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Jefferson e Palladio di A. Miatello
FORMA E IDEOLOGIA DI JEFFERSON PALLADIANISTA A VICENZA UNA MOSTRA AL MUSEO PALLADIO Fulvio Lenzo, Guidio Beltramini, Franca Coin, Filippo Romano Howard Burns Mount Rushmore, Dakota, United States (G. Washington, T. Jefferson, T. Roosvelt, A. Lincoln), Thomas Jefferson, il politico allievo di Palladio. L’architettura veneta palladiana come fonte d’ispirazione Di Angelo Miatello e Claudio Malvestio Di Thomas Jefferson (1743-1826) si sa che è stato il terzo presidente degli Stati Uniti d’America ed il redattore della prima bozza della Dichiarazione d’Indipendenza, poco della sua profonda conoscenza dell’opera “I Quattro Libri di Andrea Palladio”. Che senso ha poi di sapere se Thomas Jefferson fu un erudito e colto uomo politico se viene da molti storici contestato per essere stato anche lui un difensore della tratta degli schiavi? L’articolo di Francesco Chiamulera “Tra Thomas Jefferson e Palladio.“Come costruire un mondo nuovo” conclude in modo poco elegante, riprendendo Anthony Louis Marasco, che “se nel modello di Roma Jefferson trovava esempio ed ispirazione, fu nel modello della villeggiatura, quello di Plinio: il proprietario terriero, non il cittadino urbano. E qui il cerchio si chiude, con qualcosa d’inquietante. Non era forse, infatti, quel patrizio romano, un proprietario di schiavi, “strumenti viventi”, come li aveva definiti Aristotele, fondamentali nella gestione dell’impresa economica? E non fu proprio Jefferson ad avere retto le proprie fortune sul modello – ideologicamente incerto – del latifondo schiavista, circondato da servitori di colore? I tratti contradditori e crudeli di ogni impero, di ogni repubblica, sono forse qui: dentro al confine della cittadinanza, al di qua del limes, l’uguaglianza e la libertà, fuori di esso l’arbitrio e la sopraffazione.” Francamente il lettore domenicale del Corriere della Sera che legge questo finale tolstoiano di Chiamulera non è certamente attratto dal visitare la mostra, che lui stesso non c’era alla vernice stampa di sabato. E così anche la manualistica italiana che su quest’autore palladianista poco diffonde. Ora il Museo Palladio di Vicenza, diretto da Guido Beltramini promuove quanto gli Americani sanno già: che vi è un rapporto stretto tra la nascente potenza e il Veneto. Ma quale Veneto piacque a questo padre degli Stati Uniti del 18° secolo (eletto presidente nel 1801), quando ormai la Repubblica Serenissima fu sciolta da Napoleone? Era il fascino rinascimentale ereditato che non smetteva di spegnersi, soprattutto per il continuo fiorire di ville venete o di palazzi cittadini d’ispirazione neo-classica. Jefferson fu un architetto autodidatta, molto colto. Per Howard Burns “in Palladio trovò forme architettoniche e idee: Palladio gli ha mostrato come le tipologie degli antichi romani potevano essere adattate a scopi moderni, combinate con innovazioni nella costruzione e nella comodità delle case, per fornire un quadro armonioso e razionale per la vita quotidiana e per la realizzazione di una società nuova”. Ed aggiunge “prima ancora che una mostra di architettura è la mostra su un uomo, convinto che l’architettura potesse migliorare il mondo intono a sé”; “è una mostra politica” - rincara Beltramini – “in quanto studia e promuove precisi messaggi di conoscenzacoscienza mettendo al centro l’istruzione.” Che cosa significava costruire un mondo nuovo di duecento anni fa, quale modello politico aveva in mente Jefferson? La mostra nonostante abbia come cornice il fare architettura si svolge attraverso un percorso multimediale con installazioni, video, plastici, disegni, fotografie e sculture. I piani di lavoro dove sono appoggiati i plastici, i libri o i disegni sono sistemati in modo tale da poter affrontare un dialogo