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26gruppo4 - Scuola Superiore dell`Amministrazione dell`Interno

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26gruppo4 - Scuola Superiore dell`Amministrazione dell`Interno
XXVI Corso di formazione dirigenziale per l’accesso alla qualifica di
viceprefetto
IL RAPPORTO TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE NELLA
PIU’ RECENTE GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE
DOCENTE COORDINATORE:
Prof. Carlo COLAPIETRO
Redazione:
Renata CASTRUCCI
Nicola COVELLA
Fabiola de FEO
Natalino MANNO
Antonio ORIOLO
Franca ROSA
1
Sommario
INTRODUZIONE………………………………………………………………………………………. 4
1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO TRA POLITICA
E AMMINISTRAZIONE ……………..…………………………………………………………….… 6
1.1 Cenni generali……………………………………………………………………………………… 6
1.2 I diversi modelli teorici…………………………………………………………………………… 8
1.3 Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro costituzionale e
nella sua evoluzione legislativa………………………………………………………………………
10
1.3.1 La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853…………………………………………………….. 10
1.3.2 Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista……………………………………. 11
1.3.3 La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governo-amministrazione
nell’architettura costituzionale………………………………………………………………………… 13
1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del riordino
dell’amministrazione dello Stato……………………………………………………………………… 15
1.4 La riforma della dirigenza pubblica………………………………………………………………… 16
1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura……………………………………… 16
1.4.2 La riforma del 1993 con il D.Lgs. 29: l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema
amministrativo italiano………………………………………………………………………………
16
1.4.3 La Legge 59 del 1997, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di una riforma organica
della P.A…..………………………………………………………………………………………….
17
1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma dell’organizzazione
del governo…………………………………………………………………………………………..
19
1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165 ………………………………………………… 20
1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma”……………………………………… 20
1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma Brunetta………… 21
2.
CENTRALITA’
DELLA
PERSONA:
DAL
PARADIGMA
BIPOLARE
AL
PERSONALISMO…………..…………………………………………………………………….…… 23
2.1 Cenni generali..……………………………………………………………………………………. 23
2.2 La buona amministrazione ................................................................................................................. 25
2.2.1 Dalla Costituzione all’art 41 della Carta dei Diritti fondamentali europei ....................................... 27
2.2.2 L’etica comportamentale della P.A.: dal paradigma bipolare al personalismo................................. 30
2.3 Un caso particolare: le obbligazioni del dirigente sanitario…………………………………………. 32
2.4 Dovere di “accountability” dei funzionari pubblici………………………………………………… 34
2.5 Una nuova concezione dell’interesse pubblico: dall’efficientismo al rispetto della dignità umana 35
3. UNO SGUARDO COMPARATO SULLA PUBBLICA DIRIGENZA NELLE
DEMOCRAZIE OCCIDENTALI........................................................................................................... 37
3.1 Cenni generali ............................................................................................................................... 37
3.2 Lo spoils system negli Stati Uniti d’America …………………………………………………… 38
3.2.1 La valorizzazione dell’autonomia gestionale.............................................................................. 39
3.3 La neutralità della Gran Bretagna ................................................................................................ 41
3.3.1 La modernizzazione della dirigenza pubblica britannica …….…………………….................... 43
3.4 La haute fonction publique francesce…………………………………………………………
44
3.4. 1 L’apertura alla dirigenza pubblica francese…………………………………………………… 45
4. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
NELL’ORDINAMENTO STATALE...................................................................................................... 49
4.1 Cenni generali: l’inquadramento giuridico ........................................................................................ 49
4.2 Il bilanciamento degli interessi tra imparzialità e fiduciarietà nel quadro costituzionale................... 53
4.3 Lo spoils system nella giurisprudenza costituzionale …………........................................................ 54
2
4.4 Lo spoils system nella riforma Brunetta….......................................................................................... 59
5. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE COSTITUZIONALE
NELL’ORDINAMENTO REGIONALE.................................................................................................. 63
5.1 Cenni generali …………………. ...................................................................................................... 63
5.2 La giurisprudenza costituzionale ………………............................................................................... 65
CONCLUSIONI…………....................................................................................................................... 81
BIBLIOGRAFIA………………….......................................................................................................... 82
3
INTRODUZIONE
L’evoluzione
normativa
e
le
innumerevoli
riforme
della
pubblica
amministrazione susseguitesi sin dagli anni ’90 hanno evidenziato l’importante ruolo
svolto dalla dirigenza di cerniera tra l’indirizzo politico e la sua attuazione, in un
sistema di unità-distinzione che vede i due poli sempre più strettamente collegati ed
interessati da dinamiche di continuo e reciproco condizionamento.
L’elemento che caratterizza l’organizzazione dei pubblici uffici, in modo che
siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità, è infatti costituito dalla naturale
continuità dell’azione amministrativa, intesa come corrispondenza costante con i fini del
governo condotta da una posizione di indipendenza operativa, che comprende la
elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a raggiungere detti
fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali.
Ferma restando la divisione dei
ruoli fra organi di direzione politica e
burocrazia, l’azione amministrativa procede in una visione dinamica nella stessa
direzione e con le stesse cadenze dell’azione politica del governo, né può divergere da
quest’ultima negli obiettivi, come non può raggiungere risultati confliggenti.
Da qui la necessità di un continuo e stretto raccordo funzionale, attraverso la
puntuale definizione di nuove regole, al fine del perseguimento e della tutela
dell’interesse pubblico comune.
Il presente contributo prende avvio da un breve excursus storico che tocca la
teoria della separazione dei poteri di Montesquieu, il modello accentrato cavouriano, i
periodi post unitario e fascista sino alla Costituzione repubblicana. Chiuderà il primo
capitolo l’illustrazione dell’iter normativo che ha interessato, negli ultimi decenni, la
riforma della dirigenza pubblica.
Il capitolo seguente è dedicato all’analisi di una innovativa concezione
dell’organizzazione dell’attività dei dirigenti pubblici ispirata al modello personalistico
della “buona amministrazione” che supera il paradigma bipolare Stato/sudditi.
4
Il lavoro prosegue, nel terzo capitolo, con una analisi in chiave comparatistica
della dirigenza pubblica in tre Paesi esemplari: gli Stati Uniti, patria per eccellenza dello
spoils system, la Gran Bretagna con le peculiarità del civil service e, infine, la Francia
espressione dei grands commis della haute fonction publique.
Rientrando nel panorama italiano, il quarto ed il quinto capitolo si soffermano
sulla più recente giurisprudenza della Corte Costituzionale, chiamata a giudicare della
legittimità delle disposizioni legislative statali e regionali, concernenti il conferimento
degli incarichi dirigenziali secondo il meccanismo dello spoils system. Dall’analisi
emerge, in concreto, il ruolo svolto dalla Corte a salvaguardia dell’ordinamento.
5
1. L’EVOLUZIONE STORICO-LEGISLATIVA IN ITALIA DEL RAPPORTO
TRA POLITICA E AMMINISTRAZIONE
1.1 Cenni generali
Le vicende del rapporto tra politica e amministrazione segnano la storia di un
rapporto difficile, complesso e contraddittorio, che parte dal periodo pre-unitario e resta
più o meno stabile fino al 1948 con l’entrata in vigore della Costituzione, per poi far
registrare un forte momento di interesse nel c.d. “decennio delle riforme
amministrative” (1990-2000) fino ad arrivare ai giorni nostri con la c.d. “riforma
Brunetta” del 2009.
E’ pur vero che nel tempo si è assistito ad un progressivo riconoscimento del
ruolo decisionale della dirigenza amministrativa, attraverso la valorizzazione
dell’autonomia gestionale della dirigenza stessa.
Nella classificazione tradizionale delle funzioni statali, che si fa risalire alla
dottrina
sulla
separazione
dei
poteri
del
Montesquieu
del
XVIII
secolo,
l’amministrazione non nasce con una propria identità, ma è parte del potere esecutivo,
all’interno del quale sono presenti due diversi tipi di attività, quella amministrativa e
quella politica e di governo. Va però dato atto al filosofo-giurista francese della
consapevolezza dell’impossibilità di operare una netta distinzione concettuale, dal
momento che “nella concretezza dei pubblici poteri, attività di posizione del fine e
attività di scelta dei mezzi danno luogo ad un continuum” 1.
E’ poi con l’introduzione del suffragio universale che “i poteri prima squilibrati
a favore del potere esecutivo, si squilibrano a favore del potere legislativo” con la
conseguenza che “la legge finisce per prevalere sul potere esecutivo e si afferma il
principio di legalità, che produrrà due conseguenze, lo sdoppiamento tra governo e
amministrazione e la sottoposizione dell’amministrazione al Parlamento”, dando
1
Cfr. C. COLAPIETRO, Politica e amministrazione: riflessioni a margine di un rapporto controverso, Studi
parlamentari e di politica costituzionale, Anno 44 – N.171-172, 1°-2° trimestre 2011, pagg.147-148; Cfr. C.
COLAPIETRO, Governo e amministrazione. La dirigenza pubblica tra imparzialità e indirizzo politico, Torino,
Giappichelli,2004, pagg. 5-6; Cfr. C.L. MONTESQUIEU, De l’esprit des lois, Paris, 1979, pagg. 294 ss.
6
peraltro origine a quello “strabismo” per il quale “l’amministrazione è in rapporto di
dipendenza organica dal governo e di dipendenza funzionale dal Parlamento, ma deve
nello stesso tempo, essere imparziale” 2.
Assistiamo successivamente, nel passaggio dallo Stato liberale al moderno Stato
sociale, ad una forte espansione quantitativa delle amministrazioni pubbliche, necessaria
per far fronte ai nuovi e gravosi compiti assunti dallo Stato in campo sociale ed
economico e, conseguentemente, al moltiplicarsi delle dimensioni e dell’ingerenza della
burocrazia, che diviene così sempre più portatrice di propri interessi e talvolta di propri
indirizzi.
Di qui il moltiplicarsi dei rapporti tra governo e amministrazione; da una parte,
infatti, si supera la visione unidirezionale del rapporto politica-amministrazione, inteso
come flusso unico dei condizionamenti dal governo verso l’amministrazione e si
riconosce invece il carattere bidirezionale del rapporto in questione, dando atto di una
reciproca influenza tra politica e amministrazione. Dall’altra, si acquisisce
consapevolezza del fatto che il tema del rapporto tra politica, meglio, tra governo e
amministrazione finisce per costituire uno degli snodi fondamentali dell’imparzialità
amministrativa, seppur con qualche ambiguità: infatti proprio un’effettiva garanzia di
indipendenza dell’amministrazione rispetto al governo permette di porre un freno ai
rischi di favoritismo e di discriminazione da parte delle forze politiche 3.
La criticità del rapporto governo-amministrazione risiede nell’apparente
paradosso secondo cui “un’amministrazione imparziale è chiamata ad attuare indirizzi
politici che sono per definizione parziali e possono essere, nel sistema maggioritario,
fortemente di parte”; tant’è che è proprio per effetto dell’introduzione di un sistema
elettorale prevalentemente maggioritario che si rende particolarmente necessario
2
Cfr. M. NIGRO, L’azione dei pubblici poteri, Lineamenti generali, in G. AMATO, A. BARBERA (a cura di),
Manuale di diritto pubblico, III ed. Bologna, Il Mulino, 1997, pag. 9.
3
Cfr. A. CERRI, Principi di legalità, imparzialità, efficienza, in L. LANFRANCHI (a cura di), Garanzie
costituzionali e diritti fondamentali, Roma, IPZS, 1997, pag. 191 ss.
7
“l’apprestamento di garanzie rispetto ad un temuto uso di parte di strutture in gran parte
amministrative” 4.
E’ allora da tenere sempre in massima considerazione l’autonomia dirigenziale,
salvaguardandola da ogni possibile ingerenza politica per il bene comune dell’intera
collettività, atteso che questa dovrebbe essere percepita come presidio dell’imparzialità
nello svolgimento dell’azione amministrativa. In proposito, D’Alessio sottolinea come
nel nostro Paese la garanzia dello status di dirigenti “viene ricercata sul piano
strettamente normativo, attraverso strumenti e meccanismi di tipo giuridico-formale” 5.
1.2 I diversi modelli teorici
La relazione tra politica e amministrazione costituisce la “cartina tornasole”
della stessa forma dello Stato. Nelle forme di Stato di tipo autoritario, amministrazione
e potere esecutivo sono tendenzialmente coincidenti, mentre nelle Democrazie detta
relazione si declina in base ad una serie di variabili istituzionali, come si vedrà più
diffusamente nel capitolo dedicato alle esperienze comparate. E’ interessante, al
riguardo, la tesi di
Andrea Patroni Griffi secondo cui politica e amministrazione
rappresentano “due momenti distinti della funzione di governo, che, al contempo, sono
strettamente connessi tra di loro” 6.
Esistono quindi in dottrina tre modelli teorici,
separazione, osmosi ed
interconnessione, attraverso cui è stato concretamente rappresentato il rapporto tra
politica e amministrazione.
Il primo modello implica una scissione netta tra funzione di governo, affidata
agli organi rappresentativi, ed attuazione strettamente esecutiva, priva di discrezionalità,
riservata alla burocrazia.
4
Cfr. G.D’ALESSIO, Evoluzione dei sistemi amministrativi, il quadro d’insieme, in M. DE BENEDETTO ( a cura
di), Istituzioni, politica ed amministrazione. Otto paesi europei a confronto, pag. 186.
5
Cfr. ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione? In
Rivista trimestrale di diritto pubblico, 1994, pag.151; Cfr. L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico,
Padova,CEDAM,1974.
6
Cfr. A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica. Contributo ad
uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione. Napoli, Iovene, 2002, pag. 29 ss.
8
Il modello dell’osmosi è collocato in un’ottica opposta fondata sul principio che
i due campi di intervento (politica e amministrazione), non facilmente scindibili sotto i
profili funzionale e strutturale, si presentano in linea di assoluta continuità, risultano
quindi sostanzialmente coincidenti. Sull’argomento, sempre Patroni Griffi 7 evidenzia
che “il rapporto osmotico, nella sua versione più nitida, si traduce in uno spoils system
che garantisce, all’origine, l’assoluta omogeneità tra gli apparati amministrativi ed i
vertici politici”. Il che consente l’instaurarsi di un rapporto altamente fiduciario tra i
vertici politici e l’alta burocrazia.
