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CARAMAZZA E TOTÒ RIINA FANNO ARRABBIARE RE GIORGIO
Francesco:“Non va smantellato il diritto fondamentale al lavoro”. A Renzi saranno fischiate le orecchie. È rimasto solo il Papa a dire qualcosa di sinistra y(7HC0D7*KSTKKQ( +[!=!"!"!% Venerdì 3 ottobre 2014 – Anno 6 – n° 272 e 1,30 – Arretrati: e 2,00 Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230 Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46) Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009 CARAMAZZA E TOTÒ RIINA FANNO ARRABBIARE RE GIORGIO Altra giornataccia per Napolitano: il suo candidato alla Consulta viene impallinato insieme a Violante, 16ª fumata nera malgrado i moniti del Colle. E il boss chiede di esserci in videoconferenza quando i giudici al Quirinale interrogheranno il Presidente sulla Trattativa De Carolis, Lo Bianco, Marra, Massari e Rizza » pag. 2 - 3 SMOTTAMENTI Della Valle “entra” in politica B. dice: “Fitto, vaffanculo” Il signor Tod’s: “Sono a disposizione, bisogna essere pronti, a Renzi non do 1000 giorni”. Nell’ufficio di Presidenza di Forza Italia sfida all’Ok Corral quando l’ex governatore pugliese accusa il leader di essersi arreso a Matteo perdendo una caterva di voti. Berlusconi: “Sei un parroco di Lecce, figlio di un democristiano, fatti un partito tuo”. d’Esposito e Tecce » pag. 4 Berlusconi e Fitto LaPresse » ARRIVEDERCI ROMA » Dopo la fuga di Muti, teatro allo sbando Buco dell’Opera, Marino licenzia 200 orchestrali Bilancio in profondo rosso, il Cda “risolve” vendicandosi su orchestra e coro e ottenendo un risparmio di 3,4 milioni di euro: lavoratori messi in strada con un tweet. Il sindaco: “Decisione drammatica ma necessaria”. Un altro colpo alla cultura di una Capitale allo stremo Liuzzi » pag. 14 Te lo do io il vertice Bce Udi Gian Carlo Caselli PAPPA E CICCIA E IL MAFIOSO EDUCATO Brescello (Reggio Emilia) A una troupe di giovani coraggiosi ha girato per il web Il sindaco di Roma Ignazio Marino Cortocircuito, un formidabile servizio ripreso da ilfattoquotidiano.it. » pag. 18 L’INTERVISTA Autoriciclaggio, l’accusa di Grasso: “Ormai siamo al boicottaggio” Ancora al palo la norma che punisce chi impiega i soldi ottenuti dai propri reati. A rischio anche il riciclaggio semplice Barbacetto » pag. 7 Zero per la crescita arriva il conto: 7,5 miliardi Il prezzo delle mancate misure economiche. Draghi: “Nuovi interventi”. Il premier: “Merkel non ci tratti da scolari” Feltri e Soffici » pag. 4 - 8 LA CATTIVERIA Riina vuole assistere alla deposizione di Napolitano. Che ultimamente Mancino non risponde più al telefono. » www.spinoza.it Cara Mazza di Marco Travaglio ieci anni fa suscitò molte polemiche la proD posta del ministro della Giustizia Roberto Castelli di sostituire, nei tribunali, la scritta “La legge è uguale per tutti” con un’altra, sempre tratta dalla Costituzione, ma di cui il Guardagingilli leghista equivocava il significato: “La giustizia è amministrata in nome del popolo”. In realtà, senza volerlo, l’Ingegner Ministro – come lo chiamava Borrelli – aveva ragione: dopo vent’anni di “riforme della giustizia”, quando uno legge in tribunale “La legge è uguale per tutti”, rischia l’attacco di ridarella e il soffocamento. Ma la formula giusta non è “La giustizia è amministrata in nome del popolo”, bensì “in nome del Re”. Inteso come Giorgio I e II di Borbone, che fa il bello e il cattivo tempo. Ha persino ottenuto, senza muovere un dito, la condanna di De Magistris per abuso d’ufficio e la sua fulminea sospensione da sindaco (7 giorni per una pena di 15 mesi in primo grado, contro i 4 mesi di Berlusconi per una pena di 4 anni in Cassazione per frode fiscale), dopo che il Csm presieduto da Lui e vicepresieduto da Mancino trasferì prima De Magistris, poi la Forleo che l’aveva difeso, poi i pm salernitani Apicella, Nuzzi e Verasani che indagavano sull’insabbiamento delle inchieste a Catanzaro. En plein, missione compiuta. Purtroppo però alcuni villaggi di Asterix si ostinano a resistere alla monarchia assoluta. Tipo il Parlamento e alcuni magistrati di Palermo. Le Camere seguitano a rifiutarsi di eleggere i giudici costituzionali cari a Napolitano e ai sottostanti Renzi & Berlusconi. Quindici fumate nere sul participio presente Luciano Violante e sul participio passato Indagato Bruno. Poi un voto a vuoto a colpi di schede bianche. E ieri l’affossamento della nuova coppia Violante-Caramazza. Francesco Caramazza, chi era costui? L’ex presidente dell’Avvocatura dello Stato che due anni fa si prestò a firmare l’avvilente conflitto di attribuzioni scatenato da Sua Altezza contro la Procura di Palermo, rea di aver osato ascoltare quattro telefonate fra il Monarca e Mancino sul telefono intercettato di quest’ultimo. “Le intercettazioni delle conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica”, scrisse il Caramazza riuscendo a restare serio, “ancorché indirette e occasionali, sono da considerarsi assolutamente vietate”. Primo caso al mondo di un divieto applicato a un evento occasionale, cioè involontario e casuale. Come dire: è rigorosamente vietato ai vasi di fiori precipitare dai balconi sul capo dei passanti. Siccome però il talento va premiato, ora bisogna spedire il Caramazza alla Consulta. Sventuratamente anche il candidato del Colle targato FI, come pure quello targato Pd (Violante, fra l’altro sprovvisto dei requisiti prescritti dalla Costituzione), è stato sonoramente trombato: fumata nera numero 17. Già l’idea che i giudici di nomina parlamentare li scelga il Quirinale è curiosa. Quella poi che si debba continuare a votarli a oltranza, finché non passano per sfinimento, è addirittura comica. Specie nel Paese dove nel 2013 bastarono 4 voti a vuoto per bruciare Marini e Prodi, rinunciare a eleggere un nuovo presidente della Repubblica e riesumare quello vecchio. Poi c’è la grana dei giudici di Palermo, che han fissato per il 28 ottobre l’audizione di Napolitano come testimone sulla trattativa Stato-mafia. Allarme rosso per le domande che gli porranno, ma soprattutto per le risposte che S.A.R. darà o non darà. E pure per la richiesta, assolutamente legittima e prevista dalla legge, di alcuni imputati come Riina, Bagarella e Ciancimino jr. di assistere in teleconferenza. Cioè: se lo Stato manda i carabinieri a trattare con Ciancimino, Riina e Provenzano, va tutto bene: ma se Riina e il figlio di Ciancimino entrano al Quirinale anche solo da un teleschermo, scatta la mobilitazione generale e i corazzieri preparano i cavalli di frisia e i sacchi di sabbia alle finestre. Mancino invece non ci sarà: ma potrà sempre telefonare. Si attende con ansia un nuovo conflitto alla Consulta, o in subordine una riforma della giustizia, che ordini di dare immediatamente alle fiamme il verbale di Sua Maestà; o, in subordine, di bruciare direttamente i magistrati. 2 ACCERCHIATO VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 R odotà, Carlassare e Pace, M5S rilancia candidati “comuni” UNO dei nomi per la Consulta, proposto dal Movimento Cinque stelle è quello di Stefano Rodotà. Dopo che le fumate nere delle votazioni in Parlamento hanno raggiunto quota sedici, i grillini rivendicano i loro candidati: “Se loro proponessero dei nomi validi, ad esempio quelli di Rodotà, Pace o Carlassare, noi certamente li voteremmo. Voteremmo senza alcun dubbio un nome buono ma non ne pro- poniamo altri perché i nostri li abbiamo già fatti e perché altrimenti li bruceremmo come avvenuto con Rodotà presidente”. A dirlo è il deputato pentastellato Danilo Toninelli, che ricorda altri nomi fatti dal Movimento: “A giugno abbiamo proposto Modugno, D’Andrea e Niccolai, figure illustrissime e terze alla politica, che non sono state tenute in considerazione”. Dopo l’esclusione di Donato Bruno, 12 GIUGNO 2014 31 LUGLIO 2014 30 SETTEMBRE 2014 Inizia in Parlamento l’iter per nominare i giudici Il Csm, senza eletti laici, viene prorogato (caso unico) C’è il nuovo Consiglio La Bene è ineleggibile LE CAMERE in seduta comune hanno iniziato a tentare di eleggere i due membri della Consulta il 12 giugno scorso. Il due luglio, dopo quattro infruttuose votazioni, il Parlamento in seduta comune viene convocato anche per l’elezione degli otto membri laici che andranno a sedere nel Consiglio Superiore della Magistratura. Anche questa votazione si rivelerà più difficile del previsto, tanto da arrivare solo a settembre. NON ERA MAI accaduto che il Parlamento non riuscisse a eleggere in tempo utile gli otto membri laici del Csm e cioè prima della scadenza del mandato quadriennale del vecchio Consiglio superiore. Il 31 luglio, però, è stato semplice constatare che non solo non si è rispettato il termine ma che è in alto mare l’accordo tra le forze politiche necessario per arrivare all’elezione. Per questo il Quirinale ha deciso di prorogare “di diritto” il Csm in carica. IL PLENUM del nuovo csm riesce finalmente a riunirsi nell’ultimo giorno di settembre. Nella stessa seduta, presieduta dal capo dello Stato, che elegge a vice presidente l’ex sottosegretario all’Economia Legnini, il plenum del Csm, anche qui con una decisione senza precedenti, ha dovuto dichiarato ineleggibile per mancanza dei requisiti un altro dei componenti laici eletti dal Parlamento: Teresa Bene, in quota Pd, consulente di Andrea Orlando quando era ministro dell’Ambiente. il Fatto Quotidiano indagato per concorso in interesse privato del curatore negli atti del fallimento dell’Ittierre, i Cinque Stelle bocciano anche Violante, l’altro candidato alla Consulta. Il Movimento non lo dichiara apertamente, ma tra i gruppi parlamentari non sarebbe sgradito nemmeno il nome del costituzionalista Augusto Barbera. Il professore potrebbe essere una delle carte del Pd per superare lo stallo. MONITO A VUOTO, LE CAMERE AZZOPPANO ANCORA LA CONSULTA ANCORA UNA FUMATA NERA PER L’ELEZIONE DEI DUE GIUDICI COSTITUZIONALI CON BRUNO FUORI GIOCO, SI INABISSANO I CANDIDATI DEL NAZARENO di Wanda Marra A desso vengono a prenderci con i corazzieri”. Montecitorio, sedicesima fumata nera per l’elezione dei giudici della Consulta. Non passa né il nuovo candidato di Forza Italia, Caramazza (l’ex avvocato generale dello Stato che - tra le altre cose - ha firmato il ricorso per distruggere le intercettazioni tra Napolitano e Mancino), che prende solo 450 voti, né Luciano Violante (il nome voluto dal Colle), fermo a 511. Come stupirsi che il Presidente sia ogni giorno che passa più arrabbiato? E anche in parte sfiduciato: lui “monita”, esorta, interviene. E il Parlamento, niente. Va per fatti suoi. Sono settimane che Re Giorgio fa presente a tutti quelli con cui parla che nella votazione dei giudici di Consulta e Csm bisogna procedere spediti. Niente da fare: prossima seduta comune aggiornata a tra una settimana. Tra franchi tiratori di Forza Italia e Pd e in generale scarso interesse del Parlamento c’è chi si chiede se i due saranno eletti mai. Sempre più paradossale la posizione di Violante: tra il blocco degli azzurri e il fuoco amico, proprio non riesce a passare. Lui non si ritira e Renzi non ci pensa proprio a mettere bocca: non è interessato né a difenderlo, né a sostituirlo. La partita non è di quelle che lo appassionano e l’ex presidente della Camera è lì perché l’ha voluto il Colle e per non fare un dispetto (ulteriore) alle minoranze dem. Ma andando avanti così rischia di finire non bruciato, ma bollito. E magari tanto meglio per il premier, che potrà scegliere una figura a lui gradita, scaricando la colpa degli insuccessi sul gruppo parlamentare e sulla sua gestione. Un piccolo avvertimento a Roberto Speranza a non tirare troppo la corda in generale, che non fa mai male. Il quale Speranza ieri sera ha fatto sapere che Violante è confermato. Napolitano, dunque, è parecchio buio. Anche perché il 9 novembre potrebbe nominare i due giudici che gli spettano: difficile però scegliere uno bocciato più volte dal Parlamento. Come Violante, appunto. Ancora più cupo per i pasticci sul Csm, dove è stata eletta Teresa Bene, che non aveva i requisiti. Bomba scoppiata proprio mentre il Capo dello Stato spronava: “Il tempo che ha richiesto l’elezione dei nuovi membri del Csm va rapidamente recuperato”. E allora? Il tentativo è quello di tirarsi fuori, di ribadire che sui lavori del Parlamento il Presidente della Repubblica poco può influire. Sarà, ma lui ce la mette tutta e i parlamentari dalla loro non si risparmiano gli sgambet- ti. Nonostante la standing ovation tributatagli durante il discorso della sua rielezione, proprio mentre lui ne denunciava le incapacità (“non autoassolvetevi”) e ricordava l’impegno a fare le riforme. È passato un anno e mezzo, e a DELUSIONI Dall’appello a favore dell’amnistia neanche preso in cosiderazione alla riscrittura dei decreti arrivati in forma di brogliacci quella reazione entusiasta non sono seguiti fatti esattamente consequenziali. L’accorato appello a favore dell’amnistia che Napolitano fece ormai un anno fa non è stato raccolto dal Parlamento, grazie anche a Renzi, che allora si scagliò contro il Colle. Ma il Presidente è un uomo di mondo: e quando si rese conto che il suo “pupillo” Enrico Letta non riusciva a governare, diede il via libera al rottamatore di professione. Sette mesi e mezzo dopo le perplessità su quest’avventura non si contano. Al Quirinale hanno dovuto riscrivere i decreti, arrivati in forma di brogliacci e fare i conti con annunci mirabolanti e difficoltà crescenti. Come dimenticare le vere e proprie con- A PALAZZO Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Ansa sultazioni fatte in occasione del voto sulla riforma costituzionale a Palazzo Madama, con bacchettate al Presidente del Senato Grasso annesse e arrivo della colonna dei ribelli direttamente alle porte? LA STORIA più recente, poi, parla chiaro: Napolitano si è lasciato andare a un monito sulla necessità della riforma del lavoro (“Ci vuole più coraggio, basta conservatorismi”) . E ha ricevuto Renzi il giorno della direzione del Pd, offrendogli collaborazione e consigli. Risultato? Botte da orbi nel Pd e liti reiterate per tutta la settimana, in attesa del voto al Senato. Che al Quirinale aspettano con ansia, ma neanche troppo: sanno bene che i veri provvedimenti si avranno solo nei decreti delegati. Prima, difficile valutarli. Per il resto, si osservano le gesta del giovane Matteo con scetticismo: sicuro, per esempio, che si possa permettere l’atteggiamento spavaldo che ha assunto in Europa? E cosa riuscirà davvero a fare per l’economia? E così alla rabbia si sostituisce la stanchezza: una chiave ci sarebbe (forse) per dare un corso diverso alle cose. Ovvero le urne. Ma Re Giorgio non ne vuole sapere di sciogliere la legislatura e di gestire ancora una volta tutto quel che ne consegue: in casi estremi preferisce dimettersi. Addio moniti. E in bocca al lupo ai possibili candidati: l’esempio di Violante docet. BOCCIATO/1 Andiamo Bene, Violante non ha titoli di Luca De Carolis neleggibile”. Proprio lui, l’uomo I su cui Pd e Forza Italia insistono da 16 votazioni. All’apparenza intoc- è venuto proprio dopo il caso della Bene - racconta - Sono andato a controllare i profili dei candidati per la Corte. E ho fatto una scoperta importante su Violante”. Subito messa nero su bianco, in una nota apparsa ieri mattina a urne appena aperte. cabile, nonostante i numeri, le trappole e forse l’evidenza. Dopo lo scivolone su Teresa Bene, la giurista di area dem eletta e poi esclusa dal Csm ATTACCA così: “Luciano Violante perché priva dei requisiti necessari, non può candidarsi alla Consulta”. l’asse del Nazareno rischia di andare Poi elenca i paletti della Carta: “L’ara sbattere nientemeno che con il can- ticolo 135 comma 2 della Costituziodidato Luciano Violante. Anche lui ne recita: ‘I giudici della Corte cosenza requisiti, assicurano i Cinque stituzionale sono scelti tra i magistrati Stelle. Perché “non è un magistrato anche a riposo delle giurisdizioni sudelle giurisdizioni superiori, non ha periori ordinaria e amministrativa, i esercitato la profesprofessori ordinari sione di avvocato per di università in mavent’anni, e non è tra terie giuridiche e gli COINCIDENZE i professori ordinari avvocati dopo venti di università in maanni d’esercizio”. La Come la candidata terie giuridiche”. A premessa d’obbligo disseminare dubbi poi bocciata dal Csm per i rilievi di Tonicome macigni provnelli, che al Fatto anche l’ex presidente spiega: vede il deputato Da“Violante nilo Toninelli, prinnon è mai stato madella Camera gistrato delle giuricipale autore della proposta di legge non avrebbe i requisiti sdizioni superiori elettorale del Movi(Cassazione, Corte per l’Alta Corte mento. “Il dubbio mi dei Conti, Consiglio di Stato, ndr), ma giudice istruttore fino al 1983. Quindi cade il primo requisito”. Si passa al secondo: “Secondo il sito ufficiale del ministero dell’Università, Violante è stato professore ordinario di diritto penale presso l’università di Camerino, ma solo fino al 2008”. Ci sarebbe il sito del Pd, che lo definisce ancora docente ordinario di istituzioni di diritto e procedura penale a Camerino. Ma il deputato obietta: “Tecnicamente questa materia non esiste: esistono due differenti materie, diritto penale e diritto processuale penale. Ma il motivo della genericità della definizione è chiaro: Violante non è uno studioso, un accademico, ma un politico di professione”. Sempre Toninelli precisa: “È vero che alcuni giudici della Corte non erano docenti di ruolo quando sono stati eletti, ma essi sono professori emeriti, ovvero ordinari con almeno venti anni di servizio, che grazie a tale titolo continuano a svolgere attività didattica”. Il terzo parametro previsto dalla Costituzione è quello che traballa in modo più evidente: “Violante non ha mai esercitato la professione di avvocato”. In- Luciano Violante Ansa somma, per l’ex presidente di Montecitorio la strada sarebbe sbarrata. Dal blog Grillo rincara la dose: “Violante non ha i requisiti, che aspetta Napolitano a intervenire? Qualcuno lo svegli”. Dalla maggioranza nessuna replica tramite nota, ma una risposta diffusa in Parlamento: “Violante è ancora professore universitario”. Dall’università di Camerino, sentita dal Fattoquotidiano.it, confermano però che Violante è stato professore nell’ateneo fino al 2009, quando è andato in pensione. Twitter @lucadecarolis ACCERCHIATO il Fatto Quotidiano PROCESSO CAPACI BIS SPATUZZA RACCONTA L’ATTENTATUNI Gaspare Spatuzza ha cominciato a ricostruire nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi, a Milano, la storia di quelle centinaia di chili d’esplosivo che il 23 maggio del 1992 uccisero Giovanni Falcone, sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della loro scorta a Capaci (Palermo). Davanti ai giudici VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 della Corte d’assise di Caltanissetta che si occupano del processo Capaci bis, Spatuzza ha ricordato come parte della micidiale carica fu presa in mare, con il peschereccio di Cosimo D’Amato, esperto di pesca di frodo, a Porticello, a Palermo, dove recuperarono due cilindri di metallo che contenevano due bombe. Era solo parte della carica che fece saltare per aria il corteo di auto del 3 giudice e della scorta. Poiché non ritenuto sufficiente, altro esplosivo fu fatto venire da Messina o Catania, comunque da fuori Palermo. La mafia sin dal '91 aveva portato a Roma delle armi per colpire Falcone. Dopo le stragi di Roma, Firenze e Milano dell’estate del ‘93, lo stesso Spatuzza le riportò a Palermo perché fossero divise tra i componenti del mandamento di Brancaccio. Re Giorgio depone il 28 Riina si invita al Colle AL PROCESSO SULLA TRATTATIVA IL BOSS E BAGARELLA CHIEDONO DI POTER ESSERE COLLEGATI IN VIDEOCONFERENZA. LA CORTE SI RISERVA LA DECISIONE di Giuseppe Lo Bianco e Sandra Rizza N BOCCIATO/2 Caramazza, la caduta dell’avvocato di Antonio Massari ennesima fumata nera sulla Corte Costituzionale coinvolL’ ge anche il nuovo candidato di Forza Italia Ignazio Caramazza, che oltre alla bocciatura del Parlamento, s’è imbattuto nell’ironia truce dei leghisti, pronti a scrivere sulla scheda “caraminchia”. Al di là dell’ironia, però, Ignazio Caramazza è un nome molto noto negli ambienti della “Casta”: da avvocato generale dello Stato - si scoprì durante il governo Monti e i suoi tentativi di trasparenza sui doppi incarichi - Caramazza godeva infatti di un lauto doppio stipendio. Ai 289mila euro di paga, infatti, poteva aggiungere la “propina” - una sorta di diaria - di altri 324mila euro. Se non bastasse, aveva un incarico extragiudiziale, in qualità di membro della commissione di accesso ai documenti amministrativi. Il cliente più prestigioso di Caramazza è stato Giorgio Napolitano, che ha rappresentato nel conflitto di attribuzione che il Presidente ha sollevato, contro la procura di Palermo, per le telefonate, con Nicola Mancino, finite nel fascicolo sulla trattativa Stato-Mafia. Stimato anche da Giovanna Iurato, già prefetIgnazio Francesco Caramazza LaPresse to di l’Aquila, indagata e poi archiviata nell’inchiesta sugli appalti illegali per la cittadella della sicurezza di Napoli. È a Caramazza che la Iurato si rivolge nel 2010, per discutere e approfondire aspetti giuridici-amministrativi relativi a un appalto. Niente di illegale, soltanto la richiesta di una consulenza su alcuni aspetti che la Iurato, aveva bisogno di approfondire. Niente di illegale neanche per le frequentazioni con la “Cricca” che lucrava sul G8 e i Grandi appalti, come l’avvocato Guido Cerruti, che nel corso dell’indagine finì agli arresti domiciliari. “Domani sera – dice Cerruti ai pm fiorentini - sono invitato a casa del nuovo avvocato generale dello Stato, nominato ieri dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, avvocato Ignazio Caramazza. A casa sua, unico libero professionista del foro di Roma! Ci saranno altre 150 persone, però, come professionista, invita solo me. E lui è al corrente benissimo, diciamo, della mia situazione, eh! non è che non sia corrente”. el processo sulla trattativa Stato-mafia Napolitano depone il 28 ottobre, ma sulla testimonianza pesa l’incognita della presenza dei boss Riina e Bagarella visto che entrambi hanno chiesto ieri - attraverso i loro legali - di assistere all’udienza quirinalizia per video-conferenza, alimentando i dubbi e le preoccupazioni del Colle sui rischi di una strumentalizzazione mediatica di un unicum nella storia italiana: il capo dello Stato seduto davanti ai giudici a rendere il dovere civico di testimonianza. UN’INCOGNITA che il presi- dente della Corte, Alfredo Montalto, a voce si è preoccupato di smorzare: quando l’avvocato Luca Cianferoni ha chiesto la parola per annunciare che nei prossimi giorni depositerà una memoria a sostegno della richiesta del suo assistito Totò Riina di essere presente al momento della deposizione, l’interlocuzione con la difesa dell’imputato, il presidente ha preso atto della richiesta, ricordando che sulla questione si era già pronunciato. E lasciando intendere, dunque, secondo l’interpretazione più diffusa, che la Corte non si sposta dai confini tracciati dall’ordinanza di ammissione di Napolitano che, applicando in via analogica la prima parte dell’art 502 del cpp, vieta agli imputati di partecipare. Ma quest’interpretazione si scontra con la seconda parte