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Intervista a grace murray hopper - didamat-2013

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Intervista a grace murray hopper - didamat-2013
INTERVISTA A
GRACE MURRAY HOPPER
Una pioniera della
programmazione informatica.
 INTERVISTA REALIZZATA DA
PEDRAZZINI OMBRETTA
PER IL CORSO DI DIDATTICA DELLA
MATEMATICA SVOLTO DAL PROFESSOR
GIOVANNI LARICCIA PRESSO L’UNIVERSITA’
CATTOLICA DI MILANO
CHI È GRACE MURRAY HOPPER
 Dovendo intervistare un grande informatico ho scelto una donna
che da molti è definita come «una pioniera della programmazione
informatica»: Grace Murray Hopper, una matematica, informatica e
militare statunitense divenuta famosa per il suo lavoro sul primo
computer digitale della Marina Statunitense, Harvard Mark I e per il
ruolo fondamentale che ebbe nello sviluppo e progettazione del
COBOL, tanto da essere considerata a tutti gli effetti «La nonna del
Cobol».
PERCHÈ GRACE MURRAY HOPPER
 Ho scelto Grace Murray Hopper perché oltre al fatto di essere
stata una donna con un ruolo determinante nella storia
dell’informatica, è stata anche una docente di matematica che ha
accostato i suoi allievi a tale scienza attraverso metodi innovativi ,
pertanto credo che per noi futuri insegnanti possa essere molto
interessante approfondire la sua conoscenza.
I N T E RV I S TA
 OP: Buongiorno Signora Hopper, la ringrazio di aver accettato di
concedermi questa intervista e di avermi gentilmente accolto nel
salotto di casa sua per poterla svolgere.
 GH: E’ un piacere per me poterti ospitare, ho sempre amato
parlare di informatica ed in particolare parlarne «tra donne»,
solitamente l’informatica viene considerata, fin dalle sue origini,
«territorio maschile», ma non è così.
 OP: E’ vero, non si sente molto spesso citare nomi femminili nella
storia dell’informatica.
 GH: I libri di storia sembrano dirci tutti la stessa cosa:
l’informatica ed il computer sono stati pensati, realizzati e fatti
progredire solo da uomini, ma non è così. Ci sono molte donne,
purtroppo sconosciute al grande pubblico, il cui contributo è stato
fondamentale per l’evoluzione del sapere informatico.
 OP: possiamo, quindi, dire che le donne sono presenti nel campo
dell’informatica fin dalle sue origini!
 GH: Certamente! In pochi sanno che c’è una mente femminile
dietro le basi concettuali della programmazione: la figlia di Lord
Byron. Ada Byron Lovelace, è una delle prime menti dell’Informatica
moderna, ha anticipato i principi organizzativi del calcolo automatico
moderno!
 OP: E’ molto interessante quello che mi sta dicendo, le donne
hanno, quindi, avuto un ruolo determinante nella storia
dell’informatica, e lei, Signora Hopper, è stata sicuramente una di
queste!
 GH: Chiamami pure Grace! Diciamo che ho cercato di dare il mio
contributo allo sviluppo della scienza informatica facendo «fruttare» le
conoscenze che avevo maturato in anni di studio e di ricerca!
 OP: Beh, direi che il suo apporto è stato determinante: ha creato il
primo compilatore della storia ed è considerata «la nonna» del
linguaggio di programmazione Cobol!
 Grace scoppia in una spontanea risata
 OP: Non solo, ma è famosa anche per aver coniato la parola «bug»,
di largo uso ancora ed in particolar modo oggi! Come e quando è nata
la sua passione per l’Informatica?
 GH: Direi, nell’infanzia. Fin da bambina mi divertivo a giocare con
macchine e strumenti meccanici. Certo, amavo molto anche leggere,
suonare il piano e poi giocare a nascondino e a guardie e ladri con i
miei fratelli. Però avevo una vera e propria passione per gli strumenti
meccanici.
 OP: Quali strumenti meccanici la incuriosivano di più?