Il terzo modello si presenta come quello adottato da tutte le democrazie liberali,
intermedio tra la separazione e l’osmosi, ovvero l’interconnessione tra politica e
amministrazione nell’affannosa ricerca, soprattutto per gli incarichi apicali, di “un
giusto punto di equilibrio fra il rispetto di elementi di oggettività nella individuazione
dei destinatari ed il riconoscimento di un inevitabile tasso di fiduciarietà” 8.
Ad una compagine burocratica, assai numerosa, composta da dipendenti di
carriera, selezionati con procedure meritocratiche, si affianca la fascia apicale della
dirigenza pubblica, più contenuta nei numeri, il cui meccanismo di nomina segue
logiche sostanzialmente fiduciarie che funge “da cerniera, da relais tra il livello politico
e quello più squisitamente tecnico”.
Indirizzo politico ed attività amministrativa possono essere tendenzialmente
distinti, ma non nettamente separati. Una volta accolta l’interconnessione fra politica e
amministrazione nella convinzione che siano “due facce di quell’unica medaglia che è il
governo della cosa pubblica” sorge poi il problema di “ come strutturare concretamente
e normativamente questo modello” in un dato sistema.
Tale visione del rapporto politica-amministrazione consente anche di porre fine
a quella sostanziale ambiguità di fondo che presenta in questo modello la figura del
dirigente pubblico: da un lato c’è la definizione del dirigente come di colui che è al
vertice di una determinata organizzazione, l’odierno manager, dall’altro vi è la
7
Cfr. A. PATRONI GRIFFI, op.cit. Pag. 27.
Cfr. C. COLAPIETRO op. cit., pag.155 ss; Cfr. S. CASSESE, op. cit. pag. 173.
8
9
connotazione peculiare del pubblico dirigente, che non ha niente in comune con la
cennata nozione, rimanendo sostanzialmente in posizione di subordinazione gerarchica
nei confronti dell’organo politico titolare del dicastero, che ai sensi dell’art. 95, comma
2 Cost., assume la responsabilità sostanziale, quanto meno sul piano politico, di tutti gli
atti.
Da qui è facile delineare una tensione tra quello che in astratto implica la
nozione di dirigente e la sua trasposizione in concreto nell’ordinamento: tra ciò che è e
ciò che dovrebbe essere.
Emerge in dottrina la convinzione che il nostro ordinamento faccia propria la
distinzione tra politica e amministrazione, convenzionale e non ontologica, che però non
può intendersi in termini di netta separazione, dal momento che esiste “una
insopprimibile
area di sovrapposizione e che essa opera, di conseguenza, come
principio tendenziale di distribuzione della competenza, la cui attuazione richiede
flessibilità di strumenti e di soluzioni 9.
1.3. Il modello italiano della distinzione tra politica e amministrazione nel quadro
costituzionale e nella sua evoluzione legislativa
1.3.1. La Legge Cavour n. 1483 del 23 marzo 1853
Fin dalla legge Cavour
del 23 marzo 1853, n. 1483 che riorganizzava gli
apparati dello Stato sabaudo, nel nostro Paese si è realizzato il modello accentrato,
caratterizzato da una impostazione verticistica, nella quale il ministro era la spina
dorsale di tutta l’amministrazione e basato su una visione unidirezionale del rapporto tra
politica e amministrazione, tale da concentrare nella responsabilità degli organi a
titolarità politica tutte le funzioni amministrative.
Il ministro – unica figura che
appariva all’esterno – racchiudeva la duplice funzione di responsabile politico verso il
Capo dello Stato o verso il Parlamento e di capo dell’amministrazione, assorbendo in sé
le potestà direttive e quelle legate alla funzione di superiore gerarchico.
9
Cfr. M. NIGRO, op. cit., pag. 9.
10
Il modello accentrato adottato da Cavour regolerà poi per oltre un secolo la vita
dell’intera amministrazione pubblica italiana, sulla base di un assetto gerarchicopiramidale dell’amministrazione, frutto del connubio del centralismo napoleonico con il
parlamentarismo britannico. Detto modello entrava poi in crisi soltanto nel 1948 con
l’entrata in vigore della Costituzione repubblicana, che ha “introdotto per la prima volta
in modo consapevole, nella nostra storia giuridica, il problema della separazione
dell’amministrazione dal governo e della tutela di essa contro l’azione del governo
quale organo politico” 10 .
E’ pur vero che la scelta della formula dello Stato amministrativo accentrato si
presenta – per lo Stato unitario – come la più coerente con la vicenda risorgimentale
conclusasi con la unificazione nazionale e la più atta a salvaguardare lo Stato unitario
dai rischi di disgregazione. Il modello accentrato, che aveva avuto la sua ragione
principale nella necessità dell’unificazione amministrativa, comincia ad entrare in crisi
quando vengono meno le ragioni che giustificano
l’assorbimento di tutte le
responsabilità in capo al ministro.
1.3.2. Il dopo Cavour: Ricasoli, Crispi, Giolitti e il periodo fascista
Il modello ministeriale cavouriano subiva poi dei tentativi di riforma, peraltro
falliti, che meritano comunque di essere segnalati. Già il Presidente del Consiglio
Bettino Ricasoli si faceva promotore di un disegno di legge di conversione del R.D. 24
ottobre 1866, n.3306 per il riordinamento dell’amministrazione centrale dello Stato,
disegno di legge mai approvato. Ricasoli si rivelava così un precursore della distinzione
- fatta propria dalla scienza dell’amministrazione - fra responsabilità sostanziale e
titolarità formale dei provvedimenti. Anche le ulteriori proposte riformatrici esperite,
peraltro senza successo, fino alla fine dell’ottocento, si proponevano inoltre di operare
anche quell’essenziale distinzione tra governo e amministrazione per arginare il
fenomeno negativo della commistione tra politica e amministrazione. E’ quindi
10
Cfr. M. NIGRO, op. cit. pag. 9.
11
indubbio che nel periodo postunitario si sia verificato un processo di osmosi tra ceto
politico e amministrativo per gli incarichi di vertice 11.
Quindi per la modifica del modello cavouriano bisogna attendere l’avvento della
Sinistra al potere (1876), quando si cominciano a registrare mutamenti importanti nel
rapporto tra amministrazione e politica, poiché viene meno il rapporto osmotico tra ceto
politico e ceto burocratico che era stato il tratto caratterizzante dei primi decenni del
periodo unitario.
L’inizio dello scollamento tra ceto politico ed alta burocrazia che dette inizio al
divaricarsi delle due carriere, si può far risalire alla scelta che operò il governo Crispi
nel 1888 quando istituì in funzione di viceministri i sottosegretari di Stato, abolendo
contestualmente la figura dei segretari generali nei ministeri, che fino a quel momento
avevano rappresentato il punto di congiunzione tra apparati e guida politica. La riforma
era infatti da inquadrare nella filosofia depretisina e crispina di concepire una maggiore
presenza del governo nell’amministrazione, che all’inizio degli anni ottanta aveva
iniziato a concretizzarsi in maniera più complessa, considerato il consolidarsi delle
direzioni generali 12.
Così all’inizio del XX secolo, la richiesta di separazione tra politica e
amministrazione produsse l’effetto di rafforzare le garanzie normative dei pubblici
impiegati, per porli al sicuro dall’arbitrio della classe politica, con le leggi sullo statuto
giuridico del 1908 e del 1923.
Anche durante il periodo fascista gli elementi essenziali del rapporto tra politica
e amministrazione non mutarono sostanzialmente, poiché il regime non procedette ad
una “fascistizzazione” dell’amministrazione, preso atto della permanenza nei posti
chiave di burocrati entrati in carriera nella precedente era giolittiana, i quali mantennero
per lo più un atteggiamento prudente nei confronti del regime. Per contro, si tornò alla
11
Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 44.
Cfr. sul punto S.SEPE, MAZZONE, PORTELLI e VETRITTO, Lineamenti di storia dell’amministrazione italiana
(1861-2002), op. cit. pagg. 26 s. e 56 ss., dai quali si evince che a seguito della riforma Crispi l’alta burocrazia andò
assumendo una maggiore autonomia: crebbero di importanza e di numero i direttori generali ed il loro rapporto con il
ministro si fece più stretto; il che fu reso possibile anche dalla c.d. “spiemontesizzazione” dell’amministrazione, in
cui fece ingresso, per la prima volta dopo l’Unità, una nuova generazione di funzionari che “aveva valori comuni e
analoga cultura giuridica”.
12
12
più rigorosa interpretazione del modello accentrato cavouriano e la funzione della
dirigenza pubblica non fu altro che quella di coadiuvare il ministro 13.
1.3.3. La Costituzione: art. 95, II comma, artt. 97 e 98. Il rapporto governoamministrazione nell’architettura costituzionale
In Assemblea costituente, Costantino Mortati rappresentò l’opportunità che la
Carta prevedesse norme che assicurassero il ruolo autonomo della dirigenza in funzione
della imparzialità e del buon andamento dell’amministrazione stessa, nonché di un
corretto rapporto con il potere politico, precisando come ai funzionari dovessero essere
assicurate “alcune garanzie per sottrarli alle influenze dei partiti politici”, dal momento
che “lo sforzo di una costituzione democratica, oggi che al potere si alternano i partiti,
deve tendere a garantire una certa indipendenza ai funzionari dello Stato, per avere
un’amministrazione obiettiva della cosa pubblica e non un’amministrazione dei
partiti” 14.
Il che significava individuare in capo alla dirigenza non solo una sfera autonoma
di competenze, ma anche una correlata sfera di responsabilità. E’ evidente che
nell’intenzione dell’illustre costituzionalista non si voleva affermare la preminenza della
dirigenza nei confronti degli organi politici, bensì il contestuale riconoscimento di due
principi, “quello dell’indipendenza dal condizionamento politico e quello della connessa
responsabilità rispetto alla gestione degli affari di propria competenza” 15.
A conclusione del dibattito, il testo definitivo della Carta costituzionale
realizzava uno “statuto dell’amministrazione” abbastanza vicino alle idee manifestate
dal Mortati: infatti per l’art. 97 Cost. i pubblici uffici sono organizzati secondo
disposizioni di legge, in modo da assicurare l’imparzialità ed il buon andamento
13
Cfr. sul punto D’ALBERTI, L’alta burocrazia in Italia, in AA.VV., L’alta burocrazia, a cura di D’ALBERTI, cit.
pag. 131 ss. e GIANNINI, Parlamento e amministrazione, in AA.VV., L’amministrazione pubblica in Italia, a cura di
Cassese, Bologna, 1974, pag. 233.
14 Cfr. COMMISSIONE PER LA COSTITUZIONE, II SOTTOCOMMISSIONE ( I sez.), seduta del 14 gennaio
1947, in La Costituzione della repubblica nei lavori preparatori dell’Assemblea costituente, Camera dei deputatiSegretariato Generale, vol. VIII, Roma, 1971, pag. 1863 ss.
15 Cfr. DI ANDREA, Lo spoils system: noterelle sulla disciplina della dirigenza pubblica in Italia e spunti
comparatistici, cit. pag. 673 s.
13
dell’amministrazione, mentre per l’art. 98 Cost. i pubblici impiegati sono al servizio
esclusivo della Nazione.
E’ vero che la Carta non stabilisce espressamente il principio di separazione tra
politica e amministrazione, ma l’idea di amministrazione che il costituente cerca di
delineare è pur sempre quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di
funzioni e responsabilità proprie; per citare il Sandulli, “altro è la politica, altra
l’amministrazione e la giustizia; sicché i partiti debbono pesare, attraverso il
Parlamento, ai fini della prima, debbono invece arrestarsi alle soglie delle altre due” 16.
Il quadro sopra delineato comporta quindi “la fine dell’apparato amministrativo
come irresponsabile, non implicato nelle decisioni, interamente assorbito dal ministro”.
Con la Costituzione, pertanto, si registra la nascita di un policentrismo, che consente di
realizzare una struttura articolata degli stessi apparati centrali, configurabile mediante il
trasferimento ad organi burocratici, retti da dirigenti ”direttamente responsabili ed in
posizione di sufficiente dipendenza”.
Ai ministri, non più in posizione di superiorità gerarchica, viene riservato ciò
che è “generale”, non ciò che è “particolare”, riconoscendo finalmente loro soltanto
compiti di indirizzo, coordinamento e controllo 17.
E’ pur sempre la fine, con la Costituzione del 1948, da un lato, del falso mito
della burocrazia neutrale, dall’altro, dell’attenuarsi della stessa responsabilità politica
del ministro verso il parlamento, che trova una controspinta nella responsabilità
collegiale del governo, secondo la tendenza a considerare rivolto contro l’intero
gabinetto l’attacco ad uno dei suoi membri.
In questa prospettiva, invece si ritiene che possa non trovare più compatibilità
con i principi costituzionali sopra espressi il tradizionale modello gerarchico-piramidale,
oramai diventato un principio meramente residuale 18.
16 Cfr. Sul punto A. PATRONI GRIFFI, Dimensione costituzionale e modelli legislativi della dirigenza pubblica:
Contributo ad uno studio del rapporto di “autonomia strumentale” tra politica e amministrazione, cit. pag. 67,
PALADIN, I contributi di Aldo Sandulli su politica ed amministrazione nell’ordinamento repubblicano, in Dir.
Amm., 1994, pag. 318.
17 Cfr. sul punto A.M. SANDULLI, Governo e amministrazione, in Riv. Trim. dir. pubbl., 1966, pag. 758 s., secondo
cui in tal modo “i ministri diventerebbero guide e custodi dell’amministrazione ed entro tali limiti ne
risponderebbero, cessando di esserne i capi”.
14
La ricaduta sul rapporto governo-amministrazione delle norme costituzionali in
questione sarà approfondita nella parte relativa all’esame dello spoils system.
