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Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando... - ALTIS

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Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando... - ALTIS
2 - 2016
Bond e spesa sanitaria:
sostenibilità vo cercando...
• ASSISTENZA DOMICIALIARE, LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA • SCREENING MAMMOGRAFICO:
LE TRE VELOCITÀ DELL’ITALIA • INTERVISTA A DOMENICO MANTOAN SULLA CENTRALIZZAZIONE
DELLA SANITÀ • QUALI REGOLE PER L’ACCESSO AI FARMACI INNOVATIVI?
In copertina: SOSTENIBILITÀ VO CERCANDO…
Illustrazione a cura di Marco Olivari
La copertina di questo numero vuole rappresentare il Sistema Salute italiano
nella sua situazione attuale. Un palazzo che rischia di collassare se non arrivano
i mezzi per lavorare. L’atmosfera è quella di un tramonto, a simboleggiare il declino
di un sistema che si auspica venga evitato e per il quale si stanno prospettando
misure e prospettive di preservazione.
2 - 2016
IL PUNTO
Bond e spesa sanitaria: sostenibilità vo cercando...
2
TENDENZE E SCENARI
Assistenza domiciliare, la centralità della famiglia.
5
RISORSE E SALUTE
Con gli standard ospedalieri riprende la programmazione sanitaria.
9
MODELLI IN SANITÀ
Verso la farmacia dei servizi.
11
INNOVAZIONE E TERRITORIO
Malattie rare, un’Italia a 20 velocità.
Anno I - N°2 2016
Direttore Responsabile
Marcello Portesi
Vicedirettore
Stefano Del Missier
Comitato editoriale
Vincenzo Atella
Stefano Del Missier
Federico Mereta
Daniele Pallotta
Marco Polcari
Marcello Portesi
Mario Sensini
Ketty Vaccaro
Autorizzazione Tribunale di Milano n. 318
del 17 novembre 2015.
Stampato a Milano nel mese di maggio 2016.
POLITICA & ISTITUZIONI
Centralizzare la sanità? No per le regioni virtuose.
15
NON SOLO CURA
DOSSIER
Editore
ALTIS Omnia Pharma Service S.r.l.
Viale Sarca 223
20126 Milano
Telefono +39 02 49538300
Fax +39 02 49538338
[email protected]
www.altis-ops.it
13
La centralità della Breast Unit.
L’Italia delle regioni e lo screening del tumore mammario.
Le tre velocità dell’Italia.
16
18
19
IL MONDO ADVOCACY
Le sfide dell’advocacy oncologica.
22
REGISTRO REGOLATORIO REGIONALE
Quali regole per l’accesso ai farmaci innovativi?
25
TERRITORI D’EUROPA
I nuovi flussi migratori e le sfide per i sistemi sanitari europei.
27
PILLOLE REGIONALI
30
IL PUNTO
Intervista a Massimo Garavaglia, Assessore all’Economia della Lombardia
BOND E SPESA SANITARIA:
SOSTENIBILITÀ VO CERCANDO…
IL PUNTO
Mario Sensini*
2
Senza una riforma profonda dei modelli organizzativi, anche con la creazione di macroregioni sanitarie
per evitare le inefficienze nelle regioni più piccole,
la sanità italiana rischia di radicalizzare le diseguaglianze interne, aumentando il divario tra le Regioni
nell’offerta di servizi e la spinta verso la privatizzazione del sistema, anche con l’aumento della spesa
diretta a carico dei cittadini. Ma non basta, perché,
in ogni caso, gli stanziamenti attuali e quelli destinati alla sanità per i prossimi anni sono insufficienti
per rispettare standard di qualità europei, dice in
questa intervista a Rh+ l’assessore all’Economia,
Crescita e Semplificazione della Lombardia e coordinatore delle Regioni ai tavoli con il governo sulla
sanità, Massimo Garavaglia (Lega Nord), lanciando anche la proposta di un bond per finanziare la
costosissima cura dell’epatite C che rischia di far
sballare i bilanci regionali: emettere obbligazioni,
un prestito, per avere le risorse subito per curare
tutti, e risparmiare costi nel futuro.
comparto degli enti locali. Alle Regioni, con le
varie leggi di stabilità che si sono succedute negli
anni, vengono chiesti nel 2017 tagli per 7,2 miliardi
complessivi, che salgono a 8,3 nel 2018. Quando
è così, è evidente che a subire il colpo sarà anche
la spesa sanitaria, che per le Regioni vale i tre
quarti della spesa complessiva che gestiscono, pari
a 140 miliardi. Se devi tagliarne 8 dove vai? Poi
è esplicitamente previsto che i risparmi debbano
essere fatti, oltre che con gli acquisti centralizzati,
sulla sanità: sul resto della spesa regionale non c’è
capienza, la Ragioneria non avrebbe approvato il
progetto di bilancio dello stato. In ogni caso, l’aumento nominale del Fondo non copre l’aumento dei
costi: c’è un miliardo in più, ma 800 milioni sono
vincolati al finanziamento dei nuovi livelli essenziali di assistenza, poi ci sono i maggiori costi dei
farmaci innovativi, il mancato recupero della spesa
farmaceutica. Gli stanziamenti attuali e futuri non
bastano per garantire un servizio efficiente.
Assessore Garavaglia, il nuovo Documento di
economia e finanza approvato ad aprile conferma
un leggero aumento della spesa sanitaria nel prossimo biennio e l’accordo che le Regioni hanno fatto
con il governo a febbraio. Le risorse sono dunque
sufficienti?
C’è una crescita in termini nominali del Fondo
sanitario che passa da 111 a 113 e poi a 115 miliardi di euro, ma vengono confermati i tagli pesanti
della Legge di Stabilità dell’anno scorso. Cioè,
una scelta precisa da parte del governo di evitare
i tagli all’amministrazione centrale e caricarli sul
La coperta è corta ma si accorcia anche la vita
* Giornalista Il Corriere della Sera
Verso la fine del triennio, dicono i documenti del
governo, la spesa sanitaria in rapporto al prodotto interno lordo scenderà pericolosamente verso il
6,5%.
L’Organizzazione Mondiale della Sanità dice che
quando arrivi a quel livello si riducono le aspettative di vita, e qualcosa del genere sta già succedendo
in Italia. Ma è inevitabile per le premesse. Da un
lato, c’è la tendenza a far pagare surrettiziamente ai
cittadini costi sempre maggiori, dall’altro c’è uno
scadimento dei servizi, che è già nelle cose. Se tagli
i finanziamenti non puoi assumere i medici che ti
Cresce la migrazione sanitaria tra Nord e Sud
C’è chi la considera una strategia per ricentralizzare la sanità.
È evidente! Si riduce talmente tanto il finanziamento che la tentazione di cedere al centro, per il
principio di sussidiarietà, è molto forte. Le regioni
più piccole in piano di rientro, con questi livelli
di finanziamento, saranno costrette a fare ulteriori
razionalizzazioni, rischiando di peggiorare l’offerta
dei servizi e le performance del sistema. La soluzione di riportare tutto al centro però non funziona: lo vediamo con le altre grandi funzioni gestite
dallo Stato centrale, come la scuola e la giustizia, che ricalcano le stesse inefficienze territoriali
della sanità. Il problema non è di chi gestisce, ma
di organizzazione. In ogni caso, non puoi lasciare i cittadini senza la possibilità di curarsi, come
dimostra il fenomeno gigantesco delle migrazioni
da una regione all’altra, di solito dal Sud al Nord,
dalle piccole alle grandi regioni. Prima riguardava pazienti con patologie gravi, che richiedevano
magari specializzazioni particolari, ma adesso la
gente si sposta pure per un’appendicite.
Cosa significa un problema di organizzazione?
Pensa ad un’articolazione differente del sistema?
Data la scelta del governo di ridurre nei fatti le
risorse, è inevitabile che nelle Regioni dove non si
riusciranno a fare delle efficienze, saranno i cittadini a pagare di più. Il sistema andrebbe organizzato su livelli di economie di scala più ragionevoli.
Per governare in modo efficiente devi poter contare
su un bacino minimo di qualche milione di abitante. Per le Regioni piccole sarà sempre più difficile
andare avanti. Se non impossibile.
La risorse messe sul piatto dal governo non tengono
conto, o quasi, del rinnovo dei contratti di lavoro
nel pubblico impiego, sanità compresa, fermi
da tantissimi anni. Eppure la Consulta dice che
devono essere rinnovati. In più, resta il blocco del
turn-over, mentre secondo la direttiva Ue i medici,
ad esempio, dovrebbero lavorare per meno tempo.
Come si fa?
Questo è un problema grosso, perché al di là di tutto
comporta il rischio di spendere 300 mila euro per
formare un bravo medico che poi va a lavorare in
Inghilterra. Di fatto, con una crescita potenziale
del monte salari dello 0,2%, come quella ipotizzata finora dal governo, sarà molto difficile avviare
la trattativa con i sindacati. Con i 300 milioni che
sono stati stanziati per tutto il comparto del pubblico impiego è difficile che si siedano a discutere.
Secondo me, a giugno il governo dovrà per forza
aggiungere delle risorse a questo capitolo di bilancio.
Che cosa si può fare sul piano normativo del
contratto?
La nuova tornata contrattuale potrà essere occasione per fare un po’ d’ordine in questo comparto che
è stato bloccato per molti anni, ma non si è fermato,
e dove si sono stratificati modelli organizzativi, prassi, ed effetti di riforme parziali che hanno
complicato moltissimo il quadro. Penso al caos che
c’è nei fondi, le quote aggiuntive del monte salari,
che hanno fonti di finanziamento diverse: ci sono
margini per riordinare e ragionare concretamente
su sistemi di incentivazione semplici e più efficaci, come gli automatismi per le premialità. Quanto
all’orario di lavoro dei medici, dobbiamo vedere
se è possibile inserire più ricercatori specializzandi e risolvere i contrasti con altre norme. Quelle
sul blocco del turn-over, ad esempio, sono legate a
parametri vecchi di dieci anni, che vanno cambiate.
Oppure ragionare su deroghe mirate al blocco per
tener conto dell’operatività di alcune funzioni.
Cercare una copertura per i farmaci innovativi
Altro problema molto serio è quello del costo dei
farmaci innovativi dispensati dal Servizio sanitario, ma a carico delle Regioni. I fondi stanziati dal
governo però non bastano e così le cure vengono
razionate.
No, i finanziamenti pubblici, i 500 milioni l’anno,
non bastano, questo è pacifico. Noi in Lombardia da
IL PUNTO
servono per rispettare la direttiva Ue sugli orari di
lavoro, allunghi le liste di attesa.
Questo esclude che ci siano possibili risparmi?
No, affatto. È pacifico che il servizio sanitario
nazionale non sia ugualmente distribuito sul territorio nazionale in termini di qualità ed efficienza,
ma quello che si stanzia ogni anno per la sanità, a
livello complessivo, non è sufficiente per mantenere e rispettare uno standard di qualità a livello
europeo.
3
soli l’anno scorso abbiamo sforato di 50 milioni di
euro. Ma qui c’è in ballo anche il diritto del paziente
ad avere delle cure e dobbiamo capire come uscire
da questo problema. Io credo che si possa anche
immaginare un’operazione finanziaria, appoggiata
dallo Stato, per anticipare oggi la spesa necessaria
per curare subito il massimo numero possibile di
pazienti, e risparmiare domani sui costi che questi
rappresenterebbero, se non curati, per il sistema.
Come gli eurobond che il governo suggerisce a
Bruxelles per finanziare il costi dei migranti. Un
prestito obbligazionario, dunque?
Una cosa di questo genere. Con un po’ di buona
volontà e di fantasia si può trovare una soluzione
valida. Potrebbero essere emessi dei titoli obbligazionari - si può fare con la Cassa Depositi e Prestiti
- usando i fondi pluriennali o i mutui. Oggi un’operazione del genere comporterebbe forse dei costi
maggiori, ma in prospettiva sarebbe un grande
risparmio.
C’è qualcosa che non funziona anche nel resto della
spesa farmaceutica? I tetti vanno riconsiderati?
Diciamo che il sistema del pay-back, con il quale
quando si sfora il tetto questo viene rimborsato per
metà dalla Regione e per metà dal sistema farmaceutico, il doppio deterrente, finora ha funzionato bene. Oggi il tetto alla spesa territoriale tiene,
quello dell’ospedaliera è più faticoso da rispettare,
anche per i farmaci innovativi. Dovremmo ragionare sull’organizzazione, la distribuzione, dunque
anche dei tetti, e razionalizzare di conseguenza il
pay-back. Ma non c’è solo questo: si deve tornare
a parlare del confezionamento dei farmaci, che si
sprecano in quantità, dell’assistenza ai pazienti cronici che faticano a procurarsi i medicinali in
farmacia. E stiamo cominciando a farlo. Abbiamo
chiuso adesso il primo round del negoziato con i
medici di medicina generale, ora all’esame dei
sindacati, che potenzialmente è un’ottima base per
il potenziamento dell’assistenza territoriale e la
soluzione di questi problemi.
In compenso la centralizzazione degli acquisti sta
producendo risultati.
Per noi in Lombardia è stata uno strumento fondamentale, che ci ha permesso risultati importanti.
Siamo passati da meno di 3 mila gare a 100 mila
gare di acquisto nel 2015, e l’anno scorso abbiamo
risparmiato la bellezza di 165 milioni di euro, coi
quali tra l’altro abbiamo coperto il buco dei farmaci
innovativi. Il risparmio è evidente, e non è vero che
a rimetterci sia la qualità, che è un elemento che
viene sistematicamente premiato nei capitolati di
gara e nelle assegnazioni.
La gara nazionale della Consip per la fornitura di
aghi e siringhe per tutto il SSN funzionerà?
Secondo me rischia di far salire i costi. Vede, il costo
delle siringhe dipende anche dai tempi di pagamento delle forniture. Noi paghiamo a 30 giorni
e abbiamo prezzi migliori di chi paga a un anno e
mezzo. Alla fine non vorrei pagarle di più. La soluzione è un’altra, accelerare i tempi di pagamento
della pubblica amministrazione, non far spendere
di più a chi li rispetta.
Massimo Garavaglia
Assessore all’Economia, Crescita e Semplificazione della Regione Lombardia
Laureato in Economia e Commercio e in Scienze Politiche. Già consulente aziendale e componente di diversi Consigli di amministrazione, tra cui quello di Conord; energy manager, è stato vicepresidente di EESCO, società di servizi per l’efficienza energetica,
e presidente di Scr spa. È stato deputato nella XV legislatura, durante la quale è stato membro della Commissione affari sociali e
capogruppo nella Commissione Bilancio e senatore nelle XVI legislatura durante la quale ha ricoperto l’incarico di vice presidente
della Commissione Bilancio. È stato rieletto senatore nel 2013 nella XVII legislatura, ma si è dimesso appena nominato Assessore
all’Economia, Crescita e Semplificazione di Regione Lombardia. In qualità di assessore ha assunto le seguenti deleghe:
IL PUNTO
- Bilancio e fiscalità
4
- Risorse finanziarie per la crescita
- Semplificazione amministrativa
- Processi di digitalizzazione.
ASSISTENZA DOMICILIARE,
LA CENTRALITÀ DELLA FAMIGLIA
Ketty Vaccaro*
Nonostante sia stato ampiamente annunciato, l’evidente manifestarsi di un fenomeno demografico
come quello dell’invecchiamento e della transizione epidemiologica ad esso connessa ha trovato
un welfare poco pronto a dare risposte efficaci alle
patologie croniche e degenerative e alla domanda
molto intensa di assistenza sul territorio che esse
portano con sé.
Di fatto, il viraggio dell’assetto dei servizi di cura e
di assistenza verso il territorio e il domicilio stenta
a prendere piede e, anzi, la evidente asimmetria tra
domanda e offerta di assistenza, tra composizione dei servizi sanitari e sociosanitari e domanda
sul territorio hanno dato luogo a una forte risposta autogestita da parte delle famiglie, che si sono
configurate come soggetto centrale della presa in
carico delle persone con bisogni assistenziali legati
alla cronicità e alla ridotta autosufficienza. È così
che attraverso la forte mobilitazione di risorse interamente private è stato generato un modello di care
fortemente centrato sul domicilio che ha nella figura
del caregiver familiare e in quella della badante gli
elementi cardine.
Un modello familiare
Il consistente impegno delle famiglie nell’assistenza ai propri componenti con difficoltà ha anche una
forte impronta culturale e testimonia certamente la
forza del modello familiare italiano e della solidarietà inter-familiare.
Tuttavia, allo stesso tempo, può far supporre,
soprattutto con riferimento al sostegno nell’assistenza, la presenza di evidenti difficoltà nell’offerta
dei servizi sociosanitari e assistenziali, soprattutto
per la cronicità, la disabilità e la non autosufficienza
e le cure terminali.
Un ruolo essenziale nell’ambito dei servizi territoriali domiciliari è svolto dall’Assistenza Domiciliare
Integrata (ADI) che, com’è noto, consiste in un
insieme integrato di trattamenti sanitari e sociosa* Direttore Welfare Fondazione Censis
nitari, erogati a casa della persona con problemi di
autosufficienza.
È evidente che in un modello di care centrato sul
sostegno familiare e sulla permanenza della persona
presso il proprio domicilio, il tipo di supporto garantito da questo tipo di servizi si configura,
almeno sulla carta, come strategico. Tuttavia, gli
ultimi dati del Ministero della Salute relativi all’assistenza a domicilio mettono in luce quanto parziale
sia il contributo assicurato dal soggetto pubblico,
con una media nazionale del 4,2% di anziani trattati
in ADI rispetto al totale della popolazione anziana
(65 anni e oltre), nonostante si tratti della quota
maggiore assistita in ADI (83,6% dei casi trattati)
(Tabella 1).
