Pl. R. 335c, 349e; Dione 10, 19, 36, 6, 27, 3, 69, 8. Sul sostantivo corrispondente Dione nell’Agli Alessandrini costruisce un gioco di parole: il Prusense paragona i musicisti attivi ad Alessandria con Anfione e Orfeo, quest’ultimo era figlio della Musa Calliope ( Disarmonia ( ), 32, 61. l’espressione è un hapax in Dione e ricorre simile in Plutarco: § 18 Moralia 66d . Il codice U offre la varia lectio Ind. 12. ), i loro artisti invece discendenti della ; 802d , presente in Lucianuns 98 si tratta di un nesso omerico, Il. 21, 282 § 18 , ’ Il termine . è attestato in Omero una volta nell’Iliade e 7 volte nell’Odissea, in Dione è invece un hapax. Thomas Magister nella sua Ecloga nominum et verborum atticorum scrive , , fatta eccezione per Omero, la lessicografia omerica e gli studi omerici testimoniatici dagli scoli, possediamo, infatti, ben poche attestazioni in prosa, nessuna risalente al periodo classico. Fabio Pittore, il quale narra che Romolo e Remo diventati adulti non assomigliavano agli altri pastori ( ), fr. 1, 66. i due verbi insieme sono un hapax in Dione, ma compare § 18 in Plutarco: . , , Moralia 334b; cf. anche Them. 17, 2, ; e Libanio, il quale potrebbe aver avuto presente questo passo dioneo per la presenza in entrambi del verbo , : , Ep. 490, 2, 1. Sull’applauso scrive Korenjak “Klatschen ist in der Antike wie heutzutage eine ungemein gebräuchliche Klanggeste ... Bei sophistischen Reden stellt Klatschen im griechischen Raum neben dem Aufstehen und –springen die gebräuchlichste Form des Beifalls überhaupt dar“, (2000) 88. § 18 l’aneddoto dell’aulete tebano costituisce il paradigma dell’argomentazione dionea: benché incurante dell’approvazione o del biasimo di un pubblico e di giudici ignoranti e inesperti, egli suonò per conseguire la vittoria, e sostenne di farlo per se e le Muse. L’auletica era particolarmente praticata dai Peloponnesiaci e dai Beoti, come ci testimonia anche Massimo di Tiro , , 17, 2. “Auch die Namen vieler 99 boiotischer und argivischer Aulosspieler bezeugen die Wertschätzung des Aulos bei diesen Stämmen“, Huchzermeyer (1931) 28; gli auleti presenti ai vari agoni ateniesi erano quasi sempre stranieri e in meniera preponderante Tebani, il che spiega l’associazione nella tradizione letteraria greca dell’auletica con Tebe, Dione stesso nel Boristenico ribadisce , , , 7, 120. Vd. inolte Baker (1984) 97, 268, 271 n. 52. litote, cf. in Dione 9, 15; 78, 48; X. Mem. 4, 3, 15; Lucianus Nav. 29. § 18 probabilmente espressione della terminologia musicale, cf. § 18 Plutarco ; Moralia 813f; Marco Aurelio , 7, 49; Elio Aristide , , , Contro coloro che tradiscono i misteri 401. § 19 questo riferimento ad Orfeo costituisce il secondo paradigma mitologico del presupposto, secondo il quale l’esperto della sua arte non potrà prestare la minima attenzione all’ammirazione e al plauso degli sciocchi: nella sua monografia su Bione di Boristene Kindstrand scrive: “some comparisons use a person, either a historical or mythical figure or a general type”, (1976) 32. Orfeo è figura mitica che compare nel corpus dioneo frequentemente, ma l’operazione esegetica operata da Dione vertente intorno alla Gestalt mitica di Orfeo risulta tutt'altro che univoca. Essa si innesta in una lunga tradizione letteraria che affonda le sue radici nell’immaginario greco sin dal VI secolo a. C. Si deve tuttavia notare che Orfeo non viene mai ricordato quale fondatore dell’orfismo e autore di numerose opere sia in prosa e che in versi, non è mai menzionato il mito della sua discesa agli Inferi canonizzatosi nel racconto ovidiano, Metamorfosi 10, 1-63: Orfeo è per Dione 100 semplicemente il paradigma per eccellenza della forza della musica e della poesia di ammaliare e trascinare, con le sue implicazioni ora positive ora negative, e tali connotazioni vengono piegate dall’oratore ai fini strettamente contingenti dell’argomentazione, secondo quella polimorfia tipica degli autori della cosiddetta Seconda Sofistica. Decisamente positiva è, ad esempio, l’esegesi offerta nella prima orazione Sulla Regalità: viene narrata la parabola della scelta di Eracle fra la Regalità e la Tirannia, che Dione dice aver udito da un’anziana donna incontrata nei pressi del fiume Alfeo, essa lo ammonisce a prestare grande attenzione: le parole ispirate dagli dei sono infatti superiori ai sofismi umani, ’ , [ ] , 1, 57-8. Questa asserzione è importante perché Orfeo è raffigurato quale prototipo del poeta ispirato e perché Dione espone la concezione dell’ispirazione divina nel processo della creazione poetica: l’aedo quando sotto l’influenza del dio è il tramite fra quest’ultimo e gli uomini nella trasmissione della verità. Nello scritto Su Omero il poeta dell’Iliade e dell’Odissea viene giudicato superiore sia alle Sirene che ad Orfeo, poiché ammaliare ( , si tenga presente però la negatività del verbo) e condurre animali e pietre ed alberi (ciò che fece Orfeo) non è diverso dall’incantare uomini che non conoscono la lingua greca come fece Omero, 53, 7. Orfeo non risulta vincitore, ma tale sconfitta non deve trarre in inganno, poiché nell’encomio il paragone deve “essere inteso in lode e non in dispregio del paragonato”, Valgimigli (1912) 49. L’or. 32, l’Agli Alessandrini, è intessuta di numerosi riferimenti alla figura del cantore trace ed in essa Dione si sente legittimato a proporre l’esegesi probabilmente più singolare, e a dargli la forma di un mito canzonatorio per gli abitanti di Alessandria, riferitogli, così narra il Nostro in una fictio di erodotea memoria, da un uomo Frigio. Il Prusense biasima con forza l’entusiasmo che gli Alessandrini nutrono per gli spettacoli teatrali e musicali in genere: Orfeo vagava per la Tracia e la Macedonia e al suo canto si avvicinava una gran folla d’ogni sorta di animali, in particolar modo uccelli e pecore, seguendolo ovunque andasse. Alla morte di Orfeo però gli animali furono presi da un dolore tale, da non poter 101 trovare conforto; Zeus, cedendo alle preghiere di Calliope, li trasformò in esseri umani, la loro anima, così sensibile alla forza ammaliatrice della musica, rimase però immutata, 32, 61-66. I Macedoni e quindi gli Alessandrini (è evidente che Dione si rivolge ai parlanti greco) discendono da quegli animali mutati, solo fisicamente, in esseri umani. Nell’or. 78 in una elencazione stucchevole e ridondante Dione mette in mostra il proprio dominio della tradizione: il passo è intessuto di citazioni e rimandi a una cultura letteraria vastissima. Il passo risulta piuttosto elaborato anche da un punto di vista retorico. Su Orfeo si rimanda a Kern (1922); Guthrie (1993); Linforth (1941); Segal (1989); Riedweg (1996) 1251-1280. secondo la più diffusa tradizione mitica la madre di Orfeo era § 19 Calliope, la Musa della poesia epica. Erano comunque attestate versioni concorrenti: le Muse Polimnia, Clio e Menippe, vedi Orphicorum Fragmenta test. 24-26 e Ziegler (1939) 1219-1220. Dione non si discosta dal mito più conosciuto: Calliope viene menzionata poco dopo nel medesimo paragrafo. costruzione con il genitivo; § 19 regge generalmente il dativo dell’oggetto o della persona e raremente l’accusativo. § 19 Calliope è la dea dell’epos e della poesia d’amore. Calliope viene inoltre citata da Dione