1.3.4 L’istituzione della dirigenza statale con il D.P.R. 748/72 nell’ambito del
riordino dell’amministrazione dello Stato
Data fondamentale del nostro percorso di inquadramento storico dell’evoluzione
del rapporto tra politica e amministrazione è sicuramente quella del 1972, quando con
D.P.R. 30 giugno, n. 748, si procede all’istituzione della dirigenza statale nel chiaro
tentativo di sottrarre l’alta burocrazia alla precedente piena dipendenza gerarchica dal
ministro per farne invece un corpo di collaboratori del vertice politico dotato di
competenze proprie ed autonome e di maggiori responsabilità.
Prima di questo momento la carriera dirigenziale non era distinta da quella
direttiva e lo status di dirigenti, meglio dire degli impiegati direttivi del più alto grado,
era disciplinato anch’esso dallo Statuto degli impiegati civili dello Stato, approvato con
D.P.R. 10 gennaio 1957, n. 3. Ritornando al D.P.R. 748/72 va precisato che la nuova
normativa
sulla
dirigenza
dell’amministrazione
un
pubblica
gruppo
si
dirigente
sforza
dotato
di
“identificare
di
specifiche
al
vertice
prerogative,
conferendogli una relativa autonomia rispetto al vertice politico”, con l’attribuzione di
una relazione gerarchica attenuata tra politica e amministrazione e l’attribuzione alla
dirigenza di poteri propri 19. Ma la riforma del ’72, per tutta una serie di concause non
riuscì a produrre i risultati sperati dal legislatore e non riuscì nemmeno a creare un
nuovo rapporto tra politica e amministrazione, né riuscì a “forgiare” il dirigente
pubblico sul modello del manager privato, con poteri propri e in grado di assumere
18
Cfr. sul punto GIANGASPERO, Le strutture di vertice della pubblica amministrazione. Vincoli costituzionali e
prospettive di riforma, Milano, 1988, pag. 69 s. e BACHELET, Responsabilità del ministro e competenza esterna
degli uffici direttivi dei ministeri, cit., pag. 589.
19
Cfr. MELIS, Storia dell’amministrazione italiana (1861-1863), Bologna, 1996, pag. 492, che ricorda come
l’intervento del legislatore sopraggiunga soltanto dopo che “una grave crisi di status e di prestigio sociale aveva eroso
sin dal dopoguerra l’identità e la consapevolezza di sé degli alti funzionari dello Stato”. Cfr. anche sull’attenuazione
del principio gerarchico D’ALBERTI l’alta burocrazia in Italia, cit., pag. 150 e BATTINI, Il rapporto di lavoro con le
pubbliche amministrazioni, cit., pag. 617 e RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un
confronto con il manager privato, Torino, 2002, pag. 35.
15
responsabilità sui profili degli atti di gestione e conseguentemente dei risultati. In questi
anni si assiste, in definitiva, ad uno “scambio sicurezza-potere tra organi politici ed alta
burocrazia”, secondo la nota definizione di Cassese 20.
1.4
La riforma della dirigenza pubblica
1.4.1 Il disegno di legge del 1988 presentato nella X Legislatura
Il disegno di legge in questione, presentato nel corso della X Legislatura dal
governo De Mita, tenta di porre rimedio alla situazione di immobilismo che si era
venuta a creare, cercando di elaborare un progetto di riforma unitario di tutta la
dirigenza pubblica, secondo modelli di tipo imprenditoriale, che però implica, prima di
tutto, la revisione dell’insieme dei condizionamenti, dei vincoli e dei percorsi obbligati
che differenziano la pubblica amministrazione da una struttura di tipo privatistico.
Il modello imprenditoriale di dirigenza viene importato nella sua interezza
nell’organizzazione pubblica, nell’ambito del quale “le
c.d. tre E (economicità,
efficienza ed efficacia) costituiscono altrettante regole teleologiche per lo svolgimento
di una funzione pubblica moderna”. In questa nuova ottica, si introduce la
“differenziazione funzionale tra il livello politico, a cui spetta la formulazione degli
indirizzi e delle scelte strategiche, e il livello tecnico-gestionale, cui compete
l’attuazione delle direttive di indirizzo e la realizzazione delle strategie 21.
1.4.2 La riforma del 1993 con il decreto legislativo n. 29: l’ultimo e fondamentale
anello del nuovo sistema amministrativo italiano
Il D.Lgs. 29/93 rappresenta l’ultimo e fondamentale anello del nuovo sistema
amministrativo italiano, dal momento che come sostenuto dal Rinaldi rappresenta “la
20
S. CASSESE, Burocrazia ed economia pubblica (cronache degli anni ’70), Bologna, 1978, p. 116.
21
Cfr. GARDINI, L’imparzialità amministrativa tra indirizzo e gestione. Organizzazione e ruolo della dirigenza
pubblica nell’amministrazione contemporanea, cit. pag. 186 ss., che rileva come in tale contesto nasca, a livello
mondiale, una nuova figura di funzionario pubblico, “educato professionalmente in base ai criteri che ispirano
l’attività dei dirigenti del settore privato, dotato di corrispondenti poteri e responsabilità, nonché di conoscenze e
strumenti idonei al raggiungimento degli obiettivi ad esso affidati”.
16
risposta italiana alla linea europea di riforma dell’amministrazione che punta sul
modello di impresa e su un diverso assetto del rapporto politica-amministrazione” 22 .
E’ acclarato che con il D.Lgs. 29/93 si verifica in Italia la “prima”
privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici.
Il decreto legislativo in questione fissa negli artt. 3 e 14 “gli aspetti
caratterizzanti della nuova dirigenza pubblica, muovendo proprio dal richiamato
principio di separazione tra indirizzo politico e gestione amministrativa, quest’ultima
affidata ai dirigenti, che assumono così un’autonoma legittimazione e una diretta
responsabilità per la gestione” 23.
Ma prima ancora che fosse completata la fase transitoria della prima
privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti pubblici, il legislatore, al fine di non
rischiare di vedere compromessi gli effetti del processo riformatore intrapreso, decide di
intervenire nuovamente sulla materia per portare a compimento la riforma.
1.4.3 La legge 15 marzo 1997, n. 59, la c.d. “Legge Bassanini”, ovvero l’avvio di
una riforma organica della P.A.
La riforma in questione che, come noto, prende il nome dall’allora Ministro per
la Funzione Pubblica, Franco Bassanini, viene definita come” seconda” privatizzazione
del
pubblico
impiego
ed
avvia
un
complessivo
progetto
di
riordino
dell’amministrazione pubblica (poi proseguite con le Leggi 127/1997 e 191/1998), teso
ad effettuare una profonda opera di revisione degli apparati ministeriali ed anche a
decentrare le funzioni amministrative a beneficio delle Regioni e delle autonomie
territoriali in genere, il tutto finalizzato ad instaurare il c.d. federalismo amministrativo,
ossia il massimo del federalismo a costituzione invariata. Dette leggi si basano sul
22
Cfr. RINALDI, Autonomia, poteri e responsabilità del dirigente pubblico: un confronto con il manager privato, cit.
pag. 40.
23
Cfr. sul punto C.COLAPIETRO, op. cit. pag. 72.
17
principio di distinzione, a tutti i livelli di governo, fra attività di indirizzo politico e
attività di gestione.
Bassanini, in un suo autorevole scritto, rappresenta plasticamente che è doveroso
tener conto di tre principi costituzionali: quello democratico, quello dell’imparzialità
dell’amministrazione e quello del buon andamento dell’amministrazione stessa, il quale
si ricollega alla missione attribuita dalla Costituzione alle amministrazioni pubbliche di
rappresentare “gli strumenti per la garanzia e l’attuazione dei diritti fondamentali dei
cittadini” 24.
Questa riforma ha ripercussioni sulla disciplina della dirigenza pubblica, in
quanto incide sia sulla riforma dell’organizzazione del Governo (varata con il
successivo D.Lgs. 300/1999, ai sensi degli artt. 11, comma 1, lett. a), e 12 della L.
59/1997), che ha condotto ad una complessiva revisione delle funzioni e
dell’organizzazione degli apparati ministeriali, sia sulla predisposizione di un nuovo
ordinamento della Presidenza del Consiglio dei Ministri ( adottato con il predetto
D.Lgs. 303/1999, ai sensi dell’art. 11 della medesima L. 59/1997), al fine di disciplinare
l’organizzazione e le funzioni della Presidenza e farne una “cabina di regia” della
politica governativa sul modello di altre esperienze europee.
Interessante infine è notare anche che l’art. 11, comma 4, della citata Legge
59/97, delega il governo a completare “l’integrazione della disciplina del lavoro
pubblico con quella del lavoro privato”, enfatizzando “il principio della separazione tra
compiti e responsabilità di direzione politica e compiti e responsabilità di direzione
delle amministrazioni” 25.
Nel senso sopra indicato si muove pertanto il successivo D.Lgs. 80/1998, che
introducendo l’art. 24 estende il regime di diritto privato dal rapporto di lavoro anche ai
direttori generali delle amministrazioni pubbliche, che erano stati esclusi dalla prima
privatizzazione.
24
Cfr. sul punto F. BASSANINI, Indirizzo politico, imparzialità della P.A. e autonomia della dirigenza. Principi
costituzionali e disciplina legislativa, in Nuova Rassegna, 2008, pag. 257 ss.
25
Cfr. sul punto C. COLAPIETRO, op. cit pag. 387 ss.
18
Ma la riforma realizzata con il decreto legislativo sopraindicato è importante
perché introduce nel nostro ordinamento una sorta di meccanismo di spoils system in
coincidenza con la formazione del nuovo governo. Detto sistema riguarda le figure
apicali della dirigenza pubblica e prevede, inoltre, la temporaneità degli incarichi.
1.4.4 I decreti legislativi del 30 luglio 1999 n. 300 e n. 303, ovvero la riforma
dell’organizzazione del governo
La riorganizzazione del governo avviene proprio con il D.Lgs. 300/99 che rende
omogenei i ministeri alla nuova visione della Presidenza del Consiglio, ora concepita
come struttura deputata all’esercizio di funzioni proprie da parte del Presidente del
Consiglio. L’idea che permea tutta la riforma è quella di conferire ai ministeri le
funzioni di settore, al contempo accorpandone le competenze e riducendone il numero,
legislativamente fissato in 12, cercando così di superare il limite negativo della
segmentazione e delle difficoltà di dimensionare gli uffici centrali ai compiti effettivi da
svolgere. Il ministro continua ad avere la direzione e la responsabilità politica del
Dicastero e svolge anche funzioni politico-amministrative avvalendosi di uffici di
diretta collaborazione, composti da personale reclutato con ampia discrezionalità anche
al di fuori dell’amministrazione ( art. 7 D.Lgs. 300/99).
Tutti i provvedimenti legislativi che abbiamo cercato di focalizzare, figli di
questo ultimo decennio del novecento sono quindi frutto di una profonda stagione
riformista che aveva come obiettivo quello di cambiare il sistema amministrativo
italiano; scopo principale era quello di dislocare dal centro alla periferia gran parte delle
funzioni amministrative, con la conseguenza di dover procedere alla ristrutturazione
degli apparati centrali. In questa ottica si ritrova il padre di tutte queste riforme, Franco
Bassanini, il quale sottolinea come “la riforma della dirigenza pubblica non costituisce
una vicenda parallela o secondaria, ma si inserisce a pieno titolo in tale disegno, in
quanto strettamente interconnessa con molti dei suoi aspetti più significativi e
qualificanti” 26.
26
Cfr. sul punto, F. BASSANINI, Prefazione, in G. D’ALESSIO, op. cit., pag. 15 s..
19
1.4.5 Il decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165
In questo contesto generale si registra la necessità nel 2001 di predisporre un
testo unico per raccogliere le norme che regolano i rapporti di lavoro relativamente al
personale contrattualizzato dipendente dalle amministrazioni pubbliche. Il decreto
legislativo in esame, reca come titolo “Norme generali sull’ordinamento del lavoro alle
dipendenze delle amministrazioni pubbliche” e viene emanato ai sensi dell’art. 1,
comma 8 della Legge 24 novembre 2000, n. 340. Ciò premesso, è doveroso precisare
che il decreto legislativo non assumerà la denominazione di testo unico, accogliendo un
esplicito invito a modificare il titolo da parte delle commissioni della Camera per non
ingenerare equivoci perché non era omnicomprensivo di tutti i rapporti di lavoro
esistenti nella galassia della pubblica amministrazione.
1.4.6 La legge 15 luglio 2002, n. 145, ovvero la “controriforma”
Una particolare attenzione merita la L. 15 luglio 2002, n. 145, considerata a
ragione in dottrina come un’autentica “controriforma” della dirigenza pubblica che ha
pressocchè riscritto la disciplina del c.d. governo dell’alta burocrazia, rafforzando
ulteriormente e pericolosamente il rapporto tra il ministro e la dirigenza pubblica.
In apparenza tale dettato normativo pare che persegua “l’obiettivo di apportare
soltanto alcuni limitati, seppur significativi, aggiustamenti” alla normativa relativa alla
dirigenza confluita nel sopra richiamato D.Lgs. 165/2001, intervenendo esclusivamente
“attraverso correzioni ed integrazioni parziali delle disposizioni ivi contenute”, piuttosto
che con l’introduzione “di una disciplina della dirigenza del tutto nuova ed esaustiva e
quindi distinta ed autonoma rispetto a quella dettata in tale decreto”. A ben guardare,
però, così non è. Si tratta di una riforma ben più ambiziosa di quanto in prima battuta si
potesse ritenere e ancora di più se si esaminano i contenuti e l’effettiva portata
modificativa, dal momento che interviene “in misura determinante su alcuni nodi
essenziali (…), finendo per incidere, in modo più o meno esplicito, sulla stessa ratio
20
delle innovazioni intervenute negli anni precedenti, (…) messe in discussione in molti
dei loro aspetti più qualificanti” 27.
Obiettivi di questa “controriforma”: la determinazione di un nuovo e sempre più
difficile equilibrio tra politica e amministrazione e l’introduzione nell’ordinamento della
dirigenza di maggiori elementi di flessibilità e di nuove forme di mobilità.