Più nel dettaglio, per quanto riguarda l’ADI, i casi
trattati nel 2012 sono stati circa 630 mila, per un
tasso medio di poco più di 1.000 casi ogni 100.000
abitanti. Si tratta di una quota che varia significativamente tra le Regioni, certamente anche in
funzione delle differenze demografiche, ma con
ogni probabilità anche a causa di differenti assetti
organizzativi dei servizi: i valori più bassi si rilevano a Bolzano e in Valle d’Aosta, i valori più alti in
Emilia Romagna e Friuli Venezia Giulia.
Tuttavia, ai fini di una valutazione del peso del
servizio, non si può non sottolineare che, dal punto
di vista delle ore assicurate, ci troviamo dinanzi
ad un numero complessivamente molto contenuto: il numero totale di ore dedicate complessivamente nell’anno a ciascun caso è pari a 22 e risulta
anch’esso particolarmente variabile (Tabella 2).
Limitato il contributo pubblico all’ADI
Non è diversa la situazione relativa all’assistenza ai
malati terminali. Complessivamente, su poco meno
di 70.000 casi trattati a livello nazionale nel 2013,
si rileva una certa variabilità tra le regioni sia nella
quota di casi trattati su 100.000 abitanti sia nelle ore
per caso trattato, per una media di 25 ore all’anno
per caso trattato (Figura 1).
A fronte di questo quadro non può stupire quanto
TENDENZE E SCENARI
I dati del Censis - Un modello, quello italiano, frutto anche
dell’inadeguatezza del nostro welfare
5
Casi trattati
Numero
x 100.000 abitanti
di cui Anziani (%)
Anziani per 1.000
residenti anziani (età > 65)
di cui Pazienti
Terminali (%)
Pazienti Terminali
per 1.000 residenti
28.375
649
76,3
20,8
14,3
0,9
219
171
49,8
3,9
28,3
0,5
92.297
942
86,7
38,7
8,4
0,8
732
144
54,1
4,2
39,8
0,6
PROV. AUTON. TRENTO
5.158
973
71,2
34,5
18,0
1,7
VENETO
67.649
1.386
81,8
54,2
10,1
1,4
FRIULI VENEZIA GIULIA
24.943
2.041
73,2
61,4
4,4
0,9
LIGURIA
17.500
1.118
88,3
35,7
7,8
0,9
EMILIA ROMAGNA
130.637
2.984
90,5
117,4
1,4
0,4
TOSCANA
22.309
604
78,3
19,6
16,5
1,0
UMBRIA
12.823
1.447
85,0
51,7
9,9
1,4
MARCHE
14.764
956
71,5
29,6
15,0
1,4
LAZIO
53.895
970
85,9
40,2
9,1
0,9
ABRUZZO
17.899
1.364
78,5
48,5
15,5
2,1
MOLISE
3.008
960
81,6
34,8
7,6
0,7
CAMPANIA
37.121
643
79,6
30,2
13,7
0,9
PUGLIA
21.482
530
79,4
21,6
15,8
0,8
BASILICATA
7.535
1.308
85,9
53,9
14,0
1,8
CALABRIA
14.550
743
81,7
31,1
13,8
1,0
SICILIA
43.313
866
80,3
36,0
12,1
1,0
SARDEGNA
17.568
1.071
87,0
45,2
8,8
0,9
633.777
1.062
83,6
41,9
9,1
1,0
Regione
PIEMONTE
VALLE D`AOSTA
LOMBARDIA
PROV. AUTON. BOLZANO
ITALIA
Tabella 1. Assistenza domiciliare integrata (ADI) - casi trattati Anno 2012 (v.a., val. per 100.000 abitanti, val.%, val.medi)(*)
PERCENTUALE DI RILEVAZIONE : 100,00% sul totale delle ASL che hanno dichiarato di avere il servizio attivo. Fonte: Ministero della Salute.
TENDENZE E SCENARI
messo in luce dai pazienti oncologici in un recente
rapporto Censis-FAVO a proposito del livello di
soddisfazione espresso nei confronti della più
generale assistenza domiciliare loro assicurata. Il
giudizio che prevale è quello che ritiene insoddisfacente il servizio (42,3%) con una certa variabilità
territoriale: tra i pazienti che sono curati al Centro
la quota sfiora infatti il 50% mentre una simile tra
chi è curato al Nord giudica l’assistenza domiciliare buona (35,3%) o ottima (13,7%) (Tabella 3).
Eppure sono particolarmente alte le aspettative di
tutte le tipologie di pazienti cronici e caregiver nei
confronti di questo tipo di assistenza.
6
Il caso dell’Alzheimer
Valga per tutti l’esempio delle persone affette
dall’Alzheimer. La ricerca realizzata da Censis e
AIMA nel 2015 ha permesso di osservare che il
ricorso all’assistenza domiciliare, sia essa integrata o di tipo socio-assistenziale, coinvolge quote
ridotte di pazienti (11,2%, peraltro in calo rispetto al 18,5% rilevato nel 2006), contro quote molto
elevate che non usufruiscono di servizi di questo
tipo, di nuovo con significative variabilità tra aree
del Paese (Tabella 4).
Anche in questo caso si tratta generalmente di
un’assistenza limitata in media a 2,6 giorni per un
Numero casi
trattati (v.a.)
Per 100.000
ab.
Totale ore di
ADI per caso
trattato
28.375
648,7
15,6
219
171,3
32,2
92.297
942,3
20,3
732
143,6
36,3
Regione
Piemonte
Valle D`Aosta
Lombardia
Prov. Auton. Bolzano
Prov. Auton. Trento
5.158
972,6
13,9
Veneto
67.649
1.385,8
11,1
Friuli Venezia Giulia
24.943
2.041,4
5,8
Liguria
17.500
1.118,1
28,8
Emilia-Romagna
130.637
2.984,3
18,7
Toscana
22.309
604,1
20,9
Umbria
12.823
1.446,9
22,9
Marche
14.764
955,5
27,5
Lazio
53.895
969,8
22,2
Abruzzo
17.899
1.363,7
33,1
Molise
3.008
960,0
74,0
Campania
37.121
643,4
31,6
Puglia
21.482
530,3
38,5
Basilicata
7.535
1.307,7
45,9
Calabria
14.550
743,0
21,3
Sicilia
43.313
866,3
29,9
Sardegna
17.568
1.071,0
39,8
Italia
633.777
1.061,9
22,2
Tabella 2. Casi trattati e numero di ore di ADI per caso trattato per
regione Anno 2012 - (val.ass., val.per 100.000 ab. e val.medi).
Fonte: Ministero della Salute.
Assistenza Domiciliare a pazienti - Casi trattati
Anno 2013
Nord
Centro
Sud e
Isole
Totale
Ottima
13,7
18,2
4,1
9,7
Buona
35,3
20,0
17,4
22,0
Sufficiente
19,6
12,7
34,7
26,0
Insufficiente
31,4
49,1
43,8
42,3
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
Tabella 3. - Giudizio dei pazienti oncologici sull’assistenza domiciliare, per
collocazione geografica del luogo di cura - (val. %).
Fonte: indagine Censis, 2011.
Nord
Centro
Sud e
Isole
Totale
Assistenza Domiciliare Integrata
(sociale + sanitaria) e Assistenza
Domiciliare Socio-assistenziale
10,9
7,7
14,2
11,2
Non ne usufruisce
89,1
92,3
85,8
88,8
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
Servizi da potenziare
Nord
Centro
Sud e
Isole
Totale
Aiuto economico e/o sgravi fiscali
26,7
25,9
32,1
28,3
Centri diurni
19,8
25,9
22,0
22,2
Assistenza domiciliare
socio-assistenziale
22,1
18,8
14,7
18,8
Assegno di cura per pagare la
badante
13,7
15,3
25,7
18,2
Sostegno da parte del personale
competente (riunioni periodiche
per parlare dei problemi suoi e del
malato)
15,3
16,5
18,3
16,6
Tabella 4. Ricorso all’assistenza domiciliare integrata e socio assistenziale,
per area geografica - (val. %).
Fonte: indagine Censis, 2015.
Tabella 5. I servizi da potenziare a giudizio dei caregiver dei malati di
Alzheimer, per area geografica - (val. %) Il totale è diverso da 100 perché
erano possibili più risposte. Fonte: indagini Censis, 2015.
totale di ore 3,5 settimanali. Tuttavia, quasi la totalità dei caregiver intervistati che utilizzano i servizi
di assistenza domiciliare li giudica utili non solo
per il paziente ma anche per sé stessi (91,3%).
Dato che non stupisce a fronte del davvero oneroso
carico assistenziale del caregiver: le ore di assistenza e di sorveglianza che mediamente presta in
una giornata sono risultate rispettivamente pari a
4,4 e 10,8 ore. E così, nella graduatoria dei servizi
da potenziare, l’assistenza domiciliare compare al
terzo posto dopo gli aiuti economici e gli sgravi
fiscali (28,3%) e i Centri diurni (22,2%) (Tabella 5).
Quanto emerso si ritrova in molte altre ricerche del Censis mirate alla analisi della condizione delle persone affette da patologie croniche e
a forte impatto assistenziale, che hanno messo in
luce alcuni aspetti ricorrenti in merito all’assistenza
domiciliare che possono essere così sintetizzati:
• il quadro dei servizi domiciliari appare caratterizzato da un impegno tendenzialmente ridotto
TENDENZE E SCENARI
Figura 1. Pazienti terminali: casi trattati per regione Anno 2013 - (val. per 100.000 abitanti).
Fonte: Ministero della Salute.
7
TENDENZE E SCENARI
val. %
8
Favorevole
64,9
È il modo migliore per fare rimanere la persona in casa propria
43,3
Purché l’abitazione sia adeguata per due persone distinte, di cui una
spesso con problemi di mobilità (carrozzina, ecc.)
21,6
Contrario
24,2
Perché si confina la persona e la badante in un rapporto chiuso, con
lunghe ore negli stessi luoghi chiusi
7,9
Non ci sono garanzie di professionalità adeguate
16,3
Non c’è alternativa per dare supporto alle persone non
autosufficienti che hanno bisogno
10,9
Totale
100,0
Nord
Centro
Sud e Isole
Totale 2015
Molto positiva
9,8
1,9
0,7
4,8
Abbastanza positiva
46,2
41,9
26,2
38,4
Abbastanza negativa
32,9
40,0
39,0
36,8
Molto negativa
11,1
16,2
34,1
20,0
Totale
100,0
100,0
100,0
100,0
Tabella 6. Opinioni dei cittadini sulla scelta di affidare l’assistenza di una
persona non autosufficiente a una badante - (val. %).
Fonte: indagine Censis, 2015.
Tabella 7. Opinioni in merito alla attuale situazione di cura e di assistenza
pubblica per i malati di Alzheimer, per area geografica - (val. %).
Fonte: indagine Censis, 2015.
e soprattutto molto diversificato nelle dimensioni e nella funzionalità a livello territoriale. Si
tratta non solo delle differenze tradizionali tra
regioni del Nord, del Centro e del Sud, ma anche
di situazioni con un grado di frammentazione e
diversità che si spingono anche al livello locale
più minuto, del singolo comune e della ASL;
• questa diversità si rispecchia nella variabilità dei
giudizi sulla qualità dei servizi a disposizione
sulla base del luogo di residenza dei pazienti che
emerge sistematicamente dalle indagini;
• in ogni caso, al di là delle specificità della condizione patologica, pazienti e caregiver concordano sempre sul valore e l’utilità del servizio;
• pertanto, nelle indicazioni sull’assetto dell’offerta auspicabile, l’assistenza domiciliare viene
sempre indicata tra le prime posizioni di una
ipotetica graduatoria dei servizi ritenuti più utili
e da potenziare.
Ancora una volta, è dunque ribadito il peso rilevante attribuito all’assistenza prestata al domicilio
del paziente, in un modello come quello italiano,
così fortemente caratterizzato dal ruolo centrale
che le famiglie svolgono grazie al caregiver e con
il sempre più frequente accompagnamento di una
badante.
Un modello frutto, insieme, dell’impreparazione
del nostro welfare e di una propensione culturale
tipica del nostro Paese che attribuisce una funzione fondamentale ai legami familiari nella cura dei
componenti più deboli e che ritiene il mantenimento al domicilio un aspetto centrale per garantire la qualità della vita della persona in difficoltà.
Di nuovo, dalle indagini del Censis emerge che la
maggioranza degli italiani è favorevole alla scelta
di affidare un non autosufficiente a una badante e
tra questi la quota più rilevante, pari al 43,3%, lo è
perché è il modo migliore per far rimanere in casa
propria la persona (Tabella 6).
Poche alternative rispetto alla situazione attuale
È vero che emerge una quota non irrilevante di cittadini che esprime un parere negativo rispetto alla
soluzione autogestita, ma ai favorevoli può essere
associato anche un 10% di chi ritiene che a oggi
non ci siano di fatto soluzioni alternative in grado
di garantire un supporto adeguato alle persone con
problemi di autosufficienza.
Nei fatti, l’estrema variabilità delle situazioni a livello territoriale si delinea come uno degli
elementi che spiega le posizioni degli italiani anche
in merito al giudizio più generale che viene dato
sulla rete dei servizi per la cronicità e non la non
autosufficienza (Tabella 7).
Per la quota maggioritaria di caregiver tra i più
impegnati nell’assistenza, come quelli delle persone
affette da Alzheimer, il giudizio sull’attuale configurazione dell’offerta appare insoddisfacente nella
media nazionale, ma evidenzia tutto il peso di una
diversa capacità di risposta tra aree del paese (al
Nord prevalgono infatti i giudizi positivi) e delle
iniquità di fatto che ciò comporta a livello della
condizione dei pazienti e di chi se ne prende cura.
CON GLI STANDARD OSPEDALIERI
RIPRENDE LA PROGRAMMAZIONE
SANITARIA
Prima di ogni considerazione è
necessario sottolineare un fatto: il
DM 70/2015, con il quale il governo
definisce gli standard qualitativi,
strutturali, tecnologici e quantitativi relativi all’assistenza ospedaliera,
rappresenta il primo vero atto di
programmazione degli ultimi 15-20
anni.
Questo è un segnale tutt’altro che
irrilevante, in un contesto in cui le
chiacchiere si sprecano e le decisioni latitano.
Infatti, in attesa di capire se vincerà
la spinta centralista oppure quella
regionalista, disciplinare in modo
puntuale la struttura dell’offerta
ospedaliera ci pare azione degna
di nota e di plauso, anche se, in
ogni caso, è concreto il rischio che
un atto di indirizzo si trasformi
nel tentativo di governare l’attività
dei professionisti clinici attraverso
dettami dall’alto.
Il flop del cosiddetto “Decreto
appropriatezza”, che mirava a
controllare direttamente l’attività
dei medici prescrittori ci costringe
a mantenere alta l’attenzione su
come doverose prese di posizione
a livello nazionale, sul piano istituzionale, debbano trovare una
conciliazione a livello locale sul
piano professionale.
Nel caso della riorganizzazione
della rete ospedaliera, che comporterà anche un considerevole sforzo
economico per l’adeguamento
della stragrande maggioranza delle
strutture, questa conciliazione
locale delle istanze nazionali deve
trovare un surplus di innovazione.
Vediamo perché.
Il testo normativo
Il DM 70 del 2.4.2015 prende la
luce dopo quasi nove mesi di
gestazione (l’atto è del 21 luglio
2014 ed è stato definitivamente
approvato, dopo alcune modifiche
di errori materiali, in Conferenza
Stato Regioni il 13 gennaio 2015) e
andrebbe letto con quanto scritto
nella legge di stabilità per il 2016,
dove alle singole Aziende sanitarie
regionali vengono dettati stringenti
criteri sia economico-finanziari, sia
di qualità clinica per quanto riguarda l’assistenza ospedaliera.
Quindi, dopo diciotto mesi dalla
definizione del testo, c’è voluta una
legge di stabilità per dare ulteriori
e, si auspica, definitive “spinte” per
conformarsi al dettato legislativo, confermando la tradizione del
nostro paese in cui si fanno leggi
che dicono di applicare altre leggi.
Il DM definisce i requisiti che devono
possedere le strutture ospedaliere
al fine di ridurre la variabilità che
oggi esiste nelle modalità di erogazione delle prestazioni di assistenza ospedaliera e di migliorare la
qualità dell’assistenza, la sicurezza
delle cure e l’uso appropriato delle
risorse utilizzando di meno l’ospedale e di più forme alternative al
ricovero ospedaliero. Gli standard
sono definiti partendo da un’esplicita dichiarazione degli obiettivi da
raggiungere, e indicano:
-le modalità con cui sono classificati gli ospedali (presidi di base, di
primo e di secondo livello);
-gli standard minimi e massimi di
struttura per ogni singola disciplina o specialità clinica;
-i volumi di attività e gli esiti attesi;
-gli standard generali di qualità e
quelli organizzativi, strutturali e
tecnologici generali, oltre a quelli
specifici per l’alta specialità;
-le reti ospedaliere;
-la rete dell’Emergenza-Urgenza;
-
la continuità assistenziale tra
ospedale e territorio.
Per quanto riguarda la dotazione di
posti letto ospedalieri, il DM fissa a
3,7 posti letto ogni mille abitanti il
livello massimo dell’offerta ospedaliera accreditata e a carico del servizio sanitario di ogni regione, sia
essa un’offerta pubblica o privata, e
in questo 3,7 sono compresi anche
0,7 posti letto ogni mille abitanti da riservare alla riabilitazione
e alla lungodegenza che fanno
seguito alla fase acuta di ricovero.
Le Regioni, così, vengono costrette a ridurre posti letto, strutture
complesse e, infine, posti da primario, riconoscendo che quanto visto
finora non era proprio consono agli
obiettivi di salute da perseguire.