della norma, ed in particolare con quel verbo all’indicativo (“il giudice ammette” a partecipare l’imputato che ne fa richiesta) che fissa un principio universalmente riconosciuto dalla giurisprudenza europea e della Cassazione: il diritto a partecipare all’udienza di ogni imputato che ne faccia richiesta. Un principio che, se ignorato, causerebbe l’annullamento del processo, come ben sa ogni studente al primo anno di giurisprudenza. Ieri la Corte si è riservata di decidere dopo l’opposizione dell’avvocato dello Stato Fabio Caserta, che, consapevole dei rischi che comporta l’applicabilità “totale” del 502 ha giocato la carta dell’inapplicabilità della norma per “l’immunità della sede”. E se i giudici, fermi sulla propria ordinanza di ammissione, potrebbero anche non rispondere, la possibilità che il faccione di Riina compaia su un maxischermo tra gli arazzi del Quirinale il prossimo 28 ottobre, novantadue anni dopo la marcia su Roma dei gerarchi di Mussolini, resta un’eventualità possibile, con tutte le conseguenze processuali che ne deriverebbero: attraverso gli agenti di polizia penitenziaria che li assistono dal carcere, i boss potrebbero interloquire con gli avvocati, suggerire domande, e persino chiedere la parola, attraverso i legali, per fare una dichiarazione spontanea. La preoccupazione che in queste ore fa fibrillare lo staff del Quirinale riguarda, insomma, il rischio che l’udienza romana possa di fatto aprire un varco processuale ad una sorta di interlocuzione a distanza (ma contestuale) tra la massima carica dello Stato e il capo dei capi di Cosa nostra. Col risultato di un inevitabile appannamento dell’immagine di Napolitano, proprio mentre sarebbe sempre più vicino il momento del suo addio al Quirinale. NEL 2002, a Palazzo Chigi, Berlusconi interrogato nel processo Dell’Utri offrì al collegio del tribunale (ma non ai pm) un rinfresco a base di pasticcini: non si sa se questa volta Napolitano farà sfoggio della stessa cortesia, fatto a mano LA REGOLA Tutto dipende da come si interpreta l’ordinanza di ammissione di Napolitano dettagli della missione romana al Quirinale. Non è escluso, infatti, che i pubblici ministeri della trattativa saranno accompagnati anche dal procuratore facente funzioni Leo Agueci (che guida l’ufficio inquirente da quando Messineo ha lasciato l’incarico) in segno di rispetto per l’autorevolezza del testimone. Tutto sembrerebbe deciso, insomma. Ma nulla è ancora scontato. Non si può escludere, infatti, che la Corte d’Assise autorizzi eventuali richieste di partecipazione che riguardano le parti civili (è ammessa al momento solo la presenza delle rappresentanze legali) e dei giornalisti, anche se nel novembre 2002 il Tribunale di Palermo impedì ai giornalisti l’ingresso nell’aula di Palazzo Chigi per la deposizione dell’allora premier Berlusconi nel processo Dell’Utri, giustificando l’esclusione con “motivi di sicurezza”. SCARPINATO Aumentata la tutela a Palermo entidue anni fa in via D’Amelio la zona rimoV zione avrebbe potuto salvare la vita di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta, ma la Prefet- Totò Riina Ansa accogliendo i giudici della Corte d’Assise e i pm di Palermo sulla base di un cerimoniale che la diplomazia del Colle sta mettendo a punto già in queste ore, in un clima di massima riservatezza. A Palermo nessuno rilascia commenti, ma a conclusione dell’udienza, ieri il pm Nino Di Matteo si è riunito con i colleghi Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene, alla presenza dell’aggiunto Vittorio Teresi, per stabilire i tura di Palermo diretta da Mario Jovine non la attivò mai, nonostante le richieste degli agenti di scorta e di alcuni condomini del civico 21. Adesso per fortuna, attorno al pg Roberto Scarpinato è scattata la misura più banale e al tempo stesso efficace: dopo che misteriosi incursori sono arrivati a due passi dal suo ufficio al primo piano di palazzo di Giustizia è scattata la zona rimozione nella piazza del centro storico antistante l’abitazione del magistrato. Da ieri, infatti, a piazza Borsa, due cartelli indicano il divieto di parcheggio delle auto, pena la rimozione: li ha collocati in tempo record l’ufficio Mobilità del Comune, su richiesta della prefettura. L’allarme resta alto, dunque, e anche la procura di Caltanissetta, ora, ritiene gli episodi di minacce ai magistrati antimafia (lettere anonime, misteriose incursioni in casa e in ufficio, scritte sui muri) legati da un’unica matrice e ha riunito tutti i fascicoli in una sola inchiesta. Il 7 ottobre Scorta Civica Palermo e Antimafia Duemila organizzeranno un sit-in di solidarietà davanti al tribunale. g.l.b. 4 IN FONDO A DESTRA VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 V espa si “prende” il fidato enologo di Massimo D’Alema A BRUNO Vespa e Massimo D’Alema piace bere e gli piace farlo bene. E da oggi hanno lo stesso enologo a consigliare accostamenti e vitigni. Si chiama Riccardo Cotarella, oscar come miglior enologo nel 2013, e da anni seguiva la famiglia D’Alema nella produzione del vino di famiglia nelle terre umbre. In realtà la vera appassionata di casa sarebbe la signora, Linda Giuva, che ha poi trascinato nell’avventura alcolica tutta la famiglia. Avrebbe anche convinto il marito a vendere la barca a vela e a lasciare il mare in nome delle vigne e della campagna. Bruno Vespa invece con l’aiuto di amici, guarda caso veneti, è da un anno diventato proprietario di una tenuta a Salice Salentino in Puglia. E anche lui ha scelto Cotarella che nel campo dell’enologia non è certo uno sco- il Fatto Quotidiano nosciuto. La passione per il cibo e il vino, i due, l’avevano esternata proprio in una puntata di Porta a Porta del 1997, quando Vissani cucinò per loro un risotto. Ma se l’enologo è lo stesso la produzione di Vespa e D’Alema segue scuole diverse: il primo ha optato per i nostrani primitivo di Manduria e negroamaro, mentre i D’Alema guardano oltre confine con cabernet franc e pinot nero. LO SCONTRO È FITTO E B. CERCA LA RISSA: “VAFFANCULO” ALL’UFFICIO DI PRESIDENZA FORZISTA, IL CAIMANO AGGREDISCE IL RIBELLE di Fabrizio d’Esposito I l Pregiudicato contro il Parroco: “Raffaele vaffanculo, tu sei un parroco di Lecce”. È stata la scena madre della tragicommedia messa in scena ieri a Palazzo Grazioli, residenza privata di Silvio Berlusconi a Roma. Titolo in cartellone: “Ufficio di presidenza di Forza Italia”. Sul palcoscenico del cosiddetto parlamentino azzurro, l’ex Cavaliere e il suo gregge fedele al patto del Nazareno e due pecore nere, l’ex democristiano Raffaele Fitto e l’ex radicale Daniele Capezzone. E così quando Fitto ha rivendicato la sua strategia antirenziana, anche perché Forza Italia è scesa al tredici per cento nei sondaggi, B. non ci ha visto più. Meglio, non ci ha sentito più. IL PREGIUDICATO si è infatti alzato dal tavolo e si è avvicinato al ribelle nato in provincia di Lecce, portandosi la mano all’orecchio destro. “Scusami sto diventando sordo, devo farmi più vicino”. A questo punto, i due hanno sfiorato il contatto fisico (un dito di B. finito contro il naso di Fitto) e Berlusconi ha recitato il monologo finale, con la faccia di un rosso anomalo, tra la rabbia e il cerone: “Tu stai facendo come Fini e Alfano. Stai attento che ti deferisco ai provibiri, così te ne vai e fai un altro partito. Poi sarò io a decidermi se allearmi con te”. Fitto, pallidissimo, ha balbettato: “Non puoi cacciarmi, questo è anche il mio partito, presidente. E non sono come Fini e Alfano, non voglio poltrone, voglio solo fare un’opposizione Palazzo Grazioli ieri. Silvio Berlusconi. Sopra, Raffaele Fitto LaPresse/Ansa NUOVI FINI Verdini a Capezzone: “Ti impicco a un albero” L’ex Cavaliere ordina al pugliese di non andare più in tv: “Sei un parroco di Lecce, se vuoi vattene” netta a Renzi”. Il Pregiudicato, ancora più incazzato: “Finiscila, tu sei figlio della vecchia Dc, sei un parroco di Lecce, ma vaffanculo”. Stop. Tutti hanno pensato alla replica del “che fai mi cacci?” di finiana memoria, ma la scena segue quella di quattro giorni fa, alla direzione nazionale del Pd. Lì, Renzi contro Bersani e D’Alema. Qui, Berlusconi contro Fitto e Capezzone. A ciascuno i suoi. Ogni re ha i ribelli che si merita. A Palazzo Grazioli si sono ritrovati in una cinquantina, intorno a mezzogiorno. Il Pregiudicato si è presentato con una massiccia dose di ira accumulata. Proprio ieri mattina, i frondisti fittiani, in concorso con altri malpancisti azzurri, hanno boicottato il terzo nome forzista per la Consulta, quello di Caramazza. Mercoledì sera, poi, Fitto ha tenuto una riunione con almeno quaranta parlamentari insofferenti all’asse tra Renzi e Denis Verdini, lo sherpa berlusconiano del patto con il premier. IL GREGGE del Nazareno e le pecore nere non sono venute subito allo scontro. Il Pregiudicato nella sua relazione ha persino elencato tutti i suoi dubbi sulla forza di Renzi. Per esempio, se le riforme su lavoro (Jobs act) e giustizia saranno ammorbidite rispetto agli impegni presi, non ci sarà alcun soccorso azzurro. Sulla legge elettorale, invece, il pericolo da scongiurare è il ritorno del Mattarellum ai danni dell’Italicum. Berlusconi ha pure smentito l’esistenza di un patto segreto scritto da Verdini. Copione scontato, per certi versi. L’incendio, quindi. L’ex governatore pugliese e Capezzone hanno chiesto che non venisse subito votato il documento portato da Berlusconi. Ha detto Capezzone: “In un partito prima si discute e poi si vota”. Il Condannato ha ceduto e Fitto e Capezzone hanno innalzato alti lai sul Nazareno. L’ex governatore pugliese è stato diretto: “Se continuiamo a donare il sangue a Renzi finiamo male, siamo scesi al 13 per cento”. Sul punto B. ha replicato: “Non è vero, siamo al 17,4 per cento e mi dicono che ogni volta che vai in tv perdiamo 3 o 4 punti. La devi smettere di aver un’altra linea”. Dopo un’ora, il teatrino si è arricchito di un altro duello. Stavolta tra Capezzone e Verdini. Il primo ha ribadito l’urgenza di una linea alternativa e l’impresentabile “Denis” ha gridato : “Usa il cervello, dovresti renderti conto che non c’è alternativa a questo governo se vogliamo portare avanti le riforme. Renzi ha fatto tutto il possibile per venirci incontro, come sulla legge elettorale. Se poi dovessimo tornare al Mattarellum per colpa vostra, allora sarete voi i responsabili di tutto e vi impicco a un albero”. Anche qui c’è chi giura di aver visto uno scontro fisico tra i due. “Vaffanculo parroco” e “Ti impicco a un albero”. Sono gli aforismi del Nazareno. SERVIZIO PUBBLICO Post-it e fotografie, la discesa in campo di Diego Della Valle IL PADRONE DI TOD’S TORNA IN TV E MARTELLA L’EX SINDACO: “GLI DIAMO POCO TEMPO” re giorni di baldoria, tre giorni di silenzio. Al settimo, DieT go Della Valle torna in televisione, a Servizio Pubblico su La7. E torna con una costruzione scenica da discesa in campo: in collegamento, scrivania, fotografie e bigliettini appiccicati sul tavolo. Non rettifica le accuse su Matteo “sòla” Renzi: “Smontare il premier non è un divertimento. Ma lui sta diventando un pericolo”. Della Valle boccia gli alleati di riforme che s’è scelto, i ministri del governo, la strategia contro Enrico Letta, l’irruenza e l’agenda politica: “Alcune persone che stanno nell’esecutivo sono inadeguate. Sono lì solo per l’amicizia con Renzi”. E non dimentica Silvio Berlusconi: “L’ex Cavaliere si riposa, fa il presidente onorario; Renzi è l’amministratore delegato e lavora anche per lui”. Il signor Tod’s fa capire EX AMICO Diego Della Valle che vuole contrastare collegato con “Servizio Pubblico” Ansa il governo di Renzi, un gruppo di politici che ha deluso le aspettative dei cittadini e che non riesce a rianimare l’Italia, e fa intuire anche che non si fermerà soltanto più a questi interventi in tv. E sui poteri forti che vorrebbero fermare il premier? “Quando io li combattevo, Renzi cantava le canzoni intorno ai fuochi dei boy scout”. L’imprenditore marchigiano replica anche a Marchionne, che a sua volta aveva risposto all’epiteto “sòla”: “Non se n’era andato in America con le valigie nella sua Duna?”. E si scaglia anche contro la Fiat .Poi l’annuncio: “Voglio creare uno strumento dove la gente si possa confrontare, una macchina organizzativa. Io sono a disposizione”. Un’Italia Futura, un’associazione o giù di lì. Renzi si dà i voti: “Non siamo scolari” LA REPLICA ALLA MERKEL CHE CHIEDE I SOLITI COMPITI A CASA: “IN 10 ANNI GUIDEREMO L’EUROPA” di Caterina Soffici che muovono lo spread, che decidono dove investire. Gli investitori vanno quindi rassicurati. È una missione più importante che respingere al l problema è sempre il solito. I compiti a casa. mittente le accuse di essere dei Pierini da mettere Matteo Renzi preferisce chiamarli “timeline”. dietro la lavagna, come dice la Merkel. Così ieri Un termine da Twitter, ma il concetto è lo stesso: Renzi ha incontrato gli investitori. Prima all’amil rispetto della tempistica dell’attuazione delle ri- basciata italiana, dove ne ha vista una cerchia riforme. Così è tornato a Londra, a sei mesi di di- stretta in una colazione di lavoro (Bp, Vodafone e stanza dalla sua prima visita appena insediato a altri big). Poi nella City, dove ha tenuto un diPalazzo Chigi, per tranquillizzare gli investitori. scorso nel cuore della cittadella finanziaria d’EuL’Italia ce la farà? Renzi è solo ropa. Ha varcato, visibilmente un parolaio, come suggeriva il emozionato, la soglia di Guilpesante editoriale del direttore dhall, il municipio della City of LA MISSIONE del Corriere? Se Renzi fallisce, arLondon e il sindaco Fiona riverà la troika? I dubbi sulle Woolf lo saluto con un “Noi soIl fiorentino ritorna sponde del Tamigi sono gli stessteniamo la tua sfida”. Renzi desi che in Italia. Ma qui non si ve convincere i veri poteri forti a Londra per cercare evocano i fantasmi dei poteri di non essere un parolaio. Avdi convincere la finanza forti e le dietrologie italiane. vistati in sala Alberto Nagel Qui i poteri forti ci sono dav(Mediobanca), Massimo Tonoe va a visitare l’Economist ni, Domenico Siniscalco (Morvero e sono l’establishment finanziario della City. Quel cengan Stanley), Andrea Enria, (ex che l’aveva messo tinaio di personaggi che tengobankitalia, ora Eba), Davide in copertina col gelato no in mano le sorti dei mercati, Serra (Algebris), ma anche anoLondra I nimi gestori di fondi giapponesi, per dirne una, che devono decidere se l’Italia è un luogo a rischio o se si può investire. Renzi parla nel suo pittoresco inglese da Soprano’s, ma questa volta non può andare a braccio. Deve essere convincente e legge un discorso scritto. “Il cambiamento è iniziato, il cammino deve essere completato entro sei mesi. A quel punto torneremo leader d’Europa”. “Noi vareremo misure senza rispondere agli interessi particolari che hanno bloccato l’Italia negli ultimi anni” (chiaro riferimento al Jobs Act). POI IL SOLITO ELENCO di buoni propositi e di riforme annunciate, per convincere la City che “Italy is back”. Il tutto si è chiuso con una cena, offerta dal Mayor della City, per i 300 investitori presenti. Già in mattinata Renzi era stato chiaro rispetto al ruolo dell’Italia e riguardo all’austerità. “Rispetto la decisione di un paese libero e amico come la Francia. Nessuno deve trattare gli altri Paesi come si trattano degli studenti” aveva detto prima dell’incontro con il premier britannico David Cameron difendendo la scelta francese di sforare il vincolo del 3%. Una replica (pur senza ci- c.t. Matteo Renzi con Cameron a Downing Street Ansa tarla) alla cancelliera tedesca Angela Merkel che aveva invitato tutti i Paesi in affanno “a fare i compiti a casa”. “Se la Francia ha deciso così avrà i propri motivi e io sto dalla parte di Hollande e Valls”, ha aggiunto il premier, sottolineando che l’Italia “rispetterà il vincolo del 3%”. Una trasferta londinese anche molto mediatica. Nel pomeriggio ha fatto una lunga intervista con Cristiane Amanpour, l’inviato di guerra della Cnn (andrà in onda oggi) e non è detto che sia di buon auspicio, perché la giornalista americana parla in genere dai fronti caldi del mondo. Poi è stato nella fossa dei leoni al Financial Times. E infine un salto anche all’Economist. Sarà riuscito a convincerli? Lo sapremo presto, lunedì uscirà il responso del tempio della comunicazione finanziaria. IN FONDO AL SUD il Fatto Quotidiano M oro, nuova commissione: Fioroni eletto presidente È STATO ELETTO il nuovo presidente della commissione Moro: Giuseppe Fioroni. Una commissione d’inchiesta che indagherà sulla complessa storia del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate rosse. Sei processi, due inchieste aperte a Roma e ora, dopo 33 anni dalla precedente e 36 anni da via Caetani, la nuova commissione presieduta da Fioroni. L’ex margherita ha raggiunto il quorum con 40 sì, sei schede disperse e sette schede bianche. Durante la presentazione, il neo eletto presidente e Gero Grassi, entrambi democratici, hanno proposto di replicare (caso unico nel Parlamento italiano) l’inchiesta sui 55 giorni: “Dopo trentasei anni dal rapimento e l’assassinio di Aldo Moro e della sua scorta, dobbiamo al Paese, ai nostri figli e alle nuove generazioni verità e chiarezza”, ha spigato Fioroni N ella Calabria ai tempi del Nazareno, inteso come patto, i confini tra renzismo e berlusconismo non si vedono più, sono scomparsi, fino a confondersi in quel trasversalismo che laggiù da decenni ha ammazzato la politica. L’indiscrezione rimbalza, a Roma, nel cortile di Montecitorio, da un colloquio riservato tra due parlamentari, uno calabrese l’altro no. Uno del Pd antirenziano, l’altro di Ncd. “Verdini e Gentile hanno chiuso l’accordo su una lista di dieci senatori di Ncd pronti a ripassare con Forza Italia. Verdini ha chiesto a Gentile anche di aiutare Callipo, alle primarie del Pd di domenica prossima in Calabria”. 5 che poi, citando Renzi, ha aggiunto: “Per cambiare veramente dobbiamo saldare il debito di verità, uscire dalle sabbie e costruire su fondamenta di roccia. Si deve cambiare verso”. Durante la votazione anche un episodio indelicato: qualcuno, sulla scheda, ha scritto il nome di Prospero Gallinari, uno dei brigatisti a sparare sulla scorta in via Fani e tra in carcerieri in via Montalcini. RIENTRI A CASA I tanti gusti di Mineo Non solo lecca lecca C orradino Mineo ci ha ripensato, i gusti sono gusti, e ora gli piace Matteo Renzi, dopo aver consumato la fase di una (apparente) ribellione al renzismo. A proposito di gusto, anche se i renziani su Twitter gli scrivono che è “inutile come un lecca lecca alla merda” – ed egli stesso ha denunciato – Mineo non se la prende, ma da Repubblica fa sapere di adorare Renzi, di avere un ottimo rapporto con il ministro Maria Elena Boschi. È talmente incontenibile, il nuovo o il vecchio Mineo che prosegue con lodi sperticate per Renzi e pure qualche critica per D’Alema e Bersani (quest’ultimo l’ha messo in lista). Mineo, furbo, ha capito che è meglio mangiare i lecca lecca, pardon, restare saldo in poltrona che fare una timida opposizione al Capo. L’ex sottosegretario e quel giornale chiuso I protagonisti, in ordine di apparizione. Verdini si chiama Denis e ormai non ha bisogno di presentazioni. È il berlusconiano plurinquisito e impresentabile che ha trovato il tesoro nel suo antico rapporto con la famiglia Renzi, dal papà Tiziano al figliolo Matteo. È lui, Verdini, il custode del patto segreto del Nazareno tra lo Spregiudicato e il Pregiudicato. Gentile invece si chiama Antonio. Otto mesi fa, nel febbraio scorso, è stato in prima pagina sui quotidiani fino a che non si è dimesso da sottosegretario del governo Renzi. Colpa di una storiaccia tipografica, che sembra ambientata nel secolo scorso. Gentile è di Cosenza, dove la sua famiglia è ramificata nei vari livelli degli enti pubblici, e si è ritrovato il figlio Andrea indagato per consulenze nella sanità. La notizia trapelò e un quotidiano stava per pubblicarla. A quel punto però, lo stampatore fece pressioni sull’editore per impedire l’uscita dell’articolo. Quel giornale era L’Ora della Calabria, diretta da Luciano Regolo. Oggi non esce più, dopo le dimissioni di Gentile. E lo stesso “Tonino” ha riguadagnato centralità nella sua regione, al punto da essere il canale prediletto di Verdini VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 Gianluca Callipo con Matteo Renzi. Sopra, Tonino Gentile e, a sinistra, Denis Verdini a Palazzo Grazioli Verdini e il nuovo Patto per il renziano di Calabria UN NAZARENO CONTINUO: L’ALFANIANO GENTILE VUOLE TORNARE IN FORZA ITALIA, IN CAMBIO DEVE PORTARE VOTI A CALLIPO, CANDIDATO DI MATTEO ALLA REGIONE nella campagna acquisti dal Nuovo Centrodestra. Gentile, infatti, è un senatore di Ncd e soffre la diarchia di Angelino Alfano e Gaetano Quagliariello nel partito (quest’ultimo, per la cronaca, ieri ha minacciato l’uscita dal governo proprio a causa del patto del Nazareno). Così Gentile e il lucano Guido Viceconte, altro senatore Ncd, hanno messo a punto una lista di dieci alfaniani pronti a sganciarsi. Da Aiello a D’Ascola, da Bilardi a D’Alì, da Compagna a Langella, da Caridi a Davico. Il filone Gentile-Viceconte è diverso dagli altri due in trattativa LA MOSSA DEL TONNO Il fiorentin-berlusconiano Denis vorrebbe poi candidare a governatore l’omonimo re del pesce in scatola che solo poco tempo fa espresse simpatie per il Movimento 5 Stelle con B., quello che fa capo a Schifani e quello che mette insieme Lupi, Saltamartini, De Girolamo e Casero, ed è curato direttamente da Verdini. Domenica primarie pd con rischio d’infiltrati azzurri Nel pacchetto rientra appunto la Calabria, secondo uno schema che “Denis” ha già sperimentato a Firenze quando mobilitò le truppe del centrodestra per far votare Renzi alle primarie del centrosinistra. Stavolta il candidato da aiutare è Gianluca Callipo del Pd, il trentenne che Renzi ha scelto per le primarie di domenica prossima, destinate a consacrare il candidato-governatore. Contro di lui Mario Oliverio, area non renziana del Pd, e Gianni Speranza di Sel. Racconta un esperto deputato calabrese: “Se domenica il voto è quello tradizionale Oliverio passa, se invece si mobilitano trasversalmente aumentano le chance di Callipo”. È il soccorso azzurro di Verdini e Gentile al giovane renziano. Non solo. Nelle stesse ore, l’ineffabile “Denis” sta tentando di convincere il cugino di Callipo, il più noto Pippo, re del tonno di simpatie grilline, a correre per il centrodestra. Una roba in famiglia, nel senso letterale della parola. L’intesa tra Callipo, inteso come Gianluca, e Gentile sarebbe in fase avanzatissima. Il quasi ex senatore Ncd farebbe una lista civica di centrosinistra dove candidare il già citato figlio Andrea, indagato. A destra, un altro segnale a favore di Callipo è poi arrivato dal sindaco di Locri, Giovanni Calabrese, di cui si è parlato giorni fa per la lettera scritta a Gesù contro gli assenteisti del suo comune. Calabrese è di centrodestra e ha fatto una clamorosa conferenza stampa: “Pur restando un uomo di destra, intendo contribuire alla realizzazione di un reale cambiamento, per questo appoggio Gianluca Callipo nella sua corsa alla guida della Regione Calabria”. Nelle urne delle primarie di domenica prossima in Calabria si voterà soprattutto per il patto del Nazareno modello