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Documento PDF - Università degli Studi di Padova
UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI PADOVA FACOLTÀ DI INGEGNERIA Corso di Laurea in Ingegneria Meccanica Tesi di Laurea CASCO DA MOTO: MATERIALI E PROCESSO PRODUTTIVO IN RELAZIONE ALLA BIOMECCANICA DEGLI IMPATTI E ALLE PROBLEMATICHE DI PROGETTAZIONE RELATORE: Ch.mo Prof. Enrico Bernardo LAUREANDO: Stefano Gianesini Anno Accademico 2013/2014 Alla mia famiglia, per avermi accompagnato nel cammino che ha permesso il raggiungimento di questo traguardo, a Francesca, per avermi insegnato la semplicità di amare e per il dono che ogni giorno è la sua sensibilità, alle persone a me più care, per l’incoraggiamento che hanno saputo profondere nei momenti più bui, rivolgo il mio pensiero di gratitudine. INDICE SOMMARIO .................................................................................................................... pag.1 INTRODUZIONE ............................................................................................................. pag.3 CAPITOLO 1: Biomeccanica degli impatti nei fenomeni d’urto 1. Aspetti biomeccanici nei fenomeni d’urto ............................................................... pag.5 1.1. Apparato scheletrico: cranio e ossa associate .......................................................... pag.6 1.2. Lesioni ...................................................................................................................... pag.8 1.2.1. Frattura del cranio e lesioni cerebrali ................................................................... pag.11 1.2.1.1. Frattura del cranio ............................................................................................ pag.11 1.2.1.2. Lesioni cerebrali ............................................................................................... pag.12 1.2.1.3. Lesioni al rachide cervicale............................................................................... pag.13 1.3. Criteri di lesione...................................................................................................... pag.14 1.3.1. Accelerazione lineare di picco (PLA) ................................................................... pag.15 1.3.2. Criterio di lesione alla testa (HIC) ........................................................................ pag.15 1.3.3. Accelerazione rotazionale del cervello ................................................................. pag.17 1.3.4. Tolleranza lesioni al collo..................................................................................... pag.19 1.3.5. Metodi analitici di tolleranza delle lesioni ............................................................. pag.20 CAPITOLO 2: Componenti e struttura del sistema casco 2. Il sistema casco ....................................................................................................... pag.23 2.1. Calotta esterna ....................................................................................................... pag.25 2.2. Calotta interna ........................................................................................................ pag.26 2.3. Visiera .................................................................................................................... pag.27 2.4. Cinturino ................................................................................................................. pag.28 2.5. Altri componenti: imbottitura e sistemi di aereazione .............................................. pag.28 I CAPITOLO 3: Progettazione del sistema casco 3. Cenni di progettazione del sistema casco ............................................................. pag.31 3.1. Creazione di un modello ingegneristico .................................................................. pag.32 3.2. Calcolo della densità calotta interna ....................................................................... pag.33 3.3. Calcolo dello spessore calotta interna .................................................................... pag.36 3.4. Scelta materiale calotta interna............................................................................... pag.38 3.5. Calcolo spessore calotta esterna ............................................................................ pag.39 3.6. Scelta materiale calotta esterna.............................................................................. pag.39 CAPITOLO 4: Materiali per il sistema casco 4. Materiali per il sistema casco ................................................................................. pag.41 4.1. Materiali polimerici: Polimeri termoplastici e Polimeri espansi ................................ pag.43 4.1.1. Policarbonato – PC.............................................................................................. pag.47 4.1.2. Acrilonitrile butadiene stirene – ABS .................................................................... pag.49 4.1.3. Polistirene espanso – EPS .................................................................................. pag.51 4.1.4. Polipropilene espanso – EPP .............................................................................. pag.52 4.2. Materiali compositi .................................................................................................. pag.54 4.2.1. Fibra di vetro ....................................................................................................... pag.57 4.2.2. Fibra di carbonio .................................................................................................. pag.59 4.2.3. Fibra aramidica o Kevlar ...................................................................................... pag.60 4.2.4. Appendice: Resine epossidiche ........................................................................... pag.62 4.3. Materiali a confronto: Caratteristiche - Vantaggi e svantaggi .................................. pag.64 CAPITOLO 5: Processo produttivo del sistema casco 5. Processo produttivo del sistema casco ................................................................ pag.71 5.1. Progettazione e Prototipazione rapida .................................................................... pag.71 5.2. Produzione calotte esterne ..................................................................................... pag.73 5.2.1. Produzione calotta esterna in materiale polimerico .............................................. pag.73 5.2.2. Produzione calotta eterna in materiale composito................................................ pag.75 5.2.3. Rifinitura e verniciatura calotte............................................................................. pag.77 5.3. Produzione calotte interne ...................................................................................... pag.78 5.4. Assemblaggio componenti...................................................................................... pag.79 5.5. Normativa ECE 22/05 e Test di verifica finale ......................................................... pag.80 II CONCLUSIONI ............................................................................................................. pag.87 RINGRAZIAMENTI ....................................................................................................... pag.89 BIBLIOGRAFIA ............................................................................................................ pag.91 WEBGRAFIA ................................................................................................................ pag.93 III SOMMARIO Lo scopo di questa tesi di laurea è di esaminare lo stato attuale relativo allo studio del sistema di sicurezza casco con l’obbiettivo di formulare una metodologia per la selezione dei materiali e la produzione di base dei caschi da moto. La trattazione parte dallo studio anatomico del cranio e delle ossa ad esso associate, per proseguire con l’analisi delle lesioni, conseguenti ad un incidente motociclistico, in relazione alle principali tipologie di urto. A partire dalle conoscenze di base della biomeccanica degli impatti, secondo metodi empirici basati sullo studio delle accelerazioni in gioco, vengono poi estrapolati i principali criteri utilizzati come fattori predittivi di lesione per gli standard di progettazione del sistema casco. Prima di entrare nello studio di soluzioni semplificate per la progettazione e la selezione dei materiali sono stati esaminati i principali componenti del sistema casco e le loro relative caratteristiche. Il sistema casco deve essere progettato per fornire all’utente un sistema di protezione che soddisfi i requisiti di sicurezza imposti dalle normative e i requisisti di funzionalità per un utilizzo nel tempo. Viene quindi affrontato in questa trattazione un metodo di calcolo basato sulla teoria di assorbimento dell’energia per la progettazione di packaging, tale metodo viene rivisto e modificato per far fronte ai requisiti di progettazione del casco da motociclista. In relazione alle considerazioni tecniche e funzionali sviluppate sono stati approfonditi e studiati i materiali e gli aspetti produttivi dei seguenti componenti fondamentali del sistema casco: la calotta esterna e la calotta interna. Per concludere sono state raccolte e analizzate le variabili più significative per la selezione dei materiali del sistema casco e per la formulazione di una metodologia di scelta dei componenti in relazione alle caratteristiche richieste. 1 2 INTRODUZIONE Lo scopo di questa tesi di laurea è lo studio degli aspetti più significativi del sistema di sicurezza casco in ambito motociclistico, al fine di formulare una metodologia per la selezione dei materiali e la produzione di base dei caschi. Il casco è un sistema di sicurezza progettato e costruito per assorbire, in caso di impatto, la maggior quantità possibile di energia con lo scopo di proteggere la testa dell’utilizzatore. In generale il sistema casco è composto principalmente dai seguenti componenti: calotta esterna, calotta interna, visiera, cinturino, imbottitura e sistemi di aereazione. Per progettare un casco funzionale è importante analizzare a fondo la struttura del sistema casco e in particolare alcuni suoi componenti: la calotta esterna e la calotta interna. Sostanzialmente la funzione della calotta interna è di assorbire la maggior parte dell’energia d’impatto; mentre la calotta esterna ha la funzione di guscio, per resistere alla penetrazione di corpi estranei, e la funzione di distribuire il carico di impatto su una più ampia area di superficie aumentando così la capacità di assorbimento dell’energia della calotta interna. Nel primo capitolo di questa trattazione si parte dallo studio anatomico del cranio e delle ossa ad esso associate al fine di comprendere le principali tipologie di lesione conseguenti ad un incidente motociclistico. La biomeccanica degli impatti studia il movimento del corpo umano e le lesioni conseguenti a forze ed accelerazioni violente agenti sui vari segmenti di corpo, quindi a partire da queste conoscenze di base, secondo metodi empirici basati sullo studio delle accelerazioni in gioco, vengono estrapolati i principali criteri di lesione utilizzati come standard di progettazione del sistema casco. Nel secondo capitolo sono state approfondite le caratteristiche principali e i vari aspetti funzionali dei componenti e della struttura del sistema casco con l’obbiettivo di chiarirne ogni aspetto prima di entrare nello studio di soluzioni per la progettazione e la selezione dei materiali. Nel terzo capito di questa trattazione viene elaborato un metodo semplificativo di calcolo basato sulla teoria di assorbimento dell’energia per la progettazione di packaging, con le necessarie revisioni e modifiche per far fronte ai requisiti di progettazione del casco da motociclista. Tali requisiti sono vincolati dagli standard di 3 sicurezza imposti dalle normative e dai requisiti di funzionalità per un utilizzo nel tempo. Nel quarto capitolo in relazione alle considerazioni tecniche e funzionali sviluppate nei precedenti capitoli sono stati approfonditi e studiati i materiali maggiormente utilizzati per la produzione dei seguenti componenti del sistema casco: la calotta esterna e la calotta interna. Quindi sono stati presi in considerazione diversi materiali polimerici e compositi a analizzati secondo i seguenti criteri di scelta: proprietà chimico-fisiche, proprietà meccaniche, proprietà tecnologiche e analisi dei costi. Nel quinto capitolo di questa trattazione sulla base delle ricerche svolte e dei dati acquisiti presso una azienda leader del settore, la MAVET S.r.l., sono descritti il processo produttivo del sistema casco e i test di verifica finale necessari per l’omologazione secondo la vigente normativa ECE 22/05. In questa tesi di laurea sono state quindi raccolte e analizzate le variabili più significative del sistema di sicurezza casco, allo scopo di approfondire la conoscenza di tale sistema e di formulare un metodologia per la scelta dei diversi materiali in relazione agli specifici criteri considerati. 4 CAPITOLO 1 Biomeccanica degli impatti nei fenomeni d’urto 1. Aspetti biomeccanici nei fenomeni d’urto La biomeccanica degli impatti studia il movimento del corpo umano e le lesioni conseguenti a forze ed accelerazioni violente agenti sui vari segmenti di corpo, tipiche durante gli incidenti stradali ed aerei. Tale branca della biomeccanica è il punto di partenza della sicurezza passiva, ovvero della ricerca dei metodi per ridurre le lesioni durante l’incidente di un mezzo di trasporto. Una cognizione approssimativa della biomeccanica degli impatti è implicita, e consiste nel riconoscere che l’urto di una parte del corpo contro superfici piccole e rigide può generare dei traumi, in parte dovuti a concentrazione degli sforzi, mentre superfici ampie e morbide distribuiscono e riducono lo sforzo, con conseguenze meno dannose. Lo studio della biomeccanica degli impatti ha origine intorno agli anni ’20 in America, dove il pilota ed ingegnere Hugh DeHaven, dopo esser sopravvissuto ad un grave incidente aereo, ha iniziato a studiare i meccanismi di lesione durante gli urti. Una delle sue pubblicazioni più importanti rimane un resoconto di alcune cadute libere da altezze considerevoli (da 17m a 96m), ben documentate, in cui le vittime sono straordinariamente sopravvissute cadendo su elementi deformabili quali tetti in legno, terreni dissodati e automobili. Nota la velocità all’impatto e l’impronta di caduta, DeHaven ha stimato l’ordine di grandezza dell’accelerazione a cui sono stati sottoposti i corpi, delineando un primo approccio al problema della tollerabilità umana nei confronti delle accelerazioni. Iniziarono così i primi studi sulla sicurezza passiva dei velivoli e dei veicoli, ma furono per lo più casi isolati, anche perché né il traffico aereo né quello stradale di allora giustificavano un’attività di ricerca intensa. Dopo la Seconda Guerra Mondiale inizia il periodo sperimentale su primati vivi, su cadaveri umani e su volontari umani. La sperimentazione è tuttora in corso e 5 ovviamente i volontari vengono sottoposti a sollecitazioni ben lontane dalla soglia della tollerabilità. Un grosso contributo alla ricerca è stato fornito da John Paul Stapp il quale, grazie a studi sperimentali svolti su se stesso, ha dimostrato che l’intero corpo umano è in grado di tollerare accelerazioni fino a 30g per 0.5s, con lesioni lievi e reversibili ai tessuti molli, mentre a 45g già si corre il rischio di emorragie interne ed altre lesioni gravi. I risultati degli studi ottenuti fino ad ora sulla risposta del corpo umano alle sollecitazioni violente e sulla statistica degli incidenti stradali ed aeronautici ha permesso di elevare il grado di sicurezza passiva dei mezzi di trasporto, con l’introduzione di nuovi criteri di progetto, dispositivi e normative. In questa trattazione viene esaminata la dinamica degli impatti relativa al sistema motociclo. In particolare vengono analizzate l’anatomia e le lesioni del cranio e delle ossa ad esso associate, per poi studiare la progettazione e la produzione del sistema casco atto a proteggere tali strutture. 