Trasmettere un Vangelo di libertà - Christoph Theobald
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Trasmettere un Vangelo di libertà - Christoph Theobald
Christoph Theobald, Trasmettere un Vangelo di libertà, EDB, Bologna 2010, pp. 156. Premessa. Nel suo libro Trasmettere un Vangelo di libertà il teologo francese Christoph Theobald invita la comunità credente ed evangelizzante e non lasciarsi paralizzare dalla complessità del messaggio cristiano e a non lamentarsi sullo stato di impotenza nella trasmissione della fede nelle nostre società europee e nella Chiesa, bensì ad "apprendere" lo "stile" di Gesù di Nazaret. Non per imitarlo secondo canoni standardizzati, ma per realizzarlo dentro la propria unicità e irripetibilità. È un accorato invito a fare nostro il tratto specifico della paideia di Gesù, ovvero la sua assoluta disponibilità verso le persone. Egli crea uno spazio di libertà attorno a sé, comunicando, con la sola sua presenza, una benefica prossimità a tutti quelli che lo incontrano. La santità di Cristo si attua e verifica in questa relazione d’amore che è tale perché, pur essendo maestro, Gesù non fa pesare la sua identità di testimone della verità, ma, come si dice di Lui nella lettera ai Filippesi, “spogliò sé stesso”, dismise la figura di maestro per aiutare chi lo incontrava ad ascoltare e ad apprendere la propria identità grazie alla sua parola di verità, a riconoscere e accogliere con libertà motivata, e dunque veramente umana, la salvezza offerta come bella notizia e non come costrizione o ripiego per evitare un castigo [1]. Di seguito si offrono alcune sottolineature, che possono fungere da chiavi di lettura. Il testo, infatti, presenta una pluralità di temi che sfida la sintesi e che richiederebbe un approfondimento maggiore. La fede in Cristo: trasmettere l'intrasmissibile? L'esperienza quotidiana ci insegna che per vivere non c'è altra strada che far "credito" alla vita! Ogni giorno ciascuno di noi è interpellato da molteplici domande. Di fronte al dolore e alle innumerevoli forze di morte che ci abitano ci domandiamo: "La vita merita di essere vissuta? La mia esistenza mantiene la sua promessa? E quale promessa? Che cosa conta? La mia esistenza ha in sé valore? Per chi altro se non per me stesso? E, infine, che valore ha davanti alla mia coscienza?". La difficoltà di credere nella vita implica un atto di fede nella vita stessa. L'esperienza quotidiana, tuttavia, ci mette di fronte ad un'altra verità: l'inalienabile segreto dell'altro. Nessuno, infatti, può credere nella vita al posto di un altro. Nessuna parola esterna, nessuna vicinanza, infatti, per quanto credibile e accorata può convincere un altro a "essere" e a "vivere", nonostante, o forse proprio grazie, il mal-essere che accompagna l'esistenza umana. Lo sgorgare della "fede" nella vita è intrasmissibile: questo ridefinisce e ridimensiona il nostro malcelato senso di onnipotenza, rendendoci liberi per l'essenziale. Date queste premesse, che cosa possiamo "apprendere" frequentando Gesù di Nazaret? Il Nazareno si interessa prima di tutto e innanzitutto alla "fede" iniziale come unica sorgente di vita: "La tua fede ti ha salvata", dice a tanti uomini e a tante donne incontrati in situazioni di necessità. Gesù conosce la nostra fatica a "credere" quando le prospettive della vita sono bloccate e il loro bilancio negativo. Sa anche che nessuno può "credere" al posto di un altro. Eppure, pur riconoscendo il mistero dell'altro, Egli giunge a "generare", in coloro che si rendono disponibili, la "fede" nella vita, facendosi garante di quella promessa di "bontà" e di "beatitudine" che ogni vita porta in sé. Cristo, con la sua vita, rende credibile questa promessa perchè ciò che fa e dice nei suoi incontri sono un tutt’uno con il suo