C’è dunque una forte volontà del
legislatore di riorganizzare gli ospedali e potenziare la medicina del
territorio, con l’obiettivo di creare
una rete d’assistenza molto più
efficiente e capillare ed evitare il
sovraffollamento dei grandi ospedali. Infatti, l’ingolfamento delle
attività in ospedale è soprattutto dovuta a una cattiva se non
mancata
organizzazione
delle
strutture territoriali, spesso carenti
e non organizzate in rete.
In questo, il DM 70/2015 non solo
fornisce una definizione di strutture intermedie tra l’assistenza
RISORSE E SALUTE
Stefano Del Missier
9
RISORSE E SALUTE
ospedaliera e l’assistenza territoriale, identificandole come strutture sanitarie a valenza territoriale
di ricovero e di assistenza, basate
anche su moduli diversificati (come
l’ospedale di comunità), ma introduce anche il concetto di rete di
patologia, per favorire l’integrazione, sia in senso orizzontale, tra
i professionisti che si occupano di
una determinata patologia, sia in
senso verticale, tra ospedali piccoli
e grandi, e tra gli ospedali e i livelli
istituzionali da cui dipendono
(Regione, Governo nazionale).
10
Non solo ospedale
Da tempo c’è grande enfasi sul
tema della continuità delle cure
tra ospedale e territorio. Col DM
70/2015 probabilmente si è messo
seriamente mano al lato Ospedale,
immaginando che in questo modo
si possa trovare qualche risposta
al fabbisogno di integrazione sul
quale da anni ci si muove senza
grandi risultati, fatta eccezione
per qualche esperienza locale a
macchia di leopardo sul territorio
nazionale. Il lato Territorio, in altri
termini, continua a essere debole.
Evitare un ricovero ripetuto e, di
conseguenza, ridurre non solo la
cattiva cura, ma anche il grande
spreco di risorse, passa certamente attraverso la riorganizzazione
del lavoro in ospedale, ma rischia
di farne pagare il prezzo agli assistiti se, parallelamente, non vengono
altrettanto riorganizzati i percorsi
di lavoro che riguardano gli operatori sanitari del territorio.
Il DM 70/2015, quindi, rappresenta
solo una faccia della medaglia, pur
importante e imprescindibile, ma
manca l’altra, nella quale le Regioni
possono svolgere un ruolo fondamentale, proprio perché è la faccia
che riguarda il territorio, con le sue
caratteristiche uniche per storia e
tradizione sanitaria.
Quanto osservato finora, però,
sembra descrivere a livello locale
la stessa mancanza di visione
di sistema del livello centrale. Si
possono anche ridefinire le strutture di offerta, suddividere le strutture ospedaliere per ruolo e organizzare le stesse per intensità di cura;
ma il territorio è altro, e non può
essere organizzato come si organizza una struttura ospedaliera, a
meno che non lo si voglia trasformare in una struttura.
C’è una difficoltà a prendere decisioni che riguardano più i processi
e le professioni che non le strutture e, credo, questo dipenda anche
dal poco “ascolto” del management
aziendale da parte della politica,
così come degli apparati regionali.
Tra i tentativi che rendono più
esplicito questo modo di agire
c’è la recente riforma del SSR in
Lombardia, nella quale il tentativo di integrare l’ospedale con il
territorio si è materializzato con
l’istituzionalizzazione del territorio,
inglobando le strutture ospedaliere
con strutture e servizi del territorio
dentro un unico ambito istituzionale, per favorire – così si dice – la
presa in carico del paziente e la
continuità del suo percorso di cura
e assistenza.
La scelta non pare tanto innovativa,
osservando quanto avviene nelle
vicine regioni del Veneto o dell’Emilia Romagna, ma il problema è
sicuramente stato messo a fuoco:
puoi anche riorganizzare gli ospedali, ma questo va fatto tenendo
conto dell’impatto che questo ha
sul territorio.
In sintesi
La frammentazione dell’offerta
sanitaria in Italia ha finalmente generato un serio intervento
del livello centrale, che ha svolto
la sua funzione di garantire che i
Livelli Essenziali di Assistenza siano
uniformi e omogenei su tutto il
territorio nazionale.
Ora, per fare in modo che non venga
vissuto come l’ennesimo tentativo
di tipo impositivo e, di conseguenza, destinato quasi inevitabilmente
a naufragare e a far perdere ulteriore credibilità al decisore politico,
bisogna far sì che l’applicazione del
DM 70/2015 da parte delle Regioni
venga svolto con grande capacità di
visione, riorganizzando la propria
rete ospedaliera in sintonia con i
cambiamenti da promuovere nel
territorio, facendo simulazioni sugli
impatti che si generano nel sistema
facendo scelte così importanti.
La complessità del territorio è
enorme. Se ci mettiamo nei panni
del paziente (o della sua famiglia),
il “sistema” è alquanto impervio:
medici di famiglia (o pediatri di
libera scelta, nel caso di minori),
medici specialisti, infermieri, operatori che svolgono attività sanitarie e
non a domicilio, strutture ambulatoriali e residenziali, ospedali come
strutture sociosanitarie.
Se vogliamo fare un salto di qualità,
non ci si può limitare alla sola (e
mastodontica)
riorganizzazione
della rete ospedaliera. La continuità delle cure deve tener conto
della caratteristiche del paziente, di
come far circolare le informazioni,
di come dare seguito alle varie fasi
della cura nei diversi luoghi in cui
si attua.
È questione di processi, di procedure, di protocolli, di contratti o
di accordi, di strumenti manageriali, di informazione e di comunicazione, ecc.: un universo mondo
in cui scegliere sicuramente costa,
ma dove il non scegliere rischia di
aggravare le già precarie risorse a
disposizione.
Le Regioni hanno una grande occasione per ribadire il proprio imprescindibile ruolo per una nuova
programmazione capace di dare
sviluppo e sostenibilità al nostro
servizio sanitario.
VERSO LA FARMACIA DEI SERVIZI
Annarosa Racca
Annarosa Racca, Presidente Federfarma, delinea il ruolo della farmacia nel
nuovo servizio sociosanitario lombardo - Il confronto, l’uniformità regionale
nell’esercizio delle funzioni, il dialogo e la collaborazione tra le professioni
come strumenti indispensabili.
I dati riportati nella tabella fanno
compiuti
dematerializzazio-
la continuità dei rapporti tra farmacie
cogliere in modo esaustivo il senso
ne delle prescrizioni farmaceutiche
e ATS e nella gestione dei flussi delle
dell’operato e del ruolo rivestono
che ha visto Federfarma Lombardia
ricette e dei rimborsi.
le farmacie territoriali in Regione
formare, insieme ai rappresentanti di
Le regole di gestione per il 2016
Lombardia; sono dati che inqua-
Lombardia Informatica, più di 8.000
dimostrano come ci sia la volontà
drano in modo oggettivo il contesto
farmacisti in poco più di due mesi.
della Regione di avvalersi della pecu-
operativo delle farmacie lombar-
Fondamentale è stata l’intesa e la
liarità della rete delle farmacie, asse-
de all’interno del Servizio Sanitario
condivisione
tecnici
gnando loro nuovi compiti assisten-
Regionale (SSR). È evidente che le
necessari per affrontare con succes-
ziali che anticipano, almeno in parte,
farmacie lombarde partecipano atti-
so il passaggio alla fatturazione elet-
le attese che noi stessi abbiamo
vamente al Prodotto Interno Lordo
tronica e, ultimamente, l’oneroso
riposto nell’attivazione della seconda
del Paese ma, nello stesso tempo,
impegno per le farmacie di trasmet-
fase della riforma.
eseguono il proprio compito in una
tere al MEF i dati delle spese sanita-
Nel corso dell’anno sarà, quindi,
logica di missione a fianco dei cittadi-
rie per il 730 online, per il quale la
compito della Direzione Generale
ni. In una fase di profonda trasforma-
Lombardia è l’unica Regione che si è
del Welfare, senz’altro di concerto
zione del SSR lombardo, le farmacie
posta come interfaccia tra farmacie e
con Federfarma Lombardia, di indi-
della Regione sono vicine alle esigen-
SOGEI.
viduare le funzioni che la farmacia
ze quotidiane di salute della popola-
Ci sono, ancora, gli importanti accordi
potrà svolgere e di determinare le
zione.
per la gestione del SISS e la gestione
corrispondenti risorse da destinarvi,
Un cammino fatto insieme che
delle piattaforme informatiche per le
mantenendo l’equilibrio economico
continua
erogazioni di assistenza integrativa
tra la remunerazione destinata alle
I rapporti tra Regione Lombardia e
(diabete, celiachia, protesica, ecc.),
farmacie e i risparmi che le farmacie
le farmacie sono sempre stati carat-
che stanno andando verso l’apertura
potranno generare.
terizzati da una fattiva collabora-
alla circolarità del cittadino e proces-
Verso nuove prestazioni e nuovi
zione, ad ogni livello, dai piccoli ai
si di semplificazione, e l’accordo sulla
servizi
grandi progetti. Frequenti sono i
Distribuzione per Conto, con parti
La seconda fase della riforma del
tavoli tecnici di confronto e quoti-
importanti ancora in via di sviluppo,
SSR offrirà l’opportunità di costi-
diani sono i contatti; senza questo
come la dispensazione dei farmaci ex
tuire
livello di condivisione non si sareb-
OSP 2 e per le malattie rare.
della farmacia con vantaggi per
bero gestiti con successo fondamen-
Dalla riforma un ruolo più incisivo
il “Sistema”. Sono nuovi ruoli che
tali passaggi evolutivi e importanti
per le farmacie lombarde
portano valore aggiunto in termini
accordi. Si ricorda la collaborazione
Abbiamo molto apprezzato il metodo
di semplificazione, di agevolazioni
sulle prenotazioni di prime visite, che
del confronto utilizzato dalla Regione
per l’assistito nell’accesso ai servizi,
ha raggiunto nel 2015 il numero di
in tutta la fase di analisi che ha prece-
di miglioramento dei profili di cura
146.000 (+24% rispetto al 2014) e la
duto la formulazione della Legge
nei percorsi di presa in carico dei
raccolta in farmacia di circa 1.109.000
23/2015.
delle
pazienti cronici, mediante attività di
autocertificazioni per le esenzioni,
farmacie hanno così avuto modo di
monitoraggio nell’utilizzo dei medici-
mentre nelle ASL ne sono state rece-
fornire il loro contributo. C’è stata,
nali e dei dispostivi; tutte azioni che
pite circa 408.000. Da tali dati appare
infatti una grande attenzione alle
portano più o meno direttamente a
evidente come la gente sceglie la
farmacie in questi primi passaggi, nel
un complessivo risparmio.
farmacia. Ci sono i grandi passi
riconoscere l’esigenza di privilegiare
Federfarma
I
degli
aspetti
rappresentanti
concretamente
nuovi
Lombardia
ruoli
e
MODELLI IN SANITÀ
nella
la
11
Le farmacie territoriali in Regione Lombardia
MODELLI IN SANITÀ
2.714 farmacie sul territorio
11.000addetti
4,2 miliardi di euro quale fatturato complessivo nell’anno 2015 (+3,2% sul 2014) di cui 1.754.000.000 di euro, quale fatturato SSR
117.507.755 euro di sconti a favore del SSR
135.000 ore settimanali di apertura (a Milano città la media di apertura è di 54 ore settimanali)
150 farmacie aperte ogni notte per servizio di turno non remunerato
12
Consulta degli Ordini dei farma-
deve essere posto sulle aggregazioni
sanitarie, della consegna dei referti.
cisti hanno presentato nei giorni
fisiche delle cure primarie; occorre,
Qui si chiedono solo pari opportuni-
scorsi in Commissione Sanità di
infatti, la massima attenzione della
tà rispetto ad altri operatori; il che
Regione Lombardia un documento
Regione, affinché la declinazione di
vuol dire, in altre parole, aprire a tutti
che propone le modifiche al Titolo
queste forme aggregative non privi il
le stesse agende e inserire nel SISS
VII della L.R. 33/2009, tali da poter
territorio della presenza degli ambu-
anche le strutture private accredita-
rendere concreto un nuovo modello
latori e non penalizzi così il cittadino.
te.
di farmacia.
Altro tema che sta particolarmente
Una risposta sempre più completa e
La farmacia ha tutte le caratteristiche
a cuore delle farmacie è quello della
organica
per essere il luogo di orientamento
dispensazione di prodotti e ausili di
L’evoluzione
del cittadino verso i centri di assisten-
protesica e di assistenza integrativa,
rappresenta una grande occasione
za del SSR ed essa stessa può essere
per il quale si avverte la necessità di
per riformulare gli ambiti di attività e
erogatrice di determinati livelli di
centralizzare le convenzioni originate
le funzioni della farmacia nello svolgi-
assistenza, in coordinamento con
dai rapporti tra le farmacie e le rispet-
mento di compiti di sussidiarietà. Per
le AFT e le UCCP e a supporto delle
tive ex ASL, nell’ottica dell’uniformità
le potenzialità che la farmacia dimo-
attività del medico di medicina gene-
dei livelli di assistenza e della circo-
stra di possedere, per struttura, per
rale e del pediatra di libera scelta, in
larità del cittadino e, in particolare,
professionalità, per propensione alla
perfetta coerenza con i principi del
nel preservare il ruolo sanitario della
formazione, risulta essere la candida-
Patto per la Salute. Stiamo parlando
farmacia nella gestione dei prodotti e
ta ideale ad assumere nuovi ruoli e
di prestazioni di analisi e di teleme-
ausili per gli assistiti diabetici, poiché
funzioni all’interno della riforma del
dicina da erogare ad esempio, sulla
consistono in un vero e proprio
SSR.
base di programmi predefiniti di
supporto alla corretta terapia.
Federfarma si sta preparando con
monitoraggio e di screening, perché
C’è poi un nuovo settore dove la
la realizzazione di piattaforme infor-
si operi con percorsi condivisi con
farmacia può dare un contributo di
matiche da rendere disponibili sul
tutti gli attori di sistema e nel rispet-
presenza e di orientamento. È quello
proprio portale www.federfarma.it e
to delle competenze di tutte le figure
dell’erogazione di servizi alla persona
che facciano da supporto a program-
professionali coinvolte.
connessi ai Piani di Zona, secondo un
mi evolutivi. Al momento, ha già atti-
Ovviamente, servono regole di certi-
modello che preveda accordi con i
vato una piattaforma per l’erogazio-
ficazione dei risultati ottenuti con i
Comuni interessati, in coordinamen-
ne di prestazioni di telemedicina e
nostri strumenti, la definizione dei
to con il competente Assessorato
per porre in dialogo le farmacie con
requisiti minimi e le tariffe di rimbor-
regionale, per funzioni di individua-
erogatori di prestazioni sanitarie e
so delle prestazioni.
zione dei bisogni e di orientamen-
socio-sanitarie, mentre sta svilup-
Il valore della partecipazione della
to del cittadino verso le strutture
pando un modulo per lo sviluppo di
farmacia a programmi di aderen-
predisposte ad affrontare specifici
progetti di pharmaceutical care. Nelle
za alle terapie è ormai riconosciuto
problemi. Proseguirà poi il suppor-
Regole 2016 di Regione Lombardia
ampiamente. È un’attività da svolge-
to fin qui assicurato alla Regione in
ritroviamo la farmacia dei servizi già
re in team con gli altri professionisti,
attività di front-office, con l’obiettivo
inserita nel programma di attuazio-
nell’ambito dei modelli di presa in
di giungere insieme ai massimi livelli
ne di nuovi modelli assistenziali; il
carico che prevedano anche l’inter-
di semplificazione. Questo è il tema
cammino inizia oggi e ha bisogno di
vento del farmacista, nel valutare la
dell’implementazione delle funzioni
essere sostenuto. Strumenti indi-
comprensione da parte del paziente
sanitarie-amministrative di preno-
spensabili sono il confronto, l’uni-
dell’uso del farmaco, l’allineamento
tazione di visite ed esami speciali-
formità regionale nell’esercizio delle
alle indicazioni del medico curante
stici presso le strutture pubbliche e
funzioni, il dialogo e la collaborazione
e la presenza di eventuali problemi
private convenzionate, della riscos-
tra le professioni sanitarie e sociosa-
di interazioni. Un particolare cenno
sione dei ticket delle prestazioni
nitarie.
del
SSR
lombardo
L’opinione di Ilaria Ciancaleoni Bartoli,
Direttore dell’Osservatorio Malattie Rare
MALATTIE RARE,
UN’ITALIA A 20 VELOCITÀ
Una malattia è rara quando la sua
una malattia rara? Al momento no. In
ad alcune patologie una esenzione
prevalenza non supera la soglia di 5
parte perché, nonostante una spinta
extra LEA. È il caso, per fare degli
casi su 10.000 persone. Il criterio è
sempre più forte ad uniformarsi
esempi, dei pazienti affetti da fibrosi
chiaro; quante persone siano affette
nella metodologia della raccolta di
polmonare idiopatica (IPF) o da scle-
da malattie rare in Italia molto meno.
dati, permangono differenze che
rodermia, che hanno avuto l’esenzio-
Durante la giornata delle malattie
rendono difficile “fare la somma”. Il
ne in Toscana e in Piemonte.
rare, il 29 febbraio scorso, il dato
problema più grave, però, è un altro:
Entrambe le patologie erano nell’e-
che più spesso è stato citato per
la maggior parte dei registri raccol-
lenco di nuove malattie che dove-
l’Italia è di 670.000 pazienti, mentre
gono solo i dati dei pazienti affetti
vano rientrare nell’aggiornamento:
fino a un paio di anni fa si parlava
da una malattia rara esente, cioè
mancando una decisione naziona-
di 2 milioni. Cifre discordanti sulle
una di quelle codificate nell’allegato
le, le Regioni che hanno potuto, e
quali non sono dirimenti nemmeno
A del decreto 279 – poche centinaia
voluto, si sono mosse prima, ma
i dati dei registri regionali o del regi-
di malattia a fronte delle oltre 8.000
solo un provvedimento naziona-
stro nazionale, istituiti dal Decreto
conosciute. I malati rari, dunque, non
le potrà uniformare la situazione.
