26gruppo4 - Scuola Superiore dell`Amministrazione dell`Interno
by user
Comments
Transcript
26gruppo4 - Scuola Superiore dell`Amministrazione dell`Interno
XXVI Corso di formazione dirigenziale per l’accesso alla qualifica di viceprefetto IL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE NELLA PIU’ RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE DOCENTE COORDINATORE: Prof. Carlo COLAPIETRO Redazione: Renata CASTRUCCI Nicola COVELLA Fabiola de FEO Natalino MANNO Antonio ORIOLO Franca ROSA 1 Sommario INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………. 4 1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE ……………..…………………………………………………………….… 6 1.1 Cenni generali……………………………………………………………………………………… 6 1.2 I diversi modelli teorici…………………………………………………………………………… 8 1.3 Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro costituzionale e nella sua evoluzione legislativa……………………………………………………………………… 10 1.3.1 La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853…………………………………………………….. 10 1.3.2 Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista……………………………………. 11 1.3.3 La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governo-amministrazione nell’architettura costituzionale………………………………………………………………………… 13 1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del riordino dell’amministrazione dello Stato……………………………………………………………………… 15 1.4 La riforma della dirigenza pubblica………………………………………………………………… 16 1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura……………………………………… 16 1.4.2 La riforma del 1993 con il D.Lgs. 29: l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema amministrativo italiano……………………………………………………………………………… 16 1.4.3 La Legge 59 del 1997, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di una riforma organica della P.A…..…………………………………………………………………………………………. 17 1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma dell’organizzazione del governo………………………………………………………………………………………….. 19 1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ………………………………………………… 20 1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma”……………………………………… 20 1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma Brunetta………… 21 2. CENTRALITA’ DELLA PERSONA: DAL PARADIGMA BIPOLARE AL PERSONALISMO…………..…………………………………………………………………….…… 23 2.1 Cenni generali..……………………………………………………………………………………. 23 2.2 La buona amministrazione ................................................................................................................. 25 2.2.1 Dalla Costituzione all’art 41 della Carta dei Diritti fondamentali europei ....................................... 27 2.2.2 L’etica comportamentale della P.A.: dal paradigma bipolare al personalismo................................. 30 2.3 Un caso particolare: le obbligazioni del dirigente sanitario…………………………………………. 32 2.4 Dovere di “accountability” dei funzionari pubblici………………………………………………… 34 2.5 Una nuova concezione dell’interesse pubblico: dall’efficientismo al rispetto della dignità umana 35 3. UNO SGUARDO COMPARATO SULLA PUBBLICA DIRIGENZA NELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI........................................................................................................... 37 3.1 Cenni generali ............................................................................................................................... 37 3.2 Lo spoils system negli Stati Uniti d’America …………………………………………………… 38 3.2.1 La valorizzazione dell’autonomia gestionale.............................................................................. 39 3.3 La neutralità della Gran Bretagna ................................................................................................ 41 3.3.1 La modernizzazione della dirigenza pubblica britannica …….…………………….................... 43 3.4 La haute fonction publique francesce………………………………………………………… 44 3.4. 1 L’apertura alla dirigenza pubblica francese…………………………………………………… 45 4. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO STATALE...................................................................................................... 49 4.1 Cenni generali: l’inquadramento giuridico ........................................................................................ 49 4.2 Il bilanciamento degli interessi tra imparzialità e fiduciarietà nel quadro costituzionale................... 53 4.3 Lo spoils system nella giurisprudenza costituzionale …………........................................................ 54 2 4.4 Lo spoils system nella riforma Brunetta….......................................................................................... 59 5. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO REGIONALE.................................................................................................. 63 5.1 Cenni generali …………………. ...................................................................................................... 63 5.2 La giurisprudenza costituzionale ………………............................................................................... 65 CONCLUSIONI…………....................................................................................................................... 81 BIBLIOGRAFIA………………….......................................................................................................... 82 3 INTRODUZIONE L’evoluzione normativa e le innumerevoli riforme della pubblica amministrazione susseguitesi sin dagli anni ’90 hanno evidenziato l’importante ruolo svolto dalla dirigenza di cerniera tra l’indirizzo politico e la sua attuazione, in un sistema di unità-distinzione che vede i due poli sempre più strettamente collegati ed interessati da dinamiche di continuo e reciproco condizionamento. L’elemento che caratterizza l’organizzazione dei pubblici uffici, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità, è infatti costituito dalla naturale continuità dell’azione amministrativa, intesa come corrispondenza costante con i fini del governo condotta da una posizione di indipendenza operativa, che comprende la elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a raggiungere detti fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali. Ferma restando la divisione dei ruoli fra organi di direzione politica e burocrazia, l’azione amministrativa procede in una visione dinamica nella stessa direzione e con le stesse cadenze dell’azione politica del governo, né può divergere da quest’ultima negli obiettivi, come non può raggiungere risultati confliggenti. Da qui la necessità di un continuo e stretto raccordo funzionale, attraverso la puntuale definizione di nuove regole, al fine del perseguimento e della tutela dell’interesse pubblico comune. Il presente contributo prende avvio da un breve excursus storico che tocca la teoria della separazione dei poteri di Montesquieu, il modello accentrato cavouriano, i periodi post unitario e fascista sino alla Costituzione repubblicana. Chiuderà il primo capitolo l’illustrazione dell’iter normativo che ha interessato, negli ultimi decenni, la riforma della dirigenza pubblica. Il capitolo seguente è dedicato all’analisi di una innovativa concezione dell’organizzazione dell’attività dei dirigenti pubblici ispirata al modello personalistico della “buona amministrazione” che supera il paradigma bipolare Stato/sudditi. 4 Il lavoro prosegue, nel terzo capitolo, con una analisi in chiave comparatistica della dirigenza pubblica in tre Paesi esemplari: gli Stati Uniti, patria per eccellenza dello spoils system, la Gran Bretagna con le peculiarità del civil service e, infine, la Francia espressione dei grands commis della haute fonction publique. Rientrando nel panorama italiano, il quarto ed il quinto capitolo si soffermano sulla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, chiamata a giudicare della legittimità delle disposizioni legislative statali e regionali, concernenti il conferimento degli incarichi dirigenziali secondo il meccanismo dello spoils system. Dall’analisi emerge, in concreto, il ruolo svolto dalla Corte a salvaguardia dell’ordinamento. 5 1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE 1.1 Cenni generali Le vicende del rapporto tra politica e amministrazione segnano la storia di un rapporto difficile, complesso e contraddittorio, che parte dal periodo pre-unitario e resta più o meno stabile fino al 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione, per poi far registrare un forte momento di interesse nel c.d. “decennio delle riforme amministrative” (1990-2000) fino ad arrivare ai giorni nostri con la c.d. “riforma Brunetta” del 2009. E’ pur vero che nel tempo si è assistito ad un progressivo riconoscimento del ruolo decisionale della dirigenza amministrativa, attraverso la valorizzazione dell’autonomia gestionale della dirigenza stessa. Nella classificazione tradizionale delle funzioni statali, che si fa risalire alla dottrina sulla separazione dei poteri del Montesquieu del XVIII secolo, l’amministrazione non nasce con una propria identità, ma è parte del potere esecutivo, all’interno del quale sono presenti due diversi tipi di attività, quella amministrativa e quella politica e di governo. Va però dato atto al filosofo-giurista francese della consapevolezza dell’impossibilità di operare una netta distinzione concettuale, dal momento che “nella concretezza dei pubblici poteri, attività di posizione del fine e attività di scelta dei mezzi danno luogo ad un continuum” 1. E’ poi con l’introduzione del suffragio universale che “i poteri prima squilibrati a favore del potere esecutivo, si squilibrano a favore del potere legislativo” con la conseguenza che “la legge finisce per prevalere sul potere esecutivo e si afferma il principio di legalità, che produrrà due conseguenze, lo sdoppiamento tra governo e amministrazione e la sottoposizione dell’amministrazione al Parlamento”, dando 1 Cfr. C. COLAPIETRO, Politica e amministrazione: riflessioni a margine di un rapporto controverso, Studi parlamentari e di politica costituzionale, Anno 44 – N.171-172, 1°-2° trimestre 2011, pagg.147-148; Cfr. C. COLAPIETRO, Governo e amministrazione. La dirigenza pubblica tra imparzialità e indirizzo politico, Torino, Giappichelli,2004, pagg. 5-6; Cfr. C.L. MONTESQUIEU, De l’esprit des lois, Paris, 1979, pagg. 294 ss. 6 peraltro origine a quello “strabismo” per il quale “l’amministrazione è in rapporto di dipendenza organica dal governo e di dipendenza funzionale dal Parlamento, ma deve nello stesso tempo, essere imparziale” 2. Assistiamo successivamente, nel passaggio dallo Stato liberale al moderno Stato sociale, ad una forte espansione quantitativa delle amministrazioni pubbliche, necessaria per far fronte ai nuovi e gravosi compiti assunti dallo Stato in campo sociale ed economico e, conseguentemente, al moltiplicarsi delle dimensioni e dell’ingerenza della burocrazia, che diviene così sempre più portatrice di propri interessi e talvolta di propri indirizzi. Di qui il moltiplicarsi dei rapporti tra governo e amministrazione; da una parte, infatti, si supera la visione unidirezionale del rapporto politica-amministrazione, inteso come flusso unico dei condizionamenti dal governo verso l’amministrazione e si riconosce invece il carattere bidirezionale del rapporto in questione, dando atto di una reciproca influenza tra politica e amministrazione. Dall’altra, si acquisisce consapevolezza del fatto che il tema del rapporto tra politica, meglio, tra governo e amministrazione finisce per costituire uno degli snodi fondamentali dell’imparzialità amministrativa, seppur con qualche ambiguità: infatti proprio un’effettiva garanzia di indipendenza dell’amministrazione rispetto al governo permette di porre un freno ai rischi di favoritismo e di discriminazione da parte delle forze politiche 3. La criticità del rapporto governo-amministrazione risiede nell’apparente paradosso secondo cui “un’amministrazione imparziale è chiamata ad attuare indirizzi politici che sono per definizione parziali e possono essere, nel sistema maggioritario, fortemente di parte”; tant’è che è proprio per effetto dell’introduzione di un sistema elettorale prevalentemente maggioritario che si rende particolarmente necessario 2 Cfr. M. NIGRO, L’azione dei pubblici poteri, Lineamenti generali, in G. AMATO, A. BARBERA (a cura di), Manuale di diritto pubblico, III ed. Bologna, Il Mulino, 1997, pag. 9. 3 Cfr. A. CERRI, Principi di legalità, imparzialità, efficienza, in L. LANFRANCHI (a cura di), Garanzie costituzionali e diritti fondamentali, Roma, IPZS, 1997, pag. 191 ss. 7 “l’apprestamento di garanzie rispetto ad un temuto uso di parte di strutture in gran parte amministrative” 4. E’ allora da tenere sempre in massima considerazione l’autonomia dirigenziale, salvaguardandola da ogni possibile ingerenza politica per il bene comune dell’intera collettività, atteso che questa dovrebbe essere percepita come presidio dell’imparzialità nello svolgimento dell’azione amministrativa. In proposito, D’Alessio sottolinea come nel nostro Paese la garanzia dello status di dirigenti “viene ricercata sul piano strettamente normativo, attraverso strumenti e meccanismi di tipo giuridico-formale” 5. 1.2 I diversi modelli teorici La relazione tra politica e amministrazione costituisce la “cartina tornasole” della stessa forma dello Stato. Nelle forme di Stato di tipo autoritario, amministrazione e potere esecutivo sono tendenzialmente coincidenti, mentre nelle Democrazie detta relazione si declina in base ad una serie di variabili istituzionali, come si vedrà più diffusamente nel capitolo dedicato alle esperienze comparate. E’ interessante, al riguardo, la tesi di Andrea Patroni Griffi secondo cui politica e amministrazione rappresentano “due momenti distinti della funzione di governo, che, al contempo, sono strettamente connessi tra di loro” 6. Esistono quindi in dottrina tre modelli teorici, separazione, osmosi ed interconnessione, attraverso cui è stato concretamente rappresentato il rapporto tra politica e amministrazione. Il primo modello implica una scissione netta tra funzione di governo, affidata agli organi rappresentativi, ed attuazione strettamente esecutiva, priva di discrezionalità, riservata alla burocrazia. 4 Cfr. G.D’ALESSIO, Evoluzione dei sistemi amministrativi, il quadro d’insieme, in M. DE BENEDETTO ( a cura di), Istituzioni, politica ed amministrazione. Otto paesi europei a confronto, pag. 186. 5 Cfr. ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione? In Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1994, pag.151; Cfr. L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, Padova,CEDAM,1974. 6 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica. Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione. Napoli, Iovene, 2002, pag. 29 ss. 8 Il modello dell’osmosi è collocato in un’ottica opposta fondata sul principio che i due campi di intervento (politica e amministrazione), non facilmente scindibili sotto i profili funzionale e strutturale, si presentano in linea di assoluta continuità, risultano quindi sostanzialmente coincidenti. Sull’argomento, sempre Patroni Griffi 7 evidenzia che “il rapporto osmotico, nella sua versione più nitida, si traduce in uno spoils system che garantisce, all’origine, l’assoluta omogeneità tra gli apparati amministrativi ed i vertici politici”. Il che consente l’instaurarsi di un rapporto altamente fiduciario tra i vertici politici e l’alta burocrazia. Il terzo modello si presenta come quello adottato da tutte le democrazie liberali, intermedio tra la separazione e l’osmosi, ovvero l’interconnessione tra politica e amministrazione nell’affannosa ricerca, soprattutto per gli incarichi apicali, di “un giusto punto di equilibrio fra il rispetto di elementi di oggettività nella individuazione dei destinatari ed il riconoscimento di un inevitabile tasso di fiduciarietà” 8. Ad una compagine burocratica, assai numerosa, composta da dipendenti di carriera, selezionati con procedure meritocratiche, si affianca la fascia apicale della dirigenza pubblica, più contenuta nei numeri, il cui meccanismo di nomina segue logiche sostanzialmente fiduciarie che funge “da cerniera, da relais tra il livello politico e quello più squisitamente tecnico”. Indirizzo politico ed attività amministrativa possono essere tendenzialmente distinti, ma non nettamente separati. Una volta accolta l’interconnessione fra politica e amministrazione nella convinzione che siano “due facce di quell’unica medaglia che è il governo della cosa pubblica” sorge poi il problema di “ come strutturare concretamente e normativamente questo modello” in un dato sistema. Tale visione del rapporto politica-amministrazione consente anche di porre fine a quella sostanziale ambiguità di fondo che presenta in questo modello la figura del dirigente pubblico: da un lato c’è la definizione del dirigente come di colui che è al vertice di una determinata organizzazione, l’odierno manager, dall’altro vi è la 7 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, op.cit. Pag. 27. Cfr. C. COLAPIETRO op. cit., pag.155 ss; Cfr. S. CASSESE, op. cit. pag. 173. 8 9 connotazione peculiare del pubblico dirigente, che non ha niente in comune con la cennata nozione, rimanendo sostanzialmente in posizione di subordinazione gerarchica nei confronti dell’organo politico titolare del dicastero, che ai sensi dell’art. 95, comma 2 Cost., assume la responsabilità sostanziale, quanto meno sul piano politico, di tutti gli atti. Da qui è facile delineare una tensione tra quello che in astratto implica la nozione di dirigente e la sua trasposizione in concreto nell’ordinamento: tra ciò che è e ciò che dovrebbe essere. Emerge in dottrina la convinzione che il nostro ordinamento faccia propria la distinzione tra politica e amministrazione, convenzionale e non ontologica, che però non può intendersi in termini di netta separazione, dal momento che esiste “una insopprimibile area di sovrapposizione e che essa opera, di conseguenza, come principio tendenziale di distribuzione della competenza, la cui attuazione richiede flessibilità di strumenti e di soluzioni 9. 1.3. Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro costituzionale e nella sua evoluzione legislativa 1.3.1. La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853 Fin dalla legge Cavour del 23 marzo 1853, n. 1483 che riorganizzava gli apparati dello Stato sabaudo, nel nostro Paese si è realizzato il modello accentrato, caratterizzato da una impostazione verticistica, nella quale il ministro era la spina dorsale di tutta l’amministrazione e basato su una visione unidirezionale del rapporto tra politica e amministrazione, tale da concentrare nella responsabilità degli organi a titolarità politica tutte le funzioni amministrative. Il ministro – unica figura che appariva all’esterno – racchiudeva la duplice funzione di responsabile politico verso il Capo dello Stato o verso il Parlamento e di capo dell’amministrazione, assorbendo in sé le potestà direttive e quelle legate alla funzione di superiore gerarchico. 9 Cfr. M. NIGRO, op. cit., pag. 9. 10 Il modello accentrato adottato da Cavour regolerà poi per oltre un secolo la vita dell’intera amministrazione pubblica italiana, sulla base di un assetto gerarchicopiramidale dell’amministrazione, frutto del connubio del centralismo napoleonico con il parlamentarismo britannico. Detto modello entrava poi in crisi soltanto nel 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che ha “introdotto per la prima volta in modo consapevole, nella nostra storia giuridica, il problema della separazione dell’amministrazione dal governo e della tutela di essa contro l’azione del governo quale organo politico” 10 . E’ pur vero che la scelta della formula dello Stato amministrativo accentrato si presenta – per lo Stato unitario – come la più coerente con la vicenda risorgimentale conclusasi con la unificazione nazionale e la più atta a salvaguardare lo Stato unitario dai rischi di disgregazione. Il modello accentrato, che aveva avuto la sua ragione principale nella necessità dell’unificazione amministrativa, comincia ad entrare in crisi quando vengono meno le ragioni che giustificano l’assorbimento di tutte le responsabilità in capo al ministro. 1.3.2. Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista Il modello ministeriale cavouriano subiva poi dei tentativi di riforma, peraltro falliti, che meritano comunque di essere segnalati. Già il Presidente del Consiglio Bettino Ricasoli si faceva promotore di un disegno di legge di conversione del R.D. 24 ottobre 1866, n.3306 per il riordinamento dell’amministrazione centrale dello Stato, disegno di legge mai approvato. Ricasoli si rivelava così un precursore della distinzione - fatta propria dalla scienza dell’amministrazione - fra responsabilità sostanziale e titolarità formale dei provvedimenti. Anche le ulteriori proposte riformatrici esperite, peraltro senza successo, fino alla fine dell’ottocento, si proponevano inoltre di operare anche quell’essenziale distinzione tra governo e amministrazione per arginare il fenomeno negativo della commistione tra politica e amministrazione. E’ quindi 10 Cfr. M. NIGRO, op. cit. pag. 9. 