Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando... - ALTIS
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Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando... - ALTIS
2 - 2016 Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando... • ASSISTENZA DOMICIALIARE, LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA • SCREENING MAMMOGRAFICO: LE TRE VELOCITÀ DELL’ITALIA • INTERVISTA A DOMENICO MANTOAN SULLA CENTRALIZZAZIONE DELLA SANITÀ • QUALI REGOLE PER L’ACCESSO AI FARMACI INNOVATIVI? In copertina: SOSTENIBILITÀ VO CERCANDO… Illustrazione a cura di Marco Olivari La copertina di questo numero vuole rappresentare il Sistema Salute italiano nella sua situazione attuale. Un palazzo che rischia di collassare se non arrivano i mezzi per lavorare. L’atmosfera è quella di un tramonto, a simboleggiare il declino di un sistema che si auspica venga evitato e per il quale si stanno prospettando misure e prospettive di preservazione. 2 - 2016 IL PUNTO Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando... 2 TENDENZE E SCENARI Assistenza domiciliare, la centralità della famiglia. 5 RISORSE E SALUTE Con gli standard ospedalieri riprende la programmazione sanitaria. 9 MODELLI IN SANITÀ Verso la farmacia dei servizi. 11 INNOVAZIONE E TERRITORIO Malattie rare, un’Italia a 20 velocità. Anno I - N°2 2016 Direttore Responsabile Marcello Portesi Vicedirettore Stefano Del Missier Comitato editoriale Vincenzo Atella Stefano Del Missier Federico Mereta Daniele Pallotta Marco Polcari Marcello Portesi Mario Sensini Ketty Vaccaro Autorizzazione Tribunale di Milano n. 318 del 17 novembre 2015. Stampato a Milano nel mese di maggio 2016. POLITICA & ISTITUZIONI Centralizzare la sanità? No per le regioni virtuose. 15 NON SOLO CURA DOSSIER Editore ALTIS Omnia Pharma Service S.r.l. Viale Sarca 223 20126 Milano Telefono +39 02 49538300 Fax +39 02 49538338 [email protected] www.altis-ops.it 13 La centralità della Breast Unit. L’Italia delle regioni e lo screening del tumore mammario. Le tre velocità dell’Italia. 16 18 19 IL MONDO ADVOCACY Le sfide dell’advocacy oncologica. 22 REGISTRO REGOLATORIO REGIONALE Quali regole per l’accesso ai farmaci innovativi? 25 TERRITORI D’EUROPA I nuovi flussi migratori e le sfide per i sistemi sanitari europei. 27 PILLOLE REGIONALI 30 IL PUNTO Intervista a Massimo Garavaglia, Assessore all’Economia della Lombardia BOND E SPESA SANITARIA: SOSTENIBILITÀ VO CERCANDO… IL PUNTO Mario Sensini* 2 Senza una riforma profonda dei modelli organizzativi, anche con la creazione di macroregioni sanitarie per evitare le inefficienze nelle regioni più piccole, la sanità italiana rischia di radicalizzare le diseguaglianze interne, aumentando il divario tra le Regioni nell’offerta di servizi e la spinta verso la privatizzazione del sistema, anche con l’aumento della spesa diretta a carico dei cittadini. Ma non basta, perché, in ogni caso, gli stanziamenti attuali e quelli destinati alla sanità per i prossimi anni sono insufficienti per rispettare standard di qualità europei, dice in questa intervista a Rh+ l’assessore all’Economia, Crescita e Semplificazione della Lombardia e coordinatore delle Regioni ai tavoli con il governo sulla sanità, Massimo Garavaglia (Lega Nord), lanciando anche la proposta di un bond per finanziare la costosissima cura dell’epatite C che rischia di far sballare i bilanci regionali: emettere obbligazioni, un prestito, per avere le risorse subito per curare tutti, e risparmiare costi nel futuro. comparto degli enti locali. Alle Regioni, con le varie leggi di stabilità che si sono succedute negli anni, vengono chiesti nel 2017 tagli per 7,2 miliardi complessivi, che salgono a 8,3 nel 2018. Quando è così, è evidente che a subire il colpo sarà anche la spesa sanitaria, che per le Regioni vale i tre quarti della spesa complessiva che gestiscono, pari a 140 miliardi. Se devi tagliarne 8 dove vai? Poi è esplicitamente previsto che i risparmi debbano essere fatti, oltre che con gli acquisti centralizzati, sulla sanità: sul resto della spesa regionale non c’è capienza, la Ragioneria non avrebbe approvato il progetto di bilancio dello stato. In ogni caso, l’aumento nominale del Fondo non copre l’aumento dei costi: c’è un miliardo in più, ma 800 milioni sono vincolati al finanziamento dei nuovi livelli essenziali di assistenza, poi ci sono i maggiori costi dei farmaci innovativi, il mancato recupero della spesa farmaceutica. Gli stanziamenti attuali e futuri non bastano per garantire un servizio efficiente. Assessore Garavaglia, il nuovo Documento di economia e finanza approvato ad aprile conferma un leggero aumento della spesa sanitaria nel prossimo biennio e l’accordo che le Regioni hanno fatto con il governo a febbraio. Le risorse sono dunque sufficienti? C’è una crescita in termini nominali del Fondo sanitario che passa da 111 a 113 e poi a 115 miliardi di euro, ma vengono confermati i tagli pesanti della Legge di Stabilità dell’anno scorso. Cioè, una scelta precisa da parte del governo di evitare i tagli all’amministrazione centrale e caricarli sul La coperta è corta ma si accorcia anche la vita * Giornalista Il Corriere della Sera Verso la fine del triennio, dicono i documenti del governo, la spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo scenderà pericolosamente verso il 6,5%. L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che quando arrivi a quel livello si riducono le aspettative di vita, e qualcosa del genere sta già succedendo in Italia. Ma è inevitabile per le premesse. Da un lato, c’è la tendenza a far pagare surrettiziamente ai cittadini costi sempre maggiori, dall’altro c’è uno scadimento dei servizi, che è già nelle cose. Se tagli i finanziamenti non puoi assumere i medici che ti Cresce la migrazione sanitaria tra Nord e Sud C’è chi la considera una strategia per ricentralizzare la sanità. È evidente! Si riduce talmente tanto il finanziamento che la tentazione di cedere al centro, per il principio di sussidiarietà, è molto forte. Le regioni più piccole in piano di rientro, con questi livelli di finanziamento, saranno costrette a fare ulteriori razionalizzazioni, rischiando di peggiorare l’offerta dei servizi e le performance del sistema. La soluzione di riportare tutto al centro però non funziona: lo vediamo con le altre grandi funzioni gestite dallo Stato centrale, come la scuola e la giustizia, che ricalcano le stesse inefficienze territoriali della sanità. Il problema non è di chi gestisce, ma di organizzazione. In ogni caso, non puoi lasciare i cittadini senza la possibilità di curarsi, come dimostra il fenomeno gigantesco delle migrazioni da una regione all’altra, di solito dal Sud al Nord, dalle piccole alle grandi regioni. Prima riguardava pazienti con patologie gravi, che richiedevano magari specializzazioni particolari, ma adesso la gente si sposta pure per un’appendicite. Cosa significa un problema di organizzazione? Pensa ad un’articolazione differente del sistema? Data la scelta del governo di ridurre nei fatti le risorse, è inevitabile che nelle Regioni dove non si riusciranno a fare delle efficienze, saranno i cittadini a pagare di più. Il sistema andrebbe organizzato su livelli di economie di scala più ragionevoli. Per governare in modo efficiente devi poter contare su un bacino minimo di qualche milione di abitante. Per le Regioni piccole sarà sempre più difficile andare avanti. Se non impossibile. La risorse messe sul piatto dal governo non tengono conto, o quasi, del rinnovo dei contratti di lavoro nel pubblico impiego, sanità compresa, fermi da tantissimi anni. Eppure la Consulta dice che devono essere rinnovati. In più, resta il blocco del turn-over, mentre secondo la direttiva Ue i medici, ad esempio, dovrebbero lavorare per meno tempo. Come si fa? Questo è un problema grosso, perché al di là di tutto comporta il rischio di spendere 300 mila euro per formare un bravo medico che poi va a lavorare in Inghilterra. Di fatto, con una crescita potenziale del monte salari dello 0,2%, come quella ipotizzata finora dal governo, sarà molto difficile avviare la trattativa con i sindacati. Con i 300 milioni che sono stati stanziati per tutto il comparto del pubblico impiego è difficile che si siedano a discutere. Secondo me, a giugno il governo dovrà per forza aggiungere delle risorse a questo capitolo di bilancio. Che cosa si può fare sul piano normativo del contratto? La nuova tornata contrattuale potrà essere occasione per fare un po’ d’ordine in questo comparto che è stato bloccato per molti anni, ma non si è fermato, e dove si sono stratificati modelli organizzativi, prassi, ed effetti di riforme parziali che hanno complicato moltissimo il quadro. Penso al caos che c’è nei fondi, le quote aggiuntive del monte salari, che hanno fonti di finanziamento diverse: ci sono margini per riordinare e ragionare concretamente su sistemi di incentivazione semplici e più efficaci, come gli automatismi per le premialità. Quanto all’orario di lavoro dei medici, dobbiamo vedere se è possibile inserire più ricercatori specializzandi e risolvere i contrasti con altre norme. Quelle sul blocco del turn-over, ad esempio, sono legate a parametri vecchi di dieci anni, che vanno cambiate. Oppure ragionare su deroghe mirate al blocco per tener conto dell’operatività di alcune funzioni. Cercare una copertura per i farmaci innovativi Altro problema molto serio è quello del costo dei farmaci innovativi dispensati dal Servizio sanitario, ma a carico delle Regioni. I fondi stanziati dal governo però non bastano e così le cure vengono razionate. No, i finanziamenti pubblici, i 500 milioni l’anno, non bastano, questo è pacifico. Noi in Lombardia da IL PUNTO servono per rispettare la direttiva Ue sugli orari di lavoro, allunghi le liste di attesa. Questo esclude che ci siano possibili risparmi? No, affatto. È pacifico che il servizio sanitario nazionale non sia ugualmente distribuito sul territorio nazionale in termini di qualità ed efficienza, ma quello che si stanzia ogni anno per la sanità, a livello complessivo, non è sufficiente per mantenere e rispettare uno standard di qualità a livello europeo. 3 soli l’anno scorso abbiamo sforato di 50 milioni di euro. Ma qui c’è in ballo anche il diritto del paziente ad avere delle cure e dobbiamo capire come uscire da questo problema. Io credo che si possa anche immaginare un’operazione finanziaria, appoggiata dallo Stato, per anticipare oggi la spesa necessaria per curare subito il massimo numero possibile di pazienti, e risparmiare domani sui costi che questi rappresenterebbero, se non curati, per il sistema. Come gli eurobond che il governo suggerisce a Bruxelles per finanziare il costi dei migranti. Un prestito obbligazionario, dunque? Una cosa di questo genere. Con un po’ di buona volontà e di fantasia si può trovare una soluzione valida. Potrebbero essere emessi dei titoli obbligazionari - si può fare con la Cassa Depositi e Prestiti - usando i fondi pluriennali o i mutui. Oggi un’operazione del genere comporterebbe forse dei costi maggiori, ma in prospettiva sarebbe un grande risparmio. C’è qualcosa che non funziona anche nel resto della spesa farmaceutica? I tetti vanno riconsiderati? Diciamo che il sistema del pay-back, con il quale quando si sfora il tetto questo viene rimborsato per metà dalla Regione e per metà dal sistema farmaceutico, il doppio deterrente, finora ha funzionato bene. Oggi il tetto alla spesa territoriale tiene, quello dell’ospedaliera è più faticoso da rispettare, anche per i farmaci innovativi. Dovremmo ragionare sull’organizzazione, la distribuzione, dunque anche dei tetti, e razionalizzare di conseguenza il pay-back. Ma non c’è solo questo: si deve tornare a parlare del confezionamento dei farmaci, che si sprecano in quantità, dell’assistenza ai pazienti cronici che faticano a procurarsi i medicinali in farmacia. E stiamo cominciando a farlo. Abbiamo chiuso adesso il primo round del negoziato con i medici di medicina generale, ora all’esame dei sindacati, che potenzialmente è un’ottima base per il potenziamento dell’assistenza territoriale e la soluzione di questi problemi. In compenso la centralizzazione degli acquisti sta producendo risultati. Per noi in Lombardia è stata uno strumento fondamentale, che ci ha permesso risultati importanti. Siamo passati da meno di 3 mila gare a 100 mila gare di acquisto nel 2015, e l’anno scorso abbiamo risparmiato la bellezza di 165 milioni di euro, coi quali tra l’altro abbiamo coperto il buco dei farmaci innovativi. Il risparmio è evidente, e non è vero che a rimetterci sia la qualità, che è un elemento che viene sistematicamente premiato nei capitolati di gara e nelle assegnazioni. La gara nazionale della Consip per la fornitura di aghi e siringhe per tutto il SSN funzionerà? Secondo me rischia di far salire i costi. Vede, il costo delle siringhe dipende anche dai tempi di pagamento delle forniture. Noi paghiamo a 30 giorni e abbiamo prezzi migliori di chi paga a un anno e mezzo. Alla fine non vorrei pagarle di più. La soluzione è un’altra, accelerare i tempi di pagamento della pubblica amministrazione, non far spendere di più a chi li rispetta. Massimo Garavaglia Assessore all’Economia, Crescita e Semplificazione della Regione Lombardia Laureato in Economia e Commercio e in Scienze Politiche. Già consulente aziendale e componente di diversi Consigli di amministrazione, tra cui quello di Conord; energy manager, è stato vicepresidente di EESCO, società di servizi per l’efficienza energetica, e presidente di Scr spa. È stato deputato nella XV legislatura, durante la quale è stato membro della Commissione affari sociali e capogruppo nella Commissione Bilancio e senatore nelle XVI legislatura durante la quale ha ricoperto l’incarico di vice presidente della Commissione Bilancio. È stato rieletto senatore nel 2013 nella XVII legislatura, ma si è dimesso appena nominato Assessore all’Economia, Crescita e Semplificazione di Regione Lombardia. In qualità di assessore ha assunto le seguenti deleghe: IL PUNTO - Bilancio e fiscalità 4 - Risorse finanziarie per la crescita - Semplificazione amministrativa - Processi di digitalizzazione. ASSISTENZA DOMICILIARE, LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA Ketty Vaccaro* Nonostante sia stato ampiamente annunciato, l’evidente manifestarsi di un fenomeno demografico come quello dell’invecchiamento e della transizione epidemiologica ad esso connessa ha trovato un welfare poco pronto a dare risposte efficaci alle patologie croniche e degenerative e alla domanda molto intensa di assistenza sul territorio che esse portano con sé. Di fatto, il viraggio dell’assetto dei servizi di cura e di assistenza verso il territorio e il domicilio stenta a prendere piede e, anzi, la evidente asimmetria tra domanda e offerta di assistenza, tra composizione dei servizi sanitari e sociosanitari e domanda sul territorio hanno dato luogo a una forte risposta autogestita da parte delle famiglie, che si sono configurate come soggetto centrale della presa in carico delle persone con bisogni assistenziali legati alla cronicità e alla ridotta autosufficienza. È così che attraverso la forte mobilitazione di risorse interamente private è stato generato un modello di care fortemente centrato sul domicilio che ha nella figura del caregiver familiare e in quella della badante gli elementi cardine. Un modello familiare Il consistente impegno delle famiglie nell’assistenza ai propri componenti con difficoltà ha anche una forte impronta culturale e testimonia certamente la forza del modello familiare italiano e della solidarietà inter-familiare. Tuttavia, allo stesso tempo, può far supporre, soprattutto con riferimento al sostegno nell’assistenza, la presenza di evidenti difficoltà nell’offerta dei servizi sociosanitari e assistenziali, soprattutto per la cronicità, la disabilità e la non autosufficienza e le cure terminali. Un ruolo essenziale nell’ambito dei servizi territoriali domiciliari è svolto dall’Assistenza Domiciliare Integrata (ADI) che, com’è noto, consiste in un insieme integrato di trattamenti sanitari e sociosa* Direttore Welfare Fondazione Censis nitari, erogati a casa della persona con problemi di autosufficienza. È evidente che in un modello di care centrato sul sostegno familiare e sulla permanenza della persona presso il proprio domicilio, il tipo di supporto garantito da questo tipo di servizi si configura, almeno sulla carta, come strategico. Tuttavia, gli ultimi dati del Ministero della Salute relativi all’assistenza a domicilio mettono in luce quanto parziale sia il contributo assicurato dal soggetto pubblico, con una media nazionale del 4,2% di anziani trattati in ADI rispetto al totale della popolazione anziana (65 anni e oltre), nonostante si tratti della quota maggiore