essere. In lui ci sono un’assoluta unità e trasparenza di pensiero, parola e azione che sono manifestazione del Padre. Gesù, secondo Theobald, non definisce la sua identità e non la impone a nessuno. Crea uno spazio di ospitalità e di libertà attorno a sé comunicando, con la sua sola presenza, una prossimità benefica a tutti quelli che incontra. Gesù non impartisce un insegnamento metafisico, etico o morale, ma lascia intuire in modo diverso, a seconda della persona che incontra, una nuova maniera di vedere il mondo e di situarsi in esso. È come se mettesse ciascuno nella condizione di sperimentare la propria conversione, la propria scoperta del Regno di Dio in mezzo a noi. In altre parole, non si presenta come istituzione detentrice di un sistema di dogmi da insegnare al mondo, ma come spazio in cui le persone trovano la libertà di far uscire fuori la presenza di Dio che già abita la propria esistenza. Come nasce la fede in Cristo? Innanzitutto interessandosi a Lui ed entrando in relazione con Lui, scoprendo, così, la sua "passione per l'uomo; la sua simpatia, la sua compassione e il suo tatto quando tocca il punto talvolta doloroso, da cui può emergere il coraggio di credere". Perché siamo così restii a comprendere fino in fondo il vangelo di Dio? La prospettiva della morte discredita continuamente la pienezza di vita a cui tendiamo, la croce sembra negare qualsiasi promessa di vita. Il teologo, e noi con lui, si interroga: la condizione umana può essere ricevuta come vangelo, sì o no? Attraversata dal male sotto tutte le sue forme - fragilità, malattia e sofferenza - e votata alla morte, la promessa che rappresenta il suo risveglio non è forse debole e fragile? Attingendo alla tradizione biblica, Theobald mette in evidenza l'itinerario esistenziale di Gesù, che ha saputo guardare in modo libero alla morte. Ciascuno di noi, per accogliere la promessa di pienezza che la vita ha in sé, e di conseguenza per scoprire la propria esistenza come dono ricevuto, deve disarmare il potere della morte. "La forza delle nostre Scritture cristiane - scrive Theobald - consiste nel mantener, fianco a fianco, queste due figure della morte. Esse non nascondono il potere di una morte che arriva per effrazione e in modo drammatico, sempre troppo presto e in modo inatteso, sfigurando l'essere umano e spossessandolo di ogni libertà. È anche quella morte che gli esseri umani sanno darsi trasformando, spesso per paura, la loro umanità in bestialità (...). Ma c'è anche un'altra immagine della morte, collegata alla libertà, al dono di sé, alla capacità di mettere in gioco la propria esistenza per l'altro: immagine più discreta, offerta alla libera scelta di ogni essere umano. La coscienza di essere mortali, allora, può diventare luogo di conversione”. Quali condizioni sono necessarie per trasmettere la fede in Cristo? Theobald riprende un concetto a lui molto caro, quello di abitare il mondo secondo la "santità ospitale" di Gesù di Nazaret. Tutto il modo di essere di Cristo è ospitale, Egli è totalmente, senza condizioni, ospitale di fronte a chiunque si presenti. Come il suo Maestro, anche il credente è chiamato ad essere semplicemente presente, in modo coerente, gratuito e disinteressato, a se stesso e all'altro. Naturalmente per vivere un'ospitalità senza frontiere è necessario, attraverso la preghiera, ascoltare la voce del Padre e affidargli gli uomini che si incontrano. A conclusione del primo capitolo, il teologo porta in primo piano il ruolo della Chiesa: essa "genera" e costituisce "presenze evangeliche" credibili. “La Chiesa - scrive Theobald - è prima di tutto il luogo concreto, infinitamente sobrio, di questa ospitalità generosa", è, altresì "il luogo concreto dove si scoprono le presenze del Vangelo secondo le infinite varietà