Ministeriale 279/2001, quella che
sono tutti uguali di fronte alla legge:
Anche volendo, infatti, le regioni
ancora oggi viene considerata la
quelli affetti dalle patologie compre-
italiane sottoposte a piani di rientro
‘legge quadro’ per le malattie rare.
se nell’elenco sono esentati dal
non potrebbero seguire Toscana e
Una legge pensata e approvata poco
pagamento del ticket – per gli esami
Piemonte su questa strada.
prima della riforma del titolo V della
periodici a cui devono sottoporsi, ad
Costituzione e che ha trovato, a causa
esempio – mentre gli altri, i malati di
Le disparità nello screening neona-
del mutamento di assetto istituziona-
serie B, questo diritto non ce l’hanno.
tale
le, diverse difficoltà di applicazione.
L’allegato A in teoria doveva essere
Le disparità arrivano a colpire fin
Basti pensare che il recepimento del
aggiornato ogni 3 anni: dal 2001 è
dalla nascita. I programmi di scree-
D.M 279 è avvenuto a velocità molto
sempre lo stesso. Una prima lista di
ning neonatale per le malattie rare,
differenti: se alcune regioni si sono
malattie rare, circa 109, che dove-
infatti,
mosse subito (Veneto, Basilicata,
vano servire da aggiornamento, fu
territoriali; talvolta, si riscontrano
Lombardia, Marche e Sicilia) altre
preparata ai tempi del Ministro Livia
politiche diverse anche tra le Asl
hanno impiegato più tempo, fino ad
Turco, nel 2008; mancarono, però,
della stessa regione.
arrivare al Trentino che lo ha fatto
le coperture economiche per inse-
Nel nostro paese oggi tutti i neonati
solo nel 2007. Ancora più complicato
rirli nei LEA. Da allora il problema è
devono essere obbligatoriamente
è stato il lavoro per l’Istituzione dei
stato sempre lo stesso: la copertura
sottoposti, nei giorni immediatamen-
Registri, previsto dalla stessa legge:
continua a non trovarsi. Mancando
te successivi alla nascita, a dei sempli-
il 75% è stato istituito dopo il 2007.
una decisione di livello naziona-
ci test per tre patologie rare: la fibrosi
Ma possono questi registri darci un
le, il tema è stato affrontato dalle
cistica, la fenilchetonuria e l’ipoti-
numero verosimile del numero delle
singole regioni. Alcune hanno auto-
roidismo
persone che in Italia sono affette da
nomamente deciso di riconoscere
un procedere a diverse velocità, ad
hanno
enormi
congenito.
difformità
INNOVAZIONE E TERRITORIO
Il numero di persone che in Italia sono affette da una malattia rara è ancora
incerto – Difformità regionali sull’implementazione di screening neonatali
per le mattie rare metaboliche – Disparità anche nell’accesso alle terapie per
difficoltà di inserimento del farmaco.
Nonostante
13
INNOVAZIONE E TERRITORIO
oggi praticamente in tutte le Regioni
Piemonte, Valle D’Aosta e Puglia nel
(PTAV) dal momento della pubbli-
vengono garantiti questi test. Grazie
2014 non avevano attivato alcun
cazione in Gazzetta Ufficiale della
a questi sono praticamente scom-
programma di screening metabolico
Determinazione AIFA sono molto
parsi i gravi effetti sulla crescita
allargato. Il Friuli Venezia Giulia si è
diversi: si passa dai 145 giorni
dell’ipotiroidismo, la sopravvivenza
recentemente attivato, appoggian-
dell’Umbria ai 284 giorni del Lazio.
dei bimbi affetti da fibrosi cistica è
dosi al Veneto, e la Basilicata inizierà
A queste tempistiche va aggiunto il
enormemente aumentata raggiun-
a breve in collaborazione con l’Ospe-
tempo medio di 226 giorni neces-
gendo l’età adulta, e anche per la
dale Bambino Gesù.
sari all’Agenzia Italiana del Farmaco
fenilchetonuria sono stati fatti passi
Le cose sono migliorate rispetto
(AIFA) per procedere con l’Autorizza-
da gigante. Oggi, grazie alle nuove
al 2013, quando solo il 30,9% dei
zione e la contrattazione del prezzo
tecnologie, sarebbe possibile fare
bambini era stato sottoposto a
di
lo stesso per un numero assai supe-
screening, ma le disparità rimango-
che in alcune realtà regionali non è
riore di malattie rare, oltre 40. I test
no. Anche in questo caso, solo una
detto che quel farmaco approvato
per individuarle sono veloci, precisi,
legge nazionale potrebbe cambiare
prima a livello europeo, poi a livello
non invasivi e anche relativamen-
davvero le cose, e per fortuna qui la
nazionale dall’AIFA venga poi inse-
te poco costosi. Per questo, alcune
politica, con i suoi tempi, sta proce-
rito nei singoli PTOR. Infine, anche
regioni hanno pensato di offrire ai
dendo. Un primo passo è stato fatto
laddove venga formalmente inseri-
propri neonati questa grande oppor-
alla fine del 2013, quando la Senatrice
to, possono verificarsi casi nei quali
tunità: ma ognuna lo ha fatto con
Paola Taverna (M5S) fece introdurre
concretamente l’accesso alle terapie
tempi e modalità diverse. La fotogra-
nella legge di stabilità un primo finan-
rimane difficoltoso.
fia di queste disparità è contenuta
ziamento per lo screening metaboli-
E se questo vale per i farmaci ospe-
nell’ultimo rapporto della Simmesn,
co allargato. Una norma che non è
dalieri e quelli di fascia A la situazio-
la società scientifica che si occupa
stata ancora attuata: solo di recente
ne per quel che riguarda i farmaci
proprio di malattie metaboliche e
il Ministro Lorenzin ha annunciato
di fascia C non è migliore: in alcuni
screening neonatale.
un imminente decreto applicativo.
regioni i pazienti possono averli
In Italia, nel 2014 sono nati 502.596
Parallelamente però, sempre grazie
gratuitamente se rientrano nel loro
bambini (Istat): di questi neonati
agli sforzi della Sen. Taverna, è stato
piano terapeutico, in altre no. E, per
il 43% (212.291 bambini) è stato
portato avanti e approvato in prima
alcuni, questa spesa, sommata alla
sottoposto al test di screening per le
lettura al Senato un altro atto, il DDL
perdita del lavoro e ai costi di assi-
malattie rare metaboliche. Ne deriva
998, che è attualmente in discus-
stenza, spesso sostenuti di persona,
che 290.305 neonati non hanno
sione alla Camera. Questo prevede
diventa insostenibile. La discrimina-
avuto questa opportunità. Già da
l’obbligatorietà dello screening sul
zione alla fine torna sempre lì: tra
questi dati si evidenzia una frattura
territorio nazionale e l’inserimento
quelli che possono permettersi di
del paese a metà, ma la complessi-
dello stesso nei LEA. Considerate le
curarsi a proprie spese e quelli che
tà è ancora maggiore di quello che
diverse realtà regionali, probabil-
non possono e devono accontentarsi
sembra. I bambini sottoposti a scre-
mente sarà solo con l’approvazione
di quel che passa la propria Regione.
ening, infatti, hanno avuto accesso
di questa norma che si potranno
a un numero diverso di test: se, in
cancellare le disparità nello scree-
alcuni casi, sulla loro singola goccia
ning.
Senza
considerare
di sangue sono state cercate oltre
40 malattie metaboliche rare, in altri
Le disparità nell’accesso alle terapie
la ricerca si è limitata a meno di una
Se per la diagnosi precoce e per il
trentina.
riconoscimento delle esenzioni ci
Liguria,
Veneto,
Emilia-Romagna,
Toscana,
Umbria,
Sardegna
hanno
Marche
effettuato
sono grosse disparità, le cose non
e
vanno benissimo nemmeno quando
nel
si tratta di avere accesso alle terapie.
2014 lo screening metabolico allar-
Stando all’indagine civica pubbli-
gato su tutto il territorio regionale.
cata nel 2013 da Cittadinanzattiva,
Programmi parziali sono attivi in
i tempi di inserimento dei farmaci
Lazio, Lombardia, Campania, Sicilia,
all’interno dei Prontuari Terapeutici
Molise, Trentino-Alto Adige.
Ospedalieri
Abruzzo,
14
rimborso.
Basilicata,
Calabria,
Regionali
(PTOR)
/
Prontuari Terapeutici di Area Vasta
Osservatorio Malattie Rare, dai
più conosciuto come OMAR, è
una testata giornalistica on line
(www.osservatoriomalattierare.it)
l’unica interamente dedicata alle
malattie e ai tumori rari.
Fondata nel 2010 vanta oggi oltre
10.000 lettori singoli ogni giorno e
mette a disposizione di tutti, gratuitamente, informazioni e aggiornamenti di carattere scientifico,
sociale e legislativo.
Conversazione con Domenico Mantoan
CENTRALIZZARE LA SANITA?
NO PER LE REGIONI VIRTUOSE
Secondo il DG della sanità della Regione Veneto, prima di riformare il servizio sanitario nazionale in senso centralistico, occorre almeno guardare alle migliori esperienze regionali – La sanità digitale per produrre i suoi effetti chiede normative adeguate – Dal PTDA maggiore appropriatezza e standardizzazione – La formazione e
la selezione del management deve interessare anche i livelli intermedi
In questa fase storica, nella
quale domina una corrente
di pensiero che considera la
regionalizzazione della sanità
in una situazione di crisi, quali
interventi a suo avviso sono da
ritenersi eventualmente accettabili e quali ambiti dovrebbero
essere immuni da interventi?
Le regioni che hanno saputo gestire
bene la sanità dovrebbero essere
salvaguardate da interventi normativi di stampo centralistico.
Il Ministero della Salute dovrebbe
portare a sistema le migliori esperienze sanitarie regionali.
Altro tema di grande attualità è
quello del management, inteso
come il rafforzamento e l’efficientamento della macchina
produttiva e, quindi, delle sue
risorse umane e dei meccanismi
operativi di gestione. Che cosa
può dirci di quanto accade, in
proposito, nella sanità veneta?
Credo che uno dei temi sia quello
della formazione e della selezione
del management intendendo per
management non solo la direzione
strategica, ma anche il management
intermedio.
A tale scopo in Veneto la Regione ha
costituito una Fondazione con l’obiettivo di promuovere la cultura manageriale a tutti i livelli degli operatori
del sistema sanitario regionale.
Volendo fare il punto, in particolare, sulle ricadute organizzative
che la sanità digitale sta producendo, che cosa ci può dire in
proposito?
La sanità digitale è uno strumento
straordinario per mettere a disposizione dei professionisti della sanità
nel più breve tempo possibile la
maggior parte delle informazioni.
Tale strumento però molto spesso è
limitato dalle vecchie normative, vedi
recente vicenda delle Linee Guida
sulle competenze dei radiologi e dei
tecnici di radiologia.
La normativa attuale, non adeguatamente aggiornata, rischia di rendere
vani i vantaggi che la sanità digitale potrebbe apportare al sistema
salute.
C’è una sempre maggiore attenzione all’utilizzo dei percorsi
diagnostico-terapeutici
come
elemento di utilizzo delle risorse
centrate sul paziente e non
sui bilanci. Un tetto di spesa
farmaceutica rigido ha senso
se un maggior utilizzo del bene
farmaco incide positivamente
nel contenimento della spesa
ospedaliera e genera un saldo
positivo sul livello complessivo
della spesa sanitaria?
Il PDTA, a mio parere, dovrebbe
portare ad una maggiore standardizzazione ed appropriatezza nell’uso delle risorse per la cura delle patologie, quelle croniche in particolare.
Standardizzazione ed appropriatezza incidono sicuramente in modo
positivo sia sui risultati di salute che
di bilancio finanziario.
POLITICA & ISTITUZIONI
L’atteso
ridimensionamento
della autonomia regionale prevista nel titolo V della Costituzione
dovrebbe riportare ad una ricentralizzazione di alcune logiche
gestionali dei servizi sanitari.
Considera questo un fatto inevitabile e, se sì, quale sarebbe
l’impatto per la sanità regionale
e per l’intero Paese?
La regionalizzazione della sanità,
avvenuta in conseguenza della modifica del titolo V della Costituzione, ha
portato una notevole variabilità nei
risultati, in termini di efficienza ed
efficacia, dei vari sistemi regionali.
Attualmente la corrente di pensiero
predominante sviluppa l’idea che il
ritorno alla gestione centralizzata da
parte dello Stato dovrebbe diminuire
questa variabilità che si è creata; il
rischio reale è che la differenza fra i
sistemi regionali diminuisca riducendo però la buona sanità di alcune
regioni virtuose.
15
D O S S IER
TUMORE DEL SENO:
IL MOLTO CHE ANCORA
SI PUÒ E DEVE FARE
LA CENTRALITÀ DELLE BREAST UNIT
Laura Bianconi*
L’opinione di Laura Bianconi, componente 12a Commissione Igiene e Sanità del
Senato, nella grande sfida della lotta contro il cancro al seno - Competenza, qualità
NON SOLO CURA
e risparmi per i malati e la sanità italiana
Incredulità, paura, l’assoluta
sorpresa, il pensare “non può
essere successo proprio a me”,
la rabbia e poi il coraggio, una
nuova forza per combattere la
giusta battaglia. Di solito, sono
queste le reazioni di una donna,
quando arriva la terribile diagnosi di tumore al seno.
Una situazione che non riguarda
esclusivamente la sfera medica.
Occorre, infatti, fare i conti con
aspetti culturali legati affettivamente al seno, come la maternità, la femminilità, e a quanto la
propria immagine abbia la necessità di sentirsi in buon rapporto con l’ambiente e le persone
che ci circondano. Si tratta di
un problema sociale e umano: il
cancro al seno colpisce ogni anno
un numero altissimo di donne,
senza limiti di età. In Italia, ogni
anno si ammalano circa 48.000
donne; si tratta della neoplasia
più frequente nella popolazione
femminile e che causa il maggior
numero di decessi in tutte le
fasce di età.
Un male subdolo che tuttavia può
essere diagnosticato in tempo,
attraverso la prevenzione e la
capacità delle donne di essere
attente al proprio fisico. Le strut* Vicepresidente Gruppo Area Popolare (NCD-UDC)
e Componente 12a Commissione Igiene e Sanità
16
ture sanitarie, dal canto loro, sono
sempre più all’avanguardia e in
grado di attivare percorsi semplici e facilitanti, anche la normativa
sembra dare un grosso contributo alle donne malate.
Qualità delle prestazioni:
superare le disparità territoriali
Il 5 giugno 2013 il Parlamento
europeo adottò, per la prima
volta per una malattia specifica,
una risoluzione elaborata dalla
Commissione per i diritti della
donna e le pari opportunità – su
sollecitazione del movimento di
opinione “Europa Donna” nato
nel 1991 grazie al professor
Veronesi – che proponeva di fare
della lotta al cancro al seno una
priorità della politica sanitaria.
Ogni donna deve avere accesso
a uno screening, a cure e a una
post-terapia di qualità, a prescindere dal luogo di residenza e
dalla posizione sociale. Eppure,
esistono ancora grandi differenze nella qualità delle prestazioni
su diagnosi e cura, non solo tra
Regione e Regione ma anche tra
ospedale e ospedale. Differenze
che possono far variare notevolmente anche la sopravvivenza al
tumore. La ricerca ha dimostrato
che l’intervento più efficace per
la prevenzione del cancro al seno
o per la guarigione è la diagno-
si precoce. Se diagnosticato allo
stadio iniziale, questo tumore
può essere sconfitto nel 90% dei
casi. Secondo l’OMS, uno screening mammografico di qualità è
in grado di ridurre, fino al 35%,
la mortalità fra le donne di età
compresa fra i 50 e i 69 anni, e del
20% tra quelle tra i 40 e i 49 anni.
In Italia un ruolo fondamentale
legato alla prevenzione ce l’hanno
senza dubbio le ‘Breast Unit’,
più note con il nome di Centri di
Senologia.
Si tratta di strutture che offrono
una nuova opportunità di cura e
assistenza personalizzata, regolata da specifiche linee guida
nazionali, che permettono alla
donna di affrontare il tumore al
seno con la sicurezza di essere
curata secondo i più alti standard
europei e accompagnata nell’intero percorso di malattia. Avere a
disposizione una Breast Unit per
chi ha un tumore al seno, vuol dire
avere maggiori chance di essere
curata al meglio e di guarire grazie
a studi clinici multicentrici, nazionali e internazionali, e all’accesso
a terapie innovative.
L’importanza delle strutture
dedicate
Significa non dover andare personalmente alla ricerca una volta
del chirurgo l’altra dell’oncologo,
zate secondo criteri scientifici
precisi, condivisi su tutto il territorio italiano – senza distinzioni tra
nord, centro e sud – le cui prestazioni vengono valutate periodicamente e confrontate, in cui si
assicura l’aggiornamento sia del
personale che della strumentazione utilizzata. Una Breast Unit
non è necessariamente un’unica
struttura in cui accentrare tutte le
parti operative che riguardano il
tumore al seno, ma molto spesso
promuovere la prevenzione incoraggiando corretti stili di vita e
facendo attività d’informazione.
Può effettuare visite senologiche attraverso le quali accedere
agli esami diagnostici; mettere a
disposizione strutture e medici
per il programma nazionale di
screening mammografico; garantire l’utilizzo di tecnologie avanzate e la presenza di personale
altamente specializzato nella
diagnostica senologica.
Consolidare la cultura della
prevenzione
Per una donna senza tumore al
seno, ma ad alto rischio eredo/
familiare, la Breast Unit garantisce un percorso di presa in carico,
anche attraverso il counseling
genetico e il supporto psicologico, con una programmazione
personalizzata dei controlli per la
diagnosi precoce.