11 indubbio che nel periodo postunitario si sia verificato un processo di osmosi tra ceto politico e amministrativo per gli incarichi di vertice 11. Quindi per la modifica del modello cavouriano bisogna attendere l’avvento della Sinistra al potere (1876), quando si cominciano a registrare mutamenti importanti nel rapporto tra amministrazione e politica, poiché viene meno il rapporto osmotico tra ceto politico e ceto burocratico che era stato il tratto caratterizzante dei primi decenni del periodo unitario. L’inizio dello scollamento tra ceto politico ed alta burocrazia che dette inizio al divaricarsi delle due carriere, si può far risalire alla scelta che operò il governo Crispi nel 1888 quando istituì in funzione di viceministri i sottosegretari di Stato, abolendo contestualmente la figura dei segretari generali nei ministeri, che fino a quel momento avevano rappresentato il punto di congiunzione tra apparati e guida politica. La riforma era infatti da inquadrare nella filosofia depretisina e crispina di concepire una maggiore presenza del governo nell’amministrazione, che all’inizio degli anni ottanta aveva iniziato a concretizzarsi in maniera più complessa, considerato il consolidarsi delle direzioni generali 12. Così all’inizio del XX secolo, la richiesta di separazione tra politica e amministrazione produsse l’effetto di rafforzare le garanzie normative dei pubblici impiegati, per porli al sicuro dall’arbitrio della classe politica, con le leggi sullo statuto giuridico del 1908 e del 1923. Anche durante il periodo fascista gli elementi essenziali del rapporto tra politica e amministrazione non mutarono sostanzialmente, poiché il regime non procedette ad una “fascistizzazione” dell’amministrazione, preso atto della permanenza nei posti chiave di burocrati entrati in carriera nella precedente era giolittiana, i quali mantennero per lo più un atteggiamento prudente nei confronti del regime. Per contro, si tornò alla 11 Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 44. Cfr. sul punto S.SEPE, MAZZONE, PORTELLI e VETRITTO, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana (1861-2002), op. cit. pagg. 26 s. e 56 ss., dai quali si evince che a seguito della riforma Crispi l’alta burocrazia andò assumendo una maggiore autonomia: crebbero di importanza e di numero i direttori generali ed il loro rapporto con il ministro si fece più stretto; il che fu reso possibile anche dalla c.d. “spiemontesizzazione” dell’amministrazione, in cui fece ingresso, per la prima volta dopo l’Unità, una nuova generazione di funzionari che “aveva valori comuni e analoga cultura giuridica”. 12 12 più rigorosa interpretazione del modello accentrato cavouriano e la funzione della dirigenza pubblica non fu altro che quella di coadiuvare il ministro 13. 1.3.3. La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governoamministrazione nell’architettura costituzionale In Assemblea costituente, Costantino Mortati rappresentò l’opportunità che la Carta prevedesse norme che assicurassero il ruolo autonomo della dirigenza in funzione della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione stessa, nonché di un corretto rapporto con il potere politico, precisando come ai funzionari dovessero essere assicurate “alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici”, dal momento che “lo sforzo di una costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti, deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei partiti” 14. Il che significava individuare in capo alla dirigenza non solo una sfera autonoma di competenze, ma anche una correlata sfera di responsabilità. E’ evidente che nell’intenzione dell’illustre costituzionalista non si voleva affermare la preminenza della dirigenza nei confronti degli organi politici, bensì il contestuale riconoscimento di due principi, “quello dell’indipendenza dal condizionamento politico e quello della connessa responsabilità rispetto alla gestione degli affari di propria competenza” 15. A conclusione del dibattito, il testo definitivo della Carta costituzionale realizzava uno “statuto dell’amministrazione” abbastanza vicino alle idee manifestate dal Mortati: infatti per l’art. 97 Cost. i pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo da assicurare l’imparzialità ed il buon andamento 13 Cfr. sul punto D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Italia, in AA.VV., L’alta burocrazia, a cura di D’ALBERTI, cit. pag. 131 ss. e GIANNINI, Parlamento e amministrazione, in AA.VV., L’amministrazione pubblica in Italia, a cura di Cassese, Bologna, 1974, pag. 233. 14 Cfr. COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE, II SOTTOCOMMISSIONE ( I sez.), seduta del 14 gennaio 1947, in La Costituzione della repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Camera dei deputatiSegretariato Generale, vol. VIII, Roma, 1971, pag. 1863 ss. 15 Cfr. DI ANDREA, Lo spoils system: noterelle sulla disciplina della dirigenza pubblica in Italia e spunti comparatistici, cit. pag. 673 s. 13 dell’amministrazione, mentre per l’art. 98 Cost. i pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione. E’ vero che la Carta non stabilisce espressamente il principio di separazione tra politica e amministrazione, ma l’idea di amministrazione che il costituente cerca di delineare è pur sempre quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di funzioni e responsabilità proprie; per citare il Sandulli, “altro è la politica, altra l’amministrazione e la giustizia; sicché i partiti debbono pesare, attraverso il Parlamento, ai fini della prima, debbono invece arrestarsi alle soglie delle altre due” 16. Il quadro sopra delineato comporta quindi “la fine dell’apparato amministrativo come irresponsabile, non implicato nelle decisioni, interamente assorbito dal ministro”. Con la Costituzione, pertanto, si registra la nascita di un policentrismo, che consente di realizzare una struttura articolata degli stessi apparati centrali, configurabile mediante il trasferimento ad organi burocratici, retti da dirigenti ”direttamente responsabili ed in posizione di sufficiente dipendenza”. Ai ministri, non più in posizione di superiorità gerarchica, viene riservato ciò che è “generale”, non ciò che è “particolare”, riconoscendo finalmente loro soltanto compiti di indirizzo, coordinamento e controllo 17. E’ pur sempre la fine, con la Costituzione del 1948, da un lato, del falso mito della burocrazia neutrale, dall’altro, dell’attenuarsi della stessa responsabilità politica del ministro verso il parlamento, che trova una controspinta nella responsabilità collegiale del governo, secondo la tendenza a considerare rivolto contro l’intero gabinetto l’attacco ad uno dei suoi membri. In questa prospettiva, invece si ritiene che possa non trovare più compatibilità con i principi costituzionali sopra espressi il tradizionale modello gerarchico-piramidale, oramai diventato un principio meramente residuale 18. 16 Cfr. Sul punto A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica: Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione, cit. pag. 67, PALADIN, I contributi di Aldo Sandulli su politica ed amministrazione nell’ordinamento repubblicano, in Dir. Amm., 1994, pag. 318. 17 Cfr. sul punto A.M. SANDULLI, Governo e amministrazione, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1966, pag. 758 s., secondo cui in tal modo “i ministri diventerebbero guide e custodi dell’amministrazione ed entro tali limiti ne risponderebbero, cessando di esserne i capi”. 14 La ricaduta sul rapporto governo-amministrazione delle norme costituzionali in questione sarà approfondita nella parte relativa all’esame dello spoils system. 1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del riordino dell’amministrazione dello Stato Data fondamentale del nostro percorso di inquadramento storico dell’evoluzione del rapporto tra politica e amministrazione è sicuramente quella del 1972, quando con D.P.R. 30 giugno, n. 748, si procede all’istituzione della dirigenza statale nel chiaro tentativo di sottrarre l’alta burocrazia alla precedente piena dipendenza gerarchica dal ministro per farne invece un corpo di collaboratori del vertice politico dotato di competenze proprie ed autonome e di maggiori responsabilità. Prima di questo momento la carriera dirigenziale non era distinta da quella direttiva e lo status di dirigenti, meglio dire degli impiegati direttivi del più alto grado, era disciplinato anch’esso dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Ritornando al D.P.R. 748/72 va precisato che la nuova normativa sulla dirigenza dell’amministrazione un pubblica gruppo si dirigente sforza dotato di “identificare di specifiche al vertice prerogative, conferendogli una relativa autonomia rispetto al vertice politico”, con l’attribuzione di una relazione gerarchica attenuata tra politica e amministrazione e l’attribuzione alla dirigenza di poteri propri 19. Ma la riforma del ’72, per tutta una serie di concause non riuscì a produrre i risultati sperati dal legislatore e non riuscì nemmeno a creare un nuovo rapporto tra politica e amministrazione, né riuscì a “forgiare” il dirigente pubblico sul modello del manager privato, con poteri propri e in grado di assumere 18 Cfr. sul punto GIANGASPERO, Le strutture di vertice della pubblica amministrazione. Vincoli costituzionali e prospettive di riforma, Milano, 1988, pag. 69 s. e BACHELET, Responsabilità del ministro e competenza esterna degli uffici direttivi dei ministeri, cit., pag. 589. 19 Cfr. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1863), Bologna, 1996, pag. 492, che ricorda come l’intervento del legislatore sopraggiunga soltanto dopo che “una grave crisi di status e di prestigio sociale aveva eroso sin dal dopoguerra l’identità e la consapevolezza di sé degli alti funzionari dello Stato”. Cfr. anche sull’attenuazione del principio gerarchico D’ALBERTI l’alta burocrazia in Italia, cit., pag. 150 e BATTINI, Il rapporto di lavoro con le pubbliche amministrazioni, cit., pag. 617 e RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, Torino, 2002, pag. 35. 15 responsabilità sui profili degli atti di gestione e conseguentemente dei risultati. In questi anni si assiste, in definitiva, ad uno “scambio sicurezza-potere tra organi politici ed alta burocrazia”, secondo la nota definizione di Cassese 20. 1.4 La riforma della dirigenza pubblica 1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura Il disegno di legge in questione, presentato nel corso della X Legislatura dal governo De Mita, tenta di porre rimedio alla situazione di immobilismo che si era venuta a creare, cercando di elaborare un progetto di riforma unitario di tutta la dirigenza pubblica, secondo modelli di tipo imprenditoriale, che però implica, prima di tutto, la revisione dell’insieme dei condizionamenti, dei vincoli e dei percorsi obbligati che differenziano la pubblica amministrazione da una struttura di tipo privatistico. Il modello imprenditoriale di dirigenza viene importato nella sua interezza nell’organizzazione pubblica, nell’ambito del quale “le c.d. tre E (economicità, efficienza ed efficacia) costituiscono altrettante regole teleologiche per lo svolgimento di una funzione pubblica moderna”. In questa nuova ottica, si introduce la “differenziazione funzionale tra il livello politico, a cui spetta la formulazione degli indirizzi e delle scelte strategiche, e il livello tecnico-gestionale, cui compete l’attuazione delle direttive di indirizzo e la realizzazione delle strategie 21. 1.4.2 La riforma del 1993 con il decreto legislativo n. 29: l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema amministrativo italiano Il D.Lgs. 29/93 rappresenta l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema amministrativo italiano, dal momento che come sostenuto dal Rinaldi rappresenta “la 20 S. CASSESE, Burocrazia ed economia pubblica (cronache degli anni ’70), Bologna, 1978, p. 116. 21 Cfr. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione. Organizzazione e ruolo della dirigenza pubblica nell’amministrazione contemporanea, cit. pag. 186 ss., che rileva come in tale contesto nasca, a livello mondiale, una nuova figura di funzionario pubblico, “educato professionalmente in base ai criteri che ispirano l’attività dei dirigenti del settore privato, dotato di corrispondenti poteri e responsabilità, nonché di conoscenze e strumenti idonei al raggiungimento degli obiettivi ad esso affidati”. 16 risposta italiana alla linea europea di riforma dell’amministrazione che punta sul modello di impresa e su un diverso assetto del rapporto politica-amministrazione” 22 . E’ acclarato che con il D.Lgs. 29/93 si verifica in Italia la “prima” privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici. Il decreto legislativo in questione fissa negli artt. 3 e 14 “gli aspetti caratterizzanti della nuova dirigenza pubblica, muovendo proprio dal richiamato principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, quest’ultima affidata ai dirigenti, che assumono così un’autonoma legittimazione e una diretta responsabilità per la gestione” 23. Ma prima ancora che fosse completata la fase transitoria della prima privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, il legislatore, al fine di non rischiare di vedere compromessi gli effetti del processo riformatore intrapreso, decide di intervenire nuovamente sulla materia per portare a compimento la riforma. 1.4.3 La legge 15 marzo 1997, n. 59, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di una riforma organica della P.A. La riforma in questione che, come noto, prende il nome dall’allora Ministro per la Funzione Pubblica, Franco Bassanini, viene definita come” seconda” privatizzazione del pubblico impiego ed avvia un complessivo progetto di riordino dell’amministrazione pubblica (poi proseguite con le Leggi 127/1997 e 191/1998), teso ad effettuare una profonda opera di revisione degli apparati ministeriali ed anche a decentrare le funzioni amministrative a beneficio delle Regioni e delle autonomie territoriali in genere, il tutto finalizzato ad instaurare il c.d. federalismo amministrativo, ossia il massimo del federalismo a costituzione invariata. Dette leggi si basano sul 22 Cfr. RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, cit. pag. 40. 23 Cfr. sul punto C.COLAPIETRO, op. cit. pag. 72. 17 principio di distinzione, a tutti i livelli di governo, fra attività di indirizzo politico e attività di gestione. Bassanini, in un suo autorevole scritto, rappresenta plasticamente che è doveroso tener conto di tre principi costituzionali: quello democratico, quello dell’imparzialità dell’amministrazione e quello del buon andamento dell’amministrazione stessa, il quale si ricollega alla missione attribuita dalla Costituzione alle amministrazioni pubbliche di rappresentare “gli strumenti per la garanzia e l’attuazione dei diritti fondamentali dei cittadini” 24. Questa riforma ha ripercussioni sulla disciplina della dirigenza pubblica, in quanto incide sia sulla riforma dell’organizzazione del Governo (varata con il successivo D.Lgs. 300/1999, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lett. a), e 12 della L. 59/1997), che ha condotto ad una complessiva revisione delle funzioni e dell’organizzazione degli apparati ministeriali, sia sulla predisposizione di un nuovo ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri ( adottato con il predetto D.Lgs. 303/1999, ai sensi dell’art. 11 della medesima L. 59/1997), al fine di disciplinare l’organizzazione e le funzioni della Presidenza e farne una “cabina di regia” della politica governativa sul modello di altre esperienze europee. Interessante infine è notare anche che l’art. 11, comma 4, della citata Legge 59/97, delega il governo a completare “l’integrazione della disciplina del lavoro pubblico con quella del lavoro privato”, enfatizzando “il principio della separazione tra compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione delle amministrazioni” 25. Nel senso sopra indicato si muove pertanto il successivo D.Lgs. 80/1998, che introducendo l’art. 24 estende il regime di diritto privato dal rapporto di lavoro anche ai direttori generali delle amministrazioni pubbliche, che erano stati esclusi dalla prima privatizzazione. 24 Cfr. sul punto F. BASSANINI, Indirizzo politico, imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza. Principi costituzionali e disciplina legislativa, in Nuova Rassegna, 2008, pag. 257 ss. 25 Cfr. sul punto C. COLAPIETRO, op. cit pag. 387 ss. 18 Ma la riforma realizzata con il decreto legislativo sopraindicato è importante perché introduce nel nostro ordinamento una sorta di meccanismo di spoils system in coincidenza con la formazione del nuovo governo. Detto sistema riguarda le figure apicali della dirigenza pubblica e prevede, inoltre, la temporaneità degli incarichi. 1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma dell’organizzazione del governo La riorganizzazione del governo avviene proprio con il D.Lgs. 300/99 che rende omogenei i ministeri alla nuova visione della Presidenza del Consiglio, ora concepita come struttura deputata all’esercizio di funzioni proprie da parte del Presidente del Consiglio. L’idea che permea tutta la riforma è quella di conferire ai ministeri le funzioni di settore, al contempo accorpandone le competenze e riducendone il numero, legislativamente fissato in 12, cercando così di superare il limite negativo della segmentazione e delle difficoltà di dimensionare gli uffici centrali ai compiti effettivi da svolgere. Il ministro continua ad avere la direzione e la responsabilità politica del Dicastero e svolge anche funzioni politico-amministrative avvalendosi di uffici di diretta collaborazione, composti da personale reclutato con ampia discrezionalità anche al di fuori dell’amministrazione ( art. 7 D.Lgs. 300/99). Tutti i provvedimenti legislativi che abbiamo cercato di focalizzare, figli di questo ultimo decennio del novecento sono quindi frutto di una profonda stagione riformista che aveva come obiettivo quello di cambiare il sistema amministrativo italiano; scopo principale era quello di dislocare dal centro alla periferia gran parte delle funzioni amministrative, con la conseguenza di dover procedere alla ristrutturazione degli apparati centrali. In questa ottica si ritrova il padre di tutte queste riforme, Franco Bassanini, il quale sottolinea come “la riforma della dirigenza pubblica non costituisce una vicenda parallela o secondaria, ma si inserisce a pieno titolo in tale disegno, in quanto strettamente interconnessa con molti dei suoi aspetti più significativi e qualificanti” 26. 26 Cfr. sul punto, F. BASSANINI, Prefazione, in G. D’ALESSIO, op. cit., pag. 15 s.. 19 1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 In questo contesto generale si registra la necessità nel 2001 di predisporre un testo unico per raccogliere le norme che regolano i rapporti di lavoro relativamente al personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Il decreto legislativo in esame, reca come titolo “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e viene emanato ai sensi dell’art. 1, comma 8 della Legge 24 novembre 2000, n. 340. Ciò premesso, è doveroso precisare che il decreto legislativo non assumerà la denominazione di testo unico, accogliendo un esplicito invito a modificare il titolo da parte delle commissioni della Camera per non ingenerare equivoci perché non era omnicomprensivo di tutti i rapporti di lavoro esistenti nella galassia della pubblica amministrazione. 1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma” Una particolare attenzione merita la L. 15 luglio 2002, n. 145, considerata a ragione in dottrina come un’autentica “controriforma” della dirigenza pubblica che ha pressocchè riscritto la disciplina del c.d. governo dell’alta burocrazia, rafforzando ulteriormente e pericolosamente il rapporto tra il ministro e la dirigenza pubblica. In apparenza tale dettato normativo pare che persegua “l’obiettivo di apportare soltanto alcuni limitati, seppur significativi, aggiustamenti” alla normativa relativa alla dirigenza confluita nel sopra richiamato D.Lgs. 165/2001, intervenendo esclusivamente “attraverso correzioni ed integrazioni parziali delle disposizioni ivi contenute”, piuttosto che con l’introduzione “di una disciplina della dirigenza del tutto nuova ed esaustiva e quindi distinta ed autonoma rispetto a quella dettata in tale decreto”. A ben guardare, però, così non è. Si tratta di una riforma ben più ambiziosa di quanto in prima battuta si potesse ritenere e ancora di più se si esaminano i contenuti e l’effettiva portata modificativa, dal momento che interviene “in misura determinante su alcuni nodi essenziali (…), finendo per incidere, in modo più o meno esplicito, sulla stessa ratio 20 delle innovazioni intervenute negli anni precedenti, (…) messe in discussione in molti dei loro aspetti più qualificanti” 27. Obiettivi di questa “controriforma”: la determinazione di un nuovo e sempre più difficile equilibrio tra politica e amministrazione e l’introduzione nell’ordinamento della dirigenza di maggiori elementi di flessibilità e di nuove forme di mobilità. Il legislatore vuole pervenire alla rideterminazione di un nuovo punto di equilibrio tra politica e amministrazione. La ricerca del punto di equilibrio resta comunque difficile perché forte è il legame della dirigenza pubblica con gli organi di indirizzo politico-amministrativo. Pertanto il risultato complessivo è quello “di un consistente rafforzamento della posizione dell’organo di governo, che … rischia di rimettere in causa le stesse basi dell’autonomia dirigenziale”, per effetto di un fin troppo chiaro “spostamento dell’equilibrio fra politica e amministrazione tutto a favore della prima, con conseguenziale “precarizzazione” della posizione dei dirigenti” 28. 