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CARAMAZZA E TOTÒ RIINA FANNO ARRABBIARE RE GIORGIO

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CARAMAZZA E TOTÒ RIINA FANNO ARRABBIARE RE GIORGIO
Francesco:“Non va smantellato il diritto fondamentale al lavoro”. A Renzi
saranno fischiate le orecchie. È rimasto solo il Papa a dire qualcosa di sinistra
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Venerdì 3 ottobre 2014 – Anno 6 – n° 272
e 1,30 – Arretrati: e 2,00
Redazione: via Valadier n° 42 – 00193 Roma
tel. +39 06 32818.1 – fax +39 06 32818.230
Spedizione abb. postale D.L. 353/03 (conv.in L. 27/02/2004 n. 46)
Art. 1 comma 1 Roma Aut. 114/2009
CARAMAZZA E TOTÒ RIINA
FANNO ARRABBIARE RE GIORGIO
Altra giornataccia per Napolitano: il suo candidato alla Consulta viene impallinato insieme
a Violante, 16ª fumata nera malgrado i moniti del Colle. E il boss chiede di esserci in
videoconferenza quando i giudici al Quirinale interrogheranno il Presidente sulla Trattativa
De Carolis, Lo Bianco, Marra, Massari e Rizza » pag. 2 - 3
SMOTTAMENTI
Della Valle “entra” in politica
B. dice: “Fitto, vaffanculo”
Il signor Tod’s: “Sono a disposizione,
bisogna essere pronti, a Renzi non do
1000 giorni”. Nell’ufficio di Presidenza di
Forza Italia sfida all’Ok Corral quando l’ex
governatore pugliese accusa il leader di
essersi arreso a Matteo perdendo una
caterva di voti. Berlusconi: “Sei un parroco
di Lecce, figlio di un democristiano, fatti un
partito tuo”.
d’Esposito e Tecce » pag. 4
Berlusconi e Fitto LaPresse
» ARRIVEDERCI ROMA » Dopo la fuga di Muti, teatro allo sbando
Buco dell’Opera, Marino
licenzia 200 orchestrali
Bilancio in profondo rosso,
il Cda “risolve” vendicandosi
su orchestra e coro e
ottenendo un risparmio
di 3,4 milioni di euro:
lavoratori messi in strada
con un tweet. Il sindaco:
“Decisione drammatica ma
necessaria”. Un altro colpo
alla cultura di una Capitale
allo stremo
Liuzzi » pag. 14
Te lo do io il vertice Bce
Udi Gian Carlo Caselli
PAPPA E CICCIA
E IL MAFIOSO
EDUCATO
Brescello (Reggio Emilia)
A
una troupe di giovani coraggiosi ha girato per il web
Il sindaco di Roma Ignazio Marino
Cortocircuito, un formidabile
servizio ripreso da ilfattoquotidiano.it.
» pag. 18
L’INTERVISTA
Autoriciclaggio,
l’accusa di Grasso:
“Ormai siamo
al boicottaggio”
Ancora al palo la norma che
punisce chi impiega i soldi
ottenuti dai propri reati.
A rischio anche il riciclaggio
semplice Barbacetto » pag. 7
Zero per la crescita
arriva il conto:
7,5 miliardi
Il prezzo delle mancate misure economiche.
Draghi: “Nuovi interventi”. Il premier: “Merkel
non ci tratti da scolari” Feltri e Soffici » pag. 4 - 8
LA CATTIVERIA
Riina vuole assistere alla deposizione di Napolitano. Che
ultimamente Mancino non risponde più al telefono.
» www.spinoza.it
Cara Mazza
di Marco Travaglio
ieci anni fa suscitò molte polemiche la proD
posta del ministro della Giustizia Roberto
Castelli di sostituire, nei tribunali, la scritta “La
legge è uguale per tutti” con un’altra, sempre tratta dalla Costituzione, ma di cui il Guardagingilli
leghista equivocava il significato: “La giustizia è
amministrata in nome del popolo”. In realtà, senza volerlo, l’Ingegner Ministro – come lo chiamava Borrelli – aveva ragione: dopo vent’anni di
“riforme della giustizia”, quando uno legge in tribunale “La legge è uguale per tutti”, rischia l’attacco di ridarella e il soffocamento. Ma la formula
giusta non è “La giustizia è amministrata in nome
del popolo”, bensì “in nome del Re”. Inteso come
Giorgio I e II di Borbone, che fa il bello e il cattivo
tempo. Ha persino ottenuto, senza muovere un
dito, la condanna di De Magistris per abuso d’ufficio e la sua fulminea sospensione da sindaco (7
giorni per una pena di 15 mesi in primo grado,
contro i 4 mesi di Berlusconi per una pena di 4
anni in Cassazione per frode fiscale), dopo che il
Csm presieduto da Lui e vicepresieduto da Mancino trasferì prima De Magistris, poi la Forleo che
l’aveva difeso, poi i pm salernitani Apicella, Nuzzi
e Verasani che indagavano sull’insabbiamento
delle inchieste a Catanzaro. En plein, missione
compiuta. Purtroppo però alcuni villaggi di Asterix si ostinano a resistere alla monarchia assoluta.
Tipo il Parlamento e alcuni magistrati di Palermo. Le Camere seguitano a rifiutarsi di eleggere i
giudici costituzionali cari a Napolitano e ai sottostanti Renzi & Berlusconi. Quindici fumate nere sul participio presente Luciano Violante e sul
participio passato Indagato Bruno. Poi un voto a
vuoto a colpi di schede bianche. E ieri l’affossamento della nuova coppia Violante-Caramazza.
Francesco Caramazza, chi era costui? L’ex presidente dell’Avvocatura dello Stato che due anni
fa si prestò a firmare l’avvilente conflitto di attribuzioni scatenato da Sua Altezza contro la Procura di Palermo, rea di aver osato ascoltare quattro telefonate fra il Monarca e Mancino sul telefono intercettato di quest’ultimo. “Le intercettazioni delle conversazioni cui partecipa il presidente della Repubblica”, scrisse il Caramazza
riuscendo a restare serio, “ancorché indirette e
occasionali, sono da considerarsi assolutamente
vietate”. Primo caso al mondo di un divieto applicato a un evento occasionale, cioè involontario
e casuale. Come dire: è rigorosamente vietato ai
vasi di fiori precipitare dai balconi sul capo dei
passanti. Siccome però il talento va premiato, ora
bisogna spedire il Caramazza alla Consulta. Sventuratamente anche il candidato del Colle targato
FI, come pure quello targato Pd (Violante, fra l’altro sprovvisto dei requisiti prescritti dalla Costituzione), è stato sonoramente trombato: fumata
nera numero 17. Già l’idea che i giudici di nomina
parlamentare li scelga il Quirinale è curiosa.
Quella poi che si debba continuare a votarli a oltranza, finché non passano per sfinimento, è addirittura comica. Specie nel Paese dove nel 2013
bastarono 4 voti a vuoto per bruciare Marini e
Prodi, rinunciare a eleggere un nuovo presidente
della Repubblica e riesumare quello vecchio. Poi
c’è la grana dei giudici di Palermo, che han fissato
per il 28 ottobre l’audizione di Napolitano come
testimone sulla trattativa Stato-mafia. Allarme
rosso per le domande che gli porranno, ma soprattutto per le risposte che S.A.R. darà o non darà. E pure per la richiesta, assolutamente legittima
e prevista dalla legge, di alcuni imputati come Riina, Bagarella e Ciancimino jr. di assistere in teleconferenza. Cioè: se lo Stato manda i carabinieri
a trattare con Ciancimino, Riina e Provenzano, va
tutto bene: ma se Riina e il figlio di Ciancimino
entrano al Quirinale anche solo da un teleschermo, scatta la mobilitazione generale e i corazzieri
preparano i cavalli di frisia e i sacchi di sabbia alle
finestre. Mancino invece non ci sarà: ma potrà
sempre telefonare. Si attende con ansia un nuovo
conflitto alla Consulta, o in subordine una riforma della giustizia, che ordini di dare immediatamente alle fiamme il verbale di Sua Maestà; o, in
subordine, di bruciare direttamente i magistrati.
2
ACCERCHIATO
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
R
odotà, Carlassare
e Pace, M5S rilancia
candidati “comuni”
UNO dei nomi per la Consulta, proposto dal Movimento Cinque stelle è quello di Stefano Rodotà.
Dopo che le fumate nere delle votazioni in Parlamento hanno raggiunto quota sedici, i grillini rivendicano i loro candidati: “Se loro proponessero dei
nomi validi, ad esempio quelli di Rodotà, Pace o Carlassare, noi certamente li voteremmo. Voteremmo
senza alcun dubbio un nome buono ma non ne pro-
poniamo altri perché i nostri li abbiamo già fatti e
perché altrimenti li bruceremmo come avvenuto
con Rodotà presidente”. A dirlo è il deputato pentastellato Danilo Toninelli, che ricorda altri nomi fatti dal Movimento: “A giugno abbiamo proposto Modugno, D’Andrea e Niccolai, figure illustrissime e
terze alla politica, che non sono state tenute in considerazione”. Dopo l’esclusione di Donato Bruno,
12 GIUGNO 2014
31 LUGLIO 2014
30 SETTEMBRE 2014
Inizia in Parlamento l’iter
per nominare i giudici
Il Csm, senza eletti laici,
viene prorogato (caso unico)
C’è il nuovo Consiglio
La Bene è ineleggibile
LE CAMERE in seduta
comune hanno iniziato a
tentare di eleggere i due
membri della Consulta il
12 giugno scorso. Il due
luglio, dopo quattro infruttuose votazioni, il
Parlamento in seduta comune viene convocato anche per l’elezione degli otto
membri laici che andranno a sedere nel
Consiglio Superiore della Magistratura.
Anche questa votazione si rivelerà più difficile del previsto, tanto da arrivare solo a
settembre.
NON ERA MAI accaduto
che il Parlamento non riuscisse a eleggere in tempo utile gli otto
membri laici del Csm e
cioè prima della scadenza
del mandato quadriennale del vecchio Consiglio superiore. Il 31 luglio, però, è stato semplice constatare che
non solo non si è rispettato il termine ma
che è in alto mare l’accordo tra le forze politiche necessario per arrivare
all’elezione. Per questo il Quirinale ha deciso di prorogare “di diritto” il Csm in carica.
IL PLENUM del nuovo
csm riesce finalmente a
riunirsi nell’ultimo giorno
di settembre. Nella stessa
seduta, presieduta dal capo dello Stato, che elegge
a vice presidente l’ex sottosegretario all’Economia Legnini, il plenum
del Csm, anche qui con una decisione senza
precedenti, ha dovuto dichiarato ineleggibile
per mancanza dei requisiti un altro dei componenti laici eletti dal Parlamento: Teresa
Bene, in quota Pd, consulente di Andrea Orlando quando era ministro dell’Ambiente.
il Fatto Quotidiano
indagato per concorso in interesse privato del curatore negli atti del fallimento dell’Ittierre, i Cinque
Stelle bocciano anche Violante, l’altro candidato alla Consulta. Il Movimento non lo dichiara apertamente, ma tra i gruppi parlamentari non sarebbe
sgradito nemmeno il nome del costituzionalista
Augusto Barbera. Il professore potrebbe essere una
delle carte del Pd per superare lo stallo.
MONITO A VUOTO, LE CAMERE
AZZOPPANO ANCORA LA CONSULTA
ANCORA UNA FUMATA NERA PER L’ELEZIONE DEI DUE GIUDICI COSTITUZIONALI
CON BRUNO FUORI GIOCO, SI INABISSANO I CANDIDATI DEL NAZARENO
di Wanda Marra
A
desso vengono a
prenderci con i corazzieri”. Montecitorio, sedicesima fumata nera per l’elezione dei giudici della Consulta. Non passa
né il nuovo candidato di Forza
Italia, Caramazza (l’ex avvocato
generale dello Stato che - tra le
altre cose - ha firmato il ricorso
per distruggere le intercettazioni tra Napolitano e Mancino),
che prende solo 450 voti, né Luciano Violante (il nome voluto
dal Colle), fermo a 511. Come
stupirsi che il Presidente sia
ogni giorno che passa più arrabbiato? E anche in parte sfiduciato: lui “monita”, esorta, interviene. E il Parlamento, niente.
Va per fatti suoi. Sono settimane che Re Giorgio fa presente a
tutti quelli con cui parla che nella votazione dei giudici di Consulta e Csm bisogna procedere
spediti. Niente da fare: prossima seduta comune aggiornata a
tra una settimana. Tra franchi
tiratori di Forza Italia e Pd e in
generale scarso interesse del
Parlamento c’è chi si chiede se i
due saranno eletti mai. Sempre
più paradossale la posizione di
Violante: tra il blocco degli azzurri e il fuoco amico, proprio
non riesce a passare. Lui non si
ritira e Renzi non ci pensa proprio a mettere bocca: non è interessato né a difenderlo, né a
sostituirlo. La partita non è di
quelle che lo appassionano e l’ex
presidente della Camera è lì
perché l’ha voluto il Colle e per
non fare un dispetto (ulteriore)
alle minoranze dem. Ma andando avanti così rischia di finire
non bruciato, ma bollito. E magari tanto meglio per il premier,
che potrà scegliere una figura a
lui gradita, scaricando la colpa
degli insuccessi sul gruppo parlamentare e sulla sua gestione.
Un piccolo avvertimento a Roberto Speranza a non tirare
troppo la corda in generale, che
non fa mai male. Il quale Speranza ieri sera ha fatto sapere
che Violante è confermato.
Napolitano, dunque, è parecchio buio. Anche perché il 9 novembre potrebbe nominare i
due giudici che gli spettano: difficile però scegliere uno bocciato più volte dal Parlamento. Come Violante, appunto. Ancora
più cupo per i pasticci sul Csm,
dove è stata eletta Teresa Bene,
che non aveva i requisiti. Bomba scoppiata proprio mentre il
Capo dello Stato spronava: “Il
tempo che ha richiesto l’elezione dei nuovi membri del Csm va
rapidamente recuperato”. E allora? Il tentativo è quello di tirarsi fuori, di ribadire che sui lavori del Parlamento il Presidente della Repubblica poco può
influire. Sarà, ma lui ce la mette
tutta e i parlamentari dalla loro
non si risparmiano gli sgambet-
ti. Nonostante la standing ovation tributatagli durante il discorso della sua rielezione, proprio mentre lui ne denunciava
le incapacità (“non autoassolvetevi”) e ricordava l’impegno a
fare le riforme.
È passato un anno e mezzo, e a
DELUSIONI
Dall’appello a favore
dell’amnistia neanche
preso in cosiderazione
alla riscrittura
dei decreti arrivati
in forma di brogliacci
quella reazione entusiasta non
sono seguiti fatti esattamente
consequenziali. L’accorato appello a favore dell’amnistia che
Napolitano fece ormai un anno
fa non è stato raccolto dal Parlamento, grazie anche a Renzi,
che allora si scagliò contro il
Colle. Ma il Presidente è un uomo di mondo: e quando si rese
conto che il suo “pupillo” Enrico Letta non riusciva a governare, diede il via libera al rottamatore di professione. Sette
mesi e mezzo dopo le perplessità su quest’avventura non si
contano. Al Quirinale hanno
dovuto riscrivere i decreti, arrivati in forma di brogliacci e fare
i conti con annunci mirabolanti
e difficoltà crescenti. Come dimenticare le vere e proprie con-
A PALAZZO
Il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano Ansa
sultazioni fatte in occasione del
voto sulla riforma costituzionale a Palazzo Madama, con bacchettate al Presidente del Senato Grasso annesse e arrivo della
colonna dei ribelli direttamente
alle porte?
LA STORIA più recente, poi,
parla chiaro: Napolitano si è lasciato andare a un monito sulla
necessità della riforma del lavoro (“Ci vuole più coraggio, basta
conservatorismi”) . E ha ricevuto Renzi il giorno della direzione
del Pd, offrendogli collaborazione e consigli. Risultato? Botte
da orbi nel Pd e liti reiterate per
tutta la settimana, in attesa del
voto al Senato. Che al Quirinale
aspettano con ansia, ma neanche troppo: sanno bene che i veri
provvedimenti si avranno solo
nei decreti delegati. Prima, difficile valutarli. Per il resto, si osservano le gesta del giovane
Matteo con scetticismo: sicuro,
per esempio, che si possa permettere l’atteggiamento spavaldo che ha assunto in Europa? E
cosa riuscirà davvero a fare per
l’economia? E così alla rabbia si
sostituisce la stanchezza: una
chiave ci sarebbe (forse) per dare un corso diverso alle cose.
Ovvero le urne. Ma Re Giorgio
non ne vuole sapere di sciogliere
la legislatura e di gestire ancora
una volta tutto quel che ne consegue: in casi estremi preferisce
dimettersi. Addio moniti. E in
bocca al lupo ai possibili candidati: l’esempio di Violante docet.
BOCCIATO/1
Andiamo Bene, Violante non ha titoli
di Luca
De Carolis
neleggibile”. Proprio lui, l’uomo
I
su cui Pd e Forza Italia insistono
da 16 votazioni. All’apparenza intoc-
è venuto proprio dopo il caso della
Bene - racconta - Sono andato a controllare i profili dei candidati per la
Corte. E ho fatto una scoperta importante su Violante”. Subito messa
nero su bianco, in una nota apparsa
ieri mattina a urne appena aperte.
cabile, nonostante i numeri, le trappole e forse l’evidenza. Dopo lo scivolone su Teresa Bene, la giurista di
area dem eletta e poi esclusa dal Csm ATTACCA così: “Luciano Violante
perché priva dei requisiti necessari, non può candidarsi alla Consulta”.
l’asse del Nazareno rischia di andare Poi elenca i paletti della Carta: “L’ara sbattere nientemeno che con il can- ticolo 135 comma 2 della Costituziodidato Luciano Violante. Anche lui ne recita: ‘I giudici della Corte cosenza requisiti, assicurano i Cinque stituzionale sono scelti tra i magistrati
Stelle. Perché “non è un magistrato anche a riposo delle giurisdizioni sudelle giurisdizioni superiori, non ha periori ordinaria e amministrativa, i
esercitato la profesprofessori ordinari
sione di avvocato per
di università in mavent’anni, e non è tra
terie giuridiche e gli
COINCIDENZE
i professori ordinari
avvocati dopo venti
di università in maanni d’esercizio”. La
Come la candidata
terie giuridiche”. A
premessa d’obbligo
disseminare dubbi
poi bocciata dal Csm per i rilievi di Tonicome macigni provnelli, che al Fatto
anche l’ex presidente spiega:
vede il deputato Da“Violante
nilo Toninelli, prinnon è mai stato madella Camera
gistrato delle giuricipale autore della
proposta di legge
non avrebbe i requisiti sdizioni superiori
elettorale del Movi(Cassazione, Corte
per l’Alta Corte
mento. “Il dubbio mi
dei Conti, Consiglio
di Stato, ndr), ma giudice istruttore
fino al 1983. Quindi cade il primo
requisito”. Si passa al secondo: “Secondo il sito ufficiale del ministero
dell’Università, Violante è stato professore ordinario di diritto penale
presso l’università di Camerino, ma
solo fino al 2008”. Ci sarebbe il sito del
Pd, che lo definisce ancora docente
ordinario di istituzioni di diritto e
procedura penale a Camerino. Ma il
deputato obietta: “Tecnicamente
questa materia non esiste: esistono
due differenti materie, diritto penale e
diritto processuale penale. Ma il motivo della genericità della definizione
è chiaro: Violante non è uno studioso,
un accademico, ma un politico di
professione”. Sempre Toninelli precisa: “È vero che alcuni giudici della
Corte non erano docenti di ruolo
quando sono stati eletti, ma essi sono
professori emeriti, ovvero ordinari
con almeno venti anni di servizio, che
grazie a tale titolo continuano a svolgere attività didattica”. Il terzo parametro previsto dalla Costituzione è
quello che traballa in modo più evidente: “Violante non ha mai esercitato la professione di avvocato”. In-
Luciano Violante Ansa
somma, per l’ex presidente di Montecitorio la strada sarebbe sbarrata.
Dal blog Grillo rincara la dose: “Violante non ha i requisiti, che aspetta
Napolitano a intervenire? Qualcuno
lo svegli”. Dalla maggioranza nessuna
replica tramite nota, ma una risposta
diffusa in Parlamento: “Violante è ancora
professore
universitario”.
Dall’università di Camerino, sentita
dal Fattoquotidiano.it, confermano però che Violante è stato professore
nell’ateneo fino al 2009, quando è andato in pensione.
Twitter @lucadecarolis
ACCERCHIATO
il Fatto Quotidiano
PROCESSO CAPACI BIS
SPATUZZA RACCONTA L’ATTENTATUNI
Gaspare Spatuzza ha cominciato a ricostruire
nell’aula bunker di via Uccelli di Nemi, a Milano,
la storia di quelle centinaia di chili d’esplosivo che
il 23 maggio del 1992 uccisero Giovanni Falcone,
sua moglie Francesca Morvillo e gli agenti della
loro scorta a Capaci (Palermo). Davanti ai giudici
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
della Corte d’assise di Caltanissetta che si occupano del processo Capaci bis, Spatuzza ha ricordato come parte della micidiale carica fu presa in
mare, con il peschereccio di Cosimo D’Amato,
esperto di pesca di frodo, a Porticello, a Palermo,
dove recuperarono due cilindri di metallo che
contenevano due bombe. Era solo parte della carica che fece saltare per aria il corteo di auto del
3
giudice e della scorta. Poiché non ritenuto sufficiente, altro esplosivo fu fatto venire da Messina
o Catania, comunque da fuori Palermo. La mafia
sin dal '91 aveva portato a Roma delle armi per
colpire Falcone. Dopo le stragi di Roma, Firenze e
Milano dell’estate del ‘93, lo stesso Spatuzza le
riportò a Palermo perché fossero divise tra i componenti del mandamento di Brancaccio.
Re Giorgio depone il 28
Riina si invita al Colle
AL PROCESSO SULLA TRATTATIVA IL BOSS E BAGARELLA CHIEDONO DI POTER
ESSERE COLLEGATI IN VIDEOCONFERENZA. LA CORTE SI RISERVA LA DECISIONE
di Giuseppe Lo Bianco
e Sandra Rizza
N
BOCCIATO/2
Caramazza,
la caduta
dell’avvocato
di Antonio Massari
ennesima fumata nera sulla Corte Costituzionale coinvolL’
ge anche il nuovo candidato di Forza Italia Ignazio Caramazza, che oltre alla bocciatura del Parlamento, s’è imbattuto
nell’ironia truce dei leghisti, pronti a scrivere sulla scheda “caraminchia”. Al di là dell’ironia, però, Ignazio Caramazza è un
nome molto noto negli ambienti della “Casta”: da avvocato generale dello Stato - si scoprì durante il governo Monti e i suoi
tentativi di trasparenza sui doppi incarichi - Caramazza godeva
infatti di un lauto doppio stipendio. Ai 289mila euro di paga,
infatti, poteva aggiungere la “propina” - una sorta di diaria - di
altri 324mila euro. Se non bastasse, aveva un incarico extragiudiziale, in qualità di membro della commissione di accesso ai
documenti amministrativi. Il cliente più
prestigioso di Caramazza è stato Giorgio Napolitano, che ha rappresentato nel conflitto di
attribuzione che il Presidente ha sollevato,
contro la procura di Palermo, per le telefonate,
con Nicola Mancino, finite nel fascicolo sulla
trattativa Stato-Mafia.
Stimato anche da Giovanna Iurato, già prefetIgnazio Francesco Caramazza LaPresse
to di l’Aquila, indagata e
poi archiviata nell’inchiesta sugli appalti illegali per la cittadella della sicurezza di
Napoli. È a Caramazza che la Iurato si rivolge nel 2010, per
discutere e approfondire aspetti giuridici-amministrativi relativi a un appalto. Niente di illegale, soltanto la richiesta di una
consulenza su alcuni aspetti che la Iurato, aveva bisogno di approfondire. Niente di illegale neanche per le frequentazioni con
la “Cricca” che lucrava sul G8 e i Grandi appalti, come l’avvocato Guido Cerruti, che nel corso dell’indagine finì agli arresti
domiciliari. “Domani sera – dice Cerruti ai pm fiorentini - sono
invitato a casa del nuovo avvocato generale dello Stato, nominato ieri dalla Presidenza del Consiglio dei Ministri, avvocato
Ignazio Caramazza. A casa sua, unico libero professionista del
foro di Roma! Ci saranno altre 150 persone, però, come professionista, invita solo me. E lui è al corrente benissimo, diciamo, della mia situazione, eh! non è che non sia corrente”.
el processo sulla
trattativa
Stato-mafia Napolitano depone il
28 ottobre, ma sulla testimonianza pesa l’incognita della
presenza dei boss Riina e Bagarella visto che entrambi
hanno chiesto ieri - attraverso i loro legali - di assistere
all’udienza quirinalizia per
video-conferenza, alimentando i dubbi e le preoccupazioni del Colle sui rischi di
una
strumentalizzazione
mediatica di un unicum nella
storia italiana: il capo dello
Stato seduto davanti ai giudici a rendere il dovere civico
di testimonianza.