assistita in ADI (83,6% dei casi trattati) (Tabella 1). Più nel dettaglio, per quanto riguarda l’ADI, i casi trattati nel 2012 sono stati circa 630 mila, per un tasso medio di poco più di 1.000 casi ogni 100.000 abitanti. Si tratta di una quota che varia significativamente tra le Regioni, certamente anche in funzione delle differenze demografiche, ma con ogni probabilità anche a causa di differenti assetti organizzativi dei servizi: i valori più bassi si rilevano a Bolzano e in Valle d’Aosta, i valori più alti in Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia. Tuttavia, ai fini di una valutazione del peso del servizio, non si può non sottolineare che, dal punto di vista delle ore assicurate, ci troviamo dinanzi ad un numero complessivamente molto contenuto: il numero totale di ore dedicate complessivamente nell’anno a ciascun caso è pari a 22 e risulta anch’esso particolarmente variabile (Tabella 2). Limitato il contributo pubblico all’ADI Non è diversa la situazione relativa all’assistenza ai malati terminali. Complessivamente, su poco meno di 70.000 casi trattati a livello nazionale nel 2013, si rileva una certa variabilità tra le regioni sia nella quota di casi trattati su 100.000 abitanti sia nelle ore per caso trattato, per una media di 25 ore all’anno per caso trattato (Figura 1). A fronte di questo quadro non può stupire quanto TENDENZE E SCENARI I dati del Censis - Un modello, quello italiano, frutto anche dell’inadeguatezza del nostro welfare 5 Casi trattati Numero x 100.000 abitanti di cui Anziani (%) Anziani per 1.000 residenti anziani (età > 65) di cui Pazienti Terminali (%) Pazienti Terminali per 1.000 residenti 28.375 649 76,3 20,8 14,3 0,9 219 171 49,8 3,9 28,3 0,5 92.297 942 86,7 38,7 8,4 0,8 732 144 54,1 4,2 39,8 0,6 PROV. AUTON. TRENTO 5.158 973 71,2 34,5 18,0 1,7 VENETO 67.649 1.386 81,8 54,2 10,1 1,4 FRIULI VENEZIA GIULIA 24.943 2.041 73,2 61,4 4,4 0,9 LIGURIA 17.500 1.118 88,3 35,7 7,8 0,9 EMILIA ROMAGNA 130.637 2.984 90,5 117,4 1,4 0,4 TOSCANA 22.309 604 78,3 19,6 16,5 1,0 UMBRIA 12.823 1.447 85,0 51,7 9,9 1,4 MARCHE 14.764 956 71,5 29,6 15,0 1,4 LAZIO 53.895 970 85,9 40,2 9,1 0,9 ABRUZZO 17.899 1.364 78,5 48,5 15,5 2,1 MOLISE 3.008 960 81,6 34,8 7,6 0,7 CAMPANIA 37.121 643 79,6 30,2 13,7 0,9 PUGLIA 21.482 530 79,4 21,6 15,8 0,8 BASILICATA 7.535 1.308 85,9 53,9 14,0 1,8 CALABRIA 14.550 743 81,7 31,1 13,8 1,0 SICILIA 43.313 866 80,3 36,0 12,1 1,0 SARDEGNA 17.568 1.071 87,0 45,2 8,8 0,9 633.777 1.062 83,6 41,9 9,1 1,0 Regione PIEMONTE VALLE D`AOSTA LOMBARDIA PROV. AUTON. BOLZANO ITALIA Tabella 1. Assistenza domiciliare integrata (ADI) - casi trattati Anno 2012 (v.a., val. per 100.000 abitanti, val.%, val.medi)(*) PERCENTUALE DI RILEVAZIONE : 100,00% sul totale delle ASL che hanno dichiarato di avere il servizio attivo. Fonte: Ministero della Salute. TENDENZE E SCENARI messo in luce dai pazienti oncologici in un recente rapporto Censis-FAVO a proposito del livello di soddisfazione espresso nei confronti della più generale assistenza domiciliare loro assicurata. Il giudizio che prevale è quello che ritiene insoddisfacente il servizio (42,3%) con una certa variabilità territoriale: tra i pazienti che sono curati al Centro la quota sfiora infatti il 50% mentre una simile tra chi è curato al Nord giudica l’assistenza domiciliare buona (35,3%) o ottima (13,7%) (Tabella 3). Eppure sono particolarmente alte le aspettative di tutte le tipologie di pazienti cronici e caregiver nei confronti di questo tipo di assistenza. 6 Il caso dell’Alzheimer Valga per tutti l’esempio delle persone affette dall’Alzheimer. La ricerca realizzata da Censis e AIMA nel 2015 ha permesso di osservare che il ricorso all’assistenza domiciliare, sia essa integrata o di tipo socio-assistenziale, coinvolge quote ridotte di pazienti (11,2%, peraltro in calo rispetto al 18,5% rilevato nel 2006), contro quote molto elevate che non usufruiscono di servizi di questo tipo, di nuovo con significative variabilità tra aree del Paese (Tabella 4). Anche in questo caso si tratta generalmente di un’assistenza limitata in media a 2,6 giorni per un Numero casi trattati (v.a.) Per 100.000 ab. Totale ore di ADI per caso trattato 28.375 648,7 15,6 219 171,3 32,2 92.297 942,3 20,3 732 143,6 36,3 Regione Piemonte Valle D`Aosta Lombardia Prov. Auton. Bolzano Prov. Auton. Trento 5.158 972,6 13,9 Veneto 67.649 1.385,8 11,1 Friuli Venezia Giulia 24.943 2.041,4 5,8 Liguria 17.500 1.118,1 28,8 Emilia-Romagna 130.637 2.984,3 18,7 Toscana 22.309 604,1 20,9 Umbria 12.823 1.446,9 22,9 Marche 14.764 955,5 27,5 Lazio 53.895 969,8 22,2 Abruzzo 17.899 1.363,7 33,1 Molise 3.008 960,0 74,0 Campania 37.121 643,4 31,6 Puglia 21.482 530,3 38,5 Basilicata 7.535 1.307,7 45,9 Calabria 14.550 743,0 21,3 Sicilia 43.313 866,3 29,9 Sardegna 17.568 1.071,0 39,8 Italia 633.777 1.061,9 22,2 Tabella 2. Casi trattati e numero di ore di ADI per caso trattato per regione Anno 2012 - (val.ass., val.per 100.000 ab. e val.medi). Fonte: Ministero della Salute. Assistenza Domiciliare a pazienti - Casi trattati Anno 2013 Nord Centro Sud e Isole Totale Ottima 13,7 18,2 4,1 9,7 Buona 35,3 20,0 17,4 22,0 Sufficiente 19,6 12,7 34,7 26,0 Insufficiente 31,4 49,1 43,8 42,3 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 Tabella 3. - Giudizio dei pazienti oncologici sull’assistenza domiciliare, per collocazione geografica del luogo di cura - (val. %). Fonte: indagine Censis, 2011. Nord Centro Sud e Isole Totale Assistenza Domiciliare Integrata (sociale + sanitaria) e Assistenza Domiciliare Socio-assistenziale 10,9 7,7 14,2 11,2 Non ne usufruisce 89,1 92,3 85,8 88,8 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 Servizi da potenziare Nord Centro Sud e Isole Totale Aiuto economico e/o sgravi fiscali 26,7 25,9 32,1 28,3 Centri diurni 19,8 25,9 22,0 22,2 Assistenza domiciliare socio-assistenziale 22,1 18,8 14,7 18,8 Assegno di cura per pagare la badante 13,7 15,3 25,7 18,2 Sostegno da parte del personale competente (riunioni periodiche per parlare dei problemi suoi e del malato) 15,3 16,5 18,3 16,6 Tabella 4. Ricorso all’assistenza domiciliare integrata e socio assistenziale, per area geografica - (val. %). Fonte: indagine Censis, 2015. Tabella 5. I servizi da potenziare a giudizio dei caregiver dei malati di Alzheimer, per area geografica - (val. %) Il totale è diverso da 100 perché erano possibili più risposte. Fonte: indagini Censis, 2015. totale di ore 3,5 settimanali. Tuttavia, quasi la totalità dei caregiver intervistati che utilizzano i servizi di assistenza domiciliare li giudica utili non solo per il paziente ma anche per sé stessi (91,3%). Dato che non stupisce a fronte del davvero oneroso carico assistenziale del caregiver: le ore di assistenza e di sorveglianza che mediamente presta in una giornata sono risultate rispettivamente pari a 4,4 e 10,8 ore. E così, nella graduatoria dei servizi da potenziare, l’assistenza domiciliare compare al terzo posto dopo gli aiuti economici e gli sgravi fiscali (28,3%) e i Centri diurni (22,2%) (Tabella 5). Quanto emerso si ritrova in molte altre ricerche del Censis mirate alla analisi della condizione delle persone affette da patologie croniche e a forte impatto assistenziale, che hanno messo in luce alcuni aspetti ricorrenti in merito all’assistenza domiciliare che possono essere così sintetizzati: • il quadro dei servizi domiciliari appare caratterizzato da un impegno tendenzialmente ridotto TENDENZE E SCENARI Figura 1. Pazienti terminali: casi trattati per regione Anno 2013 - (val. per 100.000 abitanti). Fonte: Ministero della Salute. 7 TENDENZE E SCENARI val. % 8 Favorevole 64,9 È il modo migliore per fare rimanere la persona in casa propria 43,3 Purché l’abitazione sia adeguata per due persone distinte, di cui una spesso con problemi di mobilità (carrozzina, ecc.) 21,6 Contrario 24,2 Perché si confina la persona e la badante in un rapporto chiuso, con lunghe ore negli stessi luoghi chiusi 7,9 Non ci sono garanzie di professionalità adeguate 16,3 Non c’è alternativa per dare supporto alle persone non autosufficienti che hanno bisogno 10,9 Totale 100,0 Nord Centro Sud e Isole Totale 2015 Molto positiva 9,8 1,9 0,7 4,8 Abbastanza positiva 46,2 41,9 26,2 38,4 Abbastanza negativa 32,9 40,0 39,0 36,8 Molto negativa 11,1 16,2 34,1 20,0 Totale 100,0 100,0 100,0 100,0 Tabella 6. Opinioni dei cittadini sulla scelta di affidare l’assistenza di una persona non autosufficiente a una badante - (val. %). Fonte: indagine Censis, 2015. Tabella 7. Opinioni in merito alla attuale situazione di cura e di assistenza pubblica per i malati di Alzheimer, per area geografica - (val. %). Fonte: indagine Censis, 2015. e soprattutto molto diversificato nelle dimensioni e nella funzionalità a livello territoriale. Si tratta non solo delle differenze tradizionali tra regioni del Nord, del Centro e del Sud, ma anche di situazioni con un grado di frammentazione e diversità che si spingono anche al livello locale più minuto, del singolo comune e della ASL; • questa diversità si rispecchia nella variabilità dei giudizi sulla qualità dei servizi a disposizione sulla base del luogo di residenza dei pazienti che emerge sistematicamente dalle indagini; • in ogni caso, al di là delle specificità della condizione patologica, pazienti e caregiver concordano sempre sul valore e l’utilità del servizio; • pertanto, nelle indicazioni sull’assetto dell’offerta auspicabile, l’assistenza domiciliare viene sempre indicata tra le prime posizioni di una ipotetica graduatoria dei servizi ritenuti più utili e da potenziare. Ancora una volta, è dunque ribadito il peso rilevante attribuito all’assistenza prestata al domicilio del paziente, in un modello come quello italiano, così fortemente caratterizzato dal ruolo centrale che le famiglie svolgono grazie al caregiver e con il sempre più frequente accompagnamento di una badante. Un modello frutto, insieme, dell’impreparazione del nostro welfare e di una propensione culturale tipica del nostro Paese che attribuisce una funzione fondamentale ai legami familiari nella cura dei componenti più deboli e che ritiene il mantenimento al domicilio un aspetto centrale per garantire la qualità della vita della persona in difficoltà. Di nuovo, dalle indagini del Censis emerge che la maggioranza degli italiani è favorevole alla scelta di affidare un non autosufficiente a una badante e tra questi la quota più rilevante, pari al 43,3%, lo è perché è il modo migliore per far rimanere in casa propria la persona (Tabella 6). Poche alternative rispetto alla situazione attuale È vero che emerge una quota non irrilevante di cittadini che esprime un parere negativo rispetto alla soluzione autogestita, ma ai favorevoli può essere associato anche un 10% di chi ritiene che a oggi non ci siano di fatto soluzioni alternative in grado di garantire un supporto adeguato alle persone con problemi di autosufficienza. Nei fatti, l’estrema variabilità delle situazioni a livello territoriale si delinea come uno degli elementi che spiega le posizioni degli italiani anche in merito al giudizio più generale che viene dato sulla rete dei servizi per la cronicità e non la non autosufficienza (Tabella 7). Per la quota maggioritaria di caregiver tra i più impegnati nell’assistenza, come quelli delle persone affette da Alzheimer, il giudizio sull’attuale configurazione dell’offerta appare insoddisfacente nella media nazionale, ma evidenzia tutto il peso di una diversa capacità di risposta tra aree del paese (al Nord prevalgono infatti i giudizi positivi) e delle iniquità di fatto che ciò comporta a livello della condizione dei pazienti e di chi se ne prende cura. CON GLI STANDARD OSPEDALIERI RIPRENDE LA PROGRAMMAZIONE SANITARIA Prima di ogni considerazione è necessario sottolineare un fatto: il DM 70/2015, con il quale il governo definisce gli standard qualitativi, strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera, rappresenta il primo vero atto di programmazione degli ultimi 15-20 anni. Questo è un segnale tutt’altro che irrilevante, in un contesto in cui le chiacchiere si sprecano e le decisioni latitano. Infatti, in attesa di capire se vincerà la spinta centralista oppure quella regionalista, disciplinare in modo puntuale la struttura dell’offerta ospedaliera ci pare azione degna di nota e di plauso, anche se, in ogni caso, è concreto il rischio che un atto di indirizzo si trasformi nel tentativo di governare l’attività dei professionisti clinici attraverso dettami dall’alto. Il flop del cosiddetto “Decreto appropriatezza”, che mirava a controllare direttamente l’attività dei medici prescrittori ci costringe a mantenere alta l’attenzione su come doverose prese di posizione a livello nazionale, sul piano istituzionale, debbano trovare una conciliazione a livello locale sul piano professionale. Nel caso della riorganizzazione della rete ospedaliera, che comporterà anche un considerevole sforzo economico per l’adeguamento della stragrande maggioranza delle strutture, questa conciliazione locale delle istanze nazionali deve trovare un surplus di innovazione. Vediamo perché. Il testo normativo Il DM 70 del 2.4.2015 prende la luce dopo quasi nove mesi di gestazione (l’atto è del 21 luglio 2014 ed è stato definitivamente approvato, dopo alcune modifiche di errori materiali, in Conferenza Stato Regioni il 13 gennaio 2015) e andrebbe letto con quanto scritto nella legge di stabilità per il 2016, dove alle singole Aziende sanitarie regionali vengono dettati stringenti criteri sia economico-finanziari, sia di qualità clinica per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera. Quindi, dopo diciotto mesi dalla definizione del testo, c’è voluta una legge di stabilità per dare ulteriori e, si auspica, definitive “spinte” per conformarsi al dettato legislativo, confermando la tradizione del nostro paese in cui si fanno leggi che dicono di applicare altre leggi. Il DM definisce i requisiti che devono possedere le strutture ospedaliere al fine di ridurre la variabilità che oggi esiste nelle modalità di erogazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera e di migliorare la qualità dell’assistenza, la sicurezza delle cure e l’uso appropriato delle risorse utilizzando di meno l’ospedale e di più forme alternative al ricovero ospedaliero. Gli standard sono definiti partendo da un’esplicita dichiarazione degli obiettivi da raggiungere, e indicano: -le modalità con cui sono classificati gli ospedali (presidi di base, di primo e di secondo livello); -gli standard minimi e massimi di struttura per ogni singola disciplina o specialità clinica; -i volumi di attività e gli esiti attesi; -gli standard generali di qualità e quelli organizzativi, strutturali e tecnologici generali, oltre a quelli specifici per l’alta specialità; -le reti ospedaliere; -la rete dell’Emergenza-Urgenza; - la continuità assistenziale tra ospedale e territorio. Per quanto riguarda la dotazione di posti letto ospedalieri, il DM fissa a 3,7 posti letto ogni mille abitanti il livello massimo dell’offerta ospedaliera accreditata e a carico del servizio sanitario di ogni regione, sia essa un’offerta pubblica o privata, e in questo 3,7 sono compresi anche 0,7 posti letto ogni mille abitanti da riservare alla riabilitazione e alla lungodegenza che fanno seguito alla fase acuta di ricovero. Le Regioni, così, vengono costrette a ridurre posti letto, strutture complesse e, infine, posti da primario, riconoscendo che quanto visto finora non era proprio consono agli obiettivi di salute da perseguire. C’è dunque una forte volontà del legislatore di riorganizzare gli ospedali e potenziare la medicina del territorio, con l’obiettivo di creare una rete d’assistenza molto più efficiente e capillare ed evitare il sovraffollamento dei grandi ospedali. Infatti, l’ingolfamento delle attività in ospedale è soprattutto dovuta a una cattiva se non mancata organizzazione delle strutture territoriali, spesso carenti e non organizzate in rete. In questo, il DM 70/2015 non solo fornisce una definizione di strutture intermedie tra l’assistenza RISORSE E SALUTE Stefano Del Missier 9 RISORSE E SALUTE ospedaliera e l’assistenza territoriale, identificandole come strutture sanitarie a valenza territoriale di ricovero e di assistenza, basate anche su moduli diversificati (come l’ospedale di comunità), ma introduce anche il concetto di rete di patologia, per favorire l’integrazione, sia in senso orizzontale, tra i professionisti che si occupano di una determinata patologia, sia in senso verticale, tra ospedali piccoli e grandi, e tra gli ospedali e i livelli istituzionali da cui dipendono (Regione, Governo nazionale). 