 GH: Sicuramente gli orologi! Mi divertivo a smontarli per capirne
il funzionamento! Pensa che quando avevo sette anni, mentre mi
trovavo in vacanza con la mia famiglia nel nostro cottage sul Lago di
Wentworth in Wolfeboro, nel New Hampshire, cercai di smontare
l’orologio a pendolo!
 OP: Sua madre, sarà stata contenta…
Grace ride di cuore rievocando quel lontano ricordo e prosegue…
 GH: In quella circostanza si arrabbiò molto, però al di fuori di
queste situazioni «stravaganti» mia madre incoraggiò sempre questa
mia attitudine, forse anche perché anche lei amava molto la tecnica e
la matematica come me, quindi credo che mi comprendesse, anzi
penso proprio di aver ereditato da lei questa passione. Nonostante i
tempi, sai sono nata nel 1906, i miei genitori erano convinti che
dovessi ricevere un’educazione qualitativamente uguale ai miei fratelli.
 OP: Quali scuole ha frequentato?
 GH: Ho frequentato due scuole private solo per ragazze la
Graham School e la Schoonmakers School, entrambe in New York, la
città dove sono nata.
 OP: Le piaceva studiare?
 Tantissimo!Quando avevo sedici anni feci domanda di ammissione
per entrare a Vassar College, ma sbagliai la prova di latino!
 GH: Così potei entrarvi solo l’anno successivo nel 1924!
 OP: Quali erano le sue materie preferite?
 GH: La matematica e la fisica, infatti, dopo la laurea nel 1928,
decisi di dedicarmi alla ricerca ed iniziai a lavorare come ricercatrice
nella facoltà di Matematica presso la Yale University.
 OP: Mi sembra di capire che la sua famiglia è stata determinante
nel consentirle di coltivare ed approfondire questa sua passione.
 GH: Certo. La mia famiglia ha influenzato molto la mia
formazione, mia madre, come ti dicevo, era molto appassionata di
matematica e mio padre aveva un costante interesse per la lettura ed
un’insaziabile curiosità, la nostra casa, infatti, era piena di libri. Queste
sono state le cose che mi hanno influenzato per tutta la vita.
 OP: Dopo gli studi come è proceduta la sua vita professionale? E’
riuscita a conciliarla bene con la sua vita privata?
 GH: Sai, credo di essere stata anche molto fortunata, perché le
persone a me care, i miei genitori, e mio marito poi, non solo
capivano la mia passione. Nel 1930 mi sono sposata con l’attuale mio
marito, Vincent Foster Hopper, che era insegnante di inglese presso
l’Università di New York, e, l’anno successivo, nel 1931, divenni
insegnante di Matematica al Vassar College e, nel frattempo
proseguivo la mia attività di ricercatrice presso la Yale University.
 OP: Quali metodi utilizzava per insegnare la matematica ai suoi
allievi?
 GH: I miei metodi erano, forse, un po’ insoliti per quei tempi.
Cercavo di far capire il ruolo della matematica nella vita pratica,
proponendo esempi concreti, dimostrando agli studenti il significato
della matematica attraverso l’esperienza reale.
 OP: Potrebbe fare qualche esempio?
 GH: Per esempio in una delle mie lezioni di statistica feci giocare
gli studenti a bridge e li stimolai a predire i risultati del gioco
utilizzando la matematica.
 OP: Quindi non utilizzava la tradizionale lezione frontale per
insegnare la ma tematica!
 GH: No, ho sempre ritenuto inutile e noioso riempire la lavagna di
numeri e formule e attendere che gli allievi passivamente le ricopino
 GH: per poi studiarle passivamente a memoria. Volevo vedere i
miei allevi attivi, costruttori del proprio sapere e consapevoli del
proprio apprendimento; per questo, spesso, facevo esami all’inizio del
corso in modo tale che i miei studenti si rendessero conto di cosa
avrebbero imparato alle mie lezioni.
 OP: Il suo mi sembra un approccio alla didattica molto moderno e
attento ai bisogni degli alunni.