nell’or. 2, 24 senza tuttavia alcun riferimento ad Orfeo, in generale sulla Musa si veda Weicker (1919) 1654-1655; Walde (2001) 199. § 19 ... Dione offre una delle più dettagliate e verbose descrizioni dei prodigi operati da Orfeo, la quale non trova eguali nell’intera letteratura greca. Una tale ricercatezza e manieristico bisogno di ostentare la propria paideia, non soltanto ingenera nel lettore noia, ma mette in discussione la tesi dell’estemporaneità del dialogo, o, per lo meno, che il dettato testuale pervenutoci non sia frutto di una rielaborazione successiva: sembrerebbe infatti poco adatta ad una sobria ed spontanea 102 lezione filosofica. Sono qui presenti tutti gli elementi che nell’immaginario dioneo e nella tradizione più antica sono parte del mito su Orfeo. Il riferimento agli uccelli che si radunano intorno al cantore tracio trova un solo parallelo in Dione: nella Agli Alessandrini, passo precedentemente citato, il Prusense asserisce che mentre Orfeo cantava per la Tracia e la Macedonia gli si avvicinò , 32, 63; rari i riferimenti nel resto dell’antichità, cf. Conone FGrHist 26 F 1, e nella letteratura latina Seneca quae silvas et aves saxaque traxerat, Her. F. 572. Sugli alberi: nell’or. Su Omero l’incantamento suscitato dalla poesia omerica in popoli che non conoscono la lingua greca né i fatti che nei poemi vengono cantati non è certo inferiore all’ammaliare e trascinare sassi e piante e animali, come fece Orfeo, 53, 8; vd. inoltre in Dione 35, 9 ove si fa riferimento più specificamente alle querce (su questa versione cf. Antip.Sid. AP 7, 8, 1; Damag. AP 7, 9, 3; Anon. AP 7, 10, 8; Verg. G. 4, 510; Hor. Carm. 1, 12, 12); in generale vd. inoltre E. Ba 563; Apollod. Bibliotheca 1, 3, 2; Verg. Culex 118; Sen. Med 229. Sulle pietre si vedano in Dione i passi già citati: 53, 8; 35, 9 ed in generale E. IA 1212, A. R. 1, 26; Antip.Sid. AP 7,, 8, 1; Orph. A. 436. cf. Hdt. 3, 111 § 19 ; il verbo è un hapax in Dione. cf. Dione 20, 15 § 19 ; cf inoltre Mosco, alla morte di Bione ’ ’ , 3, 32; Ath. 12, 79, 19-20 . § 19 “among human beings, a gesture of affection and concern”, Olson (1998) 82. La rara espressione compare in una delle sue prime attestazioni in Erodoto, 6, 61, 5. L’attestazion del Fedone platonico ( , 89b), potrebbe aver con maggiore probabilità influenzato Dione: se fosse vera la notizia riportata da Filostrato, secondo la quale Dione avrebbe portato con sé 103 durante in esilio esclusivamente la Sulla corrotta ambasceria di Demostene ed il Fedone di Platone, VS 1, 7 p. 206. Il Fedone, indipendentemente dalle più o meno attendibili notizie di Filostrato, era d’altra parte un testo che Dione conosceva molto bene, come hanno indicato Moles (2000) 201-202 e Trapp (2000) 223-225. Cf. inoltre sempre in riferimento all’affetto di Socrate per i suoi allievi X. Ap. 28 . leggendario citareda delfico. Figlio di Apollo e padre dei poeti Eumolpo e § 20 Tamiri; secondo la notizia di Eraclide riportata dallo Ps.-Plutarco, sarebbe stato il primo a disporre intorno al santuario delfico il coro femminile, avendo composto un canto sulla nascita di Latona, Artemide e Apollo, De mus. 3 (a commento del passo cf. Gamberini (1979) 164. Filammone rappresenta nell’argomentazione il ”tecnico”, conoscitore dell’arte della cetra, la cui approvazione Orfeo avrebbe ricercato più della lode delle bestie. Vd. in generale su Filammone Del Grande (1932) 40; Maas (1938) 2123; Kossatz-Deissmann (1997) LIMC 8. 1, 982-983; Knorr (2000) 782. “der Gesang der Schwäne hat die Alten eingehend beschäftigt“, Gossen § 20 (1921) 785. Classico è il passo del Fedone platonico, in cui Socrate afferma , , , , , , 84e. cf. inoltre sulla tradizione dell’ultimo canto del cigno prima della sua morte Eschilo A. 1444-1446 . Artemidoro ... , 2, 20; Aristotele HA. 615b2. Già nell’antichità vi fu chi mise in discussione che il cigno canti: Ael. A 2, 32 e VH 1, 14; Lucianus Electr. 5; Plinius NH 10, 63;. si rimanda inoltre a Thompson (19662) 179-186; in generale Gossen (1921) 782-792. 104 nel raro significato di intonare, cf. A. Pers. 1054 § 20 ; Ar. Av. 895-897 ’ / ; Pherecr. fr. 138, 5 K.-A. ’ / ’, . l’espressione, nella quale le termini sono sinonimi, ricorre § 20 simile nell’or. 12, 15 terminologia ( ; Platone aveva utilizzato la medesima ’ , Ion 536c) per negare all’aedo qualsiasi abilità; cf. inoltre Pl. Ion 533c, Prt. 357b, R. 438d, 522c; Isoc. panath. 29, 30; Plu Moralia 2a. § 20 ... seconda esemplificazione trattazione dionea sulla fama: l’uomo assennato non presterebbe maggior attenzione riguardo la sua salute al giudizio dei più rispetto a chi è esperto di medicina. § 20 atleta di Scotussa in Tessaglia, vincitore nel 408 a.C. ai giochi olimpici nel pancrazio, celeberrimo nell’antichità per la forza e la straordinaria prestanza fisica. Polidamante viene menzionato da Platone R. 338d, Luciano Herod. 8, Pr.Im. 19, Hist.Conscr. 35, Deor.Conc. 12; da Elio Aristide 24, 23; da Filostrato Gym 2, 22, 43. Questo è l’unico riferimento di Dione al celebre atleta. Sulla sua figura in generale vd. Scherling (1952) 1601, Moretti (1957) n. 348 p. 110; Decker (2001) 589. Sulla lotta nell’antichità si rimanda a Jüthner (1949) 82-89. § 20 celebre pugile del VI sec. a. C., vincitore di tutti e quattro i grandi giochi panellenici, del quale Simonide aveva cantato la vittoria olimpica (fr. 4= 509 Page). Viene ricordato da Demostene nella Sulla corona 319 e da Eschine nella Ctesifontea 189. La sua figura insieme a quella di Polidamante diviene nella tradizione successiva un topos: Luciano Herod. 8, Pr.Im. 19, da Elio Aristide 24, 23, da Filostrato Gym. 20 (non è 105 menzionato Polidamante) e Libanio Decl. 16, 59; questa è l’unica attestazione in Dione. Si rimanda per ulteriori approfondimenti a Kirchner (1910) 1417. cf. § 20 , 67, 6; l’espressione è una “Verdoppelung sinnverwandter Wörter” (Wenkebach (1908) 98 e sgg.) per il cui uso in Dione si veda, ad esempio, , 32, 27 § 21 1. ricapitolazione dei paradigmi sinora ... presentati: l’auletica e la citarodia esemplificate rispettivamente dal flautista Tebano e da Orfeo; la lotta e il pugilato rispettivamente da Polidamante e da Glauco; 2. Dione conclude la prima microsequenza con una : per quanto riguarda la saggezza, la giustizia e ogni altra virtù l’uomo assennato non si lascerebbe persuadere certo dal plauso degli sciocchi. il verbo § 21 “soddisfare”, cf. ad es. Pl. Chrm. 169c è un in Dione, e significa ’ ; per l’espressione anche se con accezione differente , Ph. Sac. 64. §§ 22-25 dopo aver stabilito che il saggio non possa in alcun modo invidiare e dare ascolto alla lode e all’opinione della massa, Dione disamina se non sia opportuno che egli si avvalga di un solo retto giudizio. Vegono adotte le seguenti esemplificazioni: l’esperto dell’arte di costruire; il pittore, Pandora. § 22 ... Dione nella seconda Sulla gloria scrive , , ;, 67, 2. 