Calabria. Da brividi. fd’e POTERI PER 18 MESI Sodano, il nuovo Vicerè della Napoli sospesa di Enrico Fierro inviato a Napoli da sempre l’uomo forte della giunta aranÈ cione. Il fedelissimo del sindaco “sospeso” Luigi de Magistris, il cardinale Richelieu di Pa- daco restano 24 voti su 48, pochi per andare avanti, si spera che l’unico consigliere di Sel confermi il suo sostegno così come ha fatto votando a favore del bilancio per arrivare a 25, ma nel partito di Vendola la discussione è ancora tutta aperta. In più dal 12 ottobre Sodano sarà il supersindaco dell’area metropolitana di Napoli, e si troverà a gestire i destini di 3 milioni e mezzo di persone. Ce la farà, giura chi lo conosce da anni, “Tommaso è abituato alla lotta politica dura”. Classe lazzo San Giacomo, come lo definiscono i suoi avversari. Insieme al colonnello dei carabinieri Attilio Auricchio, che a Palazzo San Giacomo è il deus ex machina, rappresenta uno dei due pilastri sui quali si regge l’avventura politica dell’ex pubblico ministero che ieri si è sfogato ancora: “L’Italia è una democrazia malata”, quasi un “regime”. Toccherà a Sodano, una laurea in scienze agrarie, tre figlie e una moglie innamorata cotta delle verdi colline della Nuova Zelanda, reggere per diciotto mesi, o forse meno, le traballanti sorti degli arancioni al Comune di Napoli. Impresa non facile, vista la sempre più risicata maggioranza che sostiene la Tommaso Sodano con Luigi de Magistris Ansa rivoluzione di Giggino. Senza il sin- 1957, Sodano si iscrive da giovanissimo alla Fgci, l’organizzazione dei giovani comunisti. Sono gli anni delle lotte operaie alla mitica Alfasud di Pomigliano d’Arco, la sua città, e dei primi comitati anticamorra. Lotta dura pure quella, quando tra Nola e Ottaviano, il regno di Raffaele Cutolo, dirigenti comunisti e socialisti venivano aggrediti, feriti o ammazzati. Di chiara fede ingraiana, nel senso di Piero Ingrao, scrittore, poeta e storico dirigente della sinistra del Pci, nel 1989 Sodano aderisce a Rifondazione. Prima assessore alla Provincia di Napoli, poi senatore della RepubULTIMO ATTO blica nel 2001, di nuovo assessore nel 2006, ma questa volta Luigi De Magistris con una carica importante per saluta: “Italia democrazia la Campania: presidente della commissione Ambiente. Il comalata, molta strada ronamento di anni di battaglie contro il business dei rifiuti e per evitare il regime” l’intreccio tra politica, affaristi e camorra. Anche grazie alle sue Ora la maggioranza denunce la Procura della Reè appesa a un voto pubblica di Napoli ha potuto aprire una serie di inchieste. Un’esperienza di lotta che Sodano ha raccontato ne La Peste, il libro scritto per Rizzoli insieme al nostro collega Nello Trocchia. Ma è il no secco alla costruzione di nuovi inceneritori ad avvicinarlo a de Magistris, che gli affida il ruolo di vicesindaco. PERSONALITÀ complessa, uomo di lotta e di go- verno, capace di muoversi nelle piazze come negli intricati palazzi del potere napoletano. Con qualche incidente di percorso che fa gridare allo scandalo i suoi avversari. Il primo è una condanna a 1 anno e quatto mesi, pena sospesa, per l’aggressione a una vigilessa di Pomigliano d’Arco durante una manifestazione di 500 commercianti che si opponevano alla costruzione di centri commerciali. Il secondo è una indagine per abuso d’ufficio aperta dalla procura napoletana per un contratto di collaborazione da 20mila euro fatto all’università di Bergamo per il “paes”, patto fra i sindaci europei per la crescita sostenibile. La collaborazione fu affidata senza gara, è l’accusa, la difesa di Sodano sostiene invece che la soglia dell’affidamento consentiva di evitare la gara. 6 M 5s, la Lombardi: “Bersani scusa, ero aggressiva” INABISSATO di Antonello S A VOLTE RITORNANO VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 Caporale e può volge gli occhi a terra e batte in ritirata verso casa. Se proprio deve saluta con disinteresse. Mano cortese ma veloce in modo che nemmeno la stretta balbettante abbia il sapore della rimpatriata. Il suo corpo attraversa le vie schermate, i corridoi bui, le caselle laterali del Parlamento. Enrico Letta viaggia a fari spenti, esattamente come dovette ammettere quando Matteo Renzi lo defenestrò da palazzo Chigi: “Siamo andati a fari spenti contro un muro”. Quel che a noi importa oggi invece è segnalare la meticolosità con cui l’ex premier realizza la sua deliberata scomparsa dalla attualità politica, la scienza che impiega nel defilarsi, la cura oggettiva con la quale attende alle sue future ambizioni seppellendo il presente, cassandolo dal diario. Letta è un unicum. Non esiste nella storia repubblicana un premier che sia scomparso dalla scena in modo così totale, all’apparenza definitivo. Perfino Mario Monti che ha subito la più larga forbice tra popolarità e contestazione, autorevolezza e sfiducia, devozione e dileggio, è riuscito a riaversi dopo un primo, legittimo turbamento emotivo. Monti è riapparso, e oggi se viene chiamato risponde, se è interrogato replica. Enrico no. Rendersi invisibile è un arte, e lui riesce dove nessuno è riuscito. Resiste nell’ombra senza che il nero gli faccia paura. Nessuno oramai più chiede: ma dov’è Letta? Letta è divenuto un ologramma. LETTA OGGI è a Parigi, in- segna a Science Po, all’istituto di politica più accorsato d’Europa. Si è affacciato sul Corriere della Sera, muovendo passi prudenti, con uno scritto sul referendum Scozia. Ad Avvenire ha inviato una lettera per perorare Mare Nostrum, la scelta di accogliere e non respingere l’immigrazione dall’Africa. Piccoli punti luce. Lui c’è, anche se parla d’altro. Il giovedì e il venerdì è a Parigi, come detto, città a due ore da Bruxelles, la città amata, il destino naturale delle sue scelte, la meta della sua am- L’ULTIMO SCONTRO Aveva lasciato Palazzo Chigi accusando Dario Franceschini di averlo tradito. Tra i due c’è stato un litigio, pare che siano volate cartellate A DISTANZA di più di un anno di tempo, Roberta Lombardi del Movimento 5 Stelle ha chiesto scusa a Pierluigi Bersani. Ieri al programma di Rai Radio2 “Un Giorno da Pecora”, l’ex capogruppo grillina è tornata sul celebre incontro in streaming con l’allora leader del Pd, che aveva chiesto al M5S la fiducia per formare il governo. In quel caso, la Lombardi aveva accusato Bersani, chiedendogli “Ma che stiamo a Ballarò?”. Ma a Rai Radio2, ieri, la deputata si è scusata per l’aggressività mostrata in quell’occasione. “Non ho più parlato con Bersani dopo quello streaming, - ha il Fatto Quotidiano detto - ci si incrocia in aula e siamo nella stessa Commissione, ma lì non l’ho mai visto. Mi dispiace, comunque, che lui l’abbia presa così male”. Gli vuole chiedere scusa? “Sì, scusa Bersà, mi dispiace che te la sei presa, la mia aggressività era dettata dalla timidezza. Ero aggressiva ma tanto timida”. “Non parlate di me”: la strategia dell’invisibile Letta DOPO LA DEFENESTRAZIONE, L’EX CAPO DEL GOVERNO RIPARTE DA PARIGI, DOVE INSEGNA. MA PUNTA ANCORA A BRUXELLES bizione. Il week end in famiglia, il martedì e il mercoledì alla Camera ma solo se si vota, e solo quando è necessario, e per il tempo indispensabile a mostrare la sua ombra. Ha sradicato la sua corrente, e sbullonato i suoi amici (in verità pochini) dalla necessità di tenere botta in questi tempi tristi. Chiuse le caselle dell’Arel, di Vedrò, la posizione in Aspen. I cosiddetti think thank, sofisticati congegni che regolano le relazio- ni tra potenti, le espandono, le infittiscono e le fanno confluire, se il successo arriva, al centro della conquista, nel luogo in cui il potere si rappresenta. Ha liquidato - strategicamente - ogni attività politica romana. Restituito la PORTFOLIO L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta Ansa Foto di Umberto Pizzi Antirenziani e filotedeschi COME ANGELA La presidente Rai, Tarantola, sorride: pensa a un futuro da Merkel de’ noantri ÜBER ALLES ABBASSO IL MURO All’ambasciata tedesca in Italia si festeggiano i 25 anni della riunificazione della Germania. Bertinotti manda avanti la moglie AMARCORD Un’immagine vecchia come il Muro: Monti e il suo ex superministro Passera Valeria Fedeli del Pd con Casini e Amato. I tre hanno appena cantato l’inno tedesco GIGLIO MAGICO Tiscar, l’amico ciellino di Matteo prende potere di Wanda Marra Patrimonio e alla Casa. Fino al ’94, quando si candida sempre iscar ti scardina”: era il 1990 quando Raffaele Tiscar correva col Ppi. I rapporti del premier Raffaele Tiscar Facebook per la sua (seconda) campagna elettorale alle comunali di che contano affondano tutti Firenze. Utilizzando uno slogan che sembra precorrere il tor- sulle rive dell’Arno: Tiscar mimentone della rottamazione renziana. Sono passati 24 anni e litava nella Dc, insieme al padre Tiziano. Anche se erano di Raffaele, detto “Lele” Tiscar è approdato a Palazzo Chigi, come due correnti diverse: demitiano il primo, ciellino il secondo. E vicesegretario generale. Nominato a maggio da Renzi, è con- qui sta il punto: Tiscar è vicino a Cl, da sempre. Già nei primi siderato uno degli uomini in questo momento a lui più vicini. anni ’80 militava nel Movimento popolare. Un mondo con il Decisamente poco mediatico e rimasto ancora “sotto traccia” è quale Renzi non va d’accordo, ma che gli serve: non è andato al in perenne ascesa nella classifica degli equilibri del posto. Ha Meeting di Rimini quest’estate, ma alla vigilia dell’evento ha tutte le carte in regola per questo: è di origini toscane, poli- rilasciato un’intervista a Tempi. Un modo per marcare una ticamente parlando, come tutti i componenti di spicco del “Gi- differenza, ma anche per tenere rapporti che contano. E che glio magico” di Matteo ed è stato molto legato negli anni alla per molta parte sono gestiti dal fido Marco Carrai. parte più aziendalista di Forza Italia, un mondo che al premier è Un altro possibile legame tra l’attuale vice segretario a Palazzo indispensabile. Chigi è il premier. Seguendo il curriculum di “Lele”, si scoprono altri nessi importanti: in Parlamento ci è rimasto solo L’ASCESA DI TISCAR, descritto da tutti come un uomo estre- una legislatura (dal ’92 al ’94), poi è andato al Pirellone, nella mamente efficiente, va in parallelo con la discesa di Mauro Bo- giunta regionale guidata da Formigoni, come dirigente, per naretti, segretario generale della Presidenza del occuparsi di programmazione e sviluppo. Consiglio. L’ex city manager di Reggio Emilia, Quindi è passato nel privato, lavorando coreo di essere stato voluto dal Sottosegretario me country manager per due multinazionali LARGHE INTESE alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio, del settore delle acque come Rwe e Suez, e poi ormai finito nel cono d’ombra, viene dato peFiera Milano. Il vicesegretario generale in rennemente sulla porta d’uscita, surclassato Nel 2005 è tornato in Regione come direttore dalla ex vigilessa, Antonella Manzione, il capo regionale delle reti e da tre anni si era spoè sempre più forte. del Dagl (ovviamente toscana) che ha in mano stato in Finlombarda. Prima di arrivare a RoNel curriculum: la Dc tutta la macchina legislativa e dallo stesso Tima. Solidissimi rapporti, dunque, con la parscar. Che gestisce molti dossier tecnici. te di Forza Italia che non fa capo a Denis con il padre del premier Classe 1956, origini baresi, Tiscar a Firenze ci è Verdini, con il quale Renzi intrattiene raparrivato all’università. Poi è stato consigliere porti da sempre. Utile, dunque, per allargare e la vicinanza con comunale dal 1985 al 1992 per la Dc prima, e il campo. Perché le intese più larghe sono, Formigoni e con Fi per il Ppi poi. Tra il ’90 e il ’92 è assessore al meglio è. T sua segreteria al partito, e i nemici al destino. È rimasto solo, come desiderava. La vita non finisce qui, e lui lo sa. È riuscito a fare gli auguri di pronta guarigione con un tweet persino a Dario Franceschini, col quale non solo a parole (sembra che tra i due siano volate cartellate) aveva chiuso la difficile pratica governativa, indicando nell’ex amico Dario il “traditore”, colui che lo aveva venduto palazzo Chigi a Matteo. Le parole in politica non sono pietre e il tradimento, se c’è stato, è declassato a prova di vita intensa, esercizio necessario, onere permanente di una scelta, la corsa verso il potere, che non ammette cautele o dispiaceri. “Enrico vuole che nessuno parli a suo nome”. Piano piano la voce s’è sparsa nel suo gruppo, ancora tramortito dagli eventi di febbraio, e ciascuno ha tenuto fede all’impegno. “Enrico lo sento, fa le sue cose, coltiva finalmente i suoi interessi: la politica europea”, dice Guglielmo Vaccaro, deputato del cerchio, quando il cerchio c’era. IL GIOVANE LETTA era a un passo dal divenire presidente del Consiglio d’Europa. Il suo curriculum è eccellente: a 38 anni è già stato due volte ministro, una volta sottosegretario alla presidenza e poi addirittura premier. C’è di meglio in giro? Ma Renzi lo ha impallinato, e anche questa è la conseguenza logica del potere. “Tutti tranne Letta”, disse ai partners. E così è stato. Enrico sicuramente lo aveva previsto. Dispiaciuto lo sarà stato, ma sorpreso no. C’è da attraversare il deserto, ma forse il cammino sarà più breve. Resta sempre il nipote di Gianni, e il suo nome in un domani molto prossimo sarà di nuovo in pista. Bruxelles, Francoforte, e persino, forse, Roma. In politica il pendolo è infallibile, si scompare e si ricompare. C’è il Quirinale sullo sfondo e basta avere pazienza. Si salta il prossimo giro, ma se si resta in forma, si è perfetti per quando si dirà: “Servirebbe una personalità come Enrico Letta”. COLPI DI SPUGNA il Fatto Quotidiano G enerali, Scaroni lascia prima del voto dell’assemblea Il presidente del Senato di Gianni Barbacetto P artorito ieri un nuovo testo sull’autoriciclaggio, dopo mesi di rinvii e contrapposizioni. Si sono messi attorno a un tavolo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quello dell’Economia, Pier Carlo Padoan, e quello delle Riforme, Maria Elena Boschi. Uno dei nodi da sciogliere era quello della soglia: secondo il testo proposto una settimana fa dal ministro della Giustizia, l’autoriciclaggio sarebbe perseguito soltanto quando il reato presupposto (quello che ha prodotto i soldi sporchi da ripulire) è punibile con una pena superiore a 5 anni. Contrario alla soglia era invece il ministro Padoan, che vorrebbe veder punito per autoriciclaggio anche chi reimpiega fondi neri ottenuti con reati economici e fiscali. Il compromesso raggiunto ieri diversifica le pene: da 2 a 8 anni sopra quella soglia, da 1 a 4 sotto. Ma nel testo che circola, al comma 3, si dice che non c’è il reato “quando il denaro, i beni o le altre utilità vengono destinate alla utilizzazione o al godimento personale”. E per cos’altro dovrebbero essere impiegati? Questo comma finisce per azzerare del tutto l’autoriciclaggio. Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, aveva proposto misure anticorruzione, tra cui l’autoriciclaggio, appena entrato in Parlamento, un anno e mezzo fa. Per il suo ruolo attuale di presidente del Senato non commenta un testo ancora non definitivo. Ma, più in generale, denuncia ritardi e insufficienze negli interventi sulla giustizia. Al festival del Diritto di Piacenza, qualche giorno fa, lei si era fatto una domanda: “Mi chiedo quali interessi blocchino la mia legge sulla corruzione”. È riuscito a darsi una risposta? Non mi piacciono le dietrologie, registro i fatti: dal 15 marzo 2013 la mia proposta è ancora in commissione Giustizia in Senato. Ce n’è una alla Camera che affronta alcuni degli stessi temi. Il ministro ne ha promesse altre. Eppure non si va avanti. È evidente che ci sono diversità di vedute su come introdurre il reato di autoriciclaggio. C’è chi, per la GENERALI in una nota ha reso noto che il consigliere di amministrazione indipendente Paolo Scaroni, Presidente del Comitato per la Remunerazione e membro del Comitato per le Nomine e la Corporate Governance di Generali, ha comunicato oggi al Presidente della Compagnia, Gabriele Galateri di Genola, le proprie dimissioni dal Consiglio. La decisione è legata a nuovi impegni lavorativi che “ren- dono difficile svolgere con la dovuta dedizione l’incarico di Consigliere e potrebbero determinare eventuali conflitti d’interesse”, è spiegato nella nota. In realtà la posizione di Scaroni traballava: fra pochi giorni l’assemblea di Generali doveva votare sul suo reintegro dopo che lui si era auto sospeso dopo la condanna in primo grado per la vicenda della centrale di Porto Tolle. Piero Grasso: “Soldi sporchi, così hanno fermato la mia proposta” ovvero aggiungere che nei casi di lieve entità sia prevista solo la pena pecuniaria e non il carcere, mantenendo però tutte le pene accessorie: confisca, decadenza e revoca delle concessioni e delle autorizzazioni, divieto di contrattare con la pubblica amministrazione, interdizione dai pubblici uffici e così via. Chi frena sull’autoriciclaggio obietta che la stessa persona rischia di essere punita più volte per lo stesso comportamento. Piero Grasso Ansa AUTORICICLAGGIO BOICOTTATO Il mio testo originale colpiva i reati economici della mafia e quelli dei colletti bianchi. Solo così sarà possibile garantire l’integrità del nostro sistema economico propria esperienza, è più sensibile alla lotta antimafia e chi preferirebbe introdurre il nuovo reato per contrastare la criminalità economica. Poi c’è qualcuno che proprio non lo vuole... Ci sono proposte diverse, ma sulla mia ultimamente si è fatta un po’ di confusione. Quella che lei ieri ha definito “linea Grasso” è in realtà quella del testo unico in discussio- ne in commissione, redatto dal relatore D’Ascola sulla base del mio e di numerosi altri disegni di legge. Naturalmente la dizione è “Grasso e altri”, ma è ben lontana dal mio testo originale che, al contrario di quanto da lei scritto, colpiva sia i reati economici della mafia che quelli dei colletti bianchi, insomma qualsiasi reato che genera profitto. Solo così si può garantire l’integrità del sistema economico e finanziario e recuperare miliardi di euro alle casse dello Stato. È accettabile la soluzione di compromesso, che sotto i 5 anni, prevedendo pene minori, non dà la possibilità di intercettare? Nella mia proposta originaria avevo previsto una pena da 1 a 6 anni, anche per consentire l’utilizzo delle intercettazioni, così come avevo previsto l’attenuante speciale per chi collabora con la giustizia e le aggravanti per professionisti, pubblici ufficiali e intermediari finanziari. Lunedì scorso, a Milano, avevo proposto io stesso una soluzione di accettabile compromesso, Sono reati diversi che tutelano interessi diversi: il patrimonio, l’integrità dell’economia, l’interesse della pubblica amministrazione e via dicendo. Nel nostro codice l’ipotesi è già regolamentata dal “reato continuato”: non si sommano le pene. Nel caso di più reati, si applica la pena del reato più grave con solo un aumento per gli altri. Oltre all’autoriciclaggio, quali sono le misure più urgenti che dovrebbero essere introdotte per combattere la corruzione? L’introduzione della figura del collaboratore di giustizia. L’eliminazione della punibilità del privato vittima di abusi nella corruzione per induzione. L’aumento della pena nel traffico di influenze illecite. La revisione della corruzione tra privati. Il ripristino della punibilità del falso in bilancio. La revisione dei reati societari. Tutto questo sotto il profilo della repressione, poi occorre intervenire anche sulla prevenzione. Ma il problema più grande resta quello etico e culturale. Non è necessario intervenire anche sulla prescrizione? Ho sempre detto che la cosa migliore sarebbe intervenire in senso generale, per tutti i reati, sospendone il decorso dopo il rinvio a giudizio. VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 7 IL “GODIMENTO” Affondano anche il reato di riciclaggio LA NUOVA NORMA INDEBOLISCE ANCHE QUELLA GIÀ IN VIGORE ui, “oltre a bloccare il reato di autoriciQ claggio, stanno depenalizzando anche il riciclaggio”. Un magistrato esperto in reati fi- nanziari commenta le conseguenze del testo partorito dal governo sull’asse Renzi-Boschi-Ghedini (con l’ostilità del ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan) sul reato che, come previsto dalla convenzione Ocse di Strasburgo del 1999 firmata dall’Italia e mai convertita in legge, dovrebbe punire chi ricicla i soldi sporchi dei suoi reati per “lavarli” in attività lecite e poi utilizzarli “puliti”. L’ULTIMA TROVATA di Palazzo Chigi è una causa di non punibilità per chi ricicla il suo denaro sporco a scopo di “godimento personale”. Ma, dicono gli inquirenti, tutti i criminali che ripuliscono il loro denaro lo fanno per godersi personalmente il frutto delle attività illecite. “Poniamo il caso di un rapinatore che prende la refurtiva e l’affida a uno spallone, il quale gliela porta in Svizzera sul conto cifrato di una fiduciaria. Poi il rapinatore va in Svizzera e preleva i quattrini per farsi la villa a St. Moritz. Dunque gode personalmente del suo profitto illecito. Con la causa di non punibilità, non può Francesco Greco essere processato per autoriciclaggio. Ma la causa di non punibilità si applica anche allo spallone e al titolare della fiduciaria che concorrono nel suo reato, avendolo aiutato a riciclare i suoi soldi: oggi quei due sono punibili per il reato di riciclaggio, domani non più. Bel risultato davvero: la legge che dovrebbe punire l’autoriciclaggio viene svuotata in modo da non punire né l’autoriciclaggio, né il riciclaggio”. A QUESTO PUNTO, osserva il magistrato, mol- to meglio non fare nessuna legge: “Almeno qualche riciclatore, col reato di riciclaggio, riusciamo ancora ad acchiapparlo”. Ieri, dopo i continui rinvii in commissione Finanze e le continue riscritture del testo della “riforma” tra la presidenza del Consiglio e i ministeri delle Riforme, della Giustizia e dell’Economia, si è tenuta l’ennesima riunione con i ministri Boschi, Padoan, Orlando e il viceministro Casero, tagliando fuori i parlamentari più impegnati, che in commissione avevano già approntato un buon testo, giudicato efficace dal procuratore aggiunto di Milano Francesco Greco. Padoan ha spiegato quanti miliardi si recupererebbero con l’effetto-tenaglia di autoriciclaggio e norme per favorire il rientro dei capitali. Ma le sue osservazioni continuano a scontrarsi con uno scoglio invisibile quanto insuperabile: il Patto del Nazareno. 