UN’INCOGNITA che il presi-
dente della Corte, Alfredo
Montalto, a voce si è preoccupato di smorzare: quando
l’avvocato Luca Cianferoni
ha chiesto la parola per annunciare che nei prossimi
giorni depositerà una memoria a sostegno della richiesta
del suo assistito Totò Riina di
essere presente al momento
della deposizione, l’interlocuzione con la difesa dell’imputato, il presidente ha preso
atto della richiesta, ricordando che sulla questione si era
già pronunciato. E lasciando
intendere, dunque, secondo
l’interpretazione più diffusa,
che la Corte non si sposta dai
confini tracciati dall’ordinanza di ammissione di Napolitano che, applicando in
via analogica la prima parte
dell’art 502 del cpp, vieta agli
imputati di partecipare. Ma
quest’interpretazione
si
scontra con la seconda parte
della norma, ed in particolare con quel verbo all’indicativo (“il giudice ammette”
a partecipare l’imputato che
ne fa richiesta) che fissa un
principio universalmente riconosciuto dalla giurisprudenza europea e della Cassazione: il diritto a partecipare all’udienza di ogni imputato che ne faccia richiesta.
Un principio che, se ignorato, causerebbe l’annullamento del processo, come ben sa
ogni studente al primo anno
di giurisprudenza. Ieri la
Corte si è riservata di decidere dopo l’opposizione
dell’avvocato dello Stato Fabio Caserta, che, consapevole
dei rischi che comporta l’applicabilità “totale” del 502 ha
giocato la carta dell’inapplicabilità della norma per
“l’immunità della sede”.
E se i giudici, fermi sulla propria ordinanza di ammissione, potrebbero anche non rispondere, la possibilità che il
faccione di Riina compaia su
un maxischermo tra gli arazzi del Quirinale il prossimo
28 ottobre, novantadue anni
dopo la marcia su Roma dei
gerarchi di Mussolini, resta
un’eventualità possibile, con
tutte le conseguenze processuali che ne deriverebbero:
attraverso gli agenti di polizia penitenziaria che li assistono dal carcere, i boss potrebbero interloquire con gli
avvocati, suggerire domande, e persino chiedere la parola, attraverso i legali, per
fare una dichiarazione spontanea. La preoccupazione
che in queste ore fa fibrillare
lo staff del Quirinale riguarda, insomma, il rischio che
l’udienza romana possa di
fatto aprire un varco processuale ad una sorta di interlocuzione a distanza (ma
contestuale) tra la massima
carica dello Stato e il capo dei
capi di Cosa nostra. Col risultato di un inevitabile appannamento dell’immagine
di Napolitano, proprio mentre sarebbe sempre più vicino
il momento del suo addio al
Quirinale.
NEL 2002, a Palazzo Chigi,
Berlusconi interrogato nel
processo Dell’Utri offrì al
collegio del tribunale (ma
non ai pm) un rinfresco a base di pasticcini: non si sa se
questa volta Napolitano farà
sfoggio della stessa cortesia,
fatto
a mano
LA REGOLA
Tutto dipende
da come
si interpreta
l’ordinanza
di ammissione
di Napolitano
dettagli della missione romana al Quirinale. Non è escluso, infatti, che i pubblici ministeri della trattativa saranno accompagnati anche dal
procuratore facente funzioni
Leo Agueci (che guida l’ufficio inquirente da quando
Messineo ha lasciato l’incarico) in segno di rispetto per
l’autorevolezza del testimone. Tutto sembrerebbe deciso, insomma. Ma nulla è ancora scontato. Non si può
escludere, infatti, che la Corte d’Assise autorizzi eventuali richieste di partecipazione
che riguardano le parti civili
(è ammessa al momento solo
la presenza delle rappresentanze legali) e dei giornalisti,
anche se nel novembre 2002
il Tribunale di Palermo impedì ai giornalisti l’ingresso
nell’aula di Palazzo Chigi per
la deposizione dell’allora
premier Berlusconi nel processo Dell’Utri, giustificando
l’esclusione con “motivi di sicurezza”.
SCARPINATO Aumentata
la tutela a Palermo
entidue anni fa in via D’Amelio la zona rimoV
zione avrebbe potuto salvare la vita di Paolo Borsellino e dei cinque agenti della scorta, ma la Prefet-
Totò Riina Ansa
accogliendo i giudici della
Corte d’Assise e i pm di Palermo sulla base di un cerimoniale che la diplomazia
del Colle sta mettendo a punto già in queste ore, in un
clima di massima riservatezza. A Palermo nessuno rilascia commenti, ma a conclusione dell’udienza, ieri il pm
Nino Di Matteo si è riunito
con i colleghi Roberto Tartaglia e Francesco Del Bene,
alla presenza dell’aggiunto
Vittorio Teresi, per stabilire i
tura di Palermo diretta da Mario Jovine non la attivò mai, nonostante le
richieste degli agenti di scorta e di
alcuni condomini del civico 21.
Adesso per fortuna, attorno al pg
Roberto Scarpinato è scattata la misura più banale e al tempo stesso efficace: dopo che misteriosi incursori sono arrivati a due passi dal suo
ufficio al primo piano di palazzo di
Giustizia è scattata la zona rimozione nella piazza del centro storico antistante l’abitazione del magistrato. Da ieri, infatti, a
piazza Borsa, due cartelli indicano il divieto di parcheggio delle auto, pena la rimozione: li ha collocati in
tempo record l’ufficio Mobilità del Comune, su richiesta della prefettura. L’allarme resta alto, dunque,
e anche la procura di Caltanissetta, ora, ritiene gli episodi di minacce ai magistrati antimafia (lettere anonime, misteriose incursioni in casa e in ufficio, scritte
sui muri) legati da un’unica matrice e ha riunito tutti
i fascicoli in una sola inchiesta. Il 7 ottobre Scorta
Civica Palermo e Antimafia Duemila organizzeranno
un sit-in di solidarietà davanti al tribunale.
g.l.b.
4
IN FONDO A DESTRA
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
V
espa si “prende”
il fidato enologo
di Massimo D’Alema
A BRUNO Vespa e Massimo D’Alema piace bere
e gli piace farlo bene. E da oggi hanno lo stesso
enologo a consigliare accostamenti e vitigni. Si
chiama Riccardo Cotarella, oscar come miglior
enologo nel 2013, e da anni seguiva la famiglia
D’Alema nella produzione del vino di famiglia nelle terre umbre. In realtà la vera appassionata di
casa sarebbe la signora, Linda Giuva, che ha poi
trascinato nell’avventura alcolica tutta la famiglia.
Avrebbe anche convinto il marito a vendere la
barca a vela e a lasciare il mare in nome delle
vigne e della campagna. Bruno Vespa invece con
l’aiuto di amici, guarda caso veneti, è da un anno
diventato proprietario di una tenuta a Salice Salentino in Puglia. E anche lui ha scelto Cotarella
che nel campo dell’enologia non è certo uno sco-
il Fatto Quotidiano
nosciuto. La passione per il cibo e il vino, i due,
l’avevano esternata proprio in una puntata di Porta a Porta del 1997, quando Vissani cucinò per loro
un risotto. Ma se l’enologo è lo stesso la produzione di Vespa e D’Alema segue scuole diverse:
il primo ha optato per i nostrani primitivo di Manduria e negroamaro, mentre i D’Alema guardano
oltre confine con cabernet franc e pinot nero.
LO SCONTRO È FITTO E B. CERCA
LA RISSA: “VAFFANCULO”
ALL’UFFICIO DI PRESIDENZA FORZISTA, IL CAIMANO AGGREDISCE IL RIBELLE
di Fabrizio d’Esposito
I
l Pregiudicato contro il
Parroco: “Raffaele vaffanculo, tu sei un parroco di Lecce”. È stata la
scena madre della tragicommedia messa in scena ieri a Palazzo Grazioli, residenza privata di Silvio Berlusconi a Roma.
Titolo in cartellone: “Ufficio di
presidenza di Forza Italia”. Sul
palcoscenico del cosiddetto
parlamentino azzurro, l’ex Cavaliere e il suo gregge fedele al
patto del Nazareno e due pecore nere, l’ex democristiano
Raffaele Fitto e l’ex radicale
Daniele Capezzone. E così
quando Fitto ha rivendicato la
sua strategia antirenziana, anche perché Forza Italia è scesa
al tredici per cento nei sondaggi, B. non ci ha visto più. Meglio, non ci ha sentito più.
IL PREGIUDICATO si è infatti
alzato dal tavolo e si è avvicinato al ribelle nato in provincia
di Lecce, portandosi la mano
all’orecchio destro. “Scusami
sto diventando sordo, devo farmi più vicino”. A questo punto,
i due hanno sfiorato il contatto
fisico (un dito di B. finito contro il naso di Fitto) e Berlusconi
ha recitato il monologo finale,
con la faccia di un rosso anomalo, tra la rabbia e il cerone:
“Tu stai facendo come Fini e
Alfano. Stai attento che ti deferisco ai provibiri, così te ne
vai e fai un altro partito. Poi sarò io a decidermi se allearmi
con te”.
Fitto, pallidissimo, ha balbettato: “Non puoi cacciarmi, questo è anche il mio partito, presidente. E non sono come Fini e
Alfano, non voglio poltrone,
voglio solo fare un’opposizione
Palazzo Grazioli ieri. Silvio Berlusconi. Sopra, Raffaele Fitto LaPresse/Ansa
NUOVI FINI
Verdini a Capezzone:
“Ti impicco a un albero”
L’ex Cavaliere ordina
al pugliese di non andare
più in tv: “Sei un parroco
di Lecce, se vuoi vattene”
netta a Renzi”. Il Pregiudicato,
ancora più incazzato: “Finiscila, tu sei figlio della vecchia Dc,
sei un parroco di Lecce, ma vaffanculo”. Stop. Tutti hanno
pensato alla replica del “che fai
mi cacci?” di finiana memoria,
ma la scena segue quella di
quattro giorni fa, alla direzione
nazionale del Pd. Lì, Renzi contro Bersani e D’Alema. Qui,
Berlusconi contro Fitto e Capezzone. A ciascuno i suoi.
Ogni re ha i ribelli che si merita.
A Palazzo Grazioli si sono ritrovati in una cinquantina, intorno a mezzogiorno. Il Pregiudicato si è presentato con
una massiccia dose di ira accumulata. Proprio ieri mattina, i
frondisti fittiani, in concorso
con altri malpancisti azzurri,
hanno boicottato il terzo nome
forzista per la Consulta, quello
di Caramazza. Mercoledì sera,
poi, Fitto ha tenuto una riunione con almeno quaranta parlamentari insofferenti all’asse
tra Renzi e Denis Verdini, lo
sherpa berlusconiano del patto
con il premier.
IL GREGGE del Nazareno e le
pecore nere non sono venute
subito allo scontro. Il Pregiudicato nella sua relazione ha
persino elencato tutti i suoi
dubbi sulla forza di Renzi. Per
esempio, se le riforme su lavoro
(Jobs act) e giustizia saranno
ammorbidite rispetto agli impegni presi, non ci sarà alcun
soccorso azzurro. Sulla legge
elettorale, invece, il pericolo da
scongiurare è il ritorno del
Mattarellum ai danni dell’Italicum. Berlusconi ha pure
smentito l’esistenza di un patto
segreto scritto da Verdini. Copione scontato, per certi versi.
L’incendio, quindi. L’ex governatore pugliese e Capezzone
hanno chiesto che non venisse
subito votato il documento
portato da Berlusconi. Ha detto
Capezzone: “In un partito prima si discute e poi si vota”. Il
Condannato ha ceduto e Fitto e
Capezzone hanno innalzato alti lai sul Nazareno. L’ex governatore pugliese è stato diretto:
“Se continuiamo a donare il
sangue a Renzi finiamo male,
siamo scesi al 13 per cento”. Sul
punto B. ha replicato: “Non è
vero, siamo al 17,4 per cento e
mi dicono che ogni volta che
vai in tv perdiamo 3 o 4 punti.
La devi smettere di aver un’altra linea”. Dopo un’ora, il teatrino si è arricchito di un altro
duello. Stavolta tra Capezzone
e Verdini. Il primo ha ribadito
l’urgenza di una linea alternativa e l’impresentabile “Denis”
ha gridato : “Usa il cervello, dovresti renderti conto che non
c’è alternativa a questo governo
se vogliamo portare avanti le riforme. Renzi ha fatto tutto il
possibile per venirci incontro,
come sulla legge elettorale. Se
poi dovessimo tornare al Mattarellum per colpa vostra, allora sarete voi i responsabili di
tutto e vi impicco a un albero”.
Anche qui c’è chi giura di aver
visto uno scontro fisico tra i
due. “Vaffanculo parroco” e
“Ti impicco a un albero”. Sono
gli aforismi del Nazareno.
SERVIZIO PUBBLICO
Post-it e fotografie,
la discesa in campo
di Diego Della Valle
IL PADRONE DI TOD’S TORNA IN TV E MARTELLA
L’EX SINDACO: “GLI DIAMO POCO TEMPO”
re giorni di baldoria, tre giorni di silenzio. Al settimo, DieT
go Della Valle torna in televisione, a Servizio Pubblico su La7.
E torna con una costruzione scenica da discesa in campo: in
collegamento, scrivania, fotografie e bigliettini appiccicati sul
tavolo. Non rettifica le accuse su Matteo “sòla” Renzi: “Smontare il premier non è un divertimento. Ma lui sta diventando un
pericolo”. Della Valle boccia gli alleati di riforme che s’è scelto,
i ministri del governo, la strategia contro Enrico Letta, l’irruenza e l’agenda politica:
“Alcune persone che
stanno nell’esecutivo
sono inadeguate. Sono lì solo per l’amicizia con Renzi”. E non
dimentica Silvio Berlusconi: “L’ex Cavaliere si riposa, fa il
presidente onorario;
Renzi è l’amministratore delegato e lavora
anche per lui”. Il signor Tod’s fa capire
EX AMICO Diego Della Valle
che vuole contrastare
collegato con “Servizio Pubblico” Ansa
il governo di Renzi,
un gruppo di politici
che ha deluso le aspettative dei cittadini e che non riesce a rianimare l’Italia, e fa intuire anche che non si fermerà soltanto più
a questi interventi in tv. E sui poteri forti che vorrebbero fermare il premier? “Quando io li combattevo, Renzi cantava le
canzoni intorno ai fuochi dei boy scout”. L’imprenditore marchigiano replica anche a Marchionne, che a sua volta aveva
risposto all’epiteto “sòla”: “Non se n’era andato in America con
le valigie nella sua Duna?”. E si scaglia anche contro la Fiat .Poi
l’annuncio: “Voglio creare uno strumento dove la gente si possa
confrontare, una macchina organizzativa. Io sono a disposizione”. Un’Italia Futura, un’associazione o giù di lì.
Renzi si dà i voti: “Non siamo scolari”
LA REPLICA ALLA MERKEL CHE CHIEDE I SOLITI COMPITI A CASA: “IN 10 ANNI GUIDEREMO L’EUROPA”
di Caterina Soffici
che muovono lo spread, che decidono dove investire. Gli investitori vanno quindi rassicurati. È
una missione più importante che respingere al
l problema è sempre il solito. I compiti a casa. mittente le accuse di essere dei Pierini da mettere
Matteo Renzi preferisce chiamarli “timeline”. dietro la lavagna, come dice la Merkel. Così ieri
Un termine da Twitter, ma il concetto è lo stesso: Renzi ha incontrato gli investitori. Prima all’amil rispetto della tempistica dell’attuazione delle ri- basciata italiana, dove ne ha vista una cerchia riforme. Così è tornato a Londra, a sei mesi di di- stretta in una colazione di lavoro (Bp, Vodafone e
stanza dalla sua prima visita appena insediato a altri big). Poi nella City, dove ha tenuto un diPalazzo Chigi, per tranquillizzare gli investitori. scorso nel cuore della cittadella finanziaria d’EuL’Italia ce la farà? Renzi è solo
ropa. Ha varcato, visibilmente
un parolaio, come suggeriva il
emozionato, la soglia di Guilpesante editoriale del direttore
dhall, il municipio della City of
LA MISSIONE
del Corriere? Se Renzi fallisce, arLondon e il sindaco Fiona
riverà la troika? I dubbi sulle
Woolf lo saluto con un “Noi soIl fiorentino ritorna
sponde del Tamigi sono gli stessteniamo la tua sfida”. Renzi desi che in Italia. Ma qui non si
ve convincere i veri poteri forti
a Londra per cercare
evocano i fantasmi dei poteri
di non essere un parolaio. Avdi convincere la finanza
forti e le dietrologie italiane.
vistati in sala Alberto Nagel
Qui i poteri forti ci sono dav(Mediobanca), Massimo Tonoe va a visitare l’Economist ni, Domenico Siniscalco (Morvero e sono l’establishment finanziario della City. Quel cengan Stanley), Andrea Enria, (ex
che l’aveva messo
tinaio di personaggi che tengobankitalia, ora Eba), Davide
in copertina col gelato
no in mano le sorti dei mercati,
Serra (Algebris), ma anche anoLondra
I
nimi gestori di fondi giapponesi, per dirne una,
che devono decidere se l’Italia è un luogo a rischio
o se si può investire. Renzi parla nel suo pittoresco
inglese da Soprano’s, ma questa volta non può andare a braccio. Deve essere convincente e legge un
discorso scritto. “Il cambiamento è iniziato, il
cammino deve essere completato entro sei mesi.
A quel punto torneremo leader d’Europa”. “Noi
vareremo misure senza rispondere agli interessi
particolari che hanno bloccato l’Italia negli ultimi
anni” (chiaro riferimento al Jobs Act).
POI IL SOLITO ELENCO di buoni propositi e di
riforme annunciate, per convincere la City che
“Italy is back”. Il tutto si è chiuso con una cena,
offerta dal Mayor della City, per i 300 investitori
presenti. Già in mattinata Renzi era stato chiaro
rispetto al ruolo dell’Italia e riguardo all’austerità.
“Rispetto la decisione di un paese libero e amico
come la Francia. Nessuno deve trattare gli altri
Paesi come si trattano degli studenti” aveva detto
prima dell’incontro con il premier britannico David Cameron difendendo la scelta francese di sforare il vincolo del 3%. Una replica (pur senza ci-
c.t.
Matteo Renzi
con Cameron
a Downing
Street Ansa
tarla) alla cancelliera tedesca
Angela
Merkel che
aveva invitato
tutti i Paesi in
affanno “a fare i compiti a
casa”. “Se la
Francia ha deciso così avrà i
propri motivi e io sto dalla parte di Hollande e
Valls”, ha aggiunto il premier, sottolineando che
l’Italia “rispetterà il vincolo del 3%”. Una trasferta
londinese anche molto mediatica. Nel pomeriggio ha fatto una lunga intervista con Cristiane
Amanpour, l’inviato di guerra della Cnn (andrà in
onda oggi) e non è detto che sia di buon auspicio,
perché la giornalista americana parla in genere dai
fronti caldi del mondo. Poi è stato nella fossa dei
leoni al Financial Times. E infine un salto anche
all’Economist. Sarà riuscito a convincerli? Lo sapremo presto, lunedì uscirà il responso del tempio
della comunicazione finanziaria.
IN FONDO AL SUD
il Fatto Quotidiano
M
oro, nuova
commissione: Fioroni
eletto presidente
È STATO ELETTO il nuovo presidente della commissione Moro: Giuseppe Fioroni. Una commissione d’inchiesta che indagherà sulla complessa storia
del rapimento di Aldo Moro da parte delle Brigate
rosse. Sei processi, due inchieste aperte a Roma e
ora, dopo 33 anni dalla precedente e 36 anni da via
Caetani, la nuova commissione presieduta da Fioroni. L’ex margherita ha raggiunto il quorum con 40
sì, sei schede disperse e sette schede bianche. Durante la presentazione, il neo eletto presidente e
Gero Grassi, entrambi democratici, hanno proposto di replicare (caso unico nel Parlamento italiano)
l’inchiesta sui 55 giorni: “Dopo trentasei anni dal
rapimento e l’assassinio di Aldo Moro e della sua
scorta, dobbiamo al Paese, ai nostri figli e alle nuove
generazioni verità e chiarezza”, ha spigato Fioroni
N
ella Calabria ai
tempi del Nazareno, inteso come
patto, i confini tra
renzismo e berlusconismo non
si vedono più, sono scomparsi,
fino a confondersi in quel trasversalismo che laggiù da decenni ha ammazzato la politica.
L’indiscrezione rimbalza, a Roma, nel cortile di Montecitorio,
da un colloquio riservato tra
due parlamentari, uno calabrese l’altro no. Uno del Pd antirenziano, l’altro di Ncd. “Verdini e Gentile hanno chiuso
l’accordo su una lista di dieci
senatori di Ncd pronti a ripassare con Forza Italia. Verdini
ha chiesto a Gentile anche di
aiutare Callipo, alle primarie
del Pd di domenica prossima in
Calabria”.
5
che poi, citando Renzi, ha aggiunto: “Per cambiare
veramente dobbiamo saldare il debito di verità,
uscire dalle sabbie e costruire su fondamenta di
roccia. Si deve cambiare verso”. Durante la votazione anche un episodio indelicato: qualcuno, sulla
scheda, ha scritto il nome di Prospero Gallinari, uno
dei brigatisti a sparare sulla scorta in via Fani e tra in
carcerieri in via Montalcini.
RIENTRI A CASA
I tanti gusti di Mineo
Non solo lecca lecca
C
orradino Mineo ci ha ripensato,
i gusti sono gusti, e ora gli piace
Matteo Renzi, dopo aver consumato
la fase di una (apparente) ribellione al
renzismo. A proposito di gusto, anche se i renziani su Twitter gli scrivono che è “inutile come un lecca lecca
alla merda” – ed egli stesso ha denunciato – Mineo non se la prende, ma da Repubblica fa
sapere di adorare Renzi, di avere un ottimo rapporto con il ministro Maria Elena Boschi. È talmente incontenibile, il nuovo o il vecchio Mineo che
prosegue con lodi sperticate per Renzi e pure qualche critica per D’Alema e Bersani (quest’ultimo
l’ha messo in lista). Mineo, furbo, ha capito che è
meglio mangiare i lecca lecca, pardon, restare saldo
in poltrona che fare una timida opposizione al Capo.
L’ex sottosegretario
e quel giornale chiuso
I protagonisti, in ordine di apparizione. Verdini si chiama
Denis e ormai non ha bisogno
di presentazioni. È il berlusconiano plurinquisito e impresentabile che ha trovato il tesoro nel suo antico rapporto con
la famiglia Renzi, dal papà Tiziano al figliolo Matteo. È lui,
Verdini, il custode del patto segreto del Nazareno tra lo Spregiudicato e il Pregiudicato.
Gentile invece si chiama Antonio. Otto mesi fa, nel febbraio
scorso, è stato in prima pagina
sui quotidiani fino a che non si
è dimesso da sottosegretario
del governo Renzi. Colpa di
una storiaccia tipografica, che
sembra ambientata nel secolo
scorso. Gentile è di Cosenza,
dove la sua famiglia è ramificata
nei vari livelli degli enti pubblici, e si è ritrovato il figlio Andrea indagato per consulenze
nella sanità. La notizia trapelò e
un quotidiano stava per pubblicarla. A quel punto però, lo
stampatore fece pressioni
sull’editore per impedire l’uscita dell’articolo. Quel giornale
era L’Ora della Calabria, diretta
da Luciano Regolo. Oggi non
esce più, dopo le dimissioni di
Gentile. E lo stesso “Tonino” ha
riguadagnato centralità nella
sua regione, al punto da essere il
canale prediletto di Verdini
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
Gianluca Callipo con Matteo Renzi. Sopra, Tonino
Gentile e, a sinistra, Denis Verdini a Palazzo Grazioli
Verdini e il nuovo Patto
per il renziano di Calabria
UN NAZARENO CONTINUO: L’ALFANIANO GENTILE VUOLE TORNARE IN FORZA ITALIA,
IN CAMBIO DEVE PORTARE VOTI A CALLIPO, CANDIDATO DI MATTEO ALLA REGIONE
nella campagna acquisti dal
Nuovo Centrodestra. Gentile,
infatti, è un senatore di Ncd e
soffre la diarchia di Angelino
Alfano e Gaetano Quagliariello
nel partito (quest’ultimo, per la
cronaca, ieri ha minacciato
l’uscita dal governo proprio a
causa del patto del Nazareno).
Così Gentile e il lucano Guido
Viceconte, altro senatore Ncd,
hanno messo a punto una lista
di dieci alfaniani pronti a sganciarsi. Da Aiello a D’Ascola, da
Bilardi a D’Alì, da Compagna a
Langella, da Caridi a Davico. Il
filone Gentile-Viceconte è diverso dagli altri due in trattativa
LA MOSSA DEL TONNO
Il fiorentin-berlusconiano Denis vorrebbe poi candidare
a governatore l’omonimo re del pesce in scatola che solo
poco tempo fa espresse simpatie per il Movimento 5 Stelle
con B., quello che fa capo a
Schifani e quello che mette insieme Lupi, Saltamartini, De
Girolamo e Casero, ed è curato
direttamente da Verdini.
Domenica primarie pd
con rischio d’infiltrati azzurri
Nel pacchetto rientra appunto
la Calabria, secondo uno schema che “Denis” ha già sperimentato a Firenze quando mobilitò le truppe del centrodestra
per far votare Renzi alle primarie del centrosinistra. Stavolta il
candidato da aiutare è Gianluca
Callipo del Pd, il trentenne che
Renzi ha scelto per le primarie
di domenica prossima, destinate a consacrare il candidato-governatore. Contro di lui Mario
Oliverio, area non renziana del
Pd, e Gianni Speranza di Sel.