con quello che viene proiettato sulle pareti, sebbene le ultime due stanze non sembrano molto agevoli. Ci sono 36 fotografie di Filippo Romano, i plastici di palazzi e ville palladiani che sono confrontati direttamente con quelli americani, i bozzetti originali di Canova per la statua di Washington commissionata da Jefferson, ed un catalogo scritto a più mani. Beltramini parla di “centralità della cultura veneta, cioè quell’idea di un Veneto di cui non siamo abituati sentire”. Il modello della villa, innanzitutto: al tempo stesso unità produttiva (a differenza delle prospettive di Versailles, dove la contemplazione estetica è fine a se stessa, persino come scopo ludico di inganni e di illusioni, nell’infinito perpetuarsi del potere assolutista, e forma unica di integrazione estetica con il territorio, con il paesaggio. D’altronde anche questa “moda del sorprendere e dell’inganno”, il Belpaese non ne fu esente. Tuttavia, la residenza privata scelta da Jefferson in Virginia diverrà Monticello traendo spunto dai ‘Quattro Libri in italiano che la Rotonda sorgerà su un “monticello”. [Monticello is the autobiographical masterpiece of Thomas Jefferson - designed and redesigned and built and rebuilt for more than forty years - and its gardens were a botanic showpiece, a source of food, and an experimental laboratory of ornamental and useful plants from around the world. Fonte: http://www.monticello.org/site/house-and-gardens/monticello-house] La sua idea era quella di avere the House “da cittadino” per coltivare la terra e se stesso, attraverso gli studi, come il patrizio veneziano, spingendosi oltre nella botanica [Monticello was a botanic laboratory of ornamental and useful plants from around the world. Vegetable Garden: Jefferson grew 330 vegetable varieties in Monticello's 1000-foot-long garden terrace.Fruit Gardens: 170 fruit varieties of apples, peaches, grapes, and more grew in Monticello's orchards. Unique Features of the Grounds:The landscape around Monticello's gardens possess many unique features.] Jefferson è pure progettista del Campidoglio (Capitol Hill) di Richmond, di edifici del potere civile americano: della sede dell’Università della Virginia con il campus universitario (una delle più antiche) in cui al centro ci sta un enorme prato, e più su l’edificio principale “palladiano” che serve anche da biblioteca, di forma circolare non cubica. Jefferson pensò all’ordine del territorio come necessario e strumentale all’architettura della repubblica: il reticolato di meridiani e paralleli che facilmente si può notare in molte contee statunitensi su una mappa. L’assioma di base è che “tutti gli uomini sono creati uguali, che sono dotati dal loro creatore di certi inalienabili diritti e che fra questi vi sono la vita, la libertà o la ricerca della felicità. L’efficace formulazione di queste self-evident truths (verità lapalissiane), che ancora oggi costituiscono il credo dell’America, si deve a Thomas Jefferson, all’epoca delegato della Virginia, poi ambasciatore a Parigi, segretario di Stato e infine presidente, come ci spiega Fulvio Lenzo che ha curato la mostra e il catalogo assieme a Guido Beltramini. Per lui “la conoscenza è potere, la conoscenza è salvezza, la conoscenza è felicità” o “l’istruzione doveva essere laica, pubblica e universale”. Da questi cenni si può ben capire quale fossero le sue intenzioni nel volere una pubblica università che fosse lontana “dalle torbide lusinghe della città”, promuovendo nel 1779 per lo Stato della Virginia il Bill for the More General Diffusion of Knowledge che prevedeva un’istruzione pubblica in tre livelli progressivi…ogni Stato doveva avere la propria università, ogni district una scuola secondaria e ogni township una scuola primaria. Nel 1806, da presidente, nel messaggio annuale al Congresso ricorda che soltanto