De ossibus in anphitheatro Flavio effossis:110 anni dopo i
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De ossibus in anphitheatro Flavio effossis:110 anni dopo i
G. MALERBA, P. VISENTINI (a cura di) Atti del 4° Convegno Nazionale di Archeozoologia (Pordenone, 13-15 novembre 2003) Quaderni del Museo Archeologico del Friuli Occidentale, 6, pp. ... De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj Jacopo DE GROSSI MAZZORIN*, Claudia MINNITI**, Rossella REA*** Riassunto - L’animale esotico nell’antichità è sinonimo di animale raro, che desta stupore e ammirazione per la forza, la ferocia e lo splendore dei colori. È per questo che tra gli animali scelti per il commercio con i paesi esotici troviamo non solo specie assenti dalla fauna italiana, come i grandi felini o gli elefanti, ma anche bestie più familiari, come l’orso. Il primo spettacolo di caccia (venatio) venne dato nel 169 a.C.; successivamente gli imperatori trasformarono le venationes in un monopolio statale. La scomparsa dei giochi e degli spettacoli avvenne gradualmente e le venationes comunque resistettero più a lungo fino al 523 sotto Teodorico. I principali documenti che forniscono informazioni su questa attività sono le testimonianze letterarie e iconografiche, tuttavia già dai primi interventi ottocenteschi nel Colosseo sono documentati resti ossei degli animali dei giochi. Scavi recenti condotti nell’Anfiteatro Flavio e nelle aree adiacenti hanno portato alla luce nuovi resti ossei di animali di origine esotica che vengono in questa sede presentati in dettaglio. Summary - De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 after the discovery by Francesco Luzj. Exotic animal means a rare animal that excites astonishment and admiration everywhere for its strength, fierceness and brightness of colours. For this reason roman people, for their shows and pleasure, dealt not only with foreign animals, such as lions and elephants, but also with well-known animals, such as bears. The first hunting show (venatio) took place in Rome in 169 BC; later on the emperors organised all venationes to win the favour of the people. The shows in the Coliseum disappeared slowly and the last venatio was played in 523 AD under Theodoric. Our knowledge of the shows in the Coliseum is mainly related to the literature and iconographic sources, but many archaeological evidences, particularly animal bones, came from the first nineteenth-century excavations in the Coliseum. Other bones from exotic animals were found in recent archaeological researches in the Coliseum and its surroundings; these are presented in detail in this paper. Parole chiave - Colosseo, animali esotici, epoca romana Key words - Coliseum, exotic animal, roman period Scoperte di resti animali nel Colosseo Il primo rinvenimento di resti animali nel Colosseo risale al 1864-65, quando fu sfondata la volta del collettore orientale in cui giacevano crani di specie non meglio identificate1. Nel 1874-75 Pietro Rosa rinvenne nel medesimo collettore un notevole quantitativo di ossa animali2. Lo scopritore consegnò al prof. Ponzi, nel 1894 direttore del Museo di Geologia dell’Università, “per istudio”, ossa “ferine”, alcune pertinenti a iene. Molti reperti furono conservati nel Colosseo fino al 18933, ma la maggior parte fu seppellita presso le Terme di Caracalla. Nel 1879 Rodolfo Lanciani completò lo sterro del collettore occidentale, in parte esplorato da Carlo Fea nel 1813: “ … abbiamo trovato nel fango che riempiva lo speco quattro metri cubi incirca di ossami di vari animali, alcuni dei quali sicuramente adoprati nei giochi anfiteatrali …”4: in particolare sono indicati “ossami di orsi, cani, cavalli etc…” (LANCIANI 1879, p. 37). * Dipartimento di Beni Culturali, Università degli Studi di Lecce Collaboratrice della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma *** Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma 1 ASR, Min.Commercio e LL.PP, sez. 5, tit. I, art. 5 (escavazioni), b. 406, fasc. 37. 2 ACS, MPI,D.G.AA.BB.AA., I v., b .115, fasc. 169, sottofasc. 13. 3 ACS, MPI,D.G.AA.BB.AA., II v., II s., b. 389, fasc. 4374. 4 ACS, MPI, D.G.AA.BB.AA., I v., b. 106, fasc. 141, sottofasc. 28. ** 337 Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea I resti furono analizzati dal Direttore del Museo Zoologico, prof. Leone De Sanctis5: molte ossa erano “o stritolate dal dente di altri animali o da attriti diversi”. Tra i reperti, tutti pertinenti a mammiferi, si distinguevano quattro specie: cavallo, bue, dromedario, orso. Dai documenti d’archivio si evince l’esistenza, presso il Museo Geologico, di due crani d’orso “provenienti probabilmente dagli scavi del Colosseo”, uno dei quali appartenente a un individuo di notevoli dimensioni. Poiché un canino superiore di orso appariva “segato dalla punta”, lo studioso ricondusse all’intervento dei domatori l’azione di spezzare canini e incisivi delle belve mediante bastoni di ferro. Le ossa furono conservate nel Museo Zoologico. Nel 1893 i reperti ossei conservati nel Colosseo furono trasferiti al laboratorio d’Anatomia Comparata dell’Università, accompagnati da un “Verbale constatante” in cui sono elencate 150 “ossa varie”, 228 “ossa lunghe”, 10 “porzioni di teschi”, 4 “corna”6. Nel 1894 Francesco Luzj, incaricato dalla Regia Università, studiati i reperti, pubblicò un articolo dal titolo “De ossibus in amphitheatro Flavio effossis”7. Furono individuati da F. Luzj struzzi, cavalli, asini, pochi maiali, cervi, alcuni caprioli, arieti, rare capre, pochi tori e cammelli, molti orsi e cani, pochi lupi, iene, leoni, tigri. La metà delle ossa riconosciute apparteneva a cavalli; come