Racconta un esperto deputato
calabrese: “Se domenica il voto
è quello tradizionale Oliverio
passa, se invece si mobilitano
trasversalmente aumentano le
chance di Callipo”. È il soccorso
azzurro di Verdini e Gentile al
giovane renziano. Non solo.
Nelle stesse ore, l’ineffabile
“Denis” sta tentando di convincere il cugino di Callipo, il più
noto Pippo, re del tonno di simpatie grilline, a correre per il
centrodestra. Una roba in famiglia, nel senso letterale della
parola. L’intesa tra Callipo, inteso come Gianluca, e Gentile
sarebbe in fase avanzatissima.
Il quasi ex senatore Ncd farebbe
una lista civica di centrosinistra
dove candidare il già citato figlio Andrea, indagato. A destra, un altro segnale a favore di
Callipo è poi arrivato dal sindaco di Locri, Giovanni Calabrese, di cui si è parlato giorni fa
per la lettera scritta a Gesù contro gli assenteisti del suo comune. Calabrese è di centrodestra
e ha fatto una clamorosa conferenza stampa: “Pur restando
un uomo di destra, intendo
contribuire alla realizzazione
di un reale cambiamento, per
questo appoggio Gianluca Callipo nella sua corsa alla guida
della Regione Calabria”. Nelle
urne delle primarie di domenica prossima in Calabria si voterà soprattutto per il patto del
Nazareno modello Calabria.
Da brividi.
fd’e
POTERI PER 18 MESI
Sodano, il nuovo Vicerè della Napoli sospesa
di Enrico Fierro
inviato a Napoli
da sempre l’uomo forte della giunta aranÈ
cione. Il fedelissimo del sindaco “sospeso”
Luigi de Magistris, il cardinale Richelieu di Pa-
daco restano 24 voti su 48, pochi per andare avanti, si spera che l’unico consigliere di Sel confermi
il suo sostegno così come ha fatto votando a favore del bilancio per arrivare a 25, ma nel partito
di Vendola la discussione è ancora tutta aperta. In
più dal 12 ottobre Sodano sarà il supersindaco
dell’area metropolitana di Napoli, e si troverà a
gestire i destini di 3 milioni e mezzo di persone.
Ce la farà, giura chi lo conosce da anni, “Tommaso è abituato alla lotta politica dura”. Classe
lazzo San Giacomo, come lo definiscono i suoi
avversari. Insieme al colonnello dei carabinieri
Attilio Auricchio, che a Palazzo San Giacomo è il
deus ex machina, rappresenta uno dei due pilastri
sui quali si regge l’avventura politica dell’ex pubblico ministero che
ieri si è sfogato ancora: “L’Italia è
una democrazia malata”, quasi un
“regime”. Toccherà a Sodano, una
laurea in scienze agrarie, tre figlie e
una moglie innamorata cotta delle
verdi colline della Nuova Zelanda,
reggere per diciotto mesi, o forse
meno, le traballanti sorti degli arancioni al Comune di Napoli. Impresa non facile, vista la sempre più risicata maggioranza che sostiene la
Tommaso Sodano con Luigi de Magistris Ansa
rivoluzione di Giggino. Senza il sin-
1957, Sodano si iscrive da giovanissimo alla Fgci,
l’organizzazione dei giovani comunisti. Sono gli
anni delle lotte operaie alla mitica Alfasud di Pomigliano d’Arco, la sua città, e dei primi comitati
anticamorra. Lotta dura pure quella, quando tra
Nola e Ottaviano, il regno di Raffaele Cutolo, dirigenti comunisti e socialisti venivano aggrediti,
feriti o ammazzati. Di chiara fede ingraiana, nel
senso di Piero Ingrao, scrittore, poeta e storico
dirigente della sinistra del Pci, nel 1989 Sodano
aderisce a Rifondazione. Prima
assessore alla Provincia di Napoli, poi senatore della RepubULTIMO ATTO
blica nel 2001, di nuovo assessore nel 2006, ma questa volta
Luigi De Magistris
con una carica importante per
saluta: “Italia democrazia la Campania: presidente della
commissione Ambiente. Il comalata, molta strada
ronamento di anni di battaglie
contro il business dei rifiuti e
per evitare il regime”
l’intreccio tra politica, affaristi e
camorra. Anche grazie alle sue
Ora la maggioranza
denunce la Procura della Reè appesa a un voto
pubblica di Napoli ha potuto
aprire una serie di inchieste. Un’esperienza di lotta che Sodano ha raccontato ne La Peste, il libro
scritto per Rizzoli insieme al nostro collega Nello
Trocchia. Ma è il no secco alla costruzione di nuovi inceneritori ad avvicinarlo a de Magistris, che
gli affida il ruolo di vicesindaco.
PERSONALITÀ complessa, uomo di lotta e di go-
verno, capace di muoversi nelle piazze come negli
intricati palazzi del potere napoletano. Con qualche incidente di percorso che fa gridare allo scandalo i suoi avversari. Il primo è una condanna a 1
anno e quatto mesi, pena sospesa, per l’aggressione a una vigilessa di Pomigliano d’Arco durante una manifestazione di 500 commercianti
che si opponevano alla costruzione di centri commerciali. Il secondo è una indagine per abuso
d’ufficio aperta dalla procura napoletana per un
contratto di collaborazione da 20mila euro fatto
all’università di Bergamo per il “paes”, patto fra i
sindaci europei per la crescita sostenibile. La collaborazione fu affidata senza gara, è l’accusa, la
difesa di Sodano sostiene invece che la soglia
dell’affidamento consentiva di evitare la gara.
6
M
5s, la Lombardi:
“Bersani scusa,
ero aggressiva”
INABISSATO
di Antonello
S
A VOLTE RITORNANO
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
Caporale
e può volge gli occhi
a terra e batte in ritirata verso casa. Se
proprio deve saluta
con disinteresse. Mano cortese ma veloce in modo che
nemmeno la stretta balbettante abbia il sapore della
rimpatriata. Il suo corpo attraversa le vie schermate, i
corridoi bui, le caselle laterali del Parlamento. Enrico
Letta viaggia a fari spenti,
esattamente come dovette
ammettere quando Matteo
Renzi lo defenestrò da palazzo Chigi: “Siamo andati a
fari spenti contro un muro”.
Quel che a noi importa oggi
invece è segnalare la meticolosità con cui l’ex premier
realizza la sua deliberata
scomparsa dalla attualità politica, la scienza che impiega
nel defilarsi, la cura oggettiva con la quale attende alle
sue future ambizioni seppellendo il presente, cassandolo
dal diario. Letta è un unicum. Non esiste nella storia
repubblicana un premier
che sia scomparso dalla scena in modo così totale,
all’apparenza
definitivo.
Perfino Mario Monti che ha
subito la più larga forbice tra
popolarità e contestazione,
autorevolezza e sfiducia, devozione e dileggio, è riuscito
a riaversi dopo un primo, legittimo turbamento emotivo. Monti è riapparso, e oggi
se viene chiamato risponde,
se è interrogato replica.
Enrico no. Rendersi invisibile è un arte, e lui riesce dove nessuno è riuscito. Resiste
nell’ombra senza che il nero
gli faccia paura. Nessuno
oramai più chiede: ma dov’è
Letta? Letta è divenuto un
ologramma.
LETTA OGGI è a Parigi, in-
segna a Science Po, all’istituto di politica più accorsato
d’Europa. Si è affacciato sul
Corriere della Sera, muovendo
passi prudenti, con uno
scritto sul referendum Scozia. Ad Avvenire ha inviato
una lettera per perorare Mare Nostrum, la scelta di accogliere e non respingere
l’immigrazione dall’Africa.
Piccoli punti luce. Lui c’è,
anche se parla d’altro. Il giovedì e il venerdì è a Parigi,
come detto, città a due ore da
Bruxelles, la città amata, il
destino naturale delle sue
scelte, la meta della sua am-
L’ULTIMO SCONTRO
Aveva lasciato Palazzo
Chigi accusando Dario
Franceschini di averlo
tradito. Tra i due c’è stato
un litigio, pare che siano
volate cartellate
A DISTANZA di più di un anno di tempo, Roberta Lombardi del Movimento 5
Stelle ha chiesto scusa a Pierluigi Bersani. Ieri al programma di Rai Radio2
“Un Giorno da Pecora”, l’ex capogruppo grillina è tornata sul celebre incontro in streaming con l’allora leader del
Pd, che aveva chiesto al M5S la fiducia
per formare il governo. In quel caso, la
Lombardi aveva accusato Bersani,
chiedendogli “Ma che stiamo a Ballarò?”.
Ma a Rai Radio2, ieri, la deputata si è
scusata per l’aggressività mostrata in
quell’occasione. “Non ho più parlato
con Bersani dopo quello streaming, - ha
il Fatto Quotidiano
detto - ci si incrocia in aula e siamo
nella stessa Commissione, ma lì non
l’ho mai visto. Mi dispiace, comunque,
che lui l’abbia presa così male”. Gli vuole chiedere scusa? “Sì, scusa Bersà, mi
dispiace che te la sei presa, la mia aggressività era dettata dalla timidezza.
Ero aggressiva ma tanto timida”.
“Non parlate di me”:
la strategia
dell’invisibile Letta
DOPO LA DEFENESTRAZIONE, L’EX CAPO DEL GOVERNO RIPARTE
DA PARIGI, DOVE INSEGNA. MA PUNTA ANCORA A BRUXELLES
bizione. Il week end in famiglia, il martedì e il mercoledì alla Camera ma solo se
si vota, e solo quando è necessario, e per il tempo indispensabile a mostrare la
sua ombra.
Ha sradicato la sua corrente,
e sbullonato i suoi amici (in
verità pochini) dalla necessità di tenere botta in questi
tempi tristi. Chiuse le caselle
dell’Arel, di Vedrò, la posizione in Aspen. I cosiddetti
think thank, sofisticati congegni che regolano le relazio-
ni tra potenti, le espandono,
le infittiscono e le fanno confluire, se il successo arriva, al
centro della conquista, nel
luogo in cui il potere si rappresenta. Ha liquidato - strategicamente - ogni attività
politica romana. Restituito la
PORTFOLIO
L’ex presidente del Consiglio Enrico Letta Ansa
Foto di Umberto
Pizzi
Antirenziani e filotedeschi
COME
ANGELA
La presidente
Rai, Tarantola, sorride:
pensa a un futuro da Merkel de’ noantri
ÜBER
ALLES
ABBASSO IL MURO
All’ambasciata tedesca
in Italia si festeggiano i 25 anni della riunificazione
della Germania. Bertinotti manda avanti la moglie
AMARCORD
Un’immagine
vecchia come il Muro: Monti e il
suo ex superministro Passera
Valeria Fedeli
del Pd con Casini e Amato.
I tre hanno appena cantato
l’inno tedesco
GIGLIO MAGICO
Tiscar, l’amico ciellino
di Matteo prende potere
di Wanda Marra
Patrimonio e alla Casa. Fino al
’94, quando si candida sempre
iscar ti scardina”: era il 1990 quando Raffaele Tiscar correva col Ppi. I rapporti del premier
Raffaele Tiscar Facebook
per la sua (seconda) campagna elettorale alle comunali di che contano affondano tutti
Firenze. Utilizzando uno slogan che sembra precorrere il tor- sulle rive dell’Arno: Tiscar mimentone della rottamazione renziana. Sono passati 24 anni e litava nella Dc, insieme al padre Tiziano. Anche se erano di
Raffaele, detto “Lele” Tiscar è approdato a Palazzo Chigi, come due correnti diverse: demitiano il primo, ciellino il secondo. E
vicesegretario generale. Nominato a maggio da Renzi, è con- qui sta il punto: Tiscar è vicino a Cl, da sempre. Già nei primi
siderato uno degli uomini in questo momento a lui più vicini. anni ’80 militava nel Movimento popolare. Un mondo con il
Decisamente poco mediatico e rimasto ancora “sotto traccia” è quale Renzi non va d’accordo, ma che gli serve: non è andato al
in perenne ascesa nella classifica degli equilibri del posto. Ha Meeting di Rimini quest’estate, ma alla vigilia dell’evento ha
tutte le carte in regola per questo: è di origini toscane, poli- rilasciato un’intervista a Tempi. Un modo per marcare una
ticamente parlando, come tutti i componenti di spicco del “Gi- differenza, ma anche per tenere rapporti che contano. E che
glio magico” di Matteo ed è stato molto legato negli anni alla per molta parte sono gestiti dal fido Marco Carrai.
parte più aziendalista di Forza Italia, un mondo che al premier è Un altro possibile legame tra l’attuale vice segretario a Palazzo
indispensabile.
Chigi è il premier. Seguendo il curriculum di “Lele”, si scoprono altri nessi importanti: in Parlamento ci è rimasto solo
L’ASCESA DI TISCAR, descritto da tutti come un uomo estre- una legislatura (dal ’92 al ’94), poi è andato al Pirellone, nella
mamente efficiente, va in parallelo con la discesa di Mauro Bo- giunta regionale guidata da Formigoni, come dirigente, per
naretti, segretario generale della Presidenza del
occuparsi di programmazione e sviluppo.
Consiglio. L’ex city manager di Reggio Emilia,
Quindi è passato nel privato, lavorando coreo di essere stato voluto dal Sottosegretario
me country manager per due multinazionali
LARGHE INTESE
alla Presidenza del Consiglio, Graziano Delrio,
del settore delle acque come Rwe e Suez, e poi
ormai finito nel cono d’ombra, viene dato peFiera Milano.
Il vicesegretario generale in
rennemente sulla porta d’uscita, surclassato
Nel 2005 è tornato in Regione come direttore
dalla ex vigilessa, Antonella Manzione, il capo
regionale delle reti e da tre anni si era spoè sempre più forte.
del Dagl (ovviamente toscana) che ha in mano
stato in Finlombarda. Prima di arrivare a RoNel curriculum: la Dc
tutta la macchina legislativa e dallo stesso Tima. Solidissimi rapporti, dunque, con la parscar. Che gestisce molti dossier tecnici.
te di Forza Italia che non fa capo a Denis
con il padre del premier
Classe 1956, origini baresi, Tiscar a Firenze ci è
Verdini, con il quale Renzi intrattiene raparrivato all’università. Poi è stato consigliere
porti da sempre. Utile, dunque, per allargare
e la vicinanza con
comunale dal 1985 al 1992 per la Dc prima, e
il campo. Perché le intese più larghe sono,
Formigoni e con Fi
per il Ppi poi. Tra il ’90 e il ’92 è assessore al
meglio è.
T
sua segreteria al partito, e i
nemici al destino. È rimasto
solo, come desiderava. La vita non finisce qui, e lui lo sa.
È riuscito a fare gli auguri di
pronta guarigione con un
tweet persino a Dario Franceschini, col quale non solo a
parole (sembra che tra i due
siano volate cartellate) aveva
chiuso la difficile pratica governativa, indicando nell’ex
amico Dario il “traditore”,
colui che lo aveva venduto
palazzo Chigi a Matteo.
Le parole in politica non sono pietre e il tradimento, se
c’è stato, è declassato a prova
di vita intensa, esercizio necessario, onere permanente
di una scelta, la corsa verso il
potere, che non ammette
cautele o dispiaceri.
“Enrico vuole che nessuno
parli a suo nome”. Piano piano la voce s’è sparsa nel suo
gruppo, ancora tramortito
dagli eventi di febbraio, e ciascuno ha tenuto fede all’impegno. “Enrico lo sento, fa le
sue cose, coltiva finalmente i
suoi interessi: la politica europea”, dice Guglielmo Vaccaro, deputato del cerchio,
quando il cerchio c’era.
IL GIOVANE LETTA era a un
passo dal divenire presidente
del Consiglio d’Europa. Il
suo curriculum è eccellente:
a 38 anni è già stato due volte
ministro, una volta sottosegretario alla presidenza e poi
addirittura premier. C’è di
meglio in giro? Ma Renzi lo
ha impallinato, e anche questa è la conseguenza logica
del potere. “Tutti tranne Letta”, disse ai partners. E così è
stato. Enrico sicuramente lo
aveva previsto. Dispiaciuto
lo sarà stato, ma sorpreso no.
C’è da attraversare il deserto,
ma forse il cammino sarà più
breve. Resta sempre il nipote
di Gianni, e il suo nome in un
domani molto prossimo sarà
di nuovo in pista. Bruxelles,
Francoforte, e persino, forse,
Roma. In politica il pendolo
è infallibile, si scompare e si
ricompare. C’è il Quirinale
sullo sfondo e basta avere pazienza. Si salta il prossimo giro, ma se si resta in forma, si
è perfetti per quando si dirà:
“Servirebbe una personalità
come Enrico Letta”.
COLPI DI SPUGNA
il Fatto Quotidiano
G
enerali, Scaroni
lascia prima del voto
dell’assemblea
Il presidente del Senato
di Gianni Barbacetto
P
artorito ieri un nuovo
testo sull’autoriciclaggio, dopo mesi di rinvii e
contrapposizioni. Si sono messi attorno a un tavolo il ministro della Giustizia, Andrea Orlando, quello dell’Economia, Pier
Carlo Padoan, e quello delle Riforme, Maria Elena Boschi. Uno dei
nodi da sciogliere era quello della
soglia: secondo il testo proposto
una settimana fa dal ministro della
Giustizia, l’autoriciclaggio sarebbe
perseguito soltanto quando il reato presupposto (quello che ha prodotto i soldi sporchi da ripulire) è
punibile con una pena superiore a
5 anni. Contrario alla soglia era invece il ministro Padoan, che vorrebbe veder punito per autoriciclaggio anche chi reimpiega fondi
neri ottenuti con reati economici e
fiscali. Il compromesso raggiunto
ieri diversifica le pene: da 2 a 8 anni
sopra quella soglia, da 1 a 4 sotto.
Ma nel testo che circola, al comma
3, si dice che non c’è il reato “quando il denaro, i beni o le altre utilità
vengono destinate alla utilizzazione o al godimento personale”. E
per cos’altro dovrebbero essere
impiegati? Questo comma finisce
per azzerare del tutto l’autoriciclaggio. Pietro Grasso, ex procuratore nazionale antimafia, aveva
proposto misure anticorruzione,
tra cui l’autoriciclaggio, appena
entrato in Parlamento, un anno e
mezzo fa. Per il suo ruolo attuale di
presidente del Senato non commenta un testo ancora non definitivo. Ma, più in generale, denuncia ritardi e insufficienze negli interventi sulla giustizia.
Al festival del Diritto di Piacenza,
qualche giorno fa, lei si era fatto
una domanda: “Mi chiedo quali interessi blocchino la mia legge sulla
corruzione”. È riuscito a darsi una
risposta?
Non mi piacciono le dietrologie,
registro i fatti: dal 15 marzo 2013 la
mia proposta è ancora in commissione Giustizia in Senato. Ce n’è
una alla Camera che affronta alcuni degli stessi temi. Il ministro
ne ha promesse altre. Eppure non
si va avanti.
È evidente che ci sono diversità di
vedute su come introdurre il reato
di autoriciclaggio. C’è chi, per la
GENERALI in una nota ha reso noto che il consigliere di amministrazione indipendente Paolo Scaroni, Presidente del Comitato per la Remunerazione
e membro del Comitato per le Nomine e la Corporate Governance di Generali, ha comunicato oggi al
Presidente della Compagnia, Gabriele Galateri di
Genola, le proprie dimissioni dal Consiglio. La decisione è legata a nuovi impegni lavorativi che “ren-
dono difficile svolgere con la dovuta dedizione l’incarico di Consigliere e potrebbero determinare
eventuali conflitti d’interesse”, è spiegato nella nota.
In realtà la posizione di Scaroni traballava: fra pochi
giorni l’assemblea di Generali doveva votare sul suo
reintegro dopo che lui si era auto sospeso dopo la
condanna in primo grado per la vicenda della centrale di Porto Tolle.
Piero Grasso:
“Soldi sporchi, così
hanno fermato
la mia proposta”
ovvero aggiungere che nei casi di
lieve entità sia prevista solo la pena
pecuniaria e non il carcere, mantenendo però tutte le pene accessorie: confisca, decadenza e revoca
delle concessioni e delle autorizzazioni, divieto di contrattare con
la pubblica amministrazione, interdizione dai pubblici uffici e così
via.
Chi frena sull’autoriciclaggio obietta che la stessa persona rischia di
essere punita più volte per lo stesso comportamento.
Piero Grasso Ansa
AUTORICICLAGGIO
BOICOTTATO
Il mio testo originale
colpiva i reati economici
della mafia e quelli dei
colletti bianchi. Solo così
sarà possibile garantire
l’integrità del nostro
sistema economico
propria esperienza, è più sensibile
alla lotta antimafia e chi preferirebbe introdurre il nuovo reato per
contrastare la criminalità economica. Poi c’è qualcuno che proprio
non lo vuole...
Ci sono proposte diverse, ma sulla
mia ultimamente si è fatta un po’ di
confusione. Quella che lei ieri ha
definito “linea Grasso” è in realtà
quella del testo unico in discussio-
ne in commissione, redatto dal relatore D’Ascola sulla base del mio e
di numerosi altri disegni di legge.
Naturalmente la dizione è “Grasso
e altri”, ma è ben lontana dal mio
testo originale che, al contrario di
quanto da lei scritto, colpiva sia i
reati economici della mafia che
quelli dei colletti bianchi, insomma qualsiasi reato che genera profitto. Solo così si può garantire l’integrità del sistema economico e finanziario e recuperare miliardi di
euro alle casse dello Stato.
È accettabile la soluzione di compromesso, che sotto i 5 anni, prevedendo pene minori, non dà la
possibilità di intercettare?
Nella mia proposta originaria avevo previsto una pena da 1 a 6 anni,
anche per consentire l’utilizzo delle intercettazioni, così come avevo
previsto l’attenuante speciale per
chi collabora con la giustizia e le
aggravanti per professionisti, pubblici ufficiali e intermediari finanziari. Lunedì scorso, a Milano, avevo proposto io stesso una soluzione di accettabile compromesso,
Sono reati diversi che tutelano interessi diversi: il patrimonio, l’integrità dell’economia, l’interesse
della pubblica amministrazione e
via dicendo. Nel nostro codice
l’ipotesi è già regolamentata dal
“reato continuato”: non si sommano le pene. Nel caso di più reati, si
applica la pena del reato più grave
con solo un aumento per gli altri.
Oltre all’autoriciclaggio, quali sono
le misure più urgenti che dovrebbero essere introdotte per combattere la corruzione?
L’introduzione della figura del collaboratore di giustizia. L’eliminazione della punibilità del privato
vittima di abusi nella corruzione
per induzione. L’aumento della
pena nel traffico di influenze illecite. La revisione della corruzione
tra privati. Il ripristino della punibilità del falso in bilancio. La revisione dei reati societari. Tutto
questo sotto il profilo della repressione, poi occorre intervenire anche sulla prevenzione. Ma il problema più grande resta quello etico
e culturale.
Non è necessario intervenire anche
sulla prescrizione?
Ho sempre detto che la cosa migliore sarebbe intervenire in senso
generale, per tutti i reati, sospendone il decorso dopo il rinvio a
giudizio.
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
7
IL “GODIMENTO”
Affondano
anche il reato
di riciclaggio
LA NUOVA NORMA INDEBOLISCE
ANCHE QUELLA GIÀ IN VIGORE
ui, “oltre a bloccare il reato di autoriciQ
claggio, stanno depenalizzando anche il
riciclaggio”. Un magistrato esperto in reati fi-
nanziari commenta le conseguenze del testo
partorito dal governo sull’asse Renzi-Boschi-Ghedini (con l’ostilità del ministro
dell’Economia Pier Carlo Padoan) sul reato
che, come previsto dalla convenzione Ocse di
Strasburgo del 1999 firmata dall’Italia e mai
convertita in legge, dovrebbe punire chi ricicla
i soldi sporchi dei suoi reati per “lavarli” in attività lecite e poi utilizzarli “puliti”.
L’ULTIMA TROVATA di Palazzo Chigi è una
causa di non punibilità per chi ricicla il suo denaro sporco a scopo di “godimento personale”.
Ma, dicono gli inquirenti, tutti i criminali che
ripuliscono il loro denaro lo fanno per godersi
personalmente il frutto delle
attività illecite. “Poniamo il
caso di un rapinatore che
prende la refurtiva e l’affida a
uno spallone, il quale gliela
porta in Svizzera sul conto
cifrato di una fiduciaria. Poi
il rapinatore va in Svizzera e
preleva i quattrini per farsi la
villa a St. Moritz. Dunque
gode personalmente del suo
profitto illecito. Con la causa
di non punibilità, non può
Francesco Greco essere processato per autoriciclaggio. Ma la causa di non
punibilità si applica anche allo spallone e al titolare della fiduciaria che concorrono nel suo
reato, avendolo aiutato a riciclare i suoi soldi:
oggi quei due sono punibili per il reato di riciclaggio, domani non più. Bel risultato davvero: la legge che dovrebbe punire l’autoriciclaggio viene svuotata in modo da non punire
né l’autoriciclaggio, né il riciclaggio”.