1.1. Apparato scheletrico: cranio e ossa associate L'apparato scheletrico comprende tutte le ossa del corpo umano, più le articolazioni che si formano nel contatto reciproco delle ossa stesse, e ha come principale funzione quella di sostegno del corpo e di protezione degli organi interni. L’apparato scheletrico può essere suddiviso in scheletro assile, scheletro appendicolare e articolazioni: • Lo scheletro assile sostiene le parti sull’asse principale del corpo ed è formato dalle ossa del cranio, del torace e della colonna vertebrale. • Lo scheletro appendicolare costituisce e sostiene gli arti, e li unisce al resto del corpo. È composto dalla parte libera degli arti e i cingoli toracico e pelvico che connettono gli arti al tronco. • Le articolazioni sono dispositivi giunzionali tra capi ossei, interconnessi tramite i tessuti connettivi come i segmenti cartilaginei e i legamenti. 6 La funzione dello scheletro assile è quella di creare una struttura che sostiene e protegge gli organi nella cavità dorsale e ventrale del corpo. In esso sono protetti organi speciali di senso per il gusto, il tatto, l’udito, l’equilibrio e la vista. Inoltre, esso fornisce un’ampia superficie per l’inserzione di muscoli che regolano la posizione della testa, del collo, del tronco e stabilizzano o posizionano strutture dello scheletro appendicolare. In relazione alla specifica funzione del sistema casco, particolare attenzione deve essere data al cranio e alle ossa ad esso associate. Figura 1.0 Sezione cranio Il cranio costituisce una scatola solida che racchiude e protegge il cervello, il cervelletto ed il tronco encefalico e le parti iniziali del sistema digerente e respiratorio. Il cranio si suddivide principalmente in due parti: • Neurocranio: costituito da ossa che racchiudono e proteggono il cervello, il cervelletto ed il tronco encefalico. • Splancnocranio: costituito da ossa che proteggono e sostengono le parti iniziali delle vie digerenti e respiratore, è anche detto complesso facciale. Il neurocranio è formato dalle ossa occipitale, parietali, frontale, temporali, sfenoide ed etmoide che, insieme, delimitano la cavità cranica, camera contenente un liquido che ammortizza e sostiene l’encefalo. 7 I vari vasi sanguigni, nervi e membrane che stabilizzano la posizione dell’encefalo si inseriscono sulla superficie interna del cranio; mentre la superficie esterna fornisce un’ampia area per l’inserzione di muscoli che determinano il movimento della testa e controllano le espressioni del viso e assistono nella masticazione. Le articolazioni tra le ossa del cranio sono immobili, e sono definite suture. A livello di una sutura, le ossa sono saldamente unite per mezzo di tessuto connettivo denso fibroso. Il cranio e le ossa ad esso associate, in quanto sono sede di organi e tessuti fondamentali per la funzionalità dell’organismo, rivestono quindi un ruolo di vitale importanza nel corpo umano. 1.2. Lesioni Il motociclista incidentato riporta in genere lesioni multiple per contatti contro diversi corpi esterni: la motocicletta stessa durante il distacco, l’eventuale autoveicolo coinvolto, la superficie stradale, le barriere laterali, i pali, i pedoni, le auto parcheggiate. L’associazione tra le lesioni da incidente motociclistico e le principali tipologie di urto è trattazione di uno studio del Centro Interdipartimentale di Studi e Ricerche sulla Sicurezza (CIRSS) dell’università di Pavia, in cui sono stati analizzati una casistica di 1000 incidenti sulla base del database internazionale dello studio MAIDS (Motorcycle Accident in Depth Survey). Ciascun incidente oggetto dell’indagine è stato analizzato attraverso la disamina lesiva traumatica derivata del sinistro e ad esso attribuibile in termini di specifici correlati lesivi e mediante l’applicazione della cosiddetta “criteriologia medico-legale”, specificatamente finalizzata alla verifica della sussistenza di un nesso di causalità diretta tra dinamica dell’incidente e tipologia di lesioni. A tal fine, dai dati dello studio MAIDS sono state estrapolate, e quindi sottoposte a un’analisi ad hoc, le seguenti variabili: tipologia di urto, tipologia lesiva, sede delle lesioni, gravità delle lesioni e velocità di impatto. Similmente le tipologie lesive più ricorrenti sono state accorpate in tre macro categorie: contusioni-escoriazioni, fratture-emorragie ed emorragie interne; mentre per la codifica della gravità delle lesioni si è fatto ricorso al sistema di classificazione AIS (Abbreviated Injury Scale). 8 Di seguito sono riportate le tabelle comprensive dei risultati ottenuti dallo studio del campione considerato di incidenti. Tabella 1.1: Frequenza della sede della lesione per tipologia delle lesioni. Sede lesioni Tipologia lesioni Arti Tronco Contusioni- 57 102 77 95 331 Escoriazioni 54,8% 77,9% 78,6% 68,8% 70,3% 44 20 20 43 127 42,3% 15,3% 20,4% 31,2% 27,0% 3 9 1 / 13 2,9% 6,9% 1,0% / 2,8% 104 131 98 138 471 100% 100% 100% 100% 100% Fratture-Emorragie Emorragie interne Totale superiori Arti inferiori Totale Cranio Tabella 1.2: Frequenza della tipologia di urto per la sede delle lesioni. Sede lesioni Tipologia d’urto Fronto- Totale Laterale Tamponamento A solo Misti 57 13 18 12 4 104 21,2% 24,1% 22,2% 23,1% 26,7% 22,1% 71 16 25 14 5 131 26,4% 29,6% 30,9% 26,9% 33,3% 27,8% Arti 56 11 16 12 3 98 superiori 20,8% 20,4% 19,8% 23,1% 20,0% 20,8% Arti 85 14 22 14 3 138 inferiori 31,6% 25,9% 27,2% 26,9% 20,0% 29,3% 269 54 81 52 15 471 100% 100% 100% 100% 100% 100% Cranio Tronco Totale laterale 9 Tabella 1.3: Frequenza della sede della lesioni per la velocità di impatto. Sede lesioni Cranio Tronco Arti superiori Arti inferiori Totale Velocità di impatto <50 km/h >50 km/h Totale 89 10 99 22,6% 18,5% 22,1% 106 18 124 26,9% 33,3% 27,7% 82 11 93 20,8% 20,4% 20,8% 117 15 132 29,7% 27,8% 29,5% 394 54 448 100% 100% 100% Tabella 1.4: Frequenza della tipologia delle lesioni per la velocità di impatto. Tipologia lesioni Velocità di impatto <50 km/h >50 km/h Totale Contusioni- 287 30 317 Escoriazioni 72,8% 55,6% 70,8% 100 20 120 25,4% 37,0% 26,8% 7 4 11 1,8% 7,4% 2,5% 394 54 448 100% 100% 100% Fratture-Emorragie Emorragie interne Totale Secondo i risultati dello studio svolto da CIRSS, analizzando la frequenza della sede di lesione per tipologia lesiva, si evince che la regione cranica e gli arti inferiori sono i distretti più interessati da fratture ed emorragie, mentre il tronco è più spesso sede di lesioni di tipo contusivo-escoriativo e, in misura minore di emorragie interne. 10 1.2.1. Frattura del cranio e lesioni cerebrali Il trauma cranico può essere generalmente definito come un danno temporaneo o permanente di uno o più componenti del cranio e del sistema cerebrale in seguito ad un colpo alla testa. In generale sotto la voce trauma cranico possono essere raggruppate quattro categorie, come i danni al cuoio capelluto, la frattura del cranio, le lesioni cerebrali e le lesioni al collo. Per la progettazione del sistema casco, e quindi per garantire la protezione e la sicurezza del motociclista si analizzano nel particolare solo due delle voci raggruppate come trauma cranico, cioè quelle aventi la maggior rilevanza: la frattura del cranio e la lesione cerebrale. 1.2.1.1. Figura 1.1 Frattura del cranio Conformazione ossea del cranio La frattura del cranio non è considerata come il principale criterio per gli studi di impatto del sistema casco, a causa del fatto che il danno cerebrale da accelerazione è 11 sicuramente di natura ben più rilevante e in genere si presenta prima che il carico di impatto vada a provocare una frattura delle ossa craniche. Tuttavia, secondo le normative per la sicurezza del sistema casco vengono previsti lo stesso dei test di penetrazione delle calotte, dove il carico localizzato che potrebbe essere considerato idoneo alla frattura del cranio dipende dalla geometria del dispositivo di penetrazione e dallo spessore del cranio nel sito di impatto. In particolare si può notare che già di per se il cranio svolge la funzione di assorbimento dell’energia come meccanismo naturale, infatti la creazione di qualche piccola frattura del cranio non causa lesioni cerebrali e quindi la sua presenza è proprio mirata a proteggere la zona cerebrale. Nel corso di un vero e proprio incidente, la frattura del cranio può essere causata dall’impatto con un oggetto rigido che può penetrare il cranio, come ad esempio un segnale stradale, il ramo di un albero, un componente della moto, ecc.. Quindi, a seconda del grado di copertura del casco, la calotta esterna può impedire tale penetrazione attraverso la diffusione della forza applicata alla testa. Proprio questo è il compito principale della calotta esterna ed è il motivo per cui vengono effettuati i test di penetrazione secondo la normativa vigente. Secondo le prove di penetrazione effettuate risulta che il lato del cranio rappresenta l’area più debole per quanto riguarda la tolleranza a frattura, e ciò è dovuto al ridotto spessore di osso presente in quella zona. 1.2.1.2. Lesioni cerebrali Le forze che agiscono sul cervello durante una lesione producono movimenti, deformazioni e lesioni complesse. Per definire le lesioni cerebrali si usa generalmente la sigla TBI (Traumatic Brain Injury). Per TBI si intende quindi qualsiasi danno che va a compromettere la funzionalità del cervello e risultante da una lesione senza contatto Figura 1.2 12 Sezione cranio – Vista cervello diretto, cioè che avviene senza una penetrazione meccanica del cranio. La lesione viene quindi considerata come prodotta da una accelerazione della testa trasmessa attraverso il collo a seguito di un movimento generale del corpo. Questo approccio non può funzionare bene per la trattazione degli incidenti in moto, perché il motocilista non si muove effettivamente con un unico corpo libero durante l’impatto e inoltre il collo funziona come un giunto che consente movimenti relativi tra la testa e il resto del corpo. E quindi necessario esaminare un altro indice per la valutazione delle lesioni cerebrali che vada effettivamente a considerare la classe di lesione conseguenza di condizioni di carico distribuite che generalmente inducono danni a bassa energia ma interessando volumi considerevoli. Questa è esattamente la situazione che si verifica durante un impatto generico del sistema casco, in cui la calotta esterna e la calotta interna vanno a distribuire il carico su un’area della testa più grande possibile in modo da ridurne l’effetto. Allora detto questo l’indice più corretto per l’analisi del sistrema casco è il danno assonale diffuso, denominato DAI (Diffuse Axonal Injury). Il DAI è un insieme di lesioni focali nelle componenti assonale della struttura neurale, ed in generale è il danno che si verifica nel più dei 50% dei casi di lesioni alla testa. Il danno assonale diffuso va a considerare ogni tipo di lesione da impatto o da movimento del cervello rispetto alla cavità cranica che si verifica nelle regioni localizzate del cervello. Quindi il DAI è un parametro fondamentale nella biomeccanica del sistema casco, e per le considerazione che riguardano il tipo di danno in relazione alle forze di impatto o alle accellerazioni subite, e fornisce una ottima base per il miglioramento dei procedimenti progettuali del sistema casco. 1.2.1.3. Lesioni al rachide cervicale Il tratto cervicale della colonna vertebrale è una sorta di trave segmentata, costituita da sette vertebre di cui le cinque inferiori strutturalmente identiche tra loro. La prima (atlante) e la seconda (asse) hanno forma molto differente e sono fuse insieme. Le vertebre sono legate da fasci di legamenti e distanziate tra loro dai dischi intervertebrali. 13 La grande importanza dei traumi alle vertebre cervicali è dovuta al fatto che all’interno di esse si trova il midollo spinale e da esse si dipartono i plessi nervosi degli arti superiori e della respirazione. Le lesioni al rachide cervicale possono essere causate dalle varie azioni interne di trazione, compressione, flessione, estensione, flessione laterale, rotazione e taglio. In particolare l’iperflessione e l’iperstensione possono causare fratture vertebrali di compressione lungo il tratto concavo della curva, le azioni di taglio possono produrre dislocazioni delle vertebre e le rotazioni della testa possono combinarsi con altri movimenti causando lesioni ai legamenti e dislocazioni. In un incidente in moto il carico sul collo generato dalla forza di contatto è generalmente una combinazione di sforzi che dipende dalla posizione del punto di contatto e quindi dalla direzione della forza. L’impatto del sistema casco genera quindi delle sollecitazioni complesse che vanno a coinvolgere e influenzare in maniera attiva anche il tratto della rachide cervicale con la possibilità della formazione di gravi lesioni; per questo in sede di progettazione, se pur secondariamente rispetto ai traumi cerebrali, viene considerato l’effetto secondario sul tratto del rachide cervicale. 1.3. Criteri di lesione I criteri di tolleranza alle lesioni derivano dall’analisi di metodi empirici basati sullo studio delle accelerazioni in gioco. Questi metodi cercano di mettere in relazione le lesioni alla testa ad un singolo parametro che può essere misurato e utilizzato più facilmente dai ricercatori e progettisti che si occupano del sistema di protezione casco. Sono stati studiati diversi fattori predittivi di lesioni acceleration-based. I più usarti per gli standard di progettazione del casco sono: l’accelerazione lineare di picco (PLA) e i criteri di lesione alla testa (HIC). Una descrizione di questi due parametri viene riportata nei prossimi paragrafi con l’inclusione degli altri predditori come informazione complementare. 14 1.3.1. Accelerazione lineare di picco (PLA): Il PLA è fondamentalmente il valore massimo dell’accelerazione misurato nel centro di gravità di una falsa testa durante un impatto. Di solito si definisce come un numero moltiplicato per il valore dell’accelerazione di gravità costante g, e in particolare in campo stradale per il sistema casco il limite prescritto massimo di accelerazione lineare di picco è pari a 275g. 1.3.2. Criterio di lesione alla testa (HIC): Questo criterio è stato evoluto a partire dalla curva di accelerazione di Wayne ed è basato sul un’elaborazione risultante dal baricentro della falsa testa secondo la seguente formula: 2,5 𝑡2 1 � 𝑎(𝑡) 𝑑𝑡� 𝐻𝐼𝐶 = max �� 𝑡2 − 𝑡1 𝑡1 (𝑡2 − 𝑡1 )� Dove a(t) è appunto l’accelerazione della testa espressa in g e t1 e t2 i due istanti durante l’acquisizione che massimizzano l’espressione. In particolare in campo stradale per il sistema casco il limite prescritto massimo di criterio di lesione alla testa è pari a HIC<2400. Per definire meglio e in modo più ampio il concetto di HIC si può dire che la testa è in grado di sopportare accelerazioni elevate purché presenti per brevi istanti e l’eventuale esposizione al di sopra della curva di Wayne è pregiudizievole. Se questa curva viene tracciata in modo logaritmico, cioè secondo l’approccio utilizzato da Gad, diventa una retta di pendenza -2.5, ed è questo il metodo utilizzato per trovare l’indice di gravità Gadd (GSI), definito come: 𝐺𝑆𝐼 = � 𝑎2,5 𝑑𝑡 Dove a è l’accelerazione istantanea della testa. In un ulteriore sviluppo a partire da questa formulazione si va a considerare una forma modificata del GSI per andare ad identificare la parte più dannosa dell’impulso di accelerazione e quindi trovando il massimo di tale funzione. Questa è la procedura utilizzata per ricavare l’attuale formulazione del criterio di lesione alla testa (HIC) sopra riportato. In seguito grazi agli studi sperimentali svolti si è anche sviluppato un metodo per la previsione del danno alla testa in base a leggi di probabilità. Questo criterio è 15 ampiamente utilizzato nei test di sicurezza automobilistica e per la valutazione dei dispositivi di protezione per la testa. La tabella 1.5 sotto riportata mostra lo sviluppo della valutazione dei criteri di impatto alla testa, fino ad arrivare alla formulazione attualmente utilizzata di HIC_d riferita all’impatto di una falsa testa ibrida di tipo III. Tabella 1.5: Sviluppo del criterio di lesione alla testa HIC. Come recensito da Hopes e Chinn nell’articolo “Helmets: a new look at design and possible protection” discusso nella durante il Conference International Research Council on the Biomechanics of Impact l’uso del criterio HIC è corretto per la valutazione, in caso di impatto, di urti con assorbimento dei dispositivi di sicurezza in cui la morte si verifica frequentemente senza collasso cranico. Infatti come descritto precedentemente nella sezione riguardante le lesioni craniche, si ha che il danno vascolare al cervello si può verificare prima della formazione di una frattura ossea nel cranio e quindi il criterio HIC come si può vedere nella figura 1.5 va giustamente a considerare come limite le lesioni cerebrali e non la resistenza a frattura del cranio che come si può notare in alcuni casi è al di sopra del valore limite di HIC. Figura 1.5: Relazione tra HIC misurato e il verificarsi di danni vascolari al cervello o fratture craniche. 