10 Non solo ospedale Da tempo c’è grande enfasi sul tema della continuità delle cure tra ospedale e territorio. Col DM 70/2015 probabilmente si è messo seriamente mano al lato Ospedale, immaginando che in questo modo si possa trovare qualche risposta al fabbisogno di integrazione sul quale da anni ci si muove senza grandi risultati, fatta eccezione per qualche esperienza locale a macchia di leopardo sul territorio nazionale. Il lato Territorio, in altri termini, continua a essere debole. Evitare un ricovero ripetuto e, di conseguenza, ridurre non solo la cattiva cura, ma anche il grande spreco di risorse, passa certamente attraverso la riorganizzazione del lavoro in ospedale, ma rischia di farne pagare il prezzo agli assistiti se, parallelamente, non vengono altrettanto riorganizzati i percorsi di lavoro che riguardano gli operatori sanitari del territorio. Il DM 70/2015, quindi, rappresenta solo una faccia della medaglia, pur importante e imprescindibile, ma manca l’altra, nella quale le Regioni possono svolgere un ruolo fondamentale, proprio perché è la faccia che riguarda il territorio, con le sue caratteristiche uniche per storia e tradizione sanitaria. Quanto osservato finora, però, sembra descrivere a livello locale la stessa mancanza di visione di sistema del livello centrale. Si possono anche ridefinire le strutture di offerta, suddividere le strutture ospedaliere per ruolo e organizzare le stesse per intensità di cura; ma il territorio è altro, e non può essere organizzato come si organizza una struttura ospedaliera, a meno che non lo si voglia trasformare in una struttura. C’è una difficoltà a prendere decisioni che riguardano più i processi e le professioni che non le strutture e, credo, questo dipenda anche dal poco “ascolto” del management aziendale da parte della politica, così come degli apparati regionali. Tra i tentativi che rendono più esplicito questo modo di agire c’è la recente riforma del SSR in Lombardia, nella quale il tentativo di integrare l’ospedale con il territorio si è materializzato con l’istituzionalizzazione del territorio, inglobando le strutture ospedaliere con strutture e servizi del territorio dentro un unico ambito istituzionale, per favorire – così si dice – la presa in carico del paziente e la continuità del suo percorso di cura e assistenza. La scelta non pare tanto innovativa, osservando quanto avviene nelle vicine regioni del Veneto o dell’Emilia Romagna, ma il problema è sicuramente stato messo a fuoco: puoi anche riorganizzare gli ospedali, ma questo va fatto tenendo conto dell’impatto che questo ha sul territorio. In sintesi La frammentazione dell’offerta sanitaria in Italia ha finalmente generato un serio intervento del livello centrale, che ha svolto la sua funzione di garantire che i Livelli Essenziali di Assistenza siano uniformi e omogenei su tutto il territorio nazionale. Ora, per fare in modo che non venga vissuto come l’ennesimo tentativo di tipo impositivo e, di conseguenza, destinato quasi inevitabilmente a naufragare e a far perdere ulteriore credibilità al decisore politico, bisogna far sì che l’applicazione del DM 70/2015 da parte delle Regioni venga svolto con grande capacità di visione, riorganizzando la propria rete ospedaliera in sintonia con i cambiamenti da promuovere nel territorio, facendo simulazioni sugli impatti che si generano nel sistema facendo scelte così importanti. La complessità del territorio è enorme. Se ci mettiamo nei panni del paziente (o della sua famiglia), il “sistema” è alquanto impervio: medici di famiglia (o pediatri di libera scelta, nel caso di minori), medici specialisti, infermieri, operatori che svolgono attività sanitarie e non a domicilio, strutture ambulatoriali e residenziali, ospedali come strutture sociosanitarie. Se vogliamo fare un salto di qualità, non ci si può limitare alla sola (e mastodontica) riorganizzazione della rete ospedaliera. La continuità delle cure deve tener conto della caratteristiche del paziente, di come far circolare le informazioni, di come dare seguito alle varie fasi della cura nei diversi luoghi in cui si attua. È questione di processi, di procedure, di protocolli, di contratti o di accordi, di strumenti manageriali, di informazione e di comunicazione, ecc.: un universo mondo in cui scegliere sicuramente costa, ma dove il non scegliere rischia di aggravare le già precarie risorse a disposizione. Le Regioni hanno una grande occasione per ribadire il proprio imprescindibile ruolo per una nuova programmazione capace di dare sviluppo e sostenibilità al nostro servizio sanitario. VERSO LA FARMACIA DEI SERVIZI Annarosa Racca Annarosa Racca, Presidente Federfarma, delinea il ruolo della farmacia nel nuovo servizio sociosanitario lombardo - Il confronto, l’uniformità regionale nell’esercizio delle funzioni, il dialogo e la collaborazione tra le professioni come strumenti indispensabili. I dati riportati nella tabella fanno compiuti dematerializzazio- la continuità dei rapporti tra farmacie cogliere in modo esaustivo il senso ne delle prescrizioni farmaceutiche e ATS e nella gestione dei flussi delle dell’operato e del ruolo rivestono che ha visto Federfarma Lombardia ricette e dei rimborsi. le farmacie territoriali in Regione formare, insieme ai rappresentanti di Le regole di gestione per il 2016 Lombardia; sono dati che inqua- Lombardia Informatica, più di 8.000 dimostrano come ci sia la volontà drano in modo oggettivo il contesto farmacisti in poco più di due mesi. della Regione di avvalersi della pecu- operativo delle farmacie lombar- Fondamentale è stata l’intesa e la liarità della rete delle farmacie, asse- de all’interno del Servizio Sanitario condivisione tecnici gnando loro nuovi compiti assisten- Regionale (SSR). È evidente che le necessari per affrontare con succes- ziali che anticipano, almeno in parte, farmacie lombarde partecipano atti- so il passaggio alla fatturazione elet- le attese che noi stessi abbiamo vamente al Prodotto Interno Lordo tronica e, ultimamente, l’oneroso riposto nell’attivazione della seconda del Paese ma, nello stesso tempo, impegno per le farmacie di trasmet- fase della riforma. eseguono il proprio compito in una tere al MEF i dati delle spese sanita- Nel corso dell’anno sarà, quindi, logica di missione a fianco dei cittadi- rie per il 730 online, per il quale la compito della Direzione Generale ni. In una fase di profonda trasforma- Lombardia è l’unica Regione che si è del Welfare, senz’altro di concerto zione del SSR lombardo, le farmacie posta come interfaccia tra farmacie e con Federfarma Lombardia, di indi- della Regione sono vicine alle esigen- SOGEI. viduare le funzioni che la farmacia ze quotidiane di salute della popola- Ci sono, ancora, gli importanti accordi potrà svolgere e di determinare le zione. per la gestione del SISS e la gestione corrispondenti risorse da destinarvi, Un cammino fatto insieme che delle piattaforme informatiche per le mantenendo l’equilibrio economico continua erogazioni di assistenza integrativa tra la remunerazione destinata alle I rapporti tra Regione Lombardia e (diabete, celiachia, protesica, ecc.), farmacie e i risparmi che le farmacie le farmacie sono sempre stati carat- che stanno andando verso l’apertura potranno generare. terizzati da una fattiva collabora- alla circolarità del cittadino e proces- Verso nuove prestazioni e nuovi zione, ad ogni livello, dai piccoli ai si di semplificazione, e l’accordo sulla servizi grandi progetti. Frequenti sono i Distribuzione per Conto, con parti La seconda fase della riforma del tavoli tecnici di confronto e quoti- importanti ancora in via di sviluppo, SSR offrirà l’opportunità di costi- diani sono i contatti; senza questo come la dispensazione dei farmaci ex tuire livello di condivisione non si sareb- OSP 2 e per le malattie rare. della farmacia con vantaggi per bero gestiti con successo fondamen- Dalla riforma un ruolo più incisivo il “Sistema”. Sono nuovi ruoli che tali passaggi evolutivi e importanti per le farmacie lombarde portano valore aggiunto in termini accordi. Si ricorda la collaborazione Abbiamo molto apprezzato il metodo di semplificazione, di agevolazioni sulle prenotazioni di prime visite, che del confronto utilizzato dalla Regione per l’assistito nell’accesso ai servizi, ha raggiunto nel 2015 il numero di in tutta la fase di analisi che ha prece- di miglioramento dei profili di cura 146.000 (+24% rispetto al 2014) e la duto la formulazione della Legge nei percorsi di presa in carico dei raccolta in farmacia di circa 1.109.000 23/2015. delle pazienti cronici, mediante attività di autocertificazioni per le esenzioni, farmacie hanno così avuto modo di monitoraggio nell’utilizzo dei medici- mentre nelle ASL ne sono state rece- fornire il loro contributo. C’è stata, nali e dei dispostivi; tutte azioni che pite circa 408.000. Da tali dati appare infatti una grande attenzione alle portano più o meno direttamente a evidente come la gente sceglie la farmacie in questi primi passaggi, nel un complessivo risparmio. farmacia. Ci sono i grandi passi riconoscere l’esigenza di privilegiare Federfarma I degli aspetti rappresentanti concretamente nuovi Lombardia ruoli e MODELLI IN SANITÀ nella la 11 Le farmacie territoriali in Regione Lombardia MODELLI IN SANITÀ 2.714 farmacie sul territorio 11.000addetti 4,2 miliardi di euro quale fatturato complessivo nell’anno 2015 (+3,2% sul 2014) di cui 1.754.000.000 di euro, quale fatturato SSR 117.507.755 euro di sconti a favore del SSR 135.000 ore settimanali di apertura (a Milano città la media di apertura è di 54 ore settimanali) 150 farmacie aperte ogni notte per servizio di turno non remunerato 12 Consulta degli Ordini dei farma- deve essere posto sulle aggregazioni sanitarie, della consegna dei referti. cisti hanno presentato nei giorni fisiche delle cure primarie; occorre, Qui si chiedono solo pari opportuni- scorsi in Commissione Sanità di infatti, la massima attenzione della tà rispetto ad altri operatori; il che Regione Lombardia un documento Regione, affinché la declinazione di vuol dire, in altre parole, aprire a tutti che propone le modifiche al Titolo queste forme aggregative non privi il le stesse agende e inserire nel SISS VII della L.R. 33/2009, tali da poter territorio della presenza degli ambu- anche le strutture private accredita- rendere concreto un nuovo modello latori e non penalizzi così il cittadino. te. di farmacia. Altro tema che sta particolarmente Una risposta sempre più completa e La farmacia ha tutte le caratteristiche a cuore delle farmacie è quello della organica per essere il luogo di orientamento dispensazione di prodotti e ausili di L’evoluzione del cittadino verso i centri di assisten- protesica e di assistenza integrativa, rappresenta una grande occasione za del SSR ed essa stessa può essere per il quale si avverte la necessità di per riformulare gli ambiti di attività e erogatrice di determinati livelli di centralizzare le convenzioni originate le funzioni della farmacia nello svolgi- assistenza, in coordinamento con dai rapporti tra le farmacie e le rispet- mento di compiti di sussidiarietà. Per le AFT e le UCCP e a supporto delle tive ex ASL, nell’ottica dell’uniformità le potenzialità che la farmacia dimo- attività del medico di medicina gene- dei livelli di assistenza e della circo- stra di possedere, per struttura, per rale e del pediatra di libera scelta, in larità del cittadino e, in particolare, professionalità, per propensione alla perfetta coerenza con i principi del nel preservare il ruolo sanitario della formazione, risulta essere la candida- Patto per la Salute. Stiamo parlando farmacia nella gestione dei prodotti e ta ideale ad assumere nuovi ruoli e di prestazioni di analisi e di teleme- ausili per gli assistiti diabetici, poiché funzioni all’interno della riforma del dicina da erogare ad esempio, sulla consistono in un vero e proprio SSR. base di programmi predefiniti di supporto alla corretta terapia. Federfarma si sta preparando con monitoraggio e di screening, perché C’è poi un nuovo settore dove la la realizzazione di piattaforme infor- si operi con percorsi condivisi con farmacia può dare un contributo di matiche da rendere disponibili sul tutti gli attori di sistema e nel rispet- presenza e di orientamento. È quello proprio portale www.federfarma.it e to delle competenze di tutte le figure dell’erogazione di servizi alla persona che facciano da supporto a program- professionali coinvolte. connessi ai Piani di Zona, secondo un mi evolutivi. Al momento, ha già atti- Ovviamente, servono regole di certi- modello che preveda accordi con i vato una piattaforma per l’erogazio- ficazione dei risultati ottenuti con i Comuni interessati, in coordinamen- ne di prestazioni di telemedicina e nostri strumenti, la definizione dei to con il competente Assessorato per porre in dialogo le farmacie con requisiti minimi e le tariffe di rimbor- regionale, per funzioni di individua- erogatori di prestazioni sanitarie e so delle prestazioni. zione dei bisogni e di orientamen- socio-sanitarie, mentre sta svilup- Il valore della partecipazione della to del cittadino verso le strutture pando un modulo per lo sviluppo di farmacia a programmi di aderen- predisposte ad affrontare specifici progetti di pharmaceutical care. Nelle za alle terapie è ormai riconosciuto problemi. Proseguirà poi il suppor- Regole 2016 di Regione Lombardia ampiamente. È un’attività da svolge- to fin qui assicurato alla Regione in ritroviamo la farmacia dei servizi già re in team con gli altri professionisti, attività di front-office, con l’obiettivo inserita nel programma di attuazio- nell’ambito dei modelli di presa in di giungere insieme ai massimi livelli ne di nuovi modelli assistenziali; il carico che prevedano anche l’inter- di semplificazione. Questo è il tema cammino inizia oggi e ha bisogno di vento del farmacista, nel valutare la dell’implementazione delle funzioni essere sostenuto. Strumenti indi- comprensione da parte del paziente sanitarie-amministrative di preno- spensabili sono il confronto, l’uni- dell’uso del farmaco, l’allineamento tazione di visite ed esami speciali- formità regionale nell’esercizio delle alle indicazioni del medico curante stici presso le strutture pubbliche e funzioni, il dialogo e la collaborazione e la presenza di eventuali problemi private convenzionate, della riscos- tra le professioni sanitarie e sociosa- di interazioni. Un particolare cenno sione dei ticket delle prestazioni nitarie. del SSR lombardo L’opinione di Ilaria Ciancaleoni Bartoli, Direttore dell’Osservatorio Malattie Rare MALATTIE RARE, UN’ITALIA A 20 VELOCITÀ Una malattia è rara quando la sua una malattia rara? Al momento no. In ad alcune patologie una esenzione prevalenza non supera la soglia di 5 parte perché, nonostante una spinta extra LEA. È il caso, per fare degli casi su 10.000 persone. Il criterio è sempre più forte ad uniformarsi esempi, dei pazienti affetti da fibrosi chiaro; quante persone siano affette nella metodologia della raccolta di polmonare idiopatica (IPF) o da scle- da malattie rare in Italia molto meno. dati, permangono differenze che rodermia, che hanno avuto l’esenzio- Durante la giornata delle malattie rendono difficile “fare la somma”. Il ne in Toscana e in Piemonte. rare, il 29 febbraio scorso, il dato problema più grave, però, è un altro: Entrambe le patologie erano nell’e- che più spesso è stato citato per la maggior parte dei registri raccol- lenco di nuove malattie che dove- l’Italia è di 670.000 pazienti, mentre gono solo i dati dei pazienti affetti vano rientrare nell’aggiornamento: fino a un paio di anni fa si parlava da una malattia rara esente, cioè mancando una decisione naziona- di 2 milioni. Cifre discordanti sulle una di quelle codificate nell’allegato le, le Regioni che hanno potuto, e quali non sono dirimenti nemmeno A del decreto 279 – poche centinaia voluto, si sono mosse prima, ma i dati dei registri regionali o del regi- di malattia a fronte delle oltre 8.000 solo un provvedimento naziona- stro nazionale, istituiti dal Decreto conosciute. I malati rari, dunque, non le potrà uniformare la situazione. Ministeriale 279/2001, quella che sono tutti uguali di fronte alla legge: Anche volendo, infatti, le regioni ancora oggi viene considerata la quelli affetti dalle patologie compre- italiane sottoposte a piani di rientro ‘legge quadro’ per le malattie rare. se nell’elenco sono esentati dal non potrebbero seguire Toscana e Una legge pensata e approvata poco pagamento del ticket – per gli esami Piemonte su questa strada. prima della riforma del titolo V della periodici a cui devono sottoporsi, ad Costituzione e che ha trovato, a causa esempio – mentre gli altri, i malati di Le disparità nello screening neona- del mutamento di assetto istituziona- serie B, questo diritto non ce l’hanno. tale le, diverse difficoltà di applicazione. L’allegato A in teoria doveva essere Le disparità arrivano a colpire