8 ALL’ITALIANA VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 Ea processo vasione: le figlie di Gucci e la nonna PER UN’EVASIONE fiscale da poco meno di 4,5 milioni ciascuna, Alessandra e Allegra Gucci, figlie di Maurizio Gucci, l’imprenditore della moda assassinato a Milano nel 1995, e di Patrizia Reggiani, che per quell’omicidio è stata in carcere 16 anni, sono finite sotto processo as- sieme alla nonna Silvana Barbieri. Il dibattimento in corso davanti alla terza sezione penale del Tribunale è alle battute iniziali e tra gli imputati, oltre alle due ereditiere della maison del lusso e alla nonna, figura, in concorso con loro, l’avvocato Fabio Franchini. A chiedere e ottenere il rinvio a il Fatto Quotidiano giudizio è stato il pm Gaetano Ruta che ha contestato alle sorelle Gucci, residenti in Svizzera, assieme al loro “consulente legale” il reato di omessa dichiarazione dei redditi. Reato che avrebbero commesso tra il 2004 e il 2010: Alessandra, 37 anni, è accusata di un’evasione di circa 4 mi- lioni e 485mila euro mentre Allegra, 33 anni, di un’evasione di circa 4 milioni e 446mila euro. La nonna ultraottantenne e madre di Patrizia Reggiani, ha omesso invece di presentare la “dichiarazione fiscale” per il 2008 evadendo il fisco per un importo di 88mila e 842 euro. DEF, L’OUTING DI RENZI: RIFORME AL PALO, BUTTIAMO 7,5 MILIARDI I DECRETI ATTUATIVI DELLE PASSATE MISURE E QUELLE PER LA CRESCITA AL PALO COSTANO LO 0.5% DI PIL. MALE IL PAGAMENTO DEI DEBITI DELLA PA. JOBS ACT INUTILE di Stefano 0,5 PIL IL COSTO Feltri O ps abbiamo sbagliato, se l’Italia è di nuovo in recessione è (anche) colpa nostra. È questo il messaggio tra le righe della Nota di aggiornamento del Documento di economia e finanza, cioè la base su cui verrà impostata la legge di Stabilità. Nel testo elaborato dal ministero del Tesoro e approvato dal Consiglio dei ministri di martedì, ma pubblicato ieri, si legge che la colpa della mancata crescita italiana è da dividere a metà tra crisi internazionale e errori del governo. LE PREVISIONI sulla crescita economica in questi anni sono sempre sbagliate. Il Tesoro ha toppato completamente: ad aprile stimava per il Pil 2014 un +0,8, nella Nota di aggiornamento deve ammettere che invece si ridurrà di -0,3. Una differenza di oltre un punto percentuale, enorme. Nella Nota i tecnici del ministro Pier Carlo Padoan spiegano che le stime del governo erano solo di poco superiori (0,1) rispetto a quelle del consensus, cioè della media delle aspettative delle principali istituzioni e società di previsione. Il problema è che sono cambiate alcune delle variabili di fondo. È scoppiata la crisi ucraina, poi quella di Gaza, la Libia è sprofondata nel caos, l’Isis ha iniziato la sua campagna di terrore: tutto questo ha ridotto la crescita di mezzo punto di Pil, un -0,5 attribuito a “variabili esogene internazionali”. Il resto è colpa dell’Italia, del governo e della burocrazia. La diagnosi, scritta da Padoan ma sottoscritta da Renzi, è implacabile: “Le riforme effettuate pur avendo iniziato a produrre un miglioramento strutturale non sono state ancora in grado di invertire la tendenza ciclica, mentre il policy mix continua a rimanere non favorevole influenzando pertanto in senso negativo l’andamento della domanda aggregata”. Tradotto dal gergo ministeriale: le scelte del governo Renzi non hanno aggredito la crisi, forse hanno messo la base per la crescita di un domani lontano, ma per ora non producono effetti. Le misure che dovevano contrastare la recessione non stanno funzionando. Il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione, per esempio: i soldi sono stati stanziati, in gran parte erogati agli enti che devono pa- DELLA STASI LA SQUADRA Il ministro Pier Carlo Padoan e Matteo Renzi LaPresse L’ALTRA SORPRESA Nel Documento di programmazione economica anche un aumento dell’Iva da 12 miliardi se l’esecutivo non riesce a ridurre il debito gare, ma arrivano alle imprese in modo “più graduale” del previsto. E questo determina una crescita mancata di 0,5 punti di Pil, circa 7,5 miliardi di euro. Il premier rivendica di aver risolto il problema, combinando vari meccanismi di pagamento, ma l’effetto benefico sull’economia non si vede. Può consolarsi, però: anche i miracoli promessi dai suoi predecessori, Mario Monti ed Enrico Letta, non stanno dando i risultati previsti: le riforme 2012-2013 (con i vari Cresci Italia, Semplifica Italia, decreti sviluppo ecc) sono sotto le attese dello 0,2 per cento del Pil. Unico segno in controtendenza: il decreto che ha stabilito il bonus da 80 euro, il punto più forte del programma di Renzi. Ha contribuito in modo positivo alla crescita. Ma di quanto? “Il provvedimento, pur pienamente operativo a partire dalla seconda metà del 2014, presenta un valore positivo soltanto dal 2015”. Quindi per ora proprio nessun beneficio, se non il 40,8 per cento ottenuto dal Pd nelle ultime elezioni europee. Il governo scrive anche che la riforma della Pubblica amministrazione, ancora in corso, non produrrà un aumento del PIl di 0,2 nel 2015, ma solo di 0,1. E quella del Lavoro non di 0,3 ma un terzo, cioè 0,1 (segno che abolire l'articolo 18 non innescherà alcun boom), anche l’impatto delle “misure per la competitività” è dimezzato, da 0,2 a 0,1. I MIRACOLI si rivelano sem- pre virtuali, le cattive sorprese future concrete: la prima nel Def è un possibile aumento dell’Iva che vale 12,4 miliardi nel 2016 e sale fino a 21,4 nei due anni successivi, un salasso che scatta in automatico se il governo non riesce a ridurre il debito secondo il ritmo previsto dai vincoli europei in modo da arrivare al pareggio di bilancio nel 2017. E questo è soltanto l’inizio, la sessione di bilancio è appena cominciata. SOLO QUALCHE FUMOGENO Il corteo anti-Bce fila liscio: delusi solo i gufi di Enrico Fierro inviato a Napoli ufi, civette (che qui chiamano ciucciuettole) e corvi G sono sistemati: Napoli non è stata messa a ferro e fuoco dal corteo contro la Bce. Per giorni i giornali hanno titolato su allarmi e pericoli di devastazione da parte dei black-bloc, pubblicato mappe di inesistenti zone rosse e piani di difesa delle migliaia di poliziotti e carabinieri schierati. Gli editorialisti più fantasiosi si sono spinti fino a ipotizzare collegamenti con gli incidenti (che sicuramente ci sarebbero stati) e le ardite dichiarazioni del sindaco de Magistris contro la magistratura, il Capo dello Stato e il giudice che lo ha condannato, e soprattutto con la sua ostinazione a non dimettersi invece di farsi semplicemente sospendere. Non è andata così. Gli incidenti ci sono stati, ma solo in un punto preciso della città, lontano dal centro e a qualche centinaia di metri dalla Reggia di Capodimonte sede del vertice. Quando per fermare un uomo, uno solo, che tentava di superare una cancellata off-limits per esporre uno striscione contro la riunione dei banchieri europei, la polizia ha usato gli idranti e sparato i lacrimogeni contro tutti i manifestanti. Eppure il corteo stava passando velocemente e gli “incappucciati, che però avevano il volto coperto da una maschera di Pulcinella, si interponevano tra la folla e il cordone di poliziotti. È durato poco e nessuno si è fatto male, ma tanto è bastato perché siti e agenzie di stampa titolassero solo su quello. Per il resto il corteo ha attraversato buona parte della città e uno dei quartieri più popolari, la Sanità di Totò, senza distruggere un bancomat, sfondare una vetrina, imbrattare un monumento. Disoccupati, marginali, senza casa, studenti senza futuro, ambientalisti delle varie terre dei fuochi, hanno alternato il rap alla più popolare “Jamme, ja” di Nino D’Angelo e Maria Nazionale. Finale con i botti, mortaretti, sparati a piazza della Borsa per la liberazione di un attivista fermato. E i gufi sono rimasti a bocca asciutta. Anche per loro vale lo slogan della manifestazione. Jatevenne, che a Napoli significa andatevene. Ma è più forte perché accompagnato da un esplicito gesto della mano. Vertice: Draghi parla, la Borsa sprofonda LA BANCA CENTRALE PRONTA AD ACQUISTI PER MILLE MILIARDI MA NON TITOLI DI STATO: MILANO -3,9% E NE BRUCIA 19 di Carlo Di Foggia ome i manifestanti a Napoli, anche i mercati attenC devano le mosse di Mario Dra- ghi. Ieri, il numero uno della Banca centrale europea, nonostante la promessa che gli interventi finora messi in campo (Tltro, Abs e Covered bond) potrebbero raggiungere quota “mille miliardi”, non ha però usato toni decisi sulle future mosse di Francoforte. Il responso è stato un tonfo pauroso: giù tutti i listini europei, con Milano che ha perso il 3,9 % (19 miliardi bruciati), in una giornata che ha visto in fumo 222 miliardi in capitalizzazione. I mercati da tempo scommettono sull’acquisto di titoli di Stato dei Paesi in difficoltà, un vero e proprio quantitative ea- sing sul modello della Federal reserve americana che Draghi vorrebbe evitare e che la pressione tedesca cerca di scongiurare ad ogni costo. Secondo gli analisti, ieri l'ipotesi si è fatta ancora più remota. La Bce, ha spiegato Draghi da Napoli (dove il consiglio direttivo si è riunito per la prima volta nella sua storia), resta determinata “all'unanimità” ad avvalersi di altre misure straordinarie, se fosse necessario per evitare bassa inflazione. A settembre, la crescita dei prezzi del continente si è ulteriormente allontanata dall'obiettivo ufficiale della Bce: inferiore ma vicina al 2 per cento. Salvo ulteriori, pesanti, ribassi, però, Francoforte non metterà in campo misure aggiuntive. I mercati lo hanno capito, crollando all'unisono. po), limitandosi a spiegare che “gli acquisti potrebbero anche essere inferiori”. Un'ipotesi addirittura ottimistica secondo gli analisti di Unicredit: “Abbiamo il sospetto che saranno molti meno”. IERI, DRAGHI ha svelato i det- Mario Draghi a Napoli Ansa Tanto più che dopo l’esito deludente della prima tranche dei prestiti Tltro alle banche nessuno sembra disposto a scommettere che la cifra finale si aggirerà davvero intorno ai mille miliardi. Cifra che peraltro l'ex governatore di Bankitalia non ha fissato come obiettivo (difficile da stabilire così in antici- tagli dell’atteso programma di acquisto di titoli Abs (mutui cartolarizzati che appesantiscono i bilanci delle banche) che sulla carta dovrebbe provare a resuscitare i credito bancario: avrà una durata di almeno due anni e verrà lanciato a partire da metà ottobre, presumibilmente dopo l'acquisto dei “covered bond” (titoli assimilabili agli Abs). La vera novità, su cui pesava non poco l'ostilità tedesca, è che l’Eurotower acquisterà anche titoli dalle disa- strate banche di Cipro e Grecia, ma solo finché restano all’interno dei piani di risanamento imposti dalla Troika. Il presidente della Bce è intervenuto anche sul tema del deficit, dopo che la Francia ha annunciato un disavanzo di bilancio al 4,4 per cento del Pil nel 2014 e al 4,3 nel 2015, ben oltre la soglia del 3 imposta dal trattato di Maastricht. I Paesi dell'area euro, ha ammonito Draghi, “non dovrebbero vanificare i progressi già conseguiti ma procedere in linea con le regole del patto di stabilità e crescita”, ribadendo un concetto già espresso nelle ultime settimane (già illustrato al premier Matteo Renzi nell'incontro di Città della Pieve dello scorso agosto): “Bisogna accelerare sulle riforme strutturali e del lavoro”. LOBBY SÌ, DIRITTI NO il Fatto Quotidiano A ppalti, la Cgil presenta il suo decalogo all’Autorità Sblocca mazzette di Davide Vecchi V Milano isto che Renzi ha spiegato al Paese di essere autonomo dai poteri forti ha un’occasione per dimostrarlo in concreto: rivedere le concessioni autostradali inserite nello Sblocca Italia”. Giuseppe (Pippo) Civati, ex rottamatore e oggi minoranza dura e pura del Pd, accantona le polemiche interne al partito e boccia i contenuti del decretone. Cosa contiene che non va? Un sacco di cose, tra cui il passaggio sui commissari del Tav che possono superare le obiezioni delle sovrintendenze, un altro RIDUZIONE DEL NUMERO delle stazioni appaltanti e delle centrali di spesa; lotta al massimo ribasso; individuazione di una “dimensione sociale” della riforma del codice appalti; applicazione del contratto “prevalente” contro il “Far West”; una legge di iniziativa popolare che dia garanzie ai lavoratori impiegati nelle filiere degli appalti. Questi in estrema sintesi i punti centrali della proposta della Cgil per “determinare un cambio sostanziale in tema di appalti”. Il sindacato di Susanna Camusso li ha elencati ieri nel corso di un seminario svoltosi alla presenza del presidente dell’Autorità VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 anticorruzione, Raffaele Cantone. Il tema è strettamente connesso alla riforma del mercato del lavoro e alla modifica dell’articolo 18. “La libertà dei licenziamenti che si sta per creare con la modifica dell’art.18 ha sostenuto Susanna Camusso - può provocare un disastro nel sistema de- 9 gli appalti”. “In tanti appalti dei servizi, - ha aggiunto il segretario della Cgil ci sono già situazioni quasi al paradosso. La modifica trionfalmente annunciata del licenziamento per motivi economici sarebbe la regola per cui ogni situazione di cambio appalto si risolverebbe con un licenziamento”. Pippo Civati “Regalo alle autostrade, Pd e governo lo cancellino” sulla concorrenza e rischiamo sanzioni concrete oltre ai richiami verbali arrivati sino a ora. Persino Raffaele Cantone, che non è un gufo della fronda Pd per capirci ma il commissario nominato da Renzi contro la corruzione, ha bocciato la norma sulle concessioni. Stralciare o abrogare la norma, poi dipende dai passaggi: al momento è un decreto in conversione. Ma così come è non va bene. Si devono fare le gare, seguire le procedure e compiere un lavoro molto trasparente, proprio come chiede soprattutto Cantone. Esatto, figure al di sopra di ogni appartenenza chiamate a svolgere un ruolo di verifica e controllo. Esterne al dibattito politico. In tre arrivano alla stessa conclusione, vogliamo ascoltarli? La questione è seria. Lo Stato potrebbe riprendersi le autostrade o tagliare il costo dei pedaggi, non certo economici. In linea con Fabrizio Balassone di Banca d’Italia e Giovanni Pitruzzella dell’Antitrust. Lei che propone? Guardi che poi le dicono di essere contro l’innovazione infrastrutturale. Andiamo con ordine. Le concessioni di qualche decennio fa sono scadute, giusto? Ed è una grande risorsa per perché quando una concessione scade significa che l’investimento iniziale è stato completamente ammortizzato e quindi il bene torna nella disponibilità dello Stato a titolo gratuito. È finita una partita, dunque se ne apre una tutta nuova? Lo Stato ha diverse opzioni, fra l’altro. Può dare l’autostrada in gestione a un privato, attraverso una gara a evidenza pubblica, oppure può gestirla direttamente incassandone i proventi. Semplice. E invece? Invece nell’articolo 5 dello Sblocca Italia hanno accor- pato le concessioni scadute a quelle prossime alla scadenza, eludendo così una gara e riaffidando direttamente le concessioni. Senza nessun tipo di confronto, di appalto, niente. Insomma che si stia rischiando di violare la norma sulla concorrenza è evidente a chiunque. rebbe per questo esecutivo. Principianti al potere? Lecito, infatti è intervenuto Cantone e con lui altri organismi a dire ‘così non va bene’. Ci manca anche di prenderci una multa dalla Ue per questo. Esatto, per il momento non ci va nessuno, non la usa nessuno anche perché è cara, quindi nessuno paga il pedaggio e chi la ripagherà? Le banche? Ho qualche dubbio. Magari durante la stesura e lettura non se ne è accorto nessuno. Non sarebbe la prima sanzione che prendiamo. Lo sa- No guardi, con le polemiche per questa settimana ho già dato. Penso al concreto. E di concreto c’è anche un altro rischio: vedere realizzate strade totalmente inutili solo per legittimare la concessione. Tipo la Brebemi, l’autostrada che corre praticamente parallela alla Milano Venezia? [email protected] Giuseppe (Pippo) Civati LaPresse VITALIZI L’ex consigliere condannato: non lo mollo causa di una condanna A definitiva per concussione, non ha diritto al vita- LEGGI FURBETTE È un decreto alla Berlusconi, contiene tutto. E rischiamo una mega sanzione dalla Ue. Persino Cantone, che non è un gufo, ha bocciato la norma lizio da consigliere e la Regione Calabria glielo revoca chiedendogli la restituzione di quello percepito negli ultimi tre anni. “Io me ne fotto, per dirla alla calabrese”, è stata la risposta di Enzo Sculco, un tempo consigliere regionale della Margherita che ostenta serenità nonostante la Regione pretenda da lui 100mila euro: “Non sarò il capro espiatorio. Per quel vitalizio ho versato 1.200 euro al mese per 5 anni. La cifra che devo restituire deve essere corretta”. Il Consiglio regionale ha valutato retroattivamente una legge del governo Monti secondo cui il vitalizio non spetta ai politici condannati per reati contro la pub- sull’edilizia molto simile a quella delle giunte Formigoni con la semplificazione per chi costruisce. Poi le autostrade. È un decreto molto berlusconiano, molto lupigno come dice Camilleri. In pratica c’è di tutto, si sapeva. Sì, ma sulle concessioni autostradali violiamo le norme blica amministrazione: “Sono stato condannato perché un dirigente della Provincia, che aveva il compito di sostituire le porte di un liceo, ha dichiarato di non essere mai stato minacciato da me, ma di aver pensato che se non avesse dato il lavoro a una determinata impresa, gli avrei tolto le deleghe per le politiche comunitarie”. Dovranno restituire il vitalizio altri due ex di Palazzo Campanella: Giuseppe Tursi Prato e Mimmo Crea. “Rivogliono il vitalizio - aggiunge Sculco – ma quanti deputati sono stati condannati nei 70 anni di Repubblica?”. Sculco cita l’ex segretario della Dc Arnaldo Forlani: “Non so se Forlani è vivo (compie 89 anni a dicembre, ndr). Se non lo fosse anche sua moglie deve restituire la reversibilità, visto che è stato condannato per Enimont”. Lucio Musolino Tfr in busta paga? Anche Poletti frena: è difficile ART. 18, FORZA ITALIA RITIRA IL “SOCCORSO AZZURRO”. GOVERNO APPESO A UN ORDINE DEL GIORNO. IL PAPA: PRIMA IL LAVORO POI L’ALTA FINANZA di Salvatore Cannavò l Tfr in busta paga è ancora in alto I mare. Ieri il ministro Giuliano Poletti ha sottolineato che è “in corso an- cora una riflessione” nel governo e e che i problemi sono aperti. Parole analoghe a quelle del ministro dell’Economia, Padoan. Il governo ha avuto un assist da parte del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha assicurato che le banche italiane lo vogliono, i fondi della Bce possono essere utilizzati allo scopo. E un altro supporto viene da Sergio Marchionne, che si è detto favorevole. Ma le soluzioni operative al momento appaio molto complicate perché se con una mano si accontentano alcuni settori con l’altra se ne scontentano altri. Ad esempio le imprese che appaiono molto preoccupate. La coperta è corta anche sull’articolo 18. Le aperture fatte da Matteo Renzi alla minoranza del Pd - mantenimento del reintegro anche per i licenziamenti disciplinari - provocano frizioni a destra. E così, Forza Italia garantisce, con il suo capogruppo al Senato, Paolo Romani, che non ci sarà “nessun soccorso azzurro” al governo. Immediata, e spavalda, la risposta di Renzi: “Non c’è il soccorso? Wall Street trema”. secondo il quale “la norma così com’è scritta ci consente di fare già ciò che si vuole fare”. L’emendamento, quindi, non è necessario perché “il problema è puramente politico”. Una posizione che ha fatto infuriare sia la minoranza Pd che la Cgil. “Il governo non può fare come vuole” ha detto Susanna Camusso. La scappatoia al problema potrebbe essere però quella dell’ordine IN REALTÀ, RENZI DEVE far quadrare un rebus complicato. La promessa di recuperare il licenziamento disciplinare, infatti, deve tradursi in una modifica alla legge-delega che vene contestata dai centristi della maggioranza, Ncd, Udc, Scelta civica, Popolari e Svp, che ieri hanno espresso una posizione unitaria. La legge delega deve restare così com’è, scrivono perché “noi valiamo quanto la minoranza Pd”. A questa obiezione offre una sponda il ministro del Lavoro, Giuliano Poletti del giorno. Un documento di indirizzo al governo che non necessiterebbe di emendamenti. “Io non mi impicco a un emendamento o a un ordine del giorno” dice significativamente Cesare Damiano, minoranza Pd e presidente della Commissione lavoro della Camera. “Mi impicco al fatto che non si torni indietro rispetto ai passi avanti fatti in Direzione”. PER CONTRIBUIRE a rasserenare il Una manifestazione per il lavoro Ansa clima interno al pd, ieri Cesare Damiano ha riunito due esponenti della minoranza - divisi sul voto in direzione - Gianni Cuperlo e Roberto Speranza e il vicesegretario del partito, Lorenzo Guerini, che però ha disertato la serata) attorno al tema del “modello tedesco” spiegato con tanto di slides da Franco Garippo, componente del consiglio aziendale della Volkswagen. “Il modello di cogestione in Italia si può fare” spiega al Fatto, “anzi potrebbe venire anche meglio”. Più nitide le parole del Papa. “Il diritto fondamentale al lavoro non può essere considerato una variabile dipendente dai mercati finanziari e monetari” ha detto Francesco all’assemblea plenaria del Pontificio Consiglio “Giustizia e Pace”. E oltre al lavoro, “bene fondamentale per la dignità” occorre difendere il welfare e contrastare le disuguaglianze. “Uno degli aspetti dell’odierno sistema economico - è la tesi papale - è lo sfruttamento dello squilibrio internazionale nei costi del lavoro, che fa leva su miliardi di persone che vivono con meno di due dollari al giorno. Francesco ha condannato anche “i perduranti squilibri tra settori economici, tra remunerazioni, tra banche commerciali e banche di speculazione, tra istituzioni e problemi globali: è necessario tenere viva la preoccupazione per i poveri e per la giustizia sociale”. 