Il legislatore vuole pervenire alla rideterminazione di un nuovo punto di
equilibrio tra politica e amministrazione. La ricerca del punto di equilibrio resta
comunque difficile perché forte è il legame della dirigenza pubblica con gli organi di
indirizzo politico-amministrativo. Pertanto il risultato complessivo è quello “di un
consistente rafforzamento della posizione dell’organo di governo, che … rischia di
rimettere in causa le stesse basi dell’autonomia dirigenziale”, per effetto di un fin troppo
chiaro “spostamento dell’equilibrio fra politica e amministrazione tutto a favore della
prima, con conseguenziale “precarizzazione” della posizione dei dirigenti” 28.
1.4.7 La legge delega 15/2009 e il decreto legislativo 150/2009 ovvero la riforma
Brunetta
La riforma Brunetta, che consiste nel D.Lgs. 150/2009, attuativo della legge
delega 15/2009, è finalizzata all’ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e
al miglioramento della efficienza e della trasparenza delle pubbliche amministrazioni.
La filosofia di questa riforma risiede nella constatazione che senza una dirigenza
competente e moderna saldamente allineata agli standard di efficienza dei paesi
economicamente più avanzati non c’è privatizzazione o ripubblicizzazione che tenga,
bensì può esistere solo l’attuale profondissima crisi della pubblica amministrazione, che
altro non è se non una delle tante facce della crisi dello Stato con cui quotidianamente
si misurano i cittadini 29.
27
Cfr. sul punto G. D’ALESSIO, op. cit. cit. pag. 214 e C. COLAPIETRO, La “controriforma” del rapporto di lavoro
della dirigenza pubblica, estratto da Le Nuove Leggi Civili Commentate, Anno XXV N. 4-5 – Luglio – Ottobre
2002, CEDAM 2002, pag. 646 e ss.
28
G. D’ALESSIO, op. cit. pag. 219.
29
Cfr. S. CASSESE, La crisi dello Stato, Roma-Bari, 2002.
21
Ecco perché il D.Lgs. 150/2009 annovera tra i suoi principi generali (art. 1,
comma 2) l’intendimento di realizzare il “rafforzamento dell’autonomia, dei poteri e
della responsabilità della dirigenza”, ancorché il dirigente pubblico, quanto alle
“determinazioni per l’organizzazione degli uffici e le misure inerenti alla gestione dei
rapporti di lavoro” agisce, ormai, da oltre quindici anni con la “capacità” e, soprattutto,
i “poteri” del privato datore di lavoro.
Con l’art. 40 si tenta di arginare l’occupazione da parte della politica delle
posizioni dirigenziali, veicolando la discrezionalità dei vertici politici nel conferimento
degli incarichi all’interno di confini più precisi e meritocratici.
L’obiettivo finale di migliorare l’efficienza dell’azione amministrativa ha indotto il
legislatore anche ad un evidente inasprimento del momento dell’esercizio disciplinare.
In particolare il D.Lgs. 150/2009 si caratterizza per alcune previsioni che impongono al
dirigente di esercitare il potere disciplinare nei confronti dei suoi sottoposti, onde
incorrere, a sua volta, in una omissione sanzionabile.
Il dirigente è poi chiamato alla responsabilità di valutare i suoi collaboratori e di
differenziarne il giudizio, pena macchiare il proprio stato di servizio, con conseguenze
sia sul piano retributivo che sulla progressione in carriera o l’attribuzione di incarichi e
responsabilità. Ecco perché è stata istituita con l’art. 13 la CIVIT (Commissione per la
valutazione, la trasparenza e l’integrità delle amministrazioni pubbliche), soggetto
esterno e sono stati potenziati gli organi indipendenti di valutazione (OIV).
Sicuramente è questa una riforma composta da un impianto particolarmente
complesso che sembra richiedere necessariamente tempi lunghi per la messa a regime; a
favore di essa, però, sta la consapevolezza che nel mercato globalizzato in cui oggi
viviamo, anche le amministrazioni degli Stati sono in concorrenza fra loro e che ogni
amministrazione lassista e inefficiente, o peggio ancora corrotta, non è altro che un forte
incentivo alla delocalizzazione. 30
30
Cfr. sulla riforma Brunetta, M. PERSIANI, Dottrina e attualità giuridiche, La nuova disciplina della dirigenza
pubblica, in Giurisprudenza Italiana, Dicembre 2010.
22
2. CENTRALITA’ DELLA PERSONA: DAL PARADIGMA BIPOLARE AL
PERSONALISMO
2.1 Cenni generali
Il rapporto di lavoro alle dipendenze della P.A. è stato interessato, negli ultimi
anni, da profondi mutamenti legislativi, in particolare a seguito della c.d.
"privatizzazione" attuata con il D.Lgs 29/93, sostituito dal D.Lgs. 165/2001, così come
modificato dal D.Lgs. 150/2009.
Uno degli aspetti fondamentali del suddetto impianto normativo è costituito dal
mutamento del rapporto fra gli organi di governo e la burocrazia degli enti pubblici nel
senso di separare nettamente l'attività d’indirizzo politico, affidata ai primi, da quella
gestionale, attribuita ai dirigenti.
Il succitato D.Lgs. 150/2009 ha, in particolare, previsto, emendando l’art. 4,
comma 2, del D.Lgs. 165/2001, che “i dirigenti sono responsabili, in via esclusiva,
dell’attività amministrativa, della gestione e dei risultati”.
In base all’ordito normativo summenzionato, pertanto, i dirigenti pubblici
adottano atti amministrativi e, quindi, di natura pubblicistica ed atti gestionali, tipici del
datore di lavoro privato e, quindi, di natura privatistica.
Dal summenzionato nuovo assetto del rapporto politica-dirigenza deriva una più
accentuata autonomia degli apparati burocratici pubblici nell’attuazione concreta
dell’azione amministrativa, ispirata dai principi costituzionali di imparzialità e buona
amministrazione, di cui all’art. 97 Cost.
Al riguardo, la dottrina ha evidenziato come tradizionalmente si riteneva che il
principio di buona amministrazione “riguardasse solo il momento organizzativo della
P.A. ( per cui lo si poteva ritenere soddisfatto già con la sola predisposizione di una
struttura organizzata in modo da essere astrattamente imparziale ), ma dovesse riferirsi
all’attività della P.A. nella sua interezza” 31.
31
F. CARINGELLA, Manuale di Diritto Amministrativo, Ed.2010, pag. 932.
23
Secondo la dottrina citata la suddetta tesi “ha ricevuto, da ultimo, un importante
avallo normativo dalla recentissima legge di riforma della norma sul procedimento
amministrativo (L.69/2009), la quale ha espressamente inserito nel nuovo art.1 L.
241/90 il principio di imparzialità nel catalogo dei canoni fondamentali deputati a
presidiare l’intera attività amministrativa” 32.
Per quanto attiene, altresì, al principio del buon andamento, anch’esso recato
dall’art. 97 Cost., la medesima dottrina ha rilevato che detto principio “non va riferito
solo all’organizzazione dei pubblici uffici, in quanto informa l’attività amministrativa
ad ampio raggio, investendo l’intero funzionamento dell’amministrazione pubblica
“quale frutto della compenetrazione di diversi criteri, tutti di uguale peso ed importanza,
che l’Amministrazione è tenuta a rispettare ed a contemperare tra loro. Nello specifico,
essi sono i principi di: economicità; rapidità; efficacia (raffronto fra risultati conseguiti
ed obiettivi programmati); efficienza (raffronto fra le risorse impiegate e risultati
conseguiti); miglior contemperamento degli interessi; minor danno per i destinatari
dell’azione amministrativa” 33.
Per quanto attiene, in particolare, ai criteri di efficacia ed economicità,
espressamente indicati nell’art.1 della L. 241/90, la dottrina che si esamina osserva che
entrambi sono mutuati dalla logica imprenditoriale, imponendo, il primo, “di conseguire
l’ottimizzazione dei risultati in relazione ai mezzi in dotazione” ed il secondo indicando
“l’idoneità dell’azione amministrativa a perseguire gli obiettivi legislativamente
enucleati in tema di tutela degli interessi pubblici” 34.
Da quanto suesposto risulta, pertanto, che l’assetto organizzativo ritenuto più
adatto al conseguimento di un’attività amministrativa economica ed efficace è stato
finora quello mutuato dalle aziende private.
32
F. CARINGELLA, op. cit. pag. 932.
33
F. CARINGELLA, op. cit. pag. 935.
34
F. CARINGELLA, op.cit. pag. 936.
24
2.2. La buona amministrazione
Da qualche tempo, in dottrina, è stato evidenziato come il suddetto modello
privatistico non abbia conseguito i risultati auspicati e, pertanto, pur non rinunciando a
perseguire l’efficienza dell’attività della pubblica amministrazione, si stia facendo
strada un altro principio-guida dell’azione pubblica e cioè quello
di “buona
amministrazione”, teso alla soddisfazione anche delle aspettative dei cittadini 35.
Quanto sopra comporta la necessità di rileggere i principi costituzionali
summenzionati secondo una prospettiva personalistica, in funzione valorizzatrice della
persona umana e della dignità della medesima, anche in base ai valori dell’ordinamento
sovranazionale.
Al riguardo, si rileva che altra autorevole dottrina ha recentemente evidenziato
come la nozione di buona amministrazione si sia sviluppata in ambito nazionale,
sovranazionale e globale, collocandosi “in un processo durato almeno due secoli di
legalizzazione della pubblica amministrazione” laddove, in un primo tempo,
“l’amministrazione veniva considerata attività libera da vincoli, in quanto esplicazione
di un potere autonomo ed indipendente, quello esecutivo”. Dopo tale primo periodo
l’amministrazione, in coincidenza con l’allargamento del suffragio, pur continuando a
far parte del potere esecutivo, è stata sottoposta alla legge.
In una terza fase, quindi, la stessa legge è stata sottoposta ad una “legge più
alta”, cioè alla Costituzione, nella quale sono penetrati principi cui debbono obbedire sia
il legislatore ordinario, sia l’amministrazione.
Infine si è pervenuti ad una fase dove i principi concernenti le amministrazioni
nazionali sono stati trasfusi in “atti normativi di rango costituzionale” di portata globale
o sovranazionale.
35
G. NICOSIA, Il polimorfismo delle dirigenze pubbliche e la buona amministrazione, W.P-C.S.D.L.E.” “Massimo
D’Antona” 81/2008 pagg.5-6.
25
La dottrina in esame evidenzia, altresì, come, nella suddetta terza fase, si assista,
in primo luogo, ad un ampliamento della protezione costituzionale dai diritti politici a
quelli amministrativi e, in secondo luogo, alla trasformazione dei principi
amministrativi presenti nelle costituzioni da “meri doveri dell’amministrazione nei
confronti della collettività in generale, azionabili solo dal parlamento che la rappresenta,
in veri e propri obblighi, collocati in rapporti giuridici bilaterali, di cui è parte non la
collettività nel suo insieme, ma ogni singola persona, che può azionare il diritto di cui è
titolare rivolgendosi a un giudice o ad altro organo di controllo” 36.
Nella quarta fase, poi, si assiste “all’espansione, al livello sopranazionale e
globale, di principi amministrativi”. Il Trattato della Comunità Europea, infatti, impone
il rispetto dei principi di sana gestione finanziaria ( art.248.2 ), di buona gestione
finanziaria ( art.248.2 ), nonché dell’obbligo di motivazione degli atti (art. 253.1). Le
Corti europee hanno sancito l’obbligo, per l’amministrazione, di decidere entro un
termine ragionevole, nonché il diritto, dei cittadini, di accedere agli atti pubblici e di
essere ascoltati dalla P.A. procedente.
“Questi principi sono ora riconosciuti nella Carta dei Diritti Fondamentali
dell’Unione Europea (alla quale fa riferimento il Trattato di Lisbona)”.
La buona
amministrazione, secondo la dottrina che si esamina, “da principio in funzione della
efficacia della pubblica amministrazione (ex parte principis) è divenuto principio in
funzione dei diritti dei cittadini (ex parte civis)” diventando, in tal modo, “strumento per
garantire una difesa dal potere pubblico e garantendo che il privato possa far sentire la
propria voce prima che l’amministrazione concluda il procedimento” 37.
36
S. CASSESE, Il diritto ad una buona amministrazione, il 25° anniversario della legge sul " Sindic de Gruges della
Catalogna - Barcellona - 27/03/2009.
37
S.CASSESE, op.cit. pagg. 5-6.
26
2.2.1 Dalla Costituzione all’art. 41 della Carta dei Diritti fondamentali europei
Il principio di buona amministrazione, nella summenzionata prospettiva
internazionale, consacra “il diritto dei cives ad essere posti al centro dell’agire pubblico
in modo tale che è il contenuto delle relative pretese a modulare l’esecuzione della
funzione pubblica e non il contrario” 38. In particolare viene evidenziato che, nel corso
del tempo, “il modello Weberiano (Weber 1968) di amministrazione accentrata,
caratterizzato dall’impostazione fortemente gerarchizzata, dominata dalle scelte
unilaterali e dagli atti di imperio ha ceduto il passo ad un modello di organizzazione
amministrativa più snello e flessibile, dislocato sul territorio e sempre più rivolto al
raggiungimento ed alla misurazione dei risultati, tanto da rendere sempre più rilevanti
gli strumenti di controllo posti a valle del sistema” 39.
Tuttavia, la piena assimilazione dell’impresa pubblica a quella privata non si è
rivelata, nel tempo, una strategia organizzativa in grado di assicurare una “buona
amministrazione”, stante l’impossibilità di trasferire “ex abrupto” nel settore pubblico i
principi ed i metodi del mercato, con conseguente tensione verso la persona ed i suoi
bisogni anche di comportamenti amministrativi “buoni” nel senso di “etici” e non solo
utili.
Al riguardo anche altra dottrina ha evidenziato che “l’importante è avere sempre
presente la ragione profonda per cui esistono gli apparati pubblici e non cadere
nell’autoreferenzialità, quella che fa sì che politici e funzionari siano ossessionati dal
perseguimento dell’efficienza, efficacia ed economicità come se questi fossero gli
obiettivi della loro azione, anziché, più semplicemente, modalità operative che, se ed in
quanto realizzate, consentono un miglior servizio ai cittadini” 40.