1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma Brunetta La riforma Brunetta, che consiste nel D.Lgs. 150/2009, attuativo della legge delega 15/2009, è finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e al miglioramento della efficienza e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni. La filosofia di questa riforma risiede nella constatazione che senza una dirigenza competente e moderna saldamente allineata agli standard di efficienza dei paesi economicamente più avanzati non c’è privatizzazione o ripubblicizzazione che tenga, bensì può esistere solo l’attuale profondissima crisi della pubblica amministrazione, che altro non è se non una delle tante facce della crisi dello Stato con cui quotidianamente si misurano i cittadini 29. 27 Cfr. sul punto G. D’ALESSIO, op. cit. cit. pag. 214 e C. COLAPIETRO, La “controriforma” del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica, estratto da Le Nuove Leggi Civili Commentate, Anno XXV N. 4-5 – Luglio – Ottobre 2002, CEDAM 2002, pag. 646 e ss. 28 G. D’ALESSIO, op. cit. pag. 219. 29 Cfr. S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002. 21 Ecco perché il D.Lgs. 150/2009 annovera tra i suoi principi generali (art. 1, comma 2) l’intendimento di realizzare il “rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e della responsabilità della dirigenza”, ancorché il dirigente pubblico, quanto alle “determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei rapporti di lavoro” agisce, ormai, da oltre quindici anni con la “capacità” e, soprattutto, i “poteri” del privato datore di lavoro. Con l’art. 40 si tenta di arginare l’occupazione da parte della politica delle posizioni dirigenziali, veicolando la discrezionalità dei vertici politici nel conferimento degli incarichi all’interno di confini più precisi e meritocratici. L’obiettivo finale di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa ha indotto il legislatore anche ad un evidente inasprimento del momento dell’esercizio disciplinare. In particolare il D.Lgs. 150/2009 si caratterizza per alcune previsioni che impongono al dirigente di esercitare il potere disciplinare nei confronti dei suoi sottoposti, onde incorrere, a sua volta, in una omissione sanzionabile. Il dirigente è poi chiamato alla responsabilità di valutare i suoi collaboratori e di differenziarne il giudizio, pena macchiare il proprio stato di servizio, con conseguenze sia sul piano retributivo che sulla progressione in carriera o l’attribuzione di incarichi e responsabilità. Ecco perché è stata istituita con l’art. 13 la CIVIT (Commissione per la valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), soggetto esterno e sono stati potenziati gli organi indipendenti di valutazione (OIV). Sicuramente è questa una riforma composta da un impianto particolarmente complesso che sembra richiedere necessariamente tempi lunghi per la messa a regime; a favore di essa, però, sta la consapevolezza che nel mercato globalizzato in cui oggi viviamo, anche le amministrazioni degli Stati sono in concorrenza fra loro e che ogni amministrazione lassista e inefficiente, o peggio ancora corrotta, non è altro che un forte incentivo alla delocalizzazione. 30 30 Cfr. sulla riforma Brunetta, M. PERSIANI, Dottrina e attualità giuridiche, La nuova disciplina della dirigenza pubblica, in Giurisprudenza Italiana, Dicembre 2010. 22 2. CENTRALITA’ DELLA PERSONA: DAL PARADIGMA BIPOLARE AL PERSONALISMO 2.1 Cenni generali Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è stato interessato, negli ultimi anni, da profondi mutamenti legislativi, in particolare a seguito della c.d. "privatizzazione" attuata con il D.Lgs 29/93, sostituito dal D.Lgs. 165/2001, così come modificato dal D.Lgs. 150/2009. Uno degli aspetti fondamentali del suddetto impianto normativo è costituito dal mutamento del rapporto fra gli organi di governo e la burocrazia degli enti pubblici nel senso di separare nettamente l'attività d’indirizzo politico, affidata ai primi, da quella gestionale, attribuita ai dirigenti. Il succitato D.Lgs. 150/2009 ha, in particolare, previsto, emendando l’art. 4, comma 2, del D.Lgs. 165/2001, che “i dirigenti sono responsabili, in via esclusiva, dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati”. In base all’ordito normativo summenzionato, pertanto, i dirigenti pubblici adottano atti amministrativi e, quindi, di natura pubblicistica ed atti gestionali, tipici del datore di lavoro privato e, quindi, di natura privatistica. Dal summenzionato nuovo assetto del rapporto politica-dirigenza deriva una più accentuata autonomia degli apparati burocratici pubblici nell’attuazione concreta dell’azione amministrativa, ispirata dai principi costituzionali di imparzialità e buona amministrazione, di cui all’art. 97 Cost. Al riguardo, la dottrina ha evidenziato come tradizionalmente si riteneva che il principio di buona amministrazione “riguardasse solo il momento organizzativo della P.A. ( per cui lo si poteva ritenere soddisfatto già con la sola predisposizione di una struttura organizzata in modo da essere astrattamente imparziale ), ma dovesse riferirsi all’attività della P.A. nella sua interezza” 31. 31 F. CARINGELLA, Manuale di Diritto Amministrativo, Ed.2010, pag. 932. 23 Secondo la dottrina citata la suddetta tesi “ha ricevuto, da ultimo, un importante avallo normativo dalla recentissima legge di riforma della norma sul procedimento amministrativo (L.69/2009), la quale ha espressamente inserito nel nuovo art.1 L. 241/90 il principio di imparzialità nel catalogo dei canoni fondamentali deputati a presidiare l’intera attività amministrativa” 32. Per quanto attiene, altresì, al principio del buon andamento, anch’esso recato dall’art. 97 Cost., la medesima dottrina ha rilevato che detto principio “non va riferito solo all’organizzazione dei pubblici uffici, in quanto informa l’attività amministrativa ad ampio raggio, investendo l’intero funzionamento dell’amministrazione pubblica “quale frutto della compenetrazione di diversi criteri, tutti di uguale peso ed importanza, che l’Amministrazione è tenuta a rispettare ed a contemperare tra loro. Nello specifico, essi sono i principi di: economicità; rapidità; efficacia (raffronto fra risultati conseguiti ed obiettivi programmati); efficienza (raffronto fra le risorse impiegate e risultati conseguiti); miglior contemperamento degli interessi; minor danno per i destinatari dell’azione amministrativa” 33. Per quanto attiene, in particolare, ai criteri di efficacia ed economicità, espressamente indicati nell’art.1 della L. 241/90, la dottrina che si esamina osserva che entrambi sono mutuati dalla logica imprenditoriale, imponendo, il primo, “di conseguire l’ottimizzazione dei risultati in relazione ai mezzi in dotazione” ed il secondo indicando “l’idoneità dell’azione amministrativa a perseguire gli obiettivi legislativamente enucleati in tema di tutela degli interessi pubblici” 34. Da quanto suesposto risulta, pertanto, che l’assetto organizzativo ritenuto più adatto al conseguimento di un’attività amministrativa economica ed efficace è stato finora quello mutuato dalle aziende private. 32 F. CARINGELLA, op. cit. pag. 932. 33 F. CARINGELLA, op. cit. pag. 935. 34 F. CARINGELLA, op.cit. pag. 936. 24 2.2. La buona amministrazione Da qualche tempo, in dottrina, è stato evidenziato come il suddetto modello privatistico non abbia conseguito i risultati auspicati e, pertanto, pur non rinunciando a perseguire l’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione, si stia facendo strada un altro principio-guida dell’azione pubblica e cioè quello di “buona amministrazione”, teso alla soddisfazione anche delle aspettative dei cittadini 35. Quanto sopra comporta la necessità di rileggere i principi costituzionali summenzionati secondo una prospettiva personalistica, in funzione valorizzatrice della persona umana e della dignità della medesima, anche in base ai valori dell’ordinamento sovranazionale. Al riguardo, si rileva che altra autorevole dottrina ha recentemente evidenziato come la nozione di buona amministrazione si sia sviluppata in ambito nazionale, sovranazionale e globale, collocandosi “in un processo durato almeno due secoli di legalizzazione della pubblica amministrazione” laddove, in un primo tempo, “l’amministrazione veniva considerata attività libera da vincoli, in quanto esplicazione di un potere autonomo ed indipendente, quello esecutivo”. Dopo tale primo periodo l’amministrazione, in coincidenza con l’allargamento del suffragio, pur continuando a far parte del potere esecutivo, è stata sottoposta alla legge. In una terza fase, quindi, la stessa legge è stata sottoposta ad una “legge più alta”, cioè alla Costituzione, nella quale sono penetrati principi cui debbono obbedire sia il legislatore ordinario, sia l’amministrazione. Infine si è pervenuti ad una fase dove i principi concernenti le amministrazioni nazionali sono stati trasfusi in “atti normativi di rango costituzionale” di portata globale o sovranazionale. 35 G. NICOSIA, Il polimorfismo delle dirigenze pubbliche e la buona amministrazione, W.P-C.S.D.L.E.” “Massimo D’Antona” 81/2008 pagg.5-6. 25 La dottrina in esame evidenzia, altresì, come, nella suddetta terza fase, si assista, in primo luogo, ad un ampliamento della protezione costituzionale dai diritti politici a quelli amministrativi e, in secondo luogo, alla trasformazione dei principi amministrativi presenti nelle costituzioni da “meri doveri dell’amministrazione nei confronti della collettività in generale, azionabili solo dal parlamento che la rappresenta, in veri e propri obblighi, collocati in rapporti giuridici bilaterali, di cui è parte non la collettività nel suo insieme, ma ogni singola persona, che può azionare il diritto di cui è titolare rivolgendosi a un giudice o ad altro organo di controllo” 36. Nella quarta fase, poi, si assiste “all’espansione, al livello sopranazionale e globale, di principi amministrativi”. Il Trattato della Comunità Europea, infatti, impone il rispetto dei principi di sana gestione finanziaria ( art.248.2 ), di buona gestione finanziaria ( art.248.2 ), nonché dell’obbligo di motivazione degli atti (art. 253.1). Le Corti europee hanno sancito l’obbligo, per l’amministrazione, di decidere entro un termine ragionevole, nonché il diritto, dei cittadini, di accedere agli atti pubblici e di essere ascoltati dalla P.A. procedente. “Questi principi sono ora riconosciuti nella Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europea (alla quale fa riferimento il Trattato di Lisbona)”. La buona amministrazione, secondo la dottrina che si esamina, “da principio in funzione della efficacia della pubblica amministrazione (ex parte principis) è divenuto principio in funzione dei diritti dei cittadini (ex parte civis)” diventando, in tal modo, “strumento per garantire una difesa dal potere pubblico e garantendo che il privato possa far sentire la propria voce prima che l’amministrazione concluda il procedimento” 37. 36 S. CASSESE, Il diritto ad una buona amministrazione, il 25° anniversario della legge sul " Sindic de Gruges della Catalogna - Barcellona - 27/03/2009. 37 S.CASSESE, op.cit. pagg. 5-6. 26 2.2.1 Dalla Costituzione all’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali europei Il principio di buona amministrazione, nella summenzionata prospettiva internazionale, consacra “il diritto dei cives ad essere posti al centro dell’agire pubblico in modo tale che è il contenuto delle relative pretese a modulare l’esecuzione della funzione pubblica e non il contrario” 38. In particolare viene evidenziato che, nel corso del tempo, “il modello Weberiano (Weber 1968) di amministrazione accentrata, caratterizzato dall’impostazione fortemente gerarchizzata, dominata dalle scelte unilaterali e dagli atti di imperio ha ceduto il passo ad un modello di organizzazione amministrativa più snello e flessibile, dislocato sul territorio e sempre più rivolto al raggiungimento ed alla misurazione dei risultati, tanto da rendere sempre più rilevanti gli strumenti di controllo posti a valle del sistema” 39. Tuttavia, la piena assimilazione dell’impresa pubblica a quella privata non si è rivelata, nel tempo, una strategia organizzativa in grado di assicurare una “buona amministrazione”, stante l’impossibilità di trasferire “ex abrupto” nel settore pubblico i principi ed i metodi del mercato, con conseguente tensione verso la persona ed i suoi bisogni anche di comportamenti amministrativi “buoni” nel senso di “etici” e non solo utili. Al riguardo anche altra dottrina ha evidenziato che “l’importante è avere sempre presente la ragione profonda per cui esistono gli apparati pubblici e non cadere nell’autoreferenzialità, quella che fa sì che politici e funzionari siano ossessionati dal perseguimento dell’efficienza, efficacia ed economicità come se questi fossero gli obiettivi della loro azione, anziché, più semplicemente, modalità operative che, se ed in quanto realizzate, consentono un miglior servizio ai cittadini” 40. In proposito viene prospettata una lettura della Costituzione che tenda a “riscoprire gli importanti significati annidati fra le pieghe dei relativi disposti normativi”. In tale ottica viene riletto l’art. 54 Cost., che esige, dai pubblici dipendenti, 38 ZITO 2002, pag. 431. 39 G. NICOSIA, op. cit. pag. 40. 40 G. ARENA, L’amministrazione dalla parte dei cittadini – 2001, pag. 2. 27 comportamenti etici improntati a “disciplina ed onore” e che, pertanto, “può rappresentare un corollario del rispetto del valore della persona umana”. Tale citata norma costituzionale contiene “una disposizione del tutto speculare a quella contenuta nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali europei, essendo rivolta, la prima norma, all'interno delle pubbliche amministrazioni, mentre la seconda all’esterno, cioè verso i cittadini. Le predette due disposizioni, pertanto, “combinate insieme soddisfano il bisogno di buoni comportamenti (best practices) – all’interno e verso l’esterno delle amministrazioni medesime – nei confronti delle persone” 41. Con l’art. 41 “per la prima volta, infatti, viene codificato lo spostamento del centro dell’interesse verso cui orientare l’azione pubblica: alla buona amministrazione intesa come dovere di risultato a vantaggio della collettività si sostituisce la buona amministrazione che riguarda pur sempre il risultato dell’agire amministrativo, ma assume ad oggetto la singola decisione, considerata dal punto di vista del suo destinatario, il quale ha titolo per pretendere che essa sia imparziale e sollecita 42 . Il medesimo articolo esprime, pertanto, una nuova tendenza: “allargare il concetto di fine pubblico, tradizionalmente espresso, almeno nel nostro ordinamento, nella imparzialità e nel buon andamento dell’azione amministrativa, inteso come precipitato del valore di efficienza, efficacia ed economicità sino ad abbracciare la persona, il relativo benessere, nel momento in cui si accosta al godimento di un servizio pubblico” 43. In tale prospettiva, pertanto, sarebbe auspicabile l’adeguamento dell’ordinamento nazionale a quello sovranazionale, dando risalto alla dimensione del servizio, anzichè a quella del potere e cioè collocare al centro la persona e viceversa, in posizione servente l’amministrazione. 41 G. NICOSIA, op. cit. pag. 42. 42 TRIMARCHI BANFI F., Il diritto ad una buona amministrazione - 2007. 43 G. NICOSIA, op. cit. pag. 47. 28 Quanto finora illustrato indica, quindi, una diversa accezione dell’interesse pubblico, tradizionalmente inteso come astratto e generale, che si caratterizzi, invece, come interesse situato nei cittadini e quindi definibile come “interesse condiviso” 44. Al riguardo vengono citati gli strumenti partecipativi previsti dalla L. 241/90, nonché la normativa sull’“e-government” ed il paradigma dell’amministrazione condivisa, espresso dall’art. 118 Cost., quello, cioè, di un’amministrazione fortemente intrisa di uno spirito democratico – partecipativo. In proposito va ricordato come, recentemente, sia stata posta in evidenza la necessità di formare la classe dirigente alla passione per l’interesse generale, ovvero una classe dirigente responsabile. L’idea di responsabilità è stata quindi declinata secondo l’approccio anglosassone, ovvero nei termini di accountability, che nel concreto significa dare risposta alle esigenze dei cittadini in modo da consentire, ai sensi dell’art. 3, II comma, Cost. il “pieno sviluppo della persona umana” 45. Lo scopo dell’azione amministrativa e cioè il fine pubblico, generale e astratto, può allora superare il paradigma efficientista, tipico dell’ultimo ventennio, come pure il paradigma bipolare e, quindi, ricomprendere dimensioni diverse nelle quali trovino adeguata valorizzazione la persona umana e la propria dignità. In questo modo diventa rilevante pure il benessere dei destinatari dell’azione pubblica medesima misurabile in termini di customer satisfaction 46. Al riguardo, non sarebbe più sufficiente, allora, il tradizionale accostamento fra fine pubblico (generale e astratto) e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., ove “quest’ultimo è il precipitato del primo, occorrendo, piuttosto, riempire di contenuti concreti questa accezione, in modo da misurare, orientare il fine pubblico sulle persone, sui cittadini” 47. 44 G. NICOSIA, op.cit. pag 46. 45 G. ARENA, Ventennale del Centro di Ricerca Bachelet. 46 G. NICOSIA, op. cit. pag. 48. 47 G. CARUSO, La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella L. 133/08. 29 2.2.2 L’etica comportamentale della P.A.: dal paradigma bipolare al personalismo In proposito viene evidenziato che anche nel lavoro privato, superata l’idea della organizzazione esclusivamente efficiente, si pone l’esigenza di contemperare il profitto con le istanze sociali. Le organizzazioni possiedono, infatti, un compito istituzionale (quello previsto nel proprio statuto) ed un compito sociale assai meno preciso, riassumibile nel concetto che l’organizzazione, per conseguire i propri obiettivi deve necessariamente muoversi nella società e i propri movimenti producono effetti sensibili 48. Ciò si traduce in quella che viene definita “responsabilità sociale dell’impresa” consistente nella consapevolezza di dover misurare gli effetti prodotti dall’azione dell’organizzazione imprenditoriale. Tanto comporta che “ogniqualvolta entrano nel circuito delle scelte imprenditoriali le ponderazioni misurate sugli stakeholder, si assiste all’allargamento (all’uscita dal black box) dell’impresa ed all’accettazione della sfida cooperatoria” 49. Si giunge, pertanto, ad “un modello di governance allargata dell’impresa, in base alla quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri nei riguardi in generale di tutti gli stakeholder” 50. Sul piano organizzativo questo comporta, ad esempio, l’adozione di un bilancio sociale, o, comunque, di strumenti di accountability, oltre che di un codice etico. “Tanto per le imprese private quanto per le amministrazioni pubbliche si è pertanto affermata, progressivamente, una particolare attenzione per l’etica comportamentale” come nel caso “delle società partecipate e della legislazione, relativa all’introduzione di una tipologia di responsabilità amministrativa per i reati commessi 48 M. VIVIANI, Dire Fare Avere, 2006, pag. 247. 49 DEL PUNTA, Responsabilità sociale dell’impresa e diritto del lavoro, 2006, pag. 56. 50 L. SACCONI, Responsabilità sociale come governante allargata d’impresa: una interpretazione basata sulla teoria del contratto sociale e della reputazione, 2004, pag. 112. 30 nell’interesse delle medesime da parte dei dirigenti e dei dipendenti. Si prevede, infatti, come parte essenziale del modello, l’adozione di codici etici sanzionati in via disciplinare, ma anche dalla vigilanza di un apposito organismo di controllo” 51. Da quanto finora esposto consegue, pertanto, che adottando il paradigma personalistico, le amministrazioni “si trovano a doversi confrontare con un nuovo modello di governance in cui chi gestisce, cioè i dirigenti, ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari, innervati negli incarichi di funzione dirigenziale, ad analoghi doveri fiduciari nei confronti di tutti i cittadini, e delle persone in generale. Diventano rilevanti, in tale nuovo contesto, gli interlocutori 52 dell’amministrazione, i sudditi” . I cittadini che hanno acquisito la possibilità di far sentire la propria voce, divengono portatori di una posizione giuridica soggettiva concreta che va molto al di là del mero interesse diffuso. Per quanto attiene, altresì, al modo di soddisfare le aspettative dei cittadini, la dottrina evidenzia “come questa non si possa ritenere soddisfatta solo a fronte dell’erogazione di un servizio efficiente ma come, viceversa, occorra pure che a quest’ultimo sia accostato un complesso di attività virtuose in grado non solo, se guardate da una prospettiva di sviluppo fisiologico, di apparire friendly verso l’utenza ma anche, se guardate viceversa dalla opposta prospettiva dello sviluppo patologico, di non comportare nocumento né per la collettività né per la medesima amministrazione” 53. In base al succitato modello della responsabilità sociale dell’impresa privata, l’azione privatistica dei dirigenti pubblici, di per sé non funzionalizzata al raggiungimento del vincolo di scopo, “finisce per dovere contemplare fra le proprie finalità privatistiche obbligazioni “altre” rispetto a quelle che naturalmente scaturiscono dal contratto di lavoro o da quello di incarico. Ciò perché si tratta di doveri 51 G. NICOSIA, op. cit. pag. 51. 