Per una donna con il tumore al
seno in stadio iniziale, garantisce la totale presa in carico
della paziente per tutto il percorso diagnostico-terapeutico e i
migliori standard di cura. Per una
donna con il tumore avanzato
o metastatico, prende in carico
la gestione complessiva della
paziente; garantisce la continuità
di cura e la gestione delle complicanze; garantisce un servizio
specializzato di cure palliative che
collabora con l’équipe multidisciplinare.
La presenza di quest’ultima è
fondamentale
considerando
la complessità della patologia:
perché non esiste un solo tipo
di tumore al seno, ma ne esistono di diversi tipi, che differiscono anche a livello molecolare.
Ciascun tumore va identificato nel
modo corretto, affinché si possa
stabilire la terapia più mirata ed
efficace per ogni donna.
Un approccio multidisciplinare
La presenza di team medici
completi, inoltre, evita ai pazienti pellegrinaggi infiniti alla ricerca
di diversi specialisti, con conseguente risparmio di tempo e
soprattutto denaro.
Alle opinioni personali di un solo
clinico si sostituisce, così, una
decisione collegiale che nasce
dal confronto di più professionisti, che segue i protocolli e le
linee guida più aggiornati. Con
un risparmio economico anche
per la sanità, visto che in questo
D O S S IER
è costituita da servizi dislocati su sedi diverse che creano un
percorso personalizzato e seguito
di diagnosi, terapia e successivi
controlli.
I gradi di assistenza nei Centri
di Senologia variano a seconda
della gravità. Per una donna
senza tumore al seno e senza
familiarità, la Breast Unit può
NON SOLO CURA
ma essere seguita da un’équipe
multidisciplinare durante tutto il
percorso diagnostico e terapeutico. La Breast Unit, infatti, assicura
la presenza di chirurghi, radiologi, patologi, oncologi, radioterapisti, infermieri, tecnici di radiologia che dedicano la loro attività al
trattamento della mammella.
Strutture di alto livello organiz-
17
D O S S IER
modo si evitano esami inutili o la
loro ripetizione.
Esiste un documento italiano ufficiale che spiega e definisce ogni
fase del percorso in una Breast
Unit; circa cento pagine in cui
sono spiegate tutte le caratteristiche che tali strutture devono
avere per offrire alle donne
servizi e cure migliori.
Il documento si intitola “Linee
d’indirizzo sulle modalità organizzative e assistenziali della rete
dei centri di senologia” ed è stato
redatto da un gruppo di lavoro,
formato da alcuni dei massimi
esperti in senologia, istituito nel
2012 presso il Ministero della
Salute. Per redigere le Linee d’indirizzo sono serviti due anni di
lavoro.
Le risposte attese dalle Regioni
Il 18 dicembre 2014, le Linee
d’indirizzo sono state approvate in Conferenza Stato-Regioni:
da quel momento, i centri italiani che si occupano di senologia
hanno un riferimento a cui attenersi e le Regioni dovranno man
mano adeguarsi per garantire
che, entro i loro confini, ci sia un
numero adeguato di Breast Unit.
Secondo le indicazioni Europee,
ogni nazione dovrebbe garantire la presenza di una Breast Unit
ogni 250.000 abitanti.
Ma se le Regioni non riusciranno a dare risposte certe in tempi
brevi, saranno le stesse donne
a pretendere quanto gli spetta:
ormai sono sempre più consapevoli dei loro diritti legati all’assistenza sanitaria, e pretendono
che a prendersi cura della loro
salute siano solo validi specialisti. L’elenco degli standard è
stato stabilito e condiviso a livello
europeo.
Nel 2000 l’European society
of breast cancer specialists
(Eusoma) ha pubblicato le raccomandazioni sui requisiti che
dovrebbe avere un centro di
senologia. Tali requisiti sono stati
ripresi anche dal Parlamento
europeo nel 2003. Una Breast
Unit, per definirsi tale, dovrebbe
trattare più di 150 nuovi casi di
carcinoma mammario ogni anno.
L’obiettivo per l’imminente futuro
è quello di proseguire su questa
strada con ancor più impegno.
Bisogna assicurare l’appropriatezza dei percorsi diagnostico-terapeutici e degli interventi a
tutte le pazienti, basandosi sulle
migliori evidenze scientifiche,
per garantire qualità e sicurezza
della cura. Lo chiedono le tante
donne che hanno intrapreso
questa dura battaglia, subdola e
complessa, ma che con competenza e volontà d’animo si può
vincere.
L’ITALIA DELLE REGIONI
E LO SCREENING DEL TUMORE MAMMARIO
NON SOLO CURA
Federico Mereta
18
Il cancro alla mammella è una
malattia subdola. In molti casi,
infatti, si può sviluppare senza
dare alcun segno della sua
presenza, diventando sintomatico solo quando è già molto sviluppato. Per questo, è fondamentale la diagnosi precoce. Occorre
tenere sotto controllo l’organo,
eseguendo regolarmente alcuni
controlli che vanno poi modulati/
integrati ed effettuati a scadenze
più brevi (e con esami specifici)
nei casi in cui esistano particolari profili di rischio genetico o di
predisposizione familiare.
Fatte salve queste situazioni,
quindi, il percorso “formativo”
per la donna deve partire dall’autopalpazione. Si tratta di un test
importante che può aiutare a
svelare la presenza di noduli
all’interno del tessuto mammario. Andrebbe eseguita una volta
al mese a partire dai vent’anni di
età. Il test va fatto sempre subito
dopo le mestruazioni e la donna
deve, in piccolo, ripetere l’esame
clinico della mammella effettuato
dal medico.
Prima, utilizzando le dita della
mano, palpa tutte le aree del seno
prestando particolare attenzione
alla forma e alla consistenza, alla
eventuale presenza di noduli e,
se questi sono presenti, al grado
di adesione alla pelle sovrastante
o ai tessuti più profondi.
Poi deve palpare il cavo ascellare,
per identificare eventuali rigonfiamenti a carico delle ghiandole
linfatiche di questa zona. Infatti,
sono proprio questi linfonodi a
fare da “stazioni” per la mammella, e di conseguenza sono utilissimi per valutare lo stato della
malattia.
L’esame chiave per la diagnosi
precoce del tumore mammario
è sicuramente la mammografia, che consente di identificare
il cancro anche molti anni prima
che si presentino sintomi clinici. Si
tratta di una radiografia con raggi
za, in questa fascia di età, può
ridurre del 35 per cento la mortalità per questa malattia. Alcune
Regioni italiane, peraltro, stanno
valutando la possibilità di anticipare i controlli offrendo il test
anche a donne più giovani, e ci
sono già casi di offerta “allargata”
anche ad altre fasce d’età, soprattutto tra i 45 e i 49 anni. in questa
popolazione l’esame va offerto
ogni anno. A supportare questo
approccio ci sono dati di letteratura sicuramente interessanti:
estendere, infatti, l’esame alle
quarantenni potrebbe far calare
ulteriormente la mortalità legata
alla malattia, proprio grazie alla
diagnosi precoce.
La posizione del Centro per
il Controllo delle Malattie nel
proprio
documento
emesso
con il Ministero appare comunque permissiva sull’ipotesi di
un potenziale allargamento dei
possibili accessi al programma di
screening. “La scelta di estendere le fasce di età per lo screening
mammografico oltre i 70 anni e
al di sotto dei 50 anni dovrebbe
essere lasciata alla libera valutazione delle Regioni, in base alle
risorse disponibili e a valutazioni di costo-efficacia – si segnala.”
Fondamentale è che le strutture in questi casi specifici siano
in grado di offrire una corretta
informazione su vantaggi e limiti
dello screening e controlli di
qualità rigorosi. “Inoltre, va utilizzata la mammografia con doppia
proiezione e doppia lettura, con
frequenza di 12-18 mesi – si
precisa ancora.”
Allargare alla terza età?
Il particolare quadro epidemiologico del tumore mammario,
unito al progressivo aumento
dell’età media della popolazione,
potrebbe far pensare a un eventuale allargamento nell’offerta
dello screening anche a donne
D O S S IER
Esiste poi una marcata differenza
di copertura fra il Centro-Nord
e il Sud. Molte più abitanti delle
regioni centrosettentrionali ricevono l’invito a effettuare gratuitamente i test che permettono di
scoprire precocemente l’eventuale presenza di un tumore, mentre
al Sud troppo spesso accade
che le Regioni non siano ancora
organizzate e l’invito a casa non
arriva. Lo screening è un servizio compreso nei livelli essenziali di assistenza (Lea), cioè nelle
prestazioni sanitarie che spettano a tutti i cittadini indipendentemente dalla regione di residenza.
Ad oggi, tutte le donne dopo i 50
anni e prima dei 70 dovrebbero
ogni due anni ricevere la chiamata a effettuare una mammografia. Guardando i dati più recenti
dell’Osservatorio si nota che circa
3 donne su 4 della popolazione
target sono regolarmente invitate a fare la mammografia, ma
permane una grande e purtroppo immutata (nel tempo) differenza fra Nord (più di 9 donne su
10), Centro (più di 8 su 10) e Sud
(solo 4 su 10).
A chi è destinato lo screening
Secondo quanto riporta il sito
dell’Associazione Italiana per la
Ricerca sul Cancro (AIRC), lo screening per il cancro del seno, in
base a quanto segnala il Ministero
della Salute, è diretto alle donne
di età compresa tra i 50 e i 69
anni e prevede l’esecuzione ogni
due anni della mammografia.
La scelta di questa fascia d’età
è legata a motivazioni derivanti
dagli studi epidemiologici. In base
a quanto riportano le evidenze
scientifiche, infatti, la maggioranza dei tumori mammari si manifesta proprio in quest’epoca. Ma
non basta: l’associazione riporta
che la partecipazione allo screening organizzato su invito attivo
con queste modalità e frequen-
NON SOLO CURA
X a bassissime dosi (e per questo
motivo può essere ripetuta senza
particolari problemi o rischi) che
permette di visualizzare le strutture interne dell’organo. Non si
tratta di un test perfetto, capace
di raggiungere il cento per cento
di attendibilità. Dal momento
che la sua efficacia varia anche
in base al tipo di strumento che
viene utilizzato, si consiglia di
prediligere, se possibile, strutture
che utilizzano apparecchiature di
alta qualità. In ogni caso, secondo
gli ultimi studi, la mammografia
può identificare un’elevatissima
percentuale di tumori mammari
asintomatici, e la sua efficacia
sale ulteriormente nelle donne
dopo la menopausa.
Alla mammografia, qualora il
medico lo consigli, si può associare l’ecografia, che si basa sull’azione degli ultrasuoni per evidenziare noduli all’interno dell’organo.
L’esame viene spesso eseguito
dopo la mammografia, ma non
in alternativa. Infatti, c’è il rischio
che il test risulti negativo nella
diagnosi precoce perché è dimostrato che su cento tumori di
diametro inferiore a un centimetro la mammografia ne scopre
oltre il 90 per cento, mentre l’ecografia meno del 20 per cento.
La situazione in Italia
Secondo i dati più recenti dell’Osservatorio Nazionale Screening,
solo sette donne su dieci tra
quante avrebbero dovuto sottoporsi al controllo ha effettivamente eseguito una mammografia. Di queste il 57 per cento
ha aderito allo screening, ma
con forti differenze percentuali
tra i vari territori. Si va dal 76 per
cento registrato nella provincia
di Trento al 20 per cento della
Campania e 26 per cento della
Calabria. L’esame è garantito
gratuitamente ogni 24 mesi a
tutte le donne dai 50 ai 69 anni.
19
D O S S IER
che hanno già superato i 70
anni. Questa possibile strategia
preventiva, peraltro, è ancora in
discussione. Chi è favorevole a un
allargamento segnala una sorta
di “ritardo” dei dati epidemiologici rispetto alle evidenze scientifiche. Il mancato ricorso allo
screening non sarebbe sicuramente giustificato in base all’incidenza della patologia, che appare
frequente anche in questa fascia
d’età: intorno ai 70 anni una
donna su 14 presenta la malattia
e, addirittura, si sale a una donna
su nove verso gli ottant’anni.
Anche sul fronte clinico, peraltro, la diagnosi precoce potrebbe
rivelarsi vincente. Se si individua
una lesione di piccole dimensioni, esiste la possibilità di guarire
completamente una paziente anche quando ha settanta e
più anni. Va però segnalato che
alcuni lavori scientifici sembrano portare ad un’altra conclusione, anche per l’oggettivo rischio
di sovradiagnosi di patologia.
Questa raccomandazione viene
da una ricerca dell’Università
di Leiden pubblicata dal British
Medical Journal: lo studio sconsiglia l’esecuzione dell’esame
radiografico nelle donne sopra
i 70 anni, con la motivazione
che questo approccio potrebbe
essere responsabile di fenomeni
di “overdiagnosis” e di trattamenti inutili, con effetti indesiderati
ancor più pesanti vista l’età delle
donne stesse. L’indagine, effettuata su una popolazione di oltre
25.000 donne tra i 70 e i 75 anni,
sottoposte a screening, dimostra
che sicuramente la mammografia
regolare permette di aumentare le diagnosi precoci e quindi di
non trovare forme tumorali particolarmente avanzate. Tuttavia, a
detta dei ricercatori olandesi, non
bisogna dimenticare che l’incidenza di questo tumore dopo i 70
anni si può considerare bassa e
lo screening di routine potrebbe
addirittura risultare inutile visto
che può identificare lesioni che
non si sono trasformate in vere
e proprie malattie, con evidenti
impatti sulla vita della donna. La
proposta degli studiosi di Paesi
Bassi, peraltro molto discussa
da tanti esperti che difendono
a spada tratta la mammografia
anche in questa età della vita, è
di mirare solo su specifiche popolazione femminili over 70 l’eventuale esecuzione dell’esame, per
ottimizzare anche le opportunità
economiche di gestione. Il capitolo costi, infatti, ha un valore
significativo nella gestione delle
diverse strategie regionali, con
differenze evidenti sull’offerta
gratuita alle cittadine anche sotto
questo profilo.
Che cosa indica il Ministero
Secondo il documento del CCM e
del Ministero della Sanità lo screening mammografico ha un obiettivo preciso: abbassare la mortalità per tumore mammario nella
popolazione che viene chiamata
a sottoporsi a controlli periodi.
Ovviamente, le strutture deputate a questa importante azione di
sanità pubblica devono comprendere specialisti che rispondano a
precise caratteristiche: dedicarsi
all’attività in ambito senologico per almeno la metà del loro
tempo, refertare almeno 5.000
esami di screening l’anno, sviluppare una particolare competenza
sulla patologia attraverso incontri
di approfondimento multidisciplinari su casi clinici, avere una
revisione periodica delle attività.
Inoltre, oltre ad avere a disposizione anche servizi di counselling
per la gestione delle informazioni
offerte alle donne, i centri deputati all’esecuzione degli screening
dovrebbero essere in costante
contatto con strutture chirurgiche specializzate, che eseguano
un congruo numero di interventi
al seno ogni anno.
LE TRE VELOCITÀ DELL’ITALIA
NON SOLO CURA
L’opinione di Gianni Saguatti, direttore del Centro diagnostico senologico
20
dell’Ospedale Maggiore di Bologna e presidente del Gruppo Italiano Screening
Mammografico (GISMa) - Lo stato dell’arte sullo screening mammografico
I numeri offrono un quadro
preciso sulla situazione degli screening mammografici in Italia. A
fronte di una popolazione potenzialmente eleggibile che supera di
poco i 7 milioni di donne, siamo
intorno ai 7.200.000, e di un’estensione teorica delle campagne per la diagnosi precoce del
tumore al seno che dovrebbe
interessare più o meno il 95%
di queste donne, la popolazione
eleggibile è il 73% del totale.
Ma il problema è che quando
si contano le donne invitate ci
si aggira intorno ai 5.271.000,
mentre le donne che effettivamente fanno i control-
Come si spiegano queste differenze?
Se proviamo a leggere le cifre assolute in percentuale ci accorgiamo
che l’adesione reale agli screening
sulla base delle donne invitate si
aggira su scala nazionale intorno
al 61%. Ma quando leggiamo le
percentuali suddivise per le tre
grandi aree, nord, centro e sud, le
cifre cambiano: siamo al 69% circa
al settentrione, poi si scende al
57,5% al centro e al 42,7% al meridione. Questa, a mio parere, è la
“madre” di tutte le difficoltà.
L’Italia è insomma un motore
che viaggia a velocità diverse?
Proprio così. Abbiamo una realtà
già ampiamente accettata in certe
zone, mentre in altre aree esistono ancora difficoltà. Come Gruppo
Italiano Screening Mammografico
(GISMa) tentiamo di ampliare il
più possibile la sensibilità a questo
intervento sanitario. Ed è uno
sforzo importante in termini di
sanità pubblica, visto che anche da
quanto emerge dallo studio Passi
la mammografia, anche considerando l’esame al di fuori dei classici programmi di screening, viene
effettuata soprattutto al nord con
un gradiente in discesa da nord
a sud. Questo significa che non si
Come sono strutturate localmente le iniziative di screening?
Anche se i dati sono relativi al
periodo 20011-2012, si ha comunque uno spaccato dei diversi
programmi di screening in corso,
pur se siamo nell’ambito di una
situazione estremamente dinamica. In Italia ci sarebbero circa
136 programmi attivi: 65 sono al
nord, 30 al centro e 41 al sud. Nel
meridione, considerando anche
la popolazione, esiste quindi una
frammentazione dei programmi
che sicuramente non ha un effetto
positivo.
Quali possono essere le ricette
per migliorare la situazione?
Penso ci siano diversi aspetti su
cui agire: innanzitutto, bisogna far
partire i programmi in tutta Italia,
poi occorre fare un’opera di chiarezza per limitare l’impatto di una
serie di detrattori che criticano
l’organizzazione dello screening e
propongo in partenza di allargarlo
oltre alla fascia d’età 50-69.