per gli asini, la maggior parte di esse mostrava profonde incisioni prodotte da strumenti affilati; in alcune si notavano i segni dei denti delle belve, caratteristiche rilevate anche da L. De Sanctis su parte delle ossa scoperte da R. Lanciani. Anche alcune ossa di cervo e di capriolo mostravano chiare tracce di dentatura ferina. Gli arieti, invece, recavano segni di strumenti affilati; alcune ossa di orso presentavano incisioni poco profonde. Le ossa di cani appartenevano a molossi e a specie di minori dimensioni. Le ossa di leone erano dodici, tre quelle di tigre. Secondo F. Luzj, le profonde incisioni nelle ossa degli animali domestici quali cavalli, alcune delle quali erano state appositamente resecate, asini e ovini, si spiegavano con l’uso della carne dell’animale, una volta morto, come esca, o semplice pasto per i felini. In effetti Svetonio, a proposito di Caligola (XXVII,1), racconta: “…poiché l’acquisto del bestiame da dare in pasto alle fiere destinate agli spettacoli comportava una spesa troppo forte, egli dispose che fossero sbranati i condannati…”. Tra il 1973 e il 1977, con l’esplorazione parziale dei collettori ipogei nord e sud, posti alle estremità dell’asse minore, furono eseguiti nell‘Anfiteatro i primi scavi archeologici8. I due strati da cui emersero circa 3000 reperti osteologici furono datati rispettivamente tra la seconda metà del IV - inizi del VI secolo e alla seconda metà del III - inizi del IV, coprendo quindi un arco cronologico che va almeno dall’età costantiniana all’epoca teodericiana (GHINI 1988). Le ossa erano pertinenti sia a specie domestiche, o semi-domestiche, in numero prevalente, che selvatiche. Tra queste si individuarono leoni, pantere, orsi, cervi, rapaci e cigni. Le specie domestiche furono distinte in resti di pasto degli spettatori, polli, suini, oche, bovini, ovini; animali da trasporto usati nei sotterranei, cavalli, asini; animali da compagnia, cani e gatti. In realtà non è possibile escludere la partecipazione alle venationes di bovini, ovini, cani, cavalli e asini. Dati relativi alle epoche precedenti provengono dallo scavo eseguito nel 1997 nel corridoio LXVIII del I ordine. Sono state analizzate faune provenienti da strati inquadrabili tra l’età flavia e il XVIII secolo. Gli strati che interessano l’uso originale dell’edificio sono cinque, di cui uno risalente a età flavia, i rimanenti al III d.C., formatisi all’interno di condotti. Nello strato ascrivibile alla fine del I secolo sono emersi due soli frammenti ossei pertinenti a un maiale, riconducibili a residui alimentari. Dai depositi del III secolo, invece, sono emersi 743 reperti faunistici, 253 dei quali, corrispondenti al 34% ca. del campione esaminato, sono stati sicuramente riferiti a singole specie9. Queste sono rappresentate in percentuale minima da soggetti utilizzati nelle venationes: felino, probabilmente un leone o un leopardo (un esemplare); volpe, (un es.); cervo (un es.); cinghiale (un es.). Di dubbia pertinenza, alla sfera ludica o alimentare, sono i resti di bue (due es.); pecora (un es.); pecora/capra (tre es.); lepre (un es.). Non è, parimenti, possibile escludere la partecipazione a venationes dei due esemplari di cane individuati, mentre sicuramente riferibili alla sfera alimentare sono i resti di pollami, pesci, volatili e, soprattutto, maiali, rappresentati da ben 24 individui. Ossa di leopardo, insieme a un osso di struzzo e ad alcuni resti di orso, furono rinvenuti negli anni ’80 del XX secolo all’interno di una fogna nella piazza del Colosseo, e a questo collegata, durante gli scavi condotti nell’area della Meta Sudans, in strati datati al V-VI secolo (DE GROSSI MAZZORIN 1995). 5 ACS, MPI, DGAABBAA, I v., b.105. 6 ACS, MPI, DGAABBAA, II v., II s., b.389. 7 Vedi anche ACS, MPI, DGAABBAA, II v., II s., b.389. 8 Lo scavo fu promosso e diretto da C. Mocchegiani Carpano (REA 2000). 9 Lo studio dei reperti faunistici rinvenuti nel corridoio LXVIII dell’Anfiteatro Flavio è stato effettuato dalla dott.ssa C. Minniti. 338 De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj Nel 1999 sono stati scoperti nei sotterranei, in strati databili dall’età pre-flavia al VI secolo, 286 resti faunistici, in maggioranza riconducibili a residui alimentari, a eccezione di un cervo databile a età flavia e di un frammento di orso, inquadrabile tra i secoli V-VI. Rispetto alle migliaia di felini e, in generale, animali selvatici, che le fonti letterarie documentano esibite nell’Anfiteatro, il quantitativo di ossa rinvenuto, a confronto di quelle pertinenti a specie non selvatiche, appare esiguo. A titolo esemplificativo, si considerino solo gli 11.000 animali uccisi nel corso delle venationes con cui Traiano celebrò uno dei suoi trionfi nel 107, anche se parte degli spettacoli si svolse al Circo Massimo. Non sempre è possibile distinguere le specie e gli esemplari che parteciparono alle venationes da quelle destinate a esclusivo scopo alimentare. È probabile che le due categorie si fondano: non è da escludere, infatti, che i resti di cavalli, asini, ovini, cinghiali, cervi, lepri, caprioli, che avevano partecipato alle venationes, fossero poi destinati a uso alimentare umano. Testimonianze in tal senso sono contenute nell’Historia Augusta, a proposito delle distribuzioni al popolo, disposte da Gordiano I e Probo, degli animali che avevano partecipato alle venationes. Forse una quota era distribuita anche tra i venatores superstiti, mentre il resto, comprese le carni feline, era lasciato agli animali del vivarium. Sicuramente recuperate erano alcune parti, come le zanne degli elefanti e le pelli di tigri, leopardi, leoni, scimmie, riconsegnati