fin Basti pensare che il recepimento del aggiornato ogni 3 anni: dal 2001 è dalla nascita. I programmi di scree- D.M 279 è avvenuto a velocità molto sempre lo stesso. Una prima lista di ning neonatale per le malattie rare, differenti: se alcune regioni si sono malattie rare, circa 109, che dove- infatti, mosse subito (Veneto, Basilicata, vano servire da aggiornamento, fu territoriali; talvolta, si riscontrano Lombardia, Marche e Sicilia) altre preparata ai tempi del Ministro Livia politiche diverse anche tra le Asl hanno impiegato più tempo, fino ad Turco, nel 2008; mancarono, però, della stessa regione. arrivare al Trentino che lo ha fatto le coperture economiche per inse- Nel nostro paese oggi tutti i neonati solo nel 2007. Ancora più complicato rirli nei LEA. Da allora il problema è devono essere obbligatoriamente è stato il lavoro per l’Istituzione dei stato sempre lo stesso: la copertura sottoposti, nei giorni immediatamen- Registri, previsto dalla stessa legge: continua a non trovarsi. Mancando te successivi alla nascita, a dei sempli- il 75% è stato istituito dopo il 2007. una decisione di livello naziona- ci test per tre patologie rare: la fibrosi Ma possono questi registri darci un le, il tema è stato affrontato dalle cistica, la fenilchetonuria e l’ipoti- numero verosimile del numero delle singole regioni. Alcune hanno auto- roidismo persone che in Italia sono affette da nomamente deciso di riconoscere un procedere a diverse velocità, ad hanno enormi congenito. difformità INNOVAZIONE E TERRITORIO Il numero di persone che in Italia sono affette da una malattia rara è ancora incerto – Difformità regionali sull’implementazione di screening neonatali per le mattie rare metaboliche – Disparità anche nell’accesso alle terapie per difficoltà di inserimento del farmaco. Nonostante 13 INNOVAZIONE E TERRITORIO oggi praticamente in tutte le Regioni Piemonte, Valle D’Aosta e Puglia nel (PTAV) dal momento della pubbli- vengono garantiti questi test. Grazie 2014 non avevano attivato alcun cazione in Gazzetta Ufficiale della a questi sono praticamente scom- programma di screening metabolico Determinazione AIFA sono molto parsi i gravi effetti sulla crescita allargato. Il Friuli Venezia Giulia si è diversi: si passa dai 145 giorni dell’ipotiroidismo, la sopravvivenza recentemente attivato, appoggian- dell’Umbria ai 284 giorni del Lazio. dei bimbi affetti da fibrosi cistica è dosi al Veneto, e la Basilicata inizierà A queste tempistiche va aggiunto il enormemente aumentata raggiun- a breve in collaborazione con l’Ospe- tempo medio di 226 giorni neces- gendo l’età adulta, e anche per la dale Bambino Gesù. sari all’Agenzia Italiana del Farmaco fenilchetonuria sono stati fatti passi Le cose sono migliorate rispetto (AIFA) per procedere con l’Autorizza- da gigante. Oggi, grazie alle nuove al 2013, quando solo il 30,9% dei zione e la contrattazione del prezzo tecnologie, sarebbe possibile fare bambini era stato sottoposto a di lo stesso per un numero assai supe- screening, ma le disparità rimango- che in alcune realtà regionali non è riore di malattie rare, oltre 40. I test no. Anche in questo caso, solo una detto che quel farmaco approvato per individuarle sono veloci, precisi, legge nazionale potrebbe cambiare prima a livello europeo, poi a livello non invasivi e anche relativamen- davvero le cose, e per fortuna qui la nazionale dall’AIFA venga poi inse- te poco costosi. Per questo, alcune politica, con i suoi tempi, sta proce- rito nei singoli PTOR. Infine, anche regioni hanno pensato di offrire ai dendo. Un primo passo è stato fatto laddove venga formalmente inseri- propri neonati questa grande oppor- alla fine del 2013, quando la Senatrice to, possono verificarsi casi nei quali tunità: ma ognuna lo ha fatto con Paola Taverna (M5S) fece introdurre concretamente l’accesso alle terapie tempi e modalità diverse. La fotogra- nella legge di stabilità un primo finan- rimane difficoltoso. fia di queste disparità è contenuta ziamento per lo screening metaboli- E se questo vale per i farmaci ospe- nell’ultimo rapporto della Simmesn, co allargato. Una norma che non è dalieri e quelli di fascia A la situazio- la società scientifica che si occupa stata ancora attuata: solo di recente ne per quel che riguarda i farmaci proprio di malattie metaboliche e il Ministro Lorenzin ha annunciato di fascia C non è migliore: in alcuni screening neonatale. un imminente decreto applicativo. regioni i pazienti possono averli In Italia, nel 2014 sono nati 502.596 Parallelamente però, sempre grazie gratuitamente se rientrano nel loro bambini (Istat): di questi neonati agli sforzi della Sen. Taverna, è stato piano terapeutico, in altre no. E, per il 43% (212.291 bambini) è stato portato avanti e approvato in prima alcuni, questa spesa, sommata alla sottoposto al test di screening per le lettura al Senato un altro atto, il DDL perdita del lavoro e ai costi di assi- malattie rare metaboliche. Ne deriva 998, che è attualmente in discus- stenza, spesso sostenuti di persona, che 290.305 neonati non hanno sione alla Camera. Questo prevede diventa insostenibile. La discrimina- avuto questa opportunità. Già da l’obbligatorietà dello screening sul zione alla fine torna sempre lì: tra questi dati si evidenzia una frattura territorio nazionale e l’inserimento quelli che possono permettersi di del paese a metà, ma la complessi- dello stesso nei LEA. Considerate le curarsi a proprie spese e quelli che tà è ancora maggiore di quello che diverse realtà regionali, probabil- non possono e devono accontentarsi sembra. I bambini sottoposti a scre- mente sarà solo con l’approvazione di quel che passa la propria Regione. ening, infatti, hanno avuto accesso di questa norma che si potranno a un numero diverso di test: se, in cancellare le disparità nello scree- alcuni casi, sulla loro singola goccia ning. Senza considerare di sangue sono state cercate oltre 40 malattie metaboliche rare, in altri Le disparità nell’accesso alle terapie la ricerca si è limitata a meno di una Se per la diagnosi precoce e per il trentina. riconoscimento delle esenzioni ci Liguria, Veneto, Emilia-Romagna, Toscana, Umbria, Sardegna hanno Marche effettuato sono grosse disparità, le cose non e vanno benissimo nemmeno quando nel si tratta di avere accesso alle terapie. 2014 lo screening metabolico allar- Stando all’indagine civica pubbli- gato su tutto il territorio regionale. cata nel 2013 da Cittadinanzattiva, Programmi parziali sono attivi in i tempi di inserimento dei farmaci Lazio, Lombardia, Campania, Sicilia, all’interno dei Prontuari Terapeutici Molise, Trentino-Alto Adige. Ospedalieri Abruzzo, 14 rimborso. Basilicata, Calabria, Regionali (PTOR) / Prontuari Terapeutici di Area Vasta Osservatorio Malattie Rare, dai più conosciuto come OMAR, è una testata giornalistica on line (www.osservatoriomalattierare.it) l’unica interamente dedicata alle malattie e ai tumori rari. Fondata nel 2010 vanta oggi oltre 10.000 lettori singoli ogni giorno e mette a disposizione di tutti, gratuitamente, informazioni e aggiornamenti di carattere scientifico, sociale e legislativo. Conversazione con Domenico Mantoan CENTRALIZZARE LA SANITA? NO PER LE REGIONI VIRTUOSE Secondo il DG della sanità della Regione Veneto, prima di riformare il servizio sanitario nazionale in senso centralistico, occorre almeno guardare alle migliori esperienze regionali – La sanità digitale per produrre i suoi effetti chiede normative adeguate – Dal PTDA maggiore appropriatezza e standardizzazione – La formazione e la selezione del management deve interessare anche i livelli intermedi In questa fase storica, nella quale domina una corrente di pensiero che considera la regionalizzazione della sanità in una situazione di crisi, quali interventi a suo avviso sono da ritenersi eventualmente accettabili e quali ambiti dovrebbero essere immuni da interventi? Le regioni che hanno saputo gestire bene la sanità dovrebbero essere salvaguardate da interventi normativi di stampo centralistico. Il Ministero della Salute dovrebbe portare a sistema le migliori esperienze sanitarie regionali. Altro tema di grande attualità è quello del management, inteso come il rafforzamento e l’efficientamento della macchina produttiva e, quindi, delle sue risorse umane e dei meccanismi operativi di gestione. Che cosa può dirci di quanto accade, in proposito, nella sanità veneta? Credo che uno dei temi sia quello della formazione e della selezione del management intendendo per management non solo la direzione strategica, ma anche il management intermedio. A tale scopo in Veneto la Regione ha costituito una Fondazione con l’obiettivo di promuovere la cultura manageriale a tutti i livelli degli operatori del sistema sanitario regionale. Volendo fare il punto, in particolare, sulle ricadute organizzative che la sanità digitale sta producendo, che cosa ci può dire in proposito? La sanità digitale è uno strumento straordinario per mettere a disposizione dei professionisti della sanità nel più breve tempo possibile la maggior parte delle informazioni. Tale strumento però molto spesso è limitato dalle vecchie normative, vedi recente vicenda delle Linee Guida sulle competenze dei radiologi e dei tecnici di radiologia. La normativa attuale, non adeguatamente aggiornata, rischia di rendere vani i vantaggi che la sanità digitale potrebbe apportare al sistema salute. C’è una sempre maggiore attenzione all’utilizzo dei percorsi diagnostico-terapeutici come elemento di utilizzo delle risorse centrate sul paziente e non sui bilanci. Un tetto di spesa farmaceutica rigido ha senso se un maggior utilizzo del bene farmaco incide positivamente nel contenimento della spesa ospedaliera e genera un saldo positivo sul livello complessivo della spesa sanitaria? Il PDTA, a mio parere, dovrebbe portare ad una maggiore standardizzazione ed appropriatezza nell’uso delle risorse per la cura delle patologie, quelle croniche in particolare. Standardizzazione ed appropriatezza incidono sicuramente in modo positivo sia sui risultati di salute che di bilancio finanziario. POLITICA & ISTITUZIONI L’atteso ridimensionamento della autonomia regionale prevista nel titolo V della Costituzione dovrebbe riportare ad una ricentralizzazione di alcune logiche gestionali dei servizi sanitari. Considera questo un fatto inevitabile e, se sì, quale sarebbe l’impatto per la sanità regionale e per l’intero Paese? La regionalizzazione della sanità, avvenuta in conseguenza della modifica del titolo V della Costituzione, ha portato una notevole variabilità nei risultati, in termini di efficienza ed efficacia, dei vari sistemi regionali. Attualmente la corrente di pensiero predominante sviluppa l’idea che il ritorno alla gestione centralizzata da parte dello Stato dovrebbe diminuire questa variabilità che si è creata; il rischio reale è che la differenza fra i sistemi regionali diminuisca riducendo però la buona sanità di alcune regioni virtuose. 15 D O S S IER TUMORE DEL SENO: IL MOLTO CHE ANCORA SI PUÒ E DEVE FARE LA CENTRALITÀ DELLE BREAST UNIT Laura Bianconi* L’opinione di Laura Bianconi, componente 12a Commissione Igiene e Sanità del Senato, nella grande sfida della lotta contro il cancro al seno - Competenza, qualità NON SOLO CURA e risparmi per i malati e la sanità italiana Incredulità, paura, l’assoluta sorpresa, il pensare “non può essere successo proprio a me”, la rabbia e poi il coraggio, una nuova forza per combattere la giusta battaglia. Di solito, sono queste le reazioni di una donna, quando arriva la terribile diagnosi di tumore al seno. Una situazione che non riguarda esclusivamente la sfera medica. Occorre, infatti, fare i conti con aspetti culturali legati affettivamente al seno, come la maternità, la femminilità, e a quanto la propria immagine abbia la necessità di sentirsi in buon rapporto con l’ambiente e le persone che ci circondano. Si tratta di un problema sociale e umano: il cancro al seno colpisce ogni anno un numero altissimo di donne, senza limiti di età. In Italia, ogni anno si ammalano circa 48.000 donne; si tratta della neoplasia più frequente nella popolazione femminile e che causa il maggior numero di decessi in tutte le fasce di età. Un male subdolo che tuttavia può essere diagnosticato in tempo, attraverso la prevenzione e la capacità delle donne di essere attente al proprio fisico. Le strut* Vicepresidente Gruppo Area Popolare (NCD-UDC) e Componente 12a Commissione Igiene e Sanità 16 ture sanitarie, dal canto loro, sono sempre più all’avanguardia e in grado di attivare percorsi semplici e facilitanti, anche la normativa sembra dare un grosso contributo alle donne malate. Qualità delle prestazioni: superare le disparità territoriali Il 5 giugno 2013 il Parlamento europeo adottò, per la prima volta per una malattia specifica, una risoluzione elaborata dalla Commissione per i diritti della donna e le pari opportunità – su sollecitazione del movimento di opinione “Europa Donna” nato nel 1991 grazie al professor Veronesi – che proponeva di fare della lotta al cancro al seno una priorità della politica sanitaria. Ogni donna deve avere accesso a uno screening, a cure e a una post-terapia di qualità, a prescindere dal luogo di residenza e dalla posizione sociale. Eppure, esistono ancora grandi differenze nella qualità delle prestazioni su diagnosi e cura, non solo tra Regione e Regione ma anche tra ospedale e ospedale. Differenze che possono far variare notevolmente anche la sopravvivenza al tumore. La ricerca ha dimostrato che l’intervento più efficace per la prevenzione del cancro al seno o per la guarigione è la diagno- si precoce. Se diagnosticato allo stadio iniziale, questo tumore può essere sconfitto nel 90% dei casi. Secondo l’OMS, uno screening mammografico di qualità è in grado di ridurre, fino al 35%, la mortalità fra le donne di età compresa fra i 50 e i 69 anni, e del 20% tra quelle tra i 40 e i 49 anni. In Italia un ruolo fondamentale legato alla prevenzione ce l’hanno senza dubbio le ‘Breast Unit’, più note con il nome di Centri di Senologia. Si tratta di strutture che offrono una nuova opportunità di cura e assistenza personalizzata, regolata da specifiche linee guida nazionali, che permettono alla donna di affrontare il tumore al seno con la sicurezza di essere curata secondo i più alti standard europei e accompagnata nell’intero percorso di malattia. Avere a disposizione una Breast Unit per chi ha un tumore al seno, vuol dire avere maggiori chance di essere curata al meglio e di guarire grazie a studi clinici multicentrici, nazionali e internazionali, e all’accesso a terapie innovative. L’importanza delle strutture dedicate Significa non dover andare personalmente alla ricerca una volta del chirurgo l’altra dell’oncologo, zate secondo criteri scientifici precisi, condivisi su tutto il territorio italiano – senza distinzioni tra nord, centro e sud – le cui prestazioni vengono valutate periodicamente e confrontate, in cui si assicura l’aggiornamento sia del personale che della strumentazione utilizzata. Una Breast Unit non è necessariamente un’unica struttura in cui accentrare tutte le parti operative che riguardano il tumore al seno, ma molto spesso promuovere la prevenzione incoraggiando corretti stili di vita e facendo attività d’informazione. Può effettuare visite senologiche attraverso le quali accedere agli esami diagnostici; mettere a disposizione strutture e medici per il programma nazionale di screening mammografico; garantire l’utilizzo di tecnologie avanzate e la presenza di personale altamente specializzato nella diagnostica senologica. Consolidare la cultura della prevenzione Per una donna senza tumore al seno, ma ad alto rischio eredo/ familiare, la Breast Unit garantisce un percorso di presa in carico, anche attraverso il counseling genetico e il supporto psicologico, con una programmazione personalizzata dei controlli per la diagnosi precoce. Per una donna con il tumore al seno in stadio iniziale, garantisce la totale presa in carico della paziente per tutto il percorso diagnostico-terapeutico e i migliori standard di cura. Per una donna con il tumore avanzato o metastatico, prende in carico la gestione complessiva della paziente; garantisce la continuità di cura e la gestione delle complicanze; garantisce un servizio specializzato di cure palliative che collabora con l’équipe multidisciplinare. La presenza di quest’ultima è fondamentale considerando la complessità della patologia: perché non esiste un solo tipo di tumore al seno, ma ne esistono di diversi tipi, che differiscono anche a livello molecolare. Ciascun tumore va identificato nel modo corretto, affinché si possa stabilire la terapia più mirata ed efficace per ogni donna. Un approccio multidisciplinare La presenza di team medici completi, inoltre, evita