l’intervento pubblico poteva garantire lo sviluppo di quelle scienze che contribuivano al miglioramento del paese e in alcuni casi perfino alla sua salvaguardia. E nel 1817, dopo essersi ritirato dalla vita pubblica, lamenta la mediocrità degli uomini di stato che impediva loro di comprender “l’importante verità che la conoscenza è potere, che la conoscenza è salvezza, che la conoscenza è felicità”. Se la democrazia nasce dalla libertà degli individui, questa libertà poteva essere assicurata soltanto da un adeguato sostentamento economico – e quindi del possesso di terra da coltivare – e dalla capacità di scegliere con cognizione di causa, cosa che implicava una adeguata livello di istruzione. Istruzione che doveva essere laica, pubblica e universale”. Ci fermiamo qui ed invitiamo i docenti nell’accompagnare i loro studenti a visitare la mostra, ricca di strumenti multimediali che, a dir poco, rendono più facile il mondo dei progettisti, spesso visti più come “impresari del bello” che “intellettuali eruditi”. Una mostra, come ha affermato Beltramini, che vuole essere luogo di apprendimento culturale, anzi dedicata alla memoria di Mario Valmarana, indimenticato professore alla University of Virginia, che spese una vita a creare ponti fra il Veneto di Palladio e la Virginia di Jefferson. Thomas Jefferson e Palladio Come costruire un mondo nuovo Vicenza, Palladio Museum, 23 settembre 2015 - 28 marzo 2016 http://www.palladiomuseum.org/ A. Palladio, Tempietto di Villa Maser T. Jefferson, Rotunda, University of Virginia Thomas Jefferson, Monticello, Charlottesville, Virginia, United States Thomas Jefferson, progetto per President’s House, © Maryland H.S. CONTRIBUTI Guido Beltramini, Fulvio Lenz, curatori della Mostra e del catalogo Perché fare una mostra su Thomas Jefferson (1743-1826) e Andrea Palladio (1508-1580), e perché farla a Vicenza? Lo stretto legame fra i due è ormai assodato da quando, un secolo fa, Fiske Kimball pubblicò la sua monumentale monografia sull’architetto americano. Fu poi James Ackerman, a partire dal suo intervento nel «Bollettino del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio» del 1966, a mettere a fuoco elementi decisivi, non ultima l’origine palladiana del nome Monticello che il giovane Jefferson aveva imposto alla sua residenza. Ma cosa voleva dire essere palladiano nell’America di fine Settecento? Certo era diverso da quello che poteva significare negli stessi anni in Veneto o in Europa, o ancora nell’Inghilterra del secolo precedente. L’albero genealogico dei palladiani si apre con Vincenzo Scamozzi (1548-1616) e Inigo Jones (15731652), i due «Palladio’s children» che continuarono la ricerca del maestro di cui avevano assorbito metodo e conoscenza dell’antico. A margine, ma di grande importanza, non un progettista ma un teorico, Henry Wotton (1568-1639), ambasciatore inglese a Venezia e precoce collezionista di disegni di Palladio, che con i suoi Elements of Architecture (1624) definì una nuova cultura architettonica «italiofila» in Inghilterra e in Olanda. Constantin Huygens (1596-1687), un altro intellettuale cosmopolita, questa volta olandese, che aveva visitato le opere di Palladio e di Jones, insieme all’architetto Jacob Van Campen (1596-1657) è all’origine di una rivoluzione architettonica che guarda soprattutto a Scamozzi. In Gran Bretagna è John Webb (1611-1672), cui Jones aveva affidato i propri disegni di Palladio, a collegare la generazione dei figli naturali e adottivi a quella dei nipoti, dominata da Lord Burlington, che ritrova in Italia nuovi disegni di Palladio, sostiene architetti come William Kent (1685-1748) e patrocina pubblicazioni, fra cui la traduzione inglese integrale dei Quattro Libri. Dalla seconda metà del Settecento Palladio diventa un prodotto principalmente inglese, anche quando viene richiesto