106 § 22 “ was one of the most widely used terms in Greek art criticism (...) When applied to the arts and have several subtle shades of meaning and association, but the basis of all of these variations is always the fundamental idea of “precision” or “exactitude””, Pollitt (1974) 123. Cf. Dionisio d’Alicarnasso , , 16, 3, 6. § 24 mal celata ironia: la vita di chi alla ricerca del plauso ... di tutti adatterà la propria esistenza alla loro varia opinone è simile non già al primo, mediocre dipinto frutto dell’arte di un singolo, quanto alla meravigliosa opera d’arte concepita secondo l’idea dei più. § 24 è in simmetrica antitesi con . “the work of many craftmen”, LSJ s.v II, questa sembra essere l’unica attestazione dell’aggettivo con questo significato; è in antitesi all’espressione . “opera, prodotto”, il termine ricorre per la prima volta in Dionisio § 24 d’Alicarnasso vertente intorno il suo opuscolo De compositione verborum 1, 5. Il termine ricorre in Dione in 12, 34 e 49 (riferto alla statua di Zeus scolpita da Fidia), in 48, 14 (il è il mondo, cf. Zeleuco (Stobeo 4, 2, 19)). § 25 ... unica menzione in Dione del mito di Pandora: esso costituisce il paradigma mitologico dell’intera argomentazione. Il riferimento del retore di Prusa non è alla Teogonia (570-602), ove leggiamo soltanto che essa fu forgiata da Efesto e che Atena la rivestì di una veste d’argento, la coronò di ghirlande e di un serto d’oro; bensì alla versione più estesa delle Opere (60-89). In questo secondo poema ritroviamo infatti gli elementi cui il racconto dioneo accenna: gli dei collaborano alla creazione della prima donna: Efesto forgia Pandora, Atena le insegna a tessere ed Afrodite 107 versa grazia sul suo capo, mentre Zeus ordina ad Ermes di infonderle impudenza e scaltrezza, le Grazie e la Persuasione le pongono corone d’oro e le Ore la inghirlandano di fiori. Sul mito di Pandora vd. Lendle (1957); West (1978) 164-166; Olstein (1980) 295-312; Arrighetti (1981) 27-48; Harder (2000) 236-237. § 25 cf. Apollodoro ... ... , , Bibliotheca 1, 7, 2. Singolare è invece la somiglianza dell’espressione dionea con lo scolio 22a al Timeo di Platone . § 25 questa negativa e quasi blasfema esegesi ... dionea del mito di Pandora quale spaventosa e rovinosa creazione di tutti gli dei, incapaci insieme di creare alcunché di positivo, non trova, a mia conoscenza, paralleli nella storia della letteratura greca. § 25 cf. le asserzione euripidee sulla donna ... ’ , , fr. 1059, 6-8. non mi pare che Dione compia alcun tentativo di distinguere i due § 25 termini, alla luce del fatto che l’intero passo è ricco di altre dittonimie sinonimiche: , . Il sintagma ricorre in Pl. Grg. 502c; Isoc. Arch. 64; Plu Moralia 854 a . § 25 “modo di vivere”, cf. Ammonio , . , 108 . (fr. om. Rose) . § 25 : , 100, 6-9. “man, opp. god“, LSJ s.v. II, non uomo in opposizione a donna; cf. Hom. Il. 1, 544; Hdt. 5, 63. § 26 Dione riassume brevemente le argomentazioni sinora portate: il saggio non invidia le ricchezze, le lodi e i riconoscimenti esteriori. § 26 ... “particolarmente interessante in questo passo l’allusione sprezzante alle iscrizioni onorifiche che sappiamo costruire tanta parte della documentazione storica in nostro possesso per quest’epoca”, Desideri (1978) 251 n. 75. Numerose sono le attestazioni ufficiali documentate per il periodo della Seconda Sofistica: per incarico dello stato e dell’imperatore vennero dedicate ai retori più prestigiosi non solo iscrizioni, ma anche decreti, lettere e talvolta statue, Puech (2002) 15 e sgg. i giochi olimpici e pitici (a Delfi) erano § 26 gli agoni più importanti fra i quattro (gli altri due erano le stmiche, che si svolgevano nei pressi di Corinto, e le emee). Ai tempi di Dione si svolgevano ancora i giochi olimpici (aboliti dall’imperatore Teodosio nel 393 d.C.). La vittoria in tali agoni era talmente prestigiosa che gli atleti ricevevano soltanto corone, contrariamente a quanto accadeva presso altre festività: ad Olimpia d’olivo; a Corinto di pino; a Delfi d’alloro; a Nemea di sedano. Sull’agonistica sportiva in Dione e nella letteratura di età imperiale si rimanda a Capone Ciollaro (1987) 20-26. In generale sugli agoni si rimanda a Bili (1979); sui giochi olimpici Bengtson (19722); Herrmann (1972); Swaddling (2004); sui giochi pitici Deines (2001) 665-666. § 26 ... Diogene, presente ai giochi pitici, così ribatte a chi gli ribatte, secondo la rappresentazione dionea, che egli non può portare la corona di pino 109 perché non aveva vinto: , , , , , , , , , 9, 11-12. § 26 l’aggettivo, che in Dione è un hapax, ha generalemente il significato di “armato alla leggera, maneggevole”, in questo passo significa invece “di buone maniere, corretto”, similmente Socrate definisce Anito , , Men. 90a. § 26 “not puffed up” LSJ sv.; “with the Cynics became almost a technical term ... the opponent of the Cynics was ‘puffed up’ and arrogant”, Dudley (1967) 56 n. 8. Sul significato del termine Kindstrand scrive “it seems to have a twofold meaning for the Cynics, referring partly to vanity, conceit and partly to illusion”, (1976) 195. Con la Stoa l’ diviene qualità imperativa del saggio · SVF III 646, 21-22=D.L. 7, 117. Cleante ne fa una caratteristica del dio , , , , SVF I 557, 10=Clem.Al. Protr. 6, 72. In Dione è un . § 26 “dans le grec profane, le désigne le plus souvent ce qui est vil, peu relevé, de basse extraction ... exerçant un humble métier (Démosthène, C. Eubolidès, LVII, 5), sans considération et même la bassesse d’âme. Cette nuance de dépréciation restera dans les formules de politesse monastique et ecclésiastiques du VIe siècle. Mai quoi qu’il en soit de cette acception prépondérante de bassesse et de petitesse, la a été aussi considérée come una vertu par les païens eux-même, celle de «modestie» ou de mesure, associée à la , l’ , la , la et même à la 110 ; l’opposé de , de l’ et de l’ ”, Spicq (1978) II 878-879 con bibliografia; inoltre Billebeck (1978) 162. con il significato raro di ornamenti (il termine significa piastra dell’elmo), § 26 cf. inoltre Plu Moralia 528a. In Dione il termine ricorre anche nella seconda orazione Sulla regalità 2, 51. era consuetudine piuttosto diffusa che i soldati § 26 possedessero uno scudo decorato con la testa di Medusa, il cosiddetto gorgoneion, con la funzione precipua di atterrire i nemici e renderli quindi meno bellicosi, come ci informa lo scolio 1128c agli Acarnesi di Aristofane; ed infatti in questa commedia del poeta Ateniese il generale Lamaco ordina che gli venga portato il suo scudo rotondo con la figura della Gorgone ( ), 1124 (cf. Pax 561). Dione allude precisamente a questa finalità, evidenziando quanto vi è di caricaturale in quei mercenari che pur abbigliandosi in maniera terrificante e che fanno rumore con le loro lance, fuggono successivamente al minimo pericolo. percuotono gli scudi con le lance, come scrive Polibio § 26 ’ , , 15, 12, 8, cf. inoltre 1, 34, 2 e 11, 30, 1. Lo scopo, come per il gorgoneion, era spaventare il nemico: Cesare ci informa che neque frustra antiquitus institutum est, ut signa undique concinerent clamoremque universi tollerent; quibus rebus et hostes terreri et suos incitari existimaverunt, BC 3, 92, 5. § 27 ... cf. la quarta ororazione Sulla regalità , 4, 132; e la seconda Sulla fama 111 , , 66, 12. il termine è utilizzato in maniera schiettamente denigratoria, Desideri § 27 commenta: “ci son davvero pochi dubbi circa il giudizio che egli dà su coloro cui lo riferisce; si può solo fare una gradazione di intensità di disgusto, ma in generale è chiaro che Dione indica così quegli operatori culturali che tradiscono il compito di cui dovrebbero sentirsi investiti”, (1978) 243 n. 65a. § 27 cf. il comico Posidippo in Ath. 9, 20: ... ’ , ’, . Le metafore tratte dall’ambito militare sono assai frequenti nelle diatribe d’ambito di filosofia popolare, come già sottolineato da Billerbeck (1978) 133. possibile ricordo del passo senofonteo § 27 , HG. 5, 4, 40, cf. anche 6, 4, 8 . Il verbo in realtà significa “bere moderatamente”, cf. Anacr. 