ai pazienti pellegrinaggi infiniti alla ricerca di diversi specialisti, con conseguente risparmio di tempo e soprattutto denaro. Alle opinioni personali di un solo clinico si sostituisce, così, una decisione collegiale che nasce dal confronto di più professionisti, che segue i protocolli e le linee guida più aggiornati. Con un risparmio economico anche per la sanità, visto che in questo D O S S IER è costituita da servizi dislocati su sedi diverse che creano un percorso personalizzato e seguito di diagnosi, terapia e successivi controlli. I gradi di assistenza nei Centri di Senologia variano a seconda della gravità. Per una donna senza tumore al seno e senza familiarità, la Breast Unit può NON SOLO CURA ma essere seguita da un’équipe multidisciplinare durante tutto il percorso diagnostico e terapeutico. La Breast Unit, infatti, assicura la presenza di chirurghi, radiologi, patologi, oncologi, radioterapisti, infermieri, tecnici di radiologia che dedicano la loro attività al trattamento della mammella. Strutture di alto livello organiz- 17 D O S S IER modo si evitano esami inutili o la loro ripetizione. Esiste un documento italiano ufficiale che spiega e definisce ogni fase del percorso in una Breast Unit; circa cento pagine in cui sono spiegate tutte le caratteristiche che tali strutture devono avere per offrire alle donne servizi e cure migliori. Il documento si intitola “Linee d’indirizzo sulle modalità organizzative e assistenziali della rete dei centri di senologia” ed è stato redatto da un gruppo di lavoro, formato da alcuni dei massimi esperti in senologia, istituito nel 2012 presso il Ministero della Salute. Per redigere le Linee d’indirizzo sono serviti due anni di lavoro. Le risposte attese dalle Regioni Il 18 dicembre 2014, le Linee d’indirizzo sono state approvate in Conferenza Stato-Regioni: da quel momento, i centri italiani che si occupano di senologia hanno un riferimento a cui attenersi e le Regioni dovranno man mano adeguarsi per garantire che, entro i loro confini, ci sia un numero adeguato di Breast Unit. Secondo le indicazioni Europee, ogni nazione dovrebbe garantire la presenza di una Breast Unit ogni 250.000 abitanti. Ma se le Regioni non riusciranno a dare risposte certe in tempi brevi, saranno le stesse donne a pretendere quanto gli spetta: ormai sono sempre più consapevoli dei loro diritti legati all’assistenza sanitaria, e pretendono che a prendersi cura della loro salute siano solo validi specialisti. L’elenco degli standard è stato stabilito e condiviso a livello europeo. Nel 2000 l’European society of breast cancer specialists (Eusoma) ha pubblicato le raccomandazioni sui requisiti che dovrebbe avere un centro di senologia. Tali requisiti sono stati ripresi anche dal Parlamento europeo nel 2003. Una Breast Unit, per definirsi tale, dovrebbe trattare più di 150 nuovi casi di carcinoma mammario ogni anno. L’obiettivo per l’imminente futuro è quello di proseguire su questa strada con ancor più impegno. Bisogna assicurare l’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici e degli interventi a tutte le pazienti, basandosi sulle migliori evidenze scientifiche, per garantire qualità e sicurezza della cura. Lo chiedono le tante donne che hanno intrapreso questa dura battaglia, subdola e complessa, ma che con competenza e volontà d’animo si può vincere. L’ITALIA DELLE REGIONI E LO SCREENING DEL TUMORE MAMMARIO NON SOLO CURA Federico Mereta 18 Il cancro alla mammella è una malattia subdola. In molti casi, infatti, si può sviluppare senza dare alcun segno della sua presenza, diventando sintomatico solo quando è già molto sviluppato. Per questo, è fondamentale la diagnosi precoce. Occorre tenere sotto controllo l’organo, eseguendo regolarmente alcuni controlli che vanno poi modulati/ integrati ed effettuati a scadenze più brevi (e con esami specifici) nei casi in cui esistano particolari profili di rischio genetico o di predisposizione familiare. Fatte salve queste situazioni, quindi, il percorso “formativo” per la donna deve partire dall’autopalpazione. Si tratta di un test importante che può aiutare a svelare la presenza di noduli all’interno del tessuto mammario. Andrebbe eseguita una volta al mese a partire dai vent’anni di età. Il test va fatto sempre subito dopo le mestruazioni e la donna deve, in piccolo, ripetere l’esame clinico della mammella effettuato dal medico. Prima, utilizzando le dita della mano, palpa tutte le aree del seno prestando particolare attenzione alla forma e alla consistenza, alla eventuale presenza di noduli e, se questi sono presenti, al grado di adesione alla pelle sovrastante o ai tessuti più profondi. Poi deve palpare il cavo ascellare, per identificare eventuali rigonfiamenti a carico delle ghiandole linfatiche di questa zona. Infatti, sono proprio questi linfonodi a fare da “stazioni” per la mammella, e di conseguenza sono utilissimi per valutare lo stato della malattia. L’esame chiave per la diagnosi precoce del tumore mammario è sicuramente la mammografia, che consente di identificare il cancro anche molti anni prima che si presentino sintomi clinici. Si tratta di una radiografia con raggi za, in questa fascia di età, può ridurre del 35 per cento la mortalità per questa malattia. Alcune Regioni italiane, peraltro, stanno valutando la possibilità di anticipare i controlli offrendo il test anche a donne più giovani, e ci sono già casi di offerta “allargata” anche ad altre fasce d’età, soprattutto tra i 45 e i 49 anni. in questa popolazione l’esame va offerto ogni anno. A supportare questo approccio ci sono dati di letteratura sicuramente interessanti: estendere, infatti, l’esame alle quarantenni potrebbe far calare ulteriormente la mortalità legata alla malattia, proprio grazie alla diagnosi precoce. La posizione del Centro per il Controllo delle Malattie nel proprio documento emesso con il Ministero appare comunque permissiva sull’ipotesi di un potenziale allargamento dei possibili accessi al programma di screening. “La scelta di estendere le fasce di età per lo screening mammografico oltre i 70 anni e al di sotto dei 50 anni dovrebbe essere lasciata alla libera valutazione delle Regioni, in base alle risorse disponibili e a valutazioni di costo-efficacia – si segnala.” Fondamentale è che le strutture in questi casi specifici siano in grado di offrire una corretta informazione su vantaggi e limiti dello screening e controlli di qualità rigorosi. “Inoltre, va utilizzata la mammografia con doppia proiezione e doppia lettura, con frequenza di 12-18 mesi – si precisa ancora.” Allargare alla terza età? Il particolare quadro epidemiologico del tumore mammario, unito al progressivo aumento dell’età media della popolazione, potrebbe far pensare a un eventuale allargamento nell’offerta dello screening anche a donne D O S S IER Esiste poi una marcata differenza di copertura fra il Centro-Nord e il Sud. Molte più abitanti delle regioni centrosettentrionali ricevono l’invito a effettuare gratuitamente i test che permettono di scoprire precocemente l’eventuale presenza di un tumore, mentre al Sud troppo spesso accade che le Regioni non siano ancora organizzate e l’invito a casa non arriva. Lo screening è un servizio compreso nei livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè nelle prestazioni sanitarie che spettano a tutti i cittadini indipendentemente dalla regione di residenza. Ad oggi, tutte le donne dopo i 50 anni e prima dei 70 dovrebbero ogni due anni ricevere la chiamata a effettuare una mammografia. Guardando i dati più recenti dell’Osservatorio si nota che circa 3 donne su 4 della popolazione target sono regolarmente invitate a fare la mammografia, ma permane una grande e purtroppo immutata (nel tempo) differenza fra Nord (più di 9 donne su 10), Centro (più di 8 su 10) e Sud (solo 4 su 10). A chi è destinato lo screening Secondo quanto riporta il sito dell’Associazione Italiana per la Ricerca sul Cancro (AIRC), lo screening per il cancro del seno, in base a quanto segnala il Ministero della Salute, è diretto alle donne di età compresa tra i 50 e i 69 anni e prevede l’esecuzione ogni due anni della mammografia. La scelta di questa fascia d’età è legata a motivazioni derivanti dagli studi epidemiologici. In base a quanto riportano le evidenze scientifiche, infatti, la maggioranza dei tumori mammari si manifesta proprio in quest’epoca. Ma non basta: l’associazione riporta che la partecipazione allo screening organizzato su invito attivo con queste modalità e frequen- NON SOLO CURA X a bassissime dosi (e per questo motivo può essere ripetuta senza particolari problemi o rischi) che permette di visualizzare le strutture interne dell’organo. Non si tratta di un test perfetto, capace di raggiungere il cento per cento di attendibilità. Dal momento che la sua efficacia varia anche in base al tipo di strumento che viene utilizzato, si consiglia di prediligere, se possibile, strutture che utilizzano apparecchiature di alta qualità. In ogni caso, secondo gli ultimi studi, la mammografia può identificare un’elevatissima percentuale di tumori mammari asintomatici, e la sua efficacia sale ulteriormente nelle donne dopo la menopausa. Alla mammografia, qualora il medico lo consigli, si può associare l’ecografia, che si basa sull’azione degli ultrasuoni per evidenziare noduli all’interno dell’organo. L’esame viene spesso eseguito dopo la mammografia, ma non in alternativa. Infatti, c’è il rischio che il test risulti negativo nella diagnosi precoce perché è dimostrato che su cento tumori di diametro inferiore a un centimetro la mammografia ne scopre oltre il 90 per cento, mentre l’ecografia meno del 20 per cento. La situazione in Italia Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio Nazionale Screening, solo sette donne su dieci tra quante avrebbero dovuto sottoporsi al controllo ha effettivamente eseguito una mammografia. Di queste il 57 per cento ha aderito allo screening, ma con forti differenze percentuali tra i vari territori. Si va dal 76 per cento registrato nella provincia di Trento al 20 per cento della Campania e 26 per cento della Calabria. L’esame è garantito gratuitamente ogni 24 mesi a tutte le donne dai 50 ai 69 anni. 19 D O S S IER che hanno già superato i 70 anni. Questa possibile strategia preventiva, peraltro, è ancora in discussione. Chi è favorevole a un allargamento segnala una sorta di “ritardo” dei dati epidemiologici rispetto alle evidenze scientifiche. Il mancato ricorso allo screening non sarebbe sicuramente giustificato in base all’incidenza della patologia, che appare frequente anche in questa fascia d’età: intorno ai 70 anni una donna su 14 presenta la malattia e, addirittura, si sale a una donna su nove verso gli ottant’anni. Anche sul fronte clinico, peraltro, la diagnosi precoce potrebbe rivelarsi vincente. Se si individua una lesione di piccole dimensioni, esiste la possibilità di guarire completamente una paziente anche quando ha settanta e più anni. Va però segnalato che alcuni lavori scientifici sembrano portare ad un’altra conclusione, anche per l’oggettivo rischio di sovradiagnosi di patologia. Questa raccomandazione viene da una ricerca dell’Università di Leiden pubblicata dal British Medical Journal: lo studio sconsiglia l’esecuzione dell’esame radiografico nelle donne sopra i 70 anni, con la motivazione che questo approccio potrebbe essere responsabile di fenomeni di “overdiagnosis” e di trattamenti inutili, con effetti indesiderati ancor più pesanti vista l’età delle donne stesse. L’indagine, effettuata su una popolazione di oltre 25.000 donne tra i 70 e i 75 anni, sottoposte a screening, dimostra che sicuramente la mammografia regolare permette di aumentare le diagnosi precoci e quindi di non trovare forme tumorali particolarmente avanzate. Tuttavia, a detta dei ricercatori olandesi, non bisogna dimenticare che l’incidenza di questo tumore dopo i 70 anni si può considerare bassa e lo screening di routine potrebbe addirittura risultare inutile visto che può identificare lesioni che non si sono trasformate in vere e proprie malattie, con evidenti impatti sulla vita della donna. La proposta degli studiosi di Paesi Bassi, peraltro molto discussa da tanti esperti che difendono a spada tratta la mammografia anche in questa età della vita, è di mirare solo su specifiche popolazione femminili over 70 l’eventuale esecuzione dell’esame, per ottimizzare anche le opportunità economiche di gestione. Il capitolo costi, infatti, ha un valore significativo nella gestione delle diverse strategie regionali, con differenze evidenti sull’offerta gratuita alle cittadine anche sotto questo profilo. Che cosa indica il Ministero Secondo il documento del CCM e del Ministero della Sanità lo screening mammografico ha un obiettivo preciso: abbassare la mortalità per tumore mammario nella popolazione che viene chiamata a sottoporsi a controlli periodi. Ovviamente, le strutture deputate a questa importante azione di sanità pubblica devono comprendere specialisti che rispondano a precise caratteristiche: dedicarsi all’attività in ambito senologico per almeno la metà del loro tempo, refertare almeno 5.000 esami di screening l’anno, sviluppare una particolare competenza sulla patologia attraverso incontri di approfondimento multidisciplinari su casi clinici, avere una revisione periodica delle attività. Inoltre, oltre ad avere a disposizione anche servizi di counselling per la gestione delle informazioni offerte alle donne, i centri deputati all’esecuzione degli screening dovrebbero essere in costante contatto con strutture chirurgiche specializzate, che eseguano un congruo numero di interventi al seno ogni anno. LE TRE VELOCITÀ DELL’ITALIA NON SOLO CURA L’opinione di Gianni Saguatti, direttore del Centro diagnostico senologico 20 dell’Ospedale Maggiore di Bologna e presidente del Gruppo Italiano Screening Mammografico (GISMa) - Lo stato dell’arte sullo screening mammografico I numeri offrono un quadro preciso sulla situazione degli screening mammografici in Italia. A fronte di una popolazione potenzialmente eleggibile che supera di poco i 7 milioni di donne, siamo intorno ai 7.200.000, e di un’estensione teorica delle campagne per la diagnosi precoce del tumore al seno che dovrebbe interessare più o meno il 95% di queste donne, la popolazione eleggibile è il 73% del totale. Ma il problema è che quando si contano le donne invitate ci si aggira intorno ai 5.271.000, mentre le donne che effettivamente fanno i control- Come si spiegano queste differenze? Se proviamo a leggere le cifre assolute in percentuale ci accorgiamo che l’adesione reale agli screening sulla base delle donne invitate si aggira su scala nazionale intorno al 61%. Ma quando leggiamo le percentuali suddivise per le tre grandi aree, nord, centro e sud, le cifre cambiano: siamo al 69% circa al settentrione, poi si scende al 57,5% al centro e al 42,7% al meridione. Questa, a mio parere, è la “madre” di tutte le difficoltà. L’Italia è insomma un motore che viaggia a velocità diverse? Proprio così. Abbiamo una realtà già ampiamente accettata in certe zone, mentre in altre aree esistono ancora difficoltà. Come Gruppo Italiano Screening Mammografico (GISMa) tentiamo di ampliare il più possibile la sensibilità a questo intervento sanitario. Ed è uno sforzo importante in termini di sanità pubblica, visto che anche da quanto emerge dallo studio Passi la mammografia, anche considerando l’esame al di fuori dei classici programmi di screening, viene effettuata soprattutto al nord con un gradiente in discesa da nord a sud. Questo significa che non si Come sono strutturate localmente le iniziative di screening? Anche se i dati sono relativi al periodo 20011-2012, si ha comunque uno spaccato dei diversi programmi di screening in corso, pur se siamo nell’ambito di una situazione estremamente dinamica. In Italia ci sarebbero circa 136 programmi attivi: 65 sono al nord, 30 al centro e 41 al sud. Nel meridione, considerando anche la popolazione, esiste quindi una frammentazione dei programmi che sicuramente non ha un effetto positivo. Quali possono essere le ricette per migliorare la situazione? Penso ci siano diversi aspetti su cui agire: innanzitutto, bisogna far partire i programmi in tutta Italia, poi occorre fare un’opera di chiarezza per limitare l’impatto di una serie di detrattori che criticano l’organizzazione dello screening e propongo in partenza di allargarlo oltre alla fascia d’età 50-69. Questo può essere un obiettivo, compatibilmente con le situazioni delle diverse regioni e con le possibilità economiche, ma evitando di crearsi alibi: prima deve partire un programma di screening corretto, poi si può pensare a un suo allargamento. Bisogna, infatti, ricordare che la Consensus Conference GISMa-SIRM del 2007 sull’allargamento delle fasce di età aveva già indicato la appropriatezza di impiego della mammografia anche in donne asintomatiche tra 40 e 45 anni. Al più, oggi si inizia a valutare, in modo assolutamente ancora ipote- tico, la possibilità di ingresso nello screening a 40 anni. Non esiste invece alcuna evidenza significativa circa lo screening nelle donne “under 40”. Ci sono modelli che possono essere di aiuto in termini organizzativi? Credo che quanto sta avvenendo in Emilia-Romagna rappresenti una best practice. I programmi sono partiti in tutta la Regione nel 1996-97 con strategie comuni. Soprattutto, sono stati accompagnati da allargamenti delle fasce d’età eleggibili sia in alto che in basso, sia da programmi per l’individuazione e la sorveglianza delle donne a rischio elevato, con evidente “personalizzazione” delle diverse situazioni in base a criteri precisi di appropriatezza. L’esempio di quanto si fa nella Regione EmiliaRomagna è indicativo in questo senso, grazie al programma sulla definizione e sorveglianza del rischio eredo-familiare. Chi è a rischio viene ad essere inserito negli appuntamenti – pur senza essere nelle fasce d’età dello screening “classico” – in regime di esenzione dal ticket. Infine, sono state identificate modalità di accesso che permettono di affrontare anche in urgenza esami diagnostici specifici, sulla scorta di criteri di selezione definiti. Tutto questo non è a giudizio del singolo operatore, ma è stato determinato da precise delibere regionali che regolamentano le diverse necessità. Solo con lo studio, l’organizzazione e la scelta politica della Regione, a mio parere, si può arrivare a erogazione di risorse mirate e quindi ad offrire ai cittadini i servizi. D O S S IER tratta solamente di un problema di adesione allo screening, quanto piuttosto un ricorso limitato alla mammografia in senso lato. È su questi aspetti che dobbiamo concentrare la nostra attenzione. NON SOLO CURA li sono circa tre milioni. Come si spiega questa situazione? Fondamentalmente, esiste ancora una profonda differenza tra le diverse regioni e tra le tre grandi macroaree in cui è divisa la penisola, con un trend che cala progressivamente dal settentrione al meridione. La conferma viene dal Prof. Gianni Saguatti, direttore del Centro diagnostico senologico dell’Ospedale Maggiore di Bologna e presidente del Gruppo Italiano Screening Mammografico (GISMa). 