A QUESTO PUNTO, osserva il magistrato, mol-
to meglio non fare nessuna legge: “Almeno
qualche riciclatore, col reato di riciclaggio, riusciamo ancora ad acchiapparlo”. Ieri, dopo i
continui rinvii in commissione Finanze e le
continue riscritture del testo della “riforma” tra
la presidenza del Consiglio e i ministeri delle
Riforme, della Giustizia e dell’Economia, si è
tenuta l’ennesima riunione con i ministri Boschi, Padoan, Orlando e il viceministro Casero,
tagliando fuori i parlamentari più impegnati,
che in commissione avevano già approntato un
buon testo, giudicato efficace dal procuratore
aggiunto di Milano Francesco Greco. Padoan
ha spiegato quanti miliardi si recupererebbero
con l’effetto-tenaglia di autoriciclaggio e norme per favorire il rientro dei capitali. Ma le sue
osservazioni continuano a scontrarsi con uno
scoglio invisibile quanto insuperabile: il Patto
del Nazareno.
8
ALL’ITALIANA
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
Ea processo
vasione:
le figlie
di Gucci e la nonna
PER UN’EVASIONE fiscale da poco
meno di 4,5 milioni ciascuna, Alessandra e Allegra Gucci, figlie di Maurizio Gucci, l’imprenditore della moda assassinato a Milano nel 1995, e
di Patrizia Reggiani, che per
quell’omicidio è stata in carcere 16
anni, sono finite sotto processo as-
sieme alla nonna Silvana Barbieri.
Il dibattimento in corso davanti alla
terza sezione penale del Tribunale è
alle battute iniziali e tra gli imputati,
oltre alle due ereditiere della maison
del lusso e alla nonna, figura, in concorso con loro, l’avvocato Fabio Franchini. A chiedere e ottenere il rinvio a
il Fatto Quotidiano
giudizio è stato il pm Gaetano Ruta
che ha contestato alle sorelle Gucci,
residenti in Svizzera, assieme al loro
“consulente legale” il reato di omessa dichiarazione dei redditi. Reato
che avrebbero commesso tra il 2004
e il 2010: Alessandra, 37 anni, è accusata di un’evasione di circa 4 mi-
lioni e 485mila euro mentre Allegra,
33 anni, di un’evasione di circa 4 milioni e 446mila euro. La nonna ultraottantenne e madre di Patrizia
Reggiani, ha omesso invece di presentare la “dichiarazione fiscale” per
il 2008 evadendo il fisco per un importo di 88mila e 842 euro.
DEF, L’OUTING DI RENZI: RIFORME
AL PALO, BUTTIAMO 7,5 MILIARDI
I DECRETI ATTUATIVI DELLE PASSATE MISURE E QUELLE PER LA CRESCITA AL PALO
COSTANO LO 0.5% DI PIL. MALE IL PAGAMENTO DEI DEBITI DELLA PA. JOBS ACT INUTILE
di Stefano
0,5
PIL
IL COSTO
Feltri
O
ps abbiamo sbagliato, se l’Italia è
di nuovo in recessione è (anche)
colpa nostra. È questo il messaggio tra le righe della Nota
di aggiornamento del Documento di economia e finanza, cioè la base su cui verrà
impostata la legge di Stabilità. Nel testo elaborato dal
ministero del Tesoro e approvato dal Consiglio dei ministri di martedì, ma pubblicato ieri, si legge che la colpa
della mancata crescita italiana è da dividere a metà tra
crisi internazionale e errori
del governo.
LE PREVISIONI sulla crescita
economica in questi anni sono sempre sbagliate. Il Tesoro ha toppato completamente: ad aprile stimava per il Pil
2014 un +0,8, nella Nota di
aggiornamento deve ammettere che invece si ridurrà di
-0,3. Una differenza di oltre
un punto percentuale, enorme. Nella Nota i tecnici del
ministro Pier Carlo Padoan
spiegano che le stime del governo erano solo di poco superiori (0,1) rispetto a quelle
del consensus, cioè della media delle aspettative delle
principali istituzioni e società
di previsione. Il problema è
che sono cambiate alcune
delle variabili di fondo. È
scoppiata la crisi ucraina, poi
quella di Gaza, la Libia è sprofondata nel caos, l’Isis ha iniziato la sua campagna di terrore: tutto questo ha ridotto
la crescita di mezzo punto di
Pil, un -0,5 attribuito a “variabili esogene internazionali”. Il resto è colpa dell’Italia,
del governo e della burocrazia. La diagnosi, scritta da Padoan ma sottoscritta da Renzi, è implacabile: “Le riforme
effettuate pur avendo iniziato
a produrre un miglioramento
strutturale non sono state ancora in grado di invertire la
tendenza ciclica, mentre il
policy mix continua a rimanere non favorevole influenzando pertanto in senso negativo l’andamento della domanda aggregata”. Tradotto
dal gergo ministeriale: le scelte del governo Renzi non
hanno aggredito la crisi, forse
hanno messo la base per la
crescita di un domani lontano, ma per ora non producono effetti.
Le misure che dovevano contrastare la recessione non
stanno funzionando. Il pagamento dei debiti arretrati della pubblica amministrazione,
per esempio: i soldi sono stati
stanziati, in gran parte erogati agli enti che devono pa-
DELLA
STASI
LA SQUADRA
Il ministro Pier Carlo Padoan e Matteo Renzi LaPresse
L’ALTRA SORPRESA
Nel Documento
di programmazione
economica anche un
aumento dell’Iva da 12
miliardi se l’esecutivo non
riesce a ridurre il debito
gare, ma arrivano alle imprese in modo “più graduale” del
previsto. E questo determina
una crescita mancata di 0,5
punti di Pil, circa 7,5 miliardi
di euro. Il premier rivendica
di aver risolto il problema,
combinando vari meccanismi di pagamento, ma l’effetto benefico sull’economia
non si vede. Può consolarsi,
però: anche i miracoli promessi dai suoi predecessori,
Mario Monti ed Enrico Letta,
non stanno dando i risultati
previsti: le riforme 2012-2013
(con i vari Cresci Italia, Semplifica Italia, decreti sviluppo
ecc) sono sotto le attese dello
0,2 per cento del Pil. Unico
segno in controtendenza: il
decreto che ha stabilito il bonus da 80 euro, il punto più
forte del programma di Renzi. Ha contribuito in modo
positivo alla crescita. Ma di
quanto? “Il provvedimento,
pur pienamente operativo a
partire dalla seconda metà del
2014, presenta un valore positivo soltanto dal 2015”.
Quindi per ora proprio nessun beneficio, se non il 40,8
per cento ottenuto dal Pd nelle ultime elezioni europee. Il
governo scrive anche che la
riforma della Pubblica amministrazione, ancora in corso,
non produrrà un aumento
del PIl di 0,2 nel 2015, ma
solo di 0,1. E quella del Lavoro non di 0,3 ma un terzo,
cioè 0,1 (segno che abolire
l'articolo 18 non innescherà
alcun boom), anche l’impatto
delle “misure per la competitività” è dimezzato, da 0,2 a
0,1.
I MIRACOLI si rivelano sem-
pre virtuali, le cattive sorprese future concrete: la prima
nel Def è un possibile aumento dell’Iva che vale 12,4 miliardi nel 2016 e sale fino a
21,4 nei due anni successivi,
un salasso che scatta in automatico se il governo non
riesce a ridurre il debito secondo il ritmo previsto dai
vincoli europei in modo da
arrivare al pareggio di bilancio nel 2017. E questo è soltanto l’inizio, la sessione di
bilancio è appena cominciata.
SOLO QUALCHE FUMOGENO
Il corteo anti-Bce
fila liscio:
delusi solo i gufi
di Enrico Fierro
inviato a Napoli
ufi, civette (che qui chiamano ciucciuettole) e corvi
G
sono sistemati: Napoli non è stata messa a ferro e fuoco
dal corteo contro la Bce. Per giorni i giornali hanno titolato
su allarmi e pericoli di devastazione da parte dei black-bloc,
pubblicato mappe di inesistenti zone rosse e piani di difesa
delle migliaia di poliziotti e carabinieri schierati. Gli editorialisti più fantasiosi si sono spinti fino a ipotizzare collegamenti con gli incidenti (che sicuramente ci sarebbero
stati) e le ardite dichiarazioni del sindaco de Magistris contro la magistratura, il Capo dello Stato e il giudice che lo ha
condannato, e soprattutto con la sua ostinazione a non
dimettersi invece di farsi semplicemente sospendere. Non è
andata così. Gli incidenti ci sono stati, ma solo in un punto
preciso della città, lontano dal centro e a qualche centinaia
di metri dalla Reggia di Capodimonte sede del vertice.
Quando per fermare un uomo, uno solo, che tentava di
superare una cancellata off-limits per esporre uno striscione
contro la riunione dei banchieri europei, la polizia ha usato
gli idranti e sparato i lacrimogeni contro tutti i manifestanti.
Eppure il corteo stava passando velocemente e gli “incappucciati, che però avevano il volto coperto da una maschera
di Pulcinella, si interponevano tra la folla e il cordone di
poliziotti. È durato poco e nessuno si è fatto male, ma tanto
è bastato perché siti e agenzie di stampa titolassero solo su
quello. Per il resto il corteo ha attraversato buona parte della
città e uno dei quartieri più popolari, la Sanità di Totò, senza
distruggere un bancomat, sfondare una vetrina, imbrattare
un monumento. Disoccupati, marginali, senza casa, studenti senza futuro, ambientalisti delle varie terre dei fuochi,
hanno alternato il rap alla più popolare “Jamme, ja” di Nino
D’Angelo e Maria Nazionale. Finale con i botti, mortaretti,
sparati a piazza della Borsa per la liberazione di un attivista
fermato. E i gufi sono rimasti a bocca asciutta. Anche per
loro vale lo slogan della manifestazione. Jatevenne, che a
Napoli significa andatevene. Ma è più forte perché accompagnato da un esplicito gesto della mano.
Vertice: Draghi parla, la Borsa sprofonda
LA BANCA CENTRALE PRONTA AD ACQUISTI PER MILLE MILIARDI MA NON TITOLI DI STATO: MILANO -3,9% E NE BRUCIA 19
di Carlo Di Foggia
ome i manifestanti a Napoli, anche i mercati attenC
devano le mosse di Mario Dra-
ghi. Ieri, il numero uno della
Banca centrale europea, nonostante la promessa che gli interventi finora messi in campo
(Tltro, Abs e Covered bond)
potrebbero raggiungere quota
“mille miliardi”, non ha però
usato toni decisi sulle future
mosse di Francoforte. Il responso è stato un tonfo pauroso: giù tutti i listini europei, con
Milano che ha perso il 3,9 % (19
miliardi bruciati), in una giornata che ha visto in fumo 222
miliardi in capitalizzazione.
I mercati da tempo scommettono sull’acquisto di titoli di
Stato dei Paesi in difficoltà, un
vero e proprio quantitative ea-
sing sul modello della Federal
reserve americana che Draghi
vorrebbe evitare e che la pressione tedesca cerca di scongiurare ad ogni costo. Secondo gli
analisti, ieri l'ipotesi si è fatta
ancora più remota. La Bce, ha
spiegato Draghi da Napoli (dove il consiglio direttivo si è riunito per la prima volta nella sua
storia), resta determinata “all'unanimità” ad avvalersi di altre misure straordinarie, se fosse necessario per evitare bassa
inflazione. A settembre, la crescita dei prezzi del continente
si è ulteriormente allontanata
dall'obiettivo ufficiale della
Bce: inferiore ma vicina al 2 per
cento. Salvo ulteriori, pesanti,
ribassi, però, Francoforte non
metterà in campo misure aggiuntive. I mercati lo hanno capito, crollando all'unisono.
po), limitandosi a spiegare che
“gli acquisti potrebbero anche
essere inferiori”. Un'ipotesi
addirittura ottimistica secondo gli analisti di Unicredit:
“Abbiamo il sospetto che saranno molti meno”.
IERI, DRAGHI ha svelato i det-
Mario Draghi a Napoli Ansa
Tanto più che dopo l’esito deludente della prima tranche dei
prestiti Tltro alle banche nessuno sembra disposto a scommettere che la cifra finale si aggirerà davvero intorno ai mille
miliardi. Cifra che peraltro l'ex
governatore di Bankitalia non
ha fissato come obiettivo (difficile da stabilire così in antici-
tagli dell’atteso programma di
acquisto di titoli Abs (mutui
cartolarizzati che appesantiscono i bilanci delle banche)
che sulla carta dovrebbe provare a resuscitare i credito bancario: avrà una durata di almeno
due anni e verrà lanciato a partire da metà ottobre, presumibilmente dopo l'acquisto dei
“covered bond” (titoli assimilabili agli Abs). La vera novità, su
cui pesava non poco l'ostilità
tedesca, è che l’Eurotower acquisterà anche titoli dalle disa-
strate banche di Cipro e Grecia,
ma solo finché restano all’interno dei piani di risanamento
imposti dalla Troika.
Il presidente della Bce è intervenuto anche sul tema del deficit, dopo che la Francia ha annunciato un disavanzo di bilancio al 4,4 per cento del Pil nel
2014 e al 4,3 nel 2015, ben oltre
la soglia del 3 imposta dal trattato di Maastricht. I Paesi dell'area euro, ha ammonito Draghi, “non dovrebbero vanificare i progressi già conseguiti ma
procedere in linea con le regole
del patto di stabilità e crescita”,
ribadendo un concetto già
espresso nelle ultime settimane
(già illustrato al premier Matteo Renzi nell'incontro di Città
della Pieve dello scorso agosto):
“Bisogna accelerare sulle riforme strutturali e del lavoro”.
LOBBY SÌ, DIRITTI NO
il Fatto Quotidiano
A
ppalti, la Cgil
presenta il suo
decalogo all’Autorità
Sblocca mazzette
di Davide
Vecchi
V
Milano
isto che Renzi ha
spiegato al Paese
di essere autonomo dai poteri
forti ha un’occasione per
dimostrarlo in concreto: rivedere le concessioni autostradali inserite nello Sblocca Italia”. Giuseppe (Pippo)
Civati, ex rottamatore e oggi minoranza dura e pura
del Pd, accantona le polemiche interne al partito e
boccia i contenuti del decretone.
Cosa contiene che non va?
Un sacco di cose, tra cui il
passaggio sui commissari
del Tav che possono superare le obiezioni delle sovrintendenze,
un
altro
RIDUZIONE DEL NUMERO delle
stazioni appaltanti e delle centrali di
spesa; lotta al massimo ribasso; individuazione di una “dimensione sociale” della riforma del codice appalti;
applicazione del contratto “prevalente” contro il “Far West”; una legge di
iniziativa popolare che dia garanzie ai
lavoratori impiegati nelle filiere degli
appalti. Questi in estrema sintesi i
punti centrali della proposta della Cgil
per “determinare un cambio sostanziale in tema di appalti”. Il sindacato di
Susanna Camusso li ha elencati ieri
nel corso di un seminario svoltosi alla
presenza del presidente dell’Autorità
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
anticorruzione, Raffaele Cantone. Il
tema è strettamente connesso alla riforma del mercato del lavoro e alla
modifica dell’articolo 18.
“La libertà dei licenziamenti che si sta
per creare con la modifica dell’art.18 ha sostenuto Susanna Camusso - può
provocare un disastro nel sistema de-
9
gli appalti”. “In tanti appalti dei servizi,
- ha aggiunto il segretario della Cgil ci sono già situazioni quasi al paradosso. La modifica trionfalmente annunciata del licenziamento per motivi
economici sarebbe la regola per cui
ogni situazione di cambio appalto si
risolverebbe con un licenziamento”.
Pippo Civati
“Regalo alle autostrade,
Pd e governo lo cancellino”
sulla concorrenza e rischiamo sanzioni concrete oltre ai
richiami verbali arrivati sino
a ora. Persino Raffaele Cantone, che non è un gufo della
fronda Pd per capirci ma il
commissario nominato da
Renzi contro la corruzione,
ha bocciato la norma sulle
concessioni.
Stralciare o abrogare la norma, poi dipende dai passaggi: al momento è un decreto
in conversione. Ma così come è non va bene. Si devono
fare le gare, seguire le procedure e compiere un lavoro
molto trasparente, proprio
come chiede soprattutto
Cantone.
Esatto, figure al di sopra di
ogni appartenenza chiamate
a svolgere un ruolo di verifica e controllo. Esterne al
dibattito politico. In tre arrivano alla stessa conclusione, vogliamo ascoltarli?
La questione è seria. Lo Stato
potrebbe riprendersi le autostrade o tagliare il costo
dei pedaggi, non certo economici.
In linea con Fabrizio Balassone di Banca d’Italia e Giovanni Pitruzzella dell’Antitrust.
Lei che propone?
Guardi che poi le dicono di
essere contro l’innovazione
infrastrutturale.
Andiamo con ordine. Le concessioni di qualche decennio
fa sono scadute, giusto?
Ed è una grande risorsa per
perché quando una concessione scade significa che l’investimento iniziale è stato
completamente ammortizzato e quindi il bene torna
nella disponibilità dello Stato a titolo gratuito.
È finita una partita, dunque
se ne apre una tutta nuova?
Lo Stato ha diverse opzioni,
fra l’altro. Può dare l’autostrada in gestione a un privato, attraverso una gara a
evidenza pubblica, oppure
può gestirla direttamente incassandone i proventi. Semplice.
E invece?
Invece nell’articolo 5 dello
Sblocca Italia hanno accor-
pato le concessioni scadute a
quelle prossime alla scadenza, eludendo così una gara e
riaffidando direttamente le
concessioni. Senza nessun
tipo di confronto, di appalto,
niente. Insomma che si stia
rischiando di violare la norma sulla concorrenza è evidente a chiunque.
rebbe per questo esecutivo.
Principianti al potere?
Lecito, infatti è intervenuto
Cantone e con lui altri organismi a dire ‘così non va
bene’. Ci manca anche di
prenderci una multa dalla
Ue per questo.
Esatto, per il momento non
ci va nessuno, non la usa
nessuno anche perché è cara,
quindi nessuno paga il pedaggio e chi la ripagherà? Le
banche? Ho qualche dubbio.
Magari durante la stesura e
lettura non se ne è accorto
nessuno.
Non sarebbe la prima sanzione che prendiamo. Lo sa-
No guardi, con le polemiche
per questa settimana ho già
dato. Penso al concreto. E di
concreto c’è anche un altro
rischio: vedere realizzate
strade totalmente inutili solo
per legittimare la concessione.
Tipo la Brebemi, l’autostrada
che corre praticamente parallela alla Milano Venezia?
[email protected]
Giuseppe (Pippo) Civati LaPresse
VITALIZI L’ex consigliere
condannato: non lo mollo
causa di una condanna
A
definitiva per concussione, non ha diritto al vita-
LEGGI
FURBETTE
È un decreto alla
Berlusconi, contiene
tutto. E rischiamo una
mega sanzione dalla Ue.
Persino Cantone, che non
è un gufo, ha bocciato
la norma
lizio da consigliere e la Regione Calabria glielo revoca
chiedendogli la restituzione
di quello percepito negli ultimi tre anni. “Io me ne fotto,
per dirla alla calabrese”, è stata la risposta di Enzo Sculco,
un tempo consigliere regionale della Margherita che
ostenta serenità nonostante la Regione
pretenda da lui 100mila euro: “Non sarò il
capro espiatorio. Per quel vitalizio ho versato 1.200 euro al mese per 5 anni. La cifra
che devo restituire deve essere corretta”.
Il Consiglio regionale ha valutato retroattivamente una legge del governo Monti
secondo cui il vitalizio non spetta ai politici condannati per reati contro la pub-
sull’edilizia molto simile a
quella delle giunte Formigoni con la semplificazione per
chi costruisce. Poi le autostrade. È un decreto molto
berlusconiano, molto lupigno come dice Camilleri.
In pratica c’è di tutto, si sapeva.
Sì, ma sulle concessioni autostradali violiamo le norme
blica amministrazione:
“Sono stato condannato
perché un dirigente della
Provincia, che aveva il
compito di sostituire le
porte di un liceo, ha dichiarato di non essere
mai stato minacciato da
me, ma di aver pensato
che se non avesse dato il
lavoro a una determinata
impresa, gli avrei tolto le
deleghe per le politiche
comunitarie”. Dovranno
restituire il vitalizio altri
due ex di Palazzo Campanella: Giuseppe Tursi
Prato e Mimmo Crea. “Rivogliono il vitalizio
- aggiunge Sculco – ma quanti deputati sono
stati condannati nei 70 anni di Repubblica?”.
Sculco cita l’ex segretario della Dc Arnaldo
Forlani: “Non so se Forlani è vivo (compie 89
anni a dicembre, ndr). Se non lo fosse anche
sua moglie deve restituire la reversibilità, visto che è stato condannato per Enimont”.
Lucio Musolino
Tfr in busta paga? Anche Poletti frena: è difficile
ART. 18, FORZA ITALIA RITIRA IL “SOCCORSO AZZURRO”. GOVERNO APPESO A UN ORDINE DEL GIORNO. IL PAPA: PRIMA IL LAVORO POI L’ALTA FINANZA
di Salvatore Cannavò
l Tfr in busta paga è ancora in alto
I
mare. Ieri il ministro Giuliano Poletti ha sottolineato che è “in corso an-
cora una riflessione” nel governo e e
che i problemi sono aperti. Parole
analoghe a quelle del ministro
dell’Economia, Padoan. Il governo ha
avuto un assist da parte del governatore della Banca d’Italia, Ignazio Visco, che ha assicurato che le banche
italiane lo vogliono, i fondi della Bce
possono essere utilizzati allo scopo. E
un altro supporto viene da Sergio
Marchionne, che si è detto favorevole.
Ma le soluzioni operative al momento
appaio molto complicate perché se
con una mano si accontentano alcuni
settori con l’altra se ne scontentano
altri. Ad esempio le imprese che appaiono molto preoccupate.
La coperta è corta anche sull’articolo
18. Le aperture fatte da Matteo Renzi
alla minoranza del Pd - mantenimento del reintegro anche per i licenziamenti disciplinari - provocano frizioni a destra. E così, Forza Italia garantisce, con il suo capogruppo al Senato,
Paolo Romani, che non ci sarà “nessun soccorso azzurro” al governo. Immediata, e spavalda, la risposta di
Renzi: “Non c’è il soccorso? Wall
Street trema”.
secondo il quale “la norma così com’è
scritta ci consente di fare già ciò che si
vuole fare”. L’emendamento, quindi,
non è necessario perché “il problema è
puramente politico”. Una posizione
che ha fatto infuriare sia la minoranza
Pd che la Cgil. “Il governo non può
fare come vuole” ha detto Susanna Camusso. La scappatoia al problema potrebbe essere però quella dell’ordine
IN REALTÀ, RENZI DEVE far quadrare
un rebus complicato. La promessa di
recuperare il licenziamento disciplinare, infatti, deve tradursi in una modifica alla legge-delega che vene contestata dai centristi della maggioranza,
Ncd, Udc, Scelta civica, Popolari e Svp,
che ieri hanno espresso una posizione
unitaria. La legge delega deve restare
così com’è, scrivono perché “noi valiamo quanto la minoranza Pd”.
A questa obiezione offre una sponda il
ministro del Lavoro, Giuliano Poletti
del giorno. Un documento di indirizzo al governo che non necessiterebbe
di emendamenti. “Io non mi impicco a
un emendamento o a un ordine del
giorno” dice significativamente Cesare Damiano, minoranza Pd e presidente della Commissione lavoro della
Camera. “Mi impicco al fatto che non
si torni indietro rispetto ai passi avanti
fatti in Direzione”.
PER CONTRIBUIRE a rasserenare il
Una manifestazione per il lavoro Ansa
clima interno al pd, ieri Cesare Damiano ha riunito due esponenti della
minoranza - divisi sul voto in direzione - Gianni Cuperlo e Roberto Speranza e il vicesegretario del partito,
Lorenzo Guerini, che però ha disertato la serata) attorno al tema del “modello tedesco” spiegato con tanto di
slides da Franco Garippo, componente del consiglio aziendale della Volkswagen. “Il modello di cogestione in
Italia si può fare” spiega al Fatto, “anzi
potrebbe venire anche meglio”.
Più nitide le parole del Papa. “Il diritto
fondamentale al lavoro non può essere
considerato una variabile dipendente
dai mercati finanziari e monetari” ha
detto Francesco all’assemblea plenaria
del Pontificio Consiglio “Giustizia e
Pace”. E oltre al lavoro, “bene fondamentale per la dignità” occorre difendere il welfare e contrastare le disuguaglianze. “Uno degli aspetti
dell’odierno sistema economico - è la
tesi papale - è lo sfruttamento dello
squilibrio internazionale nei costi del
lavoro, che fa leva su miliardi di persone che vivono con meno di due dollari al giorno. Francesco ha condannato anche “i perduranti squilibri tra
settori economici, tra remunerazioni,
tra banche commerciali e banche di
speculazione, tra istituzioni e problemi globali: è necessario tenere viva la
preoccupazione per i poveri e per la
giustizia sociale”.