dalla Russia di Caterina II, con Charles Cameron (1745-1812) e con Giacomo Quarenghi (1744-1817). Intanto dall’Italia giungono i primi volumi di rilievi degli edifici pubblicati da Francesco Muttoni (1699-1747) e Ottavio Bertotti Scamozzi (1719-1790) che mettono in circolo nuovi edifici e disegni non presenti nei Quattro Libri. A fine Settecento il nome di Palladio è ormai un brand, sinonimo di una tradizione internazionale che, nel mentre viene recepita, si aggiorna ai tempi, alle latitudini, ai climi e agli usi di paesi molto lontani e diversi fra loro, modificandosi anche pesantemente man mano che al testo originario si affiancano quelli apocrifi. In questa lunga storia, composta di molteplici storie individuali, quando si arriva a Thomas Jefferson si scopre che, a dispetto della distanza dall’epicentro, Palladio torna protagonista. Certamente deve convivere con gli esiti dei più recenti studi archeologici, con le novità architettoniche francesi e inglesi e con la ricerca di un maggiore comfort nell’abitare, ma il testo dei Quattro Libri rimane un interlocutore costante per tutta la vita di Jefferson. Dai primi incerti inizi della sua carriera architettonica negli anni settanta del Settecento, sino a Ottocento inoltrato. Quando, a oltre settant’anni, si accinge a progettare il suo capolavoro, l’Università della Virginia, ha già ceduto al patrimonio nazionale i suoi esemplari dei Quattro Libri e si rivolge all’amico James Madison per averne una copia in prestito. Questa mostra è la prima mai dedicata a Thomas Jefferson architetto in Europa, anche se la cultura specialistica italiana lo conosce bene grazie alle brevi ma acute riflessioni che Manfredo Tafuri affidò a “Progetto e utopia” già nel 1973, e poi agli studi pionieristici di Margherita Azzi Visentini e Maria Cristina Loi. Il nostro obiettivo è stato quello di parlare a un pubblico ampio, pur nel rigore della proposta scientifica. La spina dorsale della mostra è costituita dalle immagini della campagna fotografica realizzata nella primavera del 2014 da Filippo Romano e dalle parallele ricognizioni nei principali archivi che custodiscono i disegni di Jefferson, la Massachussetts Historical Society di Boston e la biblioteca della University of Virginia di Charlottesville. Le stagioni della relazione fra Jefferson e Palladio sono ripercorse privilegiando il filo delle affinità di visione nel loro progetto di costruire un mondo nuovo basato sull’esempio degli antichi. Come si ritrova nei progetti di Jefferson per architetture pubbliche a scala diversa, dal Campidoglio di Richmond alla fondazione della città di Washington, sino alle proposte per la rigorosa griglia a maglie quadrate della Land Ordinance, da utilizzare come base per l’avvio di una sistematica ricognizione e mappatura degli inesplorati territori dell’Ovest e per la formazione di un catasto nazionale finalizzato all’assegnazione delle terre. Una mostra su Jefferson nel Veneto risente della lontananza dai suoi edifici, in Virginia, ma ha il vantaggio di avere intorno quelli di Palladio, da potere usare come “metro” per misurare il carattere innovativo dell’architettura jeffersoniana. Per capire dunque non solo cosa egli prenda da Palladio, ma al contrario in cosa il suo modo di guardare a Palladio sia stato diverso dagli altri, e quale sia stato il suo apporto alla tradizione di lunga durata, multiforme e talvolta persino contradditoria al suo interno, che va sotto il nome – comodo ma impreciso – di palladianesimo. È un modo di capire Jefferson e, al contempo, di riflettere, e quindi di meglio comprendere, lo stesso Palladio. La peculiare forma politica dello Stato veneto, sino al 1797 una delle poche repubbliche in un’Europa di monarchie, opponeva alla figura del cortigiano quella di un’élite di governo costituita da gentiluomini che