dei talenti degli uni e degli altri: è il luogo dove si sperimentano le varie forme di socializzazione di questi doni a beneficio di tutti". Accedere alla coscienza del peccato. All'inizio del secondo capitolo il teologo definisce e circoscrive il concetto di "peccato", assumendo come punto di partenza per ulteriori argomentazioni la concezione "teologale" del senso del peccato, ossia la "coscienza di aver ferito nel contempo Dio stesso e la propria libertà, la mia e quella altrui, creata a sua immagine e somiglianza". La coscienza del peccato è dunque la percezione di una "ferita": "Percezione di una ferita dell'altro, che diventa allora mio prossimo, ma anche e nello stesso tempo percezione della durezza del mio cuore, che non aveva notato l'altro e che, nel momento stesso in cui lo vede e lo capisce, si sperimenta afferrato da una bontà originaria, che supera l'uno e l'altro e che è per l'uno e l'altro". L'esperienza del perdono fa sì che l'uomo prenda coscienza di ciò "che non ha visto né sentito" e si senta liberato dalla durezza del proprio cuore. Theobald colloca l'esperienza della riconciliazione tra le "situazioni di apertura" che, all'improvviso, aprono una finestra sulla totalità dell'esistenza e invitano l'uomo a ri-pensare e a ri-creare il rapporto con sé stesso e con l'altro. Di qui la necessità - messianica - di mantenere viva la parola del perdono, affinché ciascuno possa uscire dall'insensibilità e scoprirsi viscere sempre nuove nell'incontro con la misericordia di Dio. Il capitolo si conclude con l'invito a lasciar vivere in noi "l'uomo spirituale", ovvero a lasciarsi "trascinare" da Cristo nel combattimento spirituale, a resistere al peccato e al male, e a discernere. Il vangelo della libertà. In ascolto della Scrittura. Nel terzo capitolo l'autore mette il lettore di fronte ad una "provocante" verità: Gesù ha annunciato e realizzato un vangelo di libertà; Egli ha proclamato e vissuto la libertà come vangelo. Theobald suggerisce ai lettori un percorso per ri-scoprirsi figli di Dio, liberi e liberati dall'azione liberatrice di Dio. È un invito a mettersi alla scuola di umanità del Nazareno per spogliarsi di sé e accogliere nella verità la chiamata ad annunciare il Vangelo a tutti. Si tratta di "lasciarsi liberare, attraverso l'altro, dall'attaccamento alla nostra libertà”. La libertà, infatti, "raggiunge la sua espressione più alta quando l'amore dell'altro la separa da se stessa, la distacca in qualche modo dal suo attaccamento a se stessa per condurla verso la verità”. La principale prospettiva di questo capitolo è la vita religiosa come modo specifico, per molti (e secondo un certo stile), di seguire Gesù; ma la prospettiva raggiunge l'esperienza cristiana di tutti i tempi. "Testimoni del Risorto". Avete detto risurrezione? Nel capitolo quarto il teologo propone ed argomenta un "modo di fare" (ripreso dall'esperienza delle Communautes Mission de France) per introdurre il lettore nel mistero della "risurrezione". Si tratta di mettere in relazione le esperienze di risurrezione dei "testimoni" di oggi con la narrazione lucana dell'itinerario di Gesù e dei suoi discepoli dopo la sua scomparsa/ascensione (nel Vangelo di Luca e negli Atti degli Apostoli). A partire dall'analisi delle condizioni che hanno permesso ai discepoli di accogliere la fede in Gesù risorto, Theobald chiarisce alcuni criteri - antropologici e cristologici - per discernere le esperienze di risurrezione nella nostra vita. In sintesi, affinché si possa parlare di "autentiche" esperienze di risurrezione è necessario fermare lo sguardo sul modo di attraversare le "crisi" dell'esistenza, per cogliere, "tra le righe" le maturazioni che esse rendono possibili, la consapevolezza che producono o i cambiamenti di comportamento che