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1700-1800 L`Europa economica/Scheda 3 da Th. Jefferson

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1700-1800 L`Europa economica/Scheda 3 da Th. Jefferson
1700-1800 L’Europa economica/Scheda 3
IL PARLAMENTO INGLESE NON HA DIRITTO DI SOVRANITÀ SULLE COLONIE
da Th. Jefferson, Antologia degli scritti politici, a c. di A. Aquarone II Mulino, Bologna 1961, pp. 34-40
Le pagine di Jefferson sono tratte dal suo scritto Esposizione sommaria dei diritti dell'America britannica, composto nel 1774
come istruzione per i delegati della Virginia al congresso di Filadelfia. L'Esposizione è un ulteriore passo in avanti verso il
riconoscimento del diritto delle colonie all'indipendenza.
I DATI
Thomas Jefferson (1743-182S grande proprietario terriero della Virginia, fu uno dei teorici della rivoluzione americana e i
maggiori protagonisti della vita politica degli Stati Uniti. Delegato della Virginia al secondo congresso continentale di Filadelfia
nel 1775, e autore della dichiarazione di indipendenza del 1776 Jefferson importò nella situazione americana le dottrine politiche
e filosofiche europee, delle quali era un profondo conoscitore. Fu eletto due volte presidente degli Stati Uniti, nel 1800 e nel 1804.
I nostri avi, prima di emigrare in America, erano liberi cittadini dei domini britannici in Europa, ed avevano il diritto, che la natura
conferisce a tutti gli uomini, di abbandonare paese in cui la sorte, non la propria scelta, li ha collocati, di andare alla ricerca di
nuove dimore e di stabilirvi nuove società, sotto l'impero di quelle leggi e di quegli ordinamenti che a loro giudizio possano
meglio promuovere la pubblica felicità,
I loro avi sassoni, in base a questa legge universale, avevano in guisa analoga abbandonato le loro selvagge foreste native nel
Nord d'Europa, si erano impadroniti dell'Isola di Britannia, allora meno popolosa, e vi avevano stabilito un sistema di leggi che è
stato per così lungo tempo la gloria e la difesa di quel paese. Né mai pretesa alcuna di supremazia e di dominio su di loro fu
avanzata da quella madrepatria dalla quale erano emigrati [...] L'America è stata conquistata, e i suoi insediamenti sono stati
formati e saldamente consolidati, a spese di singoli individui, e non del pubblico britannico. Essi hanno versato il loro sangue
nell'acquistare la terra per i loro insediamenti, hanno speso le loro sostanze nel rendere stabili questi ultimi. Per se stessi hanno
combattuto, per se stessi hanno conquistato e per sé soli hanno diritto di conservare. Neppure uno scellino è mai uscito dal
pubblico erario di Sua Maestà, o dei suoi avi, per venire in loro aiuto, fino ai tempi più recenti, quando le colonie si erano ormai
consolidate su base salda e permanente. (A) Essendo queste diventate allora vantaggiose alla Gran Bretagna per i suoi fini
commerciali, il Parlamento di Sua Maestà si compiacque di prestar loro aiuto contro un nemico è si sarebbe volentieri
impadronito dei benefici del loro commercio, per la propria grandezza con pericolo per la Gran Bretagna. Un aiuto del genere, e
in circostanze analoghe, questa aveva più volte dato in passato al Portogallo e ad altri Stati alleati, con cui è in rapporti di
commercio. Tuttavia questi Stati non hanno mai inteso, chiamandola in aiuto, assoggettarsi perciò alla sua sovranità [...]. Noi
non intendiamo, tuttavia, sottovalutare quegli aiuti che ci sono stati senza dubbio preziosi, quali che fossero i princìpi in base ai
quali furono concessi; ma vogliamo dimostrare che non possono costituire titolo per l'esercizio di quell'autorità che il
Parlamento britannico vorrebbe arrogarsi sopra di noi e che possono essere abbondantemente ripagati mediante la concessione
da parte nostra agli abitanti della Gran Bretagna di privilegi commerciali esclusivi, che siano per loro vantaggiosi e al tempo
stesso non troppo vessatori per noi.
Una volta creati questi insediamenti nelle selvagge foreste d'America, gli emigranti ritennero opportuno adottare quel sistema di
leggi, sotto il quale avevano vissuto fino ad allora nella madrepatria, e di continuare la loro unione con essa, assoggettandosi allo
stesso comune sovrano, il quale divenne così il legame centrale allacciante le varie parti dell'impero così moltiplicatosi [...]. (B)
Oltre ai dazi che stabiliscono sui nostri articoli di esportazione e di importazione, [le leggi del parlamento] ci vietano l'accesso a
tutti i mercati a Nord del capo Finisterrae, nel regno di Spagna, per la vendita di prodotti che la Gran Bretagna non ci compra e
per l'acquisto di altri, di cui non può rifornirci [...].
[Gli inglesi] hanno alzato il prezzo dei loro prodotti richiesti in America del doppio o del triplo rispetto a quello al quale erano
venduti prima della concessione di quei privilegi esclusivi, o a quello a cui i migliori prodotti dello stesso genere si sarebbero
venduti altrove; e al tempo stesso, ci danno assai meno, per quel che esportiamo colà, di quanto potremmo ottenere in porti più
convenienti. Queste leggi ci fanno divieto di esportare, alla ricerca di altri compratori, l'eccedenza di nostro tabacco residua
dopo che è stato soddisfatto il consumo della Gran Bretagna; di modo che siamo costretti a cederla al mercante britannico, al
prezzo che più gli piace offrirci, per vederla rispedita da quest'ultimo sui mercati stranieri, dove egli raccoglierà il frutto di una
vendita del prodotto al suo prezzo effettivo [...].