costruivano i propri palazzi di città senza lo sfarzo dei principi e risiedevano lungamente in campagna per curare i propri interessi, vivere sani e coltivare lo spirito con la lettura dei classici. Palladio era il loro architetto. Le sue ville disegnavano una cornice al loro modello di vita, evidentemente di origine romana, che non sarebbe passata inosservata agli occhi degli aristocratici liberali inglesi di primo Settecento, ammiratori della costituzione veneziana, o a quelli di Jefferson, alla ricerca di un’architettura repubblicana da prendere a modello per i nuovi Stati Uniti. Questo progetto di “design sociale” è forse una delle più longeve fra le eredità palladiane, senza dubbio accanto a elementi del suo linguaggio come il pronao su colonne sul fronte della casa. È commovente osservare il palladianesimo inconsapevole degli ex schiavi che, liberati e rimandati in Africa a metà dell’Ottocento, posero sulla facciata sulle loro baracche il pronao su colonne tipico delle plantation houses dei loro antichi padroni. Banconote da due dollari americani Thomas Jefferson, Academic Village, University of Virginia, Library, Charlottesville, Virginia, United States Howard Burns, Presidente del Consiglio Scientifico del Centro Internazionale di Studi di Architettura Andrea Palladio Il Centro e Palladio Museum di Vicenza si occupa (tra l’altro) dello studio, la discussione e la diffusione della conoscenza di Andrea Palladio, del suo mondo, delle sue idee e del suo lascito. Questo impegno è insieme storico e culturale; la sua portata va ben oltre lo studio di Palladio stesso, essendo Palladio figura chiave in quella lunga storia dell’architettura che ha inizio in Mesopotamia e in Egitto, passando poi per Grecia e Roma. Palladio è il ponte principale tra l’architettura dell’antichità e quello dei nostri tempi globalizzati; grazie alla sua conoscenza dei libri di Vitruvio e Alberti l’architetto vicentino s’impadronì delle forme e dei principi dell’architettura greca e romana, applicandoli alla riconfigurazione di case, chiese ed edifici pubblici, per creare un mondo migliore. Il suo progetto è – o dovrebbe essere – anche il progetto centrale dell’architettura del nostro tempo. La mostra nasce dai nostri interessi scientifici e dalla nostra missione culturale. Si concentra su Thomas Jefferson, un maestro del sapere del suo tempo, una figura cosmopolita, ma con radici rurali, artefice fondamentale delle basi intellettuali di una nuova visione del rapporto corretto tra cittadini e Stato, e di una nuova grande repubblica. L’architettura ha avuto un posto importante nella sua agenda personale e pubblica: per la propria casa come per la Casa del Presidente della nuova nazione, così come per l’Università e il Campidoglio del proprio Stato, la Virginia. Jefferson fu guidato nella sua attività di architetto della nuova America (non solo in senso politico, ma anche in senso letterale), dalla sua ammirazione per I quattro libri dell’architettura di Palladio, di cui possedeva cinque edizioni. In Palladio trovò forme architettoniche e idee: Palladio gli ha mostrato come le tipologie degli antichi romani potevano essere adattate a scopi moderni, combinate con innovazioni nella costruzione e nella comodità delle case, per fornire un quadro armonioso e razionale per la vita quotidiana e per la realizzazione di una società nuova. Jefferson è una figura complessa, geniale e illuminata, paragonabile a un altro grande riformatore e costruttore, Caterina la Grande di Russia, sua contemporanea, pure ammiratrice di Palladio. Come nel caso di Caterina, Jefferson realizzò molto, sia politicamente sia in architettura, anche se, come l’Imperatrice, nel contesto dei loro tempi non poteva pienamente mettere in atto tutti i suoi ideali e principi. Dobbiamo essere grati a Guido Beltramini, Fulvio Lenzo e