10 MOVIMENTANDO VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 Pancora: izzarotti colpisce “Non abbiamo le idee” FEDERICO PIZZAROTTI torna all’attacco. Il sindaco grillino di Parma, spesso in dissenso con i vertici del Movimento, semina critiche in un’intervista ad Agorà : “Il concetto fondamentale che ci ha contraddistinto è sempre stato la modalità di prediligere le idee ri- spetto alle persone. Adesso abbiamo le persone ma non le idee. Tante persone vorrebbero capire cosa proponiamo di fare, ma non abbiamo un programma da proporre e purtroppo con Grillo non si parla mai di programmi”. Pizzarotti lamenta una persistente assenza di il Fatto Quotidiano dialogo all’interno del Movimento: “Il momento in cui ci troviamo predispone all’astio, se non sei con me sei contro di me. Penso invece si possa parlare, cercando di arrivare a un risultato. Non sono in contrapposizione con nessuno, ma io dico la mia opinione sempre”. Im- mediata la reazione del deputato pentastellato Michele Dell’Orco, : “Invito Pizzarotti a fare il sindaco di Parma, cosa che sa fare molto bene; ma gli chiedo di lasciare da parte polemiche sterili. I nemici sono i partiti e le lobby, non il M5S”. M5S, Circo Massimo low cost: gazebo, Grillo e buona volontà I 5 STELLE PREPARANO LA TRE GIORNI. PER L’AFFITTO PAGHERANNO CIRCA 40MILA EURO di Luca De Carolis S arà un’arena a Cinque Stelle. In cerca di una prova di forza (mediatica), sotto sotto vogliosi anche di contarsi. Un evento, ma a costi contenuti, perché i fondi non abbondano e bisogna tagliare. Sarà una festa forzatamente sobria, la tre giorni del Movimento al Circo Massimo di Roma, in programma dal 10 al 12 ottobre. In via di definizione, proprio mentre sul Circo si apre un’inchiesta. Quella della Corte dei Conti, curiosa di capire come mai i Rolling Stones pagarono solo 7.934 euro al Comune per suonare dove gli antichi romani facevano correre le bighe, e se il precedente rappresenti un danno erariale. L’indagine sugli “spiccioli” versati per il concerto del 22 giugno, quan- do per affittare Hyde Park a Londra servono non meno di 300mila euro, si incrocia indirettamente con “Italia a 5 Stelle”. Perché ora pagare l’affitto toccherà al Movimento. Ma quanto? Secondo le indiscrezioni che filtrano dal Campidoglio, attorno ai 40mila euro per l’occupazione del suolo pubblico. Ma per la cifra precisa è ancora presto. L’esborso nel dettaglio verrà calcolato in base ai metri quadri occupati e a vari altri parametri, dal costo dei presidi sanitari all’immondizia prodotta (per cui va stipulato un contratto a parte con l’Ama, l’azienda comunale dei rifiuti,). DAL CAMPIDOGLIO precisa- no: “Dopo il concerto degli Stones abbiamo cambiato le tariffe preesistenti per le manifestazioni per cui si paga un biglietto, portando il coefficiente a oltre 2 euro per metro quadro occupato. Ma quello dei 5 Stelle sarà un evento politico, quindi il coefficiente è decisamente agevolato: un euro e 40 per metro quadro”. Comunque la tariffa massima per le manifestazioni politiche, che vale per i luoghi del centro (ad esempio, piazza del Popolo), mentre per le zone periferiche L’INCHIESTA La Corte dei Conti indaga sul concerto dei Rolling Stones del 22 giugno: per l’arena versarono al Comune solo 8mila euro si parte da 80 centesimi. Il resto però dipenderà dal progetto del Movimento. Già mutato profondamente, perché il primo schema prevedeva palco e struttura nei pressi della zona archeologica. La Soprintendenza però ha mostrato il pollice verso, e allora è stato spostato tutto dalla parte opposta del Circo Massimo, verso la Bocca della Verità. Ma il progetto sta subendo altre modifiche: o meglio, tagli. La raccolta fondi lanciata sul blog, con tanto di video di Grillo sulla biga in versione Ben-Hur, finora ha raggranellato circa 149mila euro. L’obiettivo del mezzo milione è quindi molto lontano. E allora la tre giorni verrà “asciugata”. I gazebo per i meet up (3 metri per 3), che inizialmente dovevano essere 300, scenderanno attorno ai 200. Verranno disposti a for- Beppe Grillo nel video che lancia la tre giorni al Circo Massimo ma di stivale, così da rappresentare la cartina dell’Italia se vista dall’alto. Previsti altri dieci grandi gazebo (inizialmente erano venti), divisi per temi (ambiente, economia, riforme), nei quali gli eletti di vario grado incontreranno attivisti e cittadini per scambiare idee e ricevere proposte. Ci saranno dibattiti e conferenze. E poi il palco (16 metri per venti), do- ve suoneranno una ventina di artisti. Sabato dal microfono parleranno venti parlamentari, qualche consigliere regionale e ospiti vari (intellettuali ed economisti). Ma a riempire il palco sarà soprattutto Beppe Grillo, il leader e l’attrazione principale. Sarà lui, venerdì 10, ad aprire l’evento. Sabato dovrebbe fare interventi sparsi, per poi chiudere domenica sera. ITALIE DI GOVERNO il Fatto Quotidiano Ppezzo arà: maresciallo dopo pezzo ruba un intero ponte DANNO ERARIALE Rubò, smontando pezzo dopo pezzo un intero ponte e in più occasioni oltre 250mila tonnellate di materiale ferro e così un maresciallo della Folgore, dopo la condanna a due anni e 8 mesi di reclusione dal tribunale militare (pena ridotta in appello), si è visto arrivare dalla Corte dei Conti di Venezia una richiesta risarcitoria di due milioni di euro. Fissata l’udienza per il 16 ottobre. Nel 2007, come riferisce Il Gazzettino, si erano verificati furti di ingenti quantitativi di materiale ferroso in alcuni depositi militari del Veronese le cui indagini non avevano portato a nessun risultato. Ma un giorno, il maresciallo in forza all’ottavo reggimento Genio Guastatori di Legnano (Verona), congedato per motivi disciplinari - per i BOLOGNA E LIVORNO COMPAGNI ADDIO IL PD AZZERATO DAI TEMPI RENZIANI EMILIA E TOSCANA PERDONO ISCRITTI. PRODI: “L’ASTENSIONE GRAVE SEGNALE” di Emiliano C Liuzzi ambiano gli uomini, cambia la geografia e i colori. Quando si diceva delle città rosse: oggi sono di un color pastello non più identificabile, uccise dalla loro storia. Livorno e Bologna sono due casi diversi, ma emblematici di quella curva che porta a crescere la popolarità di Matteo Renzi e a crollare quella del partito. In tempi recentissimi Livorno aveva ancora un compagno segretario. Lo chiamavano così. FATTI A PEZZI i numeri, le falci e i martelli che i portuali si facevano montare dall’orefice e portavano al collo come qualcosa da esibire, il nome compagno ha resistito oltre misura. Compagne e compagni addio. Oggi Livorno, dopo la batosta presa alle elezioni comunali vinte dal candidato del Movimento 5 stelle, Filippo Nogarin, non ha più un partito. Il Pd, nei suoi vertici, è stato completamente azzerato e dio fatto commissariato dalla segreteria regionale. Non c’è un segretario, l’ordinaria amministrazione non è più di potere, dunque non merita di essere seguita. Le sezioni erano già barcollanti da tempo, oggi sono semivuote. Anche i nostalgici se ne vergognano. Prima erano circoli. Nella sezione di Antignano, quartiere che mescolava piccoli arricchiti e in- quilini di case popolari, il circolo funzionava come punto di ritrovo. Se non altro organizzavano cene e partite a carte. L’ultimo compagno segretario degno di cotanto nome è stato Raldo Ferretti, professione barbiere. Quando è morto lui la sezione ha ini- CAPITALI ROSSE Le sezioni chiudono i battenti, piovono commissariamenti, i numeri dicono che non ci sono più tesserati e quattrini ziato a perdere i pezzi. Non meglio è andata a quella centrale. Era in piazza della Repubblica, voleva dire il potere. Oggi in quelle stanze c’è lo studio di un fisioterapista. Una metamorfosi che ha portato all’intero azzeramento. Testa china e andare avanti. Sdegno di cattiva amministrazione, anche: l’ultimo sindaco del Pd, Alessandro Cosimi, non ha brillato per dinamismo. Se lo chiedete ai livornesi ve lo racconteranno in altri termini, molto più feroci. Eppure in quella città il Partito comunista era nato. E non fu assolutamente un caso che la scissione si consumò lì, al vecchio teatro San Marco: Livorno non era rossa, era comunista più di ogni altra città. Una festa dell’Unità d’altri tempi a Bologna Ansa Anche negli anni di massima espansione, anche quando i portuali guadagnavano quanto gli ingegneri e lavoravano la metà. Altri tempi. Oggi ansima. Nogarin si è trovato a governare le briciole rimaste dal passato. Ci mette del suo, fino a oggi ha chiacchierato molto e risolto poco, ma non ha nessun tipo di opposizione. Il Pd a fare l’opposizione della città che si erano tramandati di padre in figlio non si sporca. Ricostruire vorrebbe dire scavare nuove fondamenta e lo sconforto della sconfitta è ancora lontano. LA SITUAZIONE non va me- glio a Bologna. Il loro Nogarin c’è già stato, si chiamava Giorgio Guazzaloca, ma i risultati delle primarie per il governo della Regione non sono confortanti. Sono andati a votare l’86 per cento in meno delle passate consultazioni. E, come dice il professor Romano Prodi, questo non promette nulla di buono. Tanto è che il vincitore assoluto, Stefano Bonaccini, consapevole di aver incassato una vittoria alla buona, ha chiesto aiuto allo sfidante, Roberto Balzani. “Anche lui deve aiutarmi adesso, altrimenti gli astenuti saranno più della metà degli aventi diritto al voto”. Piacerebbe sapere per colpa di chi, visto che Bologna era Bologna, rossa e papale, accogliente e godereccia, ferita, ma capace di rialzarsi. Passato 11 VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 quali ha patteggiato altri 8 mesi - nel giorno in cui si trovava in malattia, è stato trovato, assieme ad altre due persone, in un deposito di Este a caricare ferro su un camion. Si era smontato il ponte. Ora la Corte dei Conti ha chiesto al militare due milioni di euro: 600 mila per il materiale sottratto, più altri 1,2 milioni per il danno d’immagine. PER LA GRAZIA di D. M. Anche il Molleggiato vuole Corona libero C aro Presidente Napolitano, mi scusi, se con tutti i grattacapi che immagino lei abbia, anch’io mi accodo con una richiesta di grazia per Fabrizio Corona”. Adriano Celentano inizia così la lettera che ha inviato al capo dello Stato. E così dopo Paolo Bocedi, presidente dell’associazione antiracket Sos Italia Libera, anche il molleggiato si aggiunge alla lista di chi difende le ragioni dell’ex re dei paparazzi che si trova in carcere da quasi due anni con la prospettiva si scontarne altri sette per un complessivo di nove. Corona è recluso nel carcere di massima sicurezza di Opera fianco a fianco con i boss di mafia. “E come tale sembra essere trattato”, aveva commentato Bocedi sostenendo che da oltre un mese ha inviato la richiesta per visitare il detenuto senza però ricevere risposta. E ora tocca a Celentano, il quale nella sua missiva scrive: “Corona non l’ho mai conosciuto. E ogni volta, quando lo vedevo e lo sentivo parlare, avvertivo come un qualcosa che spaccava in parti uguali due sentimenti fra di loro contrastanti: da un lato mi irritava la sua spavalderia, dall’altro avvertivo un senso di profonda tenerezza”. Ieri il procuratore generale di Milano ha chiesto la conferma della condanna a un anno di carcere per Corona accusato di omessa dichiarazione dei redditi. remoto. Oggi il partito in provincia è in mano a Raffaele Donini, uno della generazione post comunista. Non ha battuto ciglio di fronte alla mancanza della sua gente. Alla Bolognina, la sezione storica dove il partito smise di essere comunista, la frattura si era già consumata quando Prodi venne tradito sulle scale del Quirinale. La loro storia finì già lì, il segretario si di- mise, il resto è stata una resa al renzismo dilagante. Consapevoli tutti che il partito avrebbe decretato la propria fine. “Accettammo di perdere il comunismo, faremo a meno anche di questa cosa strana che si chiama Pd”, dicono. “Ce l’aspettavamo. Quando il Pd nacque i valori erano già renziani prima che Renzi spegnesse le candeline: la sinistra era già morta”. REPLICA ALLE INTERCETTAZIONI Mazzei: io e Matteo lontanissimi dalla massoneria di Marco Lillo torie ridicole, così l’imprenS ditore Jacopo Mazzei definisce le frasi sul ‘rapporto mas- sonico’ pronunciate dal costruttore Riccardo Fusi nel 2009 e sintetizzate dai Carabinieri nel brogliaccio pubblicato ieri dal Fatto. Mazzei è davvero infuriato. Raggiunto al telefono a Dubai durante un viaggio di lavoro sbotta: “Come si fa a parlare di me come persona potenzialmente vicina alla massoneria? Chi lo dice e lo scrive non ha capito minimamente di chi sta parlando. La storia della mia famiglia parla da sola”. Il Fatto ieri ha pubblicato la sintesi di una conversazione del settembre 2009 tra Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, allora soci della BTP, l’impresa di costruzione fiorentina storica rivale del gruppo dei fratelli Fratini, soci di Jacopo Mazzei. I carabinieri del Ros riassumono così la conversazione: “I due commentano il fatto che i Fratini, attraverso Mazzei, sono ben inseriti nel Comune di Firenze ed hanno un contatto diretto con Matteo Renzi. Fusi continua dicendo che detti legami sono forti di un rapporto massonico”. Il sottosegretario Luca Lotti ha già replicato: “Renzi non ha nulla a che fare con la massoneria e con quella cultura. Tutto il resto è chiacchiera”. Mazzei insorge: “Sarebbe come dire che io, tifoso viola dall’età di due anni, sono un ultras della Juventus. Non ho mai nemmeno minimamente avuto una vicinanza con quell’organizzazione. Mia zia era Fioretta Mazzei!”. I Mazzei sono quelli dell'antico casato, famoso per i vini, il castello e le parentele illustri. Il nonno omonimo, Jacopo Mazzei, era preside della facoltà di economia e collega di Giorgio La Pira. La figlia maggiore di Jacopo senior, zia Fioretta Mazzei, era una stretta collaboratrice del ‘sindaco-santo’ ed è stata consigliere comunale dal 1951 al 1995. Jacopo Mazzei è indignato per le parole del 2009 dette da Fusi a Bartolomei: “Sono due persone in un momento di difficoltà che parlano tanto per raccontarne una. Quel mondo è lontano da me mille miglia. Renzi è l’unica persona che sta cercando di fare il bene di questo paese - aggiunge Mazzei - e non è giusto quello che scrivono i giornali. Non ho mai respirato un’aria di vicinanza alla massoneria nel mondo di Renzi. Matteo è cresciuto in un ambiente impregnato di valori cattolici e non è lontanamente accostabile alla massoneria”. Il Fatto ha tentato di contattare anche Corrado Fratini, senza successo. Anche lui, secondo Mazzei, è lontano anni luce dalla massoneria. Il Fatto ha sentito anche Alessio La prima pagina del Fatto Quotidiano di ieri dove in un’intercettazione si parla di Renzi e rapporti massonici FAMIGLIA CATTOLICA L’amico del premier si indigna: né io né lui c’entriamo assolutamente nulla con quel mondo. Mia zia era la persona più vicina a Giorgio La Pira Bonciani, ex cordinatoe del Pdl a Firenze, passato all’Udc nel 2011 sbattendo la porta, citato in un’altra intercettazione: l’imprenditore del settore affissioni pubblicitarie, Riccardo Martellini (cognato di Fusi), parla con Denis Verdini il 10 aprile del 2009, nel pieno della campagna elettorale per l’elezione di Renzi a sindaco. “Riccardo Fusi - è la sintesi dei Carabinieri - passa il telefono a Denis Verdini che parla con Martellini che lo incoraggia per Firenze e poi parlano di un preventivo fatto da Martellini che dice di aver parlato della cosa con Bonciani che si doveva appunto incontrare con lo stesso Verdini. Martellini dice di avere altre cose che voleva Renzi ma che lui non gli ha dato; Verdini chiede se ne ha parlato con gli altri ma Martellini risponde che ne voleva parlare prima con lui. Verdini poi dice che si deve incontrare con quelle persone e che quindi lo chiama quando sarà con loro”. Secondo Luca Lotti si parla di spazi pubblicitari: il comitato di Renzi li aveva chiesti a Martellini. E il cognato di Fusi si fa bello con Verdini chiedendo il permesso di fare pubblicità al candidato rivale. “Si intravede in questa intercettazione un'intelligenza con il rivale”, dice Bonciani al Fatto, “che non dovrebbe esistere. Sono incuriosito dalla telefonata pubblicata dal Fatto ma non ho davvero idea di chi fossero quelli che dovevano incontrarsi con Verdini per decidere sulle cose di Renzi. Se avessi saputo una cosa del genere non avrei aspettato il 2011 a sbattere la porta. Io ho sentito Martellini solo per i preventivi degli spazi. Se fossi stato uno di quelli ammessi a quella riunione forse sarei ancora in Parlamento. Sicuramente la lettura che si dà oggi di questa frase è ben diversa da quella che si poteva dare nel 2009. Oggi il sospetto che Renzi e Verdini fossero amici da prima del Patto del Nazareno è legittimo”. 12 ALTRI MONDI VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 Pianeta terra il Fatto Quotidiano SIERRA LEONE EBOLA, CUBA INVIA MEDICI Il governo di L’Avana ha disposto l’invio in Sierra Leone di 162 medici esperti per fronteggiare l’epidemia di Ebola nel Paese africano. “L’epidemia è il peggior disastro cui ho mai assistito” ha detto Anthony Banbury, capo della missione Onu. In Texas sono 100 le persone a rischio. Ansa SUDAFRICA DALAI LAMA, VISTO NEGATO: SALTA VERTICE L’incontro mondiale dei premi Nobel per la pace che si sarebbe dovuto tenere a Città del Capo dal 13 al 15 ottobre prossimi è stato cancellato per protesta dopo che il governo sudafricano ha deciso di non concedere il visto di ingresso al Dalai Lama. LaPresse Leung, da lupo cattivo a pupazzo di peluche Pechino Manifestanti davanti al palazzo del governatore di Hong Kong. Sotto, il leader studentesco Joshua Wong. A destra, Leung Chun-ying LaPresse/Ansa HONG KONG IL GOVERNATORE RESISTE ALL’ASSEDIO DI OCCUPY CENTRAL IL RAPPRESENTANTE DI PECHINO: “NON MI DIMETTO”. POI AFFIDA IL DIALOGO AL VICE di Cecilia Attanasio Ghezzi Q Pechino uinto giorno di Occupy Central, il giorno dell’ultimatum degli studenti: o Leung si dimette, o occupiamo gli uffici governativi. Dall’altra parte la questione è vista come “uno scarso numero di persone che per interessi personali hanno ignorato la legge, paralizzato i trasporti, interrotto gli affari e incitato al conflitto”. Nel pomeriggio di ieri il governatore di Hong Kong Leung Chun-ying lo ha detto a chiare lettere: “Non mi dimetto”. La folla dei manifestanti ha cominciato a spostarsi ad Admiralty, il quartiere degli uffici governativi, per impedire alla polizia di circondarli. Ci sono stati momenti di tensione quando la piazza ha capito che la polizia stava trasportando casse di lacrimogeni, manganelli e proiettili di gomma all’interno dei palazzi. Verso sera la polizia di Hong Kong ha diramato un comunicato in cui invitava i manifestanti a sciogliere le manifestazioni in maniera pacifica, cosicché le attività lavorative potessero riprendere senza ulteriori disagi. TREMILA FUNZIONARI de- vono tornare al lavoro ed “è responsabilità del governo proteggerli e permettergli di riprendere le normali operazioni”. Per questo “il governo e la polizia chiedono di sospendere tutte le attività di occupazione immediatamente”. Per tutta risposta Benny Tai, Joshua Wong e Alex Chow hanno tenuto comizi invitan- IL PICCOLO CAPO Wong, 17 anni, invita i manifestanti a non combattere la polizia: “Questa è una guerra per avere il supporto dell’opinione pubblica” do i sostenitori a rimanere uniti e a prepararsi per una lunga battaglia; hanno anche chiesto a vecchi e bambini di rimanere lontano dalla zona degli edifici governativi. E hanno dichiarato che la collaborazione tra i tre gruppi che coordinano si sarebbe rafforzata. Poi hanno spento i microfoni. Il cerino torna nelle mani del governatore Leung, che convoca una con- ferenza stampa, la prima da quando sono iniziate le proteste. A mezz’ora dallo scadere dell’ultimatum di fronte ai media e agli studenti ribadisce che non si dimetterà e che non tollererà l’occupazione di edifici pubblici. L’unica novità è che apre la porta al dialogo: il numero due del governo, Carrie Lam, è disposto a incontrare gli studenti. Ma non si specifica nessuna LEUNG CHUN-YING, il lupo. Un personaggio scaltro e segnato dalla sua mancanza di integrità. L’uomo che adesso è stretto tra le manifestazioni a favore della democrazia che hanno bloccato la sua città e il regime autoritario di Pechino non è mai stato particolarmente amato. Figlio di un poliziotto, ha studiato in Gran Bretagna e ha lavorato nell’immobiliare. Poi si è arricchito. Negli anni Ottanta ha aiutato la classe dirigente cinese ad aprirsi al mercato, specie quello della vendita di immobili. Come perito ha lavorato a Singapore, a Shenzhen e a Tianjin divenendo consulente onorario per le riforme della terra a Shanghai. E sin da quando è entrato in politica a Hong Kong è stato accusato di stravolgere il mercato immobiliare a favore delle classi più abbienti. E nonostante questo di essere filo Pechino. Una delle frasi che gli è stata più spesso rinfacciata è stata a proposito del Nobel per la pace a Liu Xiaobo. Leung rispose candidamente che “avrebbero dovuto darlo a Deng Xiaoping”, l’architetto della nuova Cina. Da allora è stato chiaro che era più fedele a Pechino che alla sua stessa città. Ma questo non gli ha impedito di vincere l’ultima campagna elettorale a colpi di scandali. Secondo molti, l’appoggio che avrebbe ricevuto dalla Cina continentale gli sarebbe valso molto più del suo carisma personale. Si è insediato quindi il primo luglio 2012, rompendo una tradizione. Ha pronunciato il discorso che inaugurava la sua legislatura in cinese, e non in cantonese, la lingua locale. Da allora non ne ha fatta una giusta. Addirittura lo scorso inverno due attivisti gli hanno tirato Lufsig, un lupo di peluche Ikea che da allora è diventato uno dei simboli delle proteste democratiche. Il pupazzo è tutto esaurito nel grande magazzino svedese. E ora, sembrerebbe, nemmeno Xi Jinping è contento di lui. Certo, Pechino non può permettere che cinque giorni di manifestazioni portino alle dimissioni di un suo funzionario. Leung deve tenere duro e risolvere questa situazione. Ma la responsabilità principale di ogni funzionario cinese è quella di mantenere l’ordine, la famosa “società armoniosa”. E in questo Leung ha oggettivamente fallito. C.A.G. data. Intanto fuori dal suo palazzo l’atmosfera si fa incandescente. Joshua Wong, il leader diciassettenne sale su una scaletta e invita i manifestanti a non combattere la polizia. “Questa è una guerra per avere il supporto dell’opinione pubblica – incalza Wong – Dobbiamo mostrare a Leung che abbiamo le masse dalla nostra parte”. Intanto diversi gruppi si staccano nel tentativo di occupare le strade, qualcuno cade nella mischia e si grida al ferito. Le fazioni litigano sul da farsi. Gli studenti formano dei cordoni umani per evitare incidenti. E a complicare il tutto c’è il circo mediatico, che in alcuni casi sembra più numeroso degli stessi manifestanti. Il grosso degli studenti comunque sembra voler restare in piazza. il Fatto Quotidiano ALTRI MONDI FRANCIA PARTO CON ANESTESISTA UBRIACA L’anestesista che si era occupata del parto cesareo di una donna, deceduta subito dopo l’intervento, era ubriaca: ha ammesso i suoi problemi di alcolismo. L’operatrice medica è in stato di fermo e rischia 5 anni di carcere; il reparto maternità dell’ospedale di Orthez è stato chiuso. LaPresse REGNO UNITO STALKING SUL PRINCIPINO William e Kate hanno minacciato di citare in giudizio per stalking un fotografo a loro dire colpevole di aver violato la privacy del figlio George. L’uomo era stato visto la scorsa settimana mentre seguiva da vicino il piccolo, la tata e la scorta reale in un parco di Londra. LaPresse MAMMA LI TURCHI, STRANI ALLEATI DEI CURDI CONTRO L’ISIS ANKARA DÀ L’OK ALL’INGRESSO IN SIRIA DELLE TRUPPE PER DIFENDERE LE CITTÀ DELLA MINORANZA ETNICA DOPO L’ULTIMATUM DEL LEADER INCARCERATO OCALAN circa 40 carri armati schierati sul confine con la Siria, potranno dunque ricevere presto l’ordine di entrare in territorio siriano per creare una zona cuscinetto per i profughi e aiutare i ribelli siriani islamici moderati e i siriani laici a difendersi dall’Isis ma anche dai soldati del presidente-dittatore Assad, colui che il “sultano” ha eletto a suo nemico numero uno. I partiti laici all’opposizione, tra i quali il pro curdo Hdp, hanno però votato contro perché sostengono che in realtà lo scopo del “sultano” non sia dichiarare guerra all’Isis bensì ad Assad e difendere un baluardo religioso ottomano in terra siriana: la tomba di Suleiman Shah, nei pressi di Aleppo, minacciata dall’Isis e difesa con sempre maggiori difficoltà dai soldati turchi. Ma la decisione di Ankara dipende anche dall’imminente caduta della città curdo-siriana di Kobane, a soli 500 metri dal confine turco. Se l’Isis riuscirà a conquistarla , il leader del partito dei lavoratori curdo, Pkk, Abdullah Ocalan ha annunciato - dalla prigione sull’isola di Imrali dove sta scontando l’ergastolo e allo stesso tempo conducendo le trattative con il governo turco per arrivare a stipulare un accordo di pace dopo 30 anni di sanguinosa guerriglia – che i negoziati salteranno. La mozione non prevede l’ingresso dei soldati turchi nella zona si- Il personaggio José Vargas, reporter Io clandestino, gay e Pulitzer ho vinto l’America Ferrara I I DIECIMILA SOLDATI turchi e i 13 di Alessio Schiesari di Roberta Zunini primi scarponi sul terreno siriano saranno molto probabilmente quelli dei soldati turchi. Grazie alla maggioranza parlamentare costituita dal suo partito, l’islamico Akp, e ai voti favorevoli dei lupi, i