 GH: Ho sempre pensato che per imparare e mettere a frutto le
proprie conoscenze traducendole in qualcosa di concreto e di utile per
il progresso del pensiero umano, sia necessario apprendere mentre si
agisce e nel contempo riflettere sulle proprie azioni per essere sempre
consapevoli di ciò che si sta facendo. Solo in questo modo le
conoscenze contribuiscono a far crescere e maturare la persona
perché divengono esse stesse parte del suo processo di crescita.
 GH: Sai, Ombretta, è fondamentale che si crei un rapporto
circolare tra la persona ed il sapere tale per cui la conoscenza
arricchisce il patrimonio conoscitivo dell’individuo, e l’individuo
facendo proprie le conoscenze impara a padroneggiarla arricchendole
di nuovi apporti cercando nuove piste di ricerca.
 OP: Mi sembra di intuire che questo approccio al sapere sia stato
determinante nel corso della sua vita professionale.
 GH: Certo, sono sempre stata convinta che la conoscenza non
fosse qualcosa di statico ed immutabile, al contrario, che fosse
qualcosa di dinamico. Ogni conoscenza è uno spunto per
approfondire, ricercare, è uno stimolo dal quale partire per andare
oltre. Se non la pensassi così non avrei potuto fare così tanti anni la
ricercatrice e nemmeno l’insegnante.
 OP: Grace, lei è definita da molti una
pioniera della programmazione informatica,
quando si verificò la svolta nel suo lavoro?
GH: In corrispondenza della Seconda
Guerra Mondiale, quando decisi di arruolarmi
nel corpo di donne volontarie della Marina.
 OP: La Seconda Guerra Mondiale, quindi, ha rappresentato per lei
una svolta personale oltre che professionale.
 GH: Certo, entrare nel Waves fu una scelta coraggiosa, della quale
sono però molto orgogliosa perché mi consentì di servire meglio il
mio Paese.
 OP: Ci può raccontare qualcosa di più di questa esperienza?
 GH: Certo, molto volentieri
GH: Nel 1943 entrai nell’esercito americano,
nel corpo della Marina come Sottotenente
e venni assegnata al Bureau of Ordinance
Computation Project al Cruft Laboratories
dell’ Università di Harvard, dove lavorai con
Il comandante Howard Aiken.
 GH: appena arrivata al Cruft Laboratories «incontrai» il Mark I
computer. Esercitò subito su di me una grande attrattiva, simile a
quella che avevano esercitato su di me gli orologi a pendolo nella mia
infanzia. Non vedevo l’ora di iniziare a lavorare sul Mark I.
 OP: Ci potrebbe spiegare meglio cos’è il Mark I?
 GH: Certo, il Mark I è uno dei primi supercalcolatori digitali
utilizzato dalla Marina USA per calcolare la giusta angolatura nel
 GH: lancio dei missili. Il Mark I, così come i suoi successori Mark
II e III, richiedeva un monitoraggio ed una programmazione costanti.
 OP: In che cosa consisteva il suo lavoro?
 GH: programmavo. Diventai la terza programmatrice del Mark I.
Elaborai formule matematiche per il calcolo delle traiettorie e scrissi
una serie di istruzioni che il computer doveva seguire. Queste
istruzioni venivano tradotte in codice binario, trasferite nelle schede
 GH: perforate da inserire nel calcolatore ed eseguite unicamente
nella sequenza in cui venivano ricevute. Una volta completate tutte le
operazioni il computer era in grado di ripetere le stesse operazioni ad
alta velocità.
 OP: Quali obiettivi si era posta durante il suo lavoro di ricerca?
 GH: Il mio obiettivo era scrivere programmi per computer per
permettere anche ad altri scienziati e a persone comuni di usare il
 GH:computer senza dover dipendere necessariamente da
specialisti.
 OP: un obiettivo molto nobile ma anche molto difficile da
raggiungere!
 GH: quasi nessuno tra i miei colleghi era convinto che fosse
possibile raggiungere un tale traguardo, poiché solo gli scienziati
avevano le conoscenze idonee ad eseguire operazioni del genere.
GH: ero molto determinata a la risolvere questione pertanto negli anni
successivi alla guerra mi dedicai a raggiungere questo obiettivo.
OP: Ci può raccontare meglio cosa fece dopo la guerra?