63, 11; Ar. Fr. 496; Pl. R. 372d; o “sorseggiare”, cf. Ar. Av. 494; il perfetto può invece essere tradotto con “brillo”, cf. Ar. Pax 874, Lys. 395; è probabilmente a questo ultimo significato che si ricollega Dione; anche Fozio, s.v. 630, e la Suda s.v. lo interpretano con . L’ parafrasa il verso omerico (Il. 8, 232.), che precede quello citato dal Prusense: , è un in Dione, e la lezione dell’unanime dei codici. è un emendamento di Emperius dioneo 112 § 27 Hom. Il. 8, 233-234. Cf. Eustazio ... » « , , Commentari ad Homeri Iliadem pertinentes II 571, 11-13. reminiscenza del passo platonico ( § 27 , Smp. 221b) nel quale Alcibiade loda il coraggio dimostrato da Socrate nella battaglia presso Delo. § 27 è la parafrasi dei versi omerici Il. 8, 228-235 ... , , ’ , , . , ' ; §§ 28-29 ’ ... Dione passa alla sezione sui piaceri: il saggio non invidierebbe coloro che conseguono i piaceri del bere, della mensa e dell’amore e non si commisererebbe qualora egli non fosse nella condizione di ottenerli. Coloro che si abbandonano a tali piaceri vengono paragonati ad animali incapaci di dominare i propri istinti e al re Sardanapallo “the springtime of life, the bloom of youth”, LSJ sv. II; cf. § 28 , Ar. Av. 138; 14. , X. Smp. 2, 1; inoltre Lucianus Symp. 15, Cat 113 “governatori”, “greek literary writers liked to avoid technical terms of § 28 Roman administration; it helped to make the writing more classical”, Russell (1992) 127-128; zone dell’Anatolia vengono chiamate con il loro vecchio nome etnico, benché essi non corrispondano più alla divisione amministrativa delle provincie e “governors become “satraps” or “harmosts”, and technical term are referred to as “nations” ( by the technical term eparcheia ( ) instead of )”, Bowie (1970) 33. “Quanto al significato di direi che Dione definisce così ironicamente (la stessa ironia che c’è nell’uso dell’espressione “re dei Persiani“ per “imperatore”) i funzionari imperiali, in particolare, se vale il parallelo con i Persiani, i governatori provinciali”, Desideri (1978) 250 n. 59. Krause, la quale sembra ignorare le asse zioni di Desideri, sottolinea invece che “jedoch findet sich keine Stelle bei Dion, wo er eindeutig auf einen römischen Beamter referiert”, (2003) 70. § 29 ... Dione paragona coloro che si affaticano per conseguire i piaceri della carne a dei cani e dei cavalli: “Tiere, Pferde besonders und Hunde liefern lehrreiche Parallelen zum Leben der Menschen”, Gerhard (1909) 23-24. Per i paragoni tratti dall’ambito animale in Dione si rimanda a Oesch (1916) 81-94. § 29 una comune figura etymologica, in Dione 7, 152 , cf. inoltre Hrd. 3, 156; E. Supp. 11, 790; Pl. Phlb.60d, Sph. 245c; Plu Moralia 643e. § 29 “saziarsi, essere pieno”, cf. Hom. Od. 7, 221; Hrd. 8, 117; Ar. V. 911. Cf. di contro la termperanza di Socrate, il quale, secondo le parole di Senofonte: , , , , Mem. 1, 3, 6. § 29 si tratta di una climax, per altri esempi in Dione relativi alle orazioni 8 e 9 si rimanda a Capone Ciollaro (1983) 18 e (1987) 27. I tre 114 verbi sono attestati insieme per la prima volta in Dione, per essere poi ripresi da Claudio Flavio Luciano , Contra Galilaeos 190 e nella Suda 17 . , . celebre re assiro, è per Dione “il modello mitico negativo” § 29 (Desideri (1978) 349 n. 24): nell’asse paradigmatico egli ricopre la peculiare funzione di assommare tutte le depravazioni, le dissolutezze, le debolezze che il buon sovrano, come il Prusense lo teorizza nelle sue orazioni, non deve possedere. “Wie Krösus Repräsentant des Reichtums ist, nimmt Sardanapal in der Popularphilosophie als Exempel der einen festen Platz ein“, Billerbeck (1978) 88. Benché sia Erodoto, fra gli storici, il primo a menzionare Sardanapalo e la sua straordinaria ricchezza (2, 150, vd. a proposito Lloyd (1988) 129), è possibile, però, postulare che la fonte dionea sia in realtà, per via diretta o non, Ctesia di Cnido, il quale trascrive l’epigrafe sepolcrale del sovrano assiro (FGrHist 688 F 1 (23)), che leggiamo, con poche varianti, anche nella quarta Sulla regalità, 4, 135. Ateneo, d’altra parte, riconosce di aver trascritto l’epigrafe da uno scritto del filosofo stoico Crisippo, 8, 336a. “simple, modéré, modeste” Places (1964) 342; “l’uomo capace di § 30 misura”, Vegetti (1998) II 107 . “Besonders häufig dient es um ein freundlich mildes Benehmen gegen Anderen zu bezeichnen, namentlich in dem Verhältniss politisch, moralisch oder finanziell Stärkerer zu Schwächeren“ Schmidt (1882) I 316. Cf. nella prosa filosofica: Pl. Phd. 82b; R. 396c5, 423e6, 538d3; Arist. EN 1124b29; in ambito politico Isoc. 12, 31, 18, 32; Aeschin. 1, 1, 3, 129; D. 24, 190. §§ 30-33 ... Dione tira le somme della sua lezione: il saggio non considera beato se stesso o un altro a motivo della fama e dei beni e dei piaceri del mangiare o del bere o dei rapporti sessuali né litigherebbe per ottenerle. Egli impreziosisce 115 la sua argomentazione con due allusioni: una mitologica a Danae, l’altra storico-letteraria all’episodio di Alcmeone narrato da Erodoto. § 31 ... il mito narra che Acriso, padre di Danae e re di Argo, apprese da un oracolo, che ella avrebbe dato alla luce chi l’avrebbe ucciso, e rinchiuse la figlia in una camera di bronzo. Zeus, però, invaghitosi della fanciulla, riuscì a introdursi trasformatosi in pioggia d’oro, si unì a lei generando Perseo. Danae e Perseo vennero rinchiusi da Acrisio in una cassa e gettati in mare, Apollodoro Bibliotheca 2, 4, 1. Una delle testimoninaze più celebri del mito è il cosiddetto Lamento di Danae di Simonide (fr. 543), tramandato da Dionisio d’Alicarnasso nell’opuscolo De compositione verborum, 26. Questo è l’unico riferimento a Danae in tutto il corpus dioneo. Vd. su Danae Harder (1997) 305-306. il sintagma venne espunto da von Arnim come interpolazione; § 31 espunzione non accolta né de Budé, il quale però la include successivamente nella lista delle interpolazioni ((1920) 12), né da Lamar Crosby. “torrente”, cf. Pl. Lg. 736b, X. HG 4, 4, 7; in funzione aggettivale “che § 31 scorre d’inverno”, cf. Hdt. 3, 81. In Dione è un hapax. § 31 ... similmente afferma Dione rivolgendosi ai Tarsici ’ , , § 31 ’ , 33, 23. (560-547 a.C.) ultimo sovrano della Lidia appartente alla dinastia Mermonade, celebre per la sua ricchezza, cf. Hdt 1, 30, 32; Teocrito 10, 32; Lucianus Tim. 23 e 42. Negli scritti dionei Creso, così come nella filosofia popolare, è il proverbiale simbolo della ricchezza, cf. Epict. 