16 In conclusione a questi due criteri, possiamo dire che nella maggior parte delle normative riguardanti il sistema casco il PLA viene utilizzato come criterio di test delle prestazioni, mentre l’HIC è indirettamente utilizzato solo nello standard federale di sicurezza dei veicoli a motore (FMVSS). La ragione per preferire il PLA sul HIC da parte dei produttori di caschi e di chi esegue i test è dovuta alla buona correlazione tra i valori di accelerazione di picco e l’HIC sulla scala temporale di impatto casco (1-10 ms). Infatti la scelta del criterio PLA semplifica la misurazione dell’accelerazione di picco rispetto allo sviluppo più recente del HIC, considerando l’accelerazione lineare misurata da un accelerometro triassiale posizionato vicino al centro di gravità della falsa-testa. L’HIC è invece più popolare tra i ricercatori biomeccanici perché coinvolge non solo il picco di accelerazione ma anche la distribuzione e la durata dell’accelerazione nel momento di impatto. 1.3.3. Accelerazione rotazionale del cervello: In funzione del danno assonale diffuso (DAI) particolare importanza ha la componente di accelerazione rotazionale generata da un impatto della testa. Figura 1.6: Livelli di tolleranza per danno vascolare (linee continue) e per commozione cerebrale (linee tratteggiate). 17 Come rappresentato in figura 1.6, utilizzando modelli matematici e analisi di incidenti e possibile valutare la tolleranza del cervello umano all’accelerazione angolare. Si è dimostrato che per produrre una lesione è necessario superare sia un valore di accelerazione angolare critica, sia un valore di velocità angolare. In altre parole, l’accelerazione angolare deve essere applicata abbastanza a lungo per raggiungere una velocità angolare critica tale da provocare un eccessivo spostamento relativo tra il cervello e il cranio. Si può osservare che nessun asse di rotazione è specificato, ma è evidente dalla complessa anatomia del cervello e dalla sua anisotropia, che le differenze variano in base al sito della lesione, e quindi, anche il livello di tollerabilità, il tutto dipende dall’asse su cui il cranio è ruotato. Vengono in genere rilevate una famiglia di curve di tolleranza previste per i tre assi di rotazione e per i tre assi di maggiore accelerazione lineare. Per semplificare i risultati, che risultano essere complessi in funzione delle due variabili di accelerazione lineare e di rotazione, si considera un singolo parametro che unisce entrambi gli effetti detto AIS (Abbreviated injury severity). L’AIS è un indice ottenuto attraverso un approccio statico, ed è classificato secondo la gravità dell’infortunio come riportato nella seguente tabella. Tabella 1.6: Abbreviated injury score. Durante la progettazione del sistema casco bisogna quindi anche prestare attenzione alle componenti che possono portare alla formazione di un danno assonale diffuso 18 (DAI), ed andare ad agire con delle misure atte a ridurre le accelerazioni lineari in gioco in modo tale da non superare un valore AIS pari a 3. 1.3.4. Tolleranza lesioni al collo Per il collo i limiti sono in termini di azioni interne massime, questo a causa dei molti meccanismi di giudizio e dei diversi livelli di gravità delle lesioni, che vanno dai danni al midollo spinale fino alle lievi ferite ai tessuti molli. Nella figura 1.7 sono rappresentati i grafici per l’individuazione delle tensioni limiti ammissibili per il rachide cervicale in funzione della variabile tempo di esposizione al carico. Da grafici come questi si può quindi ricavare il valore limite per tipo di sollecitazione. Figura 1.7: Tolleranza lesioni al collo per sforzi di trazione (in alto) e per sforzi di taglio (in basso). 19 1.3.5. Metodi analitici di tolleranza delle lesioni I criteri di lesione precedentemente visti possono essere considerati più come metodo empirico, piuttosto che analitico. Tuttavia, con il recente aumento della potenza dei computer e gli sviluppi della tecnologia di calcolo, in particolare nei metodi agli elementi finiti (FEM), sono stati sviluppati una serie di più avanzati modelli di testa umana. Questo ha permesso un’ulteriore accurata previsione del danno cerebrale, grazie ad una analisi computazionale basata sui nuovi indici analitici, pur sempre in relazione agli accertamenti medici osservati nel caso di reali incidenti. Figura 1.8: Sintesi dei predditori di lesione alla testa empirici ed analitici Principalmente, come descritto in figura 1.8, come predditori analitici, vengono utilizzati tre indici: • Tolleranza del cervello alla pressione applicata (ABP): basato sull’uso biomeccanico di un modello di testa cranio-cervello. • Brain Von-Mises shear stress (VMSS): presuppone che sia la sollecitazione di taglio e non la pressione a provocare danni cerebrali. • Cumulative strain damage measure (CSDM): si basa sulla tecnica di modellazione ad elementi finiti del cranio e del cervello, e permette di quantificare il danno assonale diffuso dovuto a sforzi meccanici. Pertanto, misura un danno cumulativo, basato sul calcolo della frazione di volume del cervello che ha sperimentato un livello specifico di stiramento. La misura è basata sulla massima deformazione principale calcolata dal tensore di deformazione, ed è usata per valutare gli effetti relativi di accelerazioni 20 rotazionali e traslazionali nel piano sagittale e coronale, per lo studio dello sviluppo del danno di ceppo nel cervello. Il punto interessante di questo metodo è che mette in relazione i predditori di lesione al cervello con il tipo di danno DAI, che è in genere il più atteso nel caso di impatto del sistema casco. A partire da questi indici è possibile sviluppare dei modelli computazionali (Figura 1.9) del sistema cranio-cervello, in modo tale da poter migliorare ulteriormente i modelli previsionali di lesioni per una ancor più precisa progettazione del sistema casco. Figura 1.9: Evoluzione dell’analisi FEM per i modelli di testa umana 21 22 CAPITOLO 2 Componenti e struttura del sistema casco 2. Il sistema casco Figura 2.1 Sistema casco Nei prima anni ’80 in Italia l’uso del casco non era obbligatorio, anzi era praticamente sconosciuto. In seguito alla legge approvata nel 1986 che sanciva l’obbligo d’uso per conducenti e trasportati di moto e scooter il sistema casco ebbe un grande diffusione con effetti importanti. Un apposito studio, condotto prima e dopo l’introduzione della legge, svolto dall’Istituto Superiore di Sanità, mostro che su un campione di 200 centri di osservazione, distribuiti sul territorio nazionale (circa 1.500.000 utenti osservati), si notava una 23 significativa riduzione delle lesioni al capo negli utenti delle due ruote, quantificabile come segue: • Riduzione accessi al Pronto Soccorso: - 48,6%; • Riduzione dei ricoveri: -50%; • Riduzione delle prognosi riservate: -50%. Un successivo studio, elaborato sempre dall’Istituto Superiore di Sanità di Roma e dal Ministero delle Infrastrutture nei primi anni 2000, ha dimostrato che indossare il casco riduce gli infortuni alla testa e i decessi legati agli incidenti in moto. In particolare si riduce il rischio e la gravità degli incidenti di circa il 70%, e la probabilità di morte di circa il 40%. Ulteriori risultati ottenuti da vari istituti di ricerca mondiali, secondo una meta-analisi dell’ISS, indicano per il sistema casco la presenza di una protezione relativa mediana intorno a 0.469; il che sostanzialmente equivale a dire che il casco dimezza il rischio di incorrere in un trauma cranico. Il casco è un sistema di sicurezza progettato e costruito per assorbire, in caso di impatto, la maggior quantità possibile di energia. E’ necessario che il sistema casco assorba energia, perché in caso contrario la stessa verrebbe assorbita dalla testa dell’utilizzatore, con le conseguenze precedentemente ben evidenziate. Si parla quindi di “sistema” di sicurezza perché il casco è composto da molti componenti tutti importanti e tutti essenziali per garantire il funzionamento corretto del casco stesso. Il casco in base alla sua conformazione geometrica e modularità può essere diviso in alcune tipologie principali: • Integrale → E’ la tipologia che offre il più alto grado di protezione, infatti protegge tutta la testa compresa la nuca e presenta una spessa visiera mobile. • Jet → Rispetto al casco integrale sono sprovvisti della parte più anteriore della mentoniera, quindi hanno una struttura che si allunga e protegge le guance. • Modulare apribile → Sono caschi integrali con la mentoniera che può essere asportata o ribaltata, per ottenere maggiore comodità e ampliare il campo visivo. In generale comunque il sistema casco è composto principalmente dai seguenti componenti: calotta esterna, calotta interna, visiera, cinturino, imbottitura e sistemi di aereazione. 24 2.1. Calotta esterna Figura 2.2 Calotta esterna La calotta esterna serve come prima barriera contro gli urti. Questa calotta non assorbe energia, ma ha la funzione di ridistribuirla su tutta la sua superfice in modo tale da eliminare la concentrazione di sforzi in punti localizzati. Altro compito fondamentale della calotta esterna è quello di involucro contenitivo e di protezione per gli altri componenti del casco. La calotta esterna può essere prodotta a seconda delle esigenze in fibre composite o in materiale plastico. Una calotta in fibre composite può essere in materiale mono-composito (fibra di vetro), bi-composito (fibra di vetro e fibra di carbonio / fibra di vetro e fibra aramidica) o tricomposito (fibra di vetro, fibra di carbonio e fibra aramidica), e queste fibre vengono amalgamate e rese solide grazie all’utilizzo di speciali resine epossidiche. Una calotta in materiale plastico in genere è prodotta per stampaggio in ABS, e solo nel caso in cui sia necessario elevare le prestazioni per motivi progettuali o di omologazione, viene utilizzato il policarbonato. Il policarbonato ha migliori caratteristiche di assorbimento degli urti ma risulta essere anche molto più costoso. In seguito verranno analizzati nello specifico sia i vari materiali che il loro processo produttivo. 25 2.2. Calotta interna Figura 2.3 Calotta interna La calotta interna può essere considerata come l’anima del casco. E’ solitamente stampata in polimeri espansi ed ha il compito di deformarsi durante gli urti, disperdendo dunque l’energia cinetica che altrimenti andrebbe a scaricarsi sulla testa di chi indossa il casco. Nei moderni caschi la calotta in materiale espanso è stampata con diverse densità, in modo tale da avere una densità variabile a seconda delle zone. In questo modo sarà possibile andar a creare delle zone più rigide, o, più morbide ed elastiche, a seconda del punto che si va a considerare, questo in funzione dei criteri di lesione e dei requisiti di progettazione. Il connubio tra la calotta interna e la calotta esterna è determinante ai fini della sicurezza e del superamento delle prove omologative. Ad esempio, a fronte di una calotta esterna molto rigida verrà utilizzato un polistirolo interno di densità bassa. All’opposto nel caso di una calotta esterna non molto rigida verrà abbinata una calotta interna di polistirolo ad alta densità. Quindi nel caso di calotte esterne stampate in fibre composite, dove solitamente si utilizzano vari tipi di tessuti, si avranno calotte interne con densità differenziate proprio a seconda dalle rigidità o meno dei tessuti impiegati. E’ molto importante poi che la calotta in polimeri espansi combaci poi il più possibile con quella esterna e che non vi sia spazio tra le due calotte, cioè esse devono essere solidali per poter assorbire al meglio l’energia generata da un impatto. 26 La calotta interna in seguito ad un urto si danneggia, cioè si ha che nell’area dell’impatto lo spessore della calotta sarà minore, ed in alcuni casi si potranno anche riscontrare crepe o rotture. Il danneggiamento della calotta è dovuto alle caratteristiche proprie del polistirolo di cui essa è composta, infatti esso non ha “memoria”. Vale a dire che in caso di urto, tende ad assorbire l’energia, restringendosi e compattandosi, ma non ritorna alle dimensioni originarie. Per questo in seguito ad impatto del sistema casco, quest’ultimo va fatto revisionare e se necessario sostituito. La calotta interna è inoltre sottoposta a deperimento dovuto gli agenti esterni ed interni, come gli sbalzi di temperatura, l’umidita e le variazioni di PH. Quindi a causa di questi agenti è necessario stabilire una vita utile del casco, in genere essa non deve mai esser superiore ai 5 anni. In seguito verrà analizzato nello specifico il processo produttivo della calotta interna. 2.3. Visiera La visiera è un altro componente importante del sistema casco, necessario per garantire la massima sicurezza del motociclista. Le principali caratteristiche che una visiera per caschi ad uso motociclistico deve quindi avere sono la resistenza all’abrasione, agli urti e una geometria che garantisca una buona visibilità Figura 2.4 Visiera al guidatore. La visiera è realizzata in policarbonato trasparente, e può essere prodotta in due modi: per stampaggio o in termoformatura. Nel primo caso viene realizzato uno stampo in acciaio nel quale poi verrà iniettato il PC trasparente. Nel secondo caso, si parte da una lastra, sempre in PC trasparente, che viene dapprima tranciata secondo la forma che si vuole dare alla visiera stessa e successivamente termoformata per ottenerne la giusta curvatura. Lo spessore delle visiere comunemente utilizzate varia da due a tre millimetri, e la normativa di omologazione Europea richiede che tutte debbano essere trattare 27 antigraffio, per evitare che si danneggino facilmente e che pregiudichino la necessaria visibilità. 2.4. Cinturino: Figura 2.5 Cinturino Un altro componente molto importante del sistema casco è il cinturino. E’ un sistema di ritenzione che evita lo scalzamento del casco, cioè ha il compito di assicurare il casco alla testa dell’utilizzatore, non solo durante la guida, ma soprattutto in caso di caduta. Il cinturino è costituito da due nastri solitamente prodotti in poliestere. Ad una estremità del nastro viene cucita una maggetta per poter fissare il cinturino alla calotta, mentre all’altra estremità si cuce la parte maschio o femmina della chiusura. La chiusura deve esser azionabile sia per l’allacciamento che per l’apertura, e può essere di diverso tipo: ad anello, a scatto o micrometrica. I nastri utilizzati invece possono essere piatti o tubolari appiattiti, di larghezza 2,5 cm. Il nastro tubolare piatto è più robusto e garantisce una miglior resistenza alla trazione. Anche il cinturino è soggetto a prove omologative che riguardano l’allungamento del nastro, lo scalamento del casco a cinturino chiuso e serrato, e la robustezza della chiusura. Queste prove garantisco che in caso di urto il sistema di ritenzione funzioni al meglio in tutti i suoi componenti, e che di conseguenza il casco rimanga solidale con la testa dell’utilizzatore. 