coloro che li hanno aiutati a realizzare la mostra, a scrivere il catalogo e a costruire modelli in base ai disegni e agli edifici del terzo presidente americano. Questa mostra ci fa vedere, attraverso i suoi progetti ed eloquenti nuovi modelli, che Jefferson non è stato solo uno straordinario personaggio politico, ma anche un grande e influente architetto. Thomas Jefferson, Monticello, “Atrio”, Charlottesville, Virginia, United States - © Langdon Clay 2015 Leslie Greene Bowman Presidente della Thomas Jefferson Foundation, Monticello, Charlottesville, Virginia A nome di tutti a Monticello desidero ringraziare i colleghi del Palladio Museum per aver organizzato questa pioneristica mostra su Thomas Jefferson. Nel 1782 il marchese de Chastellux scrisse «… Mr. Jefferson è il primo americano ad aver cercato nelle opere d’arte insegnamenti per riparare se stesso dalle intemperie». Thomas Jefferson fu un ammiratore di Andrea Palladio. I primi progetti di Jefferson per Monticello furono adeguamenti delle ville Cornaro e Saraceno di Palladio. Dopo quarant’anni di ristrutturazioni e ricostruzioni, la versione di Jefferson di Monticello restò fedele alla sua prima idea di una rinnovata villa palladiana che domina la cima di una collina. Architetto autodidatta, Jefferson possedeva cinque edizioni dei Quattro libri dell’architettura di Palladio. È noto come egli avesse definito il libro di Palladio «la Bibbia», e come l’avesse fatto conoscere ai suoi amici e colleghi architetti, ampliando così l’influenza di Palladio in America. Giustamente la prima e l’ultima opera architettonica di Jefferson sono entrambe riconosciute siti patrimonio dell’umanità dell’UNESCO. Monticello e l’Università della Virginia rappresentano le aspirazioni di una nuova nazione e la duratura autorevolezza di Palladio, trasmesse attraverso gli occhi e l’influenza di Thomas Jefferson. foto 1-2-3 1. Thomas Jefferson, Bremo Plantation, Virginia, United States - © Filippo Romano 2. Thomas Jefferson, Bremo Plantation, Virginia, United States - © Filippo Romano 3. Thomas Jefferson, Barboursville, Orange County, Virginia, United States - © Filippo Romano Thomas Jefferson, Virginia State Capitol, Richmond, Virginia, United States - © Filippo Romano FOTOGRAFARE JEFFERSON Filippo Romano Fotografare le architetture di Thomas Jefferson costringe lo sguardo a un gioco ovvio e continuo di analogie visive con Palladio, un esercizio necessario e pericoloso che rischia di limitare l’osservazione a delle semplici verifiche. Questo progetto fotografico nasce dal tentativo di scoprire se queste analogie hanno un senso nell’uso contemporaneo degli spazi progettati da Jefferson. Ho lavorato tenendo sempre a mente delle anonime foto scaricate da internet, delle cartoline, il dime di un dollaro americano che raffigura Monticello e un disegno originale su carta millimetrata. Queste immagini sono state una sorta di “sottofondo visivo” che ha accompagnato i miei spostamenti da un sito all’altro della Virginia, sono servite per dare criticità alla sorpresa illusoria del primo sguardo, quello diretto, di persona, sulle architetture da fotografare. Non è stato un esercizio di stile per rifare meglio, ma per trovare una mediazione tra la memoria visiva generica e disorganica che solitamente vive intorno alle architetture storiche e la loro apparente statica inviolabilità. Il senso del mio contributo è stato quello di trovare e mettere in discussione quel punto preciso in cui l’architettura iconica costringe l’osservatore a mettersi per essere rappresentata, il racconto fotografico si è sviluppato cercando di scardinare con cognizione questi punti di vista pur mantenendo la loro riconoscibilità, dando implicitamente centralità all’uso dello spazio. La sfida è stata quella di non permettere che l’iconicità delle architetture si mettesse