nazionalisti di destra del Mhp, il presidente bifronte Tayyip Erdogan, potrà d’ora in poi smentire i suoi detrattori locali e stranieri che lo accusano di ambiguità, se non complicità con i jihadisti dell’Isis. Il Parlamento turco ha approvato a porte chiuse una mozione che autorizza il governo a inviare le forze armate in Siria e a ad accogliere le truppe di paesi alleati sul territorio turco, oltre a permettere l’uso della base Nato per lanciare raid contro i terroristi del Califfo nero in Siria e Iraq. La mozione, approvata con una valanga di voti dopo un aspro dibattito, si tradurrà in un maggiore coinvolgimento della Turchia nelle operazioni della coalizione internazionale guidata dagli Stati Uniti contro i jihadisti dello Stato islamico e di altri gruppi estremisti attivi in Siria e in Iraq. VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 il clandestino che vinse il Pulitzer. José Antonio Vargas a 27 È anni ha conquistato il massimo riconoscimento mondiale per un giornalista. Tre anni dopo, ha deciso di dire all’America la verità: dall’età di 12 anni vive negli Usa da immigrato irregolare grazie a un passaporto contraffatto. La sua storia, raccontata nel documentario Undocumented (proiettato oggi alla kermesse di Internazionale a Ferrara), è la storia di altri 11 milioni di americani. Lavorano, pagano le tasse e si sentono statunitensi. Ma non hanno un documento che lo attesti. Perché hai deciso di passare dall’altro lato della notizia? Carri armati turchi al confine con la Siria LaPresse CONTRADDIZIONI Istanbul potrebbe essere la prima città a ospitare un consolato dello Stato Islamico che lo utilizzerebbe per gli arruolamenti riana abitata dai curdi e difesa dai peshmerga, però non esclude l’entrata di quelli dei paesi della coalizione internazionale. Del resto è ormai chiaro che i jihadisti si sono dimostrati in grado di aggirare con successo la pioggia di bombe nascondendosi tra le abitazioni e spostandosi con mezzi leggeri. Come insegna la guerriglia. La matassa rimane quindi difficile da dipanare, ma non era più possibile per la Turchia mantenere la sua ambiguità, anche per il suo ruolo di storico membro Nato. Per Erdogan le accuse dei partiti di opposizione a proposito della sua simpatia, seppur strumentale in chiave anti Assad, nei confronti dei gruppi estremisti islamici (che hanno usufruito senza ostacoli del confine turco per entrare in Siria) non erano più smentibili. E l’annuncio via twitter di ieri da parte del responsabile per le relazioni con l’estero dell’Isis, Abu Omar al Tunisi, circa “l’apertura del primo consolato diplomatico a Istanbul, perché è la città più importante di un paese amico”, ha messo l'uomo forte della Turchia in una posizione ancora più difficile da sostenere di fronte al mondo. Secondo il quotidiano turco Aydinlik, la struttura fornirebbe servizi consolari per quanti vogliono unirsi all’Is. Inoltre, raccoglierebbe denaro da inviare ai miliziani e pagherebbe le cure mediche agli estremisti islamici rimasti feriti. Tutti peraltro sanno che molti sono ricoverati proprio negli ospedali di Istanbul. L’espressione inglese che mi ha sempre spaventato è “Me, myself and I”, (me, io e me stesso). Oggi, sono ancora un giornalista, ma con la mia storia son riuscito a raccontarne altre 11 milioni. José Antonio Vargas LaPresse A luglio la polizia ti ha arrestato in quanto irregolare. Come vivi oggi? Aspettando i documenti, come altri 11 milioni di persone. Credo che il problema principale sia superare le strumentalizzazioni politiche: quando la gente parla di immigrazione, spesso non sa di cosa parla. È così negli Usa. E credo anche in Italia. Nel documentario spieghi che il tuo obiettivo è “ridefinire il significato di America e di americano”. L’America è qualcosa che ci si guadagna, almeno per chi, come me, non ha avuto il privilegio di nascere lì. Ma è sempre stato così: riuscite a immaginare gli Usa senza Martin Scorsese o Al Pacino? Io no. Siamo un Paese che si reinventa di continuo, che cambia. È questo che ci rende unici. I tuoi genitori avevano progettato per te un matrimonio con un’americana per i documenti. Poi gli ha detto che sei gay. C’è differenza nel lottare per i diritti Lgbt e quelli dei migranti? Negli Usa, ottobre è il mese del coming out. Ora anche i clan- destini stanno iniziando a uscire allo scoperto. Non c’è differenza: fare coming out significa imparare ad accettarci per quel che siamo. MINIMA SICUREZZA La poca intelligence degli 007 di Obama di Giampiero Gramaglia lista dei presidenti Usa ‘traditi’, almeno nella fiducia, dalle loro agenzie più o meno segrete è lunga: gli ultimi tre, Clinton, Bush jr e Obama, fanno filotto, con un susseguirsi di avvicendamenti al vertice, riforme, accorpamenti e smembramenti. Va pure detto che ogni me- daglia ha il suo rovescio. Ci sono le ‘magre’ che, a cavallo del Millennio, portarono a sottovalutare al Qaeda e la sua minaccia, da Nairobi 1998 alle Torri Gemelle 2001; e ci sono i successi, come l’eliminazione di bin Laden il 1° maggio 2010. Ci sono connivenze al di là dei confini della legalità, come le false prove delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, per giustificare l’invasione dell’Iraq nel 2003; e gli errori che met- Obama con il Secret Service Ansa POCA FIDUCIA Le dimissioni di Lady Secret Service per le falle alla Casa Bianca rivelano la difficoltà dei rapporti tra il presidente e le agenzie di spionaggio on i servizi di sicurezza, C e d’intelligence, Obama non ci prende proprio. Ma la tono a repentaglio la sicurezza della Casa Bianca, senza intenzione alcuna, per palese inadeguatezza. Com’è probabilmente il caso di Julia Pierson, il direttore del Secret Service, che mercoledì ha dato le dimissioni, dopo essersi resa conto – ha spiegato – di non godere più della fiducia del Congresso, e probabilmente neppure del presidente. Che pure l’ha ringraziata per il lavoro svolto. Del resto, l’aveva scelta lui; e non poteva mettere troppo in evidenza che aveva fatto una scelta sbagliata. Magari per il gusto di nominare una donna, la prima in quel ruolo. Al Secret Service, è affidata la sicurezza del presidente e della sua famiglia. I suoi agenti non hanno la popolarità televisiva di quelli dell’Fbi o di altre agenzie dell’intelligence americana. Ma erano del Secret Service gli uomini che balzarono sull’auto di Kennedy dopo gli spari fatali a Dallas –pure lì, una falla nella sicurezza: l’auto scoperta fu una leggerezza imperdonabile-; ed è del Secret Service l’agente che resta fino all’ultimo con Harrison Ford sull’AirForceOne dell’omonimo film, peccato fosse un traditore, lì per ammazzarlo e non per salvarlo. Julia Pierson era capo del Secret Service solo l’anno scorso, dopo una serie di incidenti di percorso inquietanti. L’ultimo, e forse più clamoroso, nell’aprile 2012, quando 11 agenti, che preparavano una visita di Obama a Cartagena, in Colombia, si portarono in albergo delle prostitute. LA PIERSON non fu la prima scelta, quando, 18 mesi or sono, si trattò di sostituire Mark Sullivan, che andava in pensione. Il posto doveva andare a David O’Connor, un patito del rispetto delle rego- le, che aveva però lasciato il servizio per un posto meglio retribuito nel settore privato e non tornò indietro. Così, toccò alla Pierson, una veterana, con trent’anni di buon servizio. Ma le grane sono fioccate: prima, la piazzata di un agente esperto in un hotel che dà sulla casa Bianca; poi, tre agenti rispediti indietro dall’Olanda, dopo che uno di loro venne trovato ubriaco fradicio per strada; e pochi giorni fa, un uomo armato con la fedina penale sporca sale in ascensore con il presidente ad Atlanta. Ma l’episodio che costa il posto alla Pierson è l’ultimo: il 19 settembre, tale Omar Gonzalez, 42 anni, armato di coltello, scavalca la recinzione della Casa Bianca e vi entra, trovando la porta aperta. Non proprio il massimo della sicurezza, nell’era della guerra al terrorismo e delle minacce del Califfato. Twitter: @ggramaglia 14 il Fatto Quotidiano VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 SCAMBIATO PER DISEGNO RAZZISTA RIMOSSO MURALES DI BANKSY Nessuno ha capito che fosse un’opera d’arte e, considerandola razzista, è stata fatta rimuovere. Un murales di Banksy è così sparito da Clacton-on-Sea, in Gran Bretagna NESTA TWITTA: “HO TIFATO ROMA E JUVE”. LAZIALI FURIOSI DL STADI, VIA LIBERA CON FIDUCIA ASSEMBLEA STRAORDINARIA DI CLUB “Ieri sono riuscito a fare il tifo per la Roma oggi si tifa Juve. Non mi riconosco più. Forza Italia”. Così ha twittato l’ex bandiera biancoceleste. I tifosi non hanno affatto gradito Via libera della Camera (dopo voto di fiducia) al dl sulla violenza negli stadi. I club dovranno pagare 25 milioni l’anno per gli straordinari della polizia. Assemblea di Lega A il 10 ottobre SECONDO TEMPO SPETTACOLI.SPORT.IDEE Opera, cacciati con un tweet LICENZIAMENTO COLLETTIVO DOPO L’ADDIO DI MUTI. L’ANNUNCIO DEL MINISTRO FRANCESCHINI, POI IL “DOLORE” DI MARINO T di Emiliano Liuzzi corso una strategia di smantellamento delle istituzioni culturali del nostro Paese”. Dal punto di vista ufficiale, l’addio di Muti è tutta colpa della sua orchestra e non del ministro, del sindaco e del soprintendente. Una versione parziale. Anche perché Muti non lo ha mai detto. Ha semplicemente parlato di quella mancanza di tranquillità che lo aveva spinto ad accettare l’onere, più che l’onore, di dirigere il teatro. La situautti a casa. 182 persone. Con un tweet zione finanziaria, del resto, è sempre firmato dal ministro dei Beni culturali stata precaria: Roma, al contrario di Dario Franceschini: “Mi aspetto una Milano, non ha sponsor, al confronto è scelta coraggiosa e di svolta”. In tempi la sotto provincia. Marino e Fuortes, di renzismi era chiaro che volesse dire insieme al ministero azionisti licenziamento. E nell’aria c’era da gior- dell’Opera, dicono che l'esternalizzani. Almeno da quando il maestro Ric- zione degli orchestrali è un balzo nel cardo Muti ha annunciato il suo ritiro e futuro, “inusuale per l’Italia, normale a la rinuncia a dirigere l’orchestra. Ieri il Vienna e Berlino”. Sicuramente la lisindaco Ignazio Marino e il soprinten- rica, grande vanto del Paese che voleva dente Carlo Fuortes hanno ufficializ- esportare la Cultura, inizia il passo che zato il licenziamento collettivo di or- la porterà verso una morte quasi certa. chestrali e coristi dell'Opera di Roma. Sull’orlo della bancarotta ci sono il San Con o senza articolo 18. Tutti a casa. E Carlo di Napoli, il Regio di Parma, i soprattutto marchiati per essere i re- teatri di Genova e Bari. Tutti, salvo posponsabili della rinuncia di Muti, fiam- che eccezioni come Venezia e Milano. mifero che nessuno voleva avere in E l’addio di Muti, più che uno schiaffo mano. Sotto choc i sindacati che hanno alla “sua” orchestra, si trasformerà in un boomerang per il affidato poche parole governo che, spesso al segretario della Cgil e volentieri, parla di del settore, Massimo LIRICA DA CRAC cultura. Molto più Cestaro: “Nella ignofacile esportare coranza dilagante su coDuecento musicisti me cultura le mozme funziona un teatro zarelle di Eataly che d’Opera ci sarà ancora senza lavoro. La Cgil: l’Aida. qualcuno che proverà “È in corso una strategia a sostenere che questa LA LINEA DURA ha sarebbe una buona di smantellamento visto nell'uomo al strada per rivitalizzare il teatro. Altri diranno delle istituzioni culturali comando quell’oggetto misterioso che che questa è una scelta del nostro Paese” è il sindaco Marino, sofferta. La verità è in Il Teatro dell’Opera di Roma LaPresse lo stesso che aveva fatto carte false per i Rolling Stones al Circo Massimo, anche a un prezzo simbolico. “Questo è l’unico percorso che può portare a una vera rinascita dell'Opera”, dice. “Quindi il cda ha approvato esternalizzazione di orchestra e coro del Teatro dell'Opera votando la procedura di licenziamento collettivo”. E ancora: “Al momento non abbiamo immaginato di cancellare l'Aida del 27 novembre. Se ci saranno le condizioni ci attiveremo per ricercare un direttore da individuare entro la prima settimana di novembre, altrimenti non ci sarà l’Aida”. Letta così sembra che l’Aida sia già cancellata, ma non resta che credergli. Per non piangere. E a chiudere la famosa responsabilità per l’addio di Muti che qualcuno, in questo caso i licenziati e il maestro stesso, doveva pur prendersi: “Il doloroso e recente messaggio del maestro Muti ha determinato la frenata degli abbonamenti e la fuga degli sponsor. A questo Il “teen idol” ha la strada segnata LA “SVOLTA” DEI TOKIO HOTEL, DA EX BOY BAND TEDESCA PER RAGAZZINI A UN DISCO HOT TRA ORGE E MUSICA TREMENDA di Valerio Venturi Europa è condizionata dalla L’ guida teutonica. Frau Merkel domina in condizione di vantag- gio ed esporta. C’è un settore in cui però la volontà di potenza tedesca non riesce a offrire i risultati sperati: la musica leggera. Il kraut pop a volte fa ancora male alla salute (mentale), e a parte qualche guizzo oltre cortina si sfocia – volenti o nolenti, irrimediabilmente – nella categoria del pacchiano. Il botto lo fecero qualche anno fa i Tokio Hotel, band animata da due fratelli detti incestuosi dai maligni gossippari, innamorati di metal e manga. Le ragazzine si sbranavano per sentirli, e oggettivamente avevano un perché – perché lo fai? – Perché sì. Ora i giovani tornano, a dieci anni dal singolo Monsoon, con un nuovo album dal sapore nuovo. Il disco si intitolerà Kings of Suburbia e sarà nei negozi tradizionali e digitali dal 7 ottobre. Preordini su iTunes? Una marea. “Kings Of Suburbia – racconta il cantante e leader carismatico Bill Kaulitz – è una emozione che può significare tutto o nulla allo stesso tempo. Può essere la colonna sonora perfetta del tuo universo, non importa quanto grande o piccolo sia”. Insomma, una perfetta supercazzola. TIMORE di toppare il secondo al- bum, che secondo Caparezza è sempre quello più difficile? Dopo 7 milioni di copie vendute nel mondo, 160 dischi d’oro e 63 dischi di Platino in 68 paesi e oltre 100 premi nazionali e internazio- nali c’è da capirli. I gemelli Bill e Tom Kaulitz, ora 25enni, partono con un passo falsissimo. Il singolo Love who loves you back ha una cover che fa angoscia: una mano femminile sopra un mouse dalla triste e chiara somiglianza con una vulva: di tutto gusto haute couture. Nel video, spiegano dalla label, è filmata una vera e propria orgia (vera? chissà...) che vede coinvolto in prima persona anche il tanto chiacchierato frontman Bill Kaulitz. Slinguaccia qua e là, esibendo una pettinatura che ricorda il Bruno di Sasha Baron Cohen. La musica? Terribile. Le pose? Da Terence Trent D’Arby a quelle delle eroine del pop-battonesco lanciato dalla Britney Spears di I’m slave for you. Scandalo apparente, pochi contenuti, e il solito vizietto tedesco: la Bill Kaulitz, leader dei Tokio Hotel Ansa caduta nell’inferno del kitsch. Detto ciò, non è detto che l’album non funzionerà, anzi. Ma è un peccato sentire, come aperitivo, un pezzo banale che ha perso tutte le caratterizzanti che la teen-band, emo e originale, aveva. In tutti i casi Frau Merkel sopravviverà: il marco continua a favorire il mercato, sull’influenza culturale ci si lavorerà. punto ci troviamo in una situazione di risanamento avviato, ma con una differenza di entrate che può essere calcolata in 4,2 milioni. Gli altri soci fondatori, ovvero il ministro Franceschini e il governatore Zingaretti, hanno ascoltato dalla mia voce i possibili percorsi che avevamo davanti. Potevamo tentare un rattoppo temporaneo senza ambizioni di rinascita, potevamo procedere alla chiusura o, infine, adottare una strategia che puntava a una vera rinascita e la dolorosa strada del licenziamento collettivo”. Più matematica la posizione del soprintendente. “Il risparmio che noi prevediamo da questa procedura di esternalizzazione è di 3,4 milioni”, spiega Fuortes. “Non ci sono stati corpi artistici a favore o contro. La gran parte del teatro è a favore del piano. Non c'è alcuna intenzione ritorsiva. L'unico elemento è una valutazione sulla funzionalità. Orchestra e coro valgono insieme 12,5 milioni in un anno”. Franceschini ricalca le parole di Marino, risparmia Muti, ma se la prende con i musicisti: “L’esternalizzazione di coro e orchestra decisa dal cda è un passaggio doloroso, ma necessario. La situazione era diventata insostenibile”. NON SPIEGA perché, il ministro, la si- tuazione fosse diventata drammatica. In realtà c’era da tempo un problema molto serio con i conti, passivi, che nel tempo erano stati tenuti all’oscuro dello stesso cda. E la prova per risorgere era stata proprio la chiamata a Roma di Riccardo Muti, voluta e incoraggiata da Bruno Vespa che ha sempre avuto con Muti un rapporto di amicizia. Il castello di carta alla fine è crollato. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano Andreas Brehme e gli altri: quando cadono gli dei del pallone L’EX CAMPIONE DEL MONDO, PILASTRO DELL’INTER DI TRAPATTONI, RIDOTTO IN POVERTÀ, COSTRETTO A PULIRE I BAGNI (GRAZIE A BECKENBAUER). STORIE DI STELLE, METEORE E DI PATRIMONI DILAPIDATI di Malcom A L’ORIZZONTE cambia, i tem- 15 BALO Tifosi contro: “Sei Spazzatura” di Luca Pisapia la somma di tutte le nefandezze del È Liverpool, sempre a terra, sempre a lamentarsi con l’arbitro”. Parole pesanti, di Graeme Souness, uno che negli Anni 70 e 80 col Liverpool ha vinto tre campionati e altrettante Coppe dei Campioni, pronunciate all’indomani della sconfitta dei Reds a Basilea. La quarta in nove partite. Nel mirino di Souness, of course, Mario Balotelli. Appena arrivato a Liverpool dopo un tragicomico Mondiale, dove fu trasformato nel capro espiatorio della disfatta azzurra, era stato accolto alla grande: il primo giorno vendute ben ottocento maglie rosse con il suo nome e il numero 45. Ma sostituire Luis Suarez non è facile, e a distanza di poco più di un mese anche il tecnico Brendan Rodgers ha dovuto ammetterlo: i due non sono paragonabili, e la squadra ne risente. Balotelli dal canto suo nulla ha fatto per rimanere fuori dai riflettori. Se il gossip sulle notti calienti è ingerenza dei tabloid, il tweet in cui sbeffeggiava il Manchester United sconfitto a Leicester, il giorno dopo che lo stesso Liverpool aveva perso col West Ham, se lo poteva risparmiare. Diversi mammasantissima del calcio britannico non l’hanno presa bene, e hanno atteso un suo passo falso per scatenarsi. Un solo gol Pagani lla fine, al prode Andreas rimasto senza un soldo, han proposto di lavare i cessi. Nella prima vita di “motoretta” Brehme, quella degli scudetti e dei rigori utili ad alzare la Coppa del Mondo davanti a un Maradona furibondo, nessun ex collega di turno, nessun Oliver Straube si sarebbe permesso di rispondere all’appello di Franz Beckenbauer (“dobbiamo aiutare Brehme, abbiamo il dovere di restituirgli qualcosa di ciò che ha dato al calcio tedesco”) offrendo un lavoro al reprobo con la scusa di fargli la morale: “Siamo disposti a impiegare Brehme nella nostra impresa di pulizie. Potrà lavare i bagni e sanitari così si renderà conto davvero cosa significa lavorare e qual è la vera vita”. VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 Andreas Breheme, 54 anni, con la coppa di Germania vinta con il Kaiserslautern nel 1996 LaPresse Brehme, senza un mestiere stabile dal 2006, è aver depauperato ogni cosa. Soldi, gloria e rispetto per se stesso. Da Garrincha a Gascoigne, accadde a stuoli di campioni. Il terzino che spazzava l’area di una splendida Inter trapattoniana lasciando la polvere di stelle agli avversari, è solo l’ultima meteora di una lunga serie di calciatori incapace di venire a patti col destino. Storie di tutti i tipi. Derive mistiche come quelle di Totò Rondon e Taribo West e in mancanza di misericordia, ravvedimento o peggio pentimento, finali di partita simili. C’è chi come Jorge Cadete, ex nazionale portoghese ed ex idolo del Celtic Glasgow transitato anche nel Brescia, si mette in mano ai mediatori finanziari, perde tutto ed è costretto a sopravvivere con il sussidio di povertà: “Dei 4 milioni di euro guadagnati in carriera non ho più niente. Ho investito, ma non è andata bene. Avevo attorno a me gente che non ha agito onestamente. Nel momento in cui smetti di giocare, tutto cambia: gli agenti smettono di chiamarti, non sei più nessuno. A volte sento ex atleti che dicono di avere un sacco di amici nel calcio: è una bugia, quando PARABOLE Tavola, ex Juve, consegna i giornali. Macellari, ex Inter, canta a tempo perso e fa il taglialegna Bergamaschi, ex Milan, fu casellante sulla A4 porali arrivano e nel fango del dio pallone impantanarsi è facile. C’è chi si sporca le mani e tira avanti reinventandosi e chi affonda nelle sabbie mobili. Roberto Tavola, ex centrocampista della Juventus, consegna i giornali a edicole e supermercati osservando l’alba. Un altro Dimas passato nella Torino recentemente scudettata, Manuel, vende fiori. Fabio Macellari, ex Inter, canta a tempo perso e fa il taglialegna Franco Bergamaschi, ex Verona e Milan, diede il resto come casellante sulla A4 e un Kovacic meno fortunato del coevo assunto da Erik Thohir, un altro croato già assunto a suo tempo da Gino Corioni per illuminare il Brescia, zappa terra a due passi da casa. Per altri, quelli che al fischio finale, svuotato lo stadio da adoratori e questuanti, a fare i conti con la nuova condizione non ce l’hanno fatta, infortuni, depressione, droga, alcool, marginalità, lutti sofferti e tanti suicidi come quello dei due portieri tedeschi, Enke e Biermann. Il delitto di un altro ex ragazzo di Germania lasci, nessuno vuole più saperne di te”. E c’è chi come Maurizio Schillaci, una quarantina di presenze in serie B, Zdenek Zeman come allenatore: “Mi adorava”, da anni ancheggia ai bordi di Palermo dormendo dove capita, di preferenza alla Stazione. Schillaci (cugino del diavolo di Italia ’90, in una famiglia senza pace che ieri al Cep, in una sparatoria, ha visto tra i feriti anche la zia di Totò) era forte. GLI FECERO male in campo. Lo curarono peg- gio fuori. Maurizio provava a ripartire e regolarmente si fermava. “’U malato immaginario”, inseguito dalle cattiverie, si perse definitivamente dopo una cessione alla Juve Stabia. Cocaina. Eroina. A Siciliainformazioni.com, nel 2013, raccontò senza filtri la discesa nell’abisso: “Il mio declino è stato velocissimo e ora mi ritrovo per strada. Come si vive? La prendo quasi a ridere, mi diverto, sdrammatizzo, cerco di farcela”. Schillaci, Cadete e gli ex imperatori decaduti. Ieri come oggi. Adriano costretto a mettere in vendita la sua villa nel 2014 è parente stretto del George Best in bianco e nero che sperpera e poi ad un tratto muore. Al sosia dell’attore Woody Harrelson, Andreas Brehme, difensore che nell’attacco ritrovava il suo cinema preferito, resta ancora l’ultimo spettacolo. Prima che si spengano le luci. Prima che sia notte. in sette partite non ha aiutato, e così dopo il derby giocato male e pareggiato con l’Everton, preceduto tra l’altro da una foto da lui postata sui social in cui aspirava un pallone pieno di Elio, eccolo diventare il primo colpevole della rovinosa stagione dei Reds (“Garbage”, spazzatura, è uno dei aggettivi più eleganti ricevuti via Twitter). E di nuovo, sempre lui a cercarsele. Se i tifosi erano inizialmente divisi, la mossa di non voler salutare quelli che si erano sobbarcati la trasferta a Basilea, ha fatto sì che se li alienasse quasi tutti. A 24 anni compiuti, dopo Milano, Manchester e di nuovo Milano, anche a Liverpool la strada è diventata in salita. LA REGATA Barcolana a Trieste: tutta la vela che c’è di Caterina Grignani a leggenda vuole che già L nel Settecento i pescatori triestini tornassero in porto correndo tra le onde, facendo a gara per arrivare primi. Una competizione dettata dalla necessità: chi primo arriva più pesce vende. Secoli dopo quello stesso golfo è diventato lo scenario della regata più affollata d’Europa. Una gara tra scafi senza regole complesse a parte quella di avere una barca a vela. O di essere così bravi, o simpatici, da riuscire a trovare, anche all’ultimo, un imbarco. Grande o piccola, in legno o in carbonio, veloce o lentissima non importa: “basta che galleggi”, è questo il motto della Barcolana, regata arrivata alla sua quarantaseiesima edizione e che per una settimana anima il porto di Trieste. È l’appuntamento velico più popolare d’Italia. Tra le oltre duemila barche che partecipa- no, con un equipaggio che si ammucchiata – racconta il aggira intorno alle 25.000 per- Commodoro – è una giornata sone, c’è chi ricorda quasi tut- in mare, come una scampate le tappe della storica regata gnata: alcuni competono secome il Commodoro Giorgio riamente, altri suonano, canBrezich. Presente dalla secon- tano e bevono a bordo”. Uno da edizione della Coppa d’au- degli avversari del Commodotunno, l’altro nome della re- ro Brezich fu Sergio Morin, gata, le ha viste tutte e ha an- calciatore velista che si divideche vinto più di una volta. Le va tra Inter, Napoli e il mare. sue vittorie più belle sono for- Le storie della Barcolana si trase quelle a bordo del Nibbio mandano tra i pontili dove uno scafo del 1923 ancora in quotidianamente si pratica splendida forma che apparte- una vela meno scintillante ed neva a Brunetto Rossetti, me- esibita di quella di Porto Cermoria storica del mare, a metà vo o della Costa Azzurra. Sulla tra il pittore e il marinaio. Il signor Rossetti lo trovavi sempre al porto, in mare, o infiL’AFFOLLAMENTO lato in qualche scafo Duemila barche per ridipingerne il fondo e alla Barcolana per un equipaggio c’era sempre. Ora che il Nibbio gli è sopravviscomplessivo di 25.000 suto ci pensano gli amipersone. Si può sfidare ci del circolo a non far ammuffire lo scafo in chiunque, basta uno cantiere. “LaBarcolana è una vera e propria scafo che stia a galla linea di partenza che va dal Faro della vittoria al Castello di Miramare – così affollata da vantare anche un record in collisioni e danni – ci sono passati tutti, dai campioni dell’America’s Cup a volti meno noti. Si incontrano in mare, dove non c’è differenza di stazza, casta o religione e le regole sono decise solo dal vento (la famosa Bora triestina che non fa sconti a nessuno). Era il 1987 quando il Cicio, soprannominato Gesù bambino perché era l’unico tra i lavoratori del porto a non bestemmiare mai, sfidò con un barchino di otto metri il Moro di Venezia. VINSE il secondo che però peccò in fair play non dando al Cicio la precedenza che gli spettava. Solo scuse ufficiali e un giro al bar convinsero il Gesù del porto a non fare ricorso e a mandare a monte la vittoria del Moro. Arrivano da tutto il mondo per la Barcolana, sono industriali con l’hobby della vela o campioni come il neozelandese Russell CoutLa Barcolana di Trieste Studio Borlenghi ts, hanno partecipato nomi storici della marineria come Cino Ricci ma le rotte più belle sono quelle piccole che sanno di ore in cantiere a riparare o costruire il proprio legno fedele. Lido Stabile faceva il camionista e in un incidente perse l’uso delle gambe. La moglie era disperata perché l’handi- cap non gli aveva fatto mollare il timone e usciva in mare con il suo cane come mozzo, anche se la barca si chiamava Gatto Romeo. Meno di otto metri di scafo e quel memorabile anno, il 1978, in cui quasi senza accorgersene, rimase incollato, in regata, ai campioni olimpici più blasonati. 16 SECONDO TEMPO VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 il Fatto Quotidiano MASTERIZZATI MIGRAZIONI Erlend e il nuovo amore per il reggae L’ALBUM DELL’EX KINGS OF CONVENIENCE REGISTRATO IN ISLANDA DOPO UNA TAPPA ITALIANA di Giudo S Biondi tanziale Erlend Øye non lo è mai stato. Conosciuto in occasione di Quiet Is The New Loud, il primo album dei Kings Of Convenience: la risposta europea a Simon & Garfunkel; in realtà molto più modesti come duo – il suo sodale si chiama Eirik –, hanno reinventato il cosiddetto “new acoustic movement” (a rileggere oggi queste cose viene da ridere). Ok semplici paraculi ma – indubbiamente – il contrasto tra i due Kings produce buone cose: moderato e timido uno, spumeggiante l’altro. A Erlend il circuito indie non dispiace ma le sue ambizioni lo portano a registrare diverse canzoni di musica elettronica in altrettante città del mondo: il risultato è il suo primo al- bum solista Unrest del 2003, creato sulle ceneri Versus, album di remix per i Kings (con una comparsata di Cornelius) e Melody A.m., acclamato esordio dei conterranei Royksopp con Øye vocalist. UNREST unisce il nostro a un network con i migliori produttori di musica elettronica, su tutti Morgan Geist, e – per molti anni a venire –, diventa un protagonista della scena con collaborazioni riuscite, tra tutte merita di essere ricordata la malinconica For The Time Being con Phonique e la raccolta Dj Kicks. Eppure al nostro spilungone qualcosa non torna nonostante le richieste da ogni parte del mondo per fare il Dj: “Una delle cose che mi fa più piacere nella mia vita è riuscire a far ballare la gente”, racconta Erlend, “ma il perio- LA BAND Rock vizioso da cavernicoli do concentrato sulla musica elettronica non ha fatto bene alle mie orecchie, troppo rumore. Distrutte da ascoltare una traccia in cuffia mentre mixi l’altra; inoltre suonare fino alle cinque del mattino e svegliarsi il giorno dopo alle 11 quando in hotel la colazione è terminata ti porta a comprendere che stai facendo una vita non sana. Ecco perché – alla fine – ho preferito il mio spazio indie conquistato a fatica con i Kings, certamente più desiderabile della vita night life. Se devo scegliere tra un concerto alle 21,00 o un djset alle 3,30 de mattino state certi che scelgo il primo!”. La svolta è il collettivo tedesco Whitest Boy Alive, con Erlend quale cantante e il funky come bussola: il risultato è uno stravagante disco ricco di sfumature, indie fino al midollo. “Golden- di Pasquale Rinaldis Erlend Øye (sulla bicicletta) cage”, portata al successo dal dj Fred Falke (ascoltate bene il remix, da qui è partita l’idea della linea di “Get Lucky” dei Daft Punk) ha avuto successo grazie alla versione dancefloor, segno da non sottovalutare. Mentre continua il sodalizio dei Kings, Erlend ha preso casa a Siracusa e ha iniziato a innamorarsi dell’italiano (un singolo, “La prima estate”) e a frequentare un gruppo di musicisti “hobo” islandesi, la band Hjálmar. Dall’Italia all’Islanda è andato a registra- COVER re il nuovo album solista Legao (esce oggi), svoltando a sonorità reggae, con un imminente tour in arrivo a novembre a Roma, Bologna e Milano. Un disco apparentemente leggero (leggerezza intesa nell’accezione positiva) con alcuni testi molto profondi, soprattutto in “Garota” (“quando ti chiedo senza rumore, mi risponderai senza parole?”) e nel nuovo singolo “Rainman”. Un percorso di maturità, la personale “linea d’ombra” di un cantautore pacificato e vitale. L’ESORDIO Sua maestà Traversata Mark Lanegan per il mondo DEGENERATE PARTY © SONGS FOR TAKEDA © “PRIMATI” non nel senso di quelli che stanno nel Guinness, ovviamente. Se già la copertina da sola non bastasse a far intuire cosa suonano questi cavernicoli da Roma, provvedono le prime note di Gotta Do It, The Journey o 70 Girl a spazzare via ogni dubbio. Rock’n’roll grezzissimo e di base. Primale per l’appunto. Quello che graffia i muri dei garage sparsi per il mondo da più di cinquant’anni, quello che è stato via via dei Count Five e dei Sonics, dei Dictators e dei Real Kids, degli Oblivians e dei New Bomb Turks. Citiamo apposta nomi di culto perché i Primati appartengono al sottosuolo musicale, per definizione e destinazione. Nel gruppo ci sono membri di Assalti Frontali e Brutopop, ma qui le coordinate sono sfasate rispetto a quelle dei gruppi madre. Canzoni squadrate e viziose, sinuose e taglienti come il miglior r’n’r deve essere: spiccano, in una scaletta tiratissima, le cover di Bomber dei Motorhead e (a sorpresa) di Guilty di Randy Newman. Un party degenerato, e rigenerante. Carlo Bordone LA GUIDA all’ascolto sta nel sottotitolo del sito: “A Folk’n’Roll live act with the spirit of Soul and Gospel Music”. Tutti gli elementi sono lì, e aggiungere altro diventa faticoso per il buon disco d’esordio di Letlo Vin, “Songs for Takeda”, uscito il 2 ottobre. Qualcuno lo avrà incrociato nelle aperture dei live di Umberto Maria Giardino, Emiliana Torrini, e Adriano Viterbini dei Bud Spencer Blues Explosion). Con Letlo Vin si va lontano: il suo debutto è una traversata dall’altra parte del mondo, nel folk ibridato di elegantissimo rock e disperazione soul. Nell’introduzione video (disponibile su YouTube), racconta di queste tracce, frutto di un’elaborazione difficile legata al suicidio di un amico. Un percorso che ha reso questo lavoro un concept album (in lingua inglese). Diletta Parlangeli Primati Godfellas GARAGE-PUNK R’n’r cialtrone come dev’essere THANKS A LOT! © The Boogie Spiders Atelier Sonique MUSICA e attitudine dei Boogie Spiders sono già ben descritte nella loro presentazione: “Ci piace quell’aspetto cialtrone del rock’n’roll, non ci piace chi si prende sul serio. Siamo in tre e abbiamo voglia di divertirci, insieme al pubblico che ama il rock’n’roll come noi”. I Boogie Spiders sono un trio milanese, attivo dal 2010 e proveniente da altre esperienze underground (R.U.N.I., Shandon). Fabio Federico Gallarati (voce e chitarra), Fabrizio Rota (voce e basso), Stefano Mornata (batteria) rifuggono da qualunque forma di intellettualismo e riportano il rock’n’roll alla sua essenza più cruda e primordiale: un garage-punk indiavolato e selvaggio venato di blues, noise, surf e psychobilly, suonato con gusto trash e un approccio ai limiti della bassa fedeltà. Si ispirano a gruppi come Sonics, Stooges, Cramps, Gories e nel nuovo album virano verso il soul-punk incendiario dei Dirtbombs (“Mojo Hanna”, “Getting Stronger”). Sgangherati e deviati come si deve. Gabriele Barone Di nuovo Pink Floyd (quel che ne resta) Letlov In Autoproduzione IMITATIONS © Mark Lanegan Heavenly Recondings/Pias COLPISCE il titolo schietto, semplice e diretto, per un artista affermato ma pur sempre di culto. È la seconda volta che Mark Lanegan si dedica a un disco di cover (I’ll Take Care Of You è del 1999) e ci riesce sempre bene. Qualche cattivone potrebbe addirittura dire “meglio di quando canta cose sue”. Ma sarebbe ingiusto. Sta di fatto che le interpretazioni di Mack The Knife e Autumn Leaves valgono da sole il prezzo del cd. La prima rendendo un po’ più cantautorale ma senza snaturarla la coppia Brecht/Weill, la seconda restituendo al brano quell’anima pop che l’empireo della musica le aveva un po’ tolto nel corso dei decenni. L’intero album – una raccolta di standard e gemme oscure che a detta di Lanegan segnano l’impatto ricevuto dalla collezione di dischi dei genitori mette in luce le sue raffinate doti di cantante e interprete. Sempre sicuro, composto nell’intonazione e vibrante nell’incedere dei versi, si tratti di declamare sopra due sole chitarre acustiche o infilarsi in un ridotto arrangiamento d’archi. Andrea Di Gennaro IL NUOVO disco dei Pink Floyd, The Endless River, uscirà soltanto il prossimo 10 novembre, ma l’ansia per l’attesa, grazie a un’operazione commerciale che per ora prevede solo un assolo di chitarra e poche note distribuite col contagocce, aumenta. È stata Polly, la moglie del chitarrista e cantante David Gilmour, agli inizi di luglio, a darne la notizia con un tweet. Cosa impensabile per questa band che con le ultime note di High Hopes pareva aver messo la parola fine alla propria storia e che, invece, proprio da quell’assolo di chitarra adesso riparte. The Endless River infatti, è basato sulle session del 1994, anno durante il quale i Pink Floyd registrarono The Division Bell. I nuovi brani, precisa il management, non saranno degli “scarti”, ma “tasselli di un complesso mosaico sonoro” che stava prendendo vita parallelamente a The Division Bell. Dedicato al compianto tastierista Richard Wright, questo nuovo album “è il canto del cigno per Rick”, ha scritto Polly nel suo tweet, mentre per il batterista Nick Mason è un modo per riconoscere a Wright che ciò che faceva e come suonava era proprio il cuore del suono dei Pink Floyd. Per Gilmour invece rappresenta una traccia da lasciare nel 21° secolo. La copertina reca l’immagine di un uomo che rema in un fiume di nuvole, ed è stata creata dal 18enne artista egiziano Ahmed Emad Eldin. La curiosità attorno a questo disco cresce, anche grazie alle parole del co-fondatore Roger Waters, che ha abbandonato il gruppo nel 1983. Quando un giovane ha chiesto a sua moglie Laurie notizie sulnuovo disco dei Pink Floyd, pensando che il marito ancora ne facesse parte, Roger è andato su tutte le furie: “Non ho nulla a che fare con i dischi dei Pink Floyd usciti nell’87 e nel ’94”. IL PROGETTO Parole speciali dal mondo parallelo RADICI © Francobeat Brutture Moderne LE CANZONI migliori sono quelle che ti trasportano in un mondo parallelo. Che ti chiedono di guardare la realtà con altri occhi e di sospendere, almeno per tre minuti, il principio di razionalità. In questo senso, le canzoni di Radici centrano il bersaglio del cuore con una naturalezza e una levità straordinarie. Forse perché chi ne ha scritto le parole è abituato a guardare il mondo da un altro punto di vista. I testi dei brani, infatti, sono opera degli ospiti di una residenza per disabili mentali di San Savino, nei pressi di Riccione. A metterli in musica e cantarli ha pensato invece un artista irregolare e fantasioso come “Francobeat” Naddei, innamorato- si della proposta di una educatrice del centro di lavorare sul materiale letterario prodotto dai pazienti. Il feeling tra il musicista e i suoi inediti parolieri è stato immediato, e si riassume in una strofa della deliziosa “Verde/Secco”: “caro amico Franco, ti offriamo un vin santo/se ci aiuti a trasformare in canzoncelle/tutte queste note belle”. Il rischio del pietismo ricattatorio e un po’ morboso c’era, come sempre in questi casi, ma la sensibilità e il talento melodico di Francobeat – al quale hanno dato una mano, tra gli altri, John De Leo, Sacri Cuori e Massimiliano “Moro” Morini – hanno saputo estrarre il nocciolo di poesia da questo strano incontro. Gianni Rodari ne sarebbe fiero. E dovrebbero esserlo anche gli autori. C. Bord. SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 17 THE BODY OF SEX Il ciclo di documentari sul sesso trasmessi da Cielo LAEFFE TV IL PEGGIO DELLA DIRETTA Pensavo fosse la libertà invece era la Rete padrona di Nanni Delbecchi empre più cose sono gratuite, S la vita è diventata un’offerta speciale, eppure non siamo mai stati tanto poveri. Come si spiega? Si spiega con lo strano paradosso di Internet, alle cui maglie invisibili siamo tutti incatenati. Credevamo fosse libertà e invece era un calesse, e decisamente non siamo noi a guidarlo. Là dove c’era una prateria ora c’è una metropoli, come direbbe il ragazzo della via Gluck, terra di conquista dei colossi del nuovo capitalismo digitale. Tutto questo è il punto di partenza di Rete padrona, un ciclo di appuntamenti in onda da mercoledì prossimo su laeffe TV dove la vera novità, più che nei temi non troppo inediti, sta nel taglio narrativo che la rete sta sperimentando da un po’. Fuoco sull’attualità, come Feltrinelli comanda, ma senza salotti, e, colpo di scena, senza libri né le tradizionali telepresentazioni a soffietto. IL RAGAZZO della via Gluck della situazione è il giornalista Federico Rampini, autore del saggio intitolato proprio Rete padrona; ma questa ne è la prosecuzione attraverso un mix di materiali inediti e interviste, dai protagonisti della Social Media Week di Roma fino al guru liberal Jeremy Rifkin, teorico dell’empatia e dell’Internet delle cose. Progressista della prima ma anche dell’ultima ora, Rifkin è propedeutico al documentario Ano- nymous - l’esercito degli hacktivisti (che si vedrà nel corso del primo speciale), quando si chiede se il movimento web-clandestino sia paragonabile a una Nuova Internazionale. Saranno i giovanissimi ribelli a salvarci dalle catene virtuali? È presto per dirlo, anche perché essi stessi sono figli del tecno integralismo dei tempi, qualcosa che li apparenta di più alla ribellione sessantottina, così affascinata dallo stesso potere che si proponeva di combattere. Mercoledì 15 si parla dell’influenza che il web ha avuto sul cinema con il documentario Rivoluzione Digitale, dove Keanu Reeves interpella tra gli altri Christopher Nolan, Martin Scorsese e Lars Von Trier. Ma c’è da dire che ormai ogni schermo sta stretto alla rete, non c’è effetto speciale che tenga, se nel vero format senza precedenti, l’horror a puntate confezionato dai terroristi dell’Isis, il sangue umano è autentico. Tra gli effetti collaterali del web c’è anche questo: chi avrebbe potuto prevedere che i rigurgiti più retrivi del pianeta si sarebbero trovati a casa loro nello specchio della modernità? Giro intorno al porno, le comiche del divieto in tv di Davide Valentini l sonno della ragione genera mostri. I Ma anche stare svegli fino a tardi non rende la situazione più sopportabile, specie se si cerca conforto nella Tv. Recita la liturgia fantozziana, anno di grazia 1980: “A una cert’ora della notte le famiglie si ritirano sconfitte. È l’ora critica, l’ora di Proibito, di Vietatissimo, di Oroscopone, Super Porno Show”. Trentaquattro anni dopo, le cose hanno preso una piega ambigua. Non c’è mai stato tanto porno in giro, l’accesso non è mai stato così facile. Un portale come PornHub processa 5000 terabyte di dati al giorno. Facebook si ferma a 600. L’hard è ovunque, tranne che in Tv, dove resta vietato. Vietatissimo. E allora accade che alcuni canali provino a scansare le direttive sul comune senso del pudore, con una teoria generosa di programmi che svolazzano intorno al sesso, ma si fermano sul più bello. Campione assoluto nella speciale categoria è AXN HD (canale 122 di Sky), che propina un palinsesto seral-notturno nutrito di titoli che suonano come promesse non mantenute: Sexcetera, Gola Profondissima, Debbie viene a Dallas, Badass – Cattive ragazze, Sex Week, Porno Valley e via adescando. Tutti peri- colosamente in bilico tra palpate dirette e inquadrature ritagliate, tutti serenamente aggrappati all’unico articolo mostrabile senza sanzioni, la tetta. IL MECCANISMO è sempre lo stesso, con variazioni lievi. Prendiamo il caso della serie “Gola Profondissima”. Il programma racconta il backstage della produzione di un film hard, il remake della pellicola culto con Linda Lovelace del 1972. Produttore, regista, attori e attrici vengono seguiti nella vita di tutti i giorni, in una routine che mira a svelarne la profonda umanità, anche se il sentimento prevalente è la noia. Gli intrecci pressoché inesistenti, i personaggi appena accennati, acquistano senso solo in funzione dell’universo pornografico al quale appartengono, della scena che sono disposti a girare, ma che al pubblico non è dato vedere. Non completamente almeno. È come se il cameraman, nel momento in cui parte l’azione, venisse distratto da un dettaglio marginale, che lo porta a spostare l’obiettivo sulla periferia dell’atto sessuale, che pure resta parzialmente vi- Gli ascolti di mercoledì VELVET Spettatori 3,4 mln Share 12,3% LE IENE SHOW Spettatori 2,5 mln Share 13,3% sibile. E per qualche ragione, queste scene di sesso implicito raggiungono livelli di morbosità sconosciuti al porno autentico. Nel tentativo di non escludere l’eros dalla programmazione, i canali percorrono anche strade meno brutali, con alterni successi, tra terapie di coppie insoddisfatte, segreti inconfessabili e sessuologia spiccia. In mezzo ai rari esperimenti di alto profilo spicca The Body of Sex, il ciclo di documentari trasmesso da Cielo che raccoglie il meglio della produzione internazionale a tematica erotica. Di tutt’altro segno è invece “In my slip”, tragico tentativo di Mediaset di avvicinarsi al mondo delle webseries. Tre amiche sedute sul divano discutono di sesso. Una è molto esperta, un’altra molto ingenua, la terza così così. Ma il colpo di genio deve ancora arrivare: insieme a loro, visibile solo alla legittima proprietaria, siede la vagina di una delle tre, interpretata da un attore barbuto e in accappatoio – peraltro piuttosto bravo. Nelle intenzioni degli autori, sono i suoi commenti puntuali a rendere il prodotto “scanzonato” e “irriverente”. Due aggettivi che hanno fatto più danni di Umberto Smaila. ATLETICO M. - JUVENTUS Spettatori 7 mln Share 25,4% CHI L’HA VISTO? Spettatori 2,6 mln Share 11,7% 18 SECONDO TEMPO VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 il Fatto Quotidiano GIUSTAMENTE ASSUEFAZIONI Sarà un mafioso, ma è così educato di Gian Carlo Caselli A Brescello (Reggio Emilia) una troupe di giovani coraggiosi ha girato per il web Cortocircuito, un formidabile servizio ripreso da ilfattoquotidiano.it. Tema: gli ottimi e cordialissimi rapporti del sindaco (Pd) con tal Francesco Grande Aracri, abitante nel paese da molti anni ma non un cittadino come tutti gli altri. Egli infatti è stato condannato per mafia e sottoposto a sorveglianza speciale. È inoltre al centro di attività economiche sospette che hanno recentemente portato a un sequestro di beni a suo carico, da parte dei Carabinieri di Reggio Emilia, per un valore di 3 milioni di euro. Fa da cornice al tutto l’accusa di legami con la cosca ’ndranghetista di Cutro. E tuttavia il sindaco ha definito questo soggetto “persona educata e composta, gentilissima e tranquilla, sempre vissuta a basso livello”. Brescello è anche il paese di Peppone e don Camillo, i mitici personaggi di Giovannino Guareschi, resi ancor più famosi dai film interpretati da Gino Cervi e Fernandel, nel ruolo di sindaco e parroco. Solo che le cose sono cambiate, rispetto a quei tempi. Perché Peppone e don Camillo (rompendo una crosta solo apparente di bonomia) facevano continuamente prorompere un torrente di divergenze, litigi, scontri e risse. Ora invece parroco e consiglio comunale si schierano subito dalla parte del sindaco. Ormai è tutto un idilliaco “pappa e ciccia”, un universale “volemose bene” all’insegna dell’indignata negazione dell’esistenza di qualunque problema di mafia. Si organizzano iniziative popolari pro-sindaco e si raccolgono per lui firme di solidarietà e sostegno (con il concorso, pare, dei familiari del condannato). E chi prospetta anche solo la possibilità di infiltrazioni illegali nel paese è pregato senza tanti riguardi di farsi da parte e starsene zitto. BRESCELLO in verità non si differenzia troppo da molte altre zone del Centro e Nord Italia. Spesso, anche se vi