21 A colloquio con Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO LE SFIDE DELL’ADVOCACY ONCOLOGICA IL MONDO ADVOCACY Manca un dialogo organico con l’AIFA 22 1. Che cosa sta facendo il mondo advocacy per far sì che, analogamente a quanto avviene in EMA a livello europeo, propri rappresentanti possano far sentire la propria voce anche in AIFA? La Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia (FAVO) è costituita da oltre 500 associazioni, molte delle quali diffuse su tutto il territorio nazionale attraverso rappresentanze locali, per un totale di circa 25.000 volontari (la maggior parte dei quali sono malati o ex malati) e 700.000 iscritti a vario titolo. Il volontariato, per mezzo di FAVO, fornisce il proprio apporto di esperienze e competenze a 360 gradi in oncologia collaborando con istituzioni e società scientifiche al fine di migliorare la condizione assistenziale, la riabilitazione e la qualità di vita dei malati di cancro. Questa interazione ha portato, dalla costituzione di FAVO nel 2003 ad oggi, a rilevanti risultati realizzati con il Parlamento, i Ministeri della Salute, del Lavoro e delle Politiche Sociali, l’INPS e con altri enti ed istituzioni. Purtroppo, invece, fino ad oggi è mancato completamente un dialogo con l’AIFA. Differentemente dall’EMA, che coinvolge le associazioni dei malati chiedendone la collaborazione attiva a vari livelli, l’AIFA si è limitata ad aprire le proprie porte ai rappresentati dei malati oncologici, solo per formali ed isolati incontri (Open AIFA) in occasione dei quali FAVO ha comunque potuto, oltre che segnalare criticità, proporre strategie e soluzioni per soddisfare i bisogni terapeutici dei malati di cancro, per individuare vie che possano assicurare la sostenibilità del sistema sanitario e per risolvere le inique disparità territoriali di accesso ai farmaci innovativi (solo per fare alcuni esempi). Il silenzio è l’unica risposta che è giunta da AIFA. Anche le reiterate richieste di attivare il Tavolo permanente di monitoraggio dei Prontuari Terapeutici Ospedalieri previsto dalla legge 189/2012 sono, purtroppo, cadute nel vuoto. Rimane l’amarezza per questa mancanza di dialogo che, impedendo di fatto che le istanze propositive dei malati, attraverso i loro rappresentanti, possano integrare i processi decisionali in materia di ricerca clinica e percorsi terapeutici, impedisce che i malati abbiano la giusta centralità nelle decisioni che riguardano la loro salute. No all’accanimento chemioterapico e al dispendio delle risorse 2. Le associazioni dei pazienti oncologici sono ovviamente impegnate ad ottenere il massimo in termini di accesso alle terapie e, in senso lato, di tutela delle attese dei pazienti e dei propri familiari. Tuttavia, la necessità di garantire la sostenibilità del sistema sanitario impone di fissare un limite oltre il quale non è possibile spingersi, anche per tutelare l’accesso alle cure dei pazienti futuri. Qual è il principio di fondo che ispira l’operato di FAVO in materia? FAVO ha da sempre affermato con forza il principio dell’appropriatezza prescrittiva dei farmaci che debbono essere assicurati se vi è evidenza di efficacia e di tollerabilità nel rispetto di una dignitosa qualità della vita. È essenziale che sia evitato l’accanimento chemioterapico ed ogni inutile dispendio di risorse, come l’utilizzo di farmaci ad alto costo in casi in cui all’attesa di un minimo allungamento della sopravvivenza corrisponda una grave compromissione della qualità della vita per gli effetti collaterali degli stessi farmaci. È giusto, invece, che ogni persona che non possa essere guarita sia ugualmente curata con accesso alle migliori cure riabilitative, palliative e di contrasto del dolore. Nell’accesso alle terapie ritardi inaccettabili Nei casi, sempre più numerosi, in cui sono invece disponibili terapie che possono guarire, cronicizzare la malattia o comunque garantire una sopravvivenza accettabile, è doveroso evitare disparità territoriali assicurando l’accesso Gli strumenti ci sono Razionalizzazione delle risorse piuttosto che razionamento, appropriatezza prescrittiva, medicina di precisione, sono alcuni degli strumenti che possono garantire la sopravvivenza del nostro sistema sanitario universalistico. Inoltre, è fondamentale che, nel processo di valorizzazione e di valutazione del costo/efficacia di un farmaco innovativo, si inserisca una valutazione multifattoriale sulla base dell’Health Technology Assessment (HTA), come già avviene in alcuni paesi europei, tra cui la Gran Bretagna. Tra i parametri considerati, oltre alla sicurezza, all’efficacia clinica ed alla valutazione economica, rilevano gli aspetti etici, organizzativi e socio-economici ed il punto di vista del paziente, espresso attraverso le associazioni che lo rappresentano. Una corretta ed esaustiva valutazione del costo per il SSN di un nuovo farmaco non può prescindere, ad esempio, dal considerare le ripercussioni in termini di risparmio diretto ed indiretto determinato dalla somministrazione orale o da minori effetti collaterali: va tenuto conto del ridotto utilizzo di altri farmaci, antagonisti di detti effetti, o della riduzione dei tempi di degenza o di ridotta capacità lavorativa, cui conseguono vantaggi in termini di benessere e reddito del paziente e dei familiari, con minore necessità di interventi di natura assistenziale e previdenziale e così via di seguito. 3. Il mondo advocacy in Italia si è molto rafforzato negli ultimi anni e ha aumentato la propria capacità negoziale nei confronti del legislatore e delle figure preposte alla gestione della sanità. A suo avviso c’è ancora un gap da colmare rispetto alla capacità di mobilitazione e al potere contrattuale delle analoghe associazioni del mondo anglosassone? Certamente l’attività di advocacy delle organizzazioni della società civile ed in particolare delle rappresentanze dei malati, negli anni ha ottenuto rilevanti risultati in sanità, come ad esempio il decreto Balduzzi (D.L. 158/2012) e il successivo decreto Lorenzin c.d. dei 100 giorni (D.L. 69/2013), emanati su istanza FAVO per porre rimedio agli inaccettabili ritardi nella disponibilità dei farmaci antitumorali sul territorio nazionale. Un esempio più recente riguarda l’azione di advocacy condotta da FAVO riguardo ai tumori rari, che ha visto un primo e fondamentale passaggio nell’organizzazione – insieme all’Intergruppo parlamentare per le malattie rare – del convegno “Prospettive di cura e ricerca per i tumori rari”. Il dibattito avviato in quell’occasione e la parallela azione di sensibilizzazione parlamentare hanno portato alla presentazione e approvazione, nei primi giorni di dicembre 2015, di una mozione che impegna il Governo su questioni cruciali, come l’inserimento della Rete tumori rari nel SSN, la formalizzazione di una lista di tumori rari, la partecipazione dei pazienti a tutti i tavoli decisionali riguardanti i tumori rari e la facilitazione dell’accesso ai farmaci c.d. ad uso compassionevole (oggi di fatto negato per il mancato aggiornamento, da parte di AIFA, del decreto ministeriale del 2010), e ai farmaci off-label, utilizzando il cosiddetto fondo AIFA per la ricerca. Sempre nel corso dell’ultimo anno, possiamo citare anche la denuncia, da parte di FAVO, contro la decisione assunta da AIFA nel febbraio 2015 di non rimborsabilità, per gli ultra 75enni, del farmaco Abraxane, utilizzato per il tumore del pancreas. La presa IL MONDO ADVOCACY alle terapie innovative in tempi certi e brevi: i pazienti hanno il diritto di accedere alle cure innovative in tempi adeguati anche perché, talvolta, poche settimane possono fare la differenza tra la vita e la morte. I ritardi di molti mesi, spesso dovuti alla burocrazia, non sono accettabili e non devono essere giustificati come risparmi di spesa sanitaria, sulla pelle dei malati. FAVO, in collaborazione con l’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM), ha documentato le disparità territoriali nell’accesso ai nuovi farmaci. Essi arrivano “al letto del malato”, mediamente, dopo 600 giorni dall’autorizzazione all’immissione in commercio, ma in alcuni casi hanno tardato addirittura tre anni (VII Rapporto 2015 dell’Osservatorio sulla condizione assistenziale del malato oncologico FAVO-Censis). Il Rapporto dell’Osservatorio FAVO (http://favo.it/osservatorio. html) fotografa una situazione di razionamento, negazione o comunque ritardo, nell’accesso ad alcuni farmaci già previsti dalla normativa europea e nazionale per pazienti oncologici, che per alcuni territori ed alcune forme tumorali era già stata più volte segnalata dalle associazioni dei pazienti. La sostenibilità economica del SSN e la dotazione di fondi per i farmaci innovativi non può fondarsi su di un meccanismo di razionamento occulto, né su scelte meramente economiche, ma non scientifiche né etiche, sicuramente contrarie ai principi più che costituzionali di tutela della salute. 23 di posizione di FAVO e una conseguente interrogazione parlamentare, presentata dall’allora Presidente della Commissione Affari Sociali della Camera On. Vargiu, hanno portato gli effetti sperati: con nota del 28/04/2015, infatti, AIFA ha revocato il criterio di non rimborsabilità del farmaco Abraxane per i pazienti di età superiore ai 75 anni. L’azione di lobby da parte di FAVO ha portato anche a un riconoscimento ufficiale del volontariato, nel Piano Oncologico Nazionale emanato dal Ministero della Salute nel 2011. Già nella prima stesura del documento (valida fino al 2013), il volontariato è stato riconosciuto come interlocutore delle istituzio- ni, proprio per la sua capacità di individuare, molto spesso, prima di queste ultime i problemi dei malati e le relative soluzioni. In particolare, il documento evidenzia l’importanza di una corretta ed efficace comunicazione in ambito oncologico, individuando nel Sistema Informativo Nazionale in Oncologia (SION), finanziato da Alleanza Contro il Cancro (ACC) e realizzato da Istituto Superiore di Sanità, IRCCS, Università e dall’Associazione Italiana Malati di Cancro (AIMaC onlus), il servizio da utilizzare e sviluppare con l’obiettivo di collegare in un’unica rete nazionale le risorse già esistenti (help line, siti internet, punti informativi, materiale informativo), facilitando un continuo aggiornamento e le interazioni con altri servizi già esistenti, anche per la trattazione di aspetti socio-sanitari (Documento tecnico di indirizzo per ridurre il carico di malattia nel cancro – Piano Oncologico Nazionale 2011-2013, §7 – pagg. 122 e ss.). Nel documento ministeriale che ha prorogato il PON per gli anni 2014-2016, al volontariato oncologico viene riconfermato un ruolo centrale: nei criteri per la costituzione delle Reti Oncologiche Regionali, infatti, è prevista la partecipazione attiva di rappresentanti del volontariato oncologico ai livelli rappresentativi e direzionali. estratto Piano Oncologico Nazionale 2014-2016: Criterio n.10 GARANTIRE LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI IL MONDO ADVOCACY Il volontariato, e più in generale l’associazionismo in campo oncologico, sono una delle componenti formalmente riconosciute dalla rete. Oltre a disporre di un tavolo permanente, questo partecipa ai livelli rappresentativi e direzionali definendo di concerto con il coordinamento regionale gli ambiti di integrazione operativa. A questo proposito sono periodicamente individuati sedi e fasi del percorso di cura in cui il volontariato, “accreditato” dalla rete, svolge specifiche funzioni di integrazione e/o completamento dell’offerta istituzionale. 24 Questi riconoscimenti, insieme ai contributi sostanziali ed emendativi di FAVO su aspetti fondamentali come la valutazione medico-legale della disabilità oncologica, in collaborazione con INPS ed AIOM, o le tutele giuridiche del lavoratore malato oncologico, in collaborazione con il Parlamento ed il Ministero del Welfare, dimostrano che l’apporto di competenza ed esperienza delle organizzazioni di malati offre un contributo basilare per l’individuazione di soluzioni concrete in risposta ai bisogni di cura segnalati dagli stessi malati ed in risposta alle esigenze di efficienza ed efficacia del sistema socio-sanitario. Rimangono, però, ancora dei casi in cui al riconoscimento istituzionale e all’invito formale a partecipare ai tavoli decisionali, anche quando previsto da norme, non segue un convinto riconoscimento del valore aggiunto che può essere dato dai rappresentanti del mondo dell’associazionismo, oncologico e non. Vi sono ancora esponenti di società scientifiche ed istituzioni che sembrano temere come un potenziale avversario l’apporto costruttivo da parte delle organizzazioni del volontariato dei malati, che, invece, devono essere considerate come preziosi ed insostituibili alleati. Il Servizio Sanitario Nazionale tra garanzie di accesso e rischio di default QUALI REGOLE PER L’ACCESSO AI FARMACI INNOVATIVI? Filippo Drago Va da sè che l’argomento dei meccani- definizione di innovatività, in modo di efficacia limitate rispetto a quelle smi regolatori per l’accesso ai farmaci da poter individuare quei farmaci necessarie per le autorizzazioni tradi- innovativi, da tempo al centro del che, rappresentando un avanzamen- zionali. Un altro approccio che attual- dibattito nazionale, rappresenta uno to nel trattamento di una patologia, mente consente un accesso rapido dei nodi focali della politica sanitaria possano essere considerati ogget- a farmaci per il trattamento di gravi del nostro paese, dato che esprime tivamente meritevoli di benefici nel unmet medical need è rappresen- pienamente il problema della ricerca processo di negoziazione. tato dall’approvazione condizionata di equilibrio tra la sostenibilità del Idealmente, un farmaco può essere che viene convertita in approvazione Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e considerato innovativo nel momento completa dopo l’ottenimento di ulte- l’impatto che su questo viene genera- in cui ha ottenuto evidenze conclusi- riori dati sul profilo beneficio/rischio. to dall’arrivo di farmaci innovativi ad ve di efficacia, tramite un confronto In sintesi, quindi, riuscire a misurare alto costo. Da un lato, i decisori isti- head to head con il gold standard l’innovazione aiuta a generare una tuzionali devono garantire l’accesso di trattamento disponibile rispetto sua valutazione: questo è lo snodo dei farmaci ai pazienti