davanti e dietro l’obiettivo. Documentare oggi Jefferson, le sue ville, le sue residenze, il campus dell’università, vuol dire mettere la sua architettura in relazione con le incognite del presente. Ogni immagine fotografica che nasce dall’osservazione di un’architettura storica si nutre dell’illusione di essere uno sguardo nuovo su di essa, ha bisogno di questa piccola grande arroganza per esistere e per affermare se stessa. È una reazione necessaria al rischio che ogni fotografo corre di mimetizzarsi e confondersi nella retorica dei luoghi e degli spazi fotografati generando un racconto che nel peggiore dei casi è una sterile amplificazione del “gesto” geniale dell’architetto creatore senza dare punti di fuga o generare domande vere sull’architettura rappresentata nelle sue immagini. Il fotografo si muove sul filo del racconto già esistente per trovare un nuovo confine sul quale tracciare la presenza di un altro sguardo e quindi di una nuova narrazione. Thomas Jefferson, Academic Village, University of Virginia, Charlottesville, Virginia, United States Nota biografica su Thomas Jefferson 1743_nasce a Shadwell in Virginia 1769_inizia la costruzione di Monticello 1771_progetta (e inizia a costruire) l’ampliamento del College William and Mary di Williamsburg, poi rimasto incompleto Le 13 colonie nordamericane si ribellano alla Gran Bretagna_1775 1776_scrive la bozza della Dichiarazione d’Indipendenza 1776_studia un primo progetto per il Virginia State Capitol a Richmond 1779_è eletto Governatore della Virginia 1783_è eletto al Congresso 1783 La Gran Bretagna è sconfitta e riconosce l’indipendenza alle tredici colonie: nascono gli Stati Uniti d’America 1784_è inviato a Parigi come ambasciatore: vi resterà cinque anni e visiterà Inghilterra, Olanda, Italia settentrionale 1785_Land Ordinance 1785-1786_inizia la costruzione, su suo progetto, del Virginia State Capitol a Richmod 1789_Ha inizio la Rivoluzione francese 1789_rientra in America ed è nominato segretario di stato nel gabinetto del primo presidente, George Washington 1791-1792_collabora con l’architetto C.P. L’Enfant alla pianificazione di Washington 1792_presenta sotto pseudonimo un proprio progetto per la residenza del presidente degli Stati Uniti a Washington, la President’s House 1794_cambio di progetto per Monticello: abbatte il piano superiore e raddoppia l’estensione del piano terreno 1796_è nominato vicepresidente 1798_inizia la costruzione, su suo progetto, della residenza di Edgehill per la figlia Matha e il marito Thomas Mann Randolph 1801_è eletto presidente degli Stati Uniti 1803_progetta la residenza di Farmington per il suo amico George Divers 1804_è eletto presidente degli Stati Uniti per un secondo mandato 1804-1807_commissiona a Benjamin Latrobe alcune variazioni alla President’s House 1806_inizia la costruzione di Poplar Forest 1809_si ritira dalla vita politica a Monticello 1817_fonda l’Università della Virginia 1817_inizia la costruzione dell’Università della Virginia 1817_inizia la costruzione della residenza di Bremo, per la quale Jefferson fornisce consigli e forse qualche disegno 1817_progetta la residenza di Barboursville per il suo amico James Barbour 1824_costruisce la Christ Church a Charlottesville (abbattuta nel 1895) 1825_costruzione di un teatro anatomico, inizialmente non previsto, per l’Università della Virginia 1826_muore a 83 anni 1.Antonio Canova, Studio di nudo per il Monumento a Gorge Washington, Fondazione Canova di Possagno 2. Antonio Canova, Monumento a George Washington (Modello finale), Fondazione Canova di Possagno Canova raffigura W. non più da imperatore ma da generale con una tavola su cui scrive Patria, Liberta set Lex, ed appoggiati per terra il bastone di comando e la corta spada. Terminata la guerra ora scrive le leggi per il popolo. (Cf. Mario Guderzo)