2.5. Altri componenti: imbottitura e sistemi di aereazione L’imbottitura → Le imbottiture di comfort vanno a costituire quello che solitamente viene chiamato “l’interno” del casco. Vi sono in commercio moltissimi tipi di tessuti e di spugne, che accoppiati e cuciti in vari spessori determinano la taglia del casco. I tessuti e le spugne utilizzate sono in materiali anallergici, antibatterici e possibilmente traspiranti. 28 L’imbottitura è di essenziale importanza per la determinazione della taglia, un requisito fondamentale per la sicurezza. Un casco troppo stretto andrebbe a comprimere il capo, diventando fastidioso e utilizzabile sono per brevi periodi. Un interno troppo largo invece diventerebbe molto pericoloso in caso di caduta, dove il casco potrebbe sfilarsi. Quindi per una corretta funzionalità del sistema casco, l’interno deve fasciare la testa senza comprimerla e non deve restare spazio tra le imbottiture e la testa o le Figura 2.6 Imbottitura interna guance. Il sistema di aerazione → Il comfort del sistema casco dipende, specialmente per i caschi integrali, anche da una corretta aereazione. E’ quindi importante avere un sistema che estragga aria calda dall’interno del casco e che permetta l’ingresso di aria fresca. Vi sono molti tipi di prese d’aria o di estrattori. Alcune sfruttano l’effetto Venturi per la fuoriuscita dell’aria, altre ancora incanalano l’aria in apposite fessure tracciate sulla calotte interna. Una corretta conformazione delle prese d’aria e degli estrattori consente quindi di ottenere un maggior comfort senza la creazione di rumorosità e turbinii. Figura 2.7 Sistema di aereazione casco 29 30 CAPITOLO 3 Progettazione del sistema casco 3. Cenni di progettazione del sistema casco Per progettare un casco funzionale è importante analizzare a fondo la struttura del sistema casco, in particolare i suoi componenti principali: la calotta esterna e la calotta interna. Sostanzialmente la funzione della calotta interna è di assorbire la maggior parte dell’energia d’impatto; mentre la calotta esterna ha la funzione di guscio, per resistere alla penetrazione di corpi estranei, e la funzione di distribuire il carico di impatto su una più ampia area di materiale espanso aumentando così la capacità di assorbimento dell’energia della calotta interna. Il casco deve essere progettato per fornire all’utente un sistema di protezione che soddisfi i requisiti di sicurezza imposti dalle normative e i requisisti di funzionalità per un utilizzo nel tempo. Vengono quindi definiti dei criteri base di progettazione: • Riduzione rischio di traumi e lesioni cerebrali Global protection → Protezione aree sensibili del cranio in relazione alla biomeccanica degli impatti Shell offset → Progettazione del casco in funzione dello spessore calotte e rivestimento Shell shape → Progettazione del casco in relazione al centro di gravità anatomico della testa • Stabilità Stabilità → Progettazione in funzione di un corretto posizionamento e bloccaggio relativo tra testa e sistema casco • Comfort Leggerezza Sistema di ventilazione 31 3.1. Creazione di un modello ingegneristico Per la progettazione del sistema casco è necessario prima stabilire un modello ingegneristico di astrazione logico matematica che permetta di definire le variabili in gioco, secondo i criteri considerati. Tabella 3.1: Nomenclatura La massa totale del sistema casco, con riferimento alla nomenclatura della tabella 3.1, può essere descritta con la seguente equazione: M = Mf + Ms 32 (F3.1) Inoltre è anche possibile definire la massa della calotta interna Mf e la massa della calotta esterna Ms secondo le seguenti relazioni: Mf = qf Vf tf (F3.2) Ms = qs Vs ts (F3.3) Dalle equazioni (F3.1), (F3.2) e (F3.3) si può ottenere che la massa totale del sistema casco è funzione di densità e spessore delle calotte interna ed esterna. M = f( qf, tf, qs, ts ) (F3.4) Nelle sezioni a seguire verrà utilizzato il metodo energetico per definire il rapporto tra la forza di impatto e lo spessore e la densità delle calotte. 3.2. Calcolo della densità calotta interna Per semplificare l’analisi e la progettazione del sistema casco si effettua un approccio matematico basato sul metodo energetico. Il modello geometrico semplificativo che si assume è che il cranio umano ed il casco abbiano una sezione sferica come rappresentato nella figura 3.1. Figura 3.1 Geometria del contatto tra casco sferico e superficie stradale piane rigida 33 Inoltre in questa analisi la calotta esterna del casco si presume di rigidezza trascurabile, cioè significa che non partecipa all’assorbimento di energia durante l’urto. Conseguentemente ignorando l’effetto della calotta esterna (assorbe circa il 10-15% dell’energia di impatto) si otterrà una soluzione matematica semplificata, e conservativa da un punto di vista della sicurezza. La collisione più comune è la superficie stradale piana, che può essere trattata come un corpo rigido. Si assume che la calotta interna in materiale polimerico espanso si deformi e ceda se compressa sotto un carico di snervamento costante σy. Con riferimento alla figura 3.1, l’area di contatto tra la calotta e la superfice stradale è un cerchio di diametro 2a quando la deformazione massima della calotta è pari ad x. Applicando quindi il teorema di Pitagora al triangolo AOB si ottiene: R2 = ( R – x )2 + a2 (F3.5) Se la quantità di materiale polimerico espanso deformato x è molto minore del raggio di curvatura R della superfice esterna sferica, allora il termine x2 dell’equazione (F3.5) può essere ignorato, e l’area di contatto risulta essere data dalla seguente equazione: A=2πRx (F3.6) Quindi la forza F trasmessa dalla calotta interna è data da: F = 2 π R x σy (F3.7) L’equazione (F3.7) può essere riorganizzata come: 𝑘= 𝐹 𝑥 . (F3.8) Mediante il raggio del casco nel sito di impatto, viene scelta la densità del materiale polimerico espanso tale da dare un curva di carico, sul grafico teorico forzadeformazione (figura 3.2), con punto di progetto 15kN e 90% dello spessore del materiale espanso. 34 Figura 3.2 Grafico sforzo-deformazione per un impatto del sistema casco che mostra che l’energia di impatto deve esser assorbita senza attraversare il limite della forza di lesione o il limite di deformazione del materiale polimerico espanso Si può quindi supporre che la densità del materiale polimerico espanso e l’energia assorbita dalla calotta interna abbiano la seguente relazione: 𝐺 = 𝐶1 1 𝑞𝑓 (F3.9) Il materiale polimerico espanso della calotta interna e la sua densità sono scelti per fornire una tensione di snervamento appropriata. In generale maggiore sarà la densità del materiale polimerico espanso, maggiore sarà la σy che la calotta interna potrà sopportare. Riportando dei dati indicativi, nella tabella 3.2 sono descritte le proprietà di diversi materiali e nella figura 3.3 sono riportate le rispettive curve forza-deformazione. Tabella 3.2: Proprietà materiali polimerici espansi di diversa densità 35 Figura 3.3 Curve sforzo-deformazione per diversi materiali polimerici espansi. Relazione tra punto di progetto (15kN e 90% di deformazione) e le varie curve per la stessa posizione di impatto 3.3. Calcolo dello spessore calotta interna Il metodo energetico è utilizzato per il calcolo dello spessore della calotta interna e si basa sul principio delle curve di ammortizzamento di Mills. Il metodo è generalmente applicato per un oggetto rettangolare di massa m, lasciato cadere da una altezza h su un blocco di spessore t. Tale metodo consente di registrare il picco di accelerazione G della massa in caduta misurata in g. La curva di ammortizzamento, derivata dal metodo di Mills, di un generico materiale polimerico espanso è rappresentata in figura 3.4. L’asse orizzontale del grafico è lo sforzo statico σst, ossia la tensione di compressione subita dal materiale espanso quando la massa appoggia su di esso nell’area di contatto A. Ogni curva è un insieme di valori di G per diverse sollecitazioni statiche al variare degli spessori t, e l’intero grafico è studiato per una particolare altezza di caduta h. 36 Figura 3.4 Curve di ammortizzamento per un materiale polimerico espanso calcolata da un unico impatto curva sforzo-deformazione La densità di energia U assorbita dal materiale e data da: 𝑈= 𝑚𝑔ℎ 𝐴𝑡 𝜎 = ∫0 𝑚 𝜎 𝑑𝜀 (F3.10) L’integrale ha come limite di intervallo la massima sollecitazione σm, che rappresenta l’area sotto la curva sforzo deformazione rappresentata in figura 3.5 Figura 3.5 Curva sforzo-deformazione materiale polimerico espanso L’equazione (F3.10) può essere integrata numericamente e il risultato è una funzione di U(σm) alla massima sollecitazione. Il σst sollecitazione statica è dato in funzione di U come: 37 𝜎𝑠𝑡 = 𝑡 ℎ 𝑈(𝜎𝑚 ) (F3.11) L’accelerazione massima nell’impatto G si verifica quando la tensione di compressione è al massimo valore σm. Poiché l’unità di accelerazione, quando la sollecitazione statica agisce attraverso il materiale espanso per la massa m è pari ad 1 g, il rapporto tra le accelerazioni è dato dalla seguente equazione: 𝐺= 𝜎𝑚 𝜎𝑠𝑡 = ℎ 𝜎𝑚 𝑡 𝑈(𝜎𝑚 ) (F3.12) Dalla equazione (F3.12), se l’altezza di caduta e la curva sforzo-deformazione sono date, è facile ottenere la relazione tra la accelerazione G e lo spessore del materiale polimerico espanso: 𝐺 = 𝐶2 1 𝑡𝑓 (F3.13) La (F3.13) significa che l’aumento dello spessore del materiale espanso riduce le accelerazioni da impatto alla testa, tuttavia il calcolo dello spessore della calotta interna è limitato dalle dimensioni standard e dai requisiti di massa del casco. 3.4. Scelta materiale calotta interna La progettazione del sistema casco e la sua massa finale dipendono dalla scelta della densità e dello spessore della calotta interna. Combinando le equazioni (F3.2), (F3.9), (F3.13) e trasferita l’accelerazione della testa G in funzione della forza di impatto della testa F, si può notare che la massa totale del sistema casco seguirà la seguente relazione: 𝑀𝑓 = 𝐶3 1 𝐹2 (F3.14) Per ridurre al minimo la forza di impatto, si può aumentare la massa del casco agendo sugli spessori e la densità della calotta interna, il tutto però deve esser ottimizzato in funzione dei costi e del comfort del sistema. 38 3.5. Calcolo spessore calotta esterna Mills ha introdotto l’analisti teorica di Kollar e Dusluska per l’instabilità di una calotta sferica sotto un punto centrale P. Il carico critico Pc è dato da: 𝑃𝑐 = 2 𝜋 𝐸 𝑡3 𝑄 12 (1−𝑣) 𝑅 (F3.15) Dove E è il modulo di Young, ѵ è il coefficiente di Poisson, R è il raggio della calotta esterna e Q è un parametro adimensionale. Pc = C3 ts3 (F3.16) L’equazione (F3.16) mostra la relazione tra il carico Pc e lo spessore della calotta esterna, permettendo quindi il calcolo dello spessore del guscio esterno in funzione dei criteri di progetto adottati. 3.6. Scelta materiale calotta esterna La massa finale del sistema casco dipende principalmente, dalla scelta della calotta interna, e dal materiale e lo spessore scelto per la calotta esterna. Combinando le equazioni (F3.3), (F3.16) e le proprietà del materiale è possibile andar a stimare i coefficienti C1, C2 e C3 secondo un’analisi LS-DYNA 3D ad elementi finiti: min G = f (qf, tf) (F3.17) min M = f (qf, tf, ts) (F3.18) M = qf Vf tf + qs Vs ts (F3.19) Quindi attraverso un sistema iterativo con variabili f( qf, tf, qs, ts ) basato sui criteri e i limiti di progetto è possibile andar a scegliere il miglior materiale per le calotte in funzione della sua funzionalità e dei costi. 39 Riportando come esempio dei dati indicativi per la calotta esterna, nella figura 3.6 sono riportate le rispettive curve forza-deformazione di due dei principali materiali utilizzati per la produzione di calotte esterne: la plastica rinforzata con fibra di vetro (GRP) e l’ABS. Figura 3.6 Rapporto sforzo-deformazione per GPR e ABS per un impatto emisferico sulla parte superiore delle calotte sferiche La GRP fornisce, come evidenziato da grafico, elevata resistenza e basso peso, ma il prezzo è di molto superiore all’ABS. In generale scegliendo un materiale più costoso, ma con maggiori proprietà, si avranno calotte più leggere e quindi meno spesse; viceversa andando incontro a costi più bassi del materiale si avrà un aumento degli spessori con conseguente incremento del peso del sistema casco. 40 CAPITOLO 4 Materiali per il sistema casco 4. Materiali per il sistema casco I materiali per la produzione del sistema casco vengono scelti in base a diversi criteri, in relazione al componente considerato e agli standard di sicurezza richiesti dalla normativa. In generale, i criteri di scelta di un materiale possono essere suddivisi in: • proprietà chimico-fisiche; • proprietà meccaniche; • proprietà tecnologiche e metodi di lavorazione; • analisi dei costi. I componenti principali del sistema di sicurezza casco, come visto nei capitoli precedenti, sono due: la calotta esterna e la calotta interna. In figura 4.1, sono riassunti i metodi di produzione delle calotte e con i relativi materiali utilizzati. Figura 4.1 Categorizzazione dei metodi di produzione del sistema casco La calotta esterna richiede un materiale leggero che ha come principali caratteristiche una elevata tenacità e una elevata resistenza attiva, per assorbire gli urti e resistere alle penetrazioni. La ricerca tecnica del materiale per la calotta esterna deve 41 essenzialmente soddisfare le caratteristiche di leggerezza e tenacità, in relazione alla funzionalità e alla sicurezza del sistema. Altra importante caratteristica che va ad influire nella scelta del materiale è la malleabilità e la lavorabilità dello stesso, in conformità a dei costi sostenibili. Attualmente per la produzione delle calotte esterne si utilizzano due categorie di materiali: • Polimeri termoplastici: Policarbonato e ABS; • Materiali compositi: materiale mono-composito (Fibra di vetro), bi-composito (Fibra di vetro e Fibra di carbonio / Fibra di vetro e Fibra aramidica) o tri-composito (Fibra di vetro, Fibra di carbonio e Fibra aramidica) e queste fibre vengono amalgamate e rese solide grazie all’utilizzo di speciali resine epossidiche. La calotta interna ha il compito fondamentale di deformarsi durante gli urti, disperdendo l’energia cinetica generata dall’impatto. Richiede quindi un materiale con elevata duttilità, cioè avente la capacità di deformarsi plasticamente sotto carico prima di giungere a rottura. La ricerca tecnica del materiale si basa sulla capacità di sopportare le deformazioni plastiche di una sostanza in relazione ai requisiti di progettazione imposti per la sicurezza del sistema casco. Attualmente per la produzione delle calotte interne si utilizzano diversi polimeri espansi: • Polistirene espanso – EPS; • Polipropilene espanso – EPP; • Poliuretano espanso – EPU; • Polietilene espanso– EPE. La calotta in materiale espanso è stampata con diverse densità, in modo tale da avere una densità variabile a seconda delle zone. In questo modo sarà possibile andar a creare delle zone più rigide, o, più morbide ed elastiche, a seconda del punto che si va a considerare, questo in funzione dei requisiti di progettazione e del materiale della calotta esterna. 