ma, dall’altro, al quale abbia mostrato un benefi- critico su cui ci troviamo, perché la devono evitare il potenziale default cio terapeutico aggiuntivo. Tuttavia, valutazione dell’innovazione rappre- del sistema stesso. accade sempre più spesso che, al senta una necessità inderogabile per Viviamo una fase storica di ristrettez- momento della richiesta di autoriz- poter raggiungere elementi conosci- za economica, che mette a disposi- zazione all’agenzia regolatoria, i dati tivi sufficienti a prendere decisioni di zione sempre più limitate risorse per disponibili non siano tali da avere policy sanitaria. Anche perché rico- mantenere in equilibrio un sistema una definizione chiara del valore noscere e valorizzare la vera innova- universalistico di salute, soprattutto terapeutico del nuovo farmaco. zione farmacologica genera indubbi in un tempo in cui l’invecchiamen- In particolare, un elevato grado d’in- effetti benefici sul sistema, in quanto to della popolazione ha genera- certezza è insito nel nuovo meccani- favorisce to un aumento esponenziale della smo dell’adaptive licensing, ovvero al farmaco, rende più competiti- domanda di salute, con la conse- il processo di autorizzazione di tipo vi i nostri produttori nei confronti guente crescita dei costi sanitari, ivi prospettico, che inizia con l’autoriz- di Paesi concorrenti e combatte il compresi quelli dei farmaci. A questo zazione precoce di un medicinale in circolo vizioso per cui, con alti costi si aggiunge, appunto, il particolare una popolazione ristretta di pazienti per piccoli benefici per pochi pazien- impatto che l’innovazione genera sul e prosegue con una serie di fasi itera- ti, più soldi si spendono meno bene- contesto odierno, generando situa- tive di raccolta di evidenze e di adat- fici si ottengono. zioni al limite della garanzia stessa tamento dell’autorizzazione all’im- Quale accesso? del diritto alla salute. missione in commercio per ampliare L’accesso ai farmaci è parte del Quale innovazione? l’accesso al farmaco a popolazioni di problema più ampio del diritto alla Uno degli elementi fondamenta- pazienti più ampie. Questo approccio salute, che a sua volta fa parte del li per una discussione esaustiva e, mira a rendere più rapido l’accesso dibattito globale sui diritti di parteci- soprattutto, per prendere decisioni dei nuovi farmaci al mercato, conce- pazione e sui diritti umani. di interesse pubblico, è senza dubbio dendo l’autorizzazione all’immissio- Per un migliore accesso ai nuovi quello di poter disporre di una chiara ne in commercio sulla base di prove farmaci viene ribadita l’importan- la rapidità di accesso REGISTRO REGOLATORIO REGIONALE (SIF) Il testo sintetizza i lavori della XV Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica che si è svolta il 18 febbraio a Catania, con il coordinamento dell’Università di Catania, in collaborazione con Farmindustria e con il patrocinio della Società Italiana di Farmacologia (SIF). 25 REGISTRO REGOLATORIO REGIONALE (SIF) 26 za dei Managed Entry Agreements dell’adeguatezza dello stanziamento Disporre di un numero crescente di (MEA), ovverosia gli accordi di di spesa pubblica per la salute. farmaci innovativi efficaci è un fatto accesso condizionato al mercato per In altri termini, noi possiamo anche di per sé estremamente positivo, farmaci innovativi e/o ad alto costo cercare di capire quale sia la relazio- ma la sfida cui ci troviamo davanti che consentono di mettere a disposi- ne tra il guadagno di salute e quanto in termini di sostenibilità e accesso è zione nuovi trattamenti per i pazien- costa un farmaco, ma la dimensio- senza precedenti: per questo vanno ti, pur nell’incertezza data dalla ne dei prezzi dei farmaci innovativi cercate risposte efficaci ai bisogni mancanza di informazioni su bene- pone un’altra questione, e cioè quale di salute basate su una strategia di fici terapeutici o costi effettivi. I MEA sia la natura del costo, come l’indu- lungo periodo in grado di garantire sono comunque validi strumenti che stria definisca il prezzo di un nuovo accesso, appropriatezza e sostenibi- consentono alle Autorità regolatorie farmaco, se siano presenti o meno lità delle cure e vanno potenziati gli di rispondere alla sfida di disporre di farmaci di confronto sul mercato. strumenti per una governance capace risorse sempre più limitate a fronte Quello che si osserva è che i prezzi di orientare politiche coerenti, effica- di un continuo aumento dei costi dei nuovi farmaci non si allineano ci e innovative.Tuttavia, nessun risul- delle nuove terapie. Anche se, come ai prezzi dei comparator da studio tato concreto potrà essere raggiunto vedremo, un conto è rispondere alle clinico, che per studiare l’efficacia di se non attraverso il coinvolgimento, necessità generate dall’aumento dei un nuovo farmaco si sceglie il confron- la collaborazione e la responsabi- costi (problema di sostenibilità), un to con un farmaco “vecchio”, e che lizzazione di tutti (aziende, agenzie conto è il calcolo di questi costi e il per definire il prezzo prende come regolatorie, pazienti, medici, società valore che da essi viene generato riferimento il farmaco più costoso già scientifiche, ecc.). Oggi, la governance (problema di utilità e/o valore). in commercio. Se si aggiunge che, nel è spesso ridotta all’ambito istituzio- Altresì, vale la pena ribadire l’impor- caso delle malattie rare, non sembra nale, dove per consentire l’accesso ai tanza dei registri di monitoraggio esistere una relazione tra guada- trattamenti innovativi in una prospet- come strumenti essenziali per favori- gno di salute e prezzo del farmaco, tiva di sostenibilità, il Ministero della re la sostenibilità del sistema, poiché si coglie bene il senso del perché il Salute, sentita l’AIFA e in coerenza consentono da un lato di limitare tema del costo dell’innovazione (o, col Bilancio di previsione, ogni anno la prescrizione a quei pazienti che meglio, del prezzo dell’innovazione) definisce un programma con le prio- effettivamente trarranno un benefi- è più all’origine delle domande sulla rità, le condizioni di accesso ai tratta- cio dal trattamento pari o superiore spesa sanitaria. menti, la rimborsabilità, le previsioni a quello emerso dagli studi pre-re- Bisogna dunque trovare strade che di spesa, ecc. e questo programma gistrativi, e dall’altro sono fonda- aiutino a rispondere sulla natura del deve essere approvato d’intesa con mentali per la gestione dei sistemi costo e su questo ci sono diverse la Conferenza permanente per i di rimborso condizionato. Possono, proposte sul tavolo degli addetti ai rapporti tra lo Stato, le Regioni e le inoltre, essere utilizzati come fonte lavori, quali l’aggiornamento dell’at- Provincie autonome. di informazioni sull’efficacia e la sicu- tuale dossier P&R (Delibera CIPE Proprio per questo, da più parti rezza, contribuendo a ridurre l’incer- 01022001 N3/2001), la definizione di viene sottolineata la necessità di una tezza sul profilo beneficio-rischio del regole chiare su come misurare costi nuova governance del sistema con nuovo farmaco. ed esiti, l’integrazione dei dossier con proposte per accelerare e semplifica- Quale costo? i costi evitabili e l’impegno a misu- re i processi decisionali e garantire la In modo estremamente succinto, la rare i costi evitati, rendendo tempo- sostenibilità della spesa farmaceuti- domanda a cui dobbiamo risponde- ranei autorizzazione e prezzo sulla ca. E per rendere fattibile tale auspi- re sull’impatto generato dai nuovi base dei dossier sui costi evitabili e cio, vanno paradossalmente allar- farmaci è la seguente: “Quanto siamo facendo una rivalutazione successi- gati i confini dello scenario e delle disposti a pagare una differenza va a seguito della produzione di dati prospettive in cui muoversi. di risposta clinica?”. Ovviamente, a sui costi realmente evitati. Il fatto che Early dialogue, Evidence genera- tale domanda ne è immediatamen- se ne parli e che tali proposte siano tion, te correlata un’altra, e cioè: “Quanto esplicite rende verosimile e possibi- dell’HTA post marketing (EUNetHTA), possiamo «spendere»?”. le che si aprano scenari più traspa- Managed entry schemes condivisi, Una delle cose da cui dipende la renti sui costi, in grado di rendere ecc. sono tutti strumenti che aprono risposta è certamente il costo della maggiormente sostenibile il sistema ad una possibile risposta ai interro- terapia e questa è una problemati- sanitario: ma su questo piano i passi gativi posti: la realizzazione di una ca che sta a monte dell’intero tema da fare sono ancora tanti. politica europea del farmaco. Registri Europei, sviluppo I NUOVI FLUSSI MIGRATORI E LE SFIDE PER I SISTEMI SANITARI EUROPEI Vincenzo Atella* L’Europa da esportatore a importatore di popolazione – Un fenomeno generatore di mutamenti nel tipo di domanda sanitaria – L’effetto “migrante sano” – L’importanza di favorire l’accesso ai servizi sanitari di questa popolazione – L’importanza di integrare le iniziative sanitarie e globali * Direttore CEIS Tor Vergata Tra gli aspetti positivi dei flussi migratori, il principale è far aumentare e/o ringiovanire la popolazione e, quindi, porre le basi per una maggiore crescita del paese. Prima della seconda guerra mondiale l’Europa è stata il principale fornitore di popolazione verso i paesi d’oltreoceano, in particolare in USA, Canada e Australia, che hanno potuto godere di forza lavoro per alimentare la loro crescita. A partire dagli anni ‘50 questa tendenza ha cominciato a invertirsi e oggi, per motivi diversi, l’Europa occidentale è diventata una delle mete preferite dei flussi migratori. Relativamente all’Europa dei giorni nostri, la maggior parte degli immigrati è di età compresa tra 20-30 anni all’arrivo e, quindi, riduce in qualche misura gli effetti negativi dell’invecchiamento della popolazione e del calo della forza lavoro. Oltre a questi effetti, i flussi migratori contribuiscono a cambiare l’ambiente sociale. I migranti sono di solito di una cultura diversa, etnia e religione. Essi speso differiscono dalla popolazione locale nel loro livello di fertilità e nei modelli di formazione della famiglia e, quindi, tendono a modificarne le caratteristiche demografiche complessive. Spesso, differiscono anche in termini di stato di salute e bisogni sanitari. La diversa salute dei migranti nel breve e nel lungo periodo I problemi di salute che devono affrontare i migranti sono simili a quelli affrontati dalla popolazione in generale, ma sono spesso amplificati o aggravati dal loro stile di vita migratorio e dalle condizioni avverse, e spesso estreme, incontrate durante il percorso.1 Infatti, come ben riportato sul sito di Epicentro, prima dell’arrivo nel Paese ospite, la salute dei migranti è influenzata dall’esposizione a eventuali fattori di rischio (ambientali, microbiologici, culturali, ecc.) e dall’accesso a servizi sanitari preventivi e curativi nel Paese di origine e/o di immigrazione intermedia.2 A questi si aggiungono TERRITORI D’EUROPA Secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione Internazionale per le Migrazioni (OIM), il numero dei migranti a livello mondiale è passato da 150 milioni nel 2000 a 214 milioni nel 2010. Per il 2050 le stime prevedono circa 405 milioni di persone migranti come risultato delle crescenti disparità demografiche, dei conflitti, dei cambiamenti ambientali, delle nuove dinamiche economiche e politiche globali, delle rivoluzioni tecnologiche e dei network sociali. L’effetto principale di tali flussi migratori è – e sarà di più in futuro – quello di modificare in modo rilevante le strutture demografiche dei paesi europei e, più in generale, dei paesi OCSE. Secondo l’ultimo rapporto OCSE sugli indicatori di integrazione dei migranti, nel 2012 un decimo delle persone residenti nell’UE e nell’OCSE era nata all’estero, per un totale di circa 115 milioni di immigrati in seno all’OCSE e 52 milioni nell’UE, di cui 33,5 milioni erano da paesi extra-UE. Sia nell’UE che nell’OCSE, la popolazione immigrata è cresciuta di oltre il 30% dal 2000. Al 1 gennaio 2014 il numero di persone che risiedevano in uno Stato membro dell’UE con la cittadinanza di un paese terzo era di 19,6 milioni, pari al 3,9% della popolazione dell’UE-28. In aggiunta, ci sono stati 14,3 milioni di persone che vivono in uno degli Stati membri dell’Unione europea con la cittadinanza di un altro Stato membro dell’UE. In termini assoluti, il maggior numero di cittadini stranieri che vivono negli Stati membri dell’UE si trova in Germania (7 milioni di persone), nel Regno Unito (5 milioni), in Italia (4,9 milioni), in Spagna (4,7 milioni) e in Francia (4,2 milioni). Nel complesso essi rappresentano il 76% del numero totale di stranieri che vivono in tutti gli Stati membri dell’UE, mentre il totale della popolazione che vive in questi cinque stati rappresenta una quota del 63% della popolazione dell’UE. 27 TERRITORI D’EUROPA 28 le conseguenze delle difficoltà fisiche e psicologiche affrontante durante il percorso migratorio. Dopo l’arrivo nel Paese ospite, diventano invece significative le condizioni di vita (economiche, ambientali, ecc.) e l’accesso ai servizi socio-sanitari. Spesso, la mobilità si traduce in scarsa continuità delle cure e, contemporaneamente, in un aumento della necessità di cure sanitarie. Le implicazioni sociali e sanitarie di tale condizione sono considerevoli. Infatti, i flussi migratori interessano una moltitudine di popolazioni e di categorie di persone (lavoratori, studenti, rifugiati, ecc.), ognuna con determinanti di salute, bisogni e livelli di vulnerabilità differenti. Inoltre, il fenomeno coinvolge direttamente un’ampia gamma di aspetti della vita quotidiana sia dei soggetti migranti che della popolazione locale. Secondo i più recenti dati pubblicati dall’OCSE, nel complesso, a causa di un processo di selezione, i migranti tendono a essere più sani rispetto ai non migranti (il cosiddetto “effetto migrante sano”). Al contrario, nella maggior parte delle aree di destinazione, gli immigrati tendono ad avere risultati inferiori rispetto ai nativi, anche se a volte solo marginalmente. Questi differenziali sono, invece, molto più marcati quando l’area di confronto è quella dell’Europa occidentale, in parte perché gli immigrati in questi paesi hanno caratteristiche socio-demografiche più svantaggiate rispetto a quelle dei paesi di origine. Allo stesso tempo, mentre gli immigrati con livelli più elevati di qualifiche hanno risultati migliori rispetto a quelli con livelli più bassi, l’istruzione superiore li protegge meno di quanto non faccia per il nativo del paese. Un altro effetto abbastanza comune nell’epidemiologia dei flussi migratori è che, una volta nel nostro paese gli immigrati vedono progressivamente impoverire il loro stato di salute, in quanto spesso esposti a molteplici fattori di rischio, legati a condizioni di vita generalmente precarie. In questo caso, le caratteristiche socio-demografiche come sesso ed età, l’esistenza di comportamenti a rischio (ad esempio, utilizzo di alcool, fumo o droghe) e le condizioni di vita e di lavoro sono tra i più importanti determinanti della salute nel paese di destinazione. Lo stato di salute della popolazione migrante in Italia Informazioni sullo stato di salute dei migranti presenti sul suolo italiano sono fornite dalla Caritas e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) tramite Epicentro. Secondo tali dati, lo stato di salute dei migranti arrivati in Italia è fondamentalmente buono. Ciò è in parte dovuto al cosiddetto “effetto migrante sano”, che seleziona solo le persone in grado di affrontare un viaggio lungo e duro come quello di chi decide di emigrare. A tal proposito, i dati forniti dal sistema di sorveglianza Passi dell’ISS aiutano a comprendere meglio il fenomeno. Su un campione di stranieri di età compresa tra 18 e 69 anni intervistati nel periodo 2008-2011, è emerso che questo gruppo di popolazione riporta un livello di stato di salute percepito migliore rispetto agli italiani e riferisce meno sintomi depressivi. Al contrario, “non si evidenziano differenze significative fra italiani e stranieri per quanto riguarda l’abitudine al fumo, il consumo di alcol e l’inattività fisica, mentre fra gli stranieri è significativamente più bassa la prevalenza di persone in eccesso ponderale. Gli stranieri aderiscono meno frequentemente degli italiani ai programmi di screening, ma sembrano più attenti degli italiani per quanto riguarda la sicurezza stradale. Come gli italiani hanno una bassa percezione del rischio di incidenti domestici e di contrarre una malattia legata al loro lavoro, ma sono più consapevoli del rischio di infortunio in ambiente lavorativo”.3 Livelli di salute migliori da parte dei migranti rispetto agli italiani sono ottenuti anche dall’analisi dei dati dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/ Health Examination Survey per il periodo 2008-2011 e dai dati sulle prescrizioni farmaceutiche. l’Agenzia nel 2015 ha prodotto una serie di studi che hanno provato a stimare il costo economico di fornire l’accesso regolare alle cure sanitarie per i migranti in una situazione di irregolarità, rispetto al costo della fornitura di cure solo in casi di emergenza. Limitando l’analisi a sole due patologie (ipertensione e cure prenatali) e a tre paesi europei (Germania, Grecia e Svezia), sono stati calcolati i costi diretti utilizzando un modello economico. I risultati sembrano indicare che fornire l’accesso continuo alla prevenzione sanitaria per i migranti in situazione irregolare porterebbe a un risparmio netto di costi per i governi. Se a ciò si sommassero poi i costi indiretti (i costi non sostenuti dal paziente o dalla società in generale), i risparmi sarebbero notevolmente superiori. Pertanto, secondo la FRA la fornitura di accesso all’assistenza sanitaria ai migranti in una situazione irregolare non solo contribuisce alla realizzazione del diritto di ciascuno a godere del più alto standard possibile di salute fisica e mentale, ma sarebbe anche economicamente conveniente. Gli obblighi derivanti da un’interpretazione inclusiva del diritto internazionale dei diritti umani sarebbero in tal modo sostenuti da argomenti economici. L’impatto epidemiologico della mobilità della popolazione è ormai evidente. Ciò è vero sia per le malattie infettive che per quelle non trasmissibili. Finché esisteranno disparità di salute a livello globale e differenziali di prevalenza, i programmi sanitari nazionali e le politiche sanitarie nei diversi paesi che ricevono migranti continueranno a essere sotto pressione. I sistemi di controllo e i sistemi di regolamentazione a livello nazionale da soli non saranno in grado di trovare una soluzione immediata al problema. L’unica possibile soluzione a tali problemi è l’integrazione delle iniziative sanitarie nazionali e globali sia per le patologie infettive che per quelle non infettive. E ciò sarà tanto più vero nei prossimi anni, con una popolazione nativa sempre più anziana e dei flussi migratori che rischiano di premere sempre di più sui sistemi economici e di sicurezza sociali dell’Europa. 