Questo può essere un obiettivo,
compatibilmente con le situazioni
delle diverse regioni e con le possibilità economiche, ma evitando di
crearsi alibi: prima deve partire un
programma di screening corretto,
poi si può pensare a un suo allargamento. Bisogna, infatti, ricordare che la Consensus Conference
GISMa-SIRM del 2007 sull’allargamento delle fasce di età aveva
già indicato la appropriatezza di
impiego della mammografia anche
in donne asintomatiche tra 40 e 45
anni.
Al più, oggi si inizia a valutare, in
modo assolutamente ancora ipote-
tico, la possibilità di ingresso nello
screening a 40 anni. Non esiste
invece alcuna evidenza significativa circa lo screening nelle donne
“under 40”.
Ci sono modelli che possono
essere di aiuto in termini organizzativi?
Credo che quanto sta avvenendo
in Emilia-Romagna rappresenti una best practice. I programmi sono partiti in tutta la Regione
nel 1996-97 con strategie comuni.
Soprattutto, sono stati accompagnati da allargamenti delle fasce
d’età eleggibili sia in alto che in
basso, sia da programmi per l’individuazione e la sorveglianza delle
donne a rischio elevato, con evidente “personalizzazione” delle diverse
situazioni in base a criteri precisi
di appropriatezza. L’esempio di
quanto si fa nella Regione EmiliaRomagna è indicativo in questo
senso, grazie al programma sulla
definizione e sorveglianza del
rischio eredo-familiare. Chi è a
rischio viene ad essere inserito
negli appuntamenti – pur senza
essere nelle fasce d’età dello screening “classico” – in regime di esenzione dal ticket. Infine, sono state
identificate modalità di accesso che
permettono di affrontare anche in
urgenza esami diagnostici specifici, sulla scorta di criteri di selezione definiti. Tutto questo non è
a giudizio del singolo operatore,
ma è stato determinato da precise
delibere regionali che regolamentano le diverse necessità. Solo con lo
studio, l’organizzazione e la scelta
politica della Regione, a mio parere,
si può arrivare a erogazione di
risorse mirate e quindi ad offrire ai
cittadini i servizi.
D O S S IER
tratta solamente di un problema
di adesione allo screening, quanto
piuttosto un ricorso limitato alla
mammografia in senso lato. È
su questi aspetti che dobbiamo
concentrare la nostra attenzione.
NON SOLO CURA
li sono circa tre milioni. Come
si spiega questa situazione?
Fondamentalmente, esiste ancora una profonda differenza
tra le diverse regioni e tra le tre
grandi macroaree in cui è divisa
la penisola, con un trend che cala
progressivamente dal settentrione al meridione.
La conferma viene dal Prof.
Gianni Saguatti, direttore del
Centro diagnostico senologico dell’Ospedale Maggiore di
Bologna e presidente del Gruppo
Italiano Screening Mammografico
(GISMa).
21
A colloquio con Elisabetta Iannelli,
Segretario Generale FAVO
LE SFIDE
DELL’ADVOCACY ONCOLOGICA
IL MONDO ADVOCACY
Manca un dialogo organico con l’AIFA
22
1. Che cosa sta facendo il mondo
advocacy per far sì che, analogamente a quanto avviene in EMA
a livello europeo, propri rappresentanti possano far sentire la
propria voce anche in AIFA?
La Federazione italiana delle
Associazioni di Volontariato in
Oncologia (FAVO) è costituita da
oltre 500 associazioni, molte delle
quali diffuse su tutto il territorio
nazionale attraverso rappresentanze locali, per un totale di circa
25.000 volontari (la maggior parte
dei quali sono malati o ex malati)
e 700.000 iscritti a vario titolo.
Il volontariato, per mezzo di
FAVO, fornisce il proprio apporto
di esperienze e competenze a
360 gradi in oncologia collaborando con istituzioni e società
scientifiche al fine di migliorare la
condizione assistenziale, la riabilitazione e la qualità di vita dei
malati di cancro.
Questa interazione ha portato,
dalla costituzione di FAVO nel
2003 ad oggi, a rilevanti risultati realizzati con il Parlamento, i
Ministeri della Salute, del Lavoro
e delle Politiche Sociali, l’INPS e
con altri enti ed istituzioni.
Purtroppo, invece, fino ad oggi
è mancato completamente un
dialogo con l’AIFA.
Differentemente dall’EMA, che
coinvolge le associazioni dei
malati chiedendone la collaborazione attiva a vari livelli, l’AIFA si è
limitata ad aprire le proprie porte
ai rappresentati dei malati oncologici, solo per formali ed isolati
incontri (Open AIFA) in occasione dei quali FAVO ha comunque
potuto, oltre che segnalare criticità, proporre strategie e soluzioni
per soddisfare i bisogni terapeutici dei malati di cancro, per individuare vie che possano assicurare la sostenibilità del sistema
sanitario e per risolvere le inique
disparità territoriali di accesso
ai farmaci innovativi (solo per
fare alcuni esempi). Il silenzio è
l’unica risposta che è giunta da
AIFA. Anche le reiterate richieste
di attivare il Tavolo permanente di monitoraggio dei Prontuari
Terapeutici Ospedalieri previsto dalla legge 189/2012 sono,
purtroppo, cadute nel vuoto.
Rimane l’amarezza per questa
mancanza di dialogo che, impedendo di fatto che le istanze
propositive dei malati, attraverso
i loro rappresentanti, possano
integrare i processi decisionali in
materia di ricerca clinica e percorsi terapeutici, impedisce che i
malati abbiano la giusta centralità nelle decisioni che riguardano
la loro salute.
No all’accanimento chemioterapico e al dispendio delle risorse
2. Le associazioni dei pazienti
oncologici sono ovviamente impegnate ad ottenere il massimo in
termini di accesso alle terapie e,
in senso lato, di tutela delle attese
dei pazienti e dei propri familiari.
Tuttavia, la necessità di garantire
la sostenibilità del sistema sanitario impone di fissare un limite
oltre il quale non è possibile spingersi, anche per tutelare l’accesso
alle cure dei pazienti futuri. Qual
è il principio di fondo che ispira
l’operato di FAVO in materia?
FAVO ha da sempre affermato
con forza il principio dell’appropriatezza prescrittiva dei farmaci
che debbono essere assicurati se
vi è evidenza di efficacia e di tollerabilità nel rispetto di una dignitosa qualità della vita. È essenziale che sia evitato l’accanimento
chemioterapico ed ogni inutile
dispendio di risorse, come l’utilizzo di farmaci ad alto costo in
casi in cui all’attesa di un minimo
allungamento della sopravvivenza corrisponda una grave
compromissione della qualità
della vita per gli effetti collaterali degli stessi farmaci. È giusto,
invece, che ogni persona che non
possa essere guarita sia ugualmente curata con accesso alle
migliori cure riabilitative, palliative e di contrasto del dolore.
Nell’accesso alle terapie ritardi
inaccettabili
Nei casi, sempre più numerosi, in
cui sono invece disponibili terapie
che possono guarire, cronicizzare
la malattia o comunque garantire una sopravvivenza accettabile, è doveroso evitare disparità
territoriali assicurando l’accesso
Gli strumenti ci sono
Razionalizzazione delle risorse
piuttosto che razionamento,
appropriatezza prescrittiva, medicina di precisione, sono alcuni
degli strumenti che possono
garantire la sopravvivenza del
nostro sistema sanitario universalistico.
Inoltre, è fondamentale che,
nel processo di valorizzazione e
di valutazione del costo/efficacia di un farmaco innovativo, si
inserisca una valutazione multifattoriale sulla base dell’Health
Technology Assessment (HTA),
come già avviene in alcuni paesi
europei, tra cui la Gran Bretagna.
Tra i parametri considerati, oltre
alla sicurezza, all’efficacia clinica
ed alla valutazione economica,
rilevano gli aspetti etici, organizzativi e socio-economici ed
il punto di vista del paziente,
espresso attraverso le associazioni che lo rappresentano.
Una corretta ed esaustiva valutazione del costo per il SSN di un
nuovo farmaco non può prescindere, ad esempio, dal considerare le ripercussioni in termini
di risparmio diretto ed indiretto
determinato dalla somministrazione orale o da minori effetti
collaterali: va tenuto conto del
ridotto utilizzo di altri farmaci,
antagonisti di detti effetti, o della
riduzione dei tempi di degenza o
di ridotta capacità lavorativa, cui
conseguono vantaggi in termini di
benessere e reddito del paziente
e dei familiari, con minore necessità di interventi di natura assistenziale e previdenziale e così
via di seguito.
3. Il mondo advocacy in Italia si è
molto rafforzato negli ultimi anni
e ha aumentato la propria capacità negoziale nei confronti del
legislatore e delle figure preposte alla gestione della sanità. A
suo avviso c’è ancora un gap da
colmare rispetto alla capacità di
mobilitazione e al potere contrattuale delle analoghe associazioni
del mondo anglosassone?
Certamente l’attività di advocacy
delle organizzazioni della società
civile ed in particolare delle
rappresentanze dei malati, negli
anni ha ottenuto rilevanti risultati in sanità, come ad esempio il
decreto Balduzzi (D.L. 158/2012)
e il successivo decreto Lorenzin
c.d. dei 100 giorni (D.L. 69/2013),
emanati su istanza FAVO per
porre rimedio agli inaccettabili ritardi nella disponibilità dei
farmaci antitumorali sul territorio
nazionale.
Un esempio più recente riguarda l’azione di advocacy condotta
da FAVO riguardo ai tumori rari,
che ha visto un primo e fondamentale passaggio nell’organizzazione – insieme all’Intergruppo parlamentare per le malattie
rare – del convegno “Prospettive
di cura e ricerca per i tumori rari”.
Il dibattito avviato in quell’occasione e la parallela azione di
sensibilizzazione parlamentare
hanno portato alla presentazione e approvazione, nei primi
giorni di dicembre 2015, di una
mozione che impegna il Governo
su questioni cruciali, come l’inserimento della Rete tumori rari
nel SSN, la formalizzazione di una
lista di tumori rari, la partecipazione dei pazienti a tutti i tavoli
decisionali riguardanti i tumori
rari e la facilitazione dell’accesso
ai farmaci c.d. ad uso compassionevole (oggi di fatto negato per
il mancato aggiornamento, da
parte di AIFA, del decreto ministeriale del 2010), e ai farmaci
off-label, utilizzando il cosiddetto
fondo AIFA per la ricerca.
Sempre nel corso dell’ultimo
anno, possiamo citare anche la
denuncia, da parte di FAVO, contro
la decisione assunta da AIFA nel
febbraio 2015 di non rimborsabilità, per gli ultra 75enni, del
farmaco Abraxane, utilizzato per
il tumore del pancreas. La presa
IL MONDO ADVOCACY
alle terapie innovative in tempi
certi e brevi: i pazienti hanno il
diritto di accedere alle cure innovative in tempi adeguati anche
perché, talvolta, poche settimane
possono fare la differenza tra la
vita e la morte.
I ritardi di molti mesi, spesso
dovuti alla burocrazia, non sono
accettabili e non devono essere
giustificati come risparmi di spesa
sanitaria, sulla pelle dei malati.
FAVO, in collaborazione con l’Associazione Italiana di Oncologia
Medica (AIOM), ha documentato
le disparità territoriali nell’accesso ai nuovi farmaci. Essi arrivano
“al letto del malato”, mediamente, dopo 600 giorni dall’autorizzazione all’immissione in commercio, ma in alcuni casi hanno
tardato addirittura tre anni (VII
Rapporto 2015 dell’Osservatorio
sulla condizione assistenziale del
malato oncologico FAVO-Censis).
Il Rapporto dell’Osservatorio
FAVO (http://favo.it/osservatorio.
html) fotografa una situazione
di razionamento, negazione o
comunque ritardo, nell’accesso ad alcuni farmaci già previsti
dalla normativa europea e nazionale per pazienti oncologici, che
per alcuni territori ed alcune
forme tumorali era già stata più
volte segnalata dalle associazioni dei pazienti. La sostenibilità
economica del SSN e la dotazione
di fondi per i farmaci innovativi
non può fondarsi su di un meccanismo di razionamento occulto,
né su scelte meramente economiche, ma non scientifiche né
etiche, sicuramente contrarie ai
principi più che costituzionali di
tutela della salute.
23
di posizione di FAVO e una conseguente interrogazione parlamentare, presentata dall’allora
Presidente della Commissione
Affari Sociali della Camera On.
Vargiu, hanno portato gli effetti
sperati: con nota del 28/04/2015,
infatti, AIFA ha revocato il criterio
di non rimborsabilità del farmaco
Abraxane per i pazienti di età
superiore ai 75 anni.
L’azione di lobby da parte di FAVO
ha portato anche a un riconoscimento ufficiale del volontariato,
nel Piano Oncologico Nazionale
emanato dal Ministero della
Salute nel 2011.
Già nella prima stesura del documento (valida fino al 2013), il
volontariato è stato riconosciuto
come interlocutore delle istituzio-
ni, proprio per la sua capacità di
individuare, molto spesso, prima
di queste ultime i problemi dei
malati e le relative soluzioni. In
particolare, il documento evidenzia l’importanza di una corretta ed
efficace comunicazione in ambito
oncologico, individuando nel
Sistema Informativo Nazionale in
Oncologia (SION), finanziato da
Alleanza Contro il Cancro (ACC)
e realizzato da Istituto Superiore
di Sanità, IRCCS, Università e
dall’Associazione Italiana Malati
di Cancro (AIMaC onlus), il servizio da utilizzare e sviluppare con
l’obiettivo di collegare in un’unica rete nazionale le risorse già
esistenti (help line, siti internet,
punti informativi, materiale informativo), facilitando un continuo
aggiornamento e le interazioni con altri servizi già esistenti,
anche per la trattazione di aspetti
socio-sanitari
(Documento
tecnico di indirizzo per ridurre
il carico di malattia nel cancro
– Piano Oncologico Nazionale
2011-2013, §7 – pagg. 122 e ss.).
Nel
documento
ministeriale
che ha prorogato il PON per gli
anni 2014-2016, al volontariato
oncologico viene riconfermato un ruolo centrale: nei criteri
per la costituzione delle Reti
Oncologiche Regionali, infatti, è
prevista la partecipazione attiva
di rappresentanti del volontariato oncologico ai livelli rappresentativi e direzionali.
estratto Piano Oncologico Nazionale 2014-2016: Criterio n.10
GARANTIRE LA PARTECIPAZIONE ATTIVA DELLE ASSOCIAZIONI DEI PAZIENTI
IL MONDO ADVOCACY
Il volontariato, e più in generale l’associazionismo in campo oncologico, sono una delle
componenti formalmente riconosciute dalla rete. Oltre a disporre di un tavolo permanente, questo partecipa ai livelli rappresentativi e direzionali definendo di concerto con il coordinamento
regionale gli ambiti di integrazione operativa. A questo proposito sono periodicamente individuati sedi e
fasi del percorso di cura in cui il volontariato, “accreditato” dalla rete, svolge specifiche funzioni di integrazione e/o completamento dell’offerta istituzionale.
24
Questi riconoscimenti, insieme ai contributi sostanziali ed emendativi di FAVO su aspetti fondamentali
come la valutazione medico-legale della disabilità oncologica, in collaborazione con INPS ed AIOM, o le
tutele giuridiche del lavoratore malato oncologico, in collaborazione con il Parlamento ed il Ministero del
Welfare, dimostrano che l’apporto di competenza ed esperienza delle organizzazioni di malati offre un
contributo basilare per l’individuazione di soluzioni concrete in risposta ai bisogni di cura segnalati dagli
stessi malati ed in risposta alle esigenze di efficienza ed efficacia del sistema socio-sanitario.
Rimangono, però, ancora dei casi in cui al riconoscimento istituzionale e all’invito formale a partecipare
ai tavoli decisionali, anche quando previsto da norme, non segue un convinto riconoscimento del valore
aggiunto che può essere dato dai rappresentanti del mondo dell’associazionismo, oncologico e non. Vi
sono ancora esponenti di società scientifiche ed istituzioni che sembrano temere
come un potenziale avversario l’apporto costruttivo da parte delle organizzazioni del
volontariato dei malati, che, invece, devono essere considerate come preziosi ed insostituibili alleati.
Il Servizio Sanitario Nazionale tra garanzie di accesso e rischio di default
QUALI REGOLE
PER L’ACCESSO AI FARMACI INNOVATIVI?