In proposito viene prospettata una lettura della Costituzione che tenda
a
“riscoprire gli importanti significati annidati fra le pieghe dei relativi disposti
normativi”. In tale ottica viene riletto l’art. 54 Cost., che esige, dai pubblici dipendenti,
38
ZITO 2002, pag. 431.
39
G. NICOSIA, op. cit. pag. 40.
40
G. ARENA, L’amministrazione dalla parte dei cittadini – 2001, pag. 2.
27
comportamenti etici improntati
a “disciplina ed onore” e che, pertanto,
“può
rappresentare un corollario del rispetto del valore della persona umana”. Tale citata
norma costituzionale contiene “una disposizione del tutto speculare a quella contenuta
nell’art. 41 della Carta dei diritti fondamentali europei, essendo rivolta, la prima norma,
all'interno delle pubbliche amministrazioni, mentre la seconda all’esterno, cioè verso i
cittadini.
Le predette due disposizioni, pertanto, “combinate insieme soddisfano il bisogno
di buoni comportamenti (best practices) – all’interno e verso l’esterno delle
amministrazioni medesime – nei confronti delle persone” 41.
Con l’art. 41 “per la prima volta, infatti, viene codificato lo spostamento del
centro dell’interesse verso cui orientare l’azione pubblica: alla buona amministrazione
intesa come dovere di risultato a vantaggio della collettività si sostituisce la buona
amministrazione che riguarda pur sempre il risultato dell’agire amministrativo, ma
assume ad oggetto la singola decisione, considerata dal punto di vista del suo
destinatario, il quale ha titolo per pretendere che essa sia imparziale e sollecita
42
. Il
medesimo articolo esprime, pertanto, una nuova tendenza: “allargare il concetto di fine
pubblico, tradizionalmente espresso, almeno nel nostro ordinamento, nella imparzialità
e nel buon andamento dell’azione amministrativa, inteso come precipitato del valore di
efficienza, efficacia ed economicità sino ad abbracciare la persona, il relativo benessere,
nel momento in cui si accosta al godimento di un servizio pubblico” 43.
In
tale
prospettiva,
pertanto,
sarebbe
auspicabile
l’adeguamento
dell’ordinamento nazionale a quello sovranazionale, dando risalto alla dimensione del
servizio, anzichè a quella del potere e cioè collocare al centro la persona e viceversa, in
posizione servente l’amministrazione.
41
G. NICOSIA, op. cit. pag. 42.
42
TRIMARCHI BANFI F., Il diritto ad una buona amministrazione - 2007.
43
G. NICOSIA, op. cit. pag. 47.
28
Quanto finora illustrato indica, quindi, una diversa accezione dell’interesse
pubblico, tradizionalmente inteso come astratto e generale, che si caratterizzi, invece,
come interesse situato nei cittadini e quindi definibile come “interesse condiviso” 44.
Al riguardo vengono citati gli strumenti partecipativi previsti dalla L. 241/90,
nonché la normativa sull’“e-government” ed il paradigma dell’amministrazione
condivisa, espresso dall’art. 118 Cost., quello, cioè, di un’amministrazione fortemente
intrisa di uno spirito democratico – partecipativo.
In proposito va ricordato come, recentemente, sia stata posta in evidenza la
necessità di formare la classe dirigente alla passione per l’interesse generale, ovvero una
classe dirigente responsabile. L’idea di responsabilità è stata quindi declinata secondo
l’approccio anglosassone, ovvero nei termini di accountability, che nel concreto
significa dare risposta alle esigenze dei cittadini in modo da consentire, ai sensi dell’art.
3, II comma, Cost. il “pieno sviluppo della persona umana” 45.
Lo scopo dell’azione amministrativa e cioè il fine pubblico, generale e astratto,
può allora superare il paradigma efficientista, tipico dell’ultimo ventennio, come pure il
paradigma bipolare e, quindi, ricomprendere dimensioni diverse nelle quali trovino
adeguata valorizzazione la persona umana e la propria dignità. In questo modo diventa
rilevante pure il benessere dei destinatari dell’azione pubblica medesima misurabile in
termini di customer satisfaction 46.
Al riguardo, non sarebbe più sufficiente, allora, il tradizionale accostamento fra
fine pubblico (generale e astratto) e buon andamento di cui all’art. 97 Cost., ove
“quest’ultimo è il precipitato del primo, occorrendo, piuttosto, riempire di contenuti
concreti questa accezione, in modo da misurare, orientare il fine pubblico sulle persone,
sui cittadini” 47.
44
G. NICOSIA, op.cit. pag 46.
45
G. ARENA, Ventennale del Centro di Ricerca Bachelet.
46
G. NICOSIA, op. cit. pag. 48.
47
G. CARUSO, La flessibilità (ma non solo) del lavoro pubblico nella L. 133/08.
29
2.2.2 L’etica comportamentale della P.A.: dal paradigma bipolare al personalismo
In proposito viene evidenziato che anche nel lavoro privato, superata l’idea della
organizzazione esclusivamente efficiente, si pone l’esigenza di contemperare il profitto
con le istanze sociali. Le organizzazioni possiedono, infatti, un compito istituzionale
(quello previsto nel proprio statuto) ed un compito sociale assai meno preciso,
riassumibile nel concetto che l’organizzazione, per conseguire i propri obiettivi deve
necessariamente muoversi nella società e i propri movimenti producono effetti
sensibili 48.
Ciò si traduce in quella che viene definita “responsabilità sociale dell’impresa”
consistente nella consapevolezza di dover misurare gli effetti prodotti dall’azione
dell’organizzazione imprenditoriale. Tanto comporta che “ogniqualvolta entrano nel
circuito delle scelte imprenditoriali le ponderazioni misurate sugli stakeholder, si assiste
all’allargamento (all’uscita dal black box) dell’impresa ed all’accettazione della sfida
cooperatoria” 49.
Si giunge, pertanto, ad “un modello di governance allargata dell’impresa, in base
alla quale chi governa l’impresa ha responsabilità che si estendono dall’osservanza dei
doveri fiduciari nei riguardi della proprietà ad analoghi doveri nei riguardi in generale di
tutti gli stakeholder” 50.
Sul piano organizzativo questo comporta, ad esempio, l’adozione di un bilancio
sociale, o, comunque, di strumenti di accountability, oltre che di un codice etico.
“Tanto per le imprese private quanto per le amministrazioni pubbliche si è
pertanto
affermata,
progressivamente,
una
particolare
attenzione
per
l’etica
comportamentale” come nel caso “delle società partecipate e della legislazione, relativa
all’introduzione di una tipologia di responsabilità amministrativa per i reati commessi
48
M. VIVIANI, Dire Fare Avere, 2006, pag. 247.
49
DEL PUNTA, Responsabilità sociale dell’impresa e diritto del lavoro, 2006, pag. 56.
50
L. SACCONI, Responsabilità sociale come governante allargata d’impresa: una interpretazione basata
sulla teoria del contratto sociale e della reputazione, 2004, pag. 112.
30
nell’interesse delle medesime da parte dei dirigenti e dei dipendenti. Si prevede, infatti,
come parte essenziale del modello, l’adozione di codici etici sanzionati in via
disciplinare, ma anche dalla vigilanza di un apposito organismo di controllo” 51.
Da quanto finora esposto consegue, pertanto, che adottando il paradigma
personalistico, le amministrazioni “si trovano a doversi confrontare con un nuovo
modello di governance in cui chi gestisce, cioè i dirigenti, ha responsabilità che si
estendono dall’osservanza dei doveri fiduciari, innervati negli incarichi di funzione
dirigenziale, ad analoghi doveri fiduciari nei confronti di tutti i cittadini, e delle persone
in
generale.
Diventano
rilevanti,
in
tale nuovo
contesto,
gli
interlocutori
52
dell’amministrazione, i sudditi” .
I cittadini che hanno acquisito la possibilità di far sentire la propria voce,
divengono portatori di una posizione giuridica soggettiva concreta che va molto al di là
del mero interesse diffuso.
Per quanto attiene, altresì, al modo di soddisfare le aspettative dei cittadini, la
dottrina evidenzia “come questa non si possa ritenere soddisfatta solo a fronte
dell’erogazione di un servizio efficiente ma come, viceversa, occorra pure che a
quest’ultimo sia accostato un complesso di attività virtuose in grado non solo, se
guardate da una prospettiva di sviluppo fisiologico, di apparire friendly verso l’utenza
ma anche, se guardate viceversa dalla opposta prospettiva dello sviluppo patologico, di
non
comportare
nocumento
né
per
la
collettività
né
per
la
medesima
amministrazione” 53. In base al succitato modello della responsabilità sociale
dell’impresa privata, l’azione privatistica dei dirigenti pubblici, di per sé non
funzionalizzata al raggiungimento del vincolo di scopo, “finisce per dovere contemplare
fra le proprie finalità privatistiche obbligazioni “altre” rispetto a quelle che naturalmente
scaturiscono dal contratto di lavoro o da quello di incarico. Ciò perché si tratta di doveri
51
G. NICOSIA, op. cit. pag. 51.
52
G. NICOSIA, op. cit. pag. 52.
53
G. NICOSIA, op. cit. pag. 52.
31
comportamentali verso soggetti diversi dalla propria controparte contrattuale del
rapporto di lavoro.
Eppure il dovere di mettere in campo una gestione friendly diverrebbe, così
ragionando, un’obbligazione esigibile dal datore di lavoro pubblico poiché - al pari della
gestione efficiente - soddisferebbe il fine pubblico cui guarda, secondo la nozione
sintetica di funzionalizzazione, anche l’azione dirigenziale.
La fonte di tali doveri affonda, infatti, le proprie radici nel vincolo di scopo
posto a valle della gestione dirigenziale; tale vincolo ne orienta complessivamente i
comportamenti pur non conformandoli singolarmente; limitandosi cioè a finalizzarli ma
non a funzionalizzarli (D’ANTONA 1997 oggi 2000, p. 171)” 54.
Si
rileva,
quindi,
come
l’azione
dirigenziale
travalichi
il
semplice
raggiungimento dell’obiettivo assegnato, “fino a contemplare la persona ed i propri
valori, ivi compresi l’aspettativa di apertura dell’azione amministrativa ai privati ed il
relativo coinvolgimento, come pure l’etica comportamentale intesa nei termini di una
moralizzazione diffusa. La gestione dirigenziale apparirà, pertanto, “finalizzata”
complessivamente anche al benessere delle persone” 55.
2.3 Un caso particolare: le obbligazioni del dirigente sanitario
Al riguardo viene indicato l’esempio delle obbligazioni del dirigente sanitario, il
cui rapporto di lavoro con la ASL è disciplinato dal D.Lgs. 502/1992.
Nelle Aziende Sanitarie Locali il principio di separazione dell’indirizzo politico
da quello gestionale vede “la sede delle scelte politiche nella regione”, in quanto “il
luogo che avrebbe potuto essere deputato alle scelte politiche è, invece quello in cui
siede un soggetto, di derivazione politica sì, ma preposto allo svolgimento
essenzialmente di compiti gestionali : il direttore generale” 56.
54
D’ANTONA, 2000, op. cit. pag. 171.
55
G. NICOSIA, op. cit. pag. 33.
56
G. NICOSIA, op. cit. pag. 27.
32
La caratteristica della tipologia dirigenziale che opera nelle citate Aziende
risiede, secondo la dottrina in esame, “nel fatto che essa gode di un’ampia autonomia
professionale che, tuttavia, si coniuga con un’autonomia gestionale che affievolisce,
fino a scomparire, via via che si scendono i gradini della scala ideale appena
menzionata. Il settore sanitario è, infatti, quello in cui meglio si coglie l’oscillazione tra
le due componenti, datoriale e di lavoratore subordinato, che esprimono la peculiarità
della figura di dirigente pubblico” tanto che “ all’interno della medesima azienda, è
possibile individuare dirigenti (come il dirigente di struttura complessa) che eseguono
per lo più prestazioni datoriali, e dirigenti (come i dirigenti cui sono affidati compiti
professionali ex art. 15 comma IV del D.Lgs. 502/92) che appaiono, sotto il profilo dei
compiti manageriali, meri esecutori, subordinati, di scelte assunte altrove. Sotto il
profilo puramente tecnico, essi si presentano, tuttavia, come portatori di un sapere
specialistico e attuatori di compiti di alta professionalità, cui sono abilitati dalla
legislazione speciale, che ne giustifica l’inquadramento nella categoria dirigenziale” 57.
Le amministrazioni sanitarie, pertanto, in quanto enti di erogazione di servizi
alla collettività, annoverano una dirigenza per la quale “vale a maggior ragione
l’assunto della espansione delle obbligazioni esigibili in funzione dell’allargamento
della nozione di interesse pubblico cui è finalizzata la gestione dirigenziale nel suo
complesso. Il dirigente sanitario potrebbe non essere adempiente solo curando bene i
propri pazienti e riducendo i rischi di mortalità del proprio reparto, ma anche attuando
un comportamento etico verso quanti si accostino al godimento del servizio sottoposto
alla propria organizzazione gestionale (Caruso 2008b)” 58.
Il sistema sanitario prevede “un doppio livello di imputazione: uno per la
responsabilità manageriale correlata alla gestione strictu sensu considerata, l’altro per la
responsabilità professionale correlata
specificamente alla erogazione della propria
prestazione medica all’utenza”.
57
G. NICOSIA, op. cit. pag. 28.
58
G. NICOSIA, op. cit. pag. 29.
33
A tal proposito viene citata quella corrente giurisprudenziale che configura la
responsabilità del dirigente-medico come “responsabilità contrattuale da contatto
sociale” determinante, cioè, un vincolo obbligatorio tra medico e paziente.
“L’elaborazione giurisprudenziale ha costruito, infatti, un ponte tra cittadino e
amministrazione in modo che il primo possa avere azione nei confronti dell’inefficienza
gestionale della dirigenza medica e ciò anche in assenza di un vincolo giuridico
legittimante come quello (il rapporto di lavoro) che consente, viceversa,
all’amministrazione sanitaria di agire contro il dirigente attraverso il circuito della
responsabilità per cattiva gestione” 59.
Si conclude, pertanto, che “il dirigente sanitario non sarà adempiente solo
riducendo i rischi di mortalità dei propri pazienti ma anche quando abbia eseguito la
propria prestazione in maniera etica e nel rispetto del benessere del paziente” 60.