al proprietario delle bestie, cioè l’imperatore o il magistrato che aveva offerto lo spettacolo. Bisogna quindi immaginare, durante la venatio e al termine di questa, un grande lavoro di macellazione e smistamento: gettate nelle fogne le parti inservibili, si recuperava quanto ancora commestibile. Dall’Anfiteatro dovevano partire carri colmi di carogne di animali da dare in pasto alle belve custodite nei vivaria, mentre il resto, macellato sul posto, era avviato verso altre destinazioni. Anche i resti della macellazione erano gettati nelle fogne del Colosseo. Si sottolinea come non risultino notizie di rinvenimenti di ossa di elefante. (RR) Gli animali esibiti nel Colosseo secondo le fonti letterarie Dall’inizio del II secolo a.C. si diffuse in Italia, per influsso ellenico, il gusto per la caccia, venatio, come attività ludica (REA 2001)10. Gli spettacoli anfiteatrali costituirono la massima espressione della passione venatoria che, durata circa settecento anni, raggiunse il culmine nei primi tre secoli dell’impero. La sola città di Roma, massima consumatrice di animali da spettacolo, necessitava, soprattutto durante l’età imperiale, di un rifornimento continuativo: bestie di ogni tipo dovevano essere disponibili, e in grossi quantitativi, in ogni momento. Considerando il numero annuale di giorni dedicati alle feriae nella capitale, che in età augustea ammonta a 77 giorni e nel IV secolo a ben 177, di cui dieci fissi dedicati ai munera dei questori e 98 celebrazioni imperiali, spesso occasione per offrire spettacoli supplementari, ben si comprende come una così ingente richiesta potesse essere soddisfatta solo attraverso un’organizzazione massiccia, capillare e puntuale (TANTILLO 2000). L’idea delle venationes sembra derivata ai Romani dalle battute di caccia alle belve cui avevano assistito in Africa al tempo della battaglia di Zama, nel 202. La prima venatio pubblica a Roma fu offerta nel 186 a.C. da M. Fulvius Nobilior, per celebrare la sua vittoria sull’Etolia, con un’esibizione di leoni e pantherae11. Nel 169 gli edili curuli P. Cornelius Scipio Nasica e P. Lentulus mostrarono 63 pantherae, 40 orsi e persino elefanti12. Gli spettacoli si svolgevano nel Circo Massimo, nel Foro romano e, fino alla costruzione del Colosseo, negli anfiteatri lignei o in parte lapidei costruiti nel Campo marzio. Il Colosseo, inaugurato da Tito nell’80 d.C., fu utilizzato come luogo di spettacolo fino al 523. Gli animali erano variamente utilizzati non solo negli spettacoli di caccia, con partecipazione, o meno, di cacciatori, ma anche nelle esecuzioni di condanne a morte. Le fognature del I ordine, ma anche i sotterranei del monumento, restituiscono migliaia di ossa animali, molte delle quali riconducibili a residui dei pasti consumati dal pubblico durante gli intrattenimenti. Le fonti letterarie informano del numero e delle specie di animali esibiti a Roma, non solo nel Colosseo, ma anche nel Circo Massimo e nella Naumachia di Trastevere (REA 2001). Dione Cassio (LXVI, 25, 4), a proposito dei giochi inaugurali dell’80 d.C., riferisce di due combattimenti, uno tra gru, l’altro tra quattro elefanti, e dell’uccisione di circa novecento erbivori. Molti animali erano ammaestrati: a parte i cavalli e i tori esibiti, nella stessa occasione, in uno spettacolo acquatico, anche i felini erano protagonisti di giochi di destrezza. Il poeta Marziale, testimone degli spettacoli inaugurali13, fu colpito dall’abilità con cui i leoni, afferrata una lepre con le fauci, la liberavano senza arrecarle 10 Polibio, XXXI, 19, 22. 11 Livio, XXXIX, 22, 2. 12 Livio, XLIV, 18, 8. 13 Agli spettacoli inaugurali Marziale dedicò una serie di epigrammi, raccolti nel Liber de spectaculis. 339 Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea danno. Orsi e cinghiali erano spesso utilizzati per comminare la pena capitale: il condannato, legato a un palo o a una croce, veniva pubblicamente sbranato dall’orso. Le fonti riferiscono di orsi libici e artici e di cinghiali arcadi. Fra gli scontri tra soli animali Marziale ricorda due combattimenti: tra un rinoceronte e un grosso toro, conclusosi con la vittoria del primo, e tra una tigre ircana addomesticata e un leone, che ebbe la peggio. I molossi erano usati nelle venationes, ma anche, in gruppo, lanciati all’inseguimento di un singolo cervo o di una coppia di gazzelle. Particolarmente sontuosi furono i giochi allestiti nel 107 da Traiano per festeggiare il trionfo sui Daci: furono uccisi undicimila animali, il quantitativo più ingente documentato dalle fonti14. Nel 148, durante l’impero di Antonino Pio, furono esibiti elefanti, sciacalli, coccodrilli, rinoceronti, ippopotami, tigri e leoni15. Al tempo di Commodo, alla fine del II secolo, è documentata la presenza negli spettacoli a Roma della giraffa e di serpenti16. Con Settimio Severo fu mostrata per la prima volta la iena17 e, durante il regno di Caracalla, apparve anche la zebra18. Gordiano I, in qualità di edile, nell’arco di un anno allestì uno spettacolo al mese: in un solo giorno presentò al popolo cento lybicae ferae, un altro giorno mille orsi. Uno di questi grandiosi spettacoli fu raffigurato in un dipinto della residenza di famiglia: nel quadro si contavano duecento cervi con le corna ramificate, in parte provenienti dalla Britannia, trenta cavalli selvaggi, cento pecore selvatiche, dieci alci, cento tori di Cipro, trecento struzzi della Mauretania, trenta onagri, duecento cinghiali e altrettanti stambecchi e daini19. Tra il 281 e il 282 Probo celebrò il trionfo su Germani e Blemmi con grandiosi spettacoli: nel Colosseo esibì contemporaneamente cento leoni, cento leopardi libici e altrettanti siriani, cento leonesse e trecento orsi20. A partire da Diocleziano, dalla fine del III secolo, Roma cessò di essere regolare residenza degli imperatori, che nel IV secolo visitarono solo occasionalmente la città. Spettò ai magistrati offrire spettacoli al popolo. Tra la fine del IV e l’inizio del V secolo Q. Aurelio Simmaco, per promuovere la carriera politica del figlio, allestì a proprie spese sontuosi spettacoli: alle venationes parteciparono coccodrilli, antilopi, cani e, soprattutto, felini e orsi, questi ultimi provenienti dall’Italia e dalla Dalmazia21. Il generale Stilicone celebrò il suo consolato22 a Roma con venationes di cinghiali, orsi, leoni ed elefanti, in Gallia furono stanati i grossi cinghiali del Reno; nella regione del Tago e nelle foreste dei Pirenei furono snidati gli orsi. Cervi giunsero dalla Corsica e dalla Sicilia, mentre l’Africa fu percorsa alla ricerca di leoni, leopardi ed elefanti. Durante il regno di Teoderico, agli inizi del V secolo, la venatio, persa qualunque caratteristica di spettacolarità, si configurava piuttosto come diretta antecedente dei moderni spettacoli da circo: l’aspetto acrobatico si accentuò, valendosi di animali ammaestrati, soprattutto orsi e, occasionalmente, leoni23. (RR) L’utilizzazione degli animali nel circo in base alle testimonianze archeologiche e le fonti letterarie e iconografiche In base alle testimonianze letterarie, iconografiche e archeologiche sappiamo dell’uso nei giochi dell’arena di animali sia domestici, come cavalli, asini, buoi, tori, arieti e capre, maiali e cani sui quali non ci soffermeremo in questa sede, che selvatici, sia di origine autoctona che esotica, che verranno esaminati in dettaglio. Il presente lavoro prende in considerazione oltre agli animali utilizzati nei giochi del circo anche tutte quelle specie di origine esotica, utilizzate probabilmente per altri scopi, di cui si ha testimonianza nei vecchi scavi e nei campioni archeozoologici rinvenuti più recentemente. Gran parte di questo materiale proviene da diversi settori24 del Colosseo e dalle aree adiacenti (Tab. 1). L’utilizzazione nelle venationes, visto il contesto di provenienza, è maggiormente probabile per lupi ed orsi che non rientravano abitualmente nell’alimentazione ma rimane avvolta nel dubbio per quanto riguarda cervi, caprioli, cinghiali e lepri il cui consumo è ampiamente documentato a Roma in altri contesti (DE GROSSI MAZZORIN 2001; DE GROSSI 14 Dione Cassio, LXVI, 25; LXVIII,15. 15 Scriptores Historiae Augustae,Antoninus Pius,10. 16 Dione Cassio, LXXII, 20, 3. 17 Dione Cassio, LVI, 1, 7. 18 Dione Cassio, LXXVII, 6, 2. 19 Scriptores Historiae Augustae, Gordiani tres, 3. 20 Scriptores Historiae Augustae, Probus, 19. 21 Simmaco, Epistulae. 22 Claudiano, De Con. Stilichonis, III,302. 23 Cassiodoro, Variae,5,42. 24 I resti faunistici provenienti dal collettore ovest del Colosseo furono precedentemente analizzati da M.R. Palombo e C. Petronio di cui è disponibile una memoria scritta presso gli archivi della Soprintendenza per i Beni Archeologici di Roma. La foto del cranio dell’orso è pubblicata in GHINI (1988) p. 105, fig. 5. 340 De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj Cervo Capriolo Cinghiale Lupo Orso Lepre Collettore Ovest 3 2 3 1 21 - Collettore Collettori ind. 1 6 2 4 - Est 1 5 3 3 2 Corridoi ipogei 4 1 1 Cuneo Meta Sudans LXVIII 2 4 3 (US 3641) 9 2 3 16 2 Tab. 1 – Resti di animali selvatici non esotici rinvenuti nell’Anfiteatro Flavio e nelle aree adiacenti. neurocranio denti superiori mandibola denti inferiori denti indeterminabili atlante scapola omero radio metacarpali tibia fibula metatarsali ossa carpali/tarsali prima falange terza falange Totale Collettore Ovest 1* 1 Collettore Est Collettori Ind. Corridoi Ipogei 1 1 1 1 1 2 1 3 3 1 5 21 1 3 (US 3641) 2 1 2 2 1 1 1 1 Meta Sudans 2 1 2 2 4 1 3 1 16 Tab. 2 - Elenco dei resti di orso suddivisi per elemento anatomico (* dalla relazione di M.R. Palombo e C. Petronio). MAZZORIN, MINNITI 2001). Tuttavia un metacarpo di cervo ancora in connessione anatomica con le sue falangi, ritrovato nei corridoi ipogei situati nel versante orientale dell’Anfiteatro Flavio, in uno strato a matrice sabbiosa, posto immediatamente sopra la massicciata pavimentale di età flavia, lascia in questo caso pochi dubbi sull’appartenenza ad un’animale oggetto di una venatio. Sorprende la grande quantità di ossa di orso rinvenuta nei diversi contesti, recentemente indagati, sia dell’Anfiteatro che dall’area della Meta Sudans (Tab. 2, Fig. 1): dagli scavi dei collettori ovest ed est (II-V sec. d.C.) provengono 27 resti di orso, appartenenti ad almeno tre individui, di cui due adulti e un sub-adulto; un frammento della porzione distale di un radio è stato recuperato negli ultimi anni nei livelli di età tardoantica (V-VI sec. d.C.) dei corridoi ipogei (MINNITI cs); infine 16 resti ossei, appartenenti ad almeno 2 individui adulti, provengono dai livelli di V-VI secolo d.C. dell’area Meta Sudans Fig. 1 - Anfiteatro Flavio: ossa di orso. (DE GROSSI MAZZORIN 1995). Testimonianza di questo animale si ha anche tra i resti rinvenuti in precedenza nel Colosseo ed identificati nel 1879 da Leone De Sanctis25. Lo studioso infatti cita nella 25 ACS, MPI, Dir. Gen.AA.BB.AA., I vol., b. 105. 341 Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea “Nota sulle ossa trovate nella cloaca attigua al Colosseo” alcune ossa di orso, fra cui un cranio di esemplare giovane. Nello stesso manoscritto vengono elencati altri due crani di orso conservati presso il Museo Geologico di Roma, anch’essi probabilmente provenienti dagli scavi del Colosseo precedenti il 1879 (REA 2002, p. 240). Negli anni successivi Francesco Luzj, nel primo resoconto pubblicato sulle faune dell’Anfiteatro, fa menzione di numerose ossa di orso (….ossa quamplurima inveni…), fra cui in particolare un cranio di orso giovane, già identificato come tale da George Cuvier (LUZJ 1894, pp. 5-6). La frequente utilizzazione di questo animale negli spettacoli circensi è ben documentata sia dalle fonti scritte che iconografiche. L’orso infatti venne impiegato nei giochi dell’Anfiteatro dalle prime rappresentazioni in età tardo-repubblicana26 fino agli ultimi giochi del 523 d.C., quando le venationes si erano trasformate in spettacoli acrobatici con l’uso di animali ammaestrati. Per quanto riguarda le regioni di approvvigionamento di questo animale, diversi scrittori menzionano l’orso tra gli animali selvatici delle regioni occidentali dell’Africa. Erodoto (IV, 191; II, 67) sostiene che l’orso è presente, anche se raro, in Egitto; Strabone (XVII, 3,7) scrive che i nativi della Mauretania vestivano pelli di orsi (oltre che di leoni e leopardi); Virgilio (Aen. V, 37), Giovenale (IV, 99) e Marziale (Epigrammaton Liber I, 104, 5) citano orsi libici o numidici.Anche Dione Cassio (LIII, 27,6; LIX, 7, 3) utilizza l’espressione “orsi africani” e Oppiano (Cynegetica II, 460-6) menziona gli orsi tra gli animali che l’orice, specie africana, è incline a fronteggiare. Plinio al contrario si meraviglia di questo e ricorda come sia noto da tempo che gli orsi non fossero presenti tra la fauna nordafricana27 (Hist. Nat. VIII 36, 131), come i cinghiali, i cervi e i caprioli (Hist. Nat.VIII 58, 228). Marziale (Liber de Spect. 7, 8) indica anche la Caledonia, regione probabilmente corrispondente alla Scozia attuale, come provincia di rifornimento degli orsi. Certamente venivano impiegati anche orsi di provenienza italica, tra questi si deve ricordare il “lucano urso”, anch’esso citato da Marziale (Liber de Spect. 8). Per avere notizie sulle regioni di provenienza degli orsi per gli spettacoli di età tardoantica si devono consultare soprattutto le Epistole di Quinto Aurelio Simmaco che illustrano i preparativi per i giochi celebrati in onore del figlio Memmio, la prima volta nel 393, la seconda nel 401 d.C. Per entrambi gli spettacoli Simmaco volle rifornirsi di numerosi orsi e in particolare per il secondo ottenne alcuni orsi dall’Italia e dalla Dalmazia e forse da altre regioni ad est e a nord dell’Italia (Simmaco, Epistulae, VII, 121; IX, 132, 142). Anche il poeta Claudiano riporta preziose notizie descrivendo le regioni di approvvigionamento degli animali da spettacolo per i giochi offerti da Onorio e per gli orsi cita il Monte Tago e i Pirenei in Spagna (De Con. Stilichonis III, 302 ss.). Numerose sono anche le rappresentazioni di quest’animale in scene di giochi circensi e in particolare una delle due raffigurazioni28 di spettacoli tenuti certamente nel Colosseo - il rilievo Torlonia mostra alcuni gladiatori che combattono contro un orso e un leone. Appartengono probabilmente a quest’ultimo animale alcune ossa rinvenute negli scavi recenti sia dal cuneo LXVIII (REA 2002, p. 241) che dai collettori ovest ed est dell’Anfiteatro Flavio (Fig. 2). Nel primo caso si tratta di una prima falange di un leone o leopardo29 proveniente dal livello di III secolo d.C., nel secondo di una prima falange dallo strato IIB del collettore est (II-III sec. d.C.) e di un terzo metacarpale ed una prima falange dal collettore ovest (IV-V sec. d.C.). Tutti i resti ossei si riferiscono ad animali di età adulta. Invece una fibula ed una prima falange di leopardo adulto (Panthera pardus L.) sono stati recuperati nei livelli tardoantichi della Meta Sudans (DE GROSSI MAZZORIN 1995, fig. 6). Per quanto riguarda i vecchi ritrovamenti da Luzj sono elencati 12 resti di leone e 3 di tigre (LUZJ 1894, pp. 6-7). 26 Livio (XLIV, 18, 8) narra che nel 169 a.C. gli edili curuli P. Cornelius Scipio Nasica e P. Lentulus mostrarono 40 orsi; invece secondo Plinio (Hist. Nat., VIII, 54, 83) l’orso comparve per la prima volta in una venatio offerta da L. Domizio Enobarbo nel 61 a.C., in occasione del suo incarico come edile curule, in cui furono impiegati 100 orsi numidi e altrettanti cacciatori etiopi. 27 All’inesistente orso nordafricano fu addirittura attribuito il rango della sottospecie Ursus arctos crowtheri, basandosi su materiali di provenienza incerta (KOWALSKI, RZEBIK-KOWALSKA 1991). Non si può escludere che gli “orsi libici” di Marziale fossero in realtà animali originari dal Vicino Oriente, dove la specie forse sopravvive ancora con ridottissime popolazioni nella Turchia sud-orientale, ma che in età storica, anche recente, estendeva la propria distribuzione alle montagne del Libano e dell’Antilibano (MASSETI com. pers.). Si tratta di Ursus arctos syriacus (HARRISON, BATES 1991). Del resto tracce della presenza dell’orso nel Levante le troviamo anche nell’Antico Testamento (Re, 2) nell’episodio che riguarda il profeta Eliseo. 28 L’altra rappresentazione di spettacolo in corso al Colosseo si trova su una moneta di Gordiano III e databile al 238 d.C., sulla quale è visibile un combattimento tra un elefante e grosso toro (REA 2002, p. 229, fig.6). 29 Le ossa in questione, appartenenti a grossi felini (Panthera sp.), non sono state ancora attribuite con certezza a livello specifico. 342 De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj Fig. 2 - Anfiteatro Flavio: ossa di felini. Anche i grossi felini furono grandi protagonisti degli spettacoli: il primo combattimento tra felini si ebbe durante i giochi celebrati dall’edile Quinto Mucio Scevola nel 101 a.C. e secondo Plinio (Hist. Nat. VIII, 16, 53) questo fu il primo spettacolo celebrato a Roma che coinvolse un numero cospicuo di leoni (….leonum simul plurium…). Per Seneca (De Brev. Vitae, 13,5) la prima occasione in cui furono mostrati alcuni leoni lasciati liberi nell’arena si ebbe durante gli spettacoli celebrati da Silla nel 93 a.C.. Le fiere gli furono procurate dal re della Mauretania Bocco I. Leoni, leopardi e altri grossi felini vengono spesso indicati nelle fonti letterarie come pantherae30, o anche africanae bestiae31, oppure libycae ferae32. È probabile che questi termini non indicassero necessariamente il luogo di provenienza ma fossero utilizzati più genericamente, dal momento che questi animali non venivano importati solo dal Nord Africa ma anche dalle province asiatiche. Negli spettacoli celebrati da Probo nel 281 d.C. (Hist. Aug., Probus, 19) furono impiegati 100 leopardi provenienti dall’Africa e 100 dalla Siria. L’importazione dei felini da entrambe le parti dell’Impero romano (Africa ed Asia) è documentata dall’età tardo-repubblicana: nei giochi celebrati dall’edile M. Scauro furono utilizzati sia animali provenienti dall’Egitto, come ippopotami e coccodrilli, che altri (…variae…) probabilmente giunti dalla Siria, dove Scauro soggiornò dapprima come luogotenente di Pompeo e in seguito come governatore della provincia romana dal 65 al 59 a.C. (Plinio, Hist. Nat. VIII, 17, 64; VIII, 26 , 96). Nella prima età imperiale anche le province orientali continuarono a rifornire di animali i giochi circensi, come si legge in una iscrizione in riferimento ad una venatio svoltasi a Palermo in Sicilia (…orientales bestias…) (Dessau, Inscr. Lat. Sel., 5055).Al contrario in età tardoantica le regioni del Nord Africa furono le principali province fornitrici di animali esotici, come attesta Claudiano (De Cons. Stilichonis, III, 302 e ss.) che menziona l’Africa come provincia di rifornimento per i grossi felini (JENNISON 1937, p. 62). Come per l’orso, anche dei grossi felini si hanno moltissime rappresentazioni iconografiche che li raffigurano sia in scene di venationes, che di damnationes ad bestiam e in episodi di caccia da collegare direttamente alla cattura e trasporto di questi animali per gli spettacoli, come nel caso del mosaico della Grande Caccia di Piazza Armerina, solo per citare uno tra gli esempi più famosi33. A proposito del trasporto di fiere con imbarcazioni verso i porti italici si deve ricordare il recente rinvenimento di un mascellare di leone in una delle imbarcazioni scavate a Pisa (SORRENTINO 2000). Le tigri erano importate dalle regioni dell’Asia occidentale, fra cui l’India, la Persia settentrionale e probabilmente la regione del Caucaso. Dione Cassio (LIV, 9, 8) racconta di ambasciatori dall’India che incontrarono Augusto a Samo nel 20/19 a.C. e che portavano in dono alcune tigri34. Marziale (Liber de Spect. XVIII) menziona una tigre proveniente dalla Persia (…tigris, ab Hyrcano gloria rara iugo…)35. Nei campioni faunistici rinvenuti recentemente negli scavi dell’Anfiteatro Flavio non risultano resti di iena, tuttavia LUZJ (1894, p. 6) menziona un frammento di mandibola sinistra di questo animale, conservato allora presso il Museo Geologico, che ritiene fosse quello già identificato in precedenza da Ponzi. Diodoro ( III, 35, 10) e Plinio (Nat. Hist. VIII, 74; 107) la descrivono come “animale etiopi- 30 Livio, XXXIX, 22, 2; XLIV, 18,8. 31 Varrone, Re Rustica III, 13; Simmaco, Epistule II, 46, 76;VII, 122. 32 Ovidio, Fasti V, 371. 33 Recentemente le raffigurazioni degli animali sui mosaici rinvenuti nella villa di Piazza Armerina sono state accuratamente analizzate da M. SARÀ (1995) al fine di identificarne la specie di appartenenza e di verificarne la distribuzione storico-geografica. 34 Questi esemplari non raggiunsero Roma se è valida la notizia riportata da Plinio (Hist. Nat., VIII, 17, 65) che soltanto nel 11 a.C. a Roma venne esibita la prima tigre. 35 Durante il regno di Domiziano furono esibite a Roma numerose tigri negli spettacoli celebrati per festeggiare la guerra contro i Sarmati sul Danubio (Marziale Liber II, 7,8). 343 Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea co”, mentre Dione Cassio (LXXVI, 1, 4) sostiene che la iena venne mostrata per la prima volta a Roma nel 202 d.C. in occasione delle manifestazioni tenute per il matrimonio di Caracalla con Plautilla e la definisce “animale indiano”. Gli storici riportano inoltre che vi fossero dieci iene nella collezione di Gordiano III che furono poi esibite nel 248 da Filippo l’Arabo nel circo in occasione del millenario della nascita di Roma (Scriptores Historiae Augustae, Gordiani tres, 33, 1, 2). Sia De Sanctis36 nel 1879 che Luzj negli anni successivi (1894, p. 5) citano la presenza di camelidi tra le ossa dell’anfiteatro, tuttavia le indagini più recenti non hanno restituito ossa appartenenti a questi animali. Sporadiche sono le segnalazioni dell’uso di questi animali nei giochi; Claudio combattè nel Circo su di un cammello anche se non è chiaro in che tipo di combattimento (Dione Cassio, LX, 7), Nerone mise in gara tra loro quadrighe di cammelli (Svetonio, Nerone, 11) e similmente Eliogabalo esibì nel suo circo privato cammelli bardati, quattro per ogni carro (Scriptores Historiae Augustae, Elagabalus, 23, 1). Infine tra i reperti studiati da Luzj figurano uno sterno, una tibia e un frammento di femore di struzzo (LUZJ 1894, p. 4) mentre un frammento di tarsometatarso proviene dall’area della Meta Sudans (DE GROSSI MAZZORIN 1995). La prima testimonianza scritta della esibizione di uno struzzo a Roma nel circo l’abbiamo da Plauto (Persa, 198, 199) che lo chiama passer marinus. Lo struzzo ricompare tra gli animali uccisi con estrema crudeltà da Commodo (Scriptores Historiae Augustae, Commodus, 8, 5; Dione Cassio, LXXII, 10, 18, 19). Struzzi erano inoltre presenti nella nave fatta erigere nell’arena da Settimio Severo (Dione Cassio, LXXVI, 1) e Giulio Capitolino racconta che Gordiano fece erigere nel circo una fitta selva in cui fece liberare molti animali selvatici tra cui 300 struzzi, (Scriptores Historiae Augustae, Gordiani tres, 3,6,7). Probo in occasione del suo trionfo nel 281 celebrò una venatio nel Circo Massimo in cui piantò numerosi alberi per imitare una foresta e vi fece liberare molti animali selvatici, tra cui 1000 struzzi, che, ad un suo segnale, furono abbandonati all’iniziativa degli spettatori, lasciati liberi di uccidere e di catturare quelli che volessero (Scriptores Historiae Augustae, Probus, 19). (JDGM, CM) Testimonianze archeologiche di altri animali di origine esotica rinvenuti a Roma Alcuni ritrovamenti di resti di animali di origine esotica nell’area urbana non sembrano essere stret36 ACS, MPI, Dir. Gen.AA.BB.AA., I vol., b. 105. 344 Fig. 3 - Foro della Pace: frammento di metapodio distale di camelide. tamente correlati ai giochi dell’Anfiteatro. Infatti ossa di camelidi sono state rinvenute recentemente nel Foro della Pace e nella tomba dei Valerii sulla via Latina. Dal Foro della Pace proviene un metapodio (Fig. 3) rinvenuto in livelli rimaneggiati che sottoposto a datazione con il metodo del radiocarbonio, mediante la tecnica della spettrometria di massa ad alta risoluzione (AMS), presso il Centro di Datazione e Diagnostica Nucleare (CEDAD) dell’Università di Lecce (campione LTL315A) ha dato la seguente datazione calibrata: 420-600 cal AD al 95,4% e 430-540 cal AD al 68,2%. Del metapodio è presente l’estremità distale che è stata segata forse per l’utilizzazione della diafisi come materiale osseo da lavorare. Anche la prima falange proveniente da strati rimaneggiati della Tomba dei Valerii sulla via Latina (Fig. 4) è stata datata nello stesso Centro di datazione (campione LTL316A) e ha dato la seguente datazione calibrata: 80-260 cal AD al 91,6% e 130-240 cal AD al 68,2%. Altre segnalazioni di cammelli in Italia si hanno sempre a Roma alla Crypta Balbi, dove è stata rinvenuta una I falange in livelli del VII secolo (DE GROSSI MAZZORIN, MINNITI 2001), a S. Giacomo degli Schiavoni, in Molise, dove il riempimento di una cisterna databile alla metà del V secolo d.C. ha restituito un frammento di scapola di probabile dromedario (ALBARELLA et alii 1993) e a Verona nei livelli dell’area del “Tribunale”, databili al VI-VII sec. d.C., da cui proviene una terminazione distale di radio di cammello (RIEDEL 1994a). Questo reperto, confrontato da Riedel con alcuni radii di cammello battriano e di dromedario conservati al Museo di Storia Naturale di Vienna, è De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj Fig. 4 - Tomba dei Valerii sulla via Latina: prima falange di camelide. Fig. 5 - Anfiteatro Flavio “Passaggio di Commodo”: spine pettorali di Clariidae. stato attribuito al dromedario. Una prima falange di camelide proviene inoltre dai livelli augustei di Calvatone in Lombardia (WILKENS 1990; 1997) e un’altra, sempre del periodo romano imperiale, da Aquileia (RIEDEL 1994b). Una questione aperta rimane il motivo per cui questi cammelli possano essere stati importati. I cammelli furono in passato sfruttati per molteplici motivi; in epoca romana il loro latte veniva bevuto (Plinio, Nat. Hist., XI, 237; XXVIII, 123) e la loro carne consumata, ma furono sfruttati ovunque e soprattutto come bestie da soma e addirittura nella Tripolitania romana per arare i terreni (TOYNBEE 1973, pp. 137-140). Sicuramente negli eserciti37 rivestiva un ruolo di grande importanza come animale da trasporto se tra gli Anecdota (XXX, 15-16) Procopio cita la follia di Giustiniano per averne abolito l’uso militare. Vogliamo infine segnalare il recente rinvenimento di tre spine pettorali (Fig. 5) e di una prima vertebra cervicale di Clariidae nei livelli di III secolo d.C. del passaggio di Commodo, ovvero un criptoportico utilizzato dall’imperatore per accedere all’Anfiteatro. I pesci del genere Clariidae sono presenti attualmente in tutta l’Africa ma la distribuzione di uno di questi, il Clarias gariepinus continua nel Levante, fino alla Siria settentrionale e le zone adiacenti della Turchia (SKELTON, TEUGELS 1992). È molto comune in Israele in tutti i corsi d’acqua, incluso il Giordano e i piccoli fiumi costieri. Il Clarias è un grosso pesce riconoscibile dal suo corpo allungato e senza scaglie, dalla bocca larga e da quattro paia di barbigli. Uno dei nomi più comuni per questo pesce è “pesce gatto che cammina” perché, come suggerisce il nome, questo pesce è capace di spostarsi sulla terra da una pozza d’acqua ad un’altra quando quella in cui si trova non è più sufficiente alla sua sopravvivenza. Il Clarias appartiene alla famiglia dei siluroidei38, rappresentati nel Nilo da diversi generi (Arius, Bagrus, Auchenoglanis, Chrysichthys, Clarotes, Clarias, Heterobranchus e Synodontis), ma presenti anche in Europa con il genere Silurus (il pesce siluro del Danubio e di altri fiumi dell’Europa centro-orientale) non autoctono dell’Italia. Tutti questi generi, meglio conosciuti sotto il nome di pesci gatto, sono quelli che Plinio nella sua Naturalis Historia chiama genericamente col nome di “silurus”, comprendendo sia quelli del Nilo che quelli europei, e che descrive come pesci di particolari dimensioni39. Nel Nilo sono partico- 37 Ad esempio nel II sec. nella Cohors I Augusta Praetoria Lusitanorum in Egitto erano arruolati 10 cammellieri e nel III sec. nella Cohors XX Palmyrenorum ben 34 (TOYNBEE 1973, p. 139) . 38 Si conoscono attualmente nel mondo circa 30 famiglie di pesci gatto con oltre 2000 specie. I siluriformi presentano una morfologia assai variabile e sono distribuiti in tutti i continenti compreso l’Antartide, dove nell’isola di Seymour sono stati rinvenuti fossili dell’Eocene (GRANDE, EASTMAN 1986). 39 Plinio, Nat. Hist., IX, 44-45: “... di particolare grandezza sono i tonni. Abbiamo trovato che un esemplare pesava 15 talenti, e la sua coda era lunga due cubiti e un palmo. Anche in certi fiumi. Vi sono dei pesci che non si sviluppano meno, il siluro nel Nilo, l’isox nel Reno, l’attilo nel Po: quest’ultimo, per l’inerzia, ingrassa fino a raggiungere talvolta mille libbre; viene catturato con un amo fissato a una catena e non può essere tratto fuori dall’acqua se non da coppie di buoi. E lo uccide un pesce piccolissimo, chiamato cheppia, attaccando e mordendo con straordinaria avidità una certa vena che si trova nelle sue fauci. Il siluro infierisce e attacca, dovunque si trovi, ogni animale, spesso affondando i cavalli che nuotano in superficie. Soprattutto nel Meno, fiume della Germania, viene tratto fuori dall’acqua mediante file di buoi, e nel Danubio con dei ramponi: è molto simile al porco di mare”. 345 Jacopo De Grossi Mazzorin, Claudia Minniti, Rossella Rea Fig. 6 – Saqqara. Tomba della V dinastia di Ti, dettaglio. Filettatura del pesce. larmente diffusi il Clarias anguillaris e il Clarias gariepinus. Loro raffigurazioni sono presenti in numerose pitture dell’antico Egitto, tra le più famose quelle presenti nella tomba della V dinastia di Ti a Saqqara mentre i resti ossei sono stati rinvenuti in numerosi contesti tra cui la necropoli e il tempio di Satet a Elefantina o, in particolar modo, nel tempio di Karnak (VON DEN DRIESCH 1983). Pesci del genere Clarias sono stati trovati in numerosi siti al di fuori della loro distribuzione naturale; per esempio erano presenti tra i resti faunistici rinvenuti a Sagalassos nei livelli riferibili all’occupazione Romano-Bizantina (VAN NEER et alii 1997), a Salamina di Cipro nel VII a.C. (GREENWOOD, HOWES 1973) e a Kommos (Creta meridionale) nel Tempio C in livelli databili tra il 375 a.C. e il 200 d. C. (ROSE 1994). Un’altra spina dello stesso pesce è stata rinvenuta alcuni anni fa all’interno di un pozzo della tenuta di Vallerano nel suburbio di Roma (DE GROSSI MAZZORIN 2000). Questo genere di rinvenimenti pone dunque il problema su quale fosse il motivo dell’importazione di questo pesce nell’antica Roma. Il suo uso alimentare sembra poco probabile perché non si vede l’interesse per un pesce d’acqua dolce, dalle carni non particolarmente gradevoli, in un paese come l’Italia dove non mancavano certo pesci sia di mare che dulciacquicoli di gusto migliore. La vicinanza della tenuta agricola di Vallerano con una necropoli, sviluppatasi principalmente in età 40 Tombe 27, 32, 33, 43 bis e 45 (BEDINI 1995). 346 antonina ma che sembra continuare a esistere nel III secolo, che ha restituito numerose anfore di produzione africana (BEDINI, TESTA 1995) e in cui è stata individuata la tomba di una giovane donna caratterizzata dalla presenza di un ricco corredo di gioielli di fattura orientale, probabilmente siriaca40, ha lasciato anche ipotizzare che in quella zona fosse presente una comunità orientale e che la spina potesse essere legata a un qualche tipo di rituale magico-religioso (DE GROSSI MAZZORIN 2000). Non si poteva infatti escludere che l’osso, per la sua particolare forma, potesse esser stato una sorta di amuleto od oggetto ornamentale. Tuttavia nel Passaggio di Commodo è stata identificata anche una vertebra che lascerebbe quindi cadere questa ipotesi. Molto più attendibile è quindi l’arrivo di un pesce sottoposto a un qualche procedimento di conservazione come la salatura. Del resto la preparazione (filettatura e salatura) di questi pesci è documentata anche nelle raffigurazioni egizie, come ad esempio nella tomba di Ti a Saqqara (Fig. 6). Numerose sono inoltre le menzioni da parte di Plinio della salatura dei siluri nell’antichità anche se il loro uso non era solo quello alimentare ma venivano utilizzati nella farmacopea dell’epoca per guarire o alleviare particolari malattie dell’apparato laringeo, digerente, circolatorio e del sistema nervoso periferico (Plinio, Nat. Hist., XXXII, 90; 93; 94; 104; 111; 119). Inoltre, soprattutto quelli africani erano usati per il parto (Plinio, Nat. Hist., XXXII, 131) o per far uscire De ossibus in anphitheatro Flavio effossis: 110 anni dopo i rinvenimenti di Francesco Luzj le punte conficcate nel corpo41. Quest’ultima proprietà del siluro è riportata anche da Dioscoride (II, 27) il quale scrive che “la carne del siluro salato, in applicazione, tira fuori le spine”. A questo scopo non veniva utilizzata soltanto la carne del siluro ma, come riporta Plinio, anche la cenere della sua spina. Quest’ultima notizia potrebbe quindi giustificare la presenza di questi particolari elementi scheletrici a Roma. Non va inoltre dimenticato che annesso all’Anfiteatro Flavio vi era una sorta di “ambulatorio” per i gladiatori che venivano feriti durante i gio- chi; la presenza delle spine di Clarias del Passaggio di Commodo potrebbe quindi trovare un senso nelle pratiche farmaceutiche che vi si svolgevano. (JDGM, CM) Ringraziamenti Cogliamo l’occasione per ringraziare il Prof. L. Calcagnile, Direttore del Centro di Datazione e Diagnostica dell’Università di Lecce, per le datazioni sulle ossa di camelidi. BIBLIOGRAFIA ALBARELLA U., CEGLIA V., ROBERTS P. 1993, S. 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