sono presenze mafiose di tutta evidenza, fortissima e diffusa è la tendenza a negarle. Miopia, superficialità, sottovalutazione e ignoranza si intrecciano con una sorta di distacco “aristocratico” del Centro-Nord verso problemi considerati a torto roba esclusiva di un Sud arretrato e povero. Senza accorgersi che così si spalancano praterie sconfinate alla penetrazione dei mafiosi. Che per parte loro fanno di tutto (ce Il sequestro dei beni a Francesco Grande Aracri, a Brescello Ansa “CORTOCIRCUITO” Il caso di Brescello e dei rapporti amichevoli tra il sindaco Pd e un pregiudicato: scandalo nel paese di Peppone e don Camillo? Macché l’hanno nel Dna) per passare inosservati, per non essere avvertiti come un pericolo: dimostrando notevoli capacità di “ibridarsi” mescolandosi e mimetizzandosi con le persone per bene. Con il paradosso che questa mimetizzazione (la vita “a basso livello”…) finisce per essere un comodo alibi per chi non vuol vedere o prova a giustificare la sua disattenzione. VIENE IN MENTE quel che il prefetto di Palermo Carlo Alberto dalla Chiesa aveva dichiarato oltre trent’anni fa a Giorgio Bocca, pochi giorni prima di essere ucciso dalla mafia, a proposito dei Corleonesi (i Liggio, i Collura, i Criscione ecc...) che nel 1949 erano stati da lui denunciati in Sicilia per più omicidi e sempre assolti per insufficienza di prove, e poi si erano “tutti stranamente ritrovati a Venaria Reale alle porte di Torino”. Dalla Chiesa chiedeva “notizie sul loro conto e gli veniva risposto “brave persone, non disturbano, firmano regolarmente”. E nessuno si era accorto che in giornata magari erano venuti a Palermo o tenevano ufficio a Milano o, chi sa, erano stati a Londra o Parigi”. Tempi, luoghi e personaggi sono diversi: ma sostanzialmente uguale è il giudizio troppo ottimistico e indulgente: ieri “brave persone” oggi “persone educate e composte”, come a smentire che la storia non si ripete. Quel che il sindaco e gli abitanti di Brescello (purtroppo come tanti altri) non vogliono neppure prendere in considerazione è la sicura, accertata forza relazionale della ’ndrangheta soprattutto nei piccoli centri, cioè la sua co- stante ricerca di credito sociale attraverso stretti rapporti con le amministrazioni locali e la popolazione: senza commettere reati che creino troppo allarme, ma facendo valere come immanente (senza strafare) la forza che comunque discende dal loro persistente legame con l’organizzazione criminale le cui radici restano in Calabria. CON IL RISULTATO di un sotterraneo, crescente intreccio con il mondo “per bene” e di una progressiva intensificazione dell'inquinamento dell'economia pulita ad opera di quella illegale. A volte facilitata dal fatto che un aiutino per superare le difficoltà economiche contingenti può anche far comodo e può indurre a negare di avere a che fare non persone poco raccomandabili. L’inutile cinismo del dibattito sull’art.18 di Bruno Tinti UN CONFRONTO di pregiudizi è impossibile. Così è inutile discutere dell’art. 18 su base ideologica. Sono le conseguenze che contano. Un lavoratore licenziato illegittimamente, se il reintegro previsto dall’art. 18 fosse abrogato, riceverebbe 15 mensilità di indennizzo e si aggiungerebbe alla lista dei disoccupati. Per questo l’abrogazione è una follia: l’ingiustizia patita (il licenziamento si assume illegittimo) non può essere riparata con risorse appena sufficienti a sopravvivere per poco più di un anno. Perciò un’eventuale riforma non deve essere basata sull’abrogazione del reintegro ma sulla tipizzazione dell’illegittimità del licenziamento. In altri termini bisogna riservare la sanzione-indennizzo, drammatica per il lavoratore, ai soli casi di licenziamento non gravemente illegittimo ovvero a quelli in cui il reintegro renderebbe incompatibili i rapporti tra lavoratore e azienda. Ma non è semplice. Prima di tutto sarebbe necessario un radicale cambiamento della cultura sindacale italiana. Ad esempio: è inaccettabile la difesa corporativa dei lavoratori dell’aeroporto di Fiumicino responsabili di furto dei bagagli. Ma è un cambiamento difficile: l’evoluzione delle confederazioni storiche è possibile, non quella dei sindacati autonomi. C’è poi il problema dell’uniformità e prevedibilità delle sentenze. Ricordo un caso in n cui il titolare di un’azienda di panetteria fu obbligato al reintegro di un dipendente che, fuori dall’orario di lavoro, intratteneva rapporti con la moglie di lui nei locali dell’azienda: si servivano dei tavoli della panificazione (non so se, alla fine, ripuliti adeguatamente). Si trattava – disse il giudice – di condotte che non avevano influito sulla regolarità della prestazione lavorativa. E ancora, occorrerebbe definire meglio il concetto stesso di illegittimità: il licenziamento di un dipendente che rifiuta sistematicamente il lavoro straordinario quando la domanda cresce, può essere considerato illegittimo? E, comunque, DILEMMI È necessaria un’attenta discrezionalità del giudice a garanzia di un’equa decisione Ma in Italia si preferisce marciare a ideologia Ansa può essere sanzionato con il reintegro? Ci sono poi le situazioni create ad arte. Da ambedue le parti. Una modifica formalmente corretta delle condizioni di lavoro, che lo renda più oneroso e induca il dipendente alle dimissioni o a inadempienze che consentano il licenziamento. Ovvero un atteggiamento ostruzionistico del lavoratore che, avendo trovato altra occupazione, spera in un contenzioso che gli garantisca l’indennizzo. n COME SI VEDE, è necessaria un’attenta discrezionalità del giudice a garanzia di un’equa decisione. Ma in questo modo si pregiudica l’uniformità delle sentenze. Un dilemma irresolubile. Resta il fatto che il problema non può essere sottovalutato come, irresponsabilmente, fa Renzi. Non è vero che il reintegro riguarda non più di 3.000 lavoratori ogni anno (40mila casi di articolo 18, l’80% risolti con un accordo, ne restano 8mila, in 4.500 il lavoratore perde, in 3.500 vince e in due terzi dei casi ha il reintegro. Stiamo discutendo di una cosa importantissima che riguarda 3mila persone l’anno). Se il contenzioso non fosse sulla scelta tra reintegro e indennizzo, le offerte del datore di lavoro sarebbero meno generose. E soprattutto non si può dire che il dramma di 3.000 persone (all’anno) private dei mezzi di sussistenza sia irrilevante. Uno statista non confonde la real politik con il cinismo. Un politico sì. Ma, di gente così, l’Italia ha fatto il pieno. COMUNIONE E CONTESTAZIONE Socci vuol detronizzare papa Francesco E gli ex amici del Sabato se le danno di Silvia Truzzi cesco, in libreria oggi per Mon- ermi tutti, hanno scherzaF to. La fumata bianca in realtà era nera, o almeno grigia- DIREMO subito che di pop c’è stra. E no, non stiamo parlando dei giochini di Palazzo che da mesi tengono in scacco la Corte costituzionale, perché le Camere non si accordano sui nomi. L’assise in questione è affare assai più serio, è addirittura il Conclave dei cardinali che il 13 marzo 2013 ha nominato Jorge Mario Bergoglio sul soglio di Pietro. Non habemus papam, scrive Antonio Socci, ex vicedirettore di Raidue, ex ciellino, giornalista e scrittore, nella sua ultima fatica Non è Fran- LITI DI FEDE Secondo il giornalista ci sarebbe stata un’irregolarità e l’elezione di Bergoglio sarebbe nulla. Intanto lui prega e il Foglio lo bastona dadori (pagg. 296; 18 euro). solo il titolo. Il resto, ha scritto ieri Maurizio Crippa sul Foglio, è un fanta-thriller. Il cui “plot puzza come un polpettone avvelenato. Papa Ratzinger non si è mai dimesso, farebbero fede il fatto che ancora si vesta di bianco, che abbia mantenuto stemma e firma”. Ma soprattutto c’è la questione delle presunta scoperta delle presunte irregolarità elettorali. Sostiene Socci che durante la votazione si è verificato un errore (un elettore ha votato due volte; ma la cosa, a sentire i vaticanisti, era stranota) . Secondo l’articolo 69 del regolamento la votazione si doveva rifare, non però in quella stessa sera. E dunque l’elezione è invalida. Tuttavia, spiega Crippa, basta aver letto l’articolo 68: “nel caso il numero delle schede non corrisponda al numero degli elettori ‘bisogna bruciarle tutte e procedere subito a una seconda votazione’, come fu fatto”. Il pezzo del Foglio – che il direttore ha perfidamente titolato “Ciarpame senza pudore”, hommage a lady Veronica – è molto argomentato e durissimo, segno che la spaccatura tra gli ex amici del Sabato (leggasi Cielle) è profonda. L’autore lo aveva messo in conto: “Scrivere queste pagine mi è costato un grande sacrificio materiale e tanta sofferenza morale. Mi hanno detto che potrebbe essere una sorta di suicidio professionale. Può darsi. Ci mettiamo nelle mani di dio. Metto in preventivo l’umiliazione degli attacchi personali che di sicuro arriveranno da chi non vuole confrontarsi con i contenuti del libro”. C’è sempre una salvezza, però: “Alla fine la verità ci farà liberi”. Ma che c’è dietro tutti questi dubbi e queste cerimoniose sofferenze? L’operato di Bergoglio (che, com’è risaputo, non ama i nipotini di don Gius e le loro inclinazioni mondane). Eppure sulle prime era stato salutato davvero magno cum gaudio da Socci: “Ammetto di essere uno dei tanti che hanno accolto Bergoglio a braccia spalancate, come era giusto fare ritenendolo il Papa legittimamente eletto. Gli comunicai perfino che - fra tan- ti altri - poteva contare pure sulla preghiera mia e della mia famiglia”. CHE AVRÀ FATTO Francesco per meritarsi un invito a farsi da parte? “Bergoglio, sempre così critico con i cattolici, non si contrappone mai alle lobby laiciste sui temi della vita, del gender, dei principi non negoziabili che papa Benedetto individuò come pilastri della dittatura del relativismo”. Socci rivuole il papa legittimo, Benedetto (cui il libro è così sobriamente dedicato: “A Joseph Ratzinger, umile gigante di sapienza”). Poi c’è lo Ior, “che Bergoglio non ha chiuso affatto” (invece Benedetto...). Tutte questioni molto opinabili, come la stupefacente affermazione: “Benedetto ha ricevuto da parte del mondo segni di profonda opposizione: basti ricordare episodi come l’aggressione mediatica per lo scandalo pedofilia, contro il quale peraltro Ratzinger ha fatto piu di chiunque altro, prima e dopo”. Scomodando nuovamente Battisti, “chi sta sbagliando son certo sei tu”. @silviatruzzi1 SECONDO TEMPO il Fatto Quotidiano 19 VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014 A DOMANDA RISPONDO Furio Colombo La conoscenza è globale ma la geografia è inutile Ho appena terminato l’ascolto dei discorsi alla Camera sulle sanzioni verso la Russia, ma non è un discorso geografico economico? Allora perché eliminare la geografia economica dallo studio negli istituti superiori quando oggi è necessario conoscere realtà mondiali che poi molti relatori hanno dimostrato di non conoscere? Si ascoltino i vecchi geografi per fare dell’Italia uno stato con conoscenze globali e si preparino anche i giovani a quelle conoscenze. Renzi ha sventolato alcuni opuscoli che dovevano contenere tutti i temi della riforma, invece all’inizio dell’anno scolastico ci si è trovati con i tanti problemi irrisolti riguardanti le strutture, docenti e le discipline da insegnare: l’ennesimo sogno di Renzi è svanito. Per conto mio, voglio riferirmi alla mia materia, la geografia, disciplina che invece di essere potenziata è stata ridotta a un’ora alla settimana sempre e solo negli Istituti tecnici commerciali. Mi sembra un’assurdità perché la geografia è sempre più necessaria per poter conoscere e muoversi. di volti noti ha voluto appiopparti. A quel punto anche la critica del “sei un’idiota in coda per un Iphone da 600 euro”, risulta poco fondata perchè, tanto, risparmiare su un giocattolo che ti fa distrarre, non ti permetterebbe comunque di comprare casa, farti una famiglia, emanciparti. Il problema è che l’accettazione di questa condizione passa attraverso una sorta di cattiva interpretazione del superomismo nicciano, per cui ci si convince che questa situazione avvilente e obbligata, non solo sia buona ma sia la migliore possibile, quella cui si debba tendere. A fomentare questa convinzione ci pensano modelli terno a noi, come se si trattasse di una preferenza), non cambierà. Che per cambiare le cose si debba rettificare anche noi stessi, poi, è un altro, valido, discorso. Non vogliono morire di accoglienza CARO COLOMBO, ho visto i muri di Roma tappezzati di costosi manifesti a colori formato grande film. Mostrano un barcone pieno di scampati a un naufragio. Una grande scritta in alto dice: “Non vogliamo morire di accoglienza". Sotto la fotografia di gente salvata, in caratteri giganti, c’è scritto: “Basta immigrazione, basta schiavitù”. Non è detto la schiavitù di chi. E non è indicato il mandante. Che cosa vuol dire? La guerra tra poveri della riforma del lavoro Il dibattito sull’abolizione dell’art. 18 è arrivata alla fase finale. Ormai è chiara la volontà del governo Renzi-Berlusconi di far approvare ad ogni costo il loro provvedimento. Nei dibattiti sui media emerge sempre un solo aspetto del problema: la necessità di allargare i diritti ai lavoratori meno garantiti. Non si capisce come si possano garantire Amelia IN GENERALE vuol dire che la signora Le Pen è arrivata e si è insediata tra noi, anche se non è ancora certo e dichiarato quali personaggi e gruppi politici, oltre alla Lega Nord, si accaseranno con lei, nazista e razzista. In particolare quei manifesti non erano (non sono, perché restano affissi con i dovuti permessi sui muri di Roma) anonimi. Sono firmati dal VI Municipio che evidentemente è quartiere di Roma divenuto lepenista non certo a causa dei migranti salvati dal mare o della accoglienza dei sopravvissuti (non vi è stato alcun invio di gruppi di salvati in mare in quella zona o a Roma) ma per senso di abbandono, mancanza di assistenza e presenza della città, di servizi pubblici, di adeguata e visibile presenza di Forze dell’ordine i cui organici e i cui mezzi sono continuamente tagliati, o direttamente da un pessimo ministero dell’Interno, o indirettamente, attraverso improvvisate riforme del pubblico impiego, di cui le forze dell’ordine sono parte, o a causa di tagli alla Difesa che, invece di rinunciare agli F35,rinuncia ai Carabinieri di quartiere. Resta il fatto che niente è ac- la vignetta Infanzia coatta, i trentenni e la paghetta culturali che propagandano l’infantilismo come nuova libertà acquisita, anziché stigmatizzarlo come lo stato di incompiutezza contronatura che è. La colpa da darci, allora, non è quella di ricordarci, con fare pedante, quanto siamo stupidi nello scegliere un modello negativo ma nel ricordarci quanto siamo miopi nel credere che sia un modello “da scegliere”, anziché un dato di fatto impostoci dalla società. E che quindi, senza un cambiamento della società (e non un cambiamento in- i più deboli togliendo diritti ai meno deboli, ma tant’è nell’Italia del centrosinistra di destra può succedere anche questo. Ho molta paura che, abolito l’articolo 18, le aziende useranno la nuova possibilità per liberarsi di quei lavoratori con contratto a tempo indeterminato per sostituirli con giovani precari: le imprese utilizzeranno le nuove regole secondo le loro convenienze. Si assumeranno, forse, giovani e si licenzieranno, quasi certamente, anziani: l’eterna lotta tra poveri. Mi è rimasta una sola speranza: che i dissidenti del Pd dimostrino un po’ di coraggio e dimostrino che nel partito c’è ancora chi dice qualcosa di sinistra. Antonio Boglione Cercasi magistrato capace e “violante” Come ha detto la ministra Boschi, il primo a fare accordi e mettere su un’intera bicamerale con Berlusconi è stato Massimo D’Alema, e dunque cosa si vuole da Renzi. Ed ecco che il patto del Nazareno continua a figliare. Presto il Fatto Quotidiano Direttore responsabile Antonio Padellaro Condirettore Marco Travaglio Direttore de ilfattoquotidiano.it Peter Gomez Caporedattore centrale Ettore Boffano Caporedattore Edoardo Novella Caporedattore (Inchieste) Marco Lillo Art director Paolo Residori Redazione 00193 Roma , Via Valadier n° 42 tel. +39 06 32818.1, fax +39 06 32818.230 mail: [email protected] - sito: www.ilfattoquotidiano.it Editoriale il Fatto S.p.A. sede legale: 00193 Roma , Via Valadier n° 42 Presidente:Antonio Padellaro Amministratore delegato: Cinzia Monteverdi Consiglio di Amministrazione: Luca D’Aprile, Peter Gomez, Marco Tarò, Marco Travaglio, Lorenzo Fazio Tommaso Merlo Fibronit, l’amianto nel centro di Bari Federico Callegaro Luciano Baruzzi La mia generazione, quella dei 30enni mancati, ha senza dubbio un sacco di colpe ma forse finisce sempre per individuare quelle sbagliate. Che i miei coetanei rimangano eterni bambini, e non riescano a diventare uomini, non è soltanto una responsabilità loro. Sono (siamo) vittime di “un’infantilizzazione coatta”. Se non puoi accendere un mutuo, non hai soldi per pagarti da mangiare e per fare un viaggio devi chiedere la paghetta, rimani (di fatto) un adolescente, con buona pace dell’intenzione di smarcarsi dalla definizione di “mammone” che tutta una serie vecchia guardia del Pd ha tenuto in mano le redini del centrosinistra per vent’anni. caduto per motivare quel manifesto, se non la volontà politica di preparare per le elezioni venture (che potrebbero essere anche prossime), il grande strumento della paura. La paura non ha misuratori se non informazioni false (che i lepènisti italiani, dichiarati o no, spargono come pioggia) e statistiche inventate (in Italia, e a Roma in particolare, non vi è nessun aumento di criminalità, e i delitti efferati restano di malavita organizzata o contro le donne, e di stretta impronta italiana). L’intento del manifesto (che implicitamente si colloca in un periodo di notizie allarmanti dal Medio Oriente, con il sostegno esplicito di Angelino Alfano che cerca ogni giorno di mettere in tensione i cittadini annunciando trasferte romane dei terroristi dell’Isis) è di cambiare non ciò che percepiscono i cittadini, in modo che vedano ciò che hanno sempre visto, gli immigrati del quartiere, con lo sguardo nuovo della paura e del sospetto. Tutto ciò non è lontano dalla mente di persone predisposte all’attacco, che questa propaganda cerca di risvegliare e di farci trovare in strada come militanti della sicurezza. Insomma, dove aveva fallito la Lega potrebbe avere successo (un successo tetro e immensamente pericoloso), Le Pen e la parte di destra disponibile a questi torbidi giochi. Perché il trucco riesce? Perché il governo ha da fare (a costo di imporlo “con violenza”) con l’abolizione dell’art.18 dello Statuto dei lavoratori. E dunque non ha tempo per queste sciocchezze. Chi vive a Bari e ha “una certa età”, non può dimenticare cosa ha significato per noi la Fibronit. Fabbrica di amianto. Fabbrica di morte, ha lavorato per 50 anni nel cuore di Bari, tra i quartieri Japigia e Madonnella. Nel 2014 doveva essere smantellata, ma è ancora lì. Cadente e pericolosa. A causa della burocrazia, dicono. In tutti questi anni sono morte più di 350 persone per mesotelioma pleurico. E anche se il primo intervento di bonifica è iniziato nel 2005, la fabbrica non è ancora stata smantellata del tutto. La gente che abita nei dintorni continua ad ammalarsi. Per la bonifica permanente sono stati stanziati 11 milioni di euro, impantanati nei vari uffici di Comune, ministeri, enti. Ora il nuovo sindaco di Bari, Antonio Decaro ha affidato la bonifica a un’altra azienda e lo ha dato ad un’altra. Il tempo passa ma la Fibronit resta. Per quanto ancora? Giuliana Loiacono Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] la Corte Costituzionale tornerà ad avere il suo plenum “cara...mazza”, quella che tanti italiani pensano ancora come l’unico mezzo (santo manganello) per mettere in riga i reprobi. E se poi capita come nel caso Matteotti e seguenti (e tanti ma tanti ne sono seguiti), che le conseguenze vadano oltre le intenzioni, un magistrato capace e “violante” le regole, alla bisogna si trova sempre, in grado di sacrificare il capro di turno. Vittorio Melandri Pd, la vecchia guardia che ripudia suo figlio Il problema della vecchia guardia del Pd non è Renzi, è quello che ha fatto prima di Renzi. Restando troppo a lungo in sella, ha perso credibilità. E tra D’Alema e Renzi, oggi, non c’è storia. Indietro non si può tornare. Se si fossero fatti da parte anni prima, oggi avrebbero ancora voce in capitolo. E soprattutto il Pd non si sarebbe affidato ad una leadership così lontana dal suo passato. Renzi è frutto dell’esasperazione verso l’immobilismo con cui la Sforare il limite e disobbedire al 3% Limite del 3%: i Piigs non ce la fanno a rispettarlo a meno di ricorrere a trucchi contabile come inserire le attività illegali nel Pil, gli altri che sono virtuosi semplicemente scelgono la disobbedienza come sta facendola Francia. Il giorno in cui tutti si metteranno d'accordo nello sforare il limite famoso, a saltare per aria e dichiarare il tanto temuto default sarà la Germania stessa, l'unica che sta avendo benefici reali da una situazione come quella attuale Vito Parcher Il Fatto Quotidiano 00193 Roma, via Valadier n. 42 [email protected] Abbonamenti FORME DI ABBONAMENTO COME ABBONARSI • Abbonamento postale annuale (Italia) Prezzo 290,00 e Prezzo 220,00 e Prezzo 200,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Abbonamento postale semestrale (Italia) Prezzo 170,00 e Prezzo 135,00 e Prezzo 120,00 e • 6 giorni • 5 giorni • 4 giorni • Modalità Coupon annuale * (Italia) Prezzo 370,00 e Prezzo 320,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Modalità Coupon semestrale * (Italia) Prezzo 190,00 e Prezzo 180,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola annuale (Italia) Prezzo 305,00 e Prezzo 290,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento in edicola semestrale (Italia) Prezzo 185,00 e Prezzo 170,00 e • 7 giorni • 6 giorni • Abbonamento digitale settimanale Prezzo 4,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale mensile Prezzo 12,00 e • 7 giorni • Abbonamento digitale semestrale Prezzo 70,00 e • Abbonamento digitale annuale Prezzo 130,00 e Oppure rivolgendosi all’ufficio abbonati tel. +39 0521 1687687, fax +39 06 92912167 o all’indirizzo mail: [email protected] • Servizio clienti [email protected] MODALITÀ DI PAGAMENTO • 7 giorni • 7 giorni * attenzione accertarsi prima che la zona sia raggiunta dalla distribuzione de Il Fatto Quotidiano Centri stampa: Litosud, 00156 Roma, via Carlo Pesenti n°130, 20060 Milano, Pessano con Bornago, via Aldo Moro n° 4; Centro Stampa Unione Sarda S. p. 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Les. 196/2003): Antonio Padellaro Chiusura in redazione: ore 22.00 Certificato ADS n° 7617 del 18/12/2013 Iscr. al Registro degli Operatori di Comunicazione al numero 18599 • Bonifico bancario intestato a: Editoriale Il Fatto S.p.A., BCC Banca di Credito Cooperativo Ag. 105, 00187 Roma, Via Sardegna n° 129 Iban IT 94J0832703239000000001739 • Versamento su c. c. postale: 97092209 intestato a Editoriale Il Fatto S.p.A. 00193 Roma , Via Valadier n° 42, Dopo aver fatto il versamento inviare un fax al numero +39 06 92912167, con ricevuta di pagamento, nome, cognome, indirizzo, telefono e tipo di abbonamento scelto • Pagamento direttamente online con carta di credito e PayPal.