10
MOVIMENTANDO
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
Pancora:
izzarotti colpisce
“Non
abbiamo le idee”
FEDERICO PIZZAROTTI torna
all’attacco. Il sindaco grillino di
Parma, spesso in dissenso con i
vertici del Movimento, semina critiche in un’intervista ad Agorà : “Il
concetto fondamentale che ci ha
contraddistinto è sempre stato la
modalità di prediligere le idee ri-
spetto alle persone. Adesso abbiamo le persone ma non le idee. Tante persone vorrebbero capire cosa
proponiamo di fare, ma non abbiamo un programma da proporre
e purtroppo con Grillo non si parla
mai di programmi”. Pizzarotti lamenta una persistente assenza di
il Fatto Quotidiano
dialogo all’interno del Movimento:
“Il momento in cui ci troviamo predispone all’astio, se non sei con me
sei contro di me. Penso invece si
possa parlare, cercando di arrivare
a un risultato. Non sono in contrapposizione con nessuno, ma io
dico la mia opinione sempre”. Im-
mediata la reazione del deputato
pentastellato Michele Dell’Orco, :
“Invito Pizzarotti a fare il sindaco
di Parma, cosa che sa fare molto
bene; ma gli chiedo di lasciare da
parte polemiche sterili. I nemici
sono i partiti e le lobby, non il
M5S”.
M5S, Circo Massimo low cost:
gazebo, Grillo e buona volontà
I 5 STELLE PREPARANO LA TRE GIORNI. PER L’AFFITTO PAGHERANNO CIRCA 40MILA EURO
di Luca De Carolis
S
arà un’arena a Cinque
Stelle. In cerca di una
prova di forza (mediatica), sotto sotto
vogliosi anche di contarsi. Un
evento, ma a costi contenuti,
perché i fondi non abbondano
e bisogna tagliare. Sarà una festa forzatamente sobria, la tre
giorni del Movimento al Circo
Massimo di Roma, in programma dal 10 al 12 ottobre.
In via di definizione, proprio
mentre sul Circo si apre un’inchiesta. Quella della Corte dei
Conti, curiosa di capire come
mai i Rolling Stones pagarono
solo 7.934 euro al Comune per
suonare dove gli antichi romani facevano correre le bighe, e
se il precedente rappresenti un
danno erariale. L’indagine sugli “spiccioli” versati per il
concerto del 22 giugno, quan-
do per affittare Hyde Park a
Londra servono non meno di
300mila euro, si incrocia indirettamente con “Italia a 5 Stelle”. Perché ora pagare l’affitto
toccherà al Movimento. Ma
quanto? Secondo le indiscrezioni che filtrano dal Campidoglio, attorno ai 40mila euro
per l’occupazione del suolo
pubblico. Ma per la cifra precisa è ancora presto. L’esborso
nel dettaglio verrà calcolato in
base ai metri quadri occupati e
a vari altri parametri, dal costo
dei presidi sanitari all’immondizia prodotta (per cui va stipulato un contratto a parte
con l’Ama, l’azienda comunale dei rifiuti,).
DAL CAMPIDOGLIO precisa-
no: “Dopo il concerto degli
Stones abbiamo cambiato le
tariffe preesistenti per le manifestazioni per cui si paga un
biglietto, portando il coefficiente a oltre 2 euro per metro
quadro occupato. Ma quello
dei 5 Stelle sarà un evento politico, quindi il coefficiente è
decisamente agevolato: un euro e 40 per metro quadro”. Comunque la tariffa massima per
le manifestazioni politiche, che
vale per i luoghi del centro (ad
esempio, piazza del Popolo),
mentre per le zone periferiche
L’INCHIESTA
La Corte dei Conti
indaga sul concerto
dei Rolling Stones del 22
giugno: per l’arena
versarono al Comune
solo 8mila euro
si parte da 80 centesimi. Il resto
però dipenderà dal progetto
del Movimento. Già mutato
profondamente, perché il primo schema prevedeva palco e
struttura nei pressi della zona
archeologica. La Soprintendenza però ha mostrato il pollice verso, e allora è stato spostato tutto dalla parte opposta
del Circo Massimo, verso la
Bocca della Verità. Ma il progetto sta subendo altre modifiche: o meglio, tagli. La raccolta fondi lanciata sul blog,
con tanto di video di Grillo sulla biga in versione Ben-Hur, finora ha raggranellato circa
149mila euro. L’obiettivo del
mezzo milione è quindi molto
lontano. E allora la tre giorni
verrà “asciugata”. I gazebo per
i meet up (3 metri per 3), che
inizialmente dovevano essere
300, scenderanno attorno ai
200. Verranno disposti a for-
Beppe Grillo nel video che lancia la tre giorni al Circo Massimo
ma di stivale, così da rappresentare la cartina dell’Italia se
vista dall’alto. Previsti altri dieci grandi gazebo (inizialmente
erano venti), divisi per temi
(ambiente, economia, riforme), nei quali gli eletti di vario
grado incontreranno attivisti e
cittadini per scambiare idee e
ricevere proposte. Ci saranno
dibattiti e conferenze. E poi il
palco (16 metri per venti), do-
ve suoneranno una ventina di
artisti. Sabato dal microfono
parleranno venti parlamentari,
qualche consigliere regionale e
ospiti vari (intellettuali ed economisti). Ma a riempire il palco sarà soprattutto Beppe Grillo, il leader e l’attrazione principale. Sarà lui, venerdì 10, ad
aprire l’evento. Sabato dovrebbe fare interventi sparsi, per
poi chiudere domenica sera.
ITALIE DI GOVERNO
il Fatto Quotidiano
Ppezzo
arà: maresciallo
dopo pezzo
ruba un intero ponte
DANNO ERARIALE Rubò, smontando pezzo
dopo pezzo un intero ponte e in più occasioni
oltre 250mila tonnellate di materiale ferro e
così un maresciallo della Folgore, dopo la condanna a due anni e 8 mesi di reclusione dal
tribunale militare (pena ridotta in appello), si è
visto arrivare dalla Corte dei Conti di Venezia
una richiesta risarcitoria di due milioni di euro.
Fissata l’udienza per il 16 ottobre. Nel 2007,
come riferisce Il Gazzettino, si erano verificati
furti di ingenti quantitativi di materiale ferroso
in alcuni depositi militari del Veronese le cui
indagini non avevano portato a nessun risultato.
Ma un giorno, il maresciallo in forza all’ottavo
reggimento Genio Guastatori di Legnano (Verona), congedato per motivi disciplinari - per i
BOLOGNA E LIVORNO COMPAGNI ADDIO
IL PD AZZERATO DAI TEMPI RENZIANI
EMILIA E TOSCANA PERDONO ISCRITTI. PRODI: “L’ASTENSIONE GRAVE SEGNALE”
di Emiliano
C
Liuzzi
ambiano gli uomini, cambia la geografia e i colori.
Quando si diceva
delle città rosse: oggi sono di
un color pastello non più
identificabile, uccise dalla loro storia. Livorno e Bologna
sono due casi diversi, ma emblematici di quella curva che
porta a crescere la popolarità
di Matteo Renzi e a crollare
quella del partito. In tempi
recentissimi Livorno aveva
ancora un compagno segretario. Lo chiamavano così.
FATTI A PEZZI i numeri, le
falci e i martelli che i portuali
si facevano montare dall’orefice e portavano al collo come
qualcosa da esibire, il nome
compagno ha resistito oltre
misura. Compagne e compagni addio. Oggi Livorno, dopo la batosta presa alle elezioni comunali vinte dal candidato del Movimento 5 stelle, Filippo Nogarin, non ha
più un partito. Il Pd, nei suoi
vertici, è stato completamente azzerato e dio fatto commissariato dalla segreteria regionale. Non c’è un segretario, l’ordinaria amministrazione non è più di potere,
dunque non merita di essere
seguita. Le sezioni erano già
barcollanti da tempo, oggi sono semivuote. Anche i nostalgici se ne vergognano. Prima
erano circoli. Nella sezione di
Antignano, quartiere che mescolava piccoli arricchiti e in-
quilini di case popolari, il circolo funzionava come punto
di ritrovo. Se non altro organizzavano cene e partite a carte. L’ultimo compagno segretario degno di cotanto nome è
stato Raldo Ferretti, professione barbiere. Quando è
morto lui la sezione ha ini-
CAPITALI ROSSE
Le sezioni chiudono
i battenti, piovono
commissariamenti,
i numeri dicono che
non ci sono più
tesserati e quattrini
ziato a perdere i pezzi.
Non meglio è andata a quella
centrale. Era in piazza della
Repubblica, voleva dire il potere. Oggi in quelle stanze c’è
lo studio di un fisioterapista.
Una metamorfosi che ha portato all’intero azzeramento.
Testa china e andare avanti.
Sdegno di cattiva amministrazione, anche: l’ultimo sindaco del Pd, Alessandro Cosimi, non ha brillato per dinamismo. Se lo chiedete ai livornesi ve lo racconteranno
in altri termini, molto più feroci. Eppure in quella città il
Partito comunista era nato. E
non fu assolutamente un caso
che la scissione si consumò lì,
al vecchio teatro San Marco:
Livorno non era rossa, era comunista più di ogni altra città.
Una festa dell’Unità d’altri tempi a Bologna Ansa
Anche negli anni di massima
espansione, anche quando i
portuali guadagnavano quanto gli ingegneri e lavoravano
la metà. Altri tempi. Oggi ansima. Nogarin si è trovato a
governare le briciole rimaste
dal passato. Ci mette del suo,
fino a oggi ha chiacchierato
molto e risolto poco, ma non
ha nessun tipo di opposizione. Il Pd a fare l’opposizione
della città che si erano tramandati di padre in figlio non
si sporca. Ricostruire vorrebbe dire scavare nuove fondamenta e lo sconforto della
sconfitta è ancora lontano.
LA SITUAZIONE non va me-
glio a Bologna. Il loro Nogarin c’è già stato, si chiamava
Giorgio Guazzaloca, ma i risultati delle primarie per il
governo della Regione non
sono confortanti. Sono andati
a votare l’86 per cento in meno delle passate consultazioni. E, come dice il professor
Romano Prodi, questo non
promette nulla di buono.
Tanto è che il vincitore assoluto, Stefano Bonaccini, consapevole di aver incassato una
vittoria alla buona, ha chiesto
aiuto allo sfidante, Roberto
Balzani. “Anche lui deve aiutarmi adesso, altrimenti gli
astenuti saranno più della
metà degli aventi diritto al voto”.
Piacerebbe sapere per colpa
di chi, visto che Bologna era
Bologna, rossa e papale, accogliente e godereccia, ferita,
ma capace di rialzarsi. Passato
11
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
quali ha patteggiato altri 8 mesi - nel giorno in
cui si trovava in malattia, è stato trovato, assieme ad altre due persone, in un deposito di
Este a caricare ferro su un camion. Si era smontato il ponte. Ora la Corte dei Conti ha chiesto al
militare due milioni di euro: 600 mila per il materiale sottratto, più altri 1,2 milioni per il danno
d’immagine.
PER LA GRAZIA
di
D. M.
Anche il Molleggiato
vuole Corona libero
C
aro Presidente Napolitano, mi scusi, se con
tutti i grattacapi che immagino lei abbia, anch’io mi accodo con una richiesta di grazia per Fabrizio Corona”. Adriano Celentano inizia così la
lettera che ha inviato al capo dello Stato. E così dopo
Paolo Bocedi, presidente dell’associazione antiracket Sos Italia Libera, anche il molleggiato si aggiunge alla lista di chi difende le ragioni dell’ex re dei paparazzi
che si trova in carcere da quasi due anni con la prospettiva si scontarne altri
sette per un complessivo di nove. Corona è recluso nel carcere di massima
sicurezza di Opera fianco a fianco con
i boss di mafia. “E come tale sembra
essere trattato”, aveva commentato
Bocedi sostenendo che da oltre un mese ha inviato la richiesta per visitare il
detenuto senza però ricevere risposta.
E ora tocca a Celentano, il quale nella
sua missiva scrive: “Corona non l’ho
mai conosciuto. E ogni volta, quando
lo vedevo e lo sentivo parlare, avvertivo come un qualcosa che spaccava in parti uguali
due sentimenti fra di loro contrastanti: da un lato
mi irritava la sua spavalderia, dall’altro avvertivo
un senso di profonda tenerezza”. Ieri il procuratore
generale di Milano ha chiesto la conferma della
condanna a un anno di carcere per Corona accusato
di omessa dichiarazione dei redditi.
remoto. Oggi il partito in provincia è in mano a Raffaele
Donini, uno della generazione post comunista. Non ha
battuto ciglio di fronte alla
mancanza della sua gente. Alla Bolognina, la sezione storica dove il partito smise di
essere comunista, la frattura
si era già consumata quando
Prodi venne tradito sulle scale
del Quirinale. La loro storia
finì già lì, il segretario si di-
mise, il resto è stata una resa al
renzismo dilagante. Consapevoli tutti che il partito
avrebbe decretato la propria
fine. “Accettammo di perdere
il comunismo, faremo a meno
anche di questa cosa strana
che si chiama Pd”, dicono.
“Ce l’aspettavamo. Quando il
Pd nacque i valori erano già
renziani prima che Renzi spegnesse le candeline: la sinistra
era già morta”.
REPLICA ALLE INTERCETTAZIONI
Mazzei: io e Matteo lontanissimi dalla massoneria
di Marco Lillo
torie ridicole, così l’imprenS
ditore Jacopo Mazzei definisce le frasi sul ‘rapporto mas-
sonico’ pronunciate dal costruttore Riccardo Fusi nel 2009
e sintetizzate dai Carabinieri nel
brogliaccio pubblicato ieri dal
Fatto.
Mazzei è davvero infuriato.
Raggiunto al telefono a Dubai
durante un viaggio di lavoro
sbotta: “Come si fa a parlare di
me come persona potenzialmente vicina alla massoneria?
Chi lo dice e lo scrive non ha capito minimamente di chi sta
parlando. La storia della mia famiglia parla da sola”. Il Fatto ieri
ha pubblicato la sintesi di una
conversazione del settembre
2009 tra Riccardo Fusi e Roberto Bartolomei, allora soci della
BTP, l’impresa di costruzione
fiorentina storica rivale del
gruppo dei fratelli Fratini, soci
di Jacopo Mazzei. I carabinieri
del Ros riassumono così la conversazione: “I due commentano
il fatto che i Fratini, attraverso
Mazzei, sono ben inseriti nel
Comune di Firenze ed hanno
un contatto diretto con Matteo
Renzi. Fusi continua dicendo
che detti legami sono forti di un
rapporto massonico”. Il sottosegretario Luca Lotti ha già replicato: “Renzi non ha nulla a
che fare con la massoneria e con
quella cultura. Tutto il resto è
chiacchiera”.
Mazzei insorge: “Sarebbe come
dire che io, tifoso viola dall’età
di due anni, sono un ultras della
Juventus. Non ho mai nemmeno minimamente avuto una vicinanza con quell’organizzazione. Mia zia era Fioretta Mazzei!”. I Mazzei sono quelli dell'antico casato, famoso per i vini, il castello e le parentele illustri. Il nonno omonimo, Jacopo
Mazzei, era preside della facoltà
di economia e collega di Giorgio La Pira. La figlia maggiore di
Jacopo senior, zia Fioretta Mazzei, era una stretta collaboratrice del ‘sindaco-santo’ ed è stata
consigliere comunale dal 1951
al 1995. Jacopo Mazzei è indignato per le parole del 2009 dette da Fusi a Bartolomei: “Sono
due persone in un momento di
difficoltà che parlano tanto per
raccontarne una. Quel mondo è
lontano da me mille miglia.
Renzi è l’unica persona che sta
cercando di fare il bene di questo paese - aggiunge Mazzei - e
non è giusto quello che scrivono
i giornali. Non ho mai respirato
un’aria di vicinanza alla massoneria nel mondo di Renzi. Matteo è cresciuto in un ambiente
impregnato di valori cattolici e
non è lontanamente accostabile
alla massoneria”. Il Fatto ha tentato di contattare anche Corrado Fratini, senza successo. Anche lui, secondo Mazzei, è lontano anni luce dalla massoneria.
Il Fatto ha sentito anche Alessio
La prima pagina del Fatto
Quotidiano di ieri dove in
un’intercettazione si parla di
Renzi e rapporti massonici
FAMIGLIA
CATTOLICA
L’amico del premier
si indigna: né io né
lui c’entriamo
assolutamente
nulla con quel mondo.
Mia zia era la persona più
vicina a Giorgio La Pira
Bonciani, ex cordinatoe del Pdl
a Firenze, passato all’Udc nel
2011 sbattendo la porta, citato
in un’altra intercettazione: l’imprenditore del settore affissioni
pubblicitarie, Riccardo Martellini (cognato di Fusi), parla con
Denis Verdini il 10 aprile del
2009, nel pieno della campagna
elettorale per l’elezione di Renzi
a sindaco. “Riccardo Fusi - è la
sintesi dei Carabinieri - passa il
telefono a Denis Verdini che
parla con Martellini che lo incoraggia per Firenze e poi parlano di un preventivo fatto da
Martellini che dice di aver parlato della cosa con Bonciani che
si doveva appunto incontrare
con lo stesso Verdini. Martellini
dice di avere altre cose che voleva Renzi ma che lui non gli ha
dato; Verdini chiede se ne ha
parlato con gli altri ma Martellini risponde che ne voleva parlare prima con lui. Verdini poi
dice che si deve incontrare con
quelle persone e che quindi lo
chiama quando sarà con loro”.
Secondo Luca Lotti si parla di
spazi pubblicitari: il comitato di
Renzi li aveva chiesti a Martellini. E il cognato di Fusi si fa bello con Verdini chiedendo il permesso di fare pubblicità al candidato rivale.
“Si intravede in questa intercettazione un'intelligenza con il rivale”, dice Bonciani al Fatto,
“che non dovrebbe esistere. Sono incuriosito dalla telefonata
pubblicata dal Fatto ma non ho
davvero idea di chi fossero quelli che dovevano incontrarsi con
Verdini per decidere sulle cose
di Renzi. Se avessi saputo una
cosa del genere non avrei aspettato il 2011 a sbattere la porta. Io
ho sentito Martellini solo per i
preventivi degli spazi. Se fossi
stato uno di quelli ammessi a
quella riunione forse sarei ancora in Parlamento. Sicuramente la lettura che si dà oggi di
questa frase è ben diversa da
quella che si poteva dare nel
2009. Oggi il sospetto che Renzi
e Verdini fossero amici da prima del Patto del Nazareno è legittimo”.
12
ALTRI MONDI
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
Pianeta terra
il Fatto Quotidiano
SIERRA LEONE EBOLA, CUBA INVIA MEDICI
Il governo di L’Avana ha disposto l’invio in Sierra
Leone di 162 medici esperti per fronteggiare
l’epidemia di Ebola nel Paese africano. “L’epidemia è il peggior disastro cui ho mai assistito” ha
detto Anthony Banbury, capo della missione
Onu. In Texas sono 100 le persone a rischio. Ansa
SUDAFRICA DALAI LAMA, VISTO NEGATO: SALTA VERTICE
L’incontro mondiale dei premi Nobel per la pace che si sarebbe
dovuto tenere a Città del Capo dal 13 al 15 ottobre prossimi è stato cancellato per protesta dopo che il governo sudafricano ha deciso di non concedere il visto di ingresso al Dalai Lama. LaPresse
Leung, da lupo cattivo
a pupazzo di peluche
Pechino
Manifestanti davanti al palazzo del governatore di Hong Kong. Sotto, il leader studentesco Joshua Wong. A destra, Leung Chun-ying LaPresse/Ansa
HONG KONG IL GOVERNATORE RESISTE
ALL’ASSEDIO DI OCCUPY CENTRAL
IL RAPPRESENTANTE DI PECHINO: “NON MI DIMETTO”. POI AFFIDA IL DIALOGO AL VICE
di Cecilia
Attanasio Ghezzi
Q
Pechino
uinto giorno di
Occupy Central, il
giorno dell’ultimatum degli studenti: o Leung si dimette, o
occupiamo gli uffici governativi. Dall’altra parte la questione è vista come “uno scarso numero di persone che per
interessi personali hanno
ignorato la legge, paralizzato
i trasporti, interrotto gli affari e incitato al conflitto”.
Nel pomeriggio di ieri il governatore di Hong Kong
Leung Chun-ying lo ha detto
a chiare lettere: “Non mi dimetto”. La folla dei manifestanti ha cominciato a spostarsi ad Admiralty, il quartiere degli uffici governativi,
per impedire alla polizia di
circondarli. Ci sono stati momenti di tensione quando la
piazza ha capito che la polizia
stava trasportando casse di
lacrimogeni, manganelli e
proiettili di gomma all’interno dei palazzi. Verso sera la
polizia di Hong Kong ha diramato un comunicato in cui
invitava i manifestanti a sciogliere le manifestazioni in
maniera pacifica, cosicché le
attività lavorative potessero
riprendere senza ulteriori disagi.
TREMILA FUNZIONARI de-
vono tornare al lavoro ed “è
responsabilità del governo
proteggerli e permettergli di
riprendere le normali operazioni”. Per questo “il governo
e la polizia chiedono di sospendere tutte le attività di
occupazione immediatamente”.
Per tutta risposta Benny Tai,
Joshua Wong e Alex Chow
hanno tenuto comizi invitan-
IL PICCOLO CAPO
Wong, 17 anni, invita
i manifestanti a non
combattere la polizia:
“Questa è una guerra
per avere il supporto
dell’opinione pubblica”
do i sostenitori a rimanere
uniti e a prepararsi per una
lunga battaglia; hanno anche
chiesto a vecchi e bambini di
rimanere lontano dalla zona
degli edifici governativi. E
hanno dichiarato che la collaborazione tra i tre gruppi
che coordinano si sarebbe
rafforzata. Poi hanno spento i
microfoni. Il cerino torna
nelle mani del governatore
Leung, che convoca una con-
ferenza stampa, la prima da
quando sono iniziate le proteste. A mezz’ora dallo scadere dell’ultimatum di fronte
ai media e agli studenti ribadisce che non si dimetterà e
che non tollererà l’occupazione di edifici pubblici. L’unica
novità è che apre la porta al
dialogo: il numero due del
governo, Carrie Lam, è disposto a incontrare gli studenti.
Ma non si specifica nessuna
LEUNG CHUN-YING, il lupo. Un personaggio scaltro e segnato dalla sua mancanza di integrità. L’uomo che adesso è
stretto tra le manifestazioni a favore della democrazia che
hanno bloccato la sua città e il regime autoritario di Pechino
non è mai stato particolarmente amato. Figlio di un poliziotto, ha studiato in Gran Bretagna e ha lavorato nell’immobiliare. Poi si è arricchito. Negli anni Ottanta ha aiutato la
classe dirigente cinese ad aprirsi al mercato, specie quello
della vendita di immobili. Come perito ha lavorato a Singapore, a Shenzhen e a Tianjin divenendo consulente onorario per le riforme della terra a Shanghai. E sin da quando è
entrato in politica a Hong Kong è stato accusato di stravolgere il mercato immobiliare a favore delle classi più abbienti. E nonostante questo di essere filo Pechino. Una delle
frasi che gli è stata più spesso rinfacciata è stata a proposito
del Nobel per la pace a Liu Xiaobo. Leung rispose candidamente che “avrebbero dovuto darlo a
Deng Xiaoping”, l’architetto della nuova
Cina.
Da allora è stato chiaro che era più fedele a
Pechino che alla sua stessa città. Ma questo non gli ha impedito di vincere l’ultima
campagna elettorale a colpi di scandali. Secondo molti, l’appoggio che avrebbe ricevuto dalla Cina continentale gli sarebbe
valso molto più del suo carisma personale.
Si è insediato quindi il primo luglio 2012,
rompendo una tradizione. Ha pronunciato
il discorso che inaugurava la sua legislatura in cinese, e non
in cantonese, la lingua locale. Da allora non ne ha fatta una
giusta. Addirittura lo scorso inverno due attivisti gli hanno
tirato Lufsig, un lupo di peluche Ikea che da allora è diventato
uno dei simboli delle proteste democratiche. Il pupazzo è
tutto esaurito nel grande magazzino svedese. E ora, sembrerebbe, nemmeno Xi Jinping è contento di lui. Certo, Pechino non può permettere che cinque giorni di manifestazioni portino alle dimissioni di un suo funzionario. Leung
deve tenere duro e risolvere questa situazione. Ma la responsabilità principale di ogni funzionario cinese è quella di
mantenere l’ordine, la famosa “società armoniosa”. E in questo Leung ha oggettivamente fallito.
C.A.G.
data. Intanto fuori dal suo palazzo l’atmosfera si fa incandescente.