Filippo Drago
Va da sè che l’argomento dei meccani-
definizione di innovatività, in modo
di efficacia limitate rispetto a quelle
smi regolatori per l’accesso ai farmaci
da poter individuare quei farmaci
necessarie per le autorizzazioni tradi-
innovativi, da tempo al centro del
che, rappresentando un avanzamen-
zionali. Un altro approccio che attual-
dibattito nazionale, rappresenta uno
to nel trattamento di una patologia,
mente consente un accesso rapido
dei nodi focali della politica sanitaria
possano essere considerati ogget-
a farmaci per il trattamento di gravi
del nostro paese, dato che esprime
tivamente meritevoli di benefici nel
unmet medical need è rappresen-
pienamente il problema della ricerca
processo di negoziazione.
tato dall’approvazione condizionata
di equilibrio tra la sostenibilità del
Idealmente, un farmaco può essere
che viene convertita in approvazione
Servizio Sanitario Nazionale (SSN) e
considerato innovativo nel momento
completa dopo l’ottenimento di ulte-
l’impatto che su questo viene genera-
in cui ha ottenuto evidenze conclusi-
riori dati sul profilo beneficio/rischio.
to dall’arrivo di farmaci innovativi ad
ve di efficacia, tramite un confronto
In sintesi, quindi, riuscire a misurare
alto costo. Da un lato, i decisori isti-
head to head con il gold standard
l’innovazione aiuta a generare una
tuzionali devono garantire l’accesso
di trattamento disponibile rispetto
sua valutazione: questo è lo snodo
dei farmaci ai pazienti ma, dall’altro,
al quale abbia mostrato un benefi-
critico su cui ci troviamo, perché la
devono evitare il potenziale default
cio terapeutico aggiuntivo. Tuttavia,
valutazione dell’innovazione rappre-
del sistema stesso.
accade sempre più spesso che, al
senta una necessità inderogabile per
Viviamo una fase storica di ristrettez-
momento della richiesta di autoriz-
poter raggiungere elementi conosci-
za economica, che mette a disposi-
zazione all’agenzia regolatoria, i dati
tivi sufficienti a prendere decisioni di
zione sempre più limitate risorse per
disponibili non siano tali da avere
policy sanitaria. Anche perché rico-
mantenere in equilibrio un sistema
una definizione chiara del valore
noscere e valorizzare la vera innova-
universalistico di salute, soprattutto
terapeutico del nuovo farmaco.
zione farmacologica genera indubbi
in un tempo in cui l’invecchiamen-
In particolare, un elevato grado d’in-
effetti benefici sul sistema, in quanto
to della popolazione ha genera-
certezza è insito nel nuovo meccani-
favorisce
to un aumento esponenziale della
smo dell’adaptive licensing, ovvero
al farmaco, rende più competiti-
domanda di salute, con la conse-
il processo di autorizzazione di tipo
vi i nostri produttori nei confronti
guente crescita dei costi sanitari, ivi
prospettico, che inizia con l’autoriz-
di Paesi concorrenti e combatte il
compresi quelli dei farmaci. A questo
zazione precoce di un medicinale in
circolo vizioso per cui, con alti costi
si aggiunge, appunto, il particolare
una popolazione ristretta di pazienti
per piccoli benefici per pochi pazien-
impatto che l’innovazione genera sul
e prosegue con una serie di fasi itera-
ti, più soldi si spendono meno bene-
contesto odierno, generando situa-
tive di raccolta di evidenze e di adat-
fici si ottengono.
zioni al limite della garanzia stessa
tamento dell’autorizzazione all’im-
Quale accesso?
del diritto alla salute.
missione in commercio per ampliare
L’accesso ai farmaci è parte del
Quale innovazione?
l’accesso al farmaco a popolazioni di
problema più ampio del diritto alla
Uno degli elementi fondamenta-
pazienti più ampie. Questo approccio
salute, che a sua volta fa parte del
li per una discussione esaustiva e,
mira a rendere più rapido l’accesso
dibattito globale sui diritti di parteci-
soprattutto, per prendere decisioni
dei nuovi farmaci al mercato, conce-
pazione e sui diritti umani.
di interesse pubblico, è senza dubbio
dendo l’autorizzazione all’immissio-
Per un migliore accesso ai nuovi
quello di poter disporre di una chiara
ne in commercio sulla base di prove
farmaci viene ribadita l’importan-
la
rapidità
di
accesso
REGISTRO REGOLATORIO REGIONALE (SIF)
Il testo sintetizza i lavori della XV Conferenza Nazionale sulla Farmaceutica
che si è svolta il 18 febbraio a Catania, con il coordinamento dell’Università di
Catania, in collaborazione con Farmindustria e con il patrocinio della Società
Italiana di Farmacologia (SIF).
25
REGISTRO REGOLATORIO REGIONALE (SIF)
26
za dei Managed Entry Agreements
dell’adeguatezza dello stanziamento
Disporre di un numero crescente di
(MEA),
ovverosia
gli
accordi
di
di spesa pubblica per la salute.
farmaci innovativi efficaci è un fatto
accesso condizionato al mercato per
In altri termini, noi possiamo anche
di per sé estremamente positivo,
farmaci innovativi e/o ad alto costo
cercare di capire quale sia la relazio-
ma la sfida cui ci troviamo davanti
che consentono di mettere a disposi-
ne tra il guadagno di salute e quanto
in termini di sostenibilità e accesso è
zione nuovi trattamenti per i pazien-
costa un farmaco, ma la dimensio-
senza precedenti: per questo vanno
ti, pur nell’incertezza data dalla
ne dei prezzi dei farmaci innovativi
cercate risposte efficaci ai bisogni
mancanza di informazioni su bene-
pone un’altra questione, e cioè quale
di salute basate su una strategia di
fici terapeutici o costi effettivi. I MEA
sia la natura del costo, come l’indu-
lungo periodo in grado di garantire
sono comunque validi strumenti che
stria definisca il prezzo di un nuovo
accesso, appropriatezza e sostenibi-
consentono alle Autorità regolatorie
farmaco, se siano presenti o meno
lità delle cure e vanno potenziati gli
di rispondere alla sfida di disporre di
farmaci di confronto sul mercato.
strumenti per una governance capace
risorse sempre più limitate a fronte
Quello che si osserva è che i prezzi
di orientare politiche coerenti, effica-
di un continuo aumento dei costi
dei nuovi farmaci non si allineano
ci e innovative.Tuttavia, nessun risul-
delle nuove terapie. Anche se, come
ai prezzi dei comparator da studio
tato concreto potrà essere raggiunto
vedremo, un conto è rispondere alle
clinico, che per studiare l’efficacia di
se non attraverso il coinvolgimento,
necessità generate dall’aumento dei
un nuovo farmaco si sceglie il confron-
la collaborazione e la responsabi-
costi (problema di sostenibilità), un
to con un farmaco “vecchio”, e che
lizzazione di tutti (aziende, agenzie
conto è il calcolo di questi costi e il
per definire il prezzo prende come
regolatorie, pazienti, medici, società
valore che da essi viene generato
riferimento il farmaco più costoso già
scientifiche, ecc.). Oggi, la governance
(problema di utilità e/o valore).
in commercio. Se si aggiunge che, nel
è spesso ridotta all’ambito istituzio-
Altresì, vale la pena ribadire l’impor-
caso delle malattie rare, non sembra
nale, dove per consentire l’accesso ai
tanza dei registri di monitoraggio
esistere una relazione tra guada-
trattamenti innovativi in una prospet-
come strumenti essenziali per favori-
gno di salute e prezzo del farmaco,
tiva di sostenibilità, il Ministero della
re la sostenibilità del sistema, poiché
si coglie bene il senso del perché il
Salute, sentita l’AIFA e in coerenza
consentono da un lato di limitare
tema del costo dell’innovazione (o,
col Bilancio di previsione, ogni anno
la prescrizione a quei pazienti che
meglio, del prezzo dell’innovazione)
definisce un programma con le prio-
effettivamente trarranno un benefi-
è più all’origine delle domande sulla
rità, le condizioni di accesso ai tratta-
cio dal trattamento pari o superiore
spesa sanitaria.
menti, la rimborsabilità, le previsioni
a quello emerso dagli studi pre-re-
Bisogna dunque trovare strade che
di spesa, ecc. e questo programma
gistrativi, e dall’altro sono fonda-
aiutino a rispondere sulla natura del
deve essere approvato d’intesa con
mentali per la gestione dei sistemi
costo e su questo ci sono diverse
la Conferenza permanente per i
di rimborso condizionato. Possono,
proposte sul tavolo degli addetti ai
rapporti tra lo Stato, le Regioni e le
inoltre, essere utilizzati come fonte
lavori, quali l’aggiornamento dell’at-
Provincie autonome.
di informazioni sull’efficacia e la sicu-
tuale dossier P&R (Delibera CIPE
Proprio per questo, da più parti
rezza, contribuendo a ridurre l’incer-
01022001 N3/2001), la definizione di
viene sottolineata la necessità di una
tezza sul profilo beneficio-rischio del
regole chiare su come misurare costi
nuova governance del sistema con
nuovo farmaco.
ed esiti, l’integrazione dei dossier con
proposte per accelerare e semplifica-
Quale costo?
i costi evitabili e l’impegno a misu-
re i processi decisionali e garantire la
In modo estremamente succinto, la
rare i costi evitati, rendendo tempo-
sostenibilità della spesa farmaceuti-
domanda a cui dobbiamo risponde-
ranei autorizzazione e prezzo sulla
ca. E per rendere fattibile tale auspi-
re sull’impatto generato dai nuovi
base dei dossier sui costi evitabili e
cio, vanno paradossalmente allar-
farmaci è la seguente: “Quanto siamo
facendo una rivalutazione successi-
gati i confini dello scenario e delle
disposti a pagare una differenza
va a seguito della produzione di dati
prospettive in cui muoversi.
di risposta clinica?”. Ovviamente, a
sui costi realmente evitati. Il fatto che
Early dialogue, Evidence genera-
tale domanda ne è immediatamen-
se ne parli e che tali proposte siano
tion,
te correlata un’altra, e cioè: “Quanto
esplicite rende verosimile e possibi-
dell’HTA post marketing (EUNetHTA),
possiamo «spendere»?”.
le che si aprano scenari più traspa-
Managed entry schemes condivisi,
Una delle cose da cui dipende la
renti sui costi, in grado di rendere
ecc. sono tutti strumenti che aprono
risposta è certamente il costo della
maggiormente sostenibile il sistema
ad una possibile risposta ai interro-
terapia e questa è una problemati-
sanitario: ma su questo piano i passi
gativi posti: la realizzazione di una
ca che sta a monte dell’intero tema
da fare sono ancora tanti.
politica europea del farmaco.
Registri
Europei,
sviluppo
I NUOVI FLUSSI MIGRATORI E LE SFIDE
PER I SISTEMI SANITARI EUROPEI
Vincenzo Atella*
L’Europa da esportatore a importatore di popolazione – Un fenomeno generatore di mutamenti nel tipo di domanda sanitaria – L’effetto “migrante sano” – L’importanza di favorire
l’accesso ai servizi sanitari di questa popolazione – L’importanza di integrare le iniziative
sanitarie e globali
* Direttore CEIS Tor Vergata
Tra gli aspetti positivi dei flussi migratori, il principale è
far aumentare e/o ringiovanire la popolazione e, quindi,
porre le basi per una maggiore crescita del paese. Prima
della seconda guerra mondiale l’Europa è stata il principale fornitore di popolazione verso i paesi d’oltreoceano, in particolare in USA, Canada e Australia, che
hanno potuto godere di forza lavoro per alimentare la
loro crescita. A partire dagli anni ‘50 questa tendenza
ha cominciato a invertirsi e oggi, per motivi diversi,
l’Europa occidentale è diventata una delle mete preferite dei flussi migratori. Relativamente all’Europa dei
giorni nostri, la maggior parte degli immigrati è di età
compresa tra 20-30 anni all’arrivo e, quindi, riduce in
qualche misura gli effetti negativi dell’invecchiamento
della popolazione e del calo della forza lavoro. Oltre a
questi effetti, i flussi migratori contribuiscono a cambiare l’ambiente sociale. I migranti sono di solito di una
cultura diversa, etnia e religione. Essi speso differiscono
dalla popolazione locale nel loro livello di fertilità e nei
modelli di formazione della famiglia e, quindi, tendono
a modificarne le caratteristiche demografiche complessive. Spesso, differiscono anche in termini di stato di
salute e bisogni sanitari.
La diversa salute dei migranti nel breve e nel lungo
periodo
I problemi di salute che devono affrontare i migranti
sono simili a quelli affrontati dalla popolazione in generale, ma sono spesso amplificati o aggravati dal loro stile
di vita migratorio e dalle condizioni avverse, e spesso
estreme, incontrate durante il percorso.1 Infatti, come
ben riportato sul sito di Epicentro, prima dell’arrivo nel
Paese ospite, la salute dei migranti è influenzata dall’esposizione a eventuali fattori di rischio (ambientali,
microbiologici, culturali, ecc.) e dall’accesso a servizi
sanitari preventivi e curativi nel Paese di origine e/o
di immigrazione intermedia.2 A questi si aggiungono
TERRITORI D’EUROPA
Secondo i dati pubblicati dall’Organizzazione
Internazionale per le Migrazioni (OIM), il numero dei
migranti a livello mondiale è passato da 150 milioni nel
2000 a 214 milioni nel 2010. Per il 2050 le stime prevedono circa 405 milioni di persone migranti come risultato delle crescenti disparità demografiche, dei conflitti, dei cambiamenti ambientali, delle nuove dinamiche
economiche e politiche globali, delle rivoluzioni tecnologiche e dei network sociali.
L’effetto principale di tali flussi migratori è – e sarà di
più in futuro – quello di modificare in modo rilevante le
strutture demografiche dei paesi europei e, più in generale, dei paesi OCSE. Secondo l’ultimo rapporto OCSE
sugli indicatori di integrazione dei migranti, nel 2012 un
decimo delle persone residenti nell’UE e nell’OCSE era
nata all’estero, per un totale di circa 115 milioni di immigrati in seno all’OCSE e 52 milioni nell’UE, di cui 33,5
milioni erano da paesi extra-UE.
Sia nell’UE che nell’OCSE, la popolazione immigrata è
cresciuta di oltre il 30% dal 2000. Al 1 gennaio 2014 il
numero di persone che risiedevano in uno Stato membro
dell’UE con la cittadinanza di un paese terzo era di 19,6
milioni, pari al 3,9% della popolazione dell’UE-28. In
aggiunta, ci sono stati 14,3 milioni di persone che vivono
in uno degli Stati membri dell’Unione europea con la
cittadinanza di un altro Stato membro dell’UE. In termini
assoluti, il maggior numero di cittadini stranieri che
vivono negli Stati membri dell’UE si trova in Germania
(7 milioni di persone), nel Regno Unito (5 milioni), in
Italia (4,9 milioni), in Spagna (4,7 milioni) e in Francia
(4,2 milioni). Nel complesso essi rappresentano il 76%
del numero totale di stranieri che vivono in tutti gli Stati
membri dell’UE, mentre il totale della popolazione che
vive in questi cinque stati rappresenta una quota del 63%
della popolazione dell’UE.
27
TERRITORI D’EUROPA
28
le conseguenze delle difficoltà fisiche e psicologiche
affrontante durante il percorso migratorio. Dopo l’arrivo
nel Paese ospite, diventano invece significative le condizioni di vita (economiche, ambientali, ecc.) e l’accesso ai
servizi socio-sanitari.
Spesso, la mobilità si traduce in scarsa continuità delle
cure e, contemporaneamente, in un aumento della necessità di cure sanitarie. Le implicazioni sociali e sanitarie
di tale condizione sono considerevoli. Infatti, i flussi
migratori interessano una moltitudine di popolazioni e
di categorie di persone (lavoratori, studenti, rifugiati,
ecc.), ognuna con determinanti di salute, bisogni e livelli
di vulnerabilità differenti. Inoltre, il fenomeno coinvolge
direttamente un’ampia gamma di aspetti della vita quotidiana sia dei soggetti migranti che della popolazione
locale.
Secondo i più recenti dati pubblicati dall’OCSE, nel
complesso, a causa di un processo di selezione, i migranti tendono a essere più sani rispetto ai non migranti (il
cosiddetto “effetto migrante sano”). Al contrario, nella
maggior parte delle aree di destinazione, gli immigrati tendono ad avere risultati inferiori rispetto ai nativi,
anche se a volte solo marginalmente. Questi differenziali sono, invece, molto più marcati quando l’area di
confronto è quella dell’Europa occidentale, in parte
perché gli immigrati in questi paesi hanno caratteristiche
socio-demografiche più svantaggiate rispetto a quelle dei
paesi di origine. Allo stesso tempo, mentre gli immigrati
con livelli più elevati di qualifiche hanno risultati migliori rispetto a quelli con livelli più bassi, l’istruzione superiore li protegge meno di quanto non faccia per il nativo
del paese.
Un altro effetto abbastanza comune nell’epidemiologia
dei flussi migratori è che, una volta nel nostro paese gli
immigrati vedono progressivamente impoverire il loro
stato di salute, in quanto spesso esposti a molteplici
fattori di rischio, legati a condizioni di vita generalmente
precarie. In questo caso, le caratteristiche socio-demografiche come sesso ed età, l’esistenza di comportamenti
a rischio (ad esempio, utilizzo di alcool, fumo o droghe)
e le condizioni di vita e di lavoro sono tra i più importanti
determinanti della salute nel paese di destinazione.
Lo stato di salute della popolazione migrante in Italia
Informazioni sullo stato di salute dei migranti presenti
sul suolo italiano sono fornite dalla Caritas e dall’Istituto Superiore di Sanità (ISS) tramite Epicentro. Secondo
tali dati, lo stato di salute dei migranti arrivati in Italia
è fondamentalmente buono. Ciò è in parte dovuto al
cosiddetto “effetto migrante sano”, che seleziona solo le
persone in grado di affrontare un viaggio lungo e duro
come quello di chi decide di emigrare. A tal proposito,
i dati forniti dal sistema di sorveglianza Passi dell’ISS
aiutano a comprendere meglio il fenomeno. Su un
campione di stranieri di età compresa tra 18 e 69 anni
intervistati nel periodo 2008-2011, è emerso che questo
gruppo di popolazione riporta un livello di stato di salute
percepito migliore rispetto agli italiani e riferisce meno
sintomi depressivi.