52 G. NICOSIA, op. cit. pag. 52. 53 G. NICOSIA, op. cit. pag. 52. 31 comportamentali verso soggetti diversi dalla propria controparte contrattuale del rapporto di lavoro. Eppure il dovere di mettere in campo una gestione friendly diverrebbe, così ragionando, un’obbligazione esigibile dal datore di lavoro pubblico poiché - al pari della gestione efficiente - soddisferebbe il fine pubblico cui guarda, secondo la nozione sintetica di funzionalizzazione, anche l’azione dirigenziale. La fonte di tali doveri affonda, infatti, le proprie radici nel vincolo di scopo posto a valle della gestione dirigenziale; tale vincolo ne orienta complessivamente i comportamenti pur non conformandoli singolarmente; limitandosi cioè a finalizzarli ma non a funzionalizzarli (D’ANTONA 1997 oggi 2000, p. 171)” 54. Si rileva, quindi, come l’azione dirigenziale travalichi il semplice raggiungimento dell’obiettivo assegnato, “fino a contemplare la persona ed i propri valori, ivi compresi l’aspettativa di apertura dell’azione amministrativa ai privati ed il relativo coinvolgimento, come pure l’etica comportamentale intesa nei termini di una moralizzazione diffusa. La gestione dirigenziale apparirà, pertanto, “finalizzata” complessivamente anche al benessere delle persone” 55. 2.3 Un caso particolare: le obbligazioni del dirigente sanitario Al riguardo viene indicato l’esempio delle obbligazioni del dirigente sanitario, il cui rapporto di lavoro con la ASL è disciplinato dal D.Lgs. 502/1992. Nelle Aziende Sanitarie Locali il principio di separazione dell’indirizzo politico da quello gestionale vede “la sede delle scelte politiche nella regione”, in quanto “il luogo che avrebbe potuto essere deputato alle scelte politiche è, invece quello in cui siede un soggetto, di derivazione politica sì, ma preposto allo svolgimento essenzialmente di compiti gestionali : il direttore generale” 56. 54 D’ANTONA, 2000, op. cit. pag. 171. 55 G. NICOSIA, op. cit. pag. 33. 56 G. NICOSIA, op. cit. pag. 27. 32 La caratteristica della tipologia dirigenziale che opera nelle citate Aziende risiede, secondo la dottrina in esame, “nel fatto che essa gode di un’ampia autonomia professionale che, tuttavia, si coniuga con un’autonomia gestionale che affievolisce, fino a scomparire, via via che si scendono i gradini della scala ideale appena menzionata. Il settore sanitario è, infatti, quello in cui meglio si coglie l’oscillazione tra le due componenti, datoriale e di lavoratore subordinato, che esprimono la peculiarità della figura di dirigente pubblico” tanto che “ all’interno della medesima azienda, è possibile individuare dirigenti (come il dirigente di struttura complessa) che eseguono per lo più prestazioni datoriali, e dirigenti (come i dirigenti cui sono affidati compiti professionali ex art. 15 comma IV del D.Lgs. 502/92) che appaiono, sotto il profilo dei compiti manageriali, meri esecutori, subordinati, di scelte assunte altrove. Sotto il profilo puramente tecnico, essi si presentano, tuttavia, come portatori di un sapere specialistico e attuatori di compiti di alta professionalità, cui sono abilitati dalla legislazione speciale, che ne giustifica l’inquadramento nella categoria dirigenziale” 57. Le amministrazioni sanitarie, pertanto, in quanto enti di erogazione di servizi alla collettività, annoverano una dirigenza per la quale “vale a maggior ragione l’assunto della espansione delle obbligazioni esigibili in funzione dell’allargamento della nozione di interesse pubblico cui è finalizzata la gestione dirigenziale nel suo complesso. Il dirigente sanitario potrebbe non essere adempiente solo curando bene i propri pazienti e riducendo i rischi di mortalità del proprio reparto, ma anche attuando un comportamento etico verso quanti si accostino al godimento del servizio sottoposto alla propria organizzazione gestionale (Caruso 2008b)” 58. Il sistema sanitario prevede “un doppio livello di imputazione: uno per la responsabilità manageriale correlata alla gestione strictu sensu considerata, l’altro per la responsabilità professionale correlata specificamente alla erogazione della propria prestazione medica all’utenza”. 57 G. NICOSIA, op. cit. pag. 28. 58 G. NICOSIA, op. cit. pag. 29. 33 A tal proposito viene citata quella corrente giurisprudenziale che configura la responsabilità del dirigente-medico come “responsabilità contrattuale da contatto sociale” determinante, cioè, un vincolo obbligatorio tra medico e paziente. “L’elaborazione giurisprudenziale ha costruito, infatti, un ponte tra cittadino e amministrazione in modo che il primo possa avere azione nei confronti dell’inefficienza gestionale della dirigenza medica e ciò anche in assenza di un vincolo giuridico legittimante come quello (il rapporto di lavoro) che consente, viceversa, all’amministrazione sanitaria di agire contro il dirigente attraverso il circuito della responsabilità per cattiva gestione” 59. Si conclude, pertanto, che “il dirigente sanitario non sarà adempiente solo riducendo i rischi di mortalità dei propri pazienti ma anche quando abbia eseguito la propria prestazione in maniera etica e nel rispetto del benessere del paziente” 60. 2.4 Dovere di “accountability” dei funzionari pubblici Un recente contributo dottrinale ha rilevato, al riguardo, che il dovere di eseguire la funzione pubblica con disciplina ed onore costituisce un corollario del rispetto della persona ed esprime, pertanto, un dovere dei funzionari di dare pubblico conto alla collettività dei consociati e quindi misurarsi con le aspettative ed il giudizio dei destinatari dell’agere pubblico, i quali, pertanto, ben possono “rendersi conto dell’attività della pubblica amministrazione (diritto che appare oggi soddisfatto, almeno sulla carta, dalle regole dell’accessibilità totale introdotte con il D.Lgs. 150/2009, attraverso le quali si assiste all’avvio di un processo di apertura all’esterno della nostra amministrazione così evoluto da giungere a configurare persino strumenti di rendicontazione sociale di accountability)” 61. 59 G. NICOSIA, op. cit. pag. 30. 60 G. NICOSIA, op. cit. pag. 53. 61 C. COLAPIETRO, Dirigenze Pubbliche al Servizio della Nazione: dialogando di etica, benessere e responsabilità, Seminario in occasione della presentazione del volume di G. NICOSIA “Dirigenze responsabili e responsabilità dirigenziali pubbliche”, Giappichelli, 2011, pag. 8. 34 Il concetto di “buona amministrazione”, pertanto, va facendosi sempre più strada nell'ambito delle elaborazioni della dottrina giuslavoristica pubblica, ma anche della dottrina costituzionalistica che, recentemente, ha condiviso la summenzionata riconsiderazione del rapporto di lavoro dirigenziale sulla base di una rilettura dei principi costituzionali in chiave personalistica, di un riassetto costituzionale in funzione valorizzatrice della persona, anche alla luce dei dettami provenienti dall’ordinamento sovranazionale per il raggiungimento della “buona amministrazione”, che, peraltro, “si realizza attraverso i boni mores delle e verso le persone, sia che si trovino dentro gli uffici (e quindi si ricerchi il benessere organizzativo all'interno degli apparati), sia che queste si trovino fuori dell’amministrazione” 62. 2.5 Una nuova concezione dell’interesse pubblico: dall’efficientismo al rispetto della dignità umana Per la dottrina che si esamina, conseguentemente, il concetto di “buona amministrazione”, secondo il quale le persone vengono considerate come fini e non come mezzi, consente l’affermazione di un innovativo paradigma personalistico che subentra a quello bipolare Stato-suddito, muovendo dalla centralità nell’’ambito della pubblica amministrazione del valore della persona umana con i relativi bisogni e ponendo al centro dell’intervento riformatore la collettività dei consociati e le relative aspettative, da coniugare con l’economicità e l’efficienza dell’agire pubblico. Seguendo tale ultima dottrina, pertanto, nell’obbligazione dirigenziale rientrano “la persona umana ed i propri valori”. Si conclude, pertanto, rilevando che i valori di apertura alla persona come prius rispetto all’azione della pubblica amministrazione e dei propri dirigenti finora descritte trovano avallo normativo nella riforma del lavoro pubblico avviata nel 2009 e proseguita con la L. 15/2009, attuata con il D.Lgs. 150/2009 e proseguita con la L. 183/2010, (ancora in attesa di essere pienamente attuata), recanti misure che rilanciano 62 C. COLAPIETRO, op. cit .pag. 3. 35 il ruolo della collettività quale controllore e propulsore della buona amministrazione, nonché strumenti atti a garantire il benessere (organizzativo) all’interno degli apparati. Tutto ciò, conclude la dottrina in esame, “nella consapevolezza – anche se potrà sembrare strano in questa epoca ossessionata dall’efficienza – che non sempre l’efficienza fine a sé stessa è sinonimo di benessere sociale e che, in ogni caso l’efficienza in sé non è una valore, il valore è la persona umana e la sua dignità” 63. 63 C. COLAPIETRO, op.cit. pag 10. 36 3. UNO SGUARDO COMPARATO SULLA PUBBLICA DIRIGENZA NELLE DEMOCRAZIE OCCIDENTALI 3.1 Cenni generali Per meglio affrontare il nodo dei rapporti tra politica e amministrazione, si è ritenuto utile procedere ad una analisi in chiave comparatistica della dirigenza pubblica in tre Paesi esemplari, di stampo anglosassone o più marcatamente europeo continentale: gli Stati Uniti, patria per eccellenza dello spoils system, la Gran Bretagna con le peculiarità del civil service e, infine, la Francia espressione dei grands commis della l’haute fonction publique. L’ordinamento degli Stati Uniti è quello in cui, almeno in una prima fase, si è affermato in forma più esplicita il modello osmotico, quel paradigma organizzativo che consente l’instaurarsi di un rapporto altamente fiduciario tra vertici politici ed alta burocrazia. In una prospettiva radicalmente opposta rispetto all’esperienza statunitense, si pone il modello della separazione tra le due sfere, rintracciabile nella realtà inglese, che assegna alla macchina burocratica la mera attuazione amministrativa della policy definita dagli organi rappresentativi. Un modello basato sulla responsabilità ministeriale e sulla neutralità politica del civil service. Il sistema costituzionale francese si caratterizza, invece, per la presenza di un forte legame tra ambito politico e sfera amministrativa, eppure la distinzione tra politica e amministrazione – secondo il modello di interconnessione – costituisce “un principio che non è mai stato formalmente messo in discussione e si rinviene addirittura nei principi risalenti all’epoca rivoluzionaria” 64. 64 C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 27. 37 3.2 Lo spoils system negli Stati Uniti d’America Il rapporto osmotico tra politica ed amministrazione si è principalmente realizzato nell’ordinamento statunitense dove il “sistema delle spoglie”, introdotto dal presidente Jackson intorno al 1829, ha goduto di un periodo di particolare fortuna per circa un secolo, per poi essere progressivamente limitato, mantenendo, comunque, ancora oggi, specifici ambiti di applicazione. Nella realtà americana, lo spoils system, mutuato dall’espressione “to the victor belong the spoils” 65 – nel senso che ai vincitori delle elezioni spettano le spoglie costituite dai pubblici uffici – ha inteso caratterizzare una parte del personale burocratico di stretta estrazione fiduciaria, legandone l’entrata e l’uscita dall’amministrazione nella fase di avvicendamento di due diversi esecutivi, così da garantire la rotazione degli incarichi ed evitare la creazione di una casta burocratica. Certo è che lo spoils system, visto come saccheggio di tutti i posti possibili da parte del partito vincitore, ha generato disfunzioni e scandali tali da indurre l’amministrazione americana, durante il mandato del presidente Grant (1868-1877), a dar vita ad una burocrazia professionale organizzata. Da allora in poi, gli interventi normativi – a partire dal Civil Service Act del 1883 – hanno fortemente modificato l’accesso alla pubblica amministrazione americana, rendendolo sempre più rigorosamente subordinato al merito e regolato da procedure selettive, fino ad arrivare ai nostri giorni, in cui il sistema delle spoglie interessa solo una ridotta parte degli incarichi 66, utili ad innestare nell’apparato burocratico tecnici esterni destinati a ritornare agli ambienti professionali di provenienza alla fine del mandato presidenziale, salvo riconferma da parte del nuovo capo dell’esecutivo. In base al meccanismo di pesi e contrappesi che regolano l’ordinamento statunitense – c.d. check and balances – alcune di queste nomine sono, poi, subordinate ad una conferma 65 Frase pronunciata da un senatore dello Stato di New York nel primo Ottocento, William Mercy. 66 Ogni quattro anni, a seguito delle elezioni presidenziali, viene pubblicato un rapporto dal titolo “United States Government Policy and Supporting Position” (cd. PLUM Book) in cui è riportato il numero di posti assegnati con lo spoils system. Secondo il PLUM Book 2008, i posti attribuiti con tale sistema sono circa 8000. 38 del Senato (advice and consent), che opera un attento vaglio dei candidati sotto il duplice profilo della professionalità e della dirittura morale. 3.2.1 La valorizzazione dell’autonomia gestionale L’esame del modello statunitense non può, comunque, prescindere da un breve excursus del processo di new public management, di ispirazione aziendalistica, che ha caratterizzato nell’ultimo trentennio la modernizzazione dell’amministrazione pubblica di quel Paese e, più in generale, delle odierne democrazie occidentali. E’ da premettere che “il modello burocratico americano si era sviluppato in condizioni molto diverse da quelle che viviamo oggi. Era nato in una società con tempi più lenti, nella quale i cambiamenti si susseguivano con un ritmo per nulla frenetico. Era cresciuto in un’era di gerarchia, nella quale solo chi sedeva al vertice della piramide disponeva delle informazioni sufficienti per poter prendere decisioni sensate. Si era sviluppato in una società di persone che lavoravano con le mani, non con la mente” 67. Questo scenario ha accompagnato, più o meno immutato, la burocrazia americana fino al cambio di rotta degli anni ’80 e ’90 che, soprattutto dal punto di vista strutturale, non ha tuttavia fatto tabula rasa dei sistemi amministrativi precedenti, riconvertendone gradualmente l’impianto tradizionale. Gli organismi designati dal governo per riorganizzare la pubblica amministrazione (quali, ad esempio, le Commissioni Grace, Volcker e Gore) hanno agito, soprattutto, sull’efficienza e sulla deregolamentazione delle procedure e delle norme riguardanti la macchina burocratica federale 68. Il primo segno del processo di rinnovamento, annunciato dal presidente Carter nel discorso sullo stato dell’Unione del 1978, è il Civil Service Reform Act dello stesso anno, che ha introdotto il Senior Executive Service (SES), sorta di grand corps alla francese, composto dai tre livelli dirigenziali apicali reclutati con il sistema 67 D. OSBORNE e T. GAEBLER, Reinventing Government: How The Entrepreneurial Spirit is Transforming the Public Sector, trad. It. “Dirigere e Governare, Garzanti, Milano 1995. 68 Cfr. V. ANTONELLI e A. LA SPINA, I dirigenti pubblici e i nodi del cambiamento – Scenari e prospettive in Italia e in Europa, Luiss University Press, pag.122. 39 meritocratico e dai dirigenti a tempo determinato di nomina politica, che occupano le posizioni nevralgiche dell’amministrazione e per i quali vigono sistemi di valutazione standardizzati fondati sul merit pay sistem. A partire da lì le spinte riformatrici della burocrazia americana sono proseguite fino ai nostri giorni, e ogni presidente, sia esso di estrazione democratica o repubblicana, le ha inserite nella propria agenda di riforme, senza però intaccare quanto previsto nella richiamata legge di riforma del 1978 69. Negli anni ‘80, durante l’era reaganiana, nonostante le numerose innovazioni apportate attraverso l’introduzione nell’impianto burocratico di obiettivi collegati alla performance, incentivi ed iniziative di formazione sulla modernizzazione degli strumenti, non si è comunque approdati ad un chiaro ed organico modello gestionale in grado di favorire lo sviluppo di una nuova cultura dell’amministrazione pubblica. Anche il governo Clinton ha ripreso il processo di innovazione, aprendo una stagione di riforme più sistematiche condotte negli anni ’90 dalla National Partnership for Reinventing Government (NPRG) sulla base dei principi di reinvenzione 70. In dettaglio, la revisione del paradigma organizzativo mirava al superamento della cultura burocratico-formale (cosiddetta red tape) in favore di una nuova strategia per la trasformazione dell’amministrazione in senso imprenditoriale. Ne sono derivate una considerevole riduzione di agenzie federali e di personale che appesantivano la macchina amministrativa nonché una maturazione della cultura della performance, a vantaggio di partnership interistituzionali mirate ad ottenere risultati, il consolidamento dell’uso di sistemi di valutazione e l’incremento delle performance individuali. Neppure la successiva amministrazione Bush ha modificato il cammino di riforma tracciato da Clinton, recuperando i principi della reinvention, “benché intrisi dei valori e dell’ideologia del precedente governo” 71, così come il primo mandato di 69 C. COLAPIETRO op. cit. pag. 20. 70 Principi formulati da D. OSBORNE e T. GAEBLER, op. cit, Dirigere e Governare, Garzanti, Milano 1995. 71 V. ANTONELLI e A. LA SPINA “I dirigenti pubblici e i nodi del cambiamento – Scenari e prospettive in Italia e in Europa”, Luiss University Press, pag. 124. 40 Obama si è anch’esso connotato per una sostanziale prosecuzione del cammino di rinnovamento amministrativo già tracciato dai suoi predecessori. 3.3 La neutralità della Gran Bretagna Il modello della separazione tra politica ed amministrazione ha trovato la sua naturale applicazione nel sistema britannico, che ricollega al popolo sovrano ogni manifestazione di esercizio del potere, cosicchè i funzionari pubblici rispondono ai Ministri, che rispondono al Parlamento che, a sua volta, risponde all’elettorato secondo una ben precisa catena di responsabilità (chain of accountability). In un simile sistema l’apparato amministrativo dipende dalla volontà dei cittadini-elettori: quest’ultimi, scegliendo un determinato partito, si attendono che l’attività amministrativa dello Stato sia conforme alle indicazioni da essi fornite. Così, la legittimazione dell’operato della pubblica amministrazione si risolve e si ricollega interamente al principio della sovranità popolare, “rifiutando la natura tecnocratica delle scelte compiute per la tutela dell’interesse pubblico” 72. Per garantire la continuità tra l’indirizzo politico generale e la gestione amministrativa quotidiana, l’apparato burocratico deve riconoscere ai politici un potere di scelta fiduciaria dei propri dirigenti e, al tempo stesso, assicurare l’esistenza e la formazione di un corpo amministrativo neutro e imparziale in grado di servire fedelmente qualsiasi compagine governativa, al di là di ogni personale motivazione ideologica. La formula della neutralità è quella recepita, dunque, nell’impianto britannico 73, nel senso che il civil servant inglese è tenuto a mettere a disposizione del governo in carica tutte le sue conoscenze, conservando l’anonimato e senza alcuna responsabilità per l’attività amministrativa svolta, in quanto si presume che agisca sempre sulla base delle indicazioni del ministro. 72 B. VALENSISE: Politica ed amministrazione: la dirigenza pubblica, in “Istituzioni, politica, amministrazione. Otto paesi a confronto”, a cura di M. De Benedetto - Torino, Ed. Giappichelli pag. 2. 73 B. VALENSISE: op. cit., pag. 3. 