2.4 Dovere di “accountability” dei funzionari pubblici
Un recente contributo dottrinale ha rilevato, al riguardo, che il dovere di
eseguire la funzione pubblica con disciplina ed onore costituisce un corollario del
rispetto della persona ed esprime, pertanto, un dovere dei funzionari di dare pubblico
conto alla collettività dei consociati e quindi misurarsi con le aspettative ed il giudizio
dei destinatari dell’agere pubblico, i quali, pertanto, ben possono “rendersi conto
dell’attività della pubblica amministrazione (diritto che appare oggi soddisfatto, almeno
sulla carta, dalle regole dell’accessibilità totale introdotte con il D.Lgs. 150/2009,
attraverso le quali si assiste all’avvio di un processo di apertura all’esterno della nostra
amministrazione così evoluto da giungere a configurare persino strumenti di
rendicontazione sociale di accountability)” 61.
59
G. NICOSIA, op. cit. pag. 30.
60
G. NICOSIA, op. cit. pag. 53.
61
C. COLAPIETRO, Dirigenze Pubbliche al Servizio della Nazione: dialogando di etica, benessere e responsabilità,
Seminario in occasione della presentazione del volume di G. NICOSIA “Dirigenze responsabili e responsabilità
dirigenziali pubbliche”, Giappichelli, 2011, pag. 8.
34
Il concetto di “buona amministrazione”, pertanto, va facendosi sempre
più
strada nell'ambito delle elaborazioni della dottrina giuslavoristica pubblica, ma anche
della dottrina costituzionalistica che, recentemente, ha condiviso la summenzionata
riconsiderazione del rapporto di lavoro dirigenziale sulla base di una rilettura dei
principi costituzionali in chiave personalistica, di un riassetto costituzionale in funzione
valorizzatrice della persona, anche alla luce dei dettami provenienti dall’ordinamento
sovranazionale per il raggiungimento della “buona amministrazione”, che, peraltro, “si
realizza attraverso i boni mores delle e verso le persone, sia che si trovino dentro gli
uffici (e quindi si ricerchi il benessere organizzativo all'interno degli apparati), sia che
queste si trovino fuori dell’amministrazione” 62.
2.5 Una nuova concezione dell’interesse pubblico: dall’efficientismo al rispetto
della dignità umana
Per la dottrina che si esamina, conseguentemente, il concetto di “buona
amministrazione”, secondo il quale le persone vengono considerate come fini e non
come mezzi, consente l’affermazione di un innovativo paradigma personalistico che
subentra a quello bipolare Stato-suddito, muovendo dalla centralità nell’’ambito della
pubblica amministrazione del valore della persona umana con i relativi bisogni e
ponendo al centro dell’intervento riformatore la collettività dei consociati e le relative
aspettative, da coniugare con l’economicità e l’efficienza dell’agire pubblico.
Seguendo tale ultima dottrina, pertanto, nell’obbligazione dirigenziale rientrano
“la persona umana ed i propri valori”.
Si conclude, pertanto, rilevando che i valori di apertura alla persona come prius
rispetto all’azione della pubblica amministrazione e dei propri dirigenti finora descritte
trovano avallo normativo nella riforma del lavoro pubblico avviata nel 2009 e
proseguita con la L. 15/2009, attuata con il D.Lgs. 150/2009 e proseguita con la L.
183/2010, (ancora in attesa di essere pienamente attuata), recanti misure che rilanciano
62
C. COLAPIETRO, op. cit .pag. 3.
35
il ruolo della collettività quale controllore e propulsore della buona amministrazione,
nonché strumenti atti a garantire il benessere (organizzativo) all’interno degli apparati.
Tutto ciò, conclude la dottrina in esame, “nella consapevolezza – anche se potrà
sembrare strano in questa epoca ossessionata dall’efficienza – che non sempre
l’efficienza fine a sé stessa è sinonimo di benessere sociale e che, in ogni caso
l’efficienza in sé non è una valore, il valore è la persona umana e la sua dignità” 63.
63
C. COLAPIETRO, op.cit. pag 10.
36
3. UNO SGUARDO COMPARATO SULLA PUBBLICA DIRIGENZA NELLE
DEMOCRAZIE OCCIDENTALI
3.1 Cenni generali
Per meglio affrontare il nodo dei rapporti tra politica e amministrazione, si è
ritenuto utile procedere ad una analisi in chiave comparatistica della dirigenza pubblica
in tre Paesi esemplari, di stampo anglosassone o più marcatamente europeo
continentale: gli Stati Uniti, patria per eccellenza dello spoils system, la Gran Bretagna
con le peculiarità del civil service e, infine, la Francia espressione dei grands commis
della l’haute fonction publique.
L’ordinamento degli Stati Uniti è quello in cui, almeno in una prima fase, si è
affermato in forma più esplicita il modello osmotico, quel paradigma organizzativo che
consente l’instaurarsi di un rapporto altamente fiduciario tra vertici politici ed alta
burocrazia.
In una prospettiva radicalmente opposta rispetto all’esperienza statunitense, si
pone il modello della separazione tra le due sfere, rintracciabile nella realtà inglese, che
assegna alla macchina burocratica la mera attuazione amministrativa della policy
definita dagli organi rappresentativi. Un modello basato sulla responsabilità ministeriale
e sulla neutralità politica del civil service.
Il sistema costituzionale francese si caratterizza, invece, per la presenza di un
forte legame tra ambito politico e sfera amministrativa, eppure la distinzione tra politica
e amministrazione – secondo il modello di interconnessione – costituisce “un principio
che non è mai stato formalmente messo in discussione e si rinviene addirittura nei
principi risalenti all’epoca rivoluzionaria” 64.
64
C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 27.
37
3.2 Lo spoils system negli Stati Uniti d’America
Il rapporto osmotico tra politica ed amministrazione si è principalmente
realizzato nell’ordinamento statunitense dove il “sistema delle spoglie”, introdotto dal
presidente Jackson intorno al 1829, ha goduto di un periodo di particolare fortuna per
circa un secolo, per poi essere progressivamente limitato, mantenendo, comunque,
ancora oggi, specifici ambiti di applicazione.
Nella realtà americana, lo spoils system, mutuato dall’espressione “to the victor
belong the spoils” 65 – nel senso che ai vincitori delle elezioni spettano le spoglie
costituite dai pubblici uffici – ha inteso caratterizzare una parte del personale
burocratico
di
stretta
estrazione
fiduciaria,
legandone
l’entrata
e
l’uscita
dall’amministrazione nella fase di avvicendamento di due diversi esecutivi, così da
garantire la rotazione degli incarichi ed evitare la creazione di una casta burocratica.
Certo è che lo spoils system, visto come saccheggio di tutti i posti possibili da
parte del partito vincitore, ha generato disfunzioni e scandali tali da indurre
l’amministrazione americana, durante il mandato del presidente Grant (1868-1877), a
dar vita ad una burocrazia professionale organizzata.
Da allora in poi, gli interventi normativi – a partire dal Civil Service Act del
1883 – hanno fortemente modificato l’accesso alla pubblica amministrazione americana,
rendendolo sempre più rigorosamente subordinato al merito e regolato da procedure
selettive, fino ad arrivare ai nostri giorni, in cui il sistema delle spoglie interessa solo
una ridotta parte degli incarichi 66, utili ad innestare nell’apparato burocratico tecnici
esterni destinati a ritornare agli ambienti professionali di provenienza alla fine del
mandato presidenziale, salvo riconferma da parte del nuovo capo dell’esecutivo. In base
al meccanismo di pesi e contrappesi che regolano l’ordinamento statunitense – c.d.
check and balances – alcune di queste nomine sono, poi, subordinate ad una conferma
65
Frase pronunciata da un senatore dello Stato di New York nel primo Ottocento, William Mercy.
66
Ogni quattro anni, a seguito delle elezioni presidenziali, viene pubblicato un rapporto dal titolo “United States
Government Policy and Supporting Position” (cd. PLUM Book) in cui è riportato il numero di posti assegnati con lo
spoils system. Secondo il PLUM Book 2008, i posti attribuiti con tale sistema sono circa 8000.
38
del Senato (advice and consent), che opera un attento vaglio dei candidati sotto il
duplice profilo della professionalità e della dirittura morale.
3.2.1 La valorizzazione dell’autonomia gestionale
L’esame del modello statunitense non può, comunque, prescindere da un breve
excursus del processo di new public management, di ispirazione aziendalistica, che ha
caratterizzato nell’ultimo trentennio la modernizzazione dell’amministrazione pubblica
di quel Paese e, più in generale, delle odierne democrazie occidentali.
E’ da premettere che “il modello burocratico americano si era sviluppato in
condizioni molto diverse da quelle che viviamo oggi. Era nato in una società con tempi
più lenti, nella quale i cambiamenti si susseguivano con un ritmo per nulla frenetico.
Era cresciuto in un’era di gerarchia, nella quale solo chi sedeva al vertice della piramide
disponeva delle informazioni sufficienti per poter prendere decisioni sensate. Si era
sviluppato in una società di persone che lavoravano con le mani, non con la mente” 67.
Questo scenario ha accompagnato, più o meno immutato, la burocrazia
americana fino al cambio di rotta degli anni ’80 e ’90 che, soprattutto dal punto di vista
strutturale, non ha tuttavia fatto tabula rasa dei sistemi amministrativi precedenti,
riconvertendone gradualmente l’impianto tradizionale.
Gli
organismi
designati
dal
governo
per
riorganizzare
la
pubblica
amministrazione (quali, ad esempio, le Commissioni Grace, Volcker e Gore) hanno
agito, soprattutto, sull’efficienza e sulla deregolamentazione delle procedure e delle
norme riguardanti la macchina burocratica federale 68.
Il primo segno del processo di rinnovamento, annunciato dal presidente Carter
nel discorso sullo stato dell’Unione del 1978, è il Civil Service Reform Act dello stesso
anno, che ha introdotto il Senior Executive Service (SES), sorta di grand corps alla
francese, composto dai tre livelli dirigenziali apicali reclutati con il sistema
67
D. OSBORNE e T. GAEBLER, Reinventing Government: How The Entrepreneurial Spirit is Transforming the
Public Sector, trad. It. “Dirigere e Governare, Garzanti, Milano 1995.
68
Cfr. V. ANTONELLI e A. LA SPINA, I dirigenti pubblici e i nodi del cambiamento – Scenari e prospettive in
Italia e in Europa, Luiss University Press, pag.122.
39
meritocratico e dai dirigenti a tempo determinato di nomina politica, che occupano le
posizioni nevralgiche dell’amministrazione e per i quali vigono sistemi di valutazione
standardizzati fondati sul merit pay sistem.
A partire da lì le spinte riformatrici della burocrazia americana sono proseguite
fino ai nostri giorni, e ogni presidente, sia esso di estrazione democratica o
repubblicana, le ha inserite nella propria agenda di riforme, senza però intaccare quanto
previsto nella richiamata legge di riforma del 1978 69.
Negli anni ‘80, durante l’era reaganiana, nonostante le numerose innovazioni
apportate attraverso l’introduzione nell’impianto burocratico di obiettivi collegati alla
performance, incentivi ed iniziative di formazione sulla modernizzazione degli
strumenti, non si è comunque approdati ad un chiaro ed organico modello gestionale in
grado di favorire lo sviluppo di una nuova cultura dell’amministrazione pubblica.
Anche il governo Clinton ha ripreso il processo di innovazione, aprendo una
stagione di riforme più sistematiche condotte negli anni ’90 dalla National Partnership
for Reinventing Government (NPRG) sulla base dei principi di reinvenzione 70. In
dettaglio, la revisione del paradigma organizzativo mirava al superamento della cultura
burocratico-formale (cosiddetta red tape) in favore di una nuova strategia per la
trasformazione dell’amministrazione in senso imprenditoriale.
Ne sono derivate una considerevole riduzione di agenzie federali e di personale
che appesantivano la macchina amministrativa nonché una maturazione della cultura
della performance, a vantaggio di partnership interistituzionali mirate ad ottenere
risultati, il consolidamento dell’uso di sistemi di valutazione e l’incremento delle
performance individuali.
Neppure la successiva amministrazione Bush ha modificato il cammino di
riforma tracciato da Clinton, recuperando i principi della reinvention, “benché intrisi
dei valori e dell’ideologia del precedente governo” 71, così come il primo mandato di
69
C. COLAPIETRO op. cit. pag. 20.
70
Principi formulati da D. OSBORNE e T. GAEBLER, op. cit, Dirigere e Governare, Garzanti, Milano 1995.
71
V. ANTONELLI e A. LA SPINA “I dirigenti pubblici e i nodi del cambiamento – Scenari e prospettive in Italia e
in Europa”, Luiss University Press, pag. 124.
40
Obama si è anch’esso connotato per una sostanziale prosecuzione del cammino di
rinnovamento amministrativo già tracciato dai suoi predecessori.
3.3 La neutralità della Gran Bretagna
Il modello della separazione tra politica ed amministrazione ha trovato la sua
naturale applicazione nel sistema britannico, che ricollega al popolo sovrano ogni
manifestazione di esercizio del potere, cosicchè i funzionari pubblici rispondono ai
Ministri, che rispondono al Parlamento che, a sua volta, risponde all’elettorato secondo
una ben precisa catena di responsabilità (chain of accountability).
In un simile sistema l’apparato amministrativo dipende dalla volontà dei
cittadini-elettori: quest’ultimi, scegliendo un determinato partito, si attendono che
l’attività amministrativa dello Stato sia conforme alle indicazioni da essi fornite. Così,
la legittimazione dell’operato della pubblica amministrazione si risolve e si ricollega
interamente al principio della sovranità popolare, “rifiutando la natura tecnocratica delle
scelte compiute per la tutela dell’interesse pubblico” 72.
Per garantire la continuità tra l’indirizzo politico generale e la gestione
amministrativa quotidiana, l’apparato burocratico deve riconoscere ai politici un potere
di scelta fiduciaria dei propri dirigenti e, al tempo stesso, assicurare l’esistenza e la
formazione di un corpo amministrativo neutro e imparziale in grado di servire
fedelmente qualsiasi compagine governativa, al di là di ogni personale motivazione
ideologica.