3, 22, 27 e Billerbeck (1978) 86. Per Dione egli veicola, tuttavia, l’umana incapacità di comprendere la volontà divina: nella Diogene o sugli schiavi il filosofo 116 cinico, volendo instillare nel suo interlocutore il dubbio che i responsi del dio possano essere fraintesi dagli uomini, menziona la paradigmatica esperienza di Creso, il quale ritenendo di interpretare correttamente l’oracolo, secondo il quale se avesse mosso guerra ai Persiani avrebbe distrutto un grande impero, attraversò il fiume Ali, perse il regno, fu messo in catene e rischiò di essere arso vivo, 10, 26 (cf. Hdt 1, 53, 55 e 84-87). Nella In Atene sull’esilio Dione accenna ai propri timori dinanzi al bando ed alle incertezze che l’esilio aveva fatto nascere in lui, ma lo rinfrancò il ricordo di Creso, a cui Apollo aveva vaticinato di abbandonare la propria patria di buon grado e di non vergognarsi se anche gli altri uomini lo avessero deriso considerandolo un vile, 13, 6-7 (cf. Hdt. 1, 55). Nella prima Sulla fortuna Dione dimostra di conoscere l’episodio della morte del figlio di Creso che il re cercò inutilmente di salvare, 64, 1 (cf. Hdt. 1, 34-45), e della visita di Solone presso il sovrano lidio, 64, 27 (cf. Hdt. I 30-33). Sulla figura di Creso nella letteratura antica si rimanda a Högemann (1999) 858-859 e Schmidt (1999) 858-860. § 31 il Pattolo è fiume della Lidia e affluente dell’Ermo. Il ... riferimento è alla indicazione riportata per primo da Erodoto, il quale scrive che il Pattolo scorrendo attraverso il mercato di Sardi , 5, 101. Nel testo dello storico di Alicarnasso manca però qualsiasi cenno a Creso, che è invece presente in Strabone ’ , , ’ , 13, 4, 5; cf. inoltre Filostrato VA 6, 37, 2. L’oro del Pattolo diviene poi un topos letterario, cf. S. Ph. 394; Dione stesso 33, 23; Lucianus Apol. 14; benché già ai tempi di Strabone (vd. passo sopraccitato) ciò era considerato oramai appartenente al passato; ma come ha ribadito Bowie “the archaism of language and style known as Atticism is only a part of a wider tendency, a tendency that prevails in literature not only in style but also in choice of theme and traetment”, (1970) 3. § 31 ... dei popoli soggetti a Creso la fonte di questo passo è con sicurezza la lista erodotea 117 (...) , : , , 1, 28. § 31 < integrato per congettura da Emperius. Dione non accetta > quindi l’equiparazione, accolta da una parte della tradizione antica, dei Lidi con i Meoni, Kaletsch (1999) 715. § 32 Hrd. 6, 125. Vi è una perfetta aderenza del racconto dioneo a ... quello erodoteo, già notata da Lamar Crosby (1951) 290 n. 1, sia sul piano della narrazione, sia su quello puramente terminologico. Constatiamo che Dione riprende di peso alcuni vocaboli presenti nel racconto dello storico di Alicarnasso: , , , , in , Dione; , ... , , , in Erodoto. L’episodio viene riadoperato da Dione anche nell’orazione Sulla prepotenza, senza però che Alcmeone venga citato, il discorso subisce una certa generalizzazione con i conseguenti adattamenti funzionali al presupposto ideologico dello scritto: Creso desiderando mettere alla prova l’insaziabilità e l’avidità degli uomini fece introdurre diverse persone nella stanza del suo tesoro, invitandolo a portare con sé ciò che potessero , , , 17, 22. § 32 figlio dell’Alcmeonide Megacle, guidò le truppe Ateniesi durante la Prima Guerra Sacra; fu il primo Ateniese a vincere ai giochi olimpici nella specialità corsa dei carri, nel 592 a. C. Si rimanda a Davies (1971) 9688. § 32 Solone è posto in antitesi ad Alcmeone ed ha la perspicua funzione di dimostrare che il saggio disprezza le ricchezze. Dione allude all’episodio narrato da Erodoto (1, 30-33): alla domanda di Creso su chi egli ritenga l’uomo più felice, Solone indica, suscitanto il disappunto del sovrano, Tello, e i giovani fratelli Cleobi e Bitone; il 118 politco e poeta Ateniese, risoluto, ribatte: , , 32; cf. inoltre in Dione 10, 26 e Plu Sol. 27; e il commento di Asheri (1988) 281-283. Per Dione Solone incarna la figura per eccellenza dell’oratore-politicofilosofo, che già era stata teorizzata da Cicerone nel De Oratore, 3, 54 e sgg: nella Rifiuto di carica in consiglio Solone viene posto tra i pochi filosofi che ebbero incarichi di governo e la cui attività fu utile alla comunità, similmente ad Aristide e Pericle per gli Ateniesi, ad Epaminonda per i Tebani, e a Numa Pompilio per i Romani, 49. 6. Nella Sulla pace e sulla guerra Dione sembra voler precisar che tuttavia non tutti filosofi debbano prestare la propria opera alla politica, certamente non quelli che accettano compensi e il cui esclusivo pensiero sono le controversie private, mentre Solone è posto fra i filosofi per la condotta politica ed fra i retori per la nobile e vera oratoria, 22, 2; cf. Plu Sol. , , 3, 4. Altre volte è citato esclusivamente per la sua attività di politico e legislatore: nella Rodiese viene ricordata la misura che prescriveva la cancellazione dei debiti, 31, 69 (cf. Aristotele Ath. 10, 1 e Plu Sol. 15). Un’unica riserva sull’operato politico soloniano viene espressa nella Sulla libertà: le persone lottano perché vogliono attenersi a delle leggi piuttosto che ad altre, benché alcuna di esse corrisponda ad un ideale di perfezione, Solone stesso afferma infatti di non aver dato agli Ateniesi una costituzione corrispondente ai suoi desideri, ma come era consapevole che essi l’avrebbero accolta, 80, 3. Sulla figura di Solone di rinvia a (2001) 705-710 § 32 “il chitone lungo sino ai piedi”, corrisponde al erodoteo; cf., X. Cyr. 6, 4, 2; Paus. 1, 19, 1; 1, 24, 7; 5, 19, 6. Plu Moralia 672; Lucianus VH 1, 13; 2, 46; JTr. 41; E. Ba. 833 ( § 32 ); è hapax in Dione. il verbo non mi pare sia corretto, perché: 1. non si attiene alle linee del racconto erodoteo, peraltro fedelmente seguite ( ); 2. è palesemente 119 illogico che Alcmeone indossi nella sua “vestizione” un chitone lungo sino ai piedi, riempia “la femminea e profonda piega del chitone” (con che cosa?) e si allacci sandali particolarmente grossi. È ipotizzabile che il verbo originario parafrasasse il erodoteo, e che il copista si sia fatto influenzare dal del § 31 (r. 1 von Arnim). È pur vero che Dione sempre in riferimento a questo passo erodoteo scrive , , 17, 22; ma, in questo caso il rinvio è alla sezione del dettato erodoteo che segue la ridicola vestizione di Alcmeone , 6, 125. § 32 corrisponde al ... , erodoteo. “Dio’s piper may well have performed § 32 in a Semelê pantomime”, Lamar Crosby (1951) 290 n. 2; seguito da Elliger (1967) 833 n. 15 “wohl als Art Pantomime”; Luciano in effetti nel De saltatione ci offre una cursoria lista di temi mitologici dei pantomimi tra cui al § 38 i dolori del parto di Leto ( ) e al § 39 Semele bruciata e Dioniso nato due volte ( ). Ciò nonostante rimane poco chiaro perché Dione paragoni Alcmeone che barcolla sotto il peso dell’oro ad un flautista che suona il parto di Semele: se si trattasse di un pantomimo Alcmeone verrebbe paragonato ad un mimo, l’aulete infatti descrive il mito con il solo utilizzo dello strumento musicale. Molto più probabilmente si riferisce in realtà all’aspetto comico delle gote gonfie di Alcmeone simili a quelle di un aulete durante la sua esecuzione, si confronti ad esempio la reazione sdegnata di Atena nel Marsia di Melanippide di Melo per il suo viso deformato dal doppio flauto, secondo la testimonianza di Plutarco De musica 1141a, cf. inolte Aristotele Pol. 1341b2-6. Il riferimento dioneo, certamente dotto, sarebbe non tanto ad un’esecuzione del pantomimo quanto a celebre ditirambo Il parto di Semele ( ) di Timoteo, di cui abbiamo 120 testimonianza in Ateneo, il quale riporta il gustoso aneddoto del celebre citarista Stratonico , ), , ’ , ; 8, 352a. Questa battuta salace di Stratonico ed il riferimento ironico di Dione, se il rinvio è proprio a questa opera, indicherebbero che la musica del ditirambo di Timoteo fosse piuttosto acuta e quindi le guance dell’auleta fossero particolarmente gonfie. Per una più dettagliata discussione della questione si rimanda a Wilamowitz (1903) 70, 110; Ieranò (1997) 164-165; Hordern (2002) 95, 249. Cf inoltre Alceo Messenio / , AP 16, 7, 2-3=HE 55-56), per il quale si rimanda a Gow-Page (1965) II 15. Il termine è fondamentalmente poetico: E. Suppl. 