41 L’imparzialità del funzionario è assicurata anche grazie ad una sostanziale stabilità del posto di lavoro – remunerato direttamente con fondi stanziati dal Parlamento – sebbene esista un rapporto gerarchico con la Corona, tanto da ritenere il civil servant licenziabile “at the pleasure of the Crown”. Da tale political impartiality discendono ampie restrizioni ai diritti politici dei funzionari, quale il divieto di iscrizione a partiti politici o di candidarsi alle elezioni, a differenza del sistema francese che, come si vedrà più avanti, in diverse occasioni ha “prestato” burocrati di carriera agli alti ranghi della politica 74. Così nel modello inglese gli organi di direzione politica si astengono dall’interferire sulla selezione e sullo sviluppo della carriera della burocrazia e quest’ultima rinuncia ad impegnarsi direttamente in politica. Si tratta, tuttavia, di una visione storicamente datata, in quanto in linea con l’ordinamento del classico Stato liberale, “essenzialmente regolatore e poco interventista in campo economico e sociale” che relega peraltro l’amministrazione, vista come attività strettamente esecutiva, esente da discrezionalità ”, in un’assurda posizione di “minorità” rispetto alla politica 75 . Una simile struttura si è rivelata nel tempo palesemente inadeguata rispetto ai mutamenti della società, composta da una classe dirigente “generalista”, scarsamente mobile e poco responsabile. Per contrastare questo fenomeno, come si vedrà nel paragrafo successivo, il Regno Unito negli ultimi decenni ha progressivamente adottato forme di temperamento della separazione, ricorrendo anch’esso sia a nomine politiche, seppure confinate alle figure di stretta collaborazione dei ministri, sia alla creazione di una classe dirigente sempre più specializzata. 74 V. ANTONELLI e A. LA SPINA op. cit. pag. 117. 75 C. COLAPIETRO op. cit. pag. 155. 42 3.3.1. La modernizzazione della dirigenza pubblica britannica A partire dagli anni ’80, su impulso del governo Thatcher, l’amministrazione britannica è stata al centro di un processo riformatore che ha condotto ad una decisa politica di riduzione del personale e di esternalizzazione di talune funzioni governative. Dal 1988, infatti, una parte rilevante dei servizi pubblici, fino a quel momento erogati da strutture ministeriali, sono stati affidati alle agenzie Next Steps, dotate di un certo grado di autonomia e amministrate da chief executive officers direttamente responsabili nei confronti del ministro competente. E’ indubbio che il conferimento di funzioni esecutive ad organizzazioni autonome, specializzate e governate da manager spesso provenienti dal settore privato, puntava ad incrementare il tasso di efficienza ed efficacia dell’azione pubblica 76. Anche il successivo governo Major ha proseguito nella stessa direzione, dando ulteriore slancio al processo thatcheriano e incentivando – soprattutto nell’ambito degli incarichi direttivi – forme di impiego flessibile, mobilità e indennità legate ai risultati ottenuti. Sotto il profilo, poi, del reclutamento del personale dirigenziale, nel 1996 è stato formalmente istituito il Senior Civil Service – composto dai dirigenti di livello più elevato, i consiglieri politici e gli amministratori più importanti – proprio nell’intento di eliminare i mali che affliggevano l’amministrazione britannica e di disporre di personale dotato di alte competenze e di un bagaglio culturale comune e condiviso. Inoltre, è stata rafforzata notevolmente la possibilità per i dipartimenti e le agenzie governative di reclutare personale specializzato, dotato di competenze adatte alla tipologia del servizio pubblico svolto. Questa tendenza al decentramento del reclutamento e alla ricerca di competenze specialistiche si è poi protratta anche durante i successivi governi laburisti. Per la selezione dei civil servants, fondamentale è, ancora oggi, il ruolo svolto dalla Civil Service Commission, chiamata a monitorare il processo di reclutamento e a 76 V. ANTONELLI e A. LA SPINA op. cit. pag. 115. 43 garantire il mantenimento da parte delle amministrazioni di elevati standard qualitativi. Per la formazione dei funzionari, invece, nel Regno Unito si è sempre privilegiata l’istruzione professionale di tipo “interno”, mentre scarso successo hanno avuto scuole di alta formazione simili all’ENA francese, verso le quali vi è stato sempre un approccio cauto, se non scettico. 3.4 La haute fonction publique francese Se per il modello britannico si è parlato di separazione, nell’ordinamento francese va collocata l’esperienza dell’interconnessione, ovvero della distinzione tra politica e amministrazione con formule di raccordo tra i due ambiti 77. Per l’accesso alle cariche pubbliche si può innanzi tutto far riferimento all’articolo 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, richiamata nel preambolo della Costituzione del 1958, dove si prevede la parità di accesso di tutti i cittadini sans autre distinction que celle de leurs vertus et leurs talents. In Francia, le modalità di selezione e quelle di formazione costituiscono i due capisaldi dell’autonomia amministrativa rispetto alla politica. Eppure, solo apparentemente si configura una scissione tra le due sfere, in quanto ai tradizionali metodi di reclutamento di una burocrazia autonoma si affiancano altre vie di accesso ad incarichi, conferiti discrezionalmente dal Governo, per i quali non è prevista alcuna procedura concorsuale o comunque selettiva. Il forte senso di appartenenza e l’alta professionalità dei rappresentanti della haute fonction publique si fondano, dunque, sulla prestigiosa formazione assicurata dalle grandes écoles (in particolare, l’Ecole Nationale d’Administration, l’Ecole Polytechnique e l’Ecole Normale Supérieure) che consentono ai loro allievi, una volta conclusa la formazione iniziale, l’immissione diretta all’interno dei grands corps, creando un rapporto di indipendenza rispetto agli organi politici. 77 B. VALENSISE: op. cit. pag. 6. 44 Il fatto che lungo l’intera vita professionale i burocrati svolgano la loro attività all’interno di questi corpi amministrativi (Ispettorato delle finanze, Consiglio di Stato, Corte dei Conti, Corpo diplomatico, Corpo prefettizio) favorisce, certamente, la formazione di una forte identità professionale e di rigorose regole deontologiche di categoria, caratteristiche essenziali che dovrebbero garantire l’esercizio imparziale delle funzioni amministrative, senza rischi di condizionamenti di ogni natura. Ma il ruolo dei grandi corpi è talmente preponderante nel sistema amministrativo francese da impadronirsi, a volte, di spazi riservati di regola alle istituzioni politiche. Nel corso della legislatura 1997-2002, ad esempio, il governo Jospin era composto da nove ministri enarchi, oltre allo stesso primo ministro che aveva fatto parte del corpo diplomatico 78. A ciò aggiungasi che la V Repubblica annovera tra i suoi uomini di Stato ben tre Presidenti (Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac e François Hollande) e cinque Primi Ministri (Laurent Fabius, Michel Rocard, Edouard Balladur, Alain Juppé, lo stesso Lionel Jospin e Dominique de Villepin). Tuttavia, il prestigio delle grandes écoles negli ultimi anni si è offuscato per le critiche manifestate dai cittadini e da alcuni schieramenti politici 79 in ordine ad una diffusa scarsa managerialità e ad una insufficiente specializzazione del ceto dirigenziale proveniente dai loro ranghi, tanto da stimolare più di un tentativo di riforma di queste istituzioni. 3.4.1 L’apertura alla dirigenza pubblica francese Infatti, ai tradizionali motivi sottesi alla spinta rinnovatrice che ha attraversato le esperienze di stampo anglosassone, nel panorama francese se ne è aggiunto uno ulteriore, riguardante la preparazione professionale e l’elevato elitarismo dei grandi corpi e, in particolare, della classe dirigente formata dall’ENA. 78 V. ANTONELLI e A. LA SPINA op. cit., pag. 108. 79 Ad esempio, nel corso della campagna presidenziale del 2007, François Bayrou, candidato del partito MODEM aveva espressamente previsto nel suo programma elettorale l’eliminazione dell’ENA. 45 Dunque, a bilanciare il mantenimento delle tradizionali condizioni di indipendenza degli alti dirigenti nei confronti dei vertici politici sono intervenute tendenze verso un nuovo paradigma manageriale pubblico, tradotto in un rafforzamento dei livelli di accountability del dirigente, attraverso l’introduzione di sistemi formali di valutazione delle prestazioni e di meccanismi retributivi premianti. La legge costituzionale di riforma delle leggi finanziarie – la Loi Organique sur les Lois de Finances, meglio conosciuta come LOLF – approvata nel 2003, ha in effetti cambiato il ruolo della funzione pubblica francese, orientata non più ad amministrare risorse ma a raggiungere obiettivi ben precisi. Per arginare, poi, la solida chiusura del ceto dirigenziale, si è cercato di intervenire soprattutto sui suoi sistemi di entrata, introducendo formule più democratiche e aperte di accesso. Nel corso del 2004, per attrarre candidati con diverse competenze, l’accesso all’ENA è stato ampliato in due direzioni, innalzando il limite di età dei candidati ed aprendo la Scuola a tutti i Paesi dell’Unione Europea. In quello stesso periodo la sede storica parigina della Scuola è stata traferita a Strasburgo, da un lato per dare l’esempio e assecondare le riforme di decentramento amministrativo e, dall’altro, nell’intento di ridimensionare la potente casta amministrativa 80. Nel medesimo ambito, si inserisce anche la possibilità di nomina da parte del governo di personale esterno alla pubblica amministrazione, in deroga al principio concorsuale, in modo da assicurare una riserva più strettamente fiduciaria agli organi politici, che sia in grado di ridimensionare l’influenza preponderante delle élite burocratiche provenienti dall’ENA. È il meccanismo del tour extérieur, esteso anche a tutti i corpi provenienti dalla stessa Ecole, che consente di reclutare alti funzionari senza un previo concorso pubblico. Inoltre, al governo francese è consentito disporre discrezionalmente la nomina di circa 700 tra le più importanti cariche burocratiche, secondo il meccanismo degli emplois à la discretion ovvero à la decision du gouvernement. Già con decreto del 80 S. MADARO “Gli enarchi decentrati” in Instrumenta, anno 2006, n. 4, pag. 796. 46 1984, successivamente modificato, sono stati definiti alcuni aspetti legati all’esercizio di tale potere di nomina: la procedura non prevede alcun concorso, né altra procedura selettiva ed è riconosciuto un potere di revoca alla stessa autorità che vi ha proceduto. Non va comunque sottaciuto che sovente la classe politica, anche per questo tipo di nomine, ricorre ai dirigenti che già prestano servizio nei grands corps. Si tratta, dunque, di un “meccanismo che presenta luci ed ombre: da un lato, non è dubitabile che con esso si garantisca una maggiore dinamicità ed il rinnovamento della dirigenza amministrativa, ma, dall’altro, trapela l’ovvia valenza politica che può assumere la nomina degli alti dirigenti” 81, invadendo la sfera d’autonomia della burocrazia. Infine occorre ricordare che il governo può assegnare discrezionalmente gli incarichi presso i gabinetti ministeriali, paragonabili ai nostri uffici di diretta collaborazione. Anche questi incarichi, per i quali è frequente il ricorso a soggetti esterni all’amministrazione, costituiscono una sorta di zona grigia nella quale non è ben netta la distinzione tra amministrazione e politica. Evidentemente, il sistema di chiamata esterna non è rimasto esente da critiche in quanto si espone al forte rischio di favorire, ai fini dell’accesso, soprattutto agli emplois supérieurs, criteri di appartenenza politica a quelli di competenza, svilendo i tradizionali caratteri di preparazione e di indipendenza degli alti funzionari francesi. Risultano, per questo, più incoraggiate e diffuse le forme di mobilità del personale, sia verso l’interno che verso l’esterno, tra cui figura il noto fenomeno del pantouflage, ossia il passaggio, nei primi dieci anni di carriera, dal settore pubblico a quello privato, e al successivo rientro nel posto di lavoro originario. Al riguardo, una percentuale non troppo esigua di enarchi (circa il 20%) preferiscono transitare nel settore privato ancor prima della fine dei loro studi, mettendo a dura prova la tradizionale resistenza francese alla “americanizzazione della vita economica”. 81 V. ANTONELLLI e A. LA SPINA op. cit., pag. 109. 47 * * * In conclusione, la disamina delle tre esperienze ha mostrato, come peraltro anticipato nel capitolo introduttivo, che lo stesso concetto di politicizzazione dell’attività amministrativa, inteso quale intervento più o meno pregnante dell’autorità politica negli affari amministrativi, si declina all’interno di questi Paesi con gradazioni differenti e presenti caratteristiche peculiari tanto da rendere difficile l’assimilazione integrale ai modelli teorici precedentemente illustrati. Al di là delle similitudini e discordanze rintracciabili tra le differenti esperienze giuridiche, il fil rouge che lega gli ordinamenti dei tre Paesi è senza dubbio la progressiva trasformazione, in senso imprenditoriale, del ruolo della dirigenza pubblica 82. 82 C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 152. 48 4. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO STATALE 4.1 Cenni generali: l’inquadramento giuridico Come evidenziato nel precedente capitolo, il sistema dello spoils system ha origine negli Stati Uniti, dove ad ogni cambio di governo, il presidente neo eletto riempiva i ranghi più alti delle amministrazioni con propri fiduciari, scelti anche secondo il criterio di ricompensare l’appoggio concesso nel corso della campagna elettorale 83. Ciò comportava una forte politicizzazione della gestione del personale pubblico, determinando, in particolare, un pervasivo controllo presidenziale sull’intera attività amministrativa federale. Tale sistema è stato, per un certo periodo, considerato come il modo migliore per perseguire il pubblico interesse e realizzare il principio democratico, in quanto consentiva di “esaltare la rappresentatività degli organi politici con diretta legittimazione elettiva” 84. Ricollegandosi, poi, all’excursus storico – delineato nel capitolo introduttivo – sull’evoluzione legislativa che ha interessato la dirigenza pubblica nel nostro Paese, si ritiene utile puntualizzarne alcuni aspetti che aiutano a meglio comprendere il meccanismo dello spoils system nel nostro ordinamento. Il D.P.R. 748/1972 aveva istituito la dirigenza statale, articolandola in tre livelli e sancendo il principio dell’accesso ad essa mediante corso-concorso, al fine di aumentare l’autonomia dei dirigenti del vertice politico e di incrementare l’efficienza dell’amministrazione 85. Ai dirigenti veniva, quindi, riconosciuta un’autonoma competenza nell’adozione dei provvedimenti e nella stipulazione dei contratti, attribuendo ad essi, per la prima 83 Cfr. M. CLARICH, Una rivincita della dirigenza pubblica nei confronti dello strapotere della politica a garanzia dell’imparzialità della pubblica amministrazione, in rivista Nel Diritto.it. 84 Cfr. G. D’IGNAZIO, Politica e Amministrazione negli Stati Uniti d’America. Lo Stato Amministrativo fra Costituzione, leggi, giudici e prassi, Milano, Giuffrè 2004, pag.32 ss. 85 Cfr. Per una ricostruzione della vicenda del modello cavouriano, V.S. SEPE, Amministrazione e Storia, Rimini, 1995, pp. 39-40. Sul punto cfr.C. COLAPIETRO, op. cit. pagg. 388-389. 49 volta, la responsabilità per i risultati conseguiti. Di fatto, nulla mutò in ordine alla permanenza del rapporto gerarchico tra ministro e dirigenti, in quanto in capo al ministro era ancora riservato il potere di annullamento degli atti dirigenziali per motivi di legittimità e, principalmente, il potere di emanare provvedimenti di revoca e di riforma. Non solo, il D.P.R. 748/1972, pur affermando la piena responsabilità del dirigente, lasciava inalterata la sostanziale garanzia di inamovibilità dello stesso, svilendo e rendendo poco incisiva qualsiasi azione di controllo sul suo operato. Inoltre, l’accesso alla dirigenza continuava ad essere basato sul criterio dell’anzianità, con scarsa autonomia decisionale dei dirigenti e confusione nei rapporti tra autorità politica e vertici burocratici 86. E’ solo con il D.Lgs. 29/1993 che viene introdotto il principio della scissione tra direzione politica e gestione amministrativa, la prima attribuita all’autorità politica, l’altra ai dirigenti connotati da una specifica e autonoma responsabilità per il perseguimento o meno degli obiettivi prefissati. Infatti, l’art. 3 del D.Lgs. 29/1993 riserva al ministro il solo potere di indirizzo e coordinamento sulla base dell’individuazione degli obiettivi generali e dei programmi da porre in essere, oltre alla verifica della corrispondenza dei risultati dell’attività espletata; secondo la norma, ai dirigenti spetta la completa gestione finanziaria, tecnica e di controllo, cioè in definitiva la possibilità di adottare tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno. Il principio di separazione tra politica e amministrazione ha un effetto molto forte sull’assetto delle relazioni interorganiche del sistema amministrativo tra dirigenza ed organo di governo; infatti, non sussiste più un rapporto di tipo gerarchico, che implicava il potere di ingerenza concreta da parte del ministro nell’attività dell’organo sottordinato, bensì una forma di sopraordinazione meno intensa, inquadrabile nella direzione, intesa come potere di indicare le linee programmatiche entro le quali il dirigente può muoversi autonomamente. 86 Cfr. E. GUALMINI, op. cit., p.402- Per una valutazione delle ragioni del mancato decollo della riforma della dirigenza nel 1972. Cfr.S. SEPE, op. cit., pagg. 91-95. 50 Il sistema delineato dal D.Lgs. 29/1993 è stato successivamente modificato dai decreti legislativi 80/1998 e 387/1998, attuativi della c.d. legge Bassanini (L. 59/97), che ha esteso la privatizzazione anche ai dirigenti generali, stabilendo più chiaramente il principio di distinzione tra il potere politico-amministrativo e i poteri di amministrazione concreta. In particolare, attraverso le richiamate leggi, viene sancito il regime della temporaneità degli incarichi dirigenziali, la cui durata non è più sine die ma va da un minimo di due anni, ad un massimo di sette, salvo rinnovo. Con il D.Lgs. 80/1998 viene poi prevista la possibilità che, entro determinate percentuali, un incarico di livello superiore possa essere assegnato ad un dirigente di qualifica inferiore ed addirittura che un incarico dirigenziale, di qualunque livello, venga attribuito ad un estraneo all’amministrazione, in possesso di specifiche qualità professionali. In tal modo, si viene a realizzare una vera e propria frattura tra rapporto di impiego e rapporto organico 87. Infine, è stabilito che gli incarichi di vertice (Segretario generale, Capo Dipartimento ed equivalenti) possono essere confermati, revocati, modificati o rinnovati, entro 90 giorni dal voto sulla fiducia di governo, decorsi i quali il silenzio equivale a conferma fino alla data di naturale scadenza. Le citate disposizioni normative sono tutte integralmente confluite nel T.U. sul pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001), recante la codificazione della normativa sul rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. L’incarico dirigenziale viene conferito con un provvedimento amministrativo, detto anche di alta amministrazione, nel quale sono determinati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire. L’amministrazione conferisce gli incarichi dirigenziali nell’esercizio di un proprio potere autoritativo, fondando la scelta su un rapporto di esclusiva natura fiduciaria, tra quanti siano in possesso dei prescritti requisiti di legge, dotandosi così di un apparato dirigenziale strumentale all’azione politica. 87 Cfr. per un inquadramento generale, LISO, La privatizzazione dei rapporti di lavoro nelle pubbliche amministrazioni, in Scritti in memoria di D’ANTONA, Vol. III, Giuffrè, 2004. 51 In questo quadro di profonda trasformazione della dirigenza pubblica interviene la L. 145/2002. Viene previsto uno spoils system più marcato per gli incarichi dirigenziali di vertice, i quali sono destinati a cessare dopo 90 giorni dal voto di fiducia al nuovo governo, eliminando in tal modo la conferma tacita, e si estende l’applicazione della norma agli incarichi dirigenziali assegnati a personale esterno all’amministrazione 88. La suindicata legge introduce, inoltre, il meccanismo del cd. “spoils system una tantum”, che prevede, in sede di prima applicazione, la cessazione generalizzata ed automatica degli incarichi dirigenziali (anche non apicali). La cessazione dall’incarico si determina, dunque, ex lege, senza alcuna possibilità di controllo giurisdizionale, non richiedendo la legge alcun obbligo di motivazione, né alcun contradditorio con l’interessato. Tale cessazione, infatti, non avviene in relazione alla valutazione oggettiva dei risultati ottenuti dal dirigente, ma solo in ragione della determinazione politica di “svuotare” i ruoli dirigenziali esistenti per provvedere alla nomina di nuovi dirigenti secondo criteri di sintonia politica 89. Successivamente, il D.L. 262/2006, convertito nella L. 24 novembre 2006, n. 286, ha apportato profonde rimodulazioni al meccanismo sia dello spoils system a regime che dello spoils system transitorio. Per quanto riguarda il primo, viene prevista la cessazione automatica degli incarichi dirigenziali allo scadere dei 90 giorni dal cambio di governo, non solo per gli incarichi apicali, ma anche per quelli dirigenziali sia generali che inferiori affidati a dirigenti di altre pubbliche amministrazioni, nonché a personale esterno all’amministrazione. In ordine allo spoils system transitorio, viene stabilito che gli incarichi conferiti prima del 17 maggio 2006 cessano, se non confermati, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto. 88 Cfr. B. GUY PETERS, La Pubblica amministrazione, cit. pp. 121-129, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di diritto amministrativo, cit. p.185. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 403. 89 Cfr. F. LOGIUDICE, G. NERI, La Dirigenza Pubblica: lo spoils system dalla giurisprudenza costituzionale alla recente manovra d’estate, in articolo 20-10-2010. 52 Inoltre, sempre nel corso del 2006, il legislatore con D.L. 18 maggio 2006, n. 181 ha introdotto una speciale forma di spoils system per le figure di staff, secondo la quale all’atto del giuramento del ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale, le consulenze ed i contratti, anche a termine, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, decadono automaticamente ove non confermati entro 30 giorni dal giuramento del nuovo ministro. 4.2 Il bilanciamento degli interessi tra imparzialità e fiduciarietà nel quadro costituzionale Gli articoli 97 e 98 Cost. assegnano alla pubblica amministrazione un ruolo fondamentale per la democrazia, riconoscendole caratteristiche tali da concorrere ad esprimere l’essenza dello stato di diritto. L’apparato burocratico, destinato a dare concreta attuazione alle scelte politiche del governo, per definizione costituzionale, ha caratteri di: professionalità (agli uffici pubblici, e non solo a quelli iniziali, si accede in base al merito, con procedure selettive, non per scelta libera e immotivata), esclusività (i pubblici dipendenti sono all’esclusivo servizio della Nazione), produttività nel pubblico interesse (perseguire interessi privati costituisce reato), imparzialità, legalità e indipendenza. I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.) 90. Anche se la Costituzione non pone in maniera espressa il principio di separazione tra politica e amministrazione, l’idea di amministrazione che il costituente cerca di delineare è quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di funzioni e responsabilità proprie 91. Sia l’una che l’altra di tali norme si pongono, infatti, come corollari naturali dell’imparzialità, in cui viene ad esprimersi la distinzione tra l’azione di governo che, nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica, espressione delle forze di maggioranza e l’azione dell’amministrazione che, 90 Cfr. Sentenza n. 3276, emessa in data 8 aprile 2003 dal Tar Lazio, Sezione II – Ter. 91 Cfr. A. PATRONI GRIFFI, op. cit. p. 67. Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. 49. 53 nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento. E’ difatti compito della pubblica amministrazione, intesa quale apparato burocratico, dare attuazione all’indirizzo e alle scelte di fondo degli organi politici, compito che deve essere realizzato da una posizione di indipendenza operativa, che comprende l’elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a raggiungere i fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali. Il principio d’imparzialità stabilito dall’art. 97 Cost. unito quasi in endiadi con quelli della legalità, del buon andamento dell’azione amministrativa, dell’equilibrio e della sana gestione finanziaria, costituisce, pertanto, un valore essenziale cui deve uniformarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici poteri. Partendo dall’assunto che indirizzo politico ed attività amministrativa possono essere tendenzialmente distinti, ma non nettamente separati, attesa la loro stretta continuità, si può parlare oggi di un’amministrazione policentrica, con garanzie di indipendenza nei confronti del governo, ma da questi non staccata, dove lo stesso concetto di responsabilità ministeriale di cui all’art. 95 Cost. deve essere rivisto in modo meno rigido, nel senso, cioè, di responsabilità politica complessiva per tutti gli atti di quel ramo di amministrazione, da chiunque emanati e come responsabilità più specifica per quanto rientrante nelle sue attribuzioni 92. Gli articoli 95 e 97 Cost. sono espressione, pertanto, di una stretta continuità fra attività politica e attività amministrativa tesa a garantire l’unità di indirizzo, senza pregiudicare l’attribuzione di autonomi poteri e responsabilità alla burocrazia. 4. 3 Lo spoils system nella giurisprudenza costituzionale Nel travagliato rapporto tra l’imparzialità dell’amministrazione e la sua soggezione all’indirizzo politico, si frappone la legge che interviene, da un lato, per 92 C. D’ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione, cit. p. 1615, L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, cit. p. 171, C. COLAPIETRO, op. cit.. 169. 54 consentire al potere politico di impartire le direttive dell’azione amministrativa e dall’altro, per assicurare al funzionario, le cui competenze e responsabilità sono dalla stessa legge garantite, il necessario margine di autonomia nei confronti del potere politico che è condizione essenziale dell’imparzialità 93. In questa direzione si è sviluppata nel tempo, tra riforme e controriforme, la legislazione sulla dirigenza pubblica ed in particolare, la disciplina relativa agli incarichi dirigenziali, che ha perseguito soprattutto la strada dello spoils system, in omaggio allo “spirito del maggioritario”, nel tentativo di rafforzare la distinzione tra politica e amministrazione, con esiti peraltro insoddisfacenti e, comunque, inidonei ad assicurare realmente quell’obiettivo. Nel nostro Paese il sistema delle spoglie è stato, infatti, stravolto, determinando una vera e propria situazione di servilismo della dirigenza al politico di turno, con il conseguente aumento del clientelismo nell’amministrazione e degli oneri a carico della finanza pubblica. Tale meccanismo ha inizialmente avuto l’avallo della stessa Corte Costituzionale che solo con la sentenza n. 103/2007 ha affermato alcuni principi fondamentali per porre fine ad una eccessiva e distorta fidelizzazione della dirigenza al vertice politico e garantire, invece, quella indipendenza funzionale al buon andamento e all’imparzialità dell’azione amministrativa. Molto articolato e complesso è stato l’iter giurisprudenziale costituzionale che ha determinato parzialmente la bocciatura dello spoils system. Appare, quindi, opportuno ripercorrere le tappe significative di tale percorso. Con sentenza n. 313 del 25 luglio 1996, la Corte Costituzionale, nel rigettare le censure avverso la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti, ha escluso che la Costituzione riservi ai dipendenti pubblici la garanzia di stabilità e inamovibilità prevista per i magistrati, significando che la riforma di cui al D.Lgs. 29/1993 ha realizzato un bilanciamento tra imparzialità e buon andamento dell’attività amministrativa, in quanto risultano sottratti alla contrattazione gli aspetti ordinamentali 93 C. COLAPIETRO, op. cit. 170. 55 e funzionali della dirigenza, lasciando invece allo spazio negoziale solo il trattamento economico 94. Nel 2002 con ordinanza n. 11, la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare della legittimità dell’estensione della privatizzazione del rapporto di impiego ai dirigenti generali, ha escluso la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento, rilevando come il conferimento e la revoca degli incarichi dei dirigenti generali siano connotati da “specifiche garanzie”, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei dirigenti generali, la cui stabilità non implica necessariamente anche stabilità dell’incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e l’efficienza dell’amministrazione pubblica, può essere soggetto alla verifica dell’azione svolta e dei risultati perseguiti 95. Successivamente, nel 2006, la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità del criterio dello spoils system, anche se in relazione alla dirigenza regionale, nella forma della decadenza anticipata per gli incarichi dirigenziali apicali che implicano un rapporto fiduciario, in quanto la scelta si fonda su valutazioni personali coerenti con l’indirizzo politico regionale e, pertanto, tese a rafforzare la coesione tra politica ed amministrazione 96. In seguito, nel 2007, la Corte Costituzionale, nuovamente investita della legittimità delle disposizioni concernenti lo spoils system, ritorna sui propri passi ed effettua una netta inversione di tendenza. Con la sentenza n. 103, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’applicazione del sistema delle spoglie cd. “una tantum”, introdotto dalla L. 145/2002, in quanto l’interruzione automatica del rapporto di ufficio, prima della sua scadenza naturale ed in carenza di garanzie procedimentali, 94 Cfr. Sentenza n. 313 del 25 luglio 1996. 95 Cfr. Ordinanza della Corte Costituzionale n. 11 del 30 gennaio 2002. 96 Cfr. F. LOGIUDICE, G. NERI, op. cit. pag. 6. 56 viola il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a quello di buon andamento dell’azione stessa, tutelato dagli artt. 97 e 98 Cost. 97. L’incarico dirigenziale non può, pertanto, essere revocato automaticamente, senza che vi sia stato un giusto procedimento all’interno del quale, nell’ambito di un confronto dialettico, l’amministrazione è tenuta ad esternare le ragioni per le quali ritiene di dover interrompere il rapporto prima della scadenza contrattuale, consentendo al dirigente di prospettare i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’organo politico ed individuati nel contratto a suo tempo stipulato. La revoca di funzioni legittimamente conferite può essere, infatti, conseguenza solo di un’accertata responsabilità dirigenziale, in presenza di determinati presupposti e all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato, né, d’altro canto, è configurabile in capo alla pubblica amministrazione il potere di recedere liberamente dal rapporto, in quanto si verrebbe ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo ed imparziale la propria attività gestoria 98. Sulla stessa linea si muove la successiva pronuncia n. 104 del 28 marzo 2007 con la quale la Corte Costituzionale – come si vedrà più dettagliatamente nel successivo capitolo – ha dichiarato l’illegittimità di una legge regionale nella parte in cui prevedeva che i Direttori generali delle AA.SS.LL. decadessero il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina. Secondo la Corte Costituzionale il rinnovo del Consiglio regionale è un evento indipendente dal rapporto tra organo politico e una figura tecnicoprofessionale, una causa estranea alle vicende del rapporto stesso che comporta la cessazione dell’incarico senza una valutazione dei risultati aziendali e del 97 Sul punto, cfr. N. DURANTE, Spoils system e dirigenza pubblica in Federalismi.it, pag. 9. 98 Cfr. C. SILVESTRO e F. SILERI, Dirigenti esterni e spoils system, in Giornale di diritto amministrativo, n.1/2009, pag. 25. 57 raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi conseguiti dal dirigente 99. Successivamente, la Corte Costituzionale è stata nuovamente chiamata a pronunciarsi sulla legittimità del D.L.30 ottobre 2006, n. 262, nella parte in cui prevedeva un’ipotesi di cessazione anticipata-non automatica, bensì subordinata al potere di conferma dell’organo politico, dall’incarico di dirigenti esterni dipendenti da altre amministrazioni. Anche in questo caso, è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma, per violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità, sulla scorta del richiamo alle motivazioni della pronuncia n. 103 del 2007. Anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro instaurato con l’amministrazione che attribuisce l’incarico deve essere connotato da specifiche garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la tendenziale continuità dell’azione amministrativa e la chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione. A nulla rileva, poi, il potere di conferma dell’organo politico da esercitarsi entro 60 giorni, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la decadenza automatica dell’incarico, senza alcuna possibilità di controllo giurisdizionale. Nella decisione n. 351 del 24 ottobre 2008, la Corte Costituzionale – come si puntualizzerà nel prossimo capitolo – ha osservato che forme di riparazione economica non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela degli interessi collettivi lesi da atti illegittimi di rimozione dei dirigenti amministrativi. Il lungo iter costituzionale sullo spoils system è, poi, proseguito anche nel 2010 con la sentenza n. 81 del 5 marzo 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità della decadenza automatica ex lege dagli incarichi dirigenziali conferiti a persone 99 Sul punto cfr. C. PINELLI, Il buon andamento dei pubblici uffici e la sua supposta tensione con l’imparzialità. Un’ indagine sulla recente giurisprudenza costituzionale, in scritti in onore di Alberto Romano, pag. 719. 58 estranee all’amministrazione, ai sensi del D.Lgs. 165/2011, perché in contrasto con gli artt. 97 e 98 Cost. Secondo la Corte Costituzionale, anche per questa tipologia di incarichi, il rapporto di lavoro instaurato con l’amministrazione deve essere assistito da specifiche garanzie in modo da assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la chiara distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione. Da ultimo, la Corte Costituzionale, con sentenza del 25 luglio 2011, n. 246, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale anche del meccanismo “a regime”, previsto dal decreto legge n. 262/2006, della cessazione anticipata del rapporto di ufficio, quale effetto automatico del mutamento di governo, applicabile ad incarichi dirigenziali, anche non apicali, conferiti a persone di particolare e comprovata qualificazione professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione. La Corte Costituzionale si è pronunciata anche sulla questione di legittimità costituzionale della disposizione introdotta con l’art. 1 del D.L. 181/2006, riguardante la decadenza degli incarichi di diretta collaborazione con il ministro (ccdd. Uffici di staff). Con sentenza n. 304 del 28 ottobre 2010, è stata però dichiarata infondata la questione, in quanto detti uffici realizzano un’attività strumentale rispetto a quella esercitata dal ministro, collocandosi, sulla base di un rapporto strettamente fiduciario, in un ambito organizzativo riservato all’attività politica, con compiti di supporto delle stesse funzioni di governo e di raccordo tra queste e quelle amministrative di competenza dei dirigenti. 4.4. Lo spoils system nella riforma Brunetta In linea con le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, da ultimo sulla materia, è intervenuta la cd. “riforma Brunetta” (L. 150/99), che ha procedimentalizzato la revoca degli incarichi, vincolandola alla sola ipotesi di acclarato non raggiungimento 59 dei risultati da parte del dirigente e ha introdotto l’obbligo di congrua motivazione per il caso di mancata conferma del medesimo 100. Nel contempo, la richiamata legge ha ripristinato il meccanismo di automatica cessazione degli incarichi dirigenziali di vertice (Segretario generale, Capo Dipartimento ed equivalenti) decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo, in ragione della stretta connessione con l’organo politico. Al riguardo, autorevole dottrina sostiene che non è detto che tale sistema sia in grado di resistere, nel futuro, al vaglio della Corte Costituzionale, tenuto conto dei principi sanciti dalla citata giurisprudenza costituzionale, nonché dei possibili profili di illegittimità della norma, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto verrebbe a configurarsi per la dirigenza apicale un trattamento giuridico deteriore rispetto alle altre. * * * Alla luce delle citate sentenze della Corte Costituzionale si può parlare di un riscatto della dirigenza pubblica da un ruolo troppo subalterno all’organo politico, a garanzia dell’imparzialità della pubblica amministrazione, senza per questo prefigurare il ripristino del vecchio modello dei megadirettori generali inamovibili, in grado di contrastare le finalità dei ministri di turno. Il principio della distinzione tra politica ed amministrazione assegna, comunque, ai politici, la cui legittimazione discende dai meccanismi della rappresentanza democratica, il compito di dettare le direttive e di valutare ex post, con tutte le garanzie del caso, i dirigenti in relazione ai risultati effettivamente perseguiti. Il principio della primazia della politica, rettamente inteso, non è in discussione. Ciò che si vuole evitare è che all’interno di una Costituzione democratica, in base alla quale al potere si alternano i partiti politici, l’amministrazione si trasformi in “un’amministrazione di partiti” 101. 100 Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale sul tema dello spoils system, si veda anche V. CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, pag. 185. N. DURANTE, op. cit. pag. 10. 60 Nel bilanciamento tra imparzialità e fiduciarietà nell’ambito della disciplina degli incarichi dirigenziali, la giurisprudenza costituzionale è ormai consolidata, nel ritenere che il sistema dello spoils system possa essere considerato conforme al dettato costituzionale soltanto laddove sia riferito a posizioni dirigenziali apicali, di stretta strumentalità rispetto al vertice politico e del cui supporto questi si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico-amministrativo; viceversa, sono considerati illegittimi quei meccanismi di spoils system relativi ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di funzioni amministrative e gestionali di esecuzione dell’indirizzo politico, i quali richiedono piuttosto il rispetto del dovere di neutralità e devono essere connotati da specifiche garanzie, in modo tale da assicurare una tendenziale continuità dell’azione amministrativa ed una chiara distinzione funzionale di compiti e delle relative responsabilità tra l’organo di governo e la dirigenza 102. Al fine di assicurare l’imparzialità ed il buon andamento amministrativo, tenuto conto di quelle che sono le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, risulta, pertanto, fondamentale il rispetto di certe condizioni, quali: - la durata non irragionevolmente breve degli incarichi dirigenziali - la sottoposizione dei conferimenti e delle revoche degli incarichi al riscontro della sussistenza di requisiti di professionalità e dei risultati ottenuti - l’osservanza delle regole sottese al principio del giusto procedimento. In coerenza con tale impostazione, si può affermare che il meccanismo dello spoils system, sotto il profilo oggettivo, vale a dire del tipo e livello di incarico conferito, è illegittimo se riferito a incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di compiti di gestione, cioè di funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo politico, mentre risulta costituzionalmente legittimo quando riferito a posizioni apicali del cui supporto l’organo di governo si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico amministrativo. 101 Sul punto Cfr. M. CLARICH, op. cit. 102 Sul punto Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 170. 61 Sotto il profilo soggettivo, cioè della provenienza del titolare dell’incarico, la Corte Costituzionale ha precisato che “la natura esterna dell’incarico non costituisce un elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale, che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e dichiarata separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. Sotto il profilo dell’efficacia nel tempo, il meccanismo deve operare a regime, essendo destinato a trovare applicazione in occasione di ogni futuro avvicendamento di Governo” 103. La Corte Costituzionale ha, dunque, tracciato delle linee ben marcate e precise nel rapporto tra politica e amministrazione, sottolineando come i principi costituzionali dell’imparzialità, del buon andamento e della continuità dell’azione amministrativa, esigano, con riferimento agli incarichi dirigenziali, il rispetto di determinate condizioni, quali l’attuazione di un sistema di revoca degli incarichi di tipo sanzionatorio, a fronte di un’accertata responsabilità per il mancato conseguimento degli obiettivi prefissati, nell’ambito di un giusto procedimento. Sono aspetti questi che, comunque, richiedono un intervento legislativo volto ad attualizzare, sotto il profilo normativo, quanto rimarcato dalla Corte Costituzionale, attraverso un meccanismo strutturato di verifica oggettivo e funzionale e, soprattutto, non lasciato alla mercé della politica, avendo come unico obiettivo quello di favorire l’efficientismo nella gestione della cosa pubblica. 103 C. COLAPIETRO op. cit. pag. 171. 62 5. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO REGIONALE 5.1 Cenni generali La riforma del Titolo V della Costituzione 104 ha consentito al legislatore regionale, sulla base della nuova attribuzione della competenza legislativa residuale, di regolamentare in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa, come sancito dal combinato disposto dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 117 Cost. Invertendo il precedente criterio di riparto, alle Regioni, competenti per tutte le materie non espressamente riservate allo Stato, è stata riconosciuta una potestà di autordinamento a mezzo di statuti e regolamenti (art.114, comma 2, e art. 117, comma 6, Cost.), rimanendo, invece, nell’esclusiva spettanza del legislatore statale solo la disciplina dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali. Le Regioni hanno così cominciato, sia in occasione dell’approvazione dei nuovi Statuti, sia attraverso la propria attività legislativa ordinaria, a darsi un’autonoma disciplina della propria dirigenza, prevedendo, per le nomine dei dirigenti posti alla guida di enti o dei soggetti facenti parte della struttura amministrativa della Regione, il presupposto dell’esistenza di un legame fiduciario tra essi e la Giunta o, comunque, il vincolo, più o meno forte, dell’adeguamento all’indirizzo politico della Regione stessa. Questo contesto normativo dà luogo alla “positivizzazione” di meccanismi di spoils system, che prevedono la cessazione automatica dell’incarico dirigenziale affidato in concomitanza del mutamento della compagine politica di maggioranza. La contiguità o, per meglio dire, il vincolo fiduciario tra “politici” e “tecnici”, valutato negativamente come espressione di clientelismo e asservimento della dirigenza regionale alla parte politica pro-tempore al potere, ha posto dubbi sulla legittimità della relativa normativa con riferimento ai principi dell’ordinamento ormai consolidati che 104 Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 . 63 richiedono, per tali nomine, selezioni comparative, sulla base di parametri oggettivi improntati alla meritocrazia e, per altro verso, la separazione della guida politica dalla gestione dell’amministrazione con la conseguente autonomia della dirigenza. Si considera anche che con tale prassi si introduce nell’organizzazione amministrativa un elemento di precarietà in contrasto con il sistema della durata predeterminata dell’incarico e della revoca o conferma di esso unicamente in base alla verifica del raggiungimento dei risultati da parte del dirigente. L‘introduzione nell’ordinamento regionale dello spoils system è stata, comunque, molto controversa, - come peraltro nella legislazione statale esaminata nel precedente capitolo - in quanto lo specifico potere di autorganizzazione riconosciuto ha dovuto trovare necessariamente una coerente collocazione all’interno del sistema generale della pubblica amministrazione, come delineato dalla Costituzione nella parte relativa a tale tema ordinamentale. L’applicazione di quell’istituto non poteva che essere correlata al rispetto dei principi di “buon andamento” e di “imparzialità” della pubblica amministrazione e di continuità dell’azione amministrativa (artt. 97 e 98 Cost.), apparendo del tutto evidente che, attraverso la previsione di nomine fidelizzate, o, anche solo, vincolate alle sorti dell’esecutivo, potevano risultare minate tanto la continuità e l’efficacia quanto l’autonomia dell’attività dirigenziale. Ed è per questo che la previsione della decadenza automatica degli incarichi dirigenziali, in deroga ai principi costituzionali che connotano in via generale il pubblico impiego, ha generato un ampio contenzioso, alimentato dai giudici di merito che, in diverse occasioni, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale relativamente a norme regionali che ne contenevano la disciplina. Come si vedrà nel paragrafo che segue, dedicato all’esame di alcune delle più significative pronunce della Corte Costituzionale sul tema, la Consulta è intervenuta per enunciare i principi di carattere generale che costituiscono oggi le linee guida a cui il legislatore regionale deve attenersi nel legiferare in materia per non incorrere in censure di incostituzionalità. 64 5.2 La giurisprudenza costituzionale La Corte costituzionale è stata più volte chiamata ad esaminare la complessa problematica dello spoils system. La prima sentenza, la n. 233 del 16 giugno 2006, costituisce una “pronuncia pilota” 105 per la giurisprudenza sul tema - che si consoliderà successivamente - per aver messo in luce molte delle criticità connesse all’applicazione dello spoils system alla dirigenza regionale. All’origine del giudizio la questione di legittimità costituzionalità proposta dal Presidente del Consiglio dei Ministri su alcune disposizioni contenute in due leggi della Regione Calabria (la n. 12 del 3 giugno 2005 e la n. 13 del 17 agosto 2005) e su una legge della Regione Abruzzo (la n. 27 del 12 agosto 2005), con le quali veniva introdotto, a vario titolo, l’azzeramento automatico delle nomine di natura fiduciaria alla data di proclamazione del nuovo Presidente della Giunta. In particolare, le prime due leggi richiamate vengono censurate in quanto sanciscono una decadenza automatica delle nomine e degli incarichi dirigenziali apicali senza alcuna previa valutazione tecnica circa la “qualità” dell’operato delle persone precedentemente nominate e/o incaricate, mentre l’altra prevede la possibile sostituzione di dirigenti anche non apicali delle Aziende ospedaliere e delle Aziende Sanitarie Locali (responsabili dei Dipartimenti sanitari ed amministrativi e responsabili dei Distretti sanitari territoriali), in concomitanza con la nomina dei nuovi Direttori Generali delle stesse Aziende. Vengono sollevati dubbi di costituzionalità sia rispetto agli artt. 3 (in ordine alla ragionevolezza della norma) e 97 (in riferimento al principio del buon andamento della pubblica amministrazione), sia in relazione all’art. 117, comma 2, lett. g (in riferimento alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento e organizzazione amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”) e lett. l Cost. (facendo riferimento alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento civile”). 105 L. GRIMALDI, La controversa disciplina della dirigenza pubblica regionale nella più recente giurisprudenza costituzionale sullo spoils system. Riv. Amministrazione in cammino, pag. 1. 65 La Corte Costituzionale, in questa “ prima fase” della sua giurisprudenza sul tema, consente una applicazione parziale e alquanto estesa del “sistema delle spoglie”, accogliendo solo in parte i rilievi di incostituzionalità sollevati: rigetta quelli relativi alla meccanicità degli automatismi di revoca delle nomine in regime di spoils system sostanzialmente sottratti ad ogni valutazione tecnica della professionalità e delle competenze, limitandone l’estensione dell’applicazione ai responsabili ed ai dirigenti di livello apicale. La Corte conferma, dunque, la legittimità di alcune nomine effettuate dagli organi rappresentativi della Regione, su base strettamente fiduciaria, nelle ipotesi in cui la natura dell’incarico sia connotata intuitu personae, argomentando che tale vincolo fiduciario è funzionale al rafforzamento della “coesione tra organo politico regionale e organi di vertice dell’apparato burocratico”. La regola della decadenza automatica all'atto dell'insediamento di nuovi organi politici mira a consentire a questi ultimi la possibilità di scegliere nuovi soggetti idonei a garantire proprio l'efficienza e il buon andamento dell'azione della nuova Giunta, per evitare che essa risulti condizionata dalle nomine effettuate nella parte finale della legislatura precedente. “La previsione di un meccanismo di valutazione tecnica della professionalità e competenza dei nominati, prospettata come necessaria a tutelare l’imparzialità e il buon andamento dell’amministrazione, non si configura, nella specie, come misura costituzionalmente vincolata e del resto nemmeno si addice alla natura del rapporto sotteso alla nomina”. Sulla scia di tali argomentazioni, la Consulta ha dichiarato, invece, l’illegittimità dell’art. 14, comma 3, della legge della Regione Calabria n. 13 del 2005, ritenendo che la decadenza dalla carica di Direttore Generale della ASL non può produrre l’effetto dell’automatica cessazione anche dell’incarico di responsabile dei dipartimenti sanitari e amministrativi e dei distretti sanitari territoriali, poiché, in caso contrario, ciò determinerebbe l’azzeramento automatico dell’intera dirigenza, pregiudicando, in tal modo, il buon andamento dell’amministrazione. Nel ricostruire, infine, il riparto di competenze tra Stato ed autonomie territoriali, il Giudice delle Leggi ribadisce che “lo spoils system dei dirigenti regionali 66 attiene alla materia dell’organizzazione amministrativa delle regioni e, pertanto, costituisce oggetto di competenza residuale. Le regioni devono, comunque, esercitare tale potestà nel rispetto dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento fissati dai rispettivi statuti, secondo quanto statuito dall’art. 123 Cost.” 106. Di conseguenza, per la Corte non sono fondate le eccezioni di incostituzionalità concernenti le differenze tra la normativa statale in materia di spoils system e le analoghe disposizioni regionali, né si può configurare una lesione della competenza esclusiva statale in tema di “ordinamento civile” perché le disposizioni censurate, 107 riguardanti la decadenza dell’incarico dirigenziale e le sue possibili ricadute sul sottostante rapporto di lavoro, avrebbero ad oggetto solo gli effetti derivanti dalla scadenza della durata dell’incarico medesimo. Tali effetti rientrerebbero “materialmente” nella competenza residuale delle Regioni a prescindere dalla natura dell’incarico stesso. La Corte è ritornata, poi, ad occuparsi del tema della dirigenza regionale con la sentenza del 23 marzo 2007 n. 104, mettendo a fuoco alcuni passaggi interpretativi di fondo che la precedente sentenza n. 233 del 2006 non aveva ben chiarito, soprattutto se riletti alla luce della più ampia giurisprudenza costituzionale in tema di amministrazione pubblica. Il Giudice delle leggi, infatti, muovendo, ancora una volta, dall’esame della compatibilità tra “il metodo di relazioni tra politica e amministrazione” sotteso ai meccanismi di spoils system ed i principi di imparzialità e di buon andamento, giunge a definire meglio e, per certi versi, a ridimensionare la legittima applicabilità del “sistema delle spoglie”. Oggetto dell’esame della Corte sono le questioni di legittimità costituzionale relative a disposizioni legislative della Regione Lazio e della Regione Siciliana in materia di regime della dirigenza nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende ospedaliere, nonché nell’amministrazione e negli enti regionali. 106 P. JORI , Lo spoils system nello Stato e nelle regioni secondo i principi formulati dalla giurisprudenza costituzionale. LexItalia.it 2008, pag. 4. 107 di cui ai commi 6 e 7 della richiamata legge regionale n. 13/05. 67 In particolare, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale del «combinato disposto» dell’articolo 71, commi 1, 3 e 4, lettera a), della legge della Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 108(42) e dell’articolo 55, comma 4, della legge della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 109(43), nella parte in cui prevede che i direttori generali delle AA.SS.LL. decadano dalla carica il novantesimo giorno successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità previste per la nomina, in riferimento agli articoli 97, 117, terzo comma, ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l) Cost. e dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 110, nella parte in cui prevede che gli incarichi, di cui ai commi 5 e 6, già conferiti con contratto, possono essere revocati entro novanta giorni dall'insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto, ciò in riferimento all’art.97, 1 comma, Cost. Partendo dal “caso Lazio” e dalle argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato nelle sei ordinanze di rimessione, la Corte torna ad esaminare con particolare attenzione, da un lato, il rispetto dei principi di imparzialità e di efficienza a cui è sottoposta l’organizzazione e l’attività dei pubblici uffici dipendenti dalla Regione, e, dall’altro, i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale relativamente alla disciplina della dirigenza pubblica. La Consulta coglie l’occasione per delimitare in modo più netto gli spazi, lasciati nella disponibilità dell’esecutivo regionale, entro cui risulta legittima la cosiddetta “politicizzazione” delle nomine dirigenziali, contribuendo, in tal modo, a razionalizzare un ambito di normazione che risulta ancora incerto sotto il profilo della compatibilità tra il quadro legislativo in materia ed i vincoli costituzionali vigenti. Le argomentazioni del giudice costituzionale partono dall’inquadramento della figura dirigenziale del direttore generale di ASL, qualificato come “una figura tecnicoprofessionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di 108 Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2005. 109 Nuovo Statuto della Regione Lazio. 110 Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2002. 68 risultato, gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale, dagli indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con l’amministrazione regionale”. Con riguardo, poi, al requisito della scelta «fiduciaria», cioè effettuata sulla base di valutazioni soggettive di consonanza “politica” con il titolare dell’organo che nomina, la Corte chiarisce che il direttore generale di ASL viene nominato dal Presidente della Regione fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e professionali. Circa il requisito della apicalità, rileva, inoltre, che, nell’assetto organizzativo della Regione Lazio, esiste «una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl», per effetto della quale «non vi è un rapporto istituzionale diretto e immediato fra organo politico e direttori generali». In questo contesto di relazioni fra il direttore generale di ASL e l’amministrazione regionale del Lazio si inseriscono le norme censurate, che introducono, in regime permanente, la decadenza automatica del direttore generale allo scadere del novantesimo giorno dall’insediamento del Consiglio regionale. La Corte evidenzia come tale “decadenza automatica non soddisfa l’esigenza di preservare un rapporto diretto fra organo politico e direttore generale e, quindi, quella «coesione tra l’organo politico regionale […] e gli organi di vertice dell’apparato burocratico […]»111. Essa, infatti, interviene anche nel caso in cui la compagine di governo regionale venga confermata dal risultato elettorale che ha portato all’elezione del nuovo Consiglio. Né alla menzionata esigenza supplisce l’eventuale conferma del direttore generale, non essendo previsto che essa sia preceduta da un’apposita valutazione, né che sia motivata". L’applicazione del sistema dello spoils system, a giudizio della Corte, non rappresenta sempre un necessario (e, quindi, legittimo) strumento di coesione tra organo politico e vertice burocratico, ma rischia di divenire un arbitrario ed ingiustificato 111 richiamato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 233/06. 69 strumento di controllo da parte della maggioranza degli incarichi dirigenziali, ledendo, così, il principio di distinzione tra sfera politica e sfera gestionale, nonché quelli di regolarità e continuità dell’attività amministrativa, di buon andamento ed imparzialità della stessa. Essendo, infine, la decadenza automatica collegata al verificarsi di un evento – il decorso termine di novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale – essa è sostanzialmente indipendente dal rapporto tra organo politico e direttori generali di Asl. Dunque, il direttore generale viene fatto cessare dal rapporto con la Regione per una causa estranea alle vicende del rapporto stesso, esulando da ogni valutazione concernente i risultati aziendali o il raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi, o dipendente da una delle altre cause che legittimerebbero la risoluzione per inadempimento del rapporto. Diversamente da ciò che era sembrato emergere all’indomani della sent. n.233/06, affinché il “sistema delle spoglie” possa risultare non in contrasto col quadro costituzionale complessivo, il presupposto della natura della nomina, fondata o meno intuitu personae del decisore politico, diviene una condizione necessaria, ma non sufficiente, dovendo l’inderogabile tutela dell’interesse generale - fondamento e fine ultimo dell’attività della pubblica amministrazione - coincidere prioritariamente con il perseguimento di una coerenza tecnica e gestionale, prima ancora che politica, dell’attività amministrativa stessa. La novità della tecnica di argomentazione della Corte consiste, quindi, nella diretta valutazione della conformità della disciplina regionale della dirigenza con i principi costituzionali, in particolare con quelli sanciti dagli artt. 97 e 98. Tale disciplina, anche se adottata nell’esercizio della competenza legislativa residuale (per le regioni a statuto ordinario) o della competenza esclusiva prevista dagli statuti (per le regioni a statuto speciale) deve, comunque, essere coerente, ai sensi dell’art. 117, comma 1, Cost., con i principi della Costituzione in tema di amministrazione pubblica. La Corte, partendo da un excursus della propria giurisprudenza in materia, afferma che «il principio di imparzialità stabilito dall’art. 97 Cost. – unito quasi in endiadi con quelli della legalità e del buon andamento dell'azione amministrativa – 70 costituisce un valore essenziale cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici uffici»112. La Corte, poi, continua argomentando che gli artt. 97 e 98 Cost. sono corollari dell’imparzialità, in cui si esprime la distinzione tra politica e amministrazione, tra l’azione del governo e l’azione dell’amministrazione, che, «nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate dall’ordinamento». Ne discende di conseguenza che la selezione dei pubblici funzionari non ammette ingerenze di carattere politico, «espressione di interessi non riconducibili a valori di carattere neutrale e distaccato» 113, con l’unica eccezione costituita dall’esigenza che alcuni incarichi, ossia quelli dei diretti collaboratori dell’organo politico, siano attribuiti a soggetti individuati intuitu personae, con una modalità che mira a «rafforzare la coesione tra l’organo politico regionale e gli organi di vertice dell’apparato burocratico per consentire il buon andamento dell’attività di direzione dell’ente (art. 97 Cost.)» 114. Riguardo alla figura dei dirigenti, la Corte chiarisce, in particolare, che la disciplina privatistica del loro rapporto di lavoro non ha abbandonato le «esigenze del perseguimento degli interessi generali»115; che, in questa logica, i dirigenti godono di «specifiche garanzie» quanto alla verifica che gli incarichi siano assegnati «tenendo conto, tra l’altro, delle attitudini e delle capacità professionali» e che la loro cessazione anticipata dall’incarico avvenga in seguito all’accertamento dei risultati conseguiti116; che il legislatore, proprio per porre i dirigenti (generali) «in condizione di svolgere le 112 Sentenza Corte Costituzionale n. 453 del 1990. 113 Sentenza Corte Costituzionale n. 333 del 1993. 114 Sentenza Corte Costituzionale n. 233 del 2006. 115 Sentenza Corte Costituzionale n. 275 del 2001. 116 Sentenza C.C. n. 193 del 2002; ordinanza n. 11 del 2002. 71 loro funzioni nel rispetto dei principi d’imparzialità e buon andamento della p.a. [...], ha accentuato 117 il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico- amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione amministrativa dei dirigenti»118. Agli stessi principi si riporta la disciplina del giusto procedimento, specie dopo l’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990, n. 241 119, come modificata dalla L. 11 febbraio 2005, n. 15, per cui il destinatario dell’atto deve essere informato dell’avvio del procedimento, avere la possibilità di intervenire a propria difesa, ottenere un provvedimento motivato, adire un giudice. In conclusione, “la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare dipendenza politica. Egli è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio, ed in seguito a questo può essere allontanato. Ma non può essere messo in condizioni di “precarietà” che consentano la decadenza senza la garanzia del giusto procedimento”. Tali argomentazioni hanno indotto la Corte a dichiarare l’illegittimità costituzionale delle norme censurate contenute nelle leggi richiamate della Regione Lazio. Per quanto concerne l’altra fattispecie oggetto della pronuncia in esame, il Tribunale di Palermo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della richiamata disposizione contenuta nell’art. 96 della legge della Regione Sicilia 26 marzo 2002, n. 2 120, con riferimento all’art. 14 dello statuto speciale della Regione Siciliana121 e all’art.97, primo comma, Cost. 117 con il d.lgs. n. 80 del 1998. 118 Ordinanza n. 11 del 2002. 119 Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi. 120 Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002. 121 R.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2. 