1 Vedere ad esempio le posizioni espresse in http://www.migrantclinician.org/issues/migrant-info/health-problems.html. 2 http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/migranti.asp 3 Vedere http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/migranti.asp TERRITORI D’EUROPA Secondo i dati a disposizione, la popolazione di migranti è mediamente più giovane (come atteso), la prevalenza dei fumatori, sia negli uomini che nelle donne, è più elevata, mentre l’obesità ha una prevalenza minore, come del resto minore è l’inattività fisica lavorativa.4 Le sfide della sanità pubblica in tema di immigrazione Una delle sfide della sanità pubblica è riuscire a garantire accesso ai servizi e percorsi di tutela per tutte quelle persone che, per diversi motivi, si trovano in condizioni di fragilità sociale. La salute dei migranti e le tematiche di salute associate alle migrazioni sono, dunque, questioni cruciali per l’agenda internazionale dei governi e della società civile. Alcuni gruppi di migranti, come i rifugiati, sono particolarmente vulnerabili e possono essere più inclini a determinate malattie o disturbi mentali. L’esperienza migratoria in sé può causare stress, che può influenzare lo stato di salute dei migranti in modi diversi, a seconda delle condizioni socio-economiche e sanitarie del paese di origine e quanto riescono a integrarsi nel paese ospitante. Abitudini alimentari nel paese di origine possono anche influenzare i risultati di salute nel medio-lungo. Diversi studi dimostrano che molte patologie croniche, tra cui il diabete, colpiscono maggiormente i gruppi socialmente sfavoriti. Tra questi, le persone immigrate rappresentano una fascia di popolazione particolarmente svantaggiata, poiché non sempre hanno accesso ai servizi nei tempi e nei modi che sarebbero necessari. Dunque, favorire un accesso regolare ai servizi preposti all’assistenza alla malattia diabetica nei pazienti e potenziare le competenze individuali su questa patologia diventano obiettivi primari, sia per la prevenzione e gestione del singolo che per la salute pubblica in generale.5 Ma fino a che punto l’aspetto etico e costituzionale di dover garantire a queste persone diritti fondamentali è conciliabile con i vincoli di natura economica? Secondo i dati dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti fondamentali (FRA), le politiche degli Stati membri dell’UE riguardanti l’accesso ai servizi sanitari da parte dei migranti con posizione irregolare variano in modo sostanziale, spesso solo consentendo l’accesso alle cure sanitarie di emergenza. A seguito di queste evidenze, 4 Vedere in proposito http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/OecHes.asp e http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/farmaciIntro.asp 5 Per maggiori informazioni vedere http://www.epicentro.iss.it/ben/2010/febbraio/1.asp 29 REGIONALE DEL FARMACO La Giunta regionale dell’Emilia-Romagna ha integrato i nominativi dei componenti della Commisione regionale del Farmaco, che è ora composta da Anna Maria Marata, responsabile dell’area di Valutazione del farmaco dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, che svolge il ruolo di coordinatrice, e dai tre presidenti delle Commissioni del farmaco di Area vasta, oltre che da esperti nella valutazione dei medicinali basata sulle prove di Compiti, organizzazione, procedure operative e criteri decisionali della dio clinico, mentre per seguire meglio governato da Intercent-ER, caratte- gli studi si sceglieranno componenti rizzato da gare centralizzate regionali del Ceru fra nutrizionisti, specialisti o di Area Vasta. All’interno delle Aree in terapia inensiva e ingegneri clinici. Vaste si sono costituite, nel contem- Inoltre la Regione Friuli Venezia Giu- po, le Commissioni del Farmaco di lia ha anche approvato gli indirizzi per Area Vasta che hanno adottato propri la costituzione e il funzionamento dei prontuari terapeutici, in coerenza con Nuclei etici per la pratica clinica che il Prontuario Terapeutico Regionale. saranno istituiti presso ciascun ente Ora, quindi, la Commisione regionale del sistema sanitario regionale. Le ri- del Farmaco dialoga con le Commis- chieste di parere ai Nuclei potranno sioni terapeutiche di Area Vasta e, ne- essere presentate dai cittadini, dalle cessariamente, ridefinisce il proprio associazioni ma anche dagli operatori, Regolamento rendendolo coerente a dai pazienti e dai loro familiari. tale contesto. V e ne z uli ITALIA DELLE MILLE SANITÀ: “LA PILLOLE REGIONALI nuova Commissione regionale del 30 an a sc Giulia ia efficacia (Evidence Based Medicine). presso il quale verrà condotto lo stu- si è affermato un sistema di acquisti To na AMPLIATA LA COMMISSIONE medicinali unificati e, parallelamente, Fri Ro ilia m ag Em PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta Farmaco sono stati definiti in un re- ISTITUITI COMMISSIONE PER TOSCANA PRIMEGGIA” golamento. Tra i compiti della stessa ASSISTENZA FARMACEUTICA E “In Toscana la sanità migliore in Italia figurano, anzitutto: l’aggiornamento COMITATO ETICO REGIONALE per i cittadini. Per questo, come pre- del prontuario terapeutico regionale, La Regione Friuli Venezia Giulia ha sidente della Regione, dico grazie di il monitoraggio dell’uso dei farmaci e istituito sia la Commissione regiona- cuore a tutti gli operatori”. Ad affer- delle relative raccomandazioni di uti- le per l’assistenza farmaceutica che marlo il governatore Enrico Rossi. La lizzo, il supporto all’Agenzia regionale il Comitato etico regionale unico. Tra speciale classifica, stilata da Agenas, per lo sviluppo dei mercati telematici i compiti della prima vi sono la pre- vede la Toscana primeggiare per le per l’acquisto di farmaci improntato disposizione delle linee di indirizzo cure: “lo stesso studio rivela per la no- a stimolare fortemente la competi- sull’uso dei medicinali e la definizio- stra regione livelli alti di qualità su tut- zione tra produttori, il supporto alla ne degli idonei percorsi terapeutici to il territorio, in maniera omogenea. Direzione generale sanità e politiche e prescrittivi, la promozione dell’ap- A leggere i numeri dell’agenzia, la To- sociali per le scelte riguardanti la po- propriatezza dell’uso scana, prosegue il presidente della Re- litica del farmaco. razionale e corretto del farmaco, l’ar- gione, è la realtà locale dove la sanità In Emilia-Romagna dal 2006 ad oggi, monizzazione dei prontuari terapeu- funziona meglio per i cittadini”. In ef- come si evince nella premessa allo tici aziendali, il coordinamento delle fetti, la Toscana si ferma all’8,6% men- stesso Regolamento, il contesto re- attività di farmacovigilanza, l’analisi tre il Veneto all’11, l’Emilia al 12%, la gionale è mutato: si sono gradualmen- della spesa e dei consumi farmaceu- Lombardia e il Piemonte al 13%. Van- te costituite l’Area Vasta Emilia Nord tici. Diverse le funzioni del Comitato no male, molto male, Abruzzo (23%), (AVEN), l’Area Vasta Emilia Centro che sarà composto da membri perma- Puglia (22%) e Lazio, Sicilia e Calabria (AVEC), l’Azienda USL della Romagna nenti, di sede e nominati in relazione (tutti al 19%). “E non è un caso che e IRST di Forlì–Meldola (Area Vasta agli studi clinici. Per i membri di sede queste ultime due regioni conoscano Romagna), aventi l’obiettivo, fra gli la scelta ricadrà sul direttore sanita- più di altre il fenomeno dell’emigra- altri, di promuovere gli acquisti di rio o il direttore scientifico dell’ente zione sanitaria verso Milano, Bologna, prescrittiva, PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta un numero più alto di strutture con ri- ne to Ve Roma. Sempre le stesse regioni hanno ne dell’articolo 32 della Costituzione che sancisce l’universalità delle cure sultati di assistenza superiori alla me- in Italia. Secondo i nostri calcoli sui dia, ricorda Rossi, la Toscana è in testa tagli prospettati, tuona il governatore, e tocca il 23%, seguono l’Emilia Romagna con il 19%, e la Lombardia con il 17%. Stanno al 10% o sotto l’Abruzzo, RAPPORTO OSSERVASALUTE. ZAIA: “BASTA TAGLI LINEARI” avremmo dovuto arrivarci nel 2018, quando in Italia il rapporto Pil spesa sanitaria è previsto al 6,38%. È suc- la Basilicata, la Calabria, la Campania, cesso prima, e questo è un campanello il Molise e la Puglia. Questa, conclude d’allarme che nessun governante può il governatore Rossi, è l’Italia delle permettersi di sottovalutare. Tutti gli mille sanità”. studi internazionali, conclude Zaia, r ch e in buona salute fatica a progredire “Il timore che da almeno due anni esprimo sul futuro della salute degli italiani e dei veneti trova ora conferma autorevole dal Rapporto Osser- anche sul piano economico e sociale. Basterebbe questo per capire che è urgentissima una decisa inversione di rotta verso l’appropriatezza: risparmiare si può e si deve, come dimostra- INCHIESTA SULLA SANITÀ vasalute e da un tecnico al di sopra TRAVOLGE VERTICI ASUR di ogni sospetto come il presiden- Addio anticipato con le dimissioni di te dell’Istituto Superiore di Sanità, Piero Ciccarelli dall’incarico di diri- Walter Ricciardi: per la prima volta gente del servizio regionale Sanità, nella storia d’Italia nel 2015 è scesa possibile sospensione per gli altri di- l’aspettativa di vita delle persone. La rigenti della sanità marchigiana coin- causa è evidente: è mancata una se- volti nell’inchiesta sugli appalti alla ria spending review fondata sui costi Medilife spa contestati dalla Procura standard. I tagli lineari a cui abbiamo di Ancona. Sarebbero questi “gli atti assistito e stiamo ancora assistendo ACCORDO REGIONE–INAIL PER conseguenti, che sono atti di cautela hanno messo in croce sia le Regioni PRESTAZIONI RIABILITATIVE per l’Ente rispetto a quello che è avve- virtuose che, avendo già ottimizzato INTEGRATIVE nuto” al centro del mandato dato dal la spesa come il Veneto, non sanno L’INAIL e la Regione Abruzzo hanno governatore Luca Ceriscioli al segre- più dove e che cosa tagliare, sia quel- sottoscritto una convenzione che, in tario generale della Regione Marche. le in deficit, alle quali non sono stati attuazione dell’accordo quadro ap- Le dimissioni anticipate di Ciccarelli, dati parametri oggettivi per rientrare provato dalla Conferenza Stato-Re- in passato ai vertici dell’Asur, sembra- come sarebbero stati i costi standard”. gioni il 2 febbraio 2012, consente no scontate: il suo incarico, peraltro fi- Nessun tentennamento nelle parole all’Istituto Nazionale per gli Infortuni duciario, scade a fine 2016 e, da quan- del presidente della Regione Veneto, sul Lavoro di erogare le prestazioni to trapela da ambienti della Regione, Luca Zaia, nel commentare i contenuti riabilitative integrative necessarie al non erano previsti rinnovi o proroghe. del rapporto Osservasalute 2015. “La recupero dell’integrità psicofisica dei Più complessa la situazione per Alber- politica dei tagli è cosa diversa da una lavoratori infortunati, con oneri a ca- to Carelli, ex direttore amministrativo seria spending e i tagli che si sono sus- rico dell’Istituto. I fondi a disposizione dell’Asur e dell’Area vasta di Fermo, seguiti, e che ancora ci attendono nel dell’Inail Abruzzo, al momento, am- ora a Macerata. A carico di Ciccarelli e futuro, ci hanno portato verso quel montano a circa 2 milioni di euro per Carelli sono ipotizzati reati più gravi: 6,5% del Pil dedicato alla sanità che garantire più servizi sanitari e migliori associazione per delinquere finalizza- l’Oms indica come soglia sotto la qua- prestazioni per chi ha subito un infor- ta all’abuso di ufficio, truffa e frode, le inizia a calare l’aspettativa di vita tunio sul lavoro o è affetto da malattia turbativa d’asta. della gente e si prefigura la violazio- professionale. “Si tratta di un passo no i conti del Veneto, ma l’obbiettivo Ab non si raggiunge con i tagli”. ru zz o PILLOLE REGIONALI Ma indicano che una Nazione che non è 31 PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta importante per l’intera sanità abruz- da parte dell’Azienda ospedaliera. “È zese che dà risposte concrete ai lavo- un investimento molto importante, ratori vittime di infortuni, con riflessi ha spiegato l’assessore regionale alle positivi sulla competitività del tessuto Infrastrutture, Giuseppe Chianella, produttivo e sul rilancio dell’occupa- che la Regione ha inserito nel Pro- zione nel settore della riabilitazione” gramma di prevenzione del rischio sismico su edifici pubblici strategici o rilevanti. L’intervento è finanziato con i fondi provenienti da un’Ordinanza della Protezione Civile. Per la quarta annualità del Fondo, ha proseguito Chianella, la Regione ha subito individuato l’edificio che contiene il blocco degenze ed i servizi divisioni dell’ex “Silvestrini” per un completamento spiega l’assessore alla Sanità, Silvio effettivo di un grande intervento di Paolucci. La riabilitazione degli infor- messa in sicurezza degli edifici più tunati sul lavoro verrà erogata presso vecchi del nosocomio perugino che le strutture pubbliche della Regione e risalgono agli anni ’70. L’intervento presso le strutture private accredita- sarà cofinanziato dall’Azienda Ospe- te con il Servizio sanitario regionale. daliera, ha confermato Chianella, e Sono già state indicate le strutture in inciderà sul versante strutturale de- possesso della prescritta autorizza- gli edifici interessati ai lavori che così zione con le quali l’INAIL dovrà stipu- potranno raggiungere coefficienti di lare apposita convenzione. L’obiettivo sicurezza pari a quelli di un edificio è quello di accelerare il ritorno al lavo- nuovo. È da sottolineare, ha concluso ro degli infortunati riducendo così le l’assessore, che tutti gli interventi in giornate non lavorate per infortunio. programma saranno effettuati senza Um interrompere il funzionamento dei bria servizi ospedalieri a parte qualche inevitabile interruzione limitatissima nel tempo che però l’Azienda cercherà di gestire senza creare grandi problemi ai pazienti e agli operatori sanitari”. OSPEDALE PERUGIA, 9 MILIONI PER L’ADEGUAMENTO SISMICO Ammonta a quasi nove milioni di euro PILLOLE REGIONALI l’investimento che la Giunta regiona- 32 le dell’Umbria ha deciso di sostenere per mettere in sicurezza, dal punto di vista sismico, l’ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Perugia. Al contributo regionale sarà aggiunto un cofinanziamento, quasi 5 milioni per il primo e di poco superiore ai 4 milioni di euro la cifra del secondo, 2016 numero 2