Al contrario, “non si evidenziano differenze significative
fra italiani e stranieri per quanto riguarda l’abitudine al
fumo, il consumo di alcol e l’inattività fisica, mentre fra
gli stranieri è significativamente più bassa la prevalenza
di persone in eccesso ponderale. Gli stranieri aderiscono
meno frequentemente degli italiani ai programmi di screening, ma sembrano più attenti degli italiani per quanto
riguarda la sicurezza stradale. Come gli italiani hanno
una bassa percezione del rischio di incidenti domestici e
di contrarre una malattia legata al loro lavoro, ma sono
più consapevoli del rischio di infortunio in ambiente
lavorativo”.3
Livelli di salute migliori da parte dei migranti rispetto
agli italiani sono ottenuti anche dall’analisi dei dati
dell’Osservatorio epidemiologico cardiovascolare/
Health Examination Survey per il periodo 2008-2011 e
dai dati sulle prescrizioni farmaceutiche.
l’Agenzia nel 2015 ha prodotto una serie di studi che
hanno provato a stimare il costo economico di fornire
l’accesso regolare alle cure sanitarie per i migranti in una
situazione di irregolarità, rispetto al costo della fornitura di cure solo in casi di emergenza. Limitando l’analisi
a sole due patologie (ipertensione e cure prenatali) e a
tre paesi europei (Germania, Grecia e Svezia), sono stati
calcolati i costi diretti utilizzando un modello economico. I risultati sembrano indicare che fornire l’accesso continuo alla prevenzione sanitaria per i migranti in
situazione irregolare porterebbe a un risparmio netto di
costi per i governi. Se a ciò si sommassero poi i costi
indiretti (i costi non sostenuti dal paziente o dalla società
in generale), i risparmi sarebbero notevolmente superiori. Pertanto, secondo la FRA la fornitura di accesso
all’assistenza sanitaria ai migranti in una situazione irregolare non solo contribuisce alla realizzazione del diritto
di ciascuno a godere del più alto standard possibile di
salute fisica e mentale, ma sarebbe anche economicamente conveniente. Gli obblighi derivanti da un’interpretazione inclusiva del diritto internazionale dei diritti
umani sarebbero in tal modo sostenuti da argomenti
economici.
L’impatto epidemiologico della mobilità della popolazione è ormai evidente. Ciò è vero sia per le malattie
infettive che per quelle non trasmissibili. Finché esisteranno disparità di salute a livello globale e differenziali di
prevalenza, i programmi sanitari nazionali e le politiche
sanitarie nei diversi paesi che ricevono migranti continueranno a essere sotto pressione. I sistemi di controllo e
i sistemi di regolamentazione a livello nazionale da soli
non saranno in grado di trovare una soluzione immediata
al problema. L’unica possibile soluzione a tali problemi è l’integrazione delle iniziative sanitarie nazionali e
globali sia per le patologie infettive che per quelle non
infettive. E ciò sarà tanto più vero nei prossimi anni, con
una popolazione nativa sempre più anziana e dei flussi
migratori che rischiano di premere sempre di più sui
sistemi economici e di sicurezza sociali dell’Europa.
1 Vedere ad esempio le posizioni espresse in http://www.migrantclinician.org/issues/migrant-info/health-problems.html.
2 http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/migranti.asp
3 Vedere http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/migranti.asp
TERRITORI D’EUROPA
Secondo i dati a disposizione, la popolazione di migranti è mediamente più giovane (come atteso), la prevalenza dei fumatori, sia negli uomini che nelle donne, è
più elevata, mentre l’obesità ha una prevalenza minore,
come del resto minore è l’inattività fisica lavorativa.4
Le sfide della sanità pubblica in tema di immigrazione
Una delle sfide della sanità pubblica è riuscire a garantire accesso ai servizi e percorsi di tutela per tutte quelle
persone che, per diversi motivi, si trovano in condizioni
di fragilità sociale. La salute dei migranti e le tematiche
di salute associate alle migrazioni sono, dunque, questioni cruciali per l’agenda internazionale dei governi e della
società civile.
Alcuni gruppi di migranti, come i rifugiati, sono particolarmente vulnerabili e possono essere più inclini a determinate malattie o disturbi mentali. L’esperienza migratoria in sé può causare stress, che può influenzare lo stato
di salute dei migranti in modi diversi, a seconda delle
condizioni socio-economiche e sanitarie del paese di
origine e quanto riescono a integrarsi nel paese ospitante.
Abitudini alimentari nel paese di origine possono anche
influenzare i risultati di salute nel medio-lungo. Diversi
studi dimostrano che molte patologie croniche, tra cui il
diabete, colpiscono maggiormente i gruppi socialmente
sfavoriti. Tra questi, le persone immigrate rappresentano
una fascia di popolazione particolarmente svantaggiata,
poiché non sempre hanno accesso ai servizi nei tempi e
nei modi che sarebbero necessari. Dunque, favorire un
accesso regolare ai servizi preposti all’assistenza alla
malattia diabetica nei pazienti e potenziare le competenze individuali su questa patologia diventano obiettivi
primari, sia per la prevenzione e gestione del singolo che
per la salute pubblica in generale.5
Ma fino a che punto l’aspetto etico e costituzionale di
dover garantire a queste persone diritti fondamentali è
conciliabile con i vincoli di natura economica? Secondo
i dati dell’Agenzia dell’Unione europea per i diritti
fondamentali (FRA), le politiche degli Stati membri
dell’UE riguardanti l’accesso ai servizi sanitari da parte
dei migranti con posizione irregolare variano in modo
sostanziale, spesso solo consentendo l’accesso alle cure
sanitarie di emergenza. A seguito di queste evidenze,
4 Vedere in proposito http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/OecHes.asp e http://www.epicentro.iss.it/argomenti/migranti/farmaciIntro.asp
5 Per maggiori informazioni vedere http://www.epicentro.iss.it/ben/2010/febbraio/1.asp
29
REGIONALE DEL FARMACO
La Giunta regionale dell’Emilia-Romagna ha integrato i nominativi dei
componenti della Commisione regionale del Farmaco, che è ora composta
da Anna Maria Marata, responsabile
dell’area di Valutazione del farmaco
dell’Agenzia Sanitaria e Sociale Regionale, che svolge il ruolo di coordinatrice, e dai tre presidenti delle Commissioni del farmaco di Area vasta,
oltre che da esperti nella valutazione
dei medicinali basata sulle prove di
Compiti, organizzazione, procedure
operative e criteri decisionali della
dio clinico, mentre per seguire meglio
governato da Intercent-ER, caratte-
gli studi si sceglieranno componenti
rizzato da gare centralizzate regionali
del Ceru fra nutrizionisti, specialisti
o di Area Vasta. All’interno delle Aree
in terapia inensiva e ingegneri clinici.
Vaste si sono costituite, nel contem-
Inoltre la Regione Friuli Venezia Giu-
po, le Commissioni del Farmaco di
lia ha anche approvato gli indirizzi per
Area Vasta che hanno adottato propri
la costituzione e il funzionamento dei
prontuari terapeutici, in coerenza con
Nuclei etici per la pratica clinica che
il Prontuario Terapeutico Regionale.
saranno istituiti presso ciascun ente
Ora, quindi, la Commisione regionale
del sistema sanitario regionale. Le ri-
del Farmaco dialoga con le Commis-
chieste di parere ai Nuclei potranno
sioni terapeutiche di Area Vasta e, ne-
essere presentate dai cittadini, dalle
cessariamente, ridefinisce il proprio
associazioni ma anche dagli operatori,
Regolamento rendendolo coerente a
dai pazienti e dai loro familiari.
tale contesto.
V e ne z
uli
ITALIA DELLE MILLE SANITÀ: “LA
PILLOLE REGIONALI
nuova Commissione regionale del
30
an a
sc
Giulia
ia
efficacia (Evidence Based Medicine).
presso il quale verrà condotto lo stu-
si è affermato un sistema di acquisti
To
na
AMPLIATA LA COMMISSIONE
medicinali unificati e, parallelamente,
Fri
Ro
ilia m
ag
Em
PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta
Farmaco sono stati definiti in un re-
ISTITUITI COMMISSIONE PER
TOSCANA PRIMEGGIA”
golamento. Tra i compiti della stessa
ASSISTENZA FARMACEUTICA E
“In Toscana la sanità migliore in Italia
figurano, anzitutto: l’aggiornamento
COMITATO ETICO REGIONALE
per i cittadini. Per questo, come pre-
del prontuario terapeutico regionale,
La Regione Friuli Venezia Giulia ha
sidente della Regione, dico grazie di
il monitoraggio dell’uso dei farmaci e
istituito sia la Commissione regiona-
cuore a tutti gli operatori”. Ad affer-
delle relative raccomandazioni di uti-
le per l’assistenza farmaceutica che
marlo il governatore Enrico Rossi. La
lizzo, il supporto all’Agenzia regionale
il Comitato etico regionale unico. Tra
speciale classifica, stilata da Agenas,
per lo sviluppo dei mercati telematici
i compiti della prima vi sono la pre-
vede la Toscana primeggiare per le
per l’acquisto di farmaci improntato
disposizione delle linee di indirizzo
cure: “lo stesso studio rivela per la no-
a stimolare fortemente la competi-
sull’uso dei medicinali e la definizio-
stra regione livelli alti di qualità su tut-
zione tra produttori, il supporto alla
ne degli idonei percorsi terapeutici
to il territorio, in maniera omogenea.
Direzione generale sanità e politiche
e prescrittivi, la promozione dell’ap-
A leggere i numeri dell’agenzia, la To-
sociali per le scelte riguardanti la po-
propriatezza
dell’uso
scana, prosegue il presidente della Re-
litica del farmaco.
razionale e corretto del farmaco, l’ar-
gione, è la realtà locale dove la sanità
In Emilia-Romagna dal 2006 ad oggi,
monizzazione dei prontuari terapeu-
funziona meglio per i cittadini”. In ef-
come si evince nella premessa allo
tici aziendali, il coordinamento delle
fetti, la Toscana si ferma all’8,6% men-
stesso Regolamento, il contesto re-
attività di farmacovigilanza, l’analisi
tre il Veneto all’11, l’Emilia al 12%, la
gionale è mutato: si sono gradualmen-
della spesa e dei consumi farmaceu-
Lombardia e il Piemonte al 13%. Van-
te costituite l’Area Vasta Emilia Nord
tici. Diverse le funzioni del Comitato
no male, molto male, Abruzzo (23%),
(AVEN), l’Area Vasta Emilia Centro
che sarà composto da membri perma-
Puglia (22%) e Lazio, Sicilia e Calabria
(AVEC), l’Azienda USL della Romagna
nenti, di sede e nominati in relazione
(tutti al 19%). “E non è un caso che
e IRST di Forlì–Meldola (Area Vasta
agli studi clinici. Per i membri di sede
queste ultime due regioni conoscano
Romagna), aventi l’obiettivo, fra gli
la scelta ricadrà sul direttore sanita-
più di altre il fenomeno dell’emigra-
altri, di promuovere gli acquisti di
rio o il direttore scientifico dell’ente
zione sanitaria verso Milano, Bologna,
prescrittiva,
PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta
un numero più alto di strutture con ri-
ne
to
Ve
Roma. Sempre le stesse regioni hanno
ne dell’articolo 32 della Costituzione
che sancisce l’universalità delle cure
sultati di assistenza superiori alla me-
in Italia. Secondo i nostri calcoli sui
dia, ricorda Rossi, la Toscana è in testa
tagli prospettati, tuona il governatore,
e tocca il 23%, seguono l’Emilia Romagna con il 19%, e la Lombardia con il
17%. Stanno al 10% o sotto l’Abruzzo,
RAPPORTO OSSERVASALUTE.
ZAIA: “BASTA TAGLI LINEARI”
avremmo dovuto arrivarci nel 2018,
quando in Italia il rapporto Pil spesa
sanitaria è previsto al 6,38%. È suc-
la Basilicata, la Calabria, la Campania,
cesso prima, e questo è un campanello
il Molise e la Puglia. Questa, conclude
d’allarme che nessun governante può
il governatore Rossi, è l’Italia delle
permettersi di sottovalutare. Tutti gli
mille sanità”.
studi internazionali, conclude Zaia,
r ch
e
in buona salute fatica a progredire
“Il timore che da almeno due anni
esprimo sul futuro della salute degli
italiani e dei veneti trova ora conferma autorevole dal Rapporto Osser-
anche sul piano economico e sociale.
Basterebbe questo per capire che è
urgentissima una decisa inversione di
rotta verso l’appropriatezza: risparmiare si può e si deve, come dimostra-
INCHIESTA SULLA SANITÀ
vasalute e da un tecnico al di sopra
TRAVOLGE VERTICI ASUR
di ogni sospetto come il presiden-
Addio anticipato con le dimissioni di
te dell’Istituto Superiore di Sanità,
Piero Ciccarelli dall’incarico di diri-
Walter Ricciardi: per la prima volta
gente del servizio regionale Sanità,
nella storia d’Italia nel 2015 è scesa
possibile sospensione per gli altri di-
l’aspettativa di vita delle persone. La
rigenti della sanità marchigiana coin-
causa è evidente: è mancata una se-
volti nell’inchiesta sugli appalti alla
ria spending review fondata sui costi
Medilife spa contestati dalla Procura
standard. I tagli lineari a cui abbiamo
di Ancona. Sarebbero questi “gli atti
assistito e stiamo ancora assistendo
ACCORDO REGIONE–INAIL PER
conseguenti, che sono atti di cautela
hanno messo in croce sia le Regioni
PRESTAZIONI RIABILITATIVE
per l’Ente rispetto a quello che è avve-
virtuose che, avendo già ottimizzato
INTEGRATIVE
nuto” al centro del mandato dato dal
la spesa come il Veneto, non sanno
L’INAIL e la Regione Abruzzo hanno
governatore Luca Ceriscioli al segre-
più dove e che cosa tagliare, sia quel-
sottoscritto una convenzione che, in
tario generale della Regione Marche.
le in deficit, alle quali non sono stati
attuazione dell’accordo quadro ap-
Le dimissioni anticipate di Ciccarelli,
dati parametri oggettivi per rientrare
provato dalla Conferenza Stato-Re-
in passato ai vertici dell’Asur, sembra-
come sarebbero stati i costi standard”.
gioni il 2 febbraio 2012, consente
no scontate: il suo incarico, peraltro fi-
Nessun tentennamento nelle parole
all’Istituto Nazionale per gli Infortuni
duciario, scade a fine 2016 e, da quan-
del presidente della Regione Veneto,
sul Lavoro di erogare le prestazioni
to trapela da ambienti della Regione,
Luca Zaia, nel commentare i contenuti
riabilitative integrative necessarie al
non erano previsti rinnovi o proroghe.
del rapporto Osservasalute 2015. “La
recupero dell’integrità psicofisica dei
Più complessa la situazione per Alber-
politica dei tagli è cosa diversa da una
lavoratori infortunati, con oneri a ca-
to Carelli, ex direttore amministrativo
seria spending e i tagli che si sono sus-
rico dell’Istituto. I fondi a disposizione
dell’Asur e dell’Area vasta di Fermo,
seguiti, e che ancora ci attendono nel
dell’Inail Abruzzo, al momento, am-
ora a Macerata. A carico di Ciccarelli e
futuro, ci hanno portato verso quel
montano a circa 2 milioni di euro per
Carelli sono ipotizzati reati più gravi:
6,5% del Pil dedicato alla sanità che
garantire più servizi sanitari e migliori
associazione per delinquere finalizza-
l’Oms indica come soglia sotto la qua-
prestazioni per chi ha subito un infor-
ta all’abuso di ufficio, truffa e frode,
le inizia a calare l’aspettativa di vita
tunio sul lavoro o è affetto da malattia
turbativa d’asta.
della gente e si prefigura la violazio-
professionale. “Si tratta di un passo
no i conti del Veneto, ma l’obbiettivo
Ab
non si raggiunge con i tagli”.
ru
zz o
PILLOLE REGIONALI
Ma
indicano che una Nazione che non è
31
PILLOLE REGIONALI A cura di Daniele Pallotta
importante per l’intera sanità abruz-
da parte dell’Azienda ospedaliera. “È
zese che dà risposte concrete ai lavo-
un investimento molto importante,
ratori vittime di infortuni, con riflessi
ha spiegato l’assessore regionale alle
positivi sulla competitività del tessuto
Infrastrutture, Giuseppe Chianella,
produttivo e sul rilancio dell’occupa-
che la Regione ha inserito nel Pro-
zione nel settore della riabilitazione”
gramma di prevenzione del rischio
sismico su edifici pubblici strategici o
rilevanti. L’intervento è finanziato con
i fondi provenienti da un’Ordinanza
della Protezione Civile. Per la quarta
annualità del Fondo, ha proseguito
Chianella, la Regione ha subito individuato l’edificio che contiene il blocco
degenze ed i servizi divisioni dell’ex
“Silvestrini” per un completamento
spiega l’assessore alla Sanità, Silvio
effettivo di un grande intervento di
Paolucci. La riabilitazione degli infor-
messa in sicurezza degli edifici più
tunati sul lavoro verrà erogata presso
vecchi del nosocomio perugino che
le strutture pubbliche della Regione e
risalgono agli anni ’70. L’intervento
presso le strutture private accredita-
sarà cofinanziato dall’Azienda Ospe-
te con il Servizio sanitario regionale.
daliera, ha confermato Chianella, e
Sono già state indicate le strutture in
inciderà sul versante strutturale de-
possesso della prescritta autorizza-
gli edifici interessati ai lavori che così
zione con le quali l’INAIL dovrà stipu-
potranno raggiungere coefficienti di
lare apposita convenzione. L’obiettivo
sicurezza pari a quelli di un edificio
è quello di accelerare il ritorno al lavo-
nuovo. È da sottolineare, ha concluso
ro degli infortunati riducendo così le
l’assessore, che tutti gli interventi in
giornate non lavorate per infortunio.
programma saranno effettuati senza
Um
interrompere il funzionamento dei
bria
servizi ospedalieri a parte qualche
inevitabile interruzione limitatissima
nel tempo che però l’Azienda cercherà
di gestire senza creare grandi problemi ai pazienti e agli operatori sanitari”.
OSPEDALE PERUGIA, 9 MILIONI
PER L’ADEGUAMENTO SISMICO
Ammonta a quasi nove milioni di euro
PILLOLE REGIONALI
l’investimento che la Giunta regiona-
32
le dell’Umbria ha deciso di sostenere
per mettere in sicurezza, dal punto di
vista sismico, l’ospedale “Santa Maria della Misericordia” di Perugia. Al
contributo regionale sarà aggiunto
un cofinanziamento, quasi 5 milioni
per il primo e di poco superiore ai 4
milioni di euro la cifra del secondo,
2016
numero
2
Fly UP