Chiediamo licenza di rammentare a Sua Maestà alcune altre leggi del Parlamento britannico, le quali ci vorrebbero proibire di
fabbricare, per nostro uso, quegli articoli le cui materie prime produciamo nelle nostre stesse terre, con il nostro lavoro. In virtù
di una legge emanata nel quinto anno di regno di Sua Maestà il defunto Giorgio II, è fatto divieto ad un suddito americano di
farsi un copricapo con la pelliccia che egli ha cacciato, magari nella sua stessa proprietà; esempio di dispotismo, di cui non si può
trovare parallelo neppure nei periodi di peggiori abusi della storia inglese.
In virtù di un'altra legge, emanata nel ventitreesimo anno di detto regno, non ci è consentito di lavorare il ferro che estraiamo; e
malgrado il peso di questa mercé e la sua essenziale importanza in ogni ramo dell'agricoltura, noi siamo costretti a pagare il suo
trasporto in Gran Bretagna, e poi di nuovo in America, oltre alla commissione ed all'assicurazione, al fine di mantenere non
uomini, ma macchine, nell'isola di Gran Bretagna [...]. Noi però non denunciamo a Sua Maestà l'ingiustizia di queste leggi
nell'intento di fondare su tale principio la causa della loro nullità [...].
Il vero fondamento sul quale dichiariamo queste leggi mille, è che il Parlamento britannico non ha alcun diritto di esercitare la
sua autorità su di noi [...]. [Le leggi tiranniche del parlamento sono diventate sempre più numerose dall'avvento dì Giorgio III, nel
1760 (C)
Esiste forse ragione alcuna, perché centosessantamila elettori nell'isola di Gran Bretagna debbano dettare legge a quattro
milioni di individui negli Stati d'America, ognuno dei quali è uguale a ciascuno di quelli per virtù, intelletto e forza fisica? Se si
dovesse ammettere ciò, anziché essere un popolo libero, come abbiamo supposto fino ad ora e come intendiamo continuare ad
essere, ci troveremmo di improvviso ad essere gli schiavi non di uno ma di centosessantamila tiranni [...].
L'abolizione della schiavitù domestica è il grande desiderio di quelle colonie nelle quali è stata sventuratamente introdotta
nell'epoca della loro infanzia. Ma prima di procedere l'affrancamento degli schiavi che possediamo, è necessario impedire ogni
ulteriore deportazione dall'Africa. Ciò malgrado, i nostri ripetuti tentativi di conseguire tale scoponi mediante divieti veri e
propri, e mediante l'imposizione di dazi corrispondenti a un divieto espresso, si sono finora infranti contro il veto di Sua Maestà:
la quale ha così anteposto il vantaggio immediato di pochi corsari inglesi agli interessi permanenti degli Stati americani e ai diritti
della natura umana, gravemente oltraggiati da questa pratica infame. (D)
(A) Di fronte al doppio titolo dei diritti innati dei coloni, come diritti storici dei liberi cittadini inglesi, e diritti di natura degli
uomini in quanto tali, Jefferson si muove sempre più verso la seconda alternativa. Gli uomini possono rompere il patto sociale
che li lega alla patria d'origine e andare dove vogliono per fondare una nuova società e nuove leggi: questo atto di emigrazione
in terre selvagge e spopolate è sufficiente a determinare la rottura dei rapporti con la vecchia patria e la creazione di una nuova
patria.
(B) L'Inghilterra, d'altra parte, si è accorta delle colonie solo quando ha visto i vantaggi commerciali che poteva trarne. Solo per
questo motivo il Parlamento è accorso in loro aiuto durante la recente guerra con la Francia, ma questo aiuto non è molto
diverso da quello che era stato prestato ad altri stati indipendenti e alleati dell'Inghilterra, come il Portogallo. Se le colonie
hanno mantenuto le leggi inglesi e il legame con il re è stato solo per loro libera scelta.
(C) Jefferson ha esaminato prima le questioni di princìpio (il diritto di natura), poi i vantaggi economici che la Gran Bretagna trae
dalle colonie; ora si sofferma sugli svantaggi economici che la legislazione britannica comporta per le colonie. Questa
disposizione degli argomenti non è priva d'importanza: conduce infatti alla conclusione che la protesta contro le ingiustizie
materiali compiute nei confronti degli americani si fonda sul fatto che il parlamento britannico è realmente privo dì diritti di
sovranità sui coloni
(D) Pur facendo parte della classe dei grandi proprietari di piantagioni, Jefferson si dichiara contrario alla schiavitù e pensa di
parlare in nome di tutti i coloni giudicando inevitabile la sua abolizione. La responsabilità della sopravvivenza della schiavitù è
tutta della Gran Bretagna, che non fa niente per stroncare la tratta. Il movimento abolizionista era allora ai primi passi e ancora
per trent’anni il parlamento non se la sentì di andare contro gli interessi dei negrieri. Allo stesso tempo era però piuttosto
lontano dal vero che tutti i piantatori della Virginia la pensassero come Jefferson.
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