920, Ion 452; Orph. H. 36, 4; ed è un hapax in Dione. § 32 ... corrisponde all’erodoteo , 1, 125; e ripreso da Dione nella Sulla prepotenza , 17, 22. “essere incoronato”, si tratta di un in Dione, Ar. Ra. 393; “it was § 33 common to congratulate a victor in any sort of contest (athletic, dramatic, symposiac, even military, by tying long, trailing ribbonsround his head”, Sommerstein (1996) 191. cf. Esichio § 33 : 3749 e Suda 2109 , si rimanda a proposito a Bossi (1973/1974) 229-230. significa “alzare il collo” in riferimento al cavallo, cf. AP 9, 777, e in senso figurato “insuperbirsi”, cf. Plb. 27, 15, 6. § 33 è un hapax in Dione. è una delle caratteristiche del saggio secondo la Stoa: , , SVF III 637, 20-22=D.L. 7, 117. ’ 121 cf. § 33 ’ , SVF III 638, 25-26=Stob. II 114, 22; e SVF III 637, 20-22=D.L. 7, 117. § 34 sintagma espunto da von Arnim, su suggerimento di Wilamowitz; Reiske aveva espunto soltanto , mentre Emperius aveva congetturato segue pedissequamente von Arnim. “Mir scheint, daß, ; de Budé nicht einen Wortverlust, sondern eine Wortstellung anzeigt, die ich durch den Ersatz von durch < > augenscheinlich und sinnvoll behebe”, Wenkebach (1941) 117. Io proporrei invece , a sostegno Denniston “progressive. This is very common use, particularly in prose, where often introduces a new argument, a new item in a series, or a new point of any kind”, (19542) 351-352. § 33 allusione alle Opere esiodee vv. 25-26: ... § 34 Hom. Od. 10, 210-214. “Il mito di Circe simboleggia qui ... (nella 78) efficacemente la degradazione dei filosofi che non hanno il coraggio e la forza di opporsi alle pressioni del potere, venendo meno alla loro funzione istituzionale”, Desideri (1978) 215. La metamorfosi da uomini in bestie, feroci solo in apparenza, viene intesa metaforicamente: Omero, secondo il punto di vista ermeneutico adottato da Dione in questa occasione, intenderebbe dare al suo pubblico un insegnamento morale sui rovinosi effetti della sregolatezza. L’utilizzo in chiave allegorica di questo racconto è presente in Dione in un altro passo: nella Diogene o sulla virtù il filosofo cinico dice , ’ , , , , , ’ , , 122 , , 8, 21 (su cui si rimanda a Capone Ciollaro (1983) 46; cf. inoltre 32, 64; 33, 58-59. Decleva Caizzi sostiene di poter individuare la fonte del discorso diogenico di Dione nello scritto perduto di Antistene Su Circe, nel quale, il filosofo cinico avrebbe paragonato agli esseri umani mutati in bestie dalle arti magiche di Circe coloro che si abbandonano al lusso e al piacere, (1966) 84-85, vedi inoltre Kaiser (1964) 202. Se l’ipotesi ventilata da Decleva Caizzi risultasse corretta, appurata la similarità del passo nell’or. 78 con quanto detto nell’or. 8, saremmo autorizzati a postulare una dipendenza dallo scritto antistenico anche per il paragrafo della Sull’invidia in esame. Questa operazione ermeneutica dell’episodio dell’Odissea è, però, presente già nei Memorabili di Senofonte: Socrate ammonisce i presenti a non eccedere sia nel mangiare che nel bere ’ , 1, 3, 7. Dione conosceva questo passo: nella Su Omero e Socrate egli a commento del sistema paideutico di Socrate dice , , 55, 11; come nel succitato passo senofonteo , Mem. 1, 3, 8. Plutarco riporta l’episodio degli adulatori di Dionisio, i quali, quando tiranno si interessava di filosofia, si dedicavano alla geometria, ma subito dopo la caduta in disgrazia di Platone e il ritorno del tiranno ai suoi vecchi costumi, , Moralia 60d. Porfirio a commento di Od. 10, 239-240 interpreta in chiave pitagorica la metamorfosi degli uomini in animali , , , . Per una raccolta di passi dionei sulla figura di Circe si rinvia a Kindstrand (1973) 132-133; su Circe in generale cf. Kaiser (1964) 197-213; Beck (1965) 1-29; Dyck (1981) 196-198; Dräger (1999) 487-489. 123 § 34 “like this word has a very negative meaning, indicating the opposite of the ideal Cynic life, i.e. a life of pleasure”, Kindstrand (1976). 218. Per l’uso di in Dione si rimanda a Krapinger (1996) 66-67. cf. Plutarco § 35 ’ , Moralia 68d, su questo passo plutarcheo “non escluderei un riferimento a un detto proverbiale o ad una favola esopica non pervenutaci”, Gallo – Pettine (1988) 192 n. 136. § 36 ... Russell (1992) 157 individua in questo passo un’allusione all’omosessualità, la cui condanna nel corpus dioneo sarebbe costante (Russell fa riferimento ai seguenti passi: 7, 149-152; 4, 102; 36, 8). Houser (2002) 327-353, invece, dopo un’attenta indagine sia della bibliografia precedente che delle orazioni dionee giunge a considerazioni decisamente differenti: la condanna dell’omosessualità in Dione è legata all’occasione del discorso, “unlike Musonius, however, Dio does not condemn male-male relations per se, although he condemns the hedonist’s attempts to gain sexual access to the youths from noble households”, 347. Ed è sulla scia di queste considerazioni che, a mio parere, si deve respingere l’idea che Dione in questo passo dell’or. 77 censuri l’omosessualità; il Prusense in realtà deplora l’intemperanza sessuale umana, che non conosce alcun freno se non la propria fantasia e il proprio arbitrio; il riferimento, come già suggerito contemporaneamente da Jones (1978) 133 e Desideri (1978) 251 n. 80, è a un episodio della storia recente, a un episodio tristemente noto della vita dell’imperatore Nerone: dopo la morte di Poppea Nerone fece castrare il suo giovane amante Sporo per renderlo simile ad una donna. Nella orazione Sulla bellezza di Dione leggiamo un altro riferimento a questa vicenda , ’ , , 21, 6; si veda anche la testimonianza di Svetonio puerum Sporum exectis testibus etiam in muliebrem naturam transfigurare conatus cum dote et flammeo per 124 sollemnia nuptiarum celeberrimo officio deductum ad se pro uxore habuit, Nero, 28, 1; e Dione Cassio , , , , , 62, 28, 2-3. Sulla castrazione in generale si rimanda a Browe (1936), Guyot (1980). § 37 ’ sull’incorruttibilità del saggio si ... confronti la testimonianza di Seneca sul filosofo cinico Demetrio cum C. Caesar illi ducenta donaret, ridens reiecit ne dignam quidem summam iudicans, qua non accepta gloriaretur. Di deaeque, quam pusillo animo illum aut honorare voluit aut corrumpere! Reddendum egregio viro testimonium est; ingentem rem ab illo dici audivi, cum miraretur Gai dementia, quod se putasset tanti posse mutari: Si temptare, inquit, me constituerat, toto ili fui experiendus imperio, de ben, 7, 11, 1-2. “è da notare che questo termine ha in Dione invariabilmente valore § 37 positivo; in quanto definisce, in opposizione a , il comportamento del filosofo, o del vero politico, di fronte ai potenti o di fronte al popolo”, Desideri (1978) 460 n. 3. La (“libertà di