Joshua Wong, il leader diciassettenne sale su una scaletta e
invita i manifestanti a non
combattere la polizia. “Questa è una guerra per avere il
supporto dell’opinione pubblica – incalza Wong – Dobbiamo mostrare a Leung che
abbiamo le masse dalla nostra
parte”. Intanto diversi gruppi
si staccano nel tentativo di
occupare le strade, qualcuno
cade nella mischia e si grida al
ferito. Le fazioni litigano sul
da farsi. Gli studenti formano
dei cordoni umani per evitare
incidenti. E a complicare il
tutto c’è il circo mediatico,
che in alcuni casi sembra più
numeroso degli stessi manifestanti. Il grosso degli studenti comunque sembra voler restare in piazza.
il Fatto Quotidiano
ALTRI MONDI
FRANCIA PARTO CON ANESTESISTA UBRIACA
L’anestesista che si era occupata del parto cesareo
di una donna, deceduta subito dopo l’intervento,
era ubriaca: ha ammesso i suoi problemi di alcolismo. L’operatrice medica è in stato di fermo e rischia 5 anni di carcere; il reparto maternità
dell’ospedale di Orthez è stato chiuso. LaPresse
REGNO UNITO STALKING SUL PRINCIPINO
William e Kate hanno minacciato di citare in
giudizio per stalking un fotografo a loro dire colpevole di aver violato la privacy del figlio George. L’uomo era stato visto la scorsa settimana
mentre seguiva da vicino il piccolo, la tata e la
scorta reale in un parco di Londra. LaPresse
MAMMA LI TURCHI, STRANI
ALLEATI DEI CURDI CONTRO L’ISIS
ANKARA DÀ L’OK ALL’INGRESSO IN SIRIA DELLE TRUPPE PER DIFENDERE LE CITTÀ
DELLA MINORANZA ETNICA DOPO L’ULTIMATUM DEL LEADER INCARCERATO OCALAN
circa 40 carri armati schierati
sul confine con la Siria, potranno dunque ricevere presto l’ordine di entrare in territorio siriano per creare una zona cuscinetto per i profughi e aiutare i
ribelli siriani islamici moderati
e i siriani laici a difendersi
dall’Isis ma anche dai soldati del
presidente-dittatore Assad, colui che il “sultano” ha eletto a
suo nemico numero uno. I partiti laici all’opposizione, tra i
quali il pro curdo Hdp, hanno
però votato contro perché sostengono che in realtà lo scopo
del “sultano” non sia dichiarare
guerra all’Isis bensì ad Assad e
difendere un baluardo religioso
ottomano in terra siriana: la
tomba di Suleiman Shah, nei
pressi di Aleppo, minacciata
dall’Isis e difesa con sempre
maggiori difficoltà dai soldati
turchi.
Ma la decisione di Ankara dipende anche dall’imminente
caduta della città curdo-siriana
di Kobane, a soli 500 metri dal
confine turco. Se l’Isis riuscirà a
conquistarla , il leader del partito dei lavoratori curdo, Pkk,
Abdullah Ocalan ha annunciato
- dalla prigione sull’isola di
Imrali dove sta scontando l’ergastolo e allo stesso tempo conducendo le trattative con il governo turco per arrivare a stipulare un accordo di pace dopo 30
anni di sanguinosa guerriglia –
che i negoziati salteranno. La
mozione non prevede l’ingresso
dei soldati turchi nella zona si-
Il personaggio
José Vargas, reporter
Io clandestino,
gay e Pulitzer
ho vinto l’America
Ferrara
I
I DIECIMILA SOLDATI turchi e i
13
di Alessio Schiesari
di Roberta Zunini
primi scarponi sul terreno siriano saranno
molto probabilmente
quelli dei soldati turchi.
Grazie alla maggioranza parlamentare costituita dal suo partito, l’islamico Akp, e ai voti favorevoli dei lupi, i nazionalisti
di destra del Mhp, il presidente
bifronte Tayyip Erdogan, potrà
d’ora in poi smentire i suoi detrattori locali e stranieri che lo
accusano di ambiguità, se non
complicità con i jihadisti
dell’Isis. Il Parlamento turco ha
approvato a porte chiuse una
mozione che autorizza il governo a inviare le forze armate in
Siria e a ad accogliere le truppe
di paesi alleati sul territorio turco, oltre a permettere l’uso della
base Nato per lanciare raid contro i terroristi del Califfo nero in
Siria e Iraq. La mozione, approvata con una valanga di voti dopo un aspro dibattito, si tradurrà in un maggiore coinvolgimento della Turchia nelle operazioni della coalizione internazionale guidata dagli Stati
Uniti contro i jihadisti dello
Stato islamico e di altri gruppi
estremisti attivi in Siria e in
Iraq.
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
il clandestino che vinse il Pulitzer. José Antonio Vargas a 27
È
anni ha conquistato il massimo riconoscimento mondiale
per un giornalista. Tre anni dopo, ha deciso di dire all’America la
verità: dall’età di 12 anni vive negli Usa da immigrato irregolare
grazie a un passaporto contraffatto. La sua storia, raccontata nel
documentario Undocumented (proiettato oggi alla kermesse di
Internazionale a Ferrara), è
la storia di altri 11 milioni di
americani. Lavorano, pagano le tasse e si sentono statunitensi. Ma non hanno un
documento che lo attesti.
Perché hai deciso di passare
dall’altro lato della notizia?
Carri armati turchi al confine con la Siria LaPresse
CONTRADDIZIONI
Istanbul potrebbe
essere la prima città
a ospitare un consolato
dello Stato Islamico
che lo utilizzerebbe
per gli arruolamenti
riana abitata dai curdi e difesa
dai peshmerga, però non esclude l’entrata di quelli dei paesi
della coalizione internazionale.
Del resto è ormai chiaro che i
jihadisti si sono dimostrati in
grado di aggirare con successo
la pioggia di bombe nascondendosi tra le abitazioni e spostandosi con mezzi leggeri. Come
insegna la guerriglia.
La matassa rimane quindi difficile da dipanare, ma non era
più possibile per la Turchia
mantenere la sua ambiguità, anche per il suo ruolo di storico
membro Nato. Per Erdogan le
accuse dei partiti di opposizione
a proposito della sua simpatia,
seppur strumentale in chiave
anti Assad, nei confronti dei
gruppi estremisti islamici (che
hanno usufruito senza ostacoli
del confine turco per entrare in
Siria) non erano più smentibili.
E l’annuncio via twitter di ieri da
parte del responsabile per le relazioni con l’estero dell’Isis, Abu
Omar al Tunisi, circa “l’apertura del primo consolato diplomatico a Istanbul, perché è la
città più importante di un paese
amico”, ha messo l'uomo forte
della Turchia in una posizione
ancora più difficile da sostenere
di fronte al mondo. Secondo il
quotidiano turco Aydinlik, la
struttura fornirebbe servizi
consolari per quanti vogliono
unirsi all’Is. Inoltre, raccoglierebbe denaro da inviare ai miliziani e pagherebbe le cure mediche agli estremisti islamici rimasti feriti. Tutti peraltro sanno
che molti sono ricoverati proprio negli ospedali di Istanbul.
L’espressione inglese che mi
ha sempre spaventato è “Me,
myself and I”, (me, io e me
stesso). Oggi, sono ancora
un giornalista, ma con la mia
storia son riuscito a raccontarne altre 11 milioni.
José Antonio Vargas LaPresse
A luglio la polizia ti ha arrestato in quanto irregolare. Come vivi oggi?
Aspettando i documenti, come altri 11 milioni di persone. Credo
che il problema principale sia superare le strumentalizzazioni
politiche: quando la gente parla di immigrazione, spesso non sa
di cosa parla. È così negli Usa. E credo anche in Italia.
Nel documentario spieghi che il tuo obiettivo è “ridefinire il significato di America e di americano”.
L’America è qualcosa che ci si guadagna, almeno per chi, come
me, non ha avuto il privilegio di nascere lì. Ma è sempre stato
così: riuscite a immaginare gli Usa senza Martin Scorsese o Al
Pacino? Io no. Siamo un Paese che si reinventa di continuo, che
cambia. È questo che ci rende unici.
I tuoi genitori avevano progettato per te un matrimonio con
un’americana per i documenti. Poi gli ha detto che sei gay. C’è differenza nel lottare per i diritti Lgbt e quelli dei migranti?
Negli Usa, ottobre è il mese del coming out. Ora anche i clan-
destini stanno iniziando a uscire allo scoperto. Non c’è differenza: fare coming out significa imparare ad accettarci per quel
che siamo.
MINIMA SICUREZZA
La poca intelligence degli 007 di Obama
di Giampiero
Gramaglia
lista dei presidenti Usa ‘traditi’, almeno nella fiducia,
dalle loro agenzie più o meno segrete è lunga: gli ultimi
tre, Clinton, Bush jr e Obama, fanno filotto, con un
susseguirsi di avvicendamenti al vertice, riforme, accorpamenti e smembramenti.
Va pure detto che ogni me-
daglia ha il suo rovescio. Ci
sono le ‘magre’ che, a cavallo
del Millennio, portarono a
sottovalutare al Qaeda e la
sua minaccia, da Nairobi
1998 alle Torri Gemelle
2001; e ci sono i successi, come l’eliminazione di bin Laden il 1° maggio 2010. Ci sono connivenze al di là dei
confini della legalità, come le
false prove delle armi di distruzione di massa di Saddam Hussein, per giustificare l’invasione dell’Iraq nel
2003; e gli errori che met-
Obama con il Secret Service Ansa
POCA FIDUCIA
Le dimissioni di Lady
Secret Service per le falle
alla Casa Bianca rivelano
la difficoltà dei rapporti
tra il presidente e le
agenzie di spionaggio
on i servizi di sicurezza,
C
e d’intelligence, Obama
non ci prende proprio. Ma la
tono a repentaglio la sicurezza della Casa Bianca, senza
intenzione alcuna, per palese
inadeguatezza. Com’è probabilmente il caso di Julia
Pierson, il direttore del Secret Service, che mercoledì
ha dato le dimissioni, dopo
essersi resa conto – ha spiegato – di non godere più della fiducia del Congresso, e
probabilmente neppure del
presidente. Che pure l’ha
ringraziata per il lavoro svolto. Del resto, l’aveva scelta
lui; e non poteva mettere
troppo in evidenza che aveva
fatto una scelta sbagliata.
Magari per il gusto di nominare una donna, la prima in
quel ruolo.
Al Secret Service, è affidata la
sicurezza del presidente e
della sua famiglia. I suoi
agenti non hanno la popolarità televisiva di quelli
dell’Fbi o di altre agenzie
dell’intelligence americana.
Ma erano del Secret Service
gli uomini che balzarono
sull’auto di Kennedy dopo
gli spari fatali a Dallas –pure
lì, una falla nella sicurezza:
l’auto scoperta fu una leggerezza imperdonabile-; ed è
del Secret Service l’agente
che resta fino all’ultimo con
Harrison Ford sull’AirForceOne dell’omonimo film,
peccato fosse un traditore, lì
per ammazzarlo e non per
salvarlo. Julia Pierson era capo del Secret Service solo
l’anno scorso, dopo una serie
di incidenti di percorso inquietanti. L’ultimo, e forse
più clamoroso, nell’aprile
2012, quando 11 agenti, che
preparavano una visita di
Obama a Cartagena, in Colombia, si portarono in albergo delle prostitute.
LA PIERSON non fu la prima
scelta, quando, 18 mesi or sono, si trattò di sostituire
Mark Sullivan, che andava in
pensione. Il posto doveva andare a David O’Connor, un
patito del rispetto delle rego-
le, che aveva però lasciato il
servizio per un posto meglio
retribuito nel settore privato
e non tornò indietro.
Così, toccò alla Pierson, una
veterana, con trent’anni di
buon servizio. Ma le grane
sono fioccate: prima, la piazzata di un agente esperto in
un hotel che dà sulla casa
Bianca; poi, tre agenti rispediti indietro dall’Olanda, dopo che uno di loro venne trovato ubriaco fradicio per
strada; e pochi giorni fa, un
uomo armato con la fedina
penale sporca sale in ascensore con il presidente ad
Atlanta. Ma l’episodio che
costa il posto alla Pierson è
l’ultimo: il 19 settembre, tale
Omar Gonzalez, 42 anni, armato di coltello, scavalca la
recinzione della Casa Bianca
e vi entra, trovando la porta
aperta. Non proprio il massimo della sicurezza, nell’era
della guerra al terrorismo e
delle minacce del Califfato.
Twitter: @ggramaglia
14
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
SCAMBIATO PER DISEGNO RAZZISTA
RIMOSSO MURALES DI BANKSY
Nessuno ha capito che fosse un’opera d’arte e,
considerandola razzista, è stata fatta
rimuovere. Un murales di Banksy è così
sparito da Clacton-on-Sea, in Gran Bretagna
NESTA TWITTA: “HO TIFATO ROMA
E JUVE”. LAZIALI FURIOSI
DL STADI, VIA LIBERA CON FIDUCIA
ASSEMBLEA STRAORDINARIA DI CLUB
“Ieri sono riuscito a fare il tifo per la Roma oggi
si tifa Juve. Non mi riconosco più. Forza
Italia”. Così ha twittato l’ex bandiera
biancoceleste. I tifosi non hanno affatto gradito
Via libera della Camera (dopo voto di fiducia)
al dl sulla violenza negli stadi. I club dovranno
pagare 25 milioni l’anno per gli straordinari
della polizia. Assemblea di Lega A il 10 ottobre
SECONDO
TEMPO
SPETTACOLI.SPORT.IDEE
Opera, cacciati con un tweet
LICENZIAMENTO COLLETTIVO DOPO L’ADDIO DI MUTI. L’ANNUNCIO DEL MINISTRO FRANCESCHINI, POI IL “DOLORE” DI MARINO
T
di Emiliano Liuzzi
corso una strategia di smantellamento
delle istituzioni culturali del nostro
Paese”.
Dal punto di vista ufficiale, l’addio di
Muti è tutta colpa della sua orchestra e
non del ministro, del sindaco e del soprintendente. Una versione parziale.
Anche perché Muti non lo ha mai detto. Ha semplicemente parlato di quella
mancanza di tranquillità che lo aveva
spinto ad accettare l’onere, più che
l’onore, di dirigere il teatro. La situautti a casa. 182 persone. Con un tweet zione finanziaria, del resto, è sempre
firmato dal ministro dei Beni culturali stata precaria: Roma, al contrario di
Dario Franceschini: “Mi aspetto una Milano, non ha sponsor, al confronto è
scelta coraggiosa e di svolta”. In tempi la sotto provincia. Marino e Fuortes,
di renzismi era chiaro che volesse dire insieme al ministero azionisti
licenziamento. E nell’aria c’era da gior- dell’Opera, dicono che l'esternalizzani. Almeno da quando il maestro Ric- zione degli orchestrali è un balzo nel
cardo Muti ha annunciato il suo ritiro e futuro, “inusuale per l’Italia, normale a
la rinuncia a dirigere l’orchestra. Ieri il Vienna e Berlino”. Sicuramente la lisindaco Ignazio Marino e il soprinten- rica, grande vanto del Paese che voleva
dente Carlo Fuortes hanno ufficializ- esportare la Cultura, inizia il passo che
zato il licenziamento collettivo di or- la porterà verso una morte quasi certa.
chestrali e coristi dell'Opera di Roma. Sull’orlo della bancarotta ci sono il San
Con o senza articolo 18. Tutti a casa. E Carlo di Napoli, il Regio di Parma, i
soprattutto marchiati per essere i re- teatri di Genova e Bari. Tutti, salvo posponsabili della rinuncia di Muti, fiam- che eccezioni come Venezia e Milano.
mifero che nessuno voleva avere in E l’addio di Muti, più che uno schiaffo
mano. Sotto choc i sindacati che hanno alla “sua” orchestra, si trasformerà in
un boomerang per il
affidato poche parole
governo che, spesso
al segretario della Cgil
e volentieri, parla di
del settore, Massimo
LIRICA DA CRAC
cultura. Molto più
Cestaro: “Nella ignofacile esportare coranza dilagante su coDuecento musicisti
me cultura le mozme funziona un teatro
zarelle di Eataly che
d’Opera ci sarà ancora
senza lavoro. La Cgil:
l’Aida.
qualcuno che proverà
“È in corso una strategia
a sostenere che questa
LA LINEA DURA ha
sarebbe una buona
di smantellamento
visto nell'uomo al
strada per rivitalizzare
il teatro. Altri diranno
delle istituzioni culturali comando quell’oggetto misterioso che
che questa è una scelta
del nostro Paese”
è il sindaco Marino,
sofferta. La verità è in
Il Teatro dell’Opera di Roma LaPresse
lo stesso che aveva fatto carte false per i
Rolling Stones al Circo Massimo, anche
a un prezzo simbolico. “Questo è l’unico percorso che può portare a una vera
rinascita dell'Opera”, dice. “Quindi il
cda ha approvato esternalizzazione di
orchestra e coro del Teatro dell'Opera
votando la procedura di licenziamento
collettivo”. E ancora: “Al momento
non abbiamo immaginato di cancellare
l'Aida del 27 novembre. Se ci saranno le
condizioni ci attiveremo per ricercare
un direttore da individuare entro la prima settimana di novembre, altrimenti
non ci sarà l’Aida”. Letta così sembra
che l’Aida sia già cancellata, ma non resta che credergli. Per non piangere. E a
chiudere la famosa responsabilità per
l’addio di Muti che qualcuno, in questo
caso i licenziati e il maestro stesso, doveva pur prendersi: “Il doloroso e recente messaggio del maestro Muti ha
determinato la frenata degli abbonamenti e la fuga degli sponsor. A questo
Il “teen idol” ha la strada segnata
LA “SVOLTA” DEI TOKIO HOTEL, DA EX BOY BAND TEDESCA PER RAGAZZINI A UN DISCO HOT TRA ORGE E MUSICA TREMENDA
di Valerio
Venturi
Europa è condizionata dalla
L’
guida teutonica. Frau Merkel
domina in condizione di vantag-
gio ed esporta. C’è un settore in
cui però la volontà di potenza tedesca non riesce a offrire i risultati
sperati: la musica leggera. Il kraut
pop a volte fa ancora male alla salute (mentale), e a parte qualche
guizzo oltre cortina si sfocia – volenti o nolenti, irrimediabilmente
– nella categoria del pacchiano. Il
botto lo fecero qualche anno fa i
Tokio Hotel, band animata da due
fratelli detti incestuosi dai maligni
gossippari, innamorati di metal e
manga. Le ragazzine si sbranavano per sentirli, e oggettivamente
avevano un perché – perché lo fai?
– Perché sì.
Ora i giovani tornano, a dieci anni
dal singolo Monsoon, con un nuovo album dal sapore nuovo. Il disco si intitolerà Kings of Suburbia e
sarà nei negozi tradizionali e digitali dal 7 ottobre. Preordini su
iTunes? Una marea.
“Kings Of Suburbia – racconta il
cantante e leader carismatico Bill
Kaulitz – è una emozione che può
significare tutto o nulla allo stesso
tempo. Può essere la colonna sonora perfetta del tuo universo,
non importa quanto grande o piccolo sia”. Insomma, una perfetta
supercazzola.
TIMORE di toppare il secondo al-
bum, che secondo Caparezza è
sempre quello più difficile? Dopo
7 milioni di copie vendute nel
mondo, 160 dischi d’oro e 63 dischi di Platino in 68 paesi e oltre
100 premi nazionali e internazio-
nali c’è da capirli. I gemelli Bill e
Tom Kaulitz, ora 25enni, partono
con un passo falsissimo. Il singolo
Love who loves you back ha una cover che fa angoscia: una mano
femminile sopra un mouse dalla
triste e chiara somiglianza con una
vulva: di tutto gusto haute couture.
Nel video, spiegano dalla label, è
filmata una vera e propria orgia
(vera? chissà...) che vede coinvolto
in prima persona anche il tanto
chiacchierato frontman Bill Kaulitz. Slinguaccia qua e là, esibendo
una pettinatura che ricorda il Bruno di Sasha Baron Cohen. La musica? Terribile. Le pose? Da Terence Trent D’Arby a quelle delle
eroine del pop-battonesco lanciato dalla Britney Spears di I’m slave
for you.
Scandalo apparente, pochi contenuti, e il solito vizietto tedesco: la
Bill Kaulitz, leader dei Tokio Hotel Ansa
caduta nell’inferno del kitsch. Detto ciò, non è detto che l’album non
funzionerà, anzi. Ma è un peccato
sentire, come aperitivo, un pezzo
banale che ha perso tutte le caratterizzanti che la teen-band, emo
e originale, aveva.
In tutti i casi Frau Merkel sopravviverà: il marco continua a favorire il mercato, sull’influenza culturale ci si lavorerà.
punto ci troviamo in una situazione di
risanamento avviato, ma con una differenza di entrate che può essere calcolata in 4,2 milioni. Gli altri soci fondatori, ovvero il ministro Franceschini
e il governatore Zingaretti, hanno
ascoltato dalla mia voce i possibili percorsi che avevamo davanti. Potevamo
tentare un rattoppo temporaneo senza
ambizioni di rinascita, potevamo procedere alla chiusura o, infine, adottare
una strategia che puntava a una vera rinascita e la dolorosa strada del licenziamento collettivo”.
Più matematica la posizione del soprintendente. “Il risparmio che noi prevediamo da questa procedura di esternalizzazione è di 3,4 milioni”, spiega
Fuortes. “Non ci sono stati corpi artistici a favore o contro. La gran parte del
teatro è a favore del piano. Non c'è alcuna intenzione ritorsiva. L'unico elemento è una valutazione sulla funzionalità. Orchestra e coro valgono insieme 12,5 milioni in un anno”. Franceschini ricalca le parole di Marino, risparmia Muti, ma se la prende con i
musicisti: “L’esternalizzazione di coro e
orchestra decisa dal cda è un passaggio
doloroso, ma necessario. La situazione
era diventata insostenibile”.
NON SPIEGA perché, il ministro, la si-
tuazione fosse diventata drammatica.
In realtà c’era da tempo un problema
molto serio con i conti, passivi, che nel
tempo erano stati tenuti all’oscuro dello stesso cda. E la prova per risorgere era
stata proprio la chiamata a Roma di
Riccardo Muti, voluta e incoraggiata da
Bruno Vespa che ha sempre avuto con
Muti un rapporto di amicizia. Il castello
di carta alla fine è crollato.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
Andreas Brehme e gli altri:
quando cadono gli dei del pallone
L’EX CAMPIONE DEL MONDO, PILASTRO DELL’INTER DI TRAPATTONI, RIDOTTO IN POVERTÀ, COSTRETTO
A PULIRE I BAGNI (GRAZIE A BECKENBAUER). STORIE DI STELLE, METEORE E DI PATRIMONI DILAPIDATI
di Malcom
A
L’ORIZZONTE cambia, i tem-
15
BALO Tifosi contro:
“Sei Spazzatura”
di Luca Pisapia
la somma di tutte le nefandezze del
È
Liverpool, sempre a terra, sempre a lamentarsi con l’arbitro”. Parole pesanti, di
Graeme Souness, uno che negli Anni 70 e
80 col Liverpool ha vinto tre campionati e
altrettante Coppe dei Campioni, pronunciate all’indomani della sconfitta dei Reds a
Basilea. La quarta in nove partite. Nel mirino di Souness, of course, Mario Balotelli.
Appena arrivato a Liverpool dopo un tragicomico Mondiale, dove fu trasformato
nel capro espiatorio della disfatta azzurra,
era stato accolto alla grande: il primo giorno vendute ben ottocento maglie rosse con
il suo nome e il numero 45. Ma sostituire
Luis Suarez non è facile, e a distanza di poco
più di un mese anche il tecnico Brendan
Rodgers ha dovuto ammetterlo: i due non
sono paragonabili, e la squadra ne risente.
Balotelli dal canto suo nulla ha fatto per
rimanere fuori dai riflettori. Se il gossip sulle notti calienti è ingerenza dei tabloid, il
tweet in cui sbeffeggiava il Manchester
United sconfitto a Leicester, il giorno dopo
che lo stesso Liverpool aveva perso col West Ham, se lo poteva risparmiare. Diversi
mammasantissima del calcio britannico
non l’hanno presa bene, e hanno atteso un
suo passo falso per scatenarsi. Un solo gol
Pagani
lla fine, al prode
Andreas rimasto
senza un soldo,
han proposto di
lavare i cessi. Nella prima vita
di “motoretta” Brehme, quella degli scudetti e dei rigori
utili ad alzare la Coppa del
Mondo davanti a un Maradona furibondo, nessun ex
collega di turno, nessun Oliver Straube si sarebbe permesso di rispondere all’appello di Franz Beckenbauer
(“dobbiamo aiutare Brehme,
abbiamo il dovere di restituirgli qualcosa di ciò che ha
dato al calcio tedesco”) offrendo un lavoro al reprobo
con la scusa di fargli la morale: “Siamo disposti a impiegare Brehme nella nostra impresa di pulizie. Potrà lavare i
bagni e sanitari così si renderà conto davvero cosa significa lavorare e qual è la vera vita”.
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
Andreas Breheme, 54 anni, con la coppa di Germania vinta con il Kaiserslautern nel 1996 LaPresse
Brehme, senza un mestiere
stabile dal 2006, è aver depauperato ogni cosa. Soldi, gloria
e rispetto per se stesso. Da
Garrincha a Gascoigne, accadde a stuoli di campioni. Il terzino che spazzava l’area di
una splendida Inter trapattoniana lasciando la polvere di
stelle agli avversari, è solo l’ultima meteora di una lunga serie di calciatori incapace di
venire a patti col destino. Storie di tutti i tipi. Derive mistiche come quelle di Totò Rondon e Taribo
West e in mancanza di misericordia, ravvedimento o peggio pentimento, finali di partita
simili. C’è chi come Jorge Cadete, ex nazionale
portoghese ed ex idolo del Celtic Glasgow
transitato anche nel Brescia, si mette in mano
ai mediatori finanziari, perde tutto ed è costretto a sopravvivere con il sussidio di povertà: “Dei 4 milioni di euro guadagnati in
carriera non ho più niente. Ho investito, ma
non è andata bene. Avevo attorno a me gente
che non ha agito onestamente. Nel momento
in cui smetti di giocare, tutto cambia: gli agenti
smettono di chiamarti, non sei più nessuno. A
volte sento ex atleti che dicono di avere un
sacco di amici nel calcio: è una bugia, quando
PARABOLE
Tavola, ex Juve, consegna
i giornali. Macellari,
ex Inter, canta a tempo
perso e fa il taglialegna
Bergamaschi, ex Milan,
fu casellante sulla A4
porali arrivano e nel fango del
dio pallone impantanarsi è facile. C’è chi si sporca le mani e
tira avanti reinventandosi e
chi affonda nelle sabbie mobili. Roberto Tavola, ex centrocampista della Juventus,
consegna i giornali a edicole e
supermercati osservando l’alba. Un altro Dimas passato
nella Torino recentemente scudettata, Manuel, vende fiori. Fabio Macellari, ex Inter,
canta a tempo perso e fa il taglialegna Franco
Bergamaschi, ex Verona e Milan, diede il resto
come casellante sulla A4 e un Kovacic meno
fortunato del coevo assunto da Erik Thohir,
un altro croato già assunto a suo tempo da
Gino Corioni per illuminare il Brescia, zappa
terra a due passi da casa.