GH: Terminata la guerra continuai a lavorare come ricercatrice presso
l’Università di Harvard con il mio gruppo di lavoro, e fu proprio in questo
periodo, lavorando sull’Harvard Mark II, che incominciammo ad utilizzare
il termine «bug» per indicare un errore nel funzionamento del calcolatore.
 OP: ci può raccontare come avvenne?
 GH: Insieme al mio staff trovai un lepidottero all’interno di un
relay del Mark II che aveva provocato un arresto del sistema e così
per prima intesi il «debug» come la rimozione degli errori di
programma.
 OP: ed il suo obiettivo di creare un programma che rendesse il
computer accessibile a tutti si stava concretizzando?
 GH: certo, impostai un programma che liberò i programmatori
dall’esigenza di scrivere in codice binario e strutturato in maniera tale
che ogni volta che il computer era chiamato a svolgere una funzione
già nota, il compilatore gliela avrebbe messa a disposizione
prelevandola da una libreria predisposta allo scopo. Realizzai un
sistema che faceva tradurre al computer il proprio codice e che
riusciva a chiamare soubroutine pre-programmate quando necessario.
 OP: Quanto durò questo lavoro?
 GH: Terminai questo programma nel 1952 e lo chiamai
«compilatore A-0». Si tratta del primo compilatore della storia
dell’informatica.
 Deve esserne molto orgogliosa!
 Certo!
 Come proseguì la sua brillante carriera?
 GH: Entrai nella Eckert-Mauchly Computer Corporation, la
società che aveva sviluppato l’ENIAC (l’Elettronic Numerical
Integrator and Computer)uno dei primi computer digitali della storia,
in quel periodo stava progettando l’UNIVAC I, ovvero quello che
sarebbe stato il primo modello di computer commerciale, e,
continuando a lavorare sull’idea di compilatore mi impegnai nella
realizzazione di un programma da utilizzare in ambito commerciale.
 OP: Per quanto tempo lavorò su questo nuovo progetto?
 GH: Lo portai a termine nel 1959 e fu chiamato Flow-Matic. Il
programma divenne poi un modello del COBOL.
 OP: E, quindi, grazie al ruolo primario che ebbe nello sviluppo e
nella progettazione di questo linguaggio che viene considerata a tutti
gli effetti «la nonna del Cobol»
Grace sorride compiaciuta.
 OP: Grace, anche se nel corso dell’intervista non li ha citati è stata
insignita di importanti onorificenze. Ce ne vuole parlare?
 Solitamente non ne parlo mai, però se proprio insisti… nel 1969
ho ricevuto il premio «computer sciences man of the Year»
dall’Associazione dei professionisti dell’informatica. Nel 1986, al
momento del pensionamento ho ricevuto la «Defense Distinguished
Service Medal».
 OP: So che nel 1971è stato istituito il premio annuale «Grace Murray
Hopper Award» per eccellenti giovani informatici professionisti dalla
Association for Computing Machinery, ma non finisce qui nel 1973
diventa la prima persona di nazionalità statunitense e la prima donna in
assoluto che diventa «Distinguished Fellow of the British Computer
Society» e nel 1988 ha ricevuto il premio martelletto d’oro durante la
conferenza di Toastmasters International a Washington.
Grace si alza dalla poltrona del salotto nella quale era comodamente
seduta e prende qualcosa dal cassetto me la mostra: è una medaglia.
GH: Questa è la Medaglia Nazionale della Tecnologia, l’ho ricevuta
nel 1991, ne sono particolarmente orgogliosa poiché ogni volta che la
guardo mi ricordo di essermi impegnata per mettere al servizio della
società non solo americana le mie conoscenze affinchè contribuiscano
al progresso e alla democratizzazione della conoscenza.
 OP: Grazie Grace per l’intervista, per l’ospitalità e per le
importanti parole che ci hai detto.
 GH: Grazie a te per questa bella intervista, spero ci siano ancora
altre occasioni per vederci e proseguire la nostra chicchierata, in
bocca al lupo per l’esame e per il tuo lavoro!
 OP: crepi il lupo! Arrivederci a presto!
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