parlare, franchezza”) è uno degli aspetti costitutivi della ricca e multiforme leggenda biografica sul filosofo cinico Diogene, pervenutaci tramite le chreiai in Diogene Laerzio ( , , (D.L. 6, 69)), le quali d’altra parte circolavano all’epoca dell’impero romano anche nelle scuole di retorica (Krueger (1996) 223) e “tutta la critica moderna è concorde nel sottolineare l’importanza fondamentale che la «mordacità» nei confronti delle ha nelle raffigurazione di Diogene, della sua e dei ”, Giannantoni (1990) IV 511. Dione non si allontana minimamente da questa tradizione nella sua raffigurazione del filosofo cinico, cf. in particolar modo le cosiddette “orazioni diogeniche”: 6, 57; 8; 3; 9, 7 e Capone Ciollaro (1983) 37. Per una ulteriore trattazione e bibliografia si rimanda a Spicq (1982) 526-533. Del poeta e filosofo epicureo Filodemo di Gadara è conservato uno scritto . Nell’Atene classica esso era termine chiave nell’ideologia e nel meccanismo democratici e 125 indicava il diritto di parola nell’assemblea cittadina (Peterson (1929) 283-285; Scarpat (1964) 29-45; Raaflaub (1983) 517-544, Halliwell (1991) 48-70). § 37 ossimoro, Schmid (1887) I 174. ... forse reminiscenza delle parole che Menelao rivolge a § 37 Telemaco in Hom. Od. 4, 364 “ § 37 presents, as retaining fees or bribes”, LSJ s.v. 2. in senso assoluto “tagliarsi i capelli”, cf. Ar. Nu. 836, ove a commento § 37 “Pheidippides and other young men of high social pretensions wore their hair long, but not artlessly”, Dover (1968) 201. “ (= statio) nel pensiero stoico di età imperiale § 38 (specialmente Epitteto) rappresenta il complesso dei doveri che spettano ad ogni individuo in relazione alla posizione che occupa”, Deisderi (1978) 252 n. 81. Chiara rimane comunque la metafora tratta dall’ambito militare, che nell’ambito della diatriba cinicostoica è di casa: l’uomo saggio, come il buon soldato non deve abbandonare il suo posto nello schieramento. Socrate si rivolge ai giudici , , , , , , , , , , Pl. Ap. 28 -29a. Cf. Epict 1, 14, 15; 3, 24, 31; Lucianus Vit.Auct. 8 e Gerhard (1909) 191 e Billerbeck (1978) 133, 154, 157, 164. 126 gli stoici definivano il desiderio, secondo la testimonianza di Stobeo, § 38 ' , , , , 2, 90, 7 =SVF III 394, 36-38. “incontinenza”, è sinonimo di § 38 . Il suo opposto, l’ , “devient (...), avec Socrate, le fondement de la vertu, aussi indispensable que l’est au marcheur une bonne chaussure. Elle est la première disposition qu’on doive établir en son âme: sans elle, impossible de connaître le bien er de le pratiquer”, (1959) 578. Cf. inoltre la testimoninza di Aristotele , , EN 1145a16-17. L’ era uno dei vizi condannati dalla filosofia cinica e stoica. § 38 il filosofo non solo è chiamato a redarguire ... amorevolmente il suo prossimo, egli è anzi in questo suo sforzo educativo legittimato, secondo la circostanza, a insultarlo; similmente nella seconda or. Sulla regalità il filosofo cinico Diogene dice di Omero , , , 2, 44. Dione, come sottolinea Desideri, “si dichiara spesso contrario alla XXXII, 6; 11; 19; XXXIV, 23; 33”, (1978) 506 n. 25. La caratteristiche negative dei cinici nella rappresentazione di Luciano: , , , è una delle ’ - , , Fug. 14; cf. Peregr. 3, 18, 19. § 38 il filosofo deve adattare la sua predicazione alle circostanze e al suo uditorio: alcuni necessitano aspri rimproveri, altri dolci esortazione. 127 § 38 Hom. Il. 12, 267. ... § 39 sia ... che sono degli hapax in Dione e l’intera espressione è una allusione, soltanto lessicale, al passo senofonteo , , , , Mem. 2, 2, 12. L’argomentazione dionea è però opposta a quella senofontea: nella 78 il filosofo è talmente mite da rappresentare quasi l’ideale compagno di viaggio, mentre nel dialogo socratico“der Reisegefährte zu Land und zu Wasser ... repräsentiert die schwächste Form menschlicher Beziehung”, Gigon (1956) 100. “indecenza, mancanza di vergogna”; tratto proverbiale dell’etica cinica, in § 39 particolare della figura di Diogene, strettamente legata al in speech is , “the counterpart of in action” Dudley (1967) 29; vd. inoltre Giannantoni (1990) IV 492-497; Krueger (1996) 222-239, e per Dione Capone Ciollaro (1983) 40-41. “Die kynische , die jener (Diogene) in den Dienst seiner sittlichen Mission stellte und die zudem eng mit seiner Persönlichkeit verknüpft war ... hatte sich bei den Epigonen, den kaiserzeitlichen Strassenkynikern, zu einer negativen Eigenschaft, ja geradezu zum Zweck entwickelt“, Billebeck (1978) 68. In questo passo della Sull’invidia ha invece la più consueta accezzione negativa di impudenza. l’aggettivo, piuttosto raro, è un in Dione, significa “che non è mai stato § 40 schiavo”, è attestato per la prima volta in Iperide fr. 139a=Suid. sv. Nell’ambito della filosofia ricorre esclusivamente in Epitteto , ’ , ’ , 2, 10, 1. § 40 ... Hdt. 7, 202-225; Dione fa riferimento all’estrema difesa del passo strategico fra il monte Callidromo e l’Euripo da parte dei 128 6000-7000 Greci guiddati da Leonida, durante la seconda guerra persiana, ai primi di agosto del 480 a. C. “Or il est bien connu que cette image de guerres médique jouissait d’une large diffusion. Forgée à l’époque classique, elle est reprise dans toutes sortes de textes de l’époque impériale, notamment dans la meletê, où elle constitue une source inépuisable de sujets, et des morceaux de bravoure”, Pernot (1993) 742. Sulla guerra persiana vd. Lazenby (1993) 117-150. per l’espressione confronta Isocrate: nel § 40 Panegirico descrive l’arroganza di Serse, il quale osò aggiogare l’Ellesponto e perforare il monte Athos nel tentativo di ridurre la Grecia sotto il suo dominio, e in ciò raccolse tutte le forze dell’Asia ( § 40 ), 88-89. secondo il racconto erodoteo è Epialte di Trachis ad ’ indicare a Serse il sentiero che avrebbe condotto l’esercito persiano agevolmente alle Termopili, causando la rovina dei Greci, 7, 213-217. § 40 de Budé: “ Dion n’ eût pas relevé ces details, qui n’intéressent ... en rien la comparaison”, (1920) 12; Geel aveva espunto solo sino a Hertlein, seguito da von Arnim, unicamente la seconda parte, cioè da § 40 ... , mentre a . il passaggio non pare avere alcuna logica connessione con il contesto, e sembra essere quindi una interpolazione, in ogni caso è una possibile reminiscenza di Senofonte cf. Plu Lys. 14, 6 ( § 41 ... , G 6, 5, 28. ). “wie schon in klassischer Zeit, so galten bis in die römische Kaiserzeit heiße Bäder als Luxus. Sie werden sowohl in der Komödie als auch vin den Moralisten erwähnt. Plutarch (Mor. 734 A.B) hält den Wechsel zwischen heißen und kalten Temperaturen für gesundheitsschädlich“, Bernhardt (2003) 217. 129 nella filosofia popolare non erano infrequenti i paragoni con § 41 oggetti: Bione di Boristene, ad esempio, paragona coloro che prestano attenzione alle lusinghe a vasi che vengono trasportati per i manici, vd. Kindstrand (1976) 31-32. § 41 ... cf. quanto lo stesso Dione afferma del cinico Diogene , , § 42 , 9, 8 si confronti quanto Dione scrive sul ... nell’orazione Sulla , legge , 75, 6. § 43 il paragone fra il saggio e il medico è caratteristico anche della filosofia cinica, “der Cyniker ist der Arzt, welcher sie (die Menschen) von dieser Krankeiten (die Lüste) heilen”, Zeller (19225) II 1, 332. Esso diviene presto patrimonio dell’immaginario anche della scuola stoica, come ci testimoniano i frammenti raccolti da von Arnim: frr. III 120, 19; 109, 44; 164, 28. Questa immagine è presente in Dione, talvolta in maniera ossessiva: orr. 32, 10; 34, 26; 57, 5, cf. inoltre Desideri (1978) 152 n. 24. § 43 l’aggettivo è un hapax nel corpus dioneo. L’aggettivo è nell’ambito medico raramente utilizzato relativamente gli strumenti chirurgici utilizzati dal medico: Galeno nel de anatomicis administrationibus scrive che il bisturi più affilato è adatto alla asportazione, quello più smussato invece alla separazione dei muscoli, 2, 244, 7; vd. inoltre 2, 247, 5 e 10. 