La formula della neutralità è quella recepita, dunque, nell’impianto britannico 73,
nel senso che il civil servant inglese è tenuto a mettere a disposizione del governo in
carica tutte le sue conoscenze, conservando l’anonimato e senza alcuna responsabilità
per l’attività amministrativa svolta, in quanto si presume che agisca sempre sulla base
delle indicazioni del ministro.
72
B. VALENSISE: Politica ed amministrazione: la dirigenza pubblica, in “Istituzioni, politica, amministrazione. Otto
paesi a confronto”, a cura di M. De Benedetto - Torino, Ed. Giappichelli pag. 2.
73
B. VALENSISE: op. cit., pag. 3.
41
L’imparzialità del funzionario è assicurata anche grazie ad una sostanziale
stabilità del posto di lavoro –
remunerato direttamente con fondi stanziati dal
Parlamento – sebbene esista un rapporto gerarchico con la Corona, tanto da ritenere il
civil servant licenziabile “at the pleasure of the Crown”. Da tale political impartiality
discendono ampie restrizioni ai diritti politici dei funzionari, quale il divieto di
iscrizione a partiti politici o di candidarsi alle elezioni, a differenza del sistema francese
che, come si vedrà più avanti, in diverse occasioni ha “prestato” burocrati di carriera
agli alti ranghi della politica 74.
Così nel modello inglese gli organi di direzione politica si astengono
dall’interferire sulla selezione e sullo sviluppo della carriera della burocrazia e
quest’ultima rinuncia ad impegnarsi direttamente in politica.
Si tratta, tuttavia, di una visione storicamente datata, in quanto in linea con
l’ordinamento del classico Stato liberale, “essenzialmente regolatore e poco
interventista in campo economico e sociale” che relega peraltro l’amministrazione, vista
come attività strettamente esecutiva, esente da discrezionalità ”, in un’assurda posizione
di “minorità” rispetto alla politica 75 . Una simile struttura si è rivelata nel tempo
palesemente inadeguata rispetto ai mutamenti della società, composta da una classe
dirigente “generalista”, scarsamente mobile e poco responsabile.
Per contrastare questo fenomeno, come si vedrà nel paragrafo successivo, il
Regno Unito negli ultimi decenni ha progressivamente adottato forme di temperamento
della separazione, ricorrendo anch’esso sia a nomine politiche, seppure confinate alle
figure di stretta collaborazione dei ministri, sia alla creazione di una classe dirigente
sempre più specializzata.
74
V. ANTONELLI e A. LA SPINA op. cit. pag. 117.
75
C. COLAPIETRO op. cit. pag. 155.
42
3.3.1. La modernizzazione della dirigenza pubblica britannica
A partire dagli anni ’80, su impulso del governo Thatcher, l’amministrazione
britannica è stata al centro di un processo riformatore che ha condotto ad una decisa
politica di riduzione del personale e di esternalizzazione di talune funzioni governative.
Dal 1988, infatti, una parte rilevante dei servizi pubblici, fino a quel momento
erogati da strutture ministeriali, sono stati affidati alle agenzie Next Steps, dotate di un
certo grado di autonomia e amministrate da chief executive officers direttamente
responsabili nei confronti del ministro competente. E’ indubbio che il conferimento di
funzioni esecutive ad organizzazioni autonome, specializzate e governate da manager
spesso provenienti dal settore privato, puntava ad incrementare il tasso di efficienza ed
efficacia dell’azione pubblica 76.
Anche il successivo governo Major ha proseguito nella stessa direzione, dando
ulteriore slancio al processo thatcheriano e incentivando – soprattutto nell’ambito degli
incarichi direttivi – forme di impiego flessibile, mobilità e indennità legate ai risultati
ottenuti.
Sotto il profilo, poi, del reclutamento del personale dirigenziale, nel 1996 è stato
formalmente istituito il Senior Civil Service – composto dai dirigenti di livello più
elevato, i consiglieri politici e gli amministratori più importanti – proprio nell’intento di
eliminare i mali che affliggevano l’amministrazione britannica e di disporre di personale
dotato di alte competenze e di un bagaglio culturale comune e condiviso.
Inoltre, è stata rafforzata notevolmente la possibilità per i dipartimenti e le
agenzie governative di reclutare personale specializzato, dotato di competenze adatte
alla tipologia del servizio pubblico svolto. Questa tendenza al decentramento del
reclutamento e alla ricerca di competenze specialistiche si è poi protratta anche durante i
successivi governi laburisti.
Per la selezione dei civil servants, fondamentale è, ancora oggi, il ruolo svolto
dalla Civil Service Commission, chiamata a monitorare il processo di reclutamento e a
76
V. ANTONELLI e A. LA SPINA op. cit. pag. 115.
43
garantire il mantenimento da parte delle amministrazioni di elevati standard qualitativi.
Per la formazione dei funzionari, invece, nel Regno Unito si è sempre privilegiata
l’istruzione professionale di tipo “interno”, mentre scarso successo hanno avuto scuole
di alta formazione simili all’ENA francese, verso le quali vi è stato sempre un approccio
cauto, se non scettico.
3.4 La haute fonction publique francese
Se per il modello britannico si è parlato di separazione, nell’ordinamento
francese va collocata l’esperienza dell’interconnessione, ovvero della distinzione tra
politica e amministrazione con formule di raccordo tra i due ambiti 77.
Per l’accesso alle cariche pubbliche si può innanzi tutto far riferimento
all’articolo 6 della Dichiarazione dei diritti dell’uomo e del cittadino, richiamata nel
preambolo della Costituzione del 1958, dove si prevede la parità di accesso di tutti i
cittadini sans autre distinction que celle de leurs vertus et leurs talents.
In Francia, le modalità di selezione e quelle di formazione costituiscono i due
capisaldi
dell’autonomia
amministrativa
rispetto
alla
politica.
Eppure,
solo
apparentemente si configura una scissione tra le due sfere, in quanto ai tradizionali
metodi di reclutamento di una burocrazia autonoma si affiancano altre vie di accesso ad
incarichi, conferiti discrezionalmente dal Governo, per i quali non è prevista alcuna
procedura concorsuale o comunque selettiva.
Il forte senso di appartenenza e l’alta professionalità dei rappresentanti della
haute fonction publique si fondano, dunque, sulla prestigiosa formazione assicurata
dalle grandes écoles (in particolare, l’Ecole Nationale d’Administration, l’Ecole
Polytechnique e l’Ecole Normale Supérieure) che consentono ai loro allievi, una volta
conclusa la formazione iniziale, l’immissione diretta all’interno dei grands corps,
creando un rapporto di indipendenza rispetto agli organi politici.
77
B. VALENSISE: op. cit. pag. 6.
44
Il fatto che lungo l’intera vita professionale i burocrati svolgano la loro attività
all’interno di questi corpi amministrativi (Ispettorato delle finanze, Consiglio di Stato,
Corte dei Conti, Corpo diplomatico, Corpo prefettizio) favorisce, certamente, la
formazione di una forte identità professionale e di rigorose regole deontologiche di
categoria, caratteristiche essenziali che dovrebbero garantire l’esercizio imparziale delle
funzioni amministrative, senza rischi di condizionamenti di ogni natura.
Ma il ruolo dei grandi corpi è talmente preponderante nel sistema amministrativo
francese da impadronirsi, a volte, di spazi riservati di regola alle istituzioni politiche.
Nel corso della legislatura 1997-2002, ad esempio, il governo Jospin era composto da
nove ministri enarchi, oltre allo stesso primo ministro che aveva fatto parte del corpo
diplomatico 78. A ciò aggiungasi che la V Repubblica annovera tra i suoi uomini di Stato
ben tre Presidenti (Valéry Giscard d’Estaing, Jacques Chirac e François Hollande) e
cinque Primi Ministri (Laurent Fabius, Michel Rocard, Edouard Balladur, Alain Juppé,
lo stesso Lionel Jospin e Dominique de Villepin).
Tuttavia, il prestigio delle grandes écoles negli ultimi anni si è offuscato per le
critiche manifestate dai cittadini e da alcuni schieramenti politici 79 in ordine ad una
diffusa scarsa managerialità e ad una insufficiente specializzazione del ceto dirigenziale
proveniente dai loro ranghi, tanto da stimolare più di un tentativo di riforma di queste
istituzioni.
3.4.1 L’apertura alla dirigenza pubblica francese
Infatti, ai tradizionali motivi sottesi alla spinta rinnovatrice che ha attraversato le
esperienze di stampo anglosassone, nel panorama francese se ne è aggiunto uno
ulteriore, riguardante la preparazione professionale e l’elevato elitarismo dei grandi
corpi e, in particolare, della classe dirigente formata dall’ENA.
78
V. ANTONELLI e A. LA SPINA op. cit., pag. 108.
79
Ad esempio, nel corso della campagna presidenziale del 2007, François Bayrou, candidato del partito MODEM
aveva espressamente previsto nel suo programma elettorale l’eliminazione dell’ENA.
45
Dunque, a bilanciare il mantenimento delle tradizionali condizioni di
indipendenza degli alti dirigenti nei confronti dei vertici politici sono intervenute
tendenze verso un nuovo paradigma manageriale pubblico, tradotto in un rafforzamento
dei livelli di accountability del dirigente, attraverso l’introduzione di sistemi formali di
valutazione delle prestazioni e di meccanismi retributivi premianti. La legge
costituzionale di riforma delle leggi finanziarie – la Loi Organique sur les Lois de
Finances, meglio conosciuta come LOLF – approvata nel 2003, ha in effetti cambiato il
ruolo della funzione pubblica francese, orientata non più ad amministrare risorse ma a
raggiungere obiettivi ben precisi.
Per arginare, poi, la solida chiusura del ceto dirigenziale, si è cercato di
intervenire soprattutto sui suoi sistemi di entrata, introducendo formule più
democratiche e aperte di accesso. Nel corso del 2004, per attrarre candidati con diverse
competenze, l’accesso all’ENA è stato ampliato in due direzioni, innalzando il limite di
età dei candidati ed aprendo la Scuola a tutti i Paesi dell’Unione Europea. In quello
stesso periodo la sede storica parigina della Scuola è stata traferita a Strasburgo, da un
lato per dare l’esempio e assecondare le riforme di decentramento amministrativo e,
dall’altro, nell’intento di ridimensionare la potente casta amministrativa 80.
Nel medesimo ambito, si inserisce anche la possibilità di nomina da parte del
governo di personale esterno alla pubblica amministrazione, in deroga al principio
concorsuale, in modo da assicurare una riserva più strettamente fiduciaria agli organi
politici, che sia in grado di ridimensionare l’influenza preponderante delle élite
burocratiche provenienti dall’ENA.
È il meccanismo del tour extérieur, esteso anche a tutti i corpi provenienti dalla
stessa Ecole, che consente di reclutare alti funzionari senza un previo concorso
pubblico.
Inoltre, al governo francese è consentito disporre discrezionalmente la nomina di
circa 700 tra le più importanti cariche burocratiche, secondo il meccanismo degli
emplois à la discretion ovvero à la decision du gouvernement. Già con decreto del
80
S. MADARO “Gli enarchi decentrati” in Instrumenta, anno 2006, n. 4, pag. 796.
46
1984, successivamente modificato, sono stati definiti alcuni aspetti legati all’esercizio di
tale potere di nomina: la procedura non prevede alcun concorso, né altra procedura
selettiva ed è riconosciuto un potere di revoca alla stessa autorità che vi ha proceduto.
Non va comunque sottaciuto che sovente la classe politica, anche per questo tipo
di nomine, ricorre ai dirigenti che già prestano servizio nei grands corps. Si tratta,
dunque, di un “meccanismo che presenta luci ed ombre: da un lato, non è dubitabile che
con esso si garantisca una maggiore dinamicità ed il rinnovamento della dirigenza
amministrativa, ma, dall’altro, trapela l’ovvia valenza politica che può assumere la
nomina degli alti dirigenti” 81, invadendo la sfera d’autonomia della burocrazia.
Infine occorre ricordare che il governo può assegnare discrezionalmente gli
incarichi presso i gabinetti ministeriali, paragonabili ai nostri uffici di diretta
collaborazione. Anche questi incarichi, per i quali è frequente il ricorso a soggetti
esterni all’amministrazione, costituiscono una sorta di zona grigia nella quale non è ben
netta la distinzione tra amministrazione e politica.
Evidentemente, il sistema di chiamata esterna non è rimasto esente da critiche in
quanto si espone al forte rischio di favorire, ai fini dell’accesso, soprattutto agli emplois
supérieurs, criteri di appartenenza politica a quelli di competenza, svilendo i tradizionali
caratteri di preparazione e di indipendenza degli alti funzionari francesi.
Risultano, per questo, più incoraggiate e diffuse le forme di mobilità del
personale, sia verso l’interno che verso l’esterno, tra cui figura il noto fenomeno del
pantouflage, ossia il passaggio, nei primi dieci anni di carriera, dal settore pubblico a
quello privato, e al successivo rientro nel posto di lavoro originario.
Al riguardo, una percentuale non troppo esigua di enarchi (circa il 20%)
preferiscono transitare nel settore privato ancor prima della fine dei loro studi, mettendo
a dura prova la tradizionale resistenza francese alla “americanizzazione della vita
economica”.
81
V. ANTONELLLI e A. LA SPINA op. cit., pag. 109.
47
*
*
*
In conclusione, la disamina delle tre esperienze ha mostrato, come peraltro
anticipato nel capitolo introduttivo, che lo stesso concetto di politicizzazione
dell’attività amministrativa, inteso quale intervento più o meno pregnante dell’autorità
politica negli affari amministrativi, si declina all’interno di questi Paesi con gradazioni
differenti e presenti caratteristiche peculiari tanto da rendere difficile l’assimilazione
integrale ai modelli teorici precedentemente illustrati.
Al di là delle similitudini e discordanze rintracciabili tra le differenti esperienze
giuridiche, il fil rouge che lega gli ordinamenti dei tre Paesi è senza dubbio la
progressiva trasformazione, in senso imprenditoriale, del ruolo della dirigenza
pubblica 82.