innescano, ecc. Lo scontro con il limite, la fragilità, la sofferenza, la morte, inoltre, può essere interpretato come "un'esperienza di risurrezione" purché sia vissuto nell'abbandono completo e faccia maturare l'acquisizione di una libertà più grande e "la capacità di resistere al male in tutte le sue forme". Infine, una crisi attraversata può essere percepita come "esperienza di risurrezione" nella misura in cui "l'assoluta singolarità dell'esperienza crea, nello stesso tempo, delle solidarietà e dei legami indistruttibili". Theobald conclude il capitolo invitando i testimoni del Risorto a leggere e interpretare i segni della risurrezione nel cuore della storia e dell'umanità, "risalendo" sempre a Dio, Sorgente e Donatore di ogni bene. Gli ultimi tre capitoli del libro vogliono aiutare il lettore a progredire nella comprensione interiore dei misteri centrali del cristianesimo: lo Spirito di santità, Cristo e la Trinità, la creazione e il suo futuro, la presenza della Chiesa nella società. Puntuale e articolata, fin dalle prime pagine, la "diagnosi" storica della situazione attuale del cristianesimo e della Chiesa nelle nostre società dell'Europa occidentale, che ci ha condotti a un modo specifico di comprendere il Vangelo di Dio. Come sottolinea l'autore stesso, "la diagnosi non viene sviluppata in termini di crisi, ma presentata come nostro kairos, nostro momento favorevole a partire dal mistero di Dio. Conclusione In conclusione Theobald mette in luce il valore della prossimità, autentica chiave di volta per incontrare la domanda di senso di chi ci vive accanto. Domanda di senso che la nostra prossimità non potrà mai colmare pienamente, perchè il semplice fatto di dire a qualcuno: "Beato te..." - e dirlo in modo credibile - non lo rende beato. "Per esserne con-vinto - scrive il teologo - nonostante le sofferenze e il volto minaccioso della morte, bisogna che quel qualcuno se lo senta dire egli stesso, dal profondo di sè stesso". C'è bisogno che Gesù si riveli in lui rivelando la sua stessa identità. Infatti, la beatitudine che parla in noi, viene da altrove: viene da un Altro. La prossimità e la parola scambiata tra esseri umani, benché insufficiente e parziale, rivela la scoperta straordinaria della paternità di Dio. L'inattesa prossimità di una persona a fianco di un'altra persona, infatti, è portatrice di una presenza sproporzionata rispetto a ciò che una vita umana sembra poter assicurare. Il testo si conclude con l'invito ai credenti e alla Chiesa ad essere presenze "galileane" e a tessere un paziente e significativo lavoro relazionale; a giocare il ruolo di "rivelatori" e di "traghettatori", rendendosi prossimi e accompagnando la maturazione delle nostre esistenze umane. "Quando incontriamo una persona - scrive l'autore - non è la sua fede ad essere immediatamente percepita, né la Rivelazione che la abita, ma il suo irraggiamento, addirittura la sua presenza significativa o "rivelatrice" all'interno dell'immensa rete dei nostri legami (...). Attraverso ciò che è, e attraverso le sue azioni, talvolta con le sue parole, aiuta ciascuno ad accogliere facilmente, in un atto di fede, il suo mistero personale, così come si presenta nella sua vita (...) Talvolta queste persone-segno suscitano l'interrogativo sulla propria identità di credente: Chi sei? Cosa ti fa vivere?...; si innesca una relazione simmetrica di periodo di apprendistato. Allora possono "passare" i racconti evangelici ai loro interlocutori, consegnarli a loro in attesa che si produca l'esperienza di Rivelazione". Solo il contagio del nostro interesse per tutti e per ciascuno, forse, ci meriterà l’interesse di alcuni verso la “sorgente” di vita che per noi è il Cristo. [1] Cfr. Theobald C., Il cristianesimo come stile, I, EDB, Bologna, 2009, 51-54