130 l’espressione è un ossimoro, finalizzato ad esprimere § 43 l’impossibilità per il medico di cauterizzare con una fiamma che non sia ardente, è necessario sottolineare che comunque Dione formula questa impossibilità con un periodo ipotetico della possibilità; l’aggettivo è un hapax in Dione. § 44 Dione introduce un exemplum tratto dalla ... storia letteraria, che svolge il compito di veicolare il presupposto generale esposto nella similitudo del medico. Dione fa riferimento a questo stesso episodio, in maniera peraltro cursoria, nell’or. Nesso o Deianira, il Prusense vi opera una interpretazione razionalistica del mito ’ , , 60, 8: la veste intrisa del sangue di Nesso non è che una metafora della mollezza e del disfacimento morale di Eracle, causati dal suo abbandonarsi ai piaceri della vita agiata. Su tutti svetta per rilevanza la tragedia senechiana Hercules Oetaeus, in particolar modo la struggente preghiera di Eracle, il dialogo fra l’eroe e Alcmena e il Illo, vv. 1290-1516, per il cui commento si rinvia a Zwierlein (1986) 397-412, Averna (2002) 220-241. Per una ironica allusione allo stesso episodio si rimanda al Peregrino di Luciano, ove viene narrata in forma di epistola la storia di Peregrino, finto filosofo cinico, che in occasione dei giochi olimpici del 167 d. C. annucia di gettarsi sul rogo, adempiendo finanche la sua promessa, e si richiama all’eroe cinico per eccellenza: , 33; sulla figura di Peregrino e la sua interpretazione si rimanda a Jones (1986) 117-132; Hornsby (1991) 167-181; Macleod (1991) 269-276. § 44 Eracle rappresenta nell’armamentario mitico-ideologico dioneo una delle figure più rilevanti di indiscussa matrice cinica. L’innalzamento di Eracle a modello di vita, sanzionato da Diogene di Sinope, D.L. 6, 71, era già avvenuto con l’apologo di Ercole al bivio di Prodico tramandatoci da Senofonte nei Memorabili, 2, 1, 20-34= D.-K. 84 B 2, vedi a commento Alpers (1912); Unterstein (19672) II 178-189; Kuntz (1994) 163-181. L’immagine della scelta di Eracle fra la virtù e la voluttà viene ripresa da Dione nella prima orazione 131 Sulla regalità, 1, 50-84; cf. Massimo di Tiro 14, 1 e Trapp (1997) 126. Per una messa a punto sulla figura di Eracle nella letteratura del periodo imperiale Höistad (1948) 50-61. Derichs (1951); Nilsson (1922) 310-316; sulla fortuna della figura di Eracle nella cristianità Sparn (1984) 73-107; Faraone (1994) 115-136; dal punto di vista iconografico Boardman (1988) LIMC IV 728-838. il verbo è un in Dione; l’immagine di Eracle che ordina di essere § 44 collocato sulla pira ritorna nell’or. Nesso o Deianira, dove Dione utilizza , 60, 8. Il significato del verbo in questo passo è quello assai raro di “burn as on a funeral-pyre”, LSJ s.v 2. Cf. Erodoto, il quale difatti impiega il verbo proprio in questa accezione: 3, 45 e 4, 69. § 44 ; TrGF fr. 126. Emperius, seguito da Kannicht e Snell, ’ ... propone in apparato : ’ . Wilamowitz (1893) 24 “neque credibile cantico tragico inductum fuisse Herculem his vel Pindaro dignis dactyloeptritis filios obiurgantem quod rogum Oetaeum accendere vererentur , ’ . Quae ducibus numeris bene restituta esse puto.” Tucker (1904) 431 per improbabile propone un “i.e. ‘ (petted) nurselings.’ They were (Aesch. S. c. T 777).” § 45 ... si tratta della esortazione che contestualizza sia la similitudo del medico che l’exemplum di Eracle: l’uomo assennato non può esimersi dall’essere franco e libero con se stesso e con gli altri. Nelle Leggi platoniche l’Ateniese sostiene l’importanza 132 delle presenza nello stato di un un uomo coraggioso che in pienà libertà dica ai propri cittadini ciò che ritiene giusto, Lg. 835c. cf. la domanda che Fedra rivolge alla nutrice sulla § 45 natura del farmaco che debba procurarle la guarigione ;, E. Hipp. 516. “l’avvio immediato all’insorgere del pathos è dato dalla violenza con cui § 45 un’impressione esterna irrompe in noi. Questa però può agire solo se l’anima non ha la forza di resistere, non avendo in sé, come sicuro possesso, la nozione del destino dell’uomo. La vera causa del pathos è quindi la mancanza di quella nozione, l’agnoia”, Pohlenz (1967) I 297. § 45 Crisippo afferma che ’ , , , SVF III 394, 41-2. § 45 il termine compare relativamente tardi nella letteratura greca, la prima attestazione è in Diodoro Siculo (I° sec. a.C.; 24, 2, 1) per divenire quindi più usuale: vd. J. Vit. 295; Plu. Rom. 20, 7, Crass. 2, 5; App. Mac 16, BC 1, 3. Il corrispettivo classico (anch’esso in verità raro) è : cf. Hrd. 8, 55; Pl. R. 470a; Aeschin. Contro Ctesifonte 157. Nel corpus dioneo compare ancora soltanto nell’Agli Alessandrini: gli effetti nocivi e degradanti degli spettacoli teatrali possono essere ancora avvertiti agli angoli delle strade e lungo le vie per parecchi giorni, come le conseguenze di un incendio sono visibili a tutti per lungo tempo, 33, 42. § 45 si tratta di hapax in Dione. Nel linguaggio medico il termine indica la guarigione dai mali fisici (cf. Hp. Coac. 378), e su questa doppia valenza semantica gioca Dione, riallacciandosi alla metafora del filosofo-medico. Nel linguaggio filosofico indica 133 sia la liberazione dell’anima dai mali spirituali sia la morte fisica: Socrate a colloquio con i suoi discepoli per l’ultima volta sostiene che il corpo e le sue passioni sono la causa delle guerre e divisioni e che l’uomo è loro schiavo, la filosofia costituisce l’unico sollievo. L’uomo sarà più vicino alla conoscenza nella misura in cui sarà in grado di evitare, per quanto è possibile, ogni contatto con il corpo, “finché il dio non vorrà liberarci ( ”, Pl. Phd. 67a. Questa concezione ebbe nell’antichità grande fortuna e fu ripresa fra gli altri dal filosofo Epitteto, allievo, come Dione, del filosofo stoico Musonio: l’uomo non deve anticipare la propria morte per il desiderio di affrancarsi dal questa schiavitù terrena, deve invece attendere il segno del dio che , 1, 9, 16, cf. inoltre 1, 29, 63, ove Epitteto sostiene che la deve liberare dai padroni di ogni essere umano: la morte, la vita, il piacere e la fatica. Secondo la pseudo-epicurea Lettera ad Erodoto riportata da Diogene Laerzio l’atarassia si fonda sulla libertà da ogni errore e turbamento e che l’applicazione della dottrina teorizzata da Epicuro permette di rintracciare la causa di tali paure e di liberarsene ( 82. ), 10, 134 Bibliografia 1. Edizioni: REISKE, I. I. (1798), Dionis Chrysostomi orationes, I-II, Lipsiae. DOUKAS, N. (1810), Dionis Chrysostomi octaginta, Vindobonae. EMPERIUS, A. (1844), Dionis Chrysostomi opera graece, I-II, Brunsvigae. DINDORF, L. 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