82
C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 152.
48
4. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE
COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO STATALE
4.1 Cenni generali: l’inquadramento giuridico
Come evidenziato nel precedente capitolo, il sistema dello spoils system ha
origine negli Stati Uniti, dove ad ogni cambio di governo, il presidente neo eletto
riempiva i ranghi più alti delle amministrazioni con propri fiduciari, scelti anche
secondo il criterio di ricompensare l’appoggio concesso nel corso della campagna
elettorale 83.
Ciò comportava una forte politicizzazione della gestione del personale pubblico,
determinando, in particolare, un pervasivo controllo presidenziale sull’intera attività
amministrativa federale. Tale sistema è stato, per un certo periodo, considerato come il
modo migliore per perseguire il pubblico interesse e realizzare il principio democratico,
in quanto consentiva di “esaltare la rappresentatività degli organi politici con diretta
legittimazione elettiva” 84.
Ricollegandosi, poi, all’excursus storico – delineato nel capitolo introduttivo –
sull’evoluzione legislativa che ha interessato la dirigenza pubblica nel nostro Paese, si
ritiene utile puntualizzarne alcuni aspetti che aiutano a meglio comprendere il
meccanismo dello spoils system nel nostro ordinamento.
Il D.P.R. 748/1972 aveva istituito la dirigenza statale, articolandola in tre livelli
e sancendo il principio dell’accesso ad essa mediante corso-concorso, al fine di
aumentare l’autonomia dei dirigenti del vertice politico e di incrementare l’efficienza
dell’amministrazione 85.
Ai dirigenti veniva, quindi, riconosciuta un’autonoma competenza nell’adozione
dei provvedimenti e nella stipulazione dei contratti, attribuendo ad essi, per la prima
83
Cfr. M. CLARICH, Una rivincita della dirigenza pubblica nei confronti dello strapotere della politica a garanzia
dell’imparzialità della pubblica amministrazione, in rivista Nel Diritto.it.
84
Cfr. G. D’IGNAZIO, Politica e Amministrazione negli Stati Uniti d’America. Lo Stato Amministrativo fra
Costituzione, leggi, giudici e prassi, Milano, Giuffrè 2004, pag.32 ss.
85
Cfr. Per una ricostruzione della vicenda del modello cavouriano, V.S. SEPE, Amministrazione e Storia, Rimini,
1995, pp. 39-40. Sul punto cfr.C. COLAPIETRO, op. cit. pagg. 388-389.
49
volta, la responsabilità per i risultati conseguiti. Di fatto, nulla mutò in ordine alla
permanenza del rapporto gerarchico tra ministro e dirigenti, in quanto in capo al
ministro era ancora riservato il potere di annullamento degli atti dirigenziali per motivi
di legittimità e, principalmente, il potere di emanare provvedimenti di revoca e di
riforma.
Non solo, il D.P.R. 748/1972, pur affermando la piena responsabilità del
dirigente, lasciava inalterata la sostanziale garanzia di inamovibilità dello stesso,
svilendo e rendendo poco incisiva qualsiasi azione di controllo sul suo operato. Inoltre,
l’accesso alla dirigenza continuava ad essere basato sul criterio dell’anzianità, con
scarsa autonomia decisionale dei dirigenti e confusione nei rapporti tra autorità politica
e vertici burocratici 86.
E’ solo con il D.Lgs. 29/1993 che viene introdotto il principio della scissione tra
direzione politica e gestione amministrativa, la prima attribuita all’autorità politica,
l’altra ai dirigenti connotati da una specifica e autonoma responsabilità per il
perseguimento o meno degli obiettivi prefissati. Infatti, l’art. 3 del D.Lgs. 29/1993
riserva al ministro il solo potere di indirizzo e coordinamento sulla base
dell’individuazione degli obiettivi generali e dei programmi da porre in essere, oltre alla
verifica della corrispondenza dei risultati dell’attività espletata; secondo la norma, ai
dirigenti spetta la completa gestione finanziaria, tecnica e di controllo, cioè in definitiva
la possibilità di adottare tutti gli atti che impegnano l’amministrazione verso l’esterno.
Il principio di separazione tra politica e amministrazione ha un effetto molto
forte sull’assetto delle relazioni interorganiche del sistema amministrativo tra dirigenza
ed organo di governo; infatti, non sussiste più un rapporto di tipo gerarchico, che
implicava il potere di ingerenza concreta da parte del ministro nell’attività dell’organo
sottordinato, bensì una forma di sopraordinazione meno intensa, inquadrabile nella
direzione, intesa come potere di indicare le linee programmatiche entro le quali il
dirigente può muoversi autonomamente.
86
Cfr. E. GUALMINI, op. cit., p.402- Per una valutazione delle ragioni del mancato decollo della riforma della
dirigenza nel 1972. Cfr.S. SEPE, op. cit., pagg. 91-95.
50
Il sistema delineato dal D.Lgs. 29/1993 è stato successivamente modificato dai
decreti legislativi 80/1998 e 387/1998, attuativi della c.d. legge Bassanini (L. 59/97),
che ha esteso la privatizzazione anche ai dirigenti generali, stabilendo più chiaramente il
principio di distinzione tra il potere politico-amministrativo e i poteri di
amministrazione concreta.
In particolare, attraverso le richiamate leggi, viene sancito il regime della
temporaneità degli incarichi dirigenziali, la cui durata non è più sine die ma va da un
minimo di due anni, ad un massimo di sette, salvo rinnovo.
Con il D.Lgs. 80/1998 viene poi prevista la possibilità che, entro determinate
percentuali, un incarico di livello superiore possa essere assegnato ad un dirigente di
qualifica inferiore ed addirittura che un incarico dirigenziale, di qualunque livello,
venga attribuito ad un estraneo all’amministrazione, in possesso di specifiche qualità
professionali. In tal modo, si viene a realizzare una vera e propria frattura tra rapporto di
impiego e rapporto organico 87.
Infine, è stabilito che gli incarichi di vertice (Segretario generale, Capo
Dipartimento ed equivalenti) possono essere confermati, revocati, modificati o
rinnovati, entro 90 giorni dal voto sulla fiducia di governo, decorsi i quali il silenzio
equivale a conferma fino alla data di naturale scadenza.
Le citate disposizioni normative sono tutte integralmente confluite nel T.U. sul
pubblico impiego (D.Lgs. 165/2001), recante la codificazione della normativa sul
rapporto di lavoro con la pubblica amministrazione. L’incarico dirigenziale viene
conferito con un provvedimento amministrativo, detto anche di alta amministrazione,
nel quale sono determinati l’oggetto dell’incarico e gli obiettivi da conseguire.
L’amministrazione conferisce gli incarichi dirigenziali nell’esercizio di un
proprio potere autoritativo, fondando la scelta su un rapporto di esclusiva natura
fiduciaria, tra quanti siano in possesso dei prescritti requisiti di legge, dotandosi così di
un apparato dirigenziale strumentale all’azione politica.
87
Cfr. per un inquadramento generale, LISO, La privatizzazione dei rapporti di lavoro nelle pubbliche
amministrazioni, in Scritti in memoria di D’ANTONA, Vol. III, Giuffrè, 2004.
51
In questo quadro di profonda trasformazione della dirigenza pubblica interviene
la L. 145/2002. Viene previsto uno spoils system più marcato per gli incarichi
dirigenziali di vertice, i quali sono destinati a cessare dopo 90 giorni dal voto di fiducia
al nuovo governo, eliminando in tal modo la conferma tacita, e si estende l’applicazione
della
norma
agli
incarichi
dirigenziali
assegnati
a
personale
esterno
all’amministrazione 88.
La suindicata legge introduce, inoltre, il meccanismo del cd. “spoils system una
tantum”, che prevede, in sede di prima applicazione, la cessazione generalizzata ed
automatica degli incarichi dirigenziali (anche non apicali). La cessazione dall’incarico si
determina, dunque, ex lege, senza alcuna possibilità di controllo giurisdizionale, non
richiedendo la legge alcun obbligo di motivazione, né alcun contradditorio con
l’interessato.
Tale cessazione, infatti, non avviene in relazione alla valutazione oggettiva dei
risultati ottenuti dal dirigente, ma solo in ragione della determinazione politica di
“svuotare” i ruoli dirigenziali esistenti per provvedere alla nomina di nuovi dirigenti
secondo criteri di sintonia politica 89.
Successivamente, il D.L. 262/2006, convertito nella L. 24 novembre 2006, n.
286, ha apportato profonde rimodulazioni al meccanismo sia dello spoils system a
regime che dello spoils system transitorio. Per quanto riguarda il primo, viene prevista la
cessazione automatica degli incarichi dirigenziali allo scadere dei 90 giorni dal cambio
di governo, non solo per gli incarichi apicali, ma anche per quelli dirigenziali sia
generali che inferiori affidati a dirigenti di altre pubbliche amministrazioni, nonché a
personale esterno all’amministrazione. In ordine allo spoils system transitorio, viene
stabilito che gli incarichi conferiti prima del 17 maggio 2006 cessano, se non
confermati, entro 60 giorni dalla data di entrata in vigore del decreto.
88
Cfr. B. GUY PETERS, La Pubblica amministrazione, cit. pp. 121-129, V. CERULLI IRELLI, Lineamenti di
diritto amministrativo, cit. p.185. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 403.
89
Cfr. F. LOGIUDICE, G. NERI, La Dirigenza Pubblica: lo spoils system dalla giurisprudenza costituzionale alla
recente manovra d’estate, in articolo 20-10-2010.
52
Inoltre, sempre nel corso del 2006, il legislatore con D.L. 18 maggio 2006, n.
181 ha introdotto una speciale forma di spoils system per le figure di staff, secondo la
quale all’atto del giuramento del ministro, tutte le assegnazioni di personale, ivi
compresi gli incarichi anche di livello dirigenziale, le consulenze ed i contratti, anche a
termine, conferiti nell’ambito degli uffici di diretta collaborazione, decadono
automaticamente ove non confermati entro 30 giorni dal giuramento del nuovo ministro.
4.2 Il bilanciamento degli interessi tra imparzialità e fiduciarietà nel quadro
costituzionale
Gli articoli 97 e 98 Cost. assegnano alla pubblica amministrazione un ruolo
fondamentale per la democrazia, riconoscendole caratteristiche tali da concorrere ad
esprimere l’essenza dello stato di diritto.
L’apparato burocratico, destinato a dare concreta attuazione alle scelte politiche
del governo, per definizione costituzionale, ha caratteri di: professionalità (agli uffici
pubblici, e non solo a quelli iniziali, si accede in base al merito, con procedure selettive,
non per scelta libera e immotivata), esclusività (i pubblici dipendenti sono all’esclusivo
servizio della Nazione), produttività nel pubblico interesse (perseguire interessi privati
costituisce reato), imparzialità, legalità e indipendenza.
I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione (art. 98 Cost.) 90.
Anche se la Costituzione non pone in maniera espressa il principio di
separazione tra politica e amministrazione, l’idea di amministrazione che il costituente
cerca di delineare è quella di un apparato autonomo dalla politica e dotato di funzioni e
responsabilità proprie 91.
Sia l’una che l’altra di tali norme si pongono, infatti, come corollari naturali
dell’imparzialità, in cui viene ad esprimersi la distinzione tra l’azione di governo che,
nelle democrazie parlamentari, è normalmente legata agli interessi di una parte politica,
espressione delle forze di maggioranza e l’azione dell’amministrazione che,
90
Cfr. Sentenza n. 3276, emessa in data 8 aprile 2003 dal Tar Lazio, Sezione II – Ter.
91
Cfr. A. PATRONI GRIFFI, op. cit. p. 67. Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. 49.
53
nell’attuazione dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire
senza distinzioni di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche
obbiettivate dall’ordinamento.
E’ difatti compito della pubblica amministrazione, intesa quale apparato
burocratico, dare attuazione all’indirizzo e alle scelte di fondo degli organi politici,
compito che deve essere realizzato da una posizione di indipendenza operativa, che
comprende l’elezione dei mezzi da utilizzare e la valutazione della loro idoneità a
raggiungere i fini in modo imparziale e nel rispetto delle regole costituzionali.
Il principio d’imparzialità stabilito dall’art. 97 Cost. unito quasi in endiadi con
quelli della legalità, del buon andamento dell’azione amministrativa, dell’equilibrio e
della sana gestione finanziaria, costituisce, pertanto, un valore essenziale cui deve
uniformarsi, in tutte le sue diverse articolazioni, l’organizzazione dei pubblici poteri.
Partendo dall’assunto che indirizzo politico ed attività amministrativa possono
essere tendenzialmente distinti, ma non nettamente separati, attesa la loro stretta
continuità, si può parlare oggi di un’amministrazione policentrica, con garanzie di
indipendenza nei confronti del governo, ma da questi non staccata, dove lo stesso
concetto di responsabilità ministeriale di cui all’art. 95 Cost. deve essere rivisto in modo
meno rigido, nel senso, cioè, di responsabilità politica complessiva per tutti gli atti di
quel ramo di amministrazione, da chiunque emanati e come responsabilità più specifica
per quanto rientrante nelle sue attribuzioni 92.
Gli articoli 95 e 97 Cost. sono espressione, pertanto, di una stretta continuità fra
attività politica e attività amministrativa tesa a garantire l’unità di indirizzo, senza
pregiudicare l’attribuzione di autonomi poteri e responsabilità alla burocrazia.
4. 3 Lo spoils system nella giurisprudenza costituzionale
Nel travagliato rapporto tra l’imparzialità dell’amministrazione e la sua
soggezione all’indirizzo politico, si frappone la legge che interviene, da un lato, per
92
C. D’ORTA, La riforma della dirigenza: dalla sovrapposizione alla distinzione fra politica e amministrazione, cit.
p. 1615, L. CARLASSARE, Amministrazione e potere politico, cit. p. 171, C. COLAPIETRO, op. cit.. 169.
54
consentire al potere politico di impartire le direttive dell’azione amministrativa e
dall’altro, per assicurare al funzionario, le cui competenze e responsabilità sono dalla
stessa legge garantite, il necessario margine di autonomia nei confronti del potere
politico che è condizione essenziale dell’imparzialