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Jefferson e Palladio di A. Miatello

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Jefferson e Palladio di A. Miatello
FORMA E IDEOLOGIA DI JEFFERSON PALLADIANISTA
A VICENZA UNA MOSTRA AL MUSEO PALLADIO
Fulvio Lenzo,
Guidio Beltramini,
Franca Coin,
Filippo Romano
Howard Burns
Mount Rushmore, Dakota, United States (G. Washington, T. Jefferson, T. Roosvelt, A. Lincoln),
Thomas Jefferson, il politico allievo di Palladio.
L’architettura veneta palladiana come fonte d’ispirazione
Di Angelo Miatello e Claudio Malvestio
Di Thomas Jefferson (1743-1826) si sa che è stato il terzo presidente degli Stati Uniti d’America ed il
redattore della prima bozza della Dichiarazione d’Indipendenza, poco della sua profonda conoscenza
dell’opera “I Quattro Libri di Andrea Palladio”. Che senso ha poi di sapere se Thomas Jefferson fu un
erudito e colto uomo politico se viene da molti storici contestato per essere stato anche lui un difensore della
tratta degli schiavi? L’articolo di Francesco Chiamulera “Tra Thomas Jefferson e Palladio.“Come costruire
un mondo nuovo” conclude in modo poco elegante, riprendendo Anthony Louis Marasco, che “se nel
modello di Roma Jefferson trovava esempio ed ispirazione, fu nel modello della villeggiatura, quello di
Plinio: il proprietario terriero, non il cittadino urbano. E qui il cerchio si chiude, con qualcosa d’inquietante.
Non era forse, infatti, quel patrizio romano, un proprietario di schiavi, “strumenti viventi”, come li aveva
definiti Aristotele, fondamentali nella gestione dell’impresa economica? E non fu proprio Jefferson ad avere
retto le proprie fortune sul modello – ideologicamente incerto – del latifondo schiavista, circondato da
servitori di colore? I tratti contradditori e crudeli di ogni impero, di ogni repubblica, sono forse qui: dentro al
confine della cittadinanza, al di qua del limes, l’uguaglianza e la libertà, fuori di esso l’arbitrio e la
sopraffazione.”
Francamente il lettore domenicale del Corriere della Sera che legge questo finale tolstoiano di Chiamulera
non è certamente attratto dal visitare la mostra, che lui stesso non c’era alla vernice stampa di sabato.
E così anche la manualistica italiana che su quest’autore palladianista poco diffonde.
Ora il Museo Palladio di Vicenza, diretto da Guido Beltramini promuove quanto gli Americani sanno
già: che vi è un rapporto stretto tra la nascente potenza e il Veneto. Ma quale Veneto piacque a questo padre
degli Stati Uniti del 18° secolo (eletto presidente nel 1801), quando ormai la Repubblica Serenissima fu
sciolta da Napoleone? Era il fascino rinascimentale ereditato che non smetteva di spegnersi, soprattutto per il
continuo fiorire di ville venete o di palazzi cittadini d’ispirazione neo-classica. Jefferson fu un architetto
autodidatta, molto colto. Per Howard Burns “in Palladio trovò forme architettoniche e idee: Palladio gli ha
mostrato come le tipologie degli antichi romani potevano essere adattate a scopi moderni, combinate con
innovazioni nella costruzione e nella comodità delle case, per fornire un quadro armonioso e razionale per la
vita quotidiana e per la realizzazione di una società nuova”. Ed aggiunge “prima ancora che una mostra di
architettura è la mostra su un uomo, convinto che l’architettura potesse migliorare il mondo intono a sé”; “è
una mostra politica” - rincara Beltramini – “in quanto studia e promuove precisi messaggi di conoscenzacoscienza mettendo al centro l’istruzione.”
Che cosa significava costruire un mondo nuovo di duecento anni fa, quale modello politico aveva in
mente Jefferson?
La mostra nonostante abbia come cornice il fare architettura si svolge attraverso un percorso multimediale
con installazioni, video, plastici, disegni, fotografie e sculture. I piani di lavoro dove sono appoggiati i
plastici, i libri o i disegni sono sistemati in modo tale da poter affrontare un dialogo con quello che viene
proiettato sulle pareti, sebbene le ultime due stanze non sembrano molto agevoli. Ci sono 36 fotografie di
Filippo Romano, i plastici di palazzi e ville palladiani che sono confrontati direttamente con quelli americani,
i bozzetti originali di Canova per la statua di Washington commissionata da Jefferson, ed un catalogo scritto
a più mani.
Beltramini parla di “centralità della cultura veneta, cioè quell’idea di un Veneto di cui non siamo abituati
sentire”.
Il modello della villa, innanzitutto: al tempo stesso unità produttiva (a differenza delle prospettive di
Versailles, dove la contemplazione estetica è fine a se stessa, persino come scopo ludico di inganni e di
illusioni, nell’infinito perpetuarsi del potere assolutista, e forma unica di integrazione estetica con il
territorio, con il paesaggio. D’altronde anche questa “moda del sorprendere e dell’inganno”, il Belpaese non
ne fu esente.
Tuttavia, la residenza privata scelta da Jefferson in Virginia diverrà Monticello traendo spunto dai ‘Quattro
Libri in italiano che la Rotonda sorgerà su un “monticello”.
[Monticello is the autobiographical masterpiece of Thomas Jefferson - designed and redesigned and built and
rebuilt for more than forty years - and its gardens were a botanic showpiece, a source of food, and an
experimental laboratory of ornamental and useful plants from around the world. Fonte:
http://www.monticello.org/site/house-and-gardens/monticello-house]
La sua idea era quella di avere the House “da cittadino” per coltivare la terra e se stesso, attraverso gli
studi, come il patrizio veneziano, spingendosi oltre nella botanica [Monticello was a botanic laboratory of
ornamental and useful plants from around the world. Vegetable Garden: Jefferson grew 330 vegetable
varieties in Monticello's 1000-foot-long garden terrace.Fruit Gardens: 170 fruit varieties of apples, peaches,
grapes, and more grew in Monticello's orchards. Unique Features of the Grounds:The landscape around
Monticello's gardens possess many unique features.]
Jefferson è pure progettista del Campidoglio (Capitol Hill) di Richmond, di edifici del potere civile
americano: della sede dell’Università della Virginia con il campus universitario (una delle più antiche) in cui
al centro ci sta un enorme prato, e più su l’edificio principale “palladiano” che serve anche da biblioteca, di
forma circolare non cubica.
Jefferson pensò all’ordine del territorio come necessario e strumentale all’architettura della
repubblica: il reticolato di meridiani e paralleli che facilmente si può notare in molte contee statunitensi su
una mappa. L’assioma di base è che “tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro creatore di
certi inalienabili diritti e che fra questi vi sono la vita, la libertà o la ricerca della felicità. L’efficace
formulazione di queste self-evident truths (verità lapalissiane), che ancora oggi costituiscono il credo
dell’America, si deve a Thomas Jefferson, all’epoca delegato della Virginia, poi ambasciatore a Parigi,
segretario di Stato e infine presidente, come ci spiega Fulvio Lenzo che ha curato la mostra e il catalogo
assieme a Guido Beltramini.
Per lui “la conoscenza è potere, la conoscenza è salvezza, la conoscenza è felicità” o “l’istruzione
doveva essere laica, pubblica e universale”. Da questi cenni si può ben capire quale fossero le sue
intenzioni nel volere una pubblica università che fosse lontana “dalle torbide lusinghe della città”,
promuovendo nel 1779 per lo Stato della Virginia il Bill for the More General Diffusion of Knowledge che
prevedeva un’istruzione pubblica in tre livelli progressivi…ogni Stato doveva avere la propria università,
ogni district una scuola secondaria e ogni township una scuola primaria. Nel 1806, da presidente, nel
messaggio annuale al Congresso ricorda che soltanto l’intervento pubblico poteva garantire lo sviluppo di
quelle scienze che contribuivano al miglioramento del paese e in alcuni casi perfino alla sua salvaguardia. E
nel 1817, dopo essersi ritirato dalla vita pubblica, lamenta la mediocrità degli uomini di stato che impediva
loro di comprender “l’importante verità che la conoscenza è potere, che la conoscenza è salvezza, che la
conoscenza è felicità”.
Se la democrazia nasce dalla libertà degli individui, questa libertà poteva essere assicurata soltanto da un
adeguato sostentamento economico – e quindi del possesso di terra da coltivare – e dalla capacità di scegliere
con cognizione di causa, cosa che implicava una adeguata livello di istruzione. Istruzione che doveva essere
laica, pubblica e universale”.
Ci fermiamo qui ed invitiamo i docenti nell’accompagnare i loro studenti a visitare la mostra, ricca di
strumenti multimediali che, a dir poco, rendono più facile il mondo dei progettisti, spesso visti più come
“impresari del bello” che “intellettuali eruditi”. Una mostra, come ha affermato Beltramini, che vuole essere
luogo di apprendimento culturale, anzi dedicata alla memoria di Mario Valmarana, indimenticato professore
alla University of Virginia, che spese una vita a creare ponti fra il Veneto di Palladio e la Virginia di
Jefferson.
Thomas Jefferson e Palladio
Come costruire un mondo nuovo
Vicenza, Palladio Museum, 23 settembre 2015 - 28 marzo 2016
http://www.palladiomuseum.org/
A. Palladio, Tempietto di Villa Maser
T. Jefferson, Rotunda, University of Virginia
Thomas Jefferson, Monticello, Charlottesville, Virginia, United States
Thomas Jefferson, progetto per President’s House, © Maryland H.S.
CONTRIBUTI
Guido Beltramini, Fulvio Lenz, curatori della Mostra e del catalogo
Perché fare una mostra su Thomas Jefferson (1743-1826) e Andrea Palladio (1508-1580), e perché
farla a Vicenza? Lo stretto legame fra i due è ormai assodato da quando, un secolo fa, Fiske Kimball
pubblicò la sua monumentale monografia sull’architetto americano. Fu poi James Ackerman, a partire dal
suo intervento nel «Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio» del 1966, a
mettere a fuoco elementi decisivi, non ultima l’origine palladiana del nome Monticello che il giovane
Jefferson aveva imposto alla sua residenza.
Ma cosa voleva dire essere palladiano nell’America di fine Settecento? Certo era diverso da quello che
poteva significare negli stessi anni in Veneto o in Europa, o ancora nell’Inghilterra del secolo precedente.
L’albero genealogico dei palladiani si apre con Vincenzo Scamozzi (1548-1616) e Inigo Jones (15731652), i due «Palladio’s children» che continuarono la ricerca del maestro di cui avevano assorbito metodo e
conoscenza dell’antico. A margine, ma di grande importanza, non un progettista ma un teorico, Henry
Wotton (1568-1639), ambasciatore inglese a Venezia e precoce collezionista di disegni di Palladio, che con i
suoi Elements of Architecture (1624) definì una nuova cultura architettonica «italiofila» in Inghilterra e in
Olanda. Constantin Huygens (1596-1687), un altro intellettuale cosmopolita, questa volta olandese, che
aveva visitato le opere di Palladio e di Jones, insieme all’architetto Jacob Van Campen (1596-1657) è
all’origine di una rivoluzione architettonica che guarda soprattutto a Scamozzi. In Gran Bretagna è John
Webb (1611-1672), cui Jones aveva affidato i propri disegni di Palladio, a collegare la generazione dei figli
naturali e adottivi a quella dei nipoti, dominata da Lord Burlington, che ritrova in Italia nuovi disegni di
Palladio, sostiene architetti come William Kent (1685-1748) e patrocina pubblicazioni, fra cui la traduzione
inglese integrale dei Quattro Libri. Dalla seconda metà del Settecento Palladio diventa un prodotto
principalmente inglese, anche quando viene richiesto dalla Russia di Caterina II, con Charles Cameron
(1745-1812) e con Giacomo Quarenghi (1744-1817). Intanto dall’Italia giungono i primi volumi di rilievi
degli edifici pubblicati da Francesco Muttoni (1699-1747) e Ottavio Bertotti Scamozzi (1719-1790) che
mettono in circolo nuovi edifici e disegni non presenti nei Quattro Libri. A fine Settecento il nome di
Palladio è ormai un brand, sinonimo di una tradizione internazionale che, nel mentre viene recepita, si
aggiorna ai tempi, alle latitudini, ai climi e agli usi di paesi molto lontani e diversi fra loro, modificandosi
anche pesantemente man mano che al testo originario si affiancano quelli apocrifi.
In questa lunga storia, composta di molteplici storie individuali, quando si arriva a Thomas Jefferson si
scopre che, a dispetto della distanza dall’epicentro, Palladio torna protagonista. Certamente deve convivere
con gli esiti dei più recenti studi archeologici, con le novità architettoniche francesi e inglesi e con la ricerca
di un maggiore comfort nell’abitare, ma il testo dei Quattro Libri rimane un interlocutore costante per tutta la
vita di Jefferson. Dai primi incerti inizi della sua carriera architettonica negli anni settanta del Settecento,
sino a Ottocento inoltrato. Quando, a oltre settant’anni, si accinge a progettare il suo capolavoro, l’Università
della Virginia, ha già ceduto al patrimonio nazionale i suoi esemplari dei Quattro Libri e si rivolge all’amico
James Madison per averne una copia in prestito.
Questa mostra è la prima mai dedicata a Thomas Jefferson architetto in Europa, anche se la cultura
specialistica italiana lo conosce bene grazie alle brevi ma acute riflessioni che Manfredo Tafuri affidò a
“Progetto e utopia” già nel 1973, e poi agli studi pionieristici di Margherita Azzi Visentini e Maria Cristina
Loi. Il nostro obiettivo è stato quello di parlare a un pubblico ampio, pur nel rigore della proposta scientifica.
La spina dorsale della mostra è costituita dalle immagini della campagna fotografica realizzata nella
primavera del 2014 da Filippo Romano e dalle parallele ricognizioni nei principali archivi che custodiscono i
disegni di Jefferson, la Massachussetts Historical Society di Boston e la biblioteca della University of
Virginia di Charlottesville. Le stagioni della relazione fra Jefferson e Palladio sono ripercorse privilegiando
il filo delle affinità di visione nel loro progetto di costruire un mondo nuovo basato sull’esempio degli
antichi. Come si ritrova nei progetti di Jefferson per architetture pubbliche a scala diversa, dal Campidoglio
di Richmond alla fondazione della città di Washington, sino alle proposte per la rigorosa griglia a maglie
quadrate della Land Ordinance, da utilizzare come base per l’avvio di una sistematica ricognizione e
mappatura degli inesplorati territori dell’Ovest e per la formazione di un catasto nazionale finalizzato
all’assegnazione delle terre.
Una mostra su Jefferson nel Veneto risente della lontananza dai suoi edifici, in Virginia, ma ha il
vantaggio di avere intorno quelli di Palladio, da potere usare come “metro” per misurare il carattere
innovativo dell’architettura jeffersoniana. Per capire dunque non solo cosa egli prenda da Palladio, ma al
contrario in cosa il suo modo di guardare a Palladio sia stato diverso dagli altri, e quale sia stato il suo
apporto alla tradizione di lunga durata, multiforme e talvolta persino contradditoria al suo interno, che va
sotto il nome – comodo ma impreciso – di palladianesimo. È un modo di capire Jefferson e, al contempo, di
riflettere, e quindi di meglio comprendere, lo stesso Palladio.
La peculiare forma politica dello Stato veneto, sino al 1797 una delle poche repubbliche in un’Europa
di monarchie, opponeva alla figura del cortigiano quella di un’élite di governo costituita da gentiluomini
che costruivano i propri palazzi di città senza lo sfarzo dei principi e risiedevano lungamente in campagna
per curare i propri interessi, vivere sani e coltivare lo spirito con la lettura dei classici. Palladio era il loro
architetto. Le sue ville disegnavano una cornice al loro modello di vita, evidentemente di origine romana, che
non sarebbe passata inosservata agli occhi degli aristocratici liberali inglesi di primo Settecento, ammiratori
della costituzione veneziana, o a quelli di
Jefferson, alla ricerca di un’architettura
repubblicana da prendere a modello per i
nuovi Stati Uniti. Questo progetto di “design
sociale” è forse una delle più longeve fra le
eredità palladiane, senza dubbio accanto a
elementi del suo linguaggio come il pronao su
colonne sul fronte della casa. È commovente
osservare il palladianesimo inconsapevole
degli ex schiavi che, liberati e rimandati in
Africa a metà dell’Ottocento, posero sulla
facciata sulle loro baracche il pronao su
colonne tipico delle plantation houses dei
loro antichi padroni.
Banconote da
due dollari americani
Thomas Jefferson, Academic Village, University of Virginia, Library, Charlottesville, Virginia, United
States
Howard Burns,
Presidente del Consiglio Scientifico
del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio
Il Centro e Palladio Museum di Vicenza si occupa (tra l’altro) dello studio, la discussione e la diffusione
della conoscenza di Andrea Palladio, del suo mondo, delle sue idee e del suo lascito. Questo impegno è
insieme storico e culturale; la sua portata va ben oltre lo studio di Palladio stesso, essendo Palladio figura
chiave in quella lunga storia dell’architettura che ha inizio in Mesopotamia e in Egitto, passando poi per
Grecia e Roma. Palladio è il ponte principale tra l’architettura dell’antichità e quello dei nostri tempi
globalizzati; grazie alla sua conoscenza dei libri di Vitruvio e Alberti l’architetto vicentino s’impadronì delle
forme e dei principi dell’architettura greca e romana, applicandoli alla riconfigurazione di case, chiese ed
edifici pubblici, per creare un mondo migliore. Il suo progetto è – o dovrebbe essere – anche il progetto
centrale dell’architettura del nostro tempo.
La mostra nasce dai nostri interessi scientifici e dalla nostra missione culturale. Si concentra su Thomas
Jefferson, un maestro del sapere del suo tempo, una figura cosmopolita, ma con radici rurali, artefice
fondamentale delle basi intellettuali di una nuova visione del rapporto corretto tra cittadini e Stato, e di una
nuova grande repubblica. L’architettura ha avuto un posto importante nella sua agenda personale e pubblica:
per la propria casa come per la Casa del Presidente della nuova nazione, così come per l’Università e il
Campidoglio del proprio Stato, la Virginia. Jefferson fu guidato nella sua attività di architetto della nuova
America (non solo in senso politico, ma anche in senso letterale), dalla sua ammirazione per I quattro libri
dell’architettura di Palladio, di cui possedeva cinque edizioni.
In Palladio trovò forme architettoniche e idee: Palladio gli ha mostrato come le tipologie degli antichi romani
potevano essere adattate a scopi moderni, combinate con innovazioni nella costruzione e nella comodità delle
case, per fornire un quadro armonioso e razionale per la vita quotidiana e per la realizzazione di una società
nuova.
Jefferson è una figura complessa, geniale e illuminata, paragonabile a un altro grande
riformatore e costruttore, Caterina la Grande di Russia, sua contemporanea, pure ammiratrice di Palladio.
Come nel caso di Caterina, Jefferson realizzò molto, sia politicamente sia in architettura, anche se, come
l’Imperatrice, nel contesto dei loro
tempi non poteva pienamente mettere in atto tutti i suoi ideali e principi. Dobbiamo essere grati a Guido
Beltramini, Fulvio Lenzo e coloro che li hanno aiutati a realizzare la mostra, a scrivere il catalogo e a
costruire modelli in base ai disegni e agli edifici del terzo presidente americano.
Questa mostra ci fa vedere, attraverso i suoi progetti ed eloquenti nuovi modelli, che Jefferson non è stato
solo uno straordinario personaggio politico, ma anche un grande e influente architetto.
Thomas Jefferson, Monticello, “Atrio”, Charlottesville, Virginia, United States - © Langdon Clay 2015
Leslie Greene Bowman
Presidente della Thomas Jefferson Foundation,
Monticello, Charlottesville, Virginia
A nome di tutti a Monticello desidero ringraziare i colleghi del Palladio Museum per
aver organizzato questa pioneristica mostra su Thomas Jefferson.
Nel 1782 il marchese de Chastellux scrisse «… Mr. Jefferson è il primo americano ad aver cercato nelle
opere d’arte insegnamenti per riparare se stesso dalle intemperie».
Thomas Jefferson fu un ammiratore di Andrea Palladio. I primi progetti di Jefferson per Monticello furono
adeguamenti delle ville Cornaro e Saraceno di Palladio. Dopo quarant’anni di ristrutturazioni e ricostruzioni,
la versione di Jefferson di Monticello restò fedele alla sua prima idea di una rinnovata villa palladiana che
domina la cima di una collina.
Architetto autodidatta, Jefferson possedeva cinque edizioni dei Quattro libri dell’architettura di Palladio. È
noto come egli avesse definito il libro di Palladio «la Bibbia», e come l’avesse fatto conoscere ai suoi amici e
colleghi architetti, ampliando così l’influenza di Palladio in America.
Giustamente la prima e l’ultima opera architettonica di Jefferson sono entrambe
riconosciute siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Monticello e l’Università della
Virginia rappresentano le aspirazioni di una nuova nazione e la duratura autorevolezza di Palladio, trasmesse
attraverso gli occhi e l’influenza di Thomas Jefferson.
foto 1-2-3
1. Thomas Jefferson, Bremo Plantation, Virginia, United States - © Filippo Romano
2. Thomas Jefferson, Bremo Plantation, Virginia, United States - © Filippo Romano
3. Thomas Jefferson, Barboursville, Orange County, Virginia, United States - © Filippo Romano
Thomas Jefferson, Virginia State Capitol, Richmond, Virginia, United States - © Filippo Romano
FOTOGRAFARE JEFFERSON
Filippo Romano
Fotografare le architetture di Thomas Jefferson costringe lo sguardo a un gioco ovvio e continuo di analogie
visive con Palladio, un esercizio necessario e pericoloso che rischia di limitare l’osservazione a delle
semplici verifiche. Questo progetto fotografico nasce dal tentativo di scoprire se queste analogie hanno un
senso nell’uso contemporaneo degli spazi progettati da Jefferson. Ho lavorato tenendo sempre a mente delle
anonime foto scaricate da internet, delle cartoline, il dime di un dollaro americano che raffigura Monticello e
un disegno originale su carta millimetrata. Queste immagini sono state una sorta di “sottofondo visivo” che
ha accompagnato i miei spostamenti da un sito all’altro della Virginia, sono servite per dare criticità alla
sorpresa illusoria del primo sguardo, quello diretto, di persona, sulle architetture da fotografare. Non è stato
un esercizio di stile per rifare meglio, ma per trovare una mediazione tra la memoria visiva generica e
disorganica che solitamente vive intorno alle architetture storiche e la loro apparente statica inviolabilità. Il
senso del mio contributo è stato quello di trovare e mettere in discussione quel punto preciso in cui
l’architettura iconica costringe l’osservatore a mettersi per essere rappresentata, il racconto fotografico si è
sviluppato cercando di scardinare con cognizione questi punti di vista pur mantenendo la loro riconoscibilità,
dando implicitamente centralità all’uso dello spazio. La sfida è stata quella di non permettere che l’iconicità
delle architetture si mettesse davanti e dietro l’obiettivo. Documentare oggi Jefferson, le sue ville, le sue
residenze, il campus dell’università, vuol dire mettere la sua architettura in relazione con le incognite del
presente.