Per altri, quelli che al fischio finale, svuotato lo
stadio da adoratori e questuanti, a fare i conti
con la nuova condizione non ce l’hanno fatta,
infortuni, depressione, droga, alcool, marginalità, lutti sofferti e tanti suicidi come quello
dei due portieri tedeschi, Enke e Biermann. Il
delitto di un altro ex ragazzo di Germania
lasci, nessuno vuole più saperne di te”. E c’è
chi come Maurizio Schillaci, una quarantina di
presenze in serie B, Zdenek Zeman come allenatore: “Mi adorava”, da anni ancheggia ai
bordi di Palermo dormendo dove capita, di
preferenza alla Stazione. Schillaci (cugino del
diavolo di Italia ’90, in una famiglia senza pace
che ieri al Cep, in una sparatoria, ha visto tra i
feriti anche la zia di Totò) era forte.
GLI FECERO male in campo. Lo curarono peg-
gio fuori. Maurizio provava a ripartire e regolarmente si fermava. “’U malato immaginario”, inseguito dalle cattiverie, si perse definitivamente dopo una cessione alla Juve Stabia. Cocaina. Eroina. A Siciliainformazioni.com,
nel 2013, raccontò senza filtri la discesa
nell’abisso: “Il mio declino è stato velocissimo
e ora mi ritrovo per strada. Come si vive? La
prendo quasi a ridere, mi diverto, sdrammatizzo, cerco di farcela”. Schillaci, Cadete e gli
ex imperatori decaduti. Ieri come oggi. Adriano costretto a mettere in vendita la sua villa nel
2014 è parente stretto del George Best in bianco e nero che sperpera e poi ad un tratto muore. Al sosia dell’attore Woody Harrelson, Andreas Brehme, difensore che nell’attacco ritrovava il suo cinema preferito, resta ancora
l’ultimo spettacolo. Prima che si spengano le
luci. Prima che sia notte.
in sette partite non ha aiutato, e così dopo il
derby giocato male e pareggiato con l’Everton, preceduto tra l’altro da una foto da lui
postata sui social in cui aspirava un pallone
pieno di Elio, eccolo diventare il primo colpevole della rovinosa stagione dei Reds
(“Garbage”, spazzatura, è uno dei aggettivi
più eleganti ricevuti via Twitter). E di nuovo, sempre lui a cercarsele. Se i tifosi erano
inizialmente divisi, la mossa di non voler
salutare quelli che si erano sobbarcati la trasferta a Basilea, ha fatto sì che se li alienasse
quasi tutti. A 24 anni compiuti, dopo Milano, Manchester e di nuovo Milano, anche
a Liverpool la strada è diventata in salita.
LA REGATA
Barcolana a Trieste: tutta la vela che c’è
di Caterina Grignani
a leggenda vuole che già
L
nel Settecento i pescatori
triestini tornassero in porto
correndo tra le onde, facendo
a gara per arrivare primi. Una
competizione dettata dalla necessità: chi primo arriva più
pesce vende. Secoli dopo quello stesso golfo è diventato lo
scenario della regata più affollata d’Europa. Una gara tra
scafi senza regole complesse a
parte quella di avere una barca
a vela. O di essere così bravi, o
simpatici, da riuscire a trovare, anche all’ultimo, un imbarco.
Grande o piccola, in legno o in
carbonio, veloce o lentissima
non importa: “basta che galleggi”, è questo il motto della
Barcolana, regata arrivata alla
sua quarantaseiesima edizione e che per una settimana
anima il porto di Trieste. È
l’appuntamento velico più popolare d’Italia. Tra le oltre
duemila barche che partecipa-
no, con un equipaggio che si ammucchiata – racconta il
aggira intorno alle 25.000 per- Commodoro – è una giornata
sone, c’è chi ricorda quasi tut- in mare, come una scampate le tappe della storica regata gnata: alcuni competono secome il Commodoro Giorgio riamente, altri suonano, canBrezich. Presente dalla secon- tano e bevono a bordo”. Uno
da edizione della Coppa d’au- degli avversari del Commodotunno, l’altro nome della re- ro Brezich fu Sergio Morin,
gata, le ha viste tutte e ha an- calciatore velista che si divideche vinto più di una volta. Le va tra Inter, Napoli e il mare.
sue vittorie più belle sono for- Le storie della Barcolana si trase quelle a bordo del Nibbio mandano tra i pontili dove
uno scafo del 1923 ancora in quotidianamente si pratica
splendida forma che apparte- una vela meno scintillante ed
neva a Brunetto Rossetti, me- esibita di quella di Porto Cermoria storica del mare, a metà vo o della Costa Azzurra. Sulla
tra il pittore e il marinaio. Il signor Rossetti
lo trovavi sempre al
porto, in mare, o infiL’AFFOLLAMENTO
lato in qualche scafo
Duemila barche
per ridipingerne il fondo e alla Barcolana
per un equipaggio
c’era sempre. Ora che il
Nibbio gli è sopravviscomplessivo di 25.000
suto ci pensano gli amipersone. Si può sfidare
ci del circolo a non far
ammuffire lo scafo in
chiunque, basta uno
cantiere. “LaBarcolana
è una vera e propria
scafo che stia a galla
linea di partenza che va dal Faro della vittoria al Castello di
Miramare – così affollata da
vantare anche un record in
collisioni e danni – ci sono
passati tutti, dai campioni
dell’America’s Cup a volti meno noti. Si incontrano in mare,
dove non c’è differenza di
stazza, casta o religione e le regole sono decise solo dal vento
(la famosa Bora triestina che
non fa sconti a nessuno). Era il
1987 quando il Cicio, soprannominato Gesù bambino perché era l’unico tra i lavoratori
del porto a non bestemmiare
mai, sfidò con un barchino di
otto metri il Moro di Venezia.
VINSE il secondo che però
peccò in fair play non dando al
Cicio la precedenza che gli
spettava. Solo scuse ufficiali e
un giro al bar convinsero il Gesù del porto a non fare ricorso
e a mandare a monte la vittoria
del Moro. Arrivano da tutto il
mondo per la Barcolana, sono
industriali con l’hobby della
vela o campioni come il neozelandese Russell CoutLa Barcolana di Trieste Studio Borlenghi ts, hanno partecipato
nomi storici della marineria come Cino Ricci
ma le rotte più belle sono quelle piccole che
sanno di ore in cantiere
a riparare o costruire il
proprio legno fedele.
Lido Stabile faceva il camionista e in un incidente perse l’uso delle
gambe. La moglie era disperata perché l’handi-
cap non gli aveva fatto mollare
il timone e usciva in mare con
il suo cane come mozzo, anche
se la barca si chiamava Gatto
Romeo. Meno di otto metri di
scafo e quel memorabile anno,
il 1978, in cui quasi senza accorgersene, rimase incollato,
in regata, ai campioni olimpici
più blasonati.
16
SECONDO TEMPO
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
MASTERIZZATI
MIGRAZIONI
Erlend e il nuovo
amore per il reggae
L’ALBUM DELL’EX KINGS OF CONVENIENCE
REGISTRATO IN ISLANDA DOPO UNA TAPPA ITALIANA
di Giudo
S
Biondi
tanziale Erlend Øye
non lo è mai stato.
Conosciuto in occasione di Quiet Is The
New Loud, il primo album dei
Kings Of Convenience: la risposta europea a Simon &
Garfunkel; in realtà molto più
modesti come duo – il suo sodale si chiama Eirik –, hanno
reinventato il cosiddetto “new
acoustic movement” (a rileggere oggi queste cose viene da
ridere). Ok semplici paraculi
ma – indubbiamente – il contrasto tra i due Kings produce
buone cose: moderato e timido uno, spumeggiante l’altro.
A Erlend il circuito indie non
dispiace ma le sue ambizioni
lo portano a registrare diverse
canzoni di musica elettronica
in altrettante città del mondo:
il risultato è il suo primo al-
bum solista Unrest del 2003,
creato sulle ceneri Versus, album di remix per i Kings (con
una comparsata di Cornelius)
e Melody A.m., acclamato esordio dei conterranei Royksopp
con Øye vocalist.
UNREST unisce il nostro a un
network con i migliori produttori di musica elettronica, su
tutti Morgan Geist, e – per
molti anni a venire –, diventa
un protagonista della scena
con collaborazioni riuscite, tra
tutte merita di essere ricordata
la malinconica For The Time
Being con Phonique e la raccolta Dj Kicks. Eppure al nostro spilungone qualcosa non
torna nonostante le richieste
da ogni parte del mondo per
fare il Dj: “Una delle cose che
mi fa più piacere nella mia vita
è riuscire a far ballare la gente”,
racconta Erlend, “ma il perio-
LA BAND
Rock vizioso
da cavernicoli
do concentrato sulla musica
elettronica non ha fatto bene
alle mie orecchie, troppo rumore. Distrutte da ascoltare
una traccia in cuffia mentre
mixi l’altra; inoltre suonare fino alle cinque del mattino e
svegliarsi il giorno dopo alle 11
quando in hotel la colazione è
terminata ti porta a comprendere che stai facendo una vita
non sana. Ecco perché – alla
fine – ho preferito il mio spazio indie conquistato a fatica
con i Kings, certamente più
desiderabile della vita night life. Se devo scegliere tra un
concerto alle 21,00 o un djset
alle 3,30 de mattino state certi
che scelgo il primo!”. La svolta
è il collettivo tedesco Whitest
Boy Alive, con Erlend quale
cantante e il funky come bussola: il risultato è uno stravagante disco ricco di sfumature,
indie fino al midollo. “Golden-
di Pasquale Rinaldis
Erlend Øye (sulla bicicletta)
cage”, portata al successo dal
dj Fred Falke (ascoltate bene il
remix, da qui è partita l’idea
della linea di “Get Lucky” dei
Daft Punk) ha avuto successo
grazie alla versione dancefloor, segno da non sottovalutare. Mentre continua il sodalizio dei Kings, Erlend ha
preso casa a Siracusa e ha iniziato a innamorarsi dell’italiano (un singolo, “La prima estate”) e a frequentare un gruppo
di musicisti “hobo” islandesi,
la band Hjálmar. Dall’Italia
all’Islanda è andato a registra-
COVER
re il nuovo album solista Legao
(esce oggi), svoltando a sonorità reggae, con un imminente
tour in arrivo a novembre a
Roma, Bologna e Milano. Un
disco apparentemente leggero
(leggerezza intesa nell’accezione positiva) con alcuni testi
molto profondi, soprattutto in
“Garota” (“quando ti chiedo
senza rumore, mi risponderai
senza parole?”) e nel nuovo
singolo “Rainman”. Un percorso di maturità, la personale
“linea d’ombra” di un cantautore pacificato e vitale.
L’ESORDIO
Sua maestà
Traversata
Mark Lanegan per il mondo
DEGENERATE PARTY ©
SONGS FOR TAKEDA ©
“PRIMATI” non nel senso di quelli che stanno nel Guinness, ovviamente. Se già la copertina da sola non bastasse a far intuire cosa
suonano questi cavernicoli da Roma, provvedono le prime note di
Gotta Do It, The Journey o 70 Girl a spazzare via ogni dubbio.
Rock’n’roll grezzissimo e di base. Primale per l’appunto. Quello che
graffia i muri dei garage sparsi per il mondo da più di cinquant’anni,
quello che è stato via via dei Count Five e dei Sonics, dei Dictators
e dei Real Kids, degli Oblivians e dei New Bomb Turks. Citiamo
apposta nomi di culto perché i Primati appartengono al sottosuolo
musicale, per definizione e destinazione. Nel gruppo ci sono membri di Assalti Frontali e Brutopop, ma qui le coordinate sono sfasate
rispetto a quelle dei gruppi madre. Canzoni squadrate e viziose,
sinuose e taglienti come il miglior r’n’r deve essere: spiccano, in una
scaletta tiratissima, le cover di Bomber dei Motorhead e (a sorpresa) di Guilty di Randy Newman. Un party degenerato, e rigenerante.
Carlo Bordone
LA GUIDA all’ascolto sta nel
sottotitolo del sito: “A
Folk’n’Roll live act with the
spirit of Soul and Gospel Music”. Tutti gli elementi
sono lì, e aggiungere altro diventa faticoso per il
buon disco d’esordio di Letlo Vin, “Songs for Takeda”, uscito il 2 ottobre. Qualcuno lo avrà incrociato nelle aperture dei live di Umberto Maria Giardino, Emiliana Torrini, e Adriano Viterbini dei Bud
Spencer Blues Explosion). Con Letlo Vin si va lontano: il suo debutto è una traversata dall’altra parte
del mondo, nel folk ibridato di elegantissimo rock e
disperazione soul. Nell’introduzione video (disponibile su YouTube), racconta di queste tracce, frutto
di un’elaborazione difficile legata al suicidio di un
amico. Un percorso che ha reso questo lavoro un
concept album (in lingua inglese).
Diletta Parlangeli
Primati
Godfellas
GARAGE-PUNK
R’n’r cialtrone
come dev’essere
THANKS A LOT! ©
The Boogie Spiders
Atelier Sonique
MUSICA e attitudine dei Boogie Spiders sono
già ben descritte nella loro presentazione: “Ci
piace quell’aspetto cialtrone del rock’n’roll, non
ci piace chi si prende sul serio. Siamo in tre e abbiamo voglia di divertirci, insieme al pubblico che ama il rock’n’roll come noi”. I Boogie
Spiders sono un trio milanese, attivo dal 2010 e proveniente da altre
esperienze underground (R.U.N.I., Shandon). Fabio Federico Gallarati
(voce e chitarra), Fabrizio Rota (voce e basso), Stefano Mornata (batteria) rifuggono da qualunque forma di intellettualismo e riportano il
rock’n’roll alla sua essenza più cruda e primordiale: un garage-punk
indiavolato e selvaggio venato di blues, noise, surf e psychobilly, suonato con gusto trash e un approccio ai limiti della bassa fedeltà. Si
ispirano a gruppi come Sonics, Stooges, Cramps, Gories e nel nuovo
album virano verso il soul-punk incendiario dei Dirtbombs (“Mojo
Hanna”, “Getting Stronger”). Sgangherati e deviati come si deve.
Gabriele Barone
Di nuovo
Pink
Floyd
(quel che
ne resta)
Letlov In
Autoproduzione
IMITATIONS ©
Mark Lanegan
Heavenly Recondings/Pias
COLPISCE il titolo schietto, semplice e diretto, per
un artista affermato ma
pur sempre di culto. È la seconda volta che Mark
Lanegan si dedica a un disco di cover (I’ll Take
Care Of You è del 1999) e ci riesce sempre bene.
Qualche cattivone potrebbe addirittura dire
“meglio di quando canta cose sue”. Ma sarebbe
ingiusto. Sta di fatto che le interpretazioni di
Mack The Knife e Autumn Leaves valgono da
sole il prezzo del cd. La prima rendendo un po’
più cantautorale ma senza snaturarla la coppia
Brecht/Weill, la seconda restituendo al brano
quell’anima pop che l’empireo della musica le
aveva un po’ tolto nel corso dei decenni. L’intero
album – una raccolta di standard e gemme oscure che a detta di Lanegan segnano l’impatto ricevuto dalla collezione di dischi dei genitori mette in luce le sue raffinate doti di cantante e
interprete. Sempre sicuro, composto nell’intonazione e vibrante nell’incedere dei versi, si tratti
di declamare sopra due sole chitarre acustiche o
infilarsi in un ridotto arrangiamento d’archi.
Andrea Di Gennaro
IL NUOVO disco dei Pink Floyd,
The Endless River, uscirà soltanto
il prossimo 10 novembre, ma
l’ansia per l’attesa, grazie a
un’operazione commerciale che
per ora prevede solo un assolo di
chitarra e poche note distribuite
col contagocce, aumenta. È stata Polly, la moglie del chitarrista
e cantante David Gilmour, agli
inizi di luglio, a darne la notizia
con un tweet. Cosa impensabile
per questa band che con le ultime note di High Hopes pareva
aver messo la parola fine alla
propria storia e che, invece, proprio da quell’assolo di chitarra
adesso riparte. The Endless River
infatti, è basato sulle session del
1994, anno durante il quale i
Pink Floyd registrarono The Division Bell. I nuovi brani, precisa il
management, non saranno degli
“scarti”, ma “tasselli di un complesso mosaico sonoro” che stava prendendo vita parallelamente a The Division Bell. Dedicato al
compianto tastierista Richard
Wright, questo nuovo album “è
il canto del cigno per Rick”, ha
scritto Polly nel suo tweet, mentre per il batterista Nick Mason
è un modo per riconoscere a
Wright che ciò che faceva e come suonava era proprio il cuore
del suono dei Pink Floyd. Per Gilmour invece rappresenta una
traccia da lasciare nel 21° secolo. La copertina reca l’immagine
di un uomo che rema in un fiume
di nuvole, ed è stata creata dal
18enne artista egiziano Ahmed
Emad Eldin. La curiosità attorno
a questo disco cresce, anche
grazie alle parole del co-fondatore Roger Waters, che ha abbandonato il gruppo nel 1983.
Quando un giovane ha chiesto a
sua moglie Laurie notizie sulnuovo disco dei Pink Floyd, pensando che il marito ancora ne facesse parte, Roger è andato su
tutte le furie: “Non ho nulla a che
fare con i dischi dei Pink Floyd
usciti nell’87 e nel ’94”.
IL PROGETTO
Parole speciali
dal mondo parallelo
RADICI ©
Francobeat
Brutture Moderne
LE CANZONI migliori sono quelle che ti
trasportano in un mondo parallelo. Che ti
chiedono di guardare la realtà con altri
occhi e di sospendere, almeno per tre
minuti, il principio di razionalità. In questo senso, le canzoni di Radici centrano il
bersaglio del cuore con una naturalezza e
una levità straordinarie. Forse perché chi
ne ha scritto le parole è abituato a guardare il mondo da un altro punto di vista. I
testi dei brani, infatti, sono opera degli
ospiti di una residenza per disabili mentali di San Savino, nei pressi di Riccione. A
metterli in musica e cantarli ha pensato
invece un artista irregolare e fantasioso
come “Francobeat” Naddei, innamorato-
si della proposta di una educatrice del
centro di lavorare sul materiale letterario
prodotto dai pazienti. Il feeling tra il musicista e i suoi inediti parolieri è stato
immediato, e si riassume in una strofa
della deliziosa “Verde/Secco”: “caro
amico Franco, ti offriamo un vin santo/se
ci aiuti a trasformare in canzoncelle/tutte queste note belle”. Il rischio del pietismo ricattatorio e un po’ morboso c’era,
come sempre in questi casi, ma la sensibilità e il talento melodico di Francobeat
– al quale hanno dato una mano, tra gli
altri, John De Leo, Sacri Cuori e Massimiliano “Moro” Morini – hanno saputo
estrarre il nocciolo di poesia da questo
strano incontro. Gianni Rodari ne sarebbe fiero. E dovrebbero esserlo anche gli
autori.
C. Bord.
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
17
THE BODY OF SEX
Il ciclo
di documentari sul sesso trasmessi da Cielo
LAEFFE TV
IL PEGGIO DELLA DIRETTA
Pensavo fosse la libertà
invece era la Rete padrona
di Nanni
Delbecchi
empre più cose sono gratuite,
S
la vita è diventata un’offerta
speciale, eppure non siamo mai
stati tanto poveri. Come si spiega?
Si spiega con lo strano paradosso
di Internet, alle cui maglie invisibili siamo tutti incatenati. Credevamo fosse libertà e invece era
un calesse, e decisamente non siamo noi a guidarlo. Là dove c’era
una prateria ora c’è una metropoli,
come direbbe il ragazzo della via
Gluck, terra di conquista dei colossi del nuovo capitalismo digitale. Tutto questo è il punto di partenza di Rete padrona, un ciclo di
appuntamenti in onda da mercoledì prossimo su laeffe TV dove la
vera novità, più che nei temi non
troppo inediti, sta nel taglio narrativo che la rete sta sperimentando da un po’. Fuoco sull’attualità,
come Feltrinelli comanda, ma senza salotti, e, colpo di scena, senza
libri né le tradizionali telepresentazioni a soffietto.
IL RAGAZZO della via Gluck della
situazione è il giornalista Federico
Rampini, autore del saggio intitolato proprio Rete padrona; ma questa ne è la prosecuzione attraverso
un mix di materiali inediti e interviste, dai protagonisti della Social Media Week di Roma fino al
guru liberal Jeremy Rifkin, teorico
dell’empatia e dell’Internet delle
cose. Progressista della prima ma
anche dell’ultima ora, Rifkin è propedeutico al documentario Ano-
nymous - l’esercito degli hacktivisti
(che si vedrà nel corso del primo
speciale), quando si chiede se il
movimento web-clandestino sia
paragonabile a una Nuova Internazionale. Saranno i giovanissimi
ribelli a salvarci dalle catene virtuali? È presto per dirlo, anche perché essi stessi sono figli del tecno
integralismo dei tempi, qualcosa
che li apparenta di più alla ribellione sessantottina, così affascinata
dallo stesso potere che si proponeva di combattere.
Mercoledì 15 si parla dell’influenza
che il web ha avuto sul cinema con
il documentario Rivoluzione Digitale, dove Keanu Reeves interpella
tra gli altri Christopher Nolan,
Martin Scorsese e Lars Von Trier.
Ma c’è da dire che ormai ogni
schermo sta stretto alla rete, non
c’è effetto speciale che tenga, se nel
vero format senza precedenti,
l’horror a puntate confezionato dai
terroristi dell’Isis, il sangue umano
è autentico. Tra gli effetti collaterali del web c’è anche questo: chi
avrebbe potuto prevedere che i rigurgiti più retrivi del pianeta si sarebbero trovati a casa loro nello
specchio della modernità?
Giro intorno al porno,
le comiche del divieto in tv
di Davide Valentini
l sonno della ragione genera mostri.
I
Ma anche stare svegli fino a tardi non
rende la situazione più sopportabile,
specie se si cerca conforto nella Tv. Recita la liturgia fantozziana, anno di grazia
1980: “A una cert’ora della notte le famiglie si ritirano sconfitte. È l’ora critica,
l’ora di Proibito, di Vietatissimo, di Oroscopone, Super Porno Show”. Trentaquattro anni dopo, le cose hanno preso
una piega ambigua. Non c’è mai stato
tanto porno in giro, l’accesso non è mai
stato così facile. Un portale come PornHub processa 5000 terabyte di dati al
giorno. Facebook si ferma a 600. L’hard è
ovunque, tranne che in Tv, dove resta
vietato. Vietatissimo. E allora accade che
alcuni canali provino a scansare le direttive sul comune senso del pudore, con
una teoria generosa di programmi che
svolazzano intorno al sesso, ma si fermano sul più bello. Campione assoluto nella
speciale categoria è AXN HD (canale 122
di Sky), che propina un palinsesto seral-notturno nutrito di titoli che suonano come promesse non mantenute: Sexcetera, Gola Profondissima, Debbie viene a
Dallas, Badass – Cattive ragazze, Sex Week,
Porno Valley e via adescando. Tutti peri-
colosamente in bilico tra palpate dirette e
inquadrature ritagliate, tutti serenamente aggrappati all’unico articolo mostrabile senza sanzioni, la tetta.
IL MECCANISMO è sempre lo stesso, con
variazioni lievi. Prendiamo il caso della
serie “Gola Profondissima”. Il programma racconta il backstage della produzione di un film hard, il remake della pellicola culto con Linda Lovelace del 1972.
Produttore, regista, attori e attrici vengono seguiti nella vita di tutti i giorni, in una
routine che mira a svelarne la profonda
umanità, anche se il sentimento prevalente è la noia. Gli intrecci pressoché inesistenti, i personaggi appena accennati,
acquistano senso solo in funzione
dell’universo pornografico al quale appartengono, della scena che sono disposti
a girare, ma che al pubblico non è dato
vedere. Non completamente almeno. È
come se il cameraman, nel momento in
cui parte l’azione, venisse distratto da un
dettaglio marginale, che lo porta a spostare l’obiettivo sulla periferia dell’atto
sessuale, che pure resta parzialmente vi-
Gli ascolti
di mercoledì
VELVET
Spettatori 3,4 mln Share 12,3%
LE IENE SHOW
Spettatori 2,5 mln Share 13,3%
sibile. E per qualche ragione, queste scene
di sesso implicito raggiungono livelli di
morbosità sconosciuti al porno autentico. Nel tentativo di non escludere l’eros
dalla programmazione, i canali percorrono anche strade meno brutali, con alterni successi, tra terapie di coppie insoddisfatte, segreti inconfessabili e sessuologia spiccia. In mezzo ai rari esperimenti
di alto profilo spicca The Body of Sex, il
ciclo di documentari trasmesso da Cielo
che raccoglie il meglio della produzione
internazionale a tematica erotica.
Di tutt’altro segno è invece “In my slip”,
tragico tentativo di Mediaset di avvicinarsi al mondo delle webseries. Tre amiche sedute sul divano discutono di sesso.
Una è molto esperta, un’altra molto ingenua, la terza così così. Ma il colpo di
genio deve ancora arrivare: insieme a loro, visibile solo alla legittima proprietaria, siede la vagina di una delle tre, interpretata da un attore barbuto e in accappatoio – peraltro piuttosto bravo.
Nelle intenzioni degli autori, sono i suoi
commenti puntuali a rendere il prodotto
“scanzonato” e “irriverente”. Due aggettivi che hanno fatto più danni di Umberto Smaila.
ATLETICO M. - JUVENTUS
Spettatori 7 mln Share 25,4%
CHI L’HA VISTO?
Spettatori 2,6 mln Share 11,7%
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SECONDO TEMPO
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
il Fatto Quotidiano
GIUSTAMENTE
ASSUEFAZIONI
Sarà un mafioso,
ma è così educato
di Gian
Carlo Caselli
A
Brescello (Reggio Emilia) una
troupe di giovani
coraggiosi ha girato per il web Cortocircuito,
un formidabile servizio ripreso da ilfattoquotidiano.it.
Tema: gli ottimi e cordialissimi rapporti del sindaco
(Pd) con tal Francesco
Grande Aracri, abitante nel
paese da molti anni ma non
un cittadino come tutti gli
altri. Egli infatti è stato condannato per mafia e sottoposto a sorveglianza speciale. È inoltre al centro di attività economiche sospette
che hanno recentemente
portato a un sequestro di beni a suo carico, da parte dei
Carabinieri di Reggio Emilia, per un valore di 3 milioni
di euro. Fa da cornice al tutto
l’accusa di legami con la cosca ’ndranghetista di Cutro.
E tuttavia il sindaco ha definito questo soggetto “persona educata e composta,
gentilissima e tranquilla,
sempre vissuta a basso livello”.
Brescello è anche il paese di
Peppone e don Camillo, i
mitici personaggi di Giovannino Guareschi, resi ancor
più famosi dai film interpretati da Gino Cervi e Fernandel, nel ruolo di sindaco e
parroco. Solo che le cose sono cambiate, rispetto a quei
tempi.
Perché Peppone e don Camillo (rompendo una crosta
solo apparente di bonomia)
facevano
continuamente
prorompere un torrente di
divergenze, litigi, scontri e
risse. Ora invece parroco e
consiglio comunale si schierano subito dalla parte del
sindaco. Ormai è tutto un
idilliaco “pappa e ciccia”, un
universale “volemose bene”
all’insegna
dell’indignata
negazione dell’esistenza di
qualunque problema di mafia.
Si organizzano iniziative popolari pro-sindaco e si raccolgono per lui firme di solidarietà e sostegno (con il
concorso, pare, dei familiari
del condannato). E chi prospetta anche solo la possibilità di infiltrazioni illegali nel
paese è pregato senza tanti
riguardi di farsi da parte e
starsene zitto.
BRESCELLO in verità non si
differenzia troppo da molte
altre zone del Centro e Nord
Italia. Spesso, anche se vi sono presenze mafiose di tutta
evidenza, fortissima e diffusa
è la tendenza a negarle. Miopia, superficialità, sottovalutazione e ignoranza si intrecciano con una sorta di distacco “aristocratico” del Centro-Nord verso problemi
considerati a torto roba
esclusiva di un Sud arretrato
e povero. Senza accorgersi
che così si spalancano praterie sconfinate alla penetrazione dei mafiosi. Che per
parte loro fanno di tutto (ce
Il sequestro dei beni a Francesco Grande Aracri, a Brescello Ansa
“CORTOCIRCUITO”
Il caso di Brescello
e dei rapporti amichevoli
tra il sindaco Pd e un
pregiudicato: scandalo
nel paese di Peppone
e don Camillo? Macché
l’hanno nel Dna) per passare
inosservati, per non essere
avvertiti come un pericolo:
dimostrando notevoli capacità di “ibridarsi” mescolandosi e mimetizzandosi con le
persone per bene.
Con il paradosso che questa
mimetizzazione (la vita “a
basso livello”…) finisce per
essere un comodo alibi per
chi non vuol vedere o prova a
giustificare la sua disattenzione.
VIENE IN MENTE quel che il
prefetto di Palermo Carlo
Alberto dalla Chiesa aveva
dichiarato oltre trent’anni fa
a Giorgio Bocca, pochi giorni prima di essere ucciso dalla mafia, a proposito dei
Corleonesi (i Liggio, i Collura, i Criscione ecc...) che
nel 1949 erano stati da lui
denunciati in Sicilia per più
omicidi e sempre assolti per
insufficienza di prove, e poi
si erano “tutti stranamente
ritrovati a Venaria Reale alle
porte di Torino”. Dalla
Chiesa chiedeva “notizie sul
loro conto e gli veniva risposto “brave persone, non disturbano, firmano regolarmente”. E nessuno si era accorto che in giornata magari
erano venuti a Palermo o tenevano ufficio a Milano o,
chi sa, erano stati a Londra o
Parigi”. Tempi, luoghi e personaggi sono diversi: ma sostanzialmente uguale è il
giudizio troppo ottimistico e
indulgente: ieri “brave persone” oggi “persone educate
e composte”, come a smentire che la storia non si ripete.
Quel che il sindaco e gli abitanti di Brescello (purtroppo
come tanti altri) non vogliono neppure prendere in considerazione è la sicura, accertata forza relazionale della
’ndrangheta soprattutto nei
piccoli centri, cioè la sua co-
stante ricerca di credito sociale attraverso stretti rapporti con le amministrazioni
locali e la popolazione: senza
commettere reati che creino
troppo allarme, ma facendo
valere come immanente
(senza strafare) la forza che
comunque discende dal loro
persistente legame con l’organizzazione criminale le cui
radici restano in Calabria.
CON IL RISULTATO di un
sotterraneo, crescente intreccio con il mondo “per bene” e di una progressiva intensificazione dell'inquinamento dell'economia pulita
ad opera di quella illegale. A
volte facilitata dal fatto che
un aiutino per superare le
difficoltà economiche contingenti può anche far comodo e può indurre a negare di
avere a che fare non persone
poco raccomandabili.
L’inutile cinismo
del dibattito sull’art.18
di Bruno
Tinti
UN CONFRONTO di pregiudizi è impossibile. Così è
inutile discutere dell’art. 18
su base ideologica. Sono le
conseguenze che contano.
Un lavoratore licenziato illegittimamente, se il reintegro
previsto dall’art. 18 fosse
abrogato, riceverebbe 15
mensilità di indennizzo e si
aggiungerebbe alla lista dei
disoccupati. Per questo
l’abrogazione è una follia:
l’ingiustizia patita (il licenziamento si assume illegittimo) non può essere riparata con risorse appena sufficienti a sopravvivere per
poco più di un anno. Perciò
un’eventuale riforma non
deve
essere
basata
sull’abrogazione del reintegro ma sulla tipizzazione
dell’illegittimità del licenziamento. In altri termini bisogna riservare la sanzione-indennizzo, drammatica per il
lavoratore, ai soli casi di licenziamento non gravemente illegittimo ovvero a
quelli in cui il reintegro renderebbe incompatibili i rapporti tra lavoratore e azienda.
Ma non è semplice. Prima di
tutto sarebbe necessario un
radicale cambiamento della
cultura sindacale italiana.
Ad esempio: è inaccettabile
la difesa corporativa dei lavoratori dell’aeroporto di
Fiumicino responsabili di
furto dei bagagli. Ma è un
cambiamento difficile: l’evoluzione delle confederazioni
storiche è possibile, non
quella dei sindacati autonomi.
C’è poi il problema dell’uniformità e prevedibilità delle
sentenze. Ricordo un caso in
n
cui il titolare di un’azienda di
panetteria fu obbligato al
reintegro di un dipendente
che, fuori dall’orario di lavoro, intratteneva rapporti con
la moglie di lui nei locali
dell’azienda: si servivano dei
tavoli della panificazione
(non so se, alla fine, ripuliti
adeguatamente). Si trattava
– disse il giudice – di condotte che non avevano influito sulla regolarità della
prestazione lavorativa.
E ancora, occorrerebbe definire meglio il concetto
stesso di illegittimità: il licenziamento di un dipendente che rifiuta sistematicamente il lavoro straordinario quando la domanda cresce, può essere considerato
illegittimo? E, comunque,
DILEMMI
È necessaria un’attenta
discrezionalità
del giudice a garanzia
di un’equa decisione
Ma in Italia si preferisce
marciare a ideologia
Ansa
può essere sanzionato con il
reintegro?
Ci sono poi le situazioni
create ad arte. Da ambedue
le parti. Una modifica formalmente corretta delle
condizioni di lavoro, che lo
renda più oneroso e induca il
dipendente alle dimissioni o
a inadempienze che consentano il licenziamento. Ovvero un atteggiamento ostruzionistico del lavoratore che,
avendo trovato altra occupazione, spera in un contenzioso che gli garantisca l’indennizzo.
n COME SI VEDE, è necessaria un’attenta discrezionalità del giudice a garanzia di
un’equa decisione. Ma in
questo modo si pregiudica
l’uniformità delle sentenze.
Un dilemma irresolubile.
Resta il fatto che il problema
non può essere sottovalutato come, irresponsabilmente, fa Renzi. Non è vero che il
reintegro riguarda non più di
3.000 lavoratori ogni anno
(40mila casi di articolo 18,
l’80% risolti con un accordo,
ne restano 8mila, in 4.500 il
lavoratore perde, in 3.500
vince e in due terzi dei casi
ha il reintegro. Stiamo discutendo di una cosa importantissima che riguarda 3mila
persone l’anno). Se il contenzioso non fosse sulla
scelta tra reintegro e indennizzo, le offerte del datore di
lavoro sarebbero meno generose. E soprattutto non si
può dire che il dramma di
3.000 persone (all’anno)
private dei mezzi di sussistenza sia irrilevante. Uno
statista non confonde la real
politik con il cinismo. Un politico sì. Ma, di gente così,
l’Italia ha fatto il pieno.
COMUNIONE E CONTESTAZIONE
Socci vuol detronizzare papa Francesco
E gli ex amici del Sabato se le danno
di Silvia Truzzi
cesco, in libreria oggi per Mon-
ermi tutti, hanno scherzaF
to. La fumata bianca in
realtà era nera, o almeno grigia-
DIREMO subito che di pop c’è
stra. E no, non stiamo parlando
dei giochini di Palazzo che da
mesi tengono in scacco la Corte
costituzionale, perché le Camere non si accordano sui nomi. L’assise in questione è affare assai più serio, è addirittura il Conclave dei cardinali che
il 13 marzo 2013 ha nominato
Jorge Mario Bergoglio sul soglio di Pietro. Non habemus papam, scrive Antonio Socci, ex
vicedirettore di Raidue, ex ciellino, giornalista e scrittore, nella sua ultima fatica Non è Fran-
LITI DI FEDE
Secondo il giornalista
ci sarebbe stata
un’irregolarità e l’elezione
di Bergoglio sarebbe nulla.
Intanto lui prega
e il Foglio lo bastona
dadori (pagg. 296; 18 euro).
solo il titolo. Il resto, ha scritto
ieri Maurizio Crippa sul Foglio, è
un fanta-thriller. Il cui “plot
puzza come un polpettone avvelenato. Papa Ratzinger non si
è mai dimesso, farebbero fede il
fatto che ancora si vesta di bianco, che abbia mantenuto stemma e firma”. Ma soprattutto c’è
la questione delle presunta scoperta delle presunte irregolarità
elettorali. Sostiene Socci che
durante la votazione si è verificato un errore (un elettore ha
votato due volte; ma la cosa, a
sentire i vaticanisti, era stranota) . Secondo l’articolo 69 del regolamento la votazione si doveva rifare, non però in quella
stessa sera. E dunque l’elezione
è invalida. Tuttavia, spiega
Crippa, basta aver letto l’articolo 68: “nel caso il numero delle
schede non corrisponda al numero degli elettori ‘bisogna
bruciarle tutte e procedere subito a una seconda votazione’,
come fu fatto”. Il pezzo del Foglio – che il direttore ha perfidamente titolato “Ciarpame
senza pudore”, hommage a lady
Veronica – è molto argomentato e durissimo, segno che la
spaccatura tra gli ex amici del
Sabato (leggasi Cielle) è profonda. L’autore lo aveva messo in
conto: “Scrivere queste pagine
mi è costato un grande sacrificio materiale e tanta sofferenza
morale. Mi hanno detto che potrebbe essere una sorta di suicidio professionale. Può darsi.
Ci mettiamo nelle mani di dio.
Metto in preventivo l’umiliazione degli attacchi personali
che di sicuro arriveranno da chi
non vuole confrontarsi con i
contenuti del libro”. C’è sempre
una salvezza, però: “Alla fine la
verità ci farà liberi”. Ma che c’è
dietro tutti questi dubbi e queste cerimoniose sofferenze?
L’operato di Bergoglio (che,
com’è risaputo, non ama i nipotini di don Gius e le loro inclinazioni mondane). Eppure
sulle prime era stato salutato
davvero magno cum gaudio da
Socci: “Ammetto di essere uno
dei tanti che hanno accolto Bergoglio a braccia spalancate, come era giusto fare ritenendolo il
Papa legittimamente eletto. Gli
comunicai perfino che - fra tan-
ti altri - poteva contare pure sulla preghiera mia e della mia famiglia”.
CHE AVRÀ FATTO Francesco
per meritarsi un invito a farsi da
parte? “Bergoglio, sempre così
critico con i cattolici, non si
contrappone mai alle lobby laiciste sui temi della vita, del gender, dei principi non negoziabili che papa Benedetto individuò come pilastri della dittatura del relativismo”. Socci rivuole il papa legittimo, Benedetto
(cui il libro è così sobriamente
dedicato: “A Joseph Ratzinger,
umile gigante di sapienza”). Poi
c’è lo Ior, “che Bergoglio non ha
chiuso affatto” (invece Benedetto...). Tutte questioni molto
opinabili, come la stupefacente
affermazione: “Benedetto ha ricevuto da parte del mondo segni di profonda opposizione:
basti ricordare episodi come
l’aggressione mediatica per lo
scandalo pedofilia, contro il
quale peraltro Ratzinger ha fatto piu di chiunque altro, prima
e dopo”. Scomodando nuovamente Battisti, “chi sta sbagliando son certo sei tu”.
@silviatruzzi1
SECONDO TEMPO
il Fatto Quotidiano
19
VENERDÌ 3 OTTOBRE 2014
A DOMANDA RISPONDO
Furio Colombo
La conoscenza è globale
ma la geografia è inutile
Ho appena terminato
l’ascolto dei discorsi alla
Camera sulle sanzioni
verso la Russia, ma non è
un discorso geografico
economico? Allora perché eliminare la geografia
economica dallo studio
negli istituti superiori
quando oggi è necessario
conoscere realtà mondiali che poi molti relatori
hanno dimostrato di non
conoscere? Si ascoltino i
vecchi geografi per fare
dell’Italia uno stato con
conoscenze globali e si
preparino anche i giovani
a quelle conoscenze. Renzi ha sventolato alcuni
opuscoli che dovevano
contenere tutti i temi della riforma, invece all’inizio dell’anno scolastico ci
si è trovati con i tanti problemi irrisolti riguardanti
le strutture, docenti e le
discipline da insegnare:
l’ennesimo sogno di Renzi è svanito. Per conto
mio, voglio riferirmi alla
mia materia, la geografia,
disciplina che invece di
essere potenziata è stata
ridotta a un’ora alla settimana sempre e solo negli
Istituti tecnici commerciali. Mi sembra un’assurdità perché la geografia è
sempre più necessaria per
poter conoscere e muoversi.
di volti noti ha voluto appiopparti. A quel punto
anche la critica del “sei
un’idiota in coda per un
Iphone da 600 euro”, risulta poco fondata perchè, tanto, risparmiare su
un giocattolo che ti fa distrarre, non ti permetterebbe comunque di comprare casa, farti una famiglia, emanciparti. Il problema è che l’accettazione
di questa condizione passa attraverso una sorta di
cattiva interpretazione
del superomismo nicciano, per cui ci si convince
che questa situazione avvilente e obbligata, non
solo sia buona ma sia la
migliore possibile, quella
cui si debba tendere. A fomentare questa convinzione ci pensano modelli
terno a noi, come se si
trattasse di una preferenza), non cambierà. Che
per cambiare le cose si
debba rettificare anche
noi stessi, poi, è un altro,
valido, discorso.
Non vogliono
morire
di accoglienza
CARO COLOMBO, ho visto i muri di Roma tappezzati di costosi manifesti a colori formato grande film. Mostrano un
barcone pieno di scampati a un naufragio. Una grande scritta in alto dice: “Non
vogliamo morire di accoglienza". Sotto la
fotografia di gente salvata, in caratteri giganti, c’è scritto: “Basta immigrazione,
basta schiavitù”. Non è detto la schiavitù
di chi. E non è indicato il mandante. Che
cosa vuol dire?
La guerra tra poveri
della riforma del lavoro
Il dibattito sull’abolizione
dell’art. 18 è arrivata alla
fase finale. Ormai è chiara
la volontà del governo
Renzi-Berlusconi di far
approvare ad ogni costo il
loro provvedimento.
Nei dibattiti sui media
emerge sempre un solo
aspetto del problema: la
necessità di allargare i diritti ai lavoratori meno
garantiti. Non si capisce
come si possano garantire
Amelia
IN GENERALE vuol dire che la signora Le
Pen è arrivata e si è insediata tra noi, anche
se non è ancora certo e dichiarato quali
personaggi e gruppi politici, oltre alla Lega
Nord, si accaseranno con lei, nazista e razzista. In particolare quei manifesti non
erano (non sono, perché restano affissi con
i dovuti permessi sui muri di Roma) anonimi. Sono firmati dal VI Municipio che evidentemente è quartiere di Roma divenuto
lepenista non certo a causa dei migranti
salvati dal mare o della accoglienza dei sopravvissuti (non vi è stato alcun invio di
gruppi di salvati in mare in quella zona o a
Roma) ma per senso di abbandono, mancanza di assistenza e presenza della città,
di servizi pubblici, di adeguata e visibile
presenza di Forze dell’ordine i cui organici
e i cui mezzi sono continuamente tagliati, o
direttamente da un pessimo ministero
dell’Interno, o indirettamente, attraverso
improvvisate riforme del pubblico impiego, di cui le forze dell’ordine sono parte, o a
causa di tagli alla Difesa che, invece di rinunciare agli F35,rinuncia ai Carabinieri
di quartiere. Resta il fatto che niente è ac-
la vignetta
Infanzia coatta,
i trentenni e la paghetta
culturali che propagandano l’infantilismo come
nuova libertà acquisita,
anziché stigmatizzarlo
come lo stato di incompiutezza contronatura
che è. La colpa da darci,
allora, non è quella di ricordarci, con fare pedante, quanto siamo stupidi
nello scegliere un modello negativo ma nel ricordarci quanto siamo miopi
nel credere che sia un modello “da scegliere”, anziché un dato di fatto impostoci dalla società. E che
quindi, senza un cambiamento della società (e
non un cambiamento in-
i più deboli togliendo diritti ai meno deboli, ma
tant’è nell’Italia del centrosinistra di destra può
succedere anche questo.
Ho molta paura che, abolito l’articolo 18, le aziende useranno la nuova
possibilità per liberarsi di
quei lavoratori con contratto a tempo indeterminato per sostituirli con
giovani precari: le imprese utilizzeranno le nuove
regole secondo le loro
convenienze. Si assumeranno, forse, giovani e si
licenzieranno, quasi certamente, anziani: l’eterna
lotta tra poveri.
Mi è rimasta una sola speranza: che i dissidenti del
Pd dimostrino un po’ di
coraggio e dimostrino
che nel partito c’è ancora
chi dice qualcosa di sinistra.
Antonio Boglione
Cercasi magistrato
capace e “violante”
Come ha detto la ministra
Boschi, il primo a fare accordi e mettere su un’intera bicamerale con Berlusconi è stato Massimo
D’Alema, e dunque cosa
si vuole da Renzi. Ed ecco
che il patto del Nazareno
continua a figliare. Presto
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Tommaso Merlo
Fibronit, l’amianto
nel centro di Bari
Federico Callegaro
Luciano Baruzzi
La mia generazione, quella dei 30enni mancati, ha
senza dubbio un sacco di
colpe ma forse finisce
sempre per individuare
quelle sbagliate. Che i
miei coetanei rimangano
eterni bambini, e non riescano a diventare uomini,
non è soltanto una responsabilità loro. Sono
(siamo) vittime di “un’infantilizzazione coatta”. Se
non puoi accendere un
mutuo, non hai soldi per
pagarti da mangiare e per
fare un viaggio devi chiedere la paghetta, rimani
(di fatto) un adolescente,
con buona pace dell’intenzione di smarcarsi dalla definizione di “mammone” che tutta una serie
vecchia guardia del Pd ha
tenuto in mano le redini
del centrosinistra per
vent’anni.
caduto per motivare quel manifesto, se non
la volontà politica di preparare per le elezioni venture (che potrebbero essere anche
prossime), il grande strumento della paura. La paura non ha misuratori se non informazioni false (che i lepènisti italiani, dichiarati o no, spargono come pioggia) e statistiche inventate (in Italia, e a Roma in
particolare, non vi è nessun aumento di
criminalità, e i delitti efferati restano di
malavita organizzata o contro le donne, e
di stretta impronta italiana). L’intento del
manifesto (che implicitamente si colloca in
un periodo di notizie allarmanti dal Medio
Oriente, con il sostegno esplicito di Angelino Alfano che cerca ogni giorno di mettere
in tensione i cittadini annunciando trasferte romane dei terroristi dell’Isis) è di
cambiare non ciò che percepiscono i cittadini, in modo che vedano ciò che hanno
sempre visto, gli immigrati del quartiere,
con lo sguardo nuovo della paura e del sospetto. Tutto ciò non è lontano dalla mente
di persone predisposte all’attacco, che questa propaganda cerca di risvegliare e di farci trovare in strada come militanti della sicurezza. Insomma, dove aveva fallito la
Lega potrebbe avere successo (un successo
tetro e immensamente pericoloso), Le Pen e
la parte di destra disponibile a questi torbidi giochi. Perché il trucco riesce? Perché il
governo ha da fare (a costo di imporlo “con
violenza”) con l’abolizione dell’art.18 dello
Statuto dei lavoratori. E dunque non ha
tempo per queste sciocchezze.
Chi vive a Bari e ha “una
certa età”, non può dimenticare cosa ha significato per noi la Fibronit.
Fabbrica di amianto. Fabbrica di morte, ha lavorato per 50 anni nel cuore di
Bari, tra i quartieri Japigia
e Madonnella. Nel 2014
doveva essere smantellata, ma è ancora lì. Cadente
e pericolosa. A causa della
burocrazia, dicono. In
tutti questi anni sono
morte più di 350 persone
per mesotelioma pleurico. E anche se il primo intervento di bonifica è iniziato nel 2005, la fabbrica
non è ancora stata smantellata del tutto. La gente
che abita nei dintorni
continua ad ammalarsi.
Per la bonifica permanente sono stati stanziati
11 milioni di euro, impantanati nei vari uffici di
Comune, ministeri, enti.
Ora il nuovo sindaco di
Bari, Antonio Decaro ha
affidato la bonifica a
un’altra azienda e lo ha
dato ad un’altra. Il tempo
passa ma la Fibronit resta.
Per quanto ancora?
Giuliana Loiacono
Furio Colombo - Il Fatto Quotidiano
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la Corte Costituzionale
tornerà ad avere il suo
plenum “cara...mazza”,
quella che tanti italiani
pensano ancora come
l’unico mezzo (santo
manganello) per mettere
in riga i reprobi. E se poi
capita come nel caso Matteotti e seguenti (e tanti
ma tanti ne sono seguiti),
che le conseguenze vadano oltre le intenzioni, un
magistrato capace e “violante” le regole, alla bisogna si trova sempre, in
grado di sacrificare il capro di turno.
Vittorio Melandri
Pd, la vecchia guardia
che ripudia suo figlio
Il problema della vecchia
guardia del Pd non è Renzi, è quello che ha fatto
prima di Renzi. Restando
troppo a lungo in sella, ha
perso credibilità. E tra
D’Alema e Renzi, oggi,
non c’è storia. Indietro
non si può tornare. Se si
fossero fatti da parte anni
prima, oggi avrebbero
ancora voce in capitolo. E
soprattutto il Pd non si sarebbe affidato ad una leadership così lontana dal
suo passato. Renzi è frutto
dell’esasperazione verso
l’immobilismo con cui la
Sforare il limite
e disobbedire al 3%
Limite del 3%: i Piigs non
ce la fanno a rispettarlo a
meno di ricorrere a trucchi contabile come inserire le attività illegali nel Pil,
gli altri che sono virtuosi
semplicemente scelgono
la disobbedienza come
sta facendola Francia. Il
giorno in cui tutti si metteranno d'accordo nello
sforare il limite famoso, a
saltare per aria e dichiarare il tanto temuto default
sarà la Germania stessa,
l'unica che sta avendo benefici reali da una situazione come quella attuale
Vito Parcher
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