72 Al riguardo, la Consulta, innanzitutto, esclude “l’applicabilità, nelle regioni a statuto speciale, come in quelle ordinarie, dei principi della legge statale 122 concernenti il regime dei dirigenti nelle amministrazioni dello Stato”. In secondo luogo – con riferimento all’art. 97 Cost. – ribadisce che, “ mentre il potere della Giunta regionale di conferire incarichi dirigenziali cosiddetti «apicali» a soggetti individuati intuitu personae mira ad assicurare quel continuum fra organi politici e dirigenti di vertice che giustifica, nei confronti di questi ultimi, la cessazione degli incarichi loro conferiti dalla precedente Giunta regionale, invece «[a] tale schema rimangono […] estranei gli incarichi dirigenziali di livello “non generale”, non conferiti direttamente dal vertice politico e quindi non legati ad esso dallo stesso grado di contiguità che connota gli incarichi apicali». Si aggiunga che, nel caso di specie, l’avvicendamento dei titolari di incarichi dirigenziali non di vertice è fatto dipendere dalla discrezionale volontà del direttore generale, nominato dal nuovo Governo regionale, con ciò aggiungendo una ulteriore causa di revoca – peraltro senza che sia previsto obbligo di valutazione e di motivazione – a quelle di cui all’art. 10, comma 3, della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 123, che sono connesse all’esito negativo della valutazione circa il conseguimento di risultati e obiettivi da parte del dirigente. Ciò in violazione sia del principio di ragionevolezza evocato dalla sentenza n. 233 del 2006, sia del principio del giusto procedimento di cui s’è detto. Anche in questa caso la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 96 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2002, nella parte in cui prevede la revoca degli incarichi predetti entro novanta giorni dall'insediamento del dirigente generale. 122 L. 145 del 2002, così come richiamato nella sentenza della Corte Costituzionale n.233/06. 123 ( Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione siciliana. Conferimento di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento). 73 Con riferimento agli effetti prodotti dalle citate sentenze della Consulta, si rileva che la Regione Lazio ha ritenuto di potersi conformare alla sentenza n. 104/2007, con l’emanazione dell’art. 1 della legge regionale 13 giugno 2007, n. 8 124, che stabilisce: «1. La Giunta regionale, nei confronti dei componenti di organi istituzionali degli enti pubblici dipendenti, i quali siano decaduti dalla carica ai sensi di norme legislative regionali dichiarate illegittime a seguito di sentenze della Corte costituzionale, con conseguente risoluzione dei contratti di diritto privato disciplinanti i relativi rapporti di lavoro, è autorizzata a deliberare in via alternativa: a) il reintegro nelle cariche e il ripristino dei relativi rapporti di lavoro; b) un’offerta di equo indennizzo. 2. La soluzione di cui al comma 1, lettera b), è comunque adottata qualora il rapporto di lavoro sia stato interrotto, di fatto, per oltre sei mesi». In applicazione della predetta disposizione, la Regione Lazio, asserendo che non sia più possibile la reintegrazione a causa del decorso del periodo di sei mesi di interruzione di fatto del rapporto, ha disposto, in favore degli istanti, la liquidazione di un indennizzo pari a quindici mensilità. Il provvedimento, gravato dinanzi alla Corte Costituzionale, ha dato luogo ad una nuova questione di legittimità costituzionale, per violazione, tra l’altro, degli artt. 3, 97, e 117, secondo comma, lettera l), Cost. ed ad una nuova sentenza la n. 351 del 24 ottobre 2008. La Consulta, nel trovarsi di fronte a ciò che sembra prospettarsi come un mero tentativo di elusione degli effetti delle proprie declaratorie di illegittimità, non ha potuto fare altro che ribadire importanti principi inerenti il rapporto tra dirigenti, P.A. e Regione, attraverso una pronuncia che la dottrina ha considerato una sorta di “giudizio di ottemperanza” 125 . Ha, infatti, nuovamente rilevato come i principi costituzionali di imparzialità e di buon andamento esigano che la posizione dei dirigenti debba essere circondata da 124 (Disposizioni concernenti cariche di organi di amministrazione di enti pubblici dipendenti decaduti ai sensi di norme legislative regionali dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale). 125 Cfr. F. CORTESE, Spoils system e illegittima rimozione di dirigenti pubblici:la Corte costituzionale afferma l’inderogabilità della reintegrazione nel posto di lavoro, in Le Regioni, 2009, pag. 114. 74 garanzie, soprattutto in considerazione del fatto che, nel settore pubblico, tali garanzie debbano essere previste “non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere, ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi”. Tale tutela, inoltre, non potrebbe nemmeno esaurirsi nella previsione di eventuali forme di riparazione economica, quale il risarcimento del danno o altre indennità, le quali “non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela degli interessi collettivi lesi da atti illegittimi di rimozione di dirigenti amministrativi” . Il Giudice delle leggi coglie l’ occasione per aggiungere un ulteriore elemento in merito allo spoils system: le forme previste di riparazione economica non solo non risolvono il pregiudizio derivante dalla decadenza automatica del dirigente, ma, anzi, lo aggravano prevedendo una “forma onerosa di spoils system” con ricadute finanziarie negative su tutta la collettività . All’obbligo di corrispondere la retribuzione dei nuovi dirigenti sanitari, nominati in sostituzione di quelli automaticamente decaduti, si aggiunge, infatti, quello di corrispondere a questi ultimi un ristoro economico”. Una decadenza automatica, analoga a quella dei direttori generali, è stata prevista, nell’ordinamento della Regione Lazio, dall’art. 133, comma 5, della legge regionale 28 aprile 2006, n. 4 126, con riferimento agli incarichi di componente del collegio sindacale nelle aziende del sistema sanitario regionale, in dipendenza dell’introduzione di un nuovo quadro normativo disciplinante tali organi delle aziende sanitarie. Nel corso di una conseguente vicenda contenziosa, la Sezione III-quater del T.A.R. del Lazio ne ha investito la Corte Costituzionale, che si è pronunciata con sentenza n. 390 del 28 novembre 2008, dichiarando l’illegittimità della norma, per violazione degli articoli 3 e 97 Cost. Con tale sentenza si aggiunge un ulteriore tassello al complessivo disegno con il quale si sta delineando il modello di amministrazione pubblica conforme ai principi costituzionali e funzionale all’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento nell’attività amministrativa. 126 Legge finanziaria per l’esercizio 2006. 75 Per la Corte costituzionale “ si tratta di un meccanismo di decadenza automatica dei comportamenti del collegio sindacale, che non contempla alcuna forma di contraddittorio a garanzia dei componenti in carica” di modo che “la cessazione dalla carica dei precedenti titolari non è quindi l’effetto di una scelta dell’amministrazione riferita al rapporto di ufficio in corso e giustificata alla luce delle vicende di questo, ma costituisce un effetto automatico che la disciplina legislativa ricollega alla semplice designazione di un nuovo titolare”. Il Supremo Organo Giurisdizionale rileva che “la decadenza automatica dagli incarichi, contraddice il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo politico amministrativo e l’azione dell’amministrazione, la quale è vincolata […] ad agire […] per il perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento”. “Tale esigenza di distinzione, da tutelare con riferimento agli incarichi dirigenziali, “ deve, a maggior ragione, riconoscersi in relazione all’organo di controllo amministrativo e contabile della stessa azienda, i cui componenti, a differenza del direttore generale, non sono chiamati ad attuare programmi e a realizzare obiettivi definiti dall’organo politico regionale, ma svolgono, in posizione di neutralità, funzioni attinenti al controllo del rispetto della legge e della regolare tenuta della contabilità”. Ciò comporta che “in nessun caso, per i componenti di simili organi sono ravvisabili quelle particolari esigenze di coesione con l’organo politico, che possono giustificare, per le sole posizioni dirigenziali apicali di diretta collaborazione, un rapporto fondato sull’intuitus personae”; da ciò consegue che appare più grave, con riferimento ai componenti dei collegi sindacali, “la previsione di un meccanismo automatico di decadenza e la conseguente violazione del principio del giusto procedimento”. E ciò a maggior ragione se si considera che tale meccanismo viene giustificato con l’introduzione di una nuova disciplina che comporta modifiche complessivamente marginali. Con successiva sentenza n. 34 del 5 febbraio 2010, la Corte costituzionale ha dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 1, comma 1 e 4, della legge regionale della 76 Calabria 3 giugno 2005, n. 12 127, nella parte in cui dispone la decadenza automatica, alla data di proclamazione del Presidente della Giunta regionale, dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e del direttore generale dell’agenzia regionale per la protezione dell’ambiente, nominati nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per il rinnovo degli organi di indirizzo politico. La Corte ha ritenuto che la legittimità costituzionale della disciplina censurata va valutata alla luce della sua giurisprudenza consolidata sul tema. 128 Nel motivare la decisione osserva, tra l’altro, che la nomina dei predetti direttori generali è subordinata al possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità e, in taluni casi, è anche preceduta da un avviso pubblico: “tali nomine, pertanto, presuppongono una forma di selezione che, per quanto non abbia natura concorsuale in senso stretto, è tuttavia comunque basata sull’apprezzamento oggettivo, ed eventualmente anche comparativo, delle qualità professionali e del merito. Essa, quindi, esclude che la scelta possa avvenire in base ad una mera valutazione soggettiva di consentaneità politica e personale fra nominante e nominato. Ciò, del resto, è strettamente collegato al tipo di funzioni che i titolari degli uffici pubblici in questione sono chiamati ad esercitare. Essi non collaborano direttamente al processo di formazione dell’indirizzo politico, ma ne devono garantire l’attuazione. A tal fine, non è però necessaria, da parte del funzionario, la condivisione degli orientamenti politici della persona fisica che riveste la carica politica o la fedeltà personale nei suoi confronti. Si richiede, invece, il rispetto del dovere di neutralità, che impone al funzionario la corretta e leale esecuzione delle direttive che provengono dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore di quest’ultimo”». Ancora la disposizione di cui all’art. 15, comma 6, della legge della Regione Lazio 16 giugno 1994, n. 18 che prevede che «il direttore amministrativo e il direttore sanitario cessano dall’incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore 127 Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria. 128 Sentenze n.233/06, n.104/07 e nn. 351 e 390/08. 77 generale e possono essere riconfermati» è stata rimessa al vaglio di legittimità della Corte costituzionale dalla Sezione lavoro del Tribunale ordinario di Roma, per violazione degli articoli 97 e 98 Cost. Anche in questo caso, con sentenza 24 giugno 2010, n. 224, la Corte ha annullato la disposizione censurata, osservando, in particolare, che «la scelta fiduciaria del direttore amministrativo – che deve essere effettuata con provvedimento, motivato, ma pur sempre ampiamente discrezionale, del direttore generale, con particolare riferimento alle capacità professionali del prescelto in relazione alle funzioni da svolgere – non implica, infatti, che la interruzione del rapporto, che si instaura in conseguenza di tale scelta, possa avvenire con il medesimo margine di apprezzamento discrezionale che connota quest’ultima. Una volta, infatti, instaurato il rapporto di lavoro, con la predeterminazione contrattuale della sua durata, vengono in rilievo altri profili, connessi, da un lato, alle esigenze dell’amministrazione ospedaliera concernenti l’espletamento con continuità delle funzioni dirigenziali proprie del direttore amministrativo, e, dall’altro lato, alla tutela giudiziaria, costituzionalmente protetta, delle situazioni soggettive dell’interessato, inerenti alla carica. E proprio la valutazione di tali esigenze determina il contrasto della disposizione impugnata con il principio di buon andamento sancito dall’art. 97 Cost., in quanto la disposizione stessa non àncora l’interruzione del rapporto di ufficio in corso a ragioni “interne” a tale rapporto, che – legate alle modalità di svolgimento delle funzioni del direttore amministrativo – siano idonee ad arrecare un vulnus ai principi di efficienza, efficacia e continuità dell’azione amministrativa. A ciò è da aggiungere che la norma censurata, prevedendo l’interruzione ante tempus del rapporto, non consente alcuna valutazione qualitativa dell’operato del direttore amministrativo, che sia effettuata con le garanzie del giusto procedimento. Nell’ambito di tale procedimento il nuovo direttore generale sarebbe tenuto a specificare le ragioni, connesse alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni dirigenziali da parte dell’interessato, idonee a fare ritenere sussistenti comportamenti di quest’ultimo suscettibili di integrare la violazione delle direttive ricevute o di 78 determinare risultati negativi nei servizi di competenza e giustificare, dunque, il venir meno della necessaria consonanza di impostazione gestionale tra direttore generale e direttore amministrativo. Soltanto nel rispetto delle predette modalità e condizioni il nuovo direttore generale può, con provvedimento motivato, procedere alla rimozione del direttore amministrativo prima della suddetta scadenza contrattuale». Va rilevato, in conclusione, che le sopra esaminate considerazioni sono state riprese nella più recente sentenza 22 luglio 2011 n. 228, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 23 giugno 2006, n. 20, sempre in tema di spoils system degli incarichi di direttore amministrativo e direttore sanitario delle Aziende della sanità regionale. * * * Il delineato quadro giurisprudenziale evidenzia il faticoso percorso della Consulta nella definizione dei limiti, costituzionalmente accettabili, della codificazione nel nostro ordinamento amministrativo della controversa pratica dello spoils system. In una prima fase, con la “sentenza pilota” n.233/06, risultavano, forse, troppo rimarcate le esigenze di coesione e di sintonia tra dirigenza apicale e Giunta regionale, con la conseguente apertura a forme anche molto spinte di “fidelizzazione” e “politicizzazione” delle nomine dirigenziali. “Pesava”, evidentemente, su tale decisione, la riforma del titolo V della Costituzione del 2001 con la nuova definizione della ripartizione delle competenze tra Stato ed Enti territoriali nel solco profondamente tracciato di un forte decentramento di tipo federale che aveva, all’epoca, larghissimo, se non unanime, consenso a livello politico ed istituzionale. Tra l’altro subiva un forte ridimensionamento il valore, faticosamente conquistato, della separazione tra guida politica e gestione della attività amministrativa degli enti territoriali e, più in generale, tra “sfera politica” e “sfera tecnicoamministrativa”. Non giovava a questa apprezzata causa la “precarizzazione” e l’involuzione delle funzioni tecnico-gestionali per effetto della fidelizzazione di esse, 79 almeno nelle importanti espressioni apicali, al livello politico che, sostanzialmente, ne metteva in discussione l’indipendenza, valore basilare per una efficiente ed affidabile pubblica amministrazione. Solo i successivi interventi sanzionatori della Corte hanno superato le iniziali incertezze, puntualizzando i confini ed i limiti entro cui sia legittima e coerente con il sotteso quadro costituzionale l’applicazione del sistema delle spoglie nell’ordinamento regionale. Si è fatta progressivamente esaustiva chiarezza sullo specifico potere delle Regioni ponendo un freno ad un esercizio, talvolta anche smodato, che impattava negativamente la cura dell’interesse generale nella misura in cui si privilegiava e si sovrapponeva ad esso la coesione tra responsabili politici e dirigenti amministrativi. Ciò anche in considerazione della carenza di percorsi lineari e trasparenti, a scapito della meritocrazia, nelle nomine intuitu personae. L’apprezzabile attenzione riservata alla materia dal Giudice delle leggi per offrire risposte adeguate alle esigenze di armonizzazione tra centro e periferia, nonché di razionalizzazione dell’intero ordinamento, non chiude, però, il discorso sul delicato tema che si lega indissolubilmente a quello, attualmente all’ordine del giorno delle istituzione e della politica, delle competenze dello Stato e delle Regioni . Si attende ancora che le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale si traducano in “coerenti e credibili attuazioni in sede legislativa” 129 regionale. 129 C. PINELLI, op. cit. pag. 723.Sull’argomento anche C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 171. 80 CONCLUSIONI Scopo di questo breve e non esaustivo lavoro è stato quello di mostrare l’attuale sistema dei rapporti tra Politica ed Amministrazione. Come risulta da quanto rilevato, tale rapporto è in continua evoluzione anche in virtù dei rapidi mutamenti socio-economici che caratterizzano il contesto nazionale. Nonostante ciò, pare possibile intravedere, in controluce, un rafforzamento del ruolo dei dirigenti pubblici, ai quali, oggi, viene richiesto non più soltanto di calare nella realtà l’azione politica, ma anche di cogliere, dalla realtà medesima, le informazioni e gli stimoli provenienti dai cittadini svolgendo, in tal modo, un ruolo propositivo nei confronti del ceto politico. Si tratta, pertanto, di un “circolo virtuoso” foriero di un’azione politica ed amministrativa più armonica e più vicina ad una cittadinanza che, specie nell’attuale momento storico, è dotata anche degli strumenti legislativi di tipo partecipativo per interagire con la pubblica amministrazione e tramite la medesima, col il Governo. Siamo di fronte ad una sfida che la nostra epoca chiede, ai dirigenti pubblici, di raccogliere per continuare a costituire, sia pure in modo nuovo, l’ossatura essenziale del Paese. 81 BIBLIOGRAFIA ANTONELLI V. e LA SPINA A., I dirigenti pubblici e i nodi del cambiamento, Luiss University Press. CARBONI N., Sistemi di sviluppo della dirigenza in prospettiva comparata, Luiss University Press. CASSESE S., Burocrazia ed economia pubblica (cronache degli anni ’70), Bologna, 1978. CASTIELLO F., Spoils system dei Direttori generali delle AA.SS.LL. del Lazio. Atto secondo, in LexItalia.it 2007. CERULLI IRELLI V., Lineamenti di diritto amministrativo, Torino,Giappichelli 2012. CLARICH M., Una rivincita della dirigenza pubblica nei confronti dello strapotere della politica a garanzia dell’imparzialità della Pubblica Amministrazione in rivista Nel Diritto.it. COLAPIETRO C., Governo e amministrazione. La dirigenza pubblica tra imparzialità e indirizzo politico, TORINO, GIAPPICHELLI, 2004. COLAPIETRO C., Politica e amministrazione: riflessioni a margine di un rapporto controverso, STUDI PARLAMENTARI E DI POLITICA COSTITUZIONALE, Anno 44 – N.171-172, 1°-2° trimestre 2011. COLAPIETRO C., La “controriforma” del rapporto di lavoro della dirigenza pubblica, in “Le Nuove Leggi Civili commentate”, CEDAM, 2002. CORTESE F., Spoils system e illegittima rimozione di dirigenti pubblici: la Corte costituzionale afferma l’inderogabilità della reintegrazione nel posto di lavoro, in Le Regioni, 2009. D’ALESSIO G. Spoils system: i modelli europei e il caso italiano, Civitas, Anno IIII – n. 2-3 – Maggio-Dicembre 2006. DE CARIDI G., Spoils System e conferimento degli incarichi” in Ratio iuris.it. D’IGNAZIO G., Politica e Amministrazione negli Stati Uniti d’America. Lo Stato Amministrativo fra Costituzione, leggi, giudici e prassi, Milano, Giuffrè 2004. DURANTE N., Spoils system e dirigenza pubblica, in Federalismi.it n. 17/2011. 82 FRATTASI B., RICCI M. e SANTANGELO S. Costruire la sicurezza della città – Società, Istituzioni, Competenze – Carocci Ed. GRIMALDI L., La controversa disciplina della dirigenza pubblica regionale nella più recente giurisprudenza costituzionale sullo spoils system, Riv. Amministrazione in cammino. JORI P., Lo spoils system nello Stato e nelle regioni secondo i principi formulati dalla giurisprudenza costituzionale. Lex Italia.it 2008. PATRONI GRIFFI A, La dimensione costituzionale del rapporto tra politica e amministrazione nel dettato della Costituzione nelle più recenti pronunce del giudice delle leggi, Il Lavoro nelle pubbliche amministrazioni, Vol. XII – Marzo-Aprile 2009. PATRONI GRIFFI A., Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica. Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione. Napoli, Iovene, 2002. PERSIANI M., Dottrina e attualità giuridiche, La nuova disciplina della dirigenza pubblica, in Giurisprudenza Italiana, Dicembre 2010. PINELLI C, Il buon andamento dei pubblici uffici e la sua supposta tensione con l’imparzialità. Un’indagine sulla recente giurisprudenza costituzionale. SEPE S., Amministrazione e Storia, Rimini, 1995. SILVESTRO C. e SILERI F., Dirigenti esterni e spoils system, in Giornale di diritto amministrativo, n. 1/2009. VALENSISE B., Politica ed amministrazione, in Istituzioni, politica, amministrazione. Otto paesi europei a confronto – a cura di M. De Benedetto – Torino, Giappichelli. 83