Ogni immagine fotografica che nasce dall’osservazione di un’architettura storica si nutre dell’illusione di
essere uno sguardo nuovo su di essa, ha bisogno di questa piccola grande arroganza per esistere e per
affermare se stessa. È una reazione necessaria al rischio che ogni fotografo corre di mimetizzarsi e
confondersi nella retorica dei luoghi e degli spazi fotografati generando un racconto che nel peggiore dei casi
è una sterile amplificazione del “gesto” geniale dell’architetto creatore senza dare punti di fuga o generare
domande vere sull’architettura rappresentata nelle sue immagini. Il fotografo si muove sul filo del racconto
già esistente per trovare un nuovo confine sul quale tracciare la presenza di un altro sguardo e quindi di una
nuova narrazione.
Thomas Jefferson, Academic Village, University of Virginia, Charlottesville, Virginia, United States
Nota biografica su Thomas Jefferson
1743_nasce a Shadwell in Virginia
1769_inizia la costruzione di Monticello
1771_progetta (e inizia a costruire) l’ampliamento del College William and Mary di Williamsburg, poi
rimasto incompleto
Le 13 colonie nordamericane si ribellano alla Gran Bretagna_1775
1776_scrive la bozza della Dichiarazione d’Indipendenza
1776_studia un primo progetto per il Virginia State Capitol a Richmond
1779_è eletto Governatore della Virginia
1783_è eletto al Congresso
1783 La Gran Bretagna è sconfitta e riconosce l’indipendenza alle tredici colonie: nascono gli Stati Uniti
d’America
1784_è inviato a Parigi come ambasciatore: vi resterà cinque anni e visiterà Inghilterra, Olanda, Italia
settentrionale
1785_Land Ordinance
1785-1786_inizia la costruzione, su suo progetto, del Virginia State Capitol a Richmod
1789_Ha inizio la Rivoluzione francese
1789_rientra in America ed è nominato segretario di stato nel gabinetto del primo presidente, George
Washington
1791-1792_collabora con l’architetto C.P. L’Enfant alla pianificazione di Washington
1792_presenta sotto pseudonimo un proprio
progetto per la residenza del presidente degli
Stati Uniti a Washington, la President’s
House
1794_cambio di progetto per Monticello:
abbatte il piano superiore e raddoppia
l’estensione del piano terreno
1796_è nominato vicepresidente
1798_inizia la costruzione, su suo progetto,
della residenza di Edgehill per la figlia Matha
e il marito Thomas Mann Randolph
1801_è eletto presidente degli Stati Uniti
1803_progetta la residenza di
Farmington per il suo amico George
Divers
1804_è eletto presidente degli Stati Uniti
per un secondo mandato
1804-1807_commissiona a Benjamin
Latrobe alcune variazioni alla
President’s House
1806_inizia la costruzione di Poplar
Forest
1809_si ritira dalla vita politica a
Monticello
1817_fonda l’Università della Virginia
1817_inizia la costruzione
dell’Università della Virginia
1817_inizia la costruzione della
residenza di Bremo, per la quale
Jefferson fornisce consigli e forse
qualche disegno
1817_progetta la residenza di
Barboursville per il suo amico James
Barbour
1824_costruisce la Christ Church a
Charlottesville (abbattuta nel 1895)
1825_costruzione di un teatro
anatomico, inizialmente non previsto,
per l’Università della Virginia
1826_muore a 83 anni
1.Antonio Canova, Studio di nudo per il Monumento
a Gorge Washington, Fondazione Canova di Possagno
2. Antonio Canova, Monumento a George
Washington (Modello finale), Fondazione Canova di
Possagno
Canova raffigura W. non più da imperatore ma da
generale con una tavola su cui scrive Patria, Liberta
set Lex, ed appoggiati per terra il bastone di comando
e la corta spada. Terminata la guerra ora scrive le
leggi per il popolo. (Cf. Mario Guderzo)
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