42 4.1. Materiali polimerici: Polimeri termoplastici, Polimeri termoindurenti e Polimeri espansi Si definiscono materiali polimerici delle sostanze organiche macromolecolari, e cioè costituite da molecole molto grandi, ottenute dalla ripetizione di un particolare raggruppamento di atomi caratteristico del polimero stesso. La grandissima maggioranza di polimeri oggi utilizzati viene prodotta per sintesi, a partire da molecole di basso peso molecolare dette monomeri. I polimeri vengono ottenuti mediante processi di “polimerizzazione”, ovvero di concatenamento di sostanze organiche relativamente semplici. Le proprietà di un polimero dipendono si dalla lunghezza delle macromolecole ottenute che dalla loro struttura. A seconda dei casi le macromolecole costituenti possono disporsi in modo disordinato ed irregolare nello spazio (polimeri amorfi), oppure assumere localmente disposizioni altamente ordinate (polimeri semicristallini). Le macromolecole costituenti, inoltre, possono essere a sviluppo lineare o ramificato, oppure collegate tra loro con uno sviluppo tridimensionale, dando luogo ad una struttura reticolata. I polimeri si classificano in base alla loro struttura molecolare in tre gruppi: Polimeri termoplastici, Polimeri termoindurenti (resine) ed Elastomeri. I polimeri termoplastici sono costituiti da lunghe macromolecole all’interno della quali gli atomi sono collegati tra loro da legami covalenti. Tali molecole, che possono essere lineari o ramificate, sono completamente indipendenti allo stato fuso o di soluzione, mentre allo stato solido sono tenute assieme da legami secondari. Riscaldando un polimero termoplastico i legami secondari vengono progressivamente distrutti e le macromolecole ridiventano indipendenti, con la possibilità di scorrimento reciproco. Il materiale fuso così ottenuto può essere stampato per ottenere un pezzo finito con tecniche quali l’estrusione o lo stampaggio per iniezione. Oltre che fusibili ogni volta che vengono riscaldati, i materiali termoplastici sono solubili nei più comuni solventi organici. In generale, se il raffreddamento dallo stato fuso avviene molto lentamente, si favorisce la cristallizzazione del polimero, cioè la formazione di una struttura in cui le macromolecole assumono una disposizione ordinata. La cristallizzazione è tuttavia ostacolata dall’aggrovigliamento delle catene macromolecolari allo stato fuso, si ha quindi che la cristallizzazione non è mai completa e neppure perfettamente regolare: il polimero ottenuto sarà perciò semi-cristallino, cioè 43 presenterà zone cristalline collegate tra loro da zone amorfe, in cui le macromolecole sono disposte in modo disordinato. Molti materiali termoplastici sono invece completamente amorfi ed incapaci di cristallizzare, anche se raffreddati molto lentamente. Le zone cristalline sono caratterizzate dalla loro temperatura di fusione TM, e le zone amorfe sono caratterizzate dalla loro temperatura di transizione vetrosa TM, alla quale passano dallo stato vetroso allo stato gommoso. La TM e la TG aumentano al crescere della rigidità delle catene e delle forze di attrazione intermolecolari. I polimeri termoindurenti sono materiali rigidi in cui non si hanno catene lineari bensì una struttura reticolata costituita da catene collegate trasversalmente in modo da formare un reticolo tridimensionale. Il grado di reticolazione limita fortemente la possibilità di movimento delle catene. Essendoci forti legami covalenti nella struttura, un polimero termoindurente risulta infusibile e insolubile, e una volta formato, non può essere rifuso. Questa trasformazione si verifica in seguito a reazioni di reticolazione che avvengono fra le catene polimeriche con formazione di legami forti. Alcuni polimeri termoindurenti vengono reticolati per mezzo del solo calore oppure attraverso combinazioni di pressione e calore, mentre altri possono essere reticolati attraverso reazioni chimiche a temperatura ambiente (reticolazione a freddo). Esaminando l’andamento della viscosità con la temperatura, quando viene superato il punto di rammollimento si verifica una iniziale diminuzione della viscosità: si è in presenza di uno stato plastico che consente la lavorazione del materiale. Ad un certo punto, però, subentra la reticolazione e si ha un progressivo aumento della viscosità che conduce all’indurimento del materiale. Ne consegue che i materiali termoindurenti possono essere lavorati con le stesse tecnologie dei materiali termoplastici, purché la lavorazione sia portata a termine in condizioni nelle quali i polimeri conservino la loro plasticità e si abbia cura che la reticolazione avvenga in una fase successiva allorquando è stata impartita al materiale la sua forma definitiva. I polimeri espansi sono materiali a struttura cellulare caratterizzati da una densità apparente molto bassa. Sono anche detti schiume, e non sono altro che una dispersione di gas in un mezzo solido. Vengono ottenuti a partire da polimeri termoplastici e attraverso una espansione di tipo meccanico, fisico o chimico raggiungono leggerezze estreme (densità nell’ordine di 2050 kg/m3). In pratica vengono prodotti favorendo lo sviluppo di sostanze gassose durante la polimerizzazione a seguito della decomposizione termica di qualche 44 costituente o dello sviluppo di prodotti di reazione volatili o dell’evaporazione di solventi. A seconda del metodo le micro-cavità introdotte possono essere o intercomunicanti tra loro e con l’esterno oppure chiuse. Proprietà materiali polimerici: I materiali polimerici sono noti per le loro doti di leggerezza (densità per lo più compresa tra 0.95 e 1.5 g/cm3), facilità di lavorazione, facilità di formatura e costo in genere contenuto. Le proprietà meccaniche dei polimeri possono variare entro un ampio spettro, ma in genere sono piuttosto modeste rispetto ai materiali metallici e tali proprietà dipendono in larga misura dalla temperatura e dal tempo di applicazione delle sollecitazioni. Infatti il comportamento di una materia plastica sottoposta ad uno sforzo è fortemente influenzato dalla velocità di deformazione, al crescere della quale crescono la rigidità e la fragilità del polimero, e dalla temperatura, al crescere di essa diminuisce fortemente la resistenza a trazione e cresce l’allungamento a rottura. Le proprietà meccaniche dei materiali polimerici termoplastici dipendono in misura notevole dalle forze di attrazione intermolecolari e solo in modo modesto dalle forze di legame intramolecolari tra gli atomi appartenenti alla stessa molecola. E’ interessante quindi studiare una tipica curva sforzo-deformazione per un polimero termoplastico a seguito dell’applicazione di una forza esterna, come rappresentato in figura 4.2: Figura 4.2 Curva sforzo deformazione polimeri termoplastici Nel primo tratto della curva si ha un andamento lineare che denota un comportamento elastico, e non appena la forza si annulla le catene ritornano alla loro posizione originaria (punto A). 45 Nel secondo tratto della curva è presente un comportamento elastico non lineare, e l’applicazione di uno sforzo maggiore può portare alla deformazione di intere segmenti di catena. Quando lo sforzo finisce essi ritornano nella loro posizione originaria, ma in tempi molto lunghi (punto B). Nel terzo tratto quando la forza applicata supera un certo valore tipico di ogni polimero, viene indotta nel materiale una deformazione plastica permanente (Punto C). La curva presenta oltre tale punto un minimo e poi risale gradualmente. A parità di velocità di deformazione, la curva stress-strain di un determinato polimero sarà diversa in relazione al valore delle temperatura di prova rispetto alla sua temperatura di transizione vetrosa. Per conoscere la resistenza agli urti di un materiale polimerico si valuta l’energia di rottura rapportata alla sezione determinata con strumentazioni normalizzate (pendolo di Charpy), oppure si valuta la risposta di una superficie polimerica vincolata urtata da un dardo semisferico di peso noto nel corso di una prova standardizzata di caduta del dardo. Con queste prove è possibile dedurre se il materiale si rompe in modo duttile o in modo fragile; in ogni caso è molto importante stabilire la variazione della resistenza all’urto con la temperatura. Dati assai interessanti sulle caratteristiche dinamico-meccaniche possono essere ottenuti con un pendolo a torsione con oscillazione libera. Dalla misura dell’ampiezza delle oscillazioni si può ricavare il modulo elastico a torsione dinamica; dalle variazioni delle ampiezze si determina lo smorzamento interno. Effettuando le misure a temperature differenti si possono individuare gli intervalli termici in cui i materiali sono fragili, tenaci, altamente viscoelastici e le temperature di transizione vetrosa o di fusione dei cristalliti. Dalla forma delle curve che registrano le oscillazioni del pendolo si possono distinguere i materiali termoplastici amorfi o cristallini, gli elastomeri, i termoindurenti. Nella progettazione di componenti in materiale polimerico occorre tener conto che le loro caratteristiche sono influenzate dal processo di trasformazione, dalle temperature di esercizio, dagli agenti chimici con cui vengono a contatto. Rispetto ai metalli, che intendono spesso sostituire, hanno il vantaggio di una minore densità, di essere insonorizzanti, di resistere meglio alla corrosione, di smorzare più efficacemente le vibrazioni meccaniche, di essere, talvolta, trasparenti, di avere proprietà autolubrificanti, di essere colorabili in massa e non solo in superficie, di essere facilmente formabili, di costare poco. Sono invece inferiori per quanto concerne le caratteristiche meccaniche a trazione e a flessione, il coefficiente di dilatazione 46 termica, che è più elevato, la resistenza alle alte temperature, che è nettamente inferiore, la maggiore fragilità alle basse temperature, l’infiammabilità, la capacità di assorbire solventi o liquidi organici, la degradabilità per effetto della luce. Tenuto conto di queste valutazioni nella fase di progettazione occorre aver presenti il tipo e l’entità delle sollecitazioni meccaniche che dovranno sopportare (carico continuo, intermittente, accidentale); le temperature minime e massime di funzionamento; l’ambiente in cui dovranno operare (acqua, liquidi vari, luce, agenti atmosferici); requisiti di finitura superficiale richiesti; il procedimento di formatura da adottare; il costo del materiale, delle operazioni di trasformazione, della prototipazione; lo smaltimento a fine vita del componente. 4.1.1. Policarbonato – PC Il policarbonato è un polimero termoplastico prodotto di policondensazione di diossidifenilalcani con esteri dell’acido carbonico, contenente, come unità monomerica, l’aggruppamento −O−R−O−CO−, dove R è un radicale derivato dal diossidifenilalcano. I policarbonati sono resine termoplastiche (appartengono alle resine poliestere), ad alta temperatura di rammollimento, dotate di elevata viscosità allo stato fuso. Figura 4.3 Formula di struttura policarbonato Sono caratterizzati da buone proprietà meccaniche quali: ottima tenacità, apprezzabile resistenza e elevata resilienza, anche a bassa temperatura. Le proprietà meccaniche, quali allungamento, carico a rottura, resistenza all’urto e alla flessione mostrano un rapido aumento con il peso molecolare fino a raggiungere una stabilizzazione per valori del peso molecolare intorno ai 22.000. Per tale peso molecolare inoltre è garantita una buona lavorabilità per estrusione e stampaggio. I policarbonati hanno inoltre buone proprietà elettriche, sono leggeri, trasparenti, insensibili all’azione dell’acqua, della luce, degli agenti atmosferici e degli idrocarburi; e presentano una facile lavorabilità alle macchine utensili. 47 Per il complesso, particolarmente significativo, delle loro proprietà, sono usati per parti di macchine di diverso tipo (elettriche, utensili ecc.), per fabbricare lastre infrangibili per vetri di sicurezza, facciali per caschi, elmetti protettivi, carcasse di apparecchi elettrodomestici e parti di automobili. Nelle seguenti tabelle sono elencate le principali caratteristiche e proprietà del policarbonato. Tabelle 4.1 e 4.2: Caratteristiche tecniche Policarbonato 48 4.1.2. Acrilonitrile butadiene stirene – ABS L’acrilonitrile-butadiene-stirene o ABS è un comune polimero termoplastico avete formula chimica (C8H8· C4H6·C3H3N)n. E’ un copolimero derivato dallo stirene polimerizzato insieme all’acrilonitrile in presenza di polibutadiene, e proporzioni dei rispettivi componenti possono variare tra il 15-35% di acrilonitrile, il 5-30% di butadiene e il 40-60% di stirene. Figura 4.4 Formula di struttura ABS L’acrilonitrile conferisce resistenza termica e chimica, il butadiene determina la resistenza e la duttilità della gomma, mentre allo stirene si associa la brillantezza superficiale, la facilità di lavorazione e il basso costo. Rappresenta una delle più pregiate mescolanze tra una resina e un elastomero e deve il suo successo alle ottime proprietà tecniche che lo caratterizzano. L’ABS è tenace, resiliente e facilmente lavorabile. In generale presenta buone caratteristiche meccaniche: è rigido e tenace anche a basse temperature. Possiede elevata durezza, con buona resistenza alla scalfittura e elevata resistenza all’urto. Presenta buona resistenza chimica, soprattutto all’acqua, alle soluzioni saline acquose, agli acidi diluiti e alle soluzioni alcaline, agli idrocarburi saturi (benzina), agli oli minerali e ai grassi animali e vegetali. La resistenza all’invecchiamento è ottenuta con formulazioni pigmentate contenenti nerofumo. L’ABS, se confrontato con altri polimeri, è estremamente resistente all’impatto. Inoltre è facilmente colorabile, e consente anche di ottenere tinte metallizzate. Quando è stabilizzato, l’ABS resiste bene alle radiazioni UV e pertanto è impiegabile all’esterno. Senza un adeguato rivestimento protettivo, la radiazione solare può causare ingiallimento e perdita delle proprietà meccaniche, ma la velocità di questi fenomeni può essere rallentata con opportuni stabilizzanti. 49 Presenta una buona facilità di lavorazione, paragonabile al polistirolo, ma rispetto a quest’ultimo è più rigido e presenta maggiore resistenza meccanica, chimica e termica. L’ABS può essere lavorato per iniezione, estrusione e stampato a compressione e si possono ottenere lastre che possono essere poi termoformate. Nella seguente tabella sono elencate le principali caratteristiche e proprietà dell’acrilonitrile-butadiene-stirene (ABS). Tabella 4.3: Caratteristiche tecniche ABS Per la produzione del sistema casco note le principali caratteristiche richieste alla calotta esterna, cioè una elevata tenacità e una elevata resistenza attiva, per assorbire gli urti e resistere alle penetrazioni, viene utilizzato un particolare ABS ad alto grado di impatto. Avente le caratteristiche elencate in tabella 4.4. Tabella 4.4: Caratteristiche tecniche ABS ad alto grado di impatto Proprietà Densità Resistenza alla trazione Allungamento a rottura Resistenza a flessione Impatto orizzontale con forza Gap Impatto verticale con forza Gap Temperatura di deformazione Restringimento di iniezione 50 Metodologia Unità di misura Valori tipici GB 1033 GB/T 1040 GB/T 1040 GB 9341 GB/T 1040 GB/T 1040 GB 1634 HG2-1122 3 g/cm MPa % MPa 2 KJ/m 2 KJ/m °C % 1.06 90 16 110 6.9 5.6 88 0.3-0.5 4.1.3. Polistirene espanso – EPS Il polistirene espanso (EPS) è un materiale espanso rigido di peso ridotto, composto da carbonio, da idrogeno e per il 98% d’aria. L’origine del prodotto è da ricercarsi nello stirene, un monomero ricavato dal petrolio, presente anche in alcuni alimenti. Il polistirene espanso si ottiene attraverso la polimerizzazione dello stirene che si presenta sotto forma di piccole perle trasparenti. Queste ultime si espandono fino a 2050 volte il loro volume iniziale grazie al contatto con il pentano (idrocarburo gassoso) e al vapore acqueo a 90°. Si ottiene immergendo in acqua granuli di polistirene e aggiungendo all'acqua una quantità di pentano dal 2% all'8%. Quindi si comprime il tutto e il pentano (che è insolubile in acqua) si diffonde nei granuli. I granuli così trattati possono essere stoccati per qualche mese prima di subire l'espansione. Per l'espansione i granuli vengono posti in una camera con una parete mobile. Viene soffiato dentro vapore acqueo a circa 120-130 °C provocando il rammollimento della plastica e il successivo rigonfiamento dovuto all'ebollizione del pentano imprigionato nel polimero. Si ottengono quindi sferette di schiuma di polistirene. La temperatura del vapore viene quindi innalzata per fare fondere la superficie esterna delle sferette. In seguito la parete mobile della camera si sposta come in una pressa e sinterizza il monoblocco di pallini di EPS. Solitamente questi blocchi devono essere tagliati in lastre per poter essere venduti, e il taglio può avvenire con un filo caldo o con un filo a movimento intermittente. La densità che si raggiunge è di 20-50 kg/m³. All’interno delle perle viene a formarsi una struttura a celle chiuse che trattiene aria da cui derivano le ottime caratteristiche d’impiego dell’EPS come isolante termico e come materiale per assorbire l’energia durante un impatto. In relazione al sistema casco la capacità del polistirene espanso di deformarsi durante gli urti, disperdendo l’energia cinetica generata dall’impatto è la caratteristica fondamentale. In particolare per la calotte interne, visto che richiedono un elevata duttilità, viene utilizzato un particolare polistirene espanso ad alto impatto (HIPS). L’HIPS è un materiale termoplastico costituito da polistirene e gomma stirene butadiene, e grazie alla presenza di un elastomero ha un miglioramento delle caratteristiche di tenacità e resilienza. Nella seguente tabella sono elencate le principali caratteristiche e proprietà del polistirene espanso ad alto impatto. 51 Tabella 4.5: Caratteristiche tecniche EPS ad alto impatto 4.1.4. Polipropilene espanso – EPP Il polipropilene espanso è un materiale simile all’EPS, ma dotato di una più elevata elasticità meccanica. La caratteristica che lo denota è l’elevato rapporto tra leggerezza e resistenza meccanica; tale caratteristica permette di realizzare manufatti di elevate dimensioni con pesi veramente contenuti. La principale variante del materiale è la densità che può variare tra 30 kg/m3 ad oltre i 75 kg/m3. L’EPP grazie alla sua struttura a celle chiuse garantisce eccellenti caratteristiche di protezione dagli urti e un buon recupero della forma originale. Inoltre garantisce un ottimo isolamento termico e una buona resistenza alla maggior parte delle sostanze chimiche. Nella seguente tabella sono elencate le principali caratteristiche e proprietà del polipropilene espanso. 52 Tabella 4.6: Caratteristiche tecniche del Polipropilene espanso Per il sistema casco articolare importanza ha la curva caratteristica di assorbimento dell’energia per un impatto, in figura 4.5 sono riportate alcune misurazioni di impatto dinamico per il polipropilene espanso. Figura 4.5 Grafico misure di impatto dinamico per prova eseguita con strumentazione JSPI (v = 8 m/s, peso variato per ottenere il 70% di compressione ad ogni densità). La dimensione dei provini è’ di 100 X 100 X 100 mm. 53 4.2. Materiali compositi I materiali compositi rappresentano una vasta e importante categoria di materiali realizzati per soddisfare la richiesta di insolite combinazioni di proprietà in uno stesso materiare. Le combinazioni di proprietà nascono a loro volta da una combinazione di più materiali nello stesso materiale composito: il punto chiave dei materiali compositi è quindi il concetto di accoppiamento di materiali diversi, con proprietà significative distanti, se non addirittura opposte, in modo tale che le proprietà dell’unione siano per lo più migliori delle proprietà dell’unione siano per lo più migliori delle proprietà dei singoli costituenti. Allorché un composito combina efficacemente le proprietà migliori dei materiali costituenti, si parla di “azione combinata” o di “sinergismo”. I singoli materiali che formano i compositi sono chiamati costituenti, e a seconda della loro funzione prendono il nome di matrice e rinforzo o carica. L’insieme di queste due parti costituisce un prodotto in grado di garantire proprietà meccaniche elevatissime e massa volumica decisamente bassa. In tutta generalità di distinguono ben quattro fasi in un materiale composito: • Fase matrice → Si tratta del costituente continuo, anche se non necessariamente maggioritario. Il suo ruolo è multiforme, fato che lega insieme il costituente ad essa aggiunto, proteggendolo e assicurando il trasferimento di carico. • Fase di rinforzo → Si tratta del costituente che migliora del caratteristiche della matrice, ed è per lo più costituito da fibre. Le fibre possono essere continue, ovvero lunghe quanto le dimensioni dell’oggetto finito in materiale composito, o discontinue, ovvero corte; un’altra fondamentale distinzione riguarda l’orientamento delle fibre, che possono essere allineate in una direzione, distribuite casualmente o ordinate su due o tra direzioni. • Fase di interfaccia → La zona di contatto tra matrice e fibra è sede di particolari iterazioni chimico-fisiche, decisive per il trasferimento di carico tra matrice e rinforzo, tanto che deve essere accuratamente progettata. 54 • Porosità → L’assemblaggio tra matrice e fibra, in quanto meccanico, è soggetto a imperfezioni, particolarmente significative per compositi ad alto tenore di rinforzo fibroso, dovute all’incompleta infiltrazione della matrice negli spazi tra le fibre. I processi produttivi devono essere selezionati in funzione della massima compattazione tra matrice e rinforzo, in modo da evitare discontinuità, ovvero di concentratori dello sforzo. Figura 4.6 Struttura di un materiale composito rinforzato con fibre Considerare i compositi solo in funzione di matrice e rinforzo è fuorviante, infatti le prestazioni ottenibili variano molto al variare delle iterazioni interfacciali e delle porosità. In generale la relazione matrice-rinforzo è alla base della progettazione dei compositi e le relazioni di interfaccia e porosità sono di vitale importanza nella produzione industriale. I compositi migliori sono caratterizzati dalla disposizione di fibre ad altissima resistenza e rigidità all’interno di una matrice polimerica; l’inglobamento del fascio di fibre in una matrice garantisce insieme il trasferimento di carico tra fibre e la loro protezione, generando materiali eccezionali: nel caso di matrici polimeriche si conserva la notevole leggerezza ma si acquistano rigidità e resistenze tali da consentire impieghi strutturali. In generale si può affermare che con i materiali tradizionali si valutano le proprietà del materiale e successivamente si progetta la struttura, con i compositi si può progettare il materiale in funzione della struttura. Come detto le matrici polimeriche termoindurenti sono le più diffuse, e le più diffuse sono le resine epossidiche e le resine poliestere insature. Il punto chiave dell’applicazione di tali polimeri sta nell’impregnazione di fibre con prepolimeri liquidi, che si trasformano in una matrice liquida successivamente, per azione dell’induritore (ammine, stirene). L’irrigidimento della matrice segnala anche la 55 fine della formatura del composito. A seconda del peso molecolare del prepolimero, della lunghezza e della densità di legami di reticolazione, si ottengono matrici con diverse proprietà meccaniche. La reticolazione può essere ottenuta a temperatura ambiente, ma è comune anche l’utilizzo di un trattamento termico, al fine da assicurare il completamento delle reazioni tra pre-polimero e induritore. Le matrici termoindurenti hanno una limitata deformabilità. Sono infatti materiali fragili, e non danno deformazione plastica apprezzabile. Le resine epossidiche, però, rispetto alle resine poliestere hanno in generale una tenacità a frattura più elevata, che tra l’altro può essere modificata agendo sulle formulazioni chimiche; in secondo luogo le resine epossidiche sono apprezzabili per l’alta temperatura di distorsione e per il ridotto ritiro indotto dalla reticolazione. Con le resine epossidiche si può decidere di interrompere la reticolazione dopo l’impregnazione di fibre: si costituiscono delle lamine “pre-impregnate” che pervengono alla reticolazione completa dopo l’assemblaggio e magari l’applicazione di un certo trattamento termico; il ridotto ritiro da reticolazione è vantaggioso per la stabilità dimensionale. Tabella 4.7: Confronto tra diverse matrici polimeriche per compositi Le fibre più utilizzate come tipologia di rinforzo sono in genere: la fibra di vetro, la fibra di carbonio e la fibra aramidica. Nei grafici riportati in figura 4.7 vengono confrontate le principali proprietà meccaniche e tecnologiche di ciascun rinforzo, e di seguito vengono approfondite nello specifico le varie fibre. 56 Figura 4.7 Confronto proprietà fisiche, meccaniche e tecnologiche tra le principali fibre di rinforzo 4.2.1. Fibra di vetro Le fibre di vetro vengono largamente utilizzate nella produzione di compositi strutturali in campo aerospaziale, nautico e automobilistico, associati a matrici diverse, ad esempio poliammidiche o epossidiche, ma comunque resine sintetiche. L'esperienza comune insegna che il vetro monolitico è un materiale fragile. Se esso viene invece filato a diametri d'ordine inferiore al decimo di millimetro perde la sua caratteristica fragilità per divenire un materiale ad elevata resistenza meccanica e resilienza. La fragilità del vetro comune è dovuta al gran numero di difetti della cristallizzazione che agiscono come microfratture e zone di concentrazione degli sforzi. Al contrario la fibra di vetro non presenta tutti questi difetti, per cui raggiunge resistenze meccaniche prossime alla Figura 4.8 Fibra di vetro resistenza teorica del legame covalente. 57 Le fibre di vetro sono generalmente di due tipi, il vetro E e il vetro S. Il primo tipo, molto comune, corrisponde ad un vetro a base di CaO, Al2O3 e SiO2, con un rilevante contenuto anche di B2O3. La pratica assenza di alcali è motivo di una grande resistività elettrica, tanto che il vetro è noto come vetro E, o “elettrico”. Il modulo elastico delle fibre (di diametro dagli 8 ai 15 µm), ottenute per filatura del fuso vetroso, è piuttosto basso (Ef <80GPa), tuttavia la resistenza meccanica è molto buona (σ*f=3.5 GPa). Si possono ottenere proprietà migliori da fibre di vetro S (S sta per “strength”, ovvero per resistenza), a base praticamente di soli MgO, Al2O3 e SiO2: il vetro S è assai più costoso (è più alto-fondente del vetro E), ma consente di ottenere un modulo elastico discreto (Ef~90 GPa) e un’eccellente resistenza a trazione (σ*f=4.5 GPa). Le fibre di vetro devono essere necessariamente trattate con un “appretto”, dopo filatura. La primaria funzione dell’appretto consiste nella protezione dalle fibre da fenomeni corrosivi e da abrasione reciproca (che porterebbero ad un rapido scadimento della resistenza); in secondo luogo l’appretto (costituito da silani) funge da agente interfacciale, funzionale al miglioramento dell’aderenza delle fibre rispetto a matrici polimeriche. Nella seguente tabella 4.8 sono riportate alcune proprietà di fibre di vetro per materiali composti. Tabella 4.8: Composizioni chimiche e alcune proprietà di fibre di vetro per compositi 58 4.2.2. Fibra di carbonio Le fibre di carbonio sono le più diffuse, insieme alle fibre di vetro, e forse le più famose. E’ assai meno noto, tuttavia, che esistono più tipi di fibre di carbonio. Le fibre sviluppate da più tempo corrispondono alla varietà a massima resistenza a trazione (fibre HS, “High strength”, ovvero ad alta resistenza, dato che σ*f=3.5 GPa) ma più basso modulo elastico (comunque elevato rispetto a Figura 4.9 Fibra di carbonio molti altri materiali, dato che Ef=230 GPa, in direzione longitudinale). Queste fibre corrispondono al trattamento di fibre di poliacrilonitrile (PAN), consistente in una prima ossidazione sotto stiro e in una riduzione ad alta temperatura. L’ossidazione sotto stiro comporta la trasformazione del gruppo laterale nitrilico in una struttura ciclica; si forma un polimero “ladder” consistente in una catena di anelli, non più flessibile. Gli anelli a base di carbonio, con azoto, vengono trasformati, nella seconda fase di riduzione (tra 1000 e 1800°C), in anelli grafitici più o me no regolari. Per riduzioni a temperature relativamente basse le fibre contengono fogli di grafite non perfettamente paralleli, ma arrotolati; per riduzioni a temperature via via più alte si perviene a strutture grafitiche più regolari (le fibre risultano da piani grafitici pressoché paralleli tra loro e rispetto all’asse delle fibre stesse), motivo di un modulo elastico molto più elevato (fibre HM, “High modulus”, dato che Ef=300-500 GPa), a prezzo però di una resistenza meccanica molto più bassa (σ*f<2.5 GPa). Nelle applicazioni in cui conta di più la resistenza è opportuno usare fibre del primo tipo; il secondo tipo è utile nelle applicazioni in cui conta di più la rigidità. In tutti i casi si tratta di fibre leggere (la densità non supera i 2 g/cm 3), caratterizzate da una forte anisotropia (il modulo elastico trasversale è dal 3 al 10% del modulo elastico longitudinale). Il diametro tipico della fibra va dai 7 ai10 µm. Invece strutture altamente grafitiche (con moduli elastici molto elevati) possono essere ottenute dal trattamento di peci di petrolio. Le peci contengono idrocarburi ad alto peso molecolare, caratterizzati anche da strutture policicliche. Riscaldate sopra 350°C le peci danno luogo a macromolecole che tendono ad allinearsi tra loro; dopo filatura delle peci, l’allineamento delle macromolecole migliora, e si può realizzare di nuovo una struttura rigida per ossidazione. Un trattamento secondario a 59 circa 2000°C determina la grafitizzazione vera e propria. Rispetto alle fibre da PAN la maggiore regolarità strutturale comporta una conducibilità termica molto elevata (~1000 W/mK), superiore anche a quella del rame, sfruttata in certe applicazioni. Tabella 4.8: Caratteristiche meccaniche delle più comuni fibre di carbonio confrontate con quelle dell’acciaio tipo FeB 44K Carbonio ad alta resistenza Carbonio ad alto modulo Carbonio ad altissimo modulo Acciaio FeB 44K 1800 1850 2100 7850 3 Densità Kg/m Modulo elastico GPa 230 400 700 210 MPa 5000 3000 1500 540 Deformazione a rottura % 2.0 0.9 0.3 20 Resistenza specifica MPa/Kg 2.78 1.62 0.71 0.07 Resistenza meccanica a trazione Come si può notare dalla precedente tabella, il parametro che differenzia più marcatamente le fibre in carbonio dall'acciaio, è la cosiddetta resistenza specifica, ossia, il rapporto tra la resistenza meccanica a trazione e il peso specifico che nelle prime risulta da 10 a 40 volte maggiore che nel secondo. 4.2.3. Fibra aramidica o Kevlar Le fibre organiche più importanti sono costituite dalle ovvero fibre aramidiche, da poliammidi formate dalla reazione di un acido bicarbossilico e di una diammina contenenti, Figura 4.10 Fibra aramidica o Kevlar al loro interno, anelli benzenici. Catene con anelli benzenici conferiscono una grande stabilità termica, e soprattutto, una grande rigidità: anche disciolte in solvente le 60 catene polimeriche rimangono allineate. Il Kevlar e il Nomex (Figura 4.11b), sono tipici esempi di fibre organiche. Figura 4.11 a) Formazione di un’arammide b) Struttura di Kevlar Fibre ricavate dalla filatura del Kevlar sono note per le eccezionali rigidità e resistenza specifiche. Difatti, tale polimero gode di interazioni intermolecolari significative: dato che le catene sono molto regolari e molto ben allineate si formano molti ponti idrogeno. Le fibre di Kevlar possono avere problemi in compressione, giacché si assiste ad una inflessione non solo delle fibre, ma anche delle catene polimeriche al loro interno, con rottura dei ponti a idrogeno. Sono noti e spesso impiegati tessuti ibridi, ovvero realizzati con fibre sia di carbonio che di Kevlar, per compensare i difetti di entrambe. Le fibre in Kevlar sono caratterizzate, a differenza da quelle in carbonio, da una notevole resistenza all'impatto. Tale caratteristica è dovuta al fatto che l'aramide è un materiale scarsamente resistente a compressione, cioè se sottoposta a flessione, l'aramide mostra un comportamento caratterizzato da una plasticità pressoché infinita nella zona compressa che consente all'asse neutro di “traslare” verso il basso impedendo il raggiungimento del punto di rottura a trazione della zona tesa anche per deformazioni flessionali elevatissime. Come si può notare dalla successiva tabella 4.9 esistono in commercio vari tipi di Kevlar che si differenziano tra loro sia per la struttura chimica (in particolare per la lunghezza delle diammine aramidiche utilizzate nei monomeri) che per le prestazioni meccaniche. I più comuni sono il Kevlar 29 e il Kevlar 39 e nella Tabella 4.9 sono riportate le caratteristiche meccaniche di questi tipi di fibra aramidica confrontate con quelle dell'acciaio tipo FeB 44K. Le fibre aramidiche sono caratterizzate da una resistenza meccanica a trazione confrontabile con quella delle più comuni fibre in carbonio ma da un modulo elastico mediamente più basso. Per contro, in ragione del loro peso specifico più basso (1.4 g/cm3 contro 1.8 g/cm3 del carbonio) le fibre aramidiche sono caratterizzate da una più 61 elevata resistenza specifica intesa come resistenza meccanica a trazione rapportata al peso specifico del materiale. Tabella 4.9: Confronto tra caratteristiche fisico-meccaniche di vari tipi di fibre aramidiche rispetto quelle dell’acciaio tipo FeB 44K 3 Kevlar 29 Kevlar 39 Kevlar 149 Acciaio FeB 44K 1440 1450 1470 7850 Densità Kg/m Modulo elastico GPa 70 140 160 210 MPa 3600 3600 3200 540 Deformazione a rottura % 3.6 1.9 1.5 20 Resistenza specifica MPa/Kg 2.50 2.48 2.18 0.07 Resistenza meccanica a trazione 4.2.4. Appendice: Resine epossidiche I polimeri termoindurenti più recenti sono concettualmente diversi rispetto a quelli più tradizionali come le resine fenolo-formaldeide che vengo usate come matrice di base per i materiali compositi. Le resine tradizionali derivano da processi a stadio partendo da una miscela di monomeri di funzionalità media superiore a due: la polimerizzazione deve essere bloccata prima di raggiungere un alto grado di reticolazione; il materiale ottenuto da questa polimerizzazione parziale è sottoposto a formatura e insieme a completamento della polimerizzazione. Tale modo di procedere è alla base del nome stesso di termoindurenti. Si noti bene che termoindurisce solo il materiale da polimerizzazione parziale, non il polimero finale; una resina termoindurente allo stato di oggetto finito è termicamente stabile, salvo degradazione. Le termoindurenti moderne derivano da polimeri lineari, a catena corta e quindi allo stato liquido. La fluidità è essenziale per il riempimento di stampi e molto spesso per l’infiltrazione tra fibre, a realizzare la gran parte dei materiali compositi a matrice polimerica. L’assunzione di una struttura reticolata si deve a reazioni 62 secondarie di collegamento con legami forti di segmenti di catena, non esclusivamente a caldo. La reticolazione attraverso reazioni secondarie è denominata in inglese “curing”, termine spesso tradotto con “cura” del polimero termoindurente., e la sostanza che determina la reticolazione è denominata usualmente induritore. Le resine epossidiche sono dei polimeri termoindurenti, in cui la reazione di reticolazione che porta al loro ottenimento non genera prodotti secondari. Le resine epossidiche sono in grado di reticolare a temperatura ambiente, e costituiscono i cosiddetti adesivi strutturali, adatti ad unire fortemente i materiali più diversi. Come le resine poliestere, anche le epossidiche, che sono allo stato vetroso a temperatura ambiente, costituiscono la matrice di un gran numero di materiali compositi. La sostanza di base di una resina epossidica è un polimero lineare a catena piuttosto corta, quindi generalmente liquido a temperatura ambiente, contenente due terminazioni “epossidiche”, ovvero con due strutture cicliche C-C-O in testa e in coda. Gli anelli epossidici sono molto reattivi, e possono ad esempio essere aperti per reazione con un induritore. Se l’induritore è una diammina H2N – R’ – NH2 dove R’ può assumere varie forme, i quattro atomi di idrogeno reagiscono ciascuno con un anello epossidico, secondo lo schema seguente: La reattività degli epossidi con le ammine è tale da determinare una reazione significativa anche a temperatura ambiente, ovvero nelle formulazioni a freddo, “bicomponente”. Ricorrendo ad altri composti, rispetto alle diammine, si può avere 63 reticolazione solo per riscaldamento: in questo caso il precursore epossidico e l’induritore possono essere miscelati, dando così luogo alle formulazioni a caldo, “monocomponente”. Naturalmente la formatura può essere effettuata solo prima della reticolazione. Tabella 4.10: Principali caratteristiche fisiche e meccaniche di una resina epossidica La scelta di una resina come matrice è condizionata alle prestazioni finali del composito e dalla tecnologia scelta per il processo produttivo. Le resine epossidiche vengono usate come matrice polimerica per via delle loro buone caratteristiche meccaniche, per il basso ritiro durante il ciclo di curing e per un costo non troppo elevato (5-20 €/kg). 4.3. Materiali a confronto: Caratteristiche – Vantaggi e Svantaggi Come detto in precedenza i materiali per la produzione del sistema casco vengono scelti in base a diversi criteri legati alle prestazioni richieste, la geometria del prodotto, il rapporto costo/prezzo e i volumi di produzione. Per quanto riguarda la scelta del materiale per le calotte i parametri in gioco sono diversi, e sono basati principalmente sul rapporto costo/prezzo, volumi di produzione e prestazioni tecniche. Importante chiare che nonostante la scelta del materiale per la calotta esterna, che sia termoplastico o composito, il sistema casco garantisce lo stesso livello di sicurezza, cioè quello imposto dalla normativa. La differenza tra una scelta e l’altra sta nelle caratteristiche del materiale, ma sono entrambe scelte valide. Nei grafici a seguire saranno confrontate le principali caratteristiche fisiche, meccaniche e tecnologiche dei diversi materiali, al fine di trarre alcune conclusioni utili alla scelta del materiale delle calotte. 64 Figura 4.12 Figura 4.13 Grafico confronto proprietà dei materiali Grafico confronto proprietà dei materiali 65 66 Figura 4.14 Grafico confronto proprietà dei materiali Figura 4.15 Grafico confronto proprietà dei materiali Figura 4.16 Grafico confronto proprietà dei materiali Figura 4.17 Grafico confronto proprietà dei materiali 67 Figura 4.18 Grafico confronto proprietà dei materiali Per la produzione delle calotte interne nella maggior parte delle applicazioni riguardanti il sistema casco, viene utilizzato come materiale il polistirene espanso (EPS o HIPS) date le sue ottime caratteristiche di duttilità e leggerezza. L’EPS ha caratteristiche minori rispetto ad altri polimeri espansi (ad esempio il polipropilene espanso o il poliuretano espanso), ma dato che il suo processo di produzione ha costi bassi, attualmente è preferibile agli altri materiali. Per la produzione della calotta esterna, invece, la scelta si basa su più variabili legate ai costi e alle caratteristiche specifiche di riferimento per un dato casco. Come si nota facilmente dai grafici precedenti i materiali compositi rinforzati con fibre hanno un costo maggiore rispetto i materiali polimerici, dovuto al fatto che necessitano di una progettazione accurata e di un elaborato processo produttivo. Appurato il costo più elevato dei materiali compositi, questo comporta però dei notevoli vantaggi rispetto ai più economici materiali polimerici. Dalle figure 4.12, 4.14, 4.16 e 4.17 si nota che i materiali compositi hanno una rigidezza specifica e una resistenza specifica più elevata rispetto ai polimerici che consentono quindi di avere a parità di peso della calotta esterna caratteristiche migliori. I materiali compostiti hanno la 68 capacità di accumulare e immagazzinare i difetti che insorgono durante la deformazione, e solo dopo che il grado di danneggiamento ha raggiunto un valore sufficientemente elevato, si osserva frattura per propagazione di cricca. La propagazione di cricca è inoltre inibita dalla presenza di interfacce, sia a livello microstrutturale (matrice e fibra), sia a livello macro-strutturale (lamine diverse). Quindi la possibilità con i compositi di avere calotte resistenti ma notevolmente più leggere aumenta significativamente il comfort del sistema casco. La sostanziale differenza tra i due materiali sta però nella progettazione, e nella successiva produzione. I diversi strati di materiale, nei compositi, possono essere sovrapposti in maniera tale da ottenere specifiche proprietà meccaniche nelle diverse direzioni e in diverse zone dello stesso componente, consentendo così di poter progettare la struttura in tutti i dettagli secondo le migliori specifiche. Oltre a ciò l’utilizzo e la combinazione di diverse fibre (figura 4.19) permette facilmente di elevare le caratteristiche: infatti di norma alla fibra di vetro possono essere aggiunte la fibra di carbonio, per aumentare la resistenza in funzione di una ulteriore riduzione di peso, o la fibra aramidica, per aumentare la resistenza agli impatti e alle penetrazioni. Figura 4.19 Distribuzione energia di impatto per caschi compositi con diverse fibre di rinforzo Inoltre i materiali compositi forniscono ottima resistenza agli agenti chimici, corrosivi e ai fattori ambientali. Infatti hanno il vantaggio di non risentire degli sbalzi di temperatura, al contrario delle materie plastiche che sono sensibili alle variazioni caldofreddo. Quindi nel tempo le calotte in materiale composito mantengono inalterate le loro caratteristiche originarie, mentre caschi in PC o ABS tendono a dilatarsi con il caldo e a restringersi con il freddo. Per di più le plastiche utilizzate per lo stampaggio delle calotte risentono degli effetti dei raggi UV del sole, che tendono a danneggiarle, cose che nelle calotte in composito non succede. Per evitare ciò vengono utilizzate vernici e decals protettive per ricoprire le calotte; le vernici e gli adesivi devono però essere particolari per non aggredire o danneggiare il materiale plastico. 69 70 CAPITOLO 5 Processo produttivo del sistema casco 5. Processo produttivo del sistema casco Una delle aree più importanti per la realizzazione di un efficiente sistema di sicurezza casco è il processo produttivo, infatti le tecniche di fabbricazione utilizzate vanno ad influenzare la progettazione del casco in modo considerevole. Le maggiori difficoltà incontrate in questo lavoro di ricerca sono state date dalla mancanza di dati sufficienti riguardanti la realizzazione del sistema casco, dovuto al fatto che le mantengono principali una sull’argomento. Le case produttrici riservatezza informazioni elevata che verranno successivamente presentate sono state raccolte da alcuni produttori locali, in particolare presso la MAVET S.r.l.. Figura 5.1 Ideazione sistema casco Di seguito è descritto il processo produttivo del sistema casco, con particolare riguardo alla fabbricazione della calotta esterna e della calotta interna per i diversi materiali. 5.1. Progettazione e Prototipazione rapida La progettazione del sistema casco si basa sui criteri e le metodologie descritti precedentemente. 71 Nella moderna elaborazione il casco viene progettato dall’interno verso l’esterno. Si parte quindi da una falsa-testa definita dalla normativa per andare a studiare la forma della cavità interna e definire gli spessori. Rispettando i criteri di sicurezza e i vincoli legati alle proprietà dei materiali si cercherà di minimizzare gli spessori al punto di ottenere un maggior comfort del sistema casco. In figura 5.2 si può vedere la definizione dei volumi interni del sistema casco. Figura 5.2 Modellazione superfice e volumi interni Terminata la progettazione di base, il modello CAD 3D ottenuto viene sottoposto ad anali FEM per affinare i vari componenti del sistema casco. Una volta completata la fase di elaborazione viene creato un prototipo allo scopo di testare l’aerodinamica e la struttura delle parti del casco (figura 5.3). Figura 5.3 72 Prototipazione rapida 5.2. Produzione calotte esterne Come visto nel precedente capitolo ci sono due tipi di materiali utilizzati per la produzione delle calotte esterne, i materiali polimerici e i materiali compositi. Di seguito sono presentate le tecniche di lavorazione utilizzate per la produzione di tali calotte. 5.2.1. Produzione calotte esterne in materiale polimerico Le calotte esterne in materiale polimerico sono fabbricate per stampaggio ad iniezione. Lo stampaggio a iniezione è un processo di produzione industriale in cui un materiale plastico viene fuso e iniettato ad elevata pressione all'interno di uno stampo chiuso, che viene aperto dopo il raffreddamento del manufatto. Figura 5.4 Stampaggio ad iniezione polimeri termoplastici Questa tecnologia di tipo discontinuo consente di formare manufatti di qualsiasi forma, anche totalmente asimmetrica. La macchina comprende una parte mantenuta a temperatura relativamente bassa, costituita dallo stampo apribile, e una parte mantenuta sempre alla temperatura del polimero fuso, che è costituita da un cilindro di forza contenente una vite elicoidale. La vite, quando ruota, trasporta, fondendolo, il polimero granulato dalla tramoggia sino alla testa della camera calda. Una volta accumulata in testa la massa fusa sufficiente per riempire lo stampo, la rotazione cessa e la vite si arresta e viene spinta per traslazione 73 assiale verso l’ugello di iniezione determinando così lo spostamento del fuso polimerico dalla camera calda allo stampo. Figura 5.5 Progetto stampo calotte in materiale polimerico Successivamente il polimero nello stampo si raffredda e lo stampo viene aperto. La pressione generata sulla testa della vite, nella fase di iniezione, è molto elevata e può raggiungere anche i 20 MPa. L’uso di elevate pressioni è imposto dalla necessità di trasferire il fuso dalla camera calda allo stampo in tempi brevi: in genere ogni ciclo dura una frazione di minuto. Gli elevati gradienti di velocità sono necessari per impedire l’eccessivo raffreddamento del fuso mentre esso passa nei condotti di iniezione. Si è visto che nel passaggio da fluido a solido si hanno diminuzioni di volume variabili tra il 10-20%. Questa diminuzione deve esser compensata se si vogliono evitare difetti dovuti alla formazione di cavità di ritiro, superficiali o interne al pezzo stampato. Durante la fase di solidificazione del polimero nello stampo il pistone dell’iniezione continua a mantenere una pressione elevata all’interno dello stampo stesso. Poiché le pressioni in gioco sono elevate si ha una leggera contrazione di volume del polimero che in parte compensa la riduzione di volume. Se il canale di adduzione del polimero non viene occluso dal polimero che si solidifica, l’elevata pressione mantenuta dalla pressa consente un ulteriore ingresso di polimero fuso che annulla le contrazioni interne allo stampo. I vantaggi dello stampaggio ad iniezione sono la produttività elevata, la buona qualità estetica delle superfici, nessun sfrido di lavorazione e tolleranze, ovvero variazioni dimensionali, contenute. Gli svantaggi consistono nel costo elevato degli stampi e nei tempi lunghi necessari per il loro approntamento. 74 5.2.2. Produzione calotte esterne in materiale composito Le calotte esterne in materiale composito sono fabbricate con un processo simile alla tecnologia RFI (Resin Film Infusion) e al processo pressure-bag molding. Figura 5.6 Pressure-bag molding Come visto in precedenza una calotta in fibre composite può essere in materiale monocomposito (fibra di vetro), bi-composito (fibra di vetro e fibra di carbonio / fibra di vetro e fibra aramidica) o tri-composito (fibra di vetro, fibra di carbonio e fibra aramidica), e queste fibre vengono amalgamate e rese solide grazie all’utilizzo di speciali resine epossidiche. Quindi a seconda delle specifiche derivate dalla progettazione vengono utilizzati i diversi tipi di fibra, ma il metodo di fabbricazione rimane lo stesso. Per prima cosa si procede alla fustellatura dei tessuti, cioè i vari fogli di tessuto in fibra secca vengono tagliati con la forma delle diverse parti che poi andranno a comporre la calotta esterna. Lo stampo dove successivamente verranno disposti gli strati di tessuto viene cosparso con una speciale resina che consente la formazione di uno strato distaccante, per agevolare l’uscita della calotta formata dallo stampo. A questo punto secondo una ben specifica sequenza di stratifica vengono posizionati nei vari punti dello stampo i Figura 5.7 Posizionamento strati 75 tessuti fustellati di fibra secca (figura 5.7). La disposizione dei tessuti viene fatta a mano da un operatore altamente specializzato, che posto uno strato lo ricopre di resina e procede con la disposizione del successivo. Si possono disporre fino ad un massimo di nove strati di diversi tessuti. Una volta ultima la disposizione degli strati di tessuto mediante un distributore di resina epossidica si bagna completamente la fibra all’interno dello stampo. A questo punto lo stampo viene chiuso e posto sottovuoto, in seguito la resina liquida viene fatta polimerizzare mediante l’apporto di calore. L’azione del calore e della pressione fanno si che la resina si distribuisca uniformemente all’interno dello stampo e inizi il suo processo di reticolazione. Il ciclo di curing avviene a 75°C per un tempo di circa 10 minuti, con un successivo tempo di gelo di circa 2 minuti. Nelle figure 5.8 e 5.9 si può vedere il prima e dopo del processo di stampaggio della calotta. 76 Figura 5.8 Stampaggio calotta esterna in materiale composito Figura 5.9 Stampaggio calotta esterna in materiale composito Una volta terminato il processo di stampaggio la calotta viene estratta per essere rifinita e successivamente stuccata nel caso di piccole imperfezioni. A differenza dello stampaggio di calotte in materiale termoplastico, è necessario rifinire la calotta mediante robot automatizzati con tecnologia taglio al water-jet (figura 5.10). Figura 5.10 Taglio a getto d’acqua calotta in materiale composito 5.2.3. Rifinitura e verniciatura calotte Le calotte esterne dopo il procedimento di stampaggio vengono preparate per la successiva verniciatura. La calotta viene per prima cosa cartavetrata e rifinita per preparare il fondo ed eliminare piccole imperfezioni. La calotta deve esser quindi opacizzata e ricoperta da un fondo in poliestere che servirà come base per la verniciatura vera e propria. Figura 5.11 Cabina di verniciatura 77 La verniciatura in genere avviene in modo automatizzato all’interno di particolari cabine di verniciatura e successivamente le calotte vengono poste per diverse ore all’interno di forni di asciugatura. Terminato il tale processo vengono poste le decals e la calotta viene verniciata con un ultimo strato protettivo di vernice trasparente. 5.3. Produzione calotte interne La funzione principale della calotta interna è di assorbire l’energia di impatto durante un incidente motociclistico. Come visto in precedenza la performance del casco dipende in gran parte da come i diversi tipi di materiale espanso si comportano durante l’impatto. In questo trattato verrà analizzata la produzione del polistirene espanso (EPS). Il polistirene espanso grazie alle sue eccellenti caratteristiche di duttilità e leggerezza, ed un costo di produzione basso per quantitativi di grandi dimensioni rimane la prima scelta per la fabbricazione di calotte interne. Le calotte in polistirene espanso sono generalmente realizzate mediante il processo di stampaggio per iniezione. Un tipico stampo per calotte in EPS è formato da un punzone ed una matrice e la distanza tra essi stabilisce la forma della calotta; generalmente il nucleo è di forma emisferica e configurato per corrispondere approssimativamente alla forma parte superiore della testa umana. della Figura 5.12 Serbatoio di pre-espansione Nello stampaggio le particelle di polistirene vengono prima inserite in un grande serbatoio riscaldato (figura 5.12). Il serbatoio viene pressurizzato con aria calda per un determinato tempo necessario a provocare un ammorbidimento uniforme delle particelle di polistirene senza espansione. Dopo tale addolcimento viene applicato il vuoto all’interno del serbatoio e le particelle vengono lasciate espandere ad una densità desiderata, durante questo processo viene rimosso il gas pentano. Al termine dell’espansione il serbatoio viene riportato a pressione atmosferica e le perline di polistirene scaricate. Questa fase viene definita pre-espansione. 78 Figura 5.13 Sistema di espansione particelle di polistirene Le particelle di materiale scaricate vengono direttamente iniettate nello stampo mentre sono ancora calde. Alimentando lo stampo con un agente espandente (normalmente aria calda o vapore surriscaldato) si provoca una ulteriore espansione, che costringe le perline di materiale a conformarsi alla forma dello stampo causando un legame fusibile tra di loro. Lo stampo viene quindi lasciato raffreddare per permettere al polistirene espanso di stabilizzarsi, alla fine di questa fase la parte di calotta formatasi viene espulsa da un getto d’aria incanalata nel nucleo dello stampo. 5.4. Assemblaggio componenti E’ l’ultima fase del processo produttivo prima dei controlli di verifica finali. La fase di assemblaggio componenti consiste nel montaggio delle diverse parti del sistema casco: calotta esterna, calotta interna, meccanismo visiera, cinturino, imbottitura e sistemi di aereazione. Generalmente il montaggio dei vari componenti viene fatto a mano dai vari operatori specializzati in linee di assemblaggio secondo dettagliate istruzioni. 79 5.5. Normativa ECE 22/05 e Test di verifica finale Terminata la fase di assemblaggio dei componenti vengono verificati da operatori specializzati la struttura generale, la calzata della falsa-testa e il peso finale del sistema casco. Al termine di questa fase preliminare di verifica, secondo ben precisi piani di campionamento, si passa al laboratorio test per tutte le verifiche necessarie all’omologazione secondo la vigente normativa ONU/ECE 22.05. Di seguito sono elencate le diverse prove previste dalla normativa: Test di impatto → Il casco viene posizionato su di una falsa-testa. La falsa-testa è un oggetto in lega metallica disponibile in diverse taglie e ha il compito di simulare la testa di un motociclista durante un impatto. Figura 5.14 Test di impatto falsa-testa strumentata Una volta calzato il casco sulla falsa testa corrispondente, vengono entrambi posizionati su dei tavoli che dispongono di un sistema di puntamento con raggio laser per il tracciamento dei punti dove il casco deve esser testato. I punti d’impatto normati sono B (parte frontale), X DX (parte laterale destra), x SX (parte laterale sinistra), P 80 (sommità), R (parte posteriore), S (mentoniera) e gli urti avvengono facendo cadere il casco a velocità fra i 7,5 e i 7,65 m/s. Al termine della fase di tracciatura, per simulare le condizioni di utilizzo al varie delle temperature e per verificare se i materiali utilizzati resistono alle dilatazioni (caldo) e ai restringimenti (freddo), il casco viene condizionato. A seconda del tipo di incudine, piatto o kerbstone (fig. 5.15), utilizzato nel test il casco viene raffreddato o riscaldato: • Test di deformabilità → Incudine kerbstone e T=+50°C • Test di fragilità → Incudine kerbstone e T=-20°C • Test di rigidezza → Incudine piatto e T=-50°C Figura 5.15 Incudine piatto e Incudine kerbstone Terminata la fase di condizionamento il casco posizionato sulla falsa-testa è quindi testato o in gergo battuto. Il test avviene su di un apposito macchinario che solleva il casco calzato nella falsa-testa fino all’altezza di 3 metri per poi lasciarlo cadere sull’apposito incudine. Il casco viene battuto in tutti i sei punti precedentemente tracciati. L’apparecchiatura per i test di impatto è collegata ad un computer che evidenzia sul monitor il grafico del test appena effettuato (figure 5.16 e 5.17). All’interno della falsa testa sono posizionati tre accelerometri che trasmettono i dati al computer, il quale li elabora e da come output il grafico di impatto. I parametri essenziali evidenziati nel test sono: • Velocità di caduta → Deve esser compresa tra 7,5 e i 7,65 m/s. • Picco di accelerazione → E’ espresso in g ed evidenzia la decelerazione subita dal casco all’impatto con l’incudine. Il valore limite è di 275g. • Valore HIC → E’ il valore più importante e rappresenta la dissipazione dell’energia causata dall’impatto nel tempo, ossia per quanto tempo la falsatesta ha subito l’effetto dell’energia sprigionata dall’impatto con l’incudine. Non deve superare il valore limite di 2400. 81 In figura 5.16 e 5.17 sono riportati degli esempi di test di impatto nel caso di casco troppo rigido o troppo morbido. Figura 5.16 Figura 5.17 Test di impatto per casco troppo rigido Test di impatto per casco troppo morbido Verifica densità materiali → Dopo il test d’impatto che risulta essere la prova più importante per verificare la corretta performance del sistema casco, altro importante test e quello della verifica della densità del materiale della calotta interna. Mediante 82 uno specifico strumento (figura 5.18) si va a controllare che la densità del materiale espanso corrisponda secondo tolleranze minime a quella definita a progetto. Figura 5.18 Strumentazione per la veridica della densità dei materiali Test di condizionamento → Il casco viene trattato con una soluzione di solventi, quindi tenuto per periodi variabili dalle 4 alle 6 ore a temperature di +50°C, -20°C e +25°C. Successivamente viene esposto all’interno di un solar box a una sorgente di raggi UV e, infine, ad aspersione d'acqua. Resistenza allo schiacciamento → Il casco viene posto fra due piastre e viene misurata la resistenza a uno schiacciamento con una forza di 630N sia sull'asse longitudinale che su quello trasversale. La deformazione non può superare i 40 mm sotto carico e i 15 mm una volta ristabilito il carico originario di 30 N. Test anti-scalzamento → Posizionato il casco su una falsa-testa e allacciato correttamente il cinturino, viene agganciato alla parte posteriore un paranco cui è collegata una massa di 10 Kg, che viene lasciata cadere da un'altezza di 50 cm. Al termine della prova il casco non può aver ruotato sulla falsa-testa di oltre 30°. Test di resistenza allo scivolamento → Il casco, con dentro una falsa-testa, viene schiacciato con una forza di 40 N su un piano abrasivo scorrevole che simula l'asfalto. Un secondo test prevede un'incudine a barra, che simula uno spigolo, e questo viene ripetuto su tutti gli angoli della superficie del casco, prendendo in esame tutte le sue sporgenze. Ovviamente il casco non deve impuntarsi sull'ostacolo. 83 Test visiera → Per la visiera vengono misurare le doti ottiche, dalla rifrazione astigmatica a quella prismatica. Quindi la trasmissione spettrale e la trasmittanza. Per alcuni test si procede prima ad un condizionamento a -20°C o all’abrasione con sabbia. Viene poi testata la resistenza alla penetrazione, poggiando un cuneo sulla superficie della visiera e facendolo colpire da una massa di 3 Kg lasciata cadere da un'altezza di 1 metro. La visiera non dove rompersi e formare delle schegge taglienti. Infine viene testato a fatica il meccanismo di apertura e chiusura della visiera (fig. 5.19). Figura 5.19 Test di durata meccanismo visiera Resistenza allo strappo del cinturino → Una massa cadente da 10 Kg viene lasciata cadere da un'altezza di 750 ± 5 mm. L'estensione massima del cinturino non deve superare i 35 mm. Resistenza alla trazione del cinturino → Il cinturino viene lasciato per 2 minuti in trazione collegandogli una massa da 15 ± 0,5 Kg. L'estensione massima non deve superare i 25 mm. Resistenza allo sfregamento del cinturino → Dopo 5000 cicli su una superficie appuntita il cinturino deve resistere a un carico di 300 Kg. E il microscorrimento del sistema di regolazione non deve eccedere i 5 mm. Fibbie a sgancio rapido → Dopo un condizionamento in nebbia salina, si procede a 10.000 cicli di apertura e chiusura, quindi la fibbia deve resistere a una trazione di 200 Kg. Al termine di questi test, le fibbie a sgancio rapido debbono aprirsi con una pressione massima di 30 N. Preliminarmente viene controllato anche che non ne sia possibile l'apertura accidentale. 84 Test aerodinamici → I test sulla aerodinamica del casco non sono inseriti all’interno della normativa, in quanto non rappresentano uno standard di sicurezza, ma sono fondamentali per il comfort e l’areazione del casco. Tali test vengono svolti in fase preliminare sul prototipo e in fase finale sul prodotto finito per verificare la resistenza aerodinamica del casco e i sistema di aereazione. Figura 5.19 Test aerodinamici Se i valori delle prove sono positivi e rientrano in quelli stabiliti dalla omologazione il casco avrà superato i test. In caso contrario è necessario ritornare alla fase di progettazione per modificare la calotta esterna e la calotta interna affinché il casco aumenti le sue capacità protettive. 85 86 CONCLUSIONI L’analisi svolta nell’ambito di questa tesi di laurea ha avuto come oggetto lo studio degli aspetti più significativi del sistema di sicurezza casco, al fine di formulare una metodologia per la selezione dei materiali e la produzione di base dei caschi. A partire da uno studio anatomico in relazione agli impatti in ambito motociclistico, si sono potuti quindi approfondire i diversi concetti legati ai fattori predittivi di lesione. Da tali fattori sono stati estrapolati i criteri per gli standard di progettazione del casco e i test di omologazione finale. Da queste basi è stato possibile analizzare i diversi materiali per la produzione delle calotte esterne ed interne del sistema casco, in relazione al loro processo produttivo. Si sono quindi fornite le conoscenze e le variabili necessarie per la scelta secondo una metodologia critica, in funzione del tipo di applicazione, dei diversi materiali. Per motivi legati al segreto industriale, e alla riservatezza che esso comporta, i dati a disposizione in questo trattato sono limitati alle informazioni condivise dalla MAVET S.r.l e reperite nel lavoro di ricerca bibliografico. Lo studio condotto ha infine messo in luce la possibilità di futuri sviluppi nel campo della modellazione computazionale, per standard di progettazione ancor più precisi. I materiali considerati nel trattato stabiliscono l’attuale livello di riferimento per la produzione del sistema casco; la ricerca e lo sviluppo di nuovi materiali si sta concentrando particolarmente sulla introduzione di diversi polimeri espansi per la produzione di calotte interne. 87 88 RINGRAZIAMENTI Rivolgo un particolare ringraziamento alla MAVET S.r.l. per la collaborazione e la cortesia dimostrata nel permettermi di visitare la loro azienda e per le informazioni fornitemi per la stesura del mio lavoro di tesi. 89 90 BIBLIOGRAFIA Libri: M.F. Ashby, D.R.H. Jones, “Engineering Materials 1”, Pergamon Press, Oxford (UK) 1986. M.F. Ashby, D.R.H. Jones, “Engineering Materials 2”, Pergamon Press, Oxford (UK) 1986. W.D. Callister, “Scienza e Ingegneria dei Materiali – Una Introduzione”, Edizioni EdiSES, Napoli 2008. R.A. Higgings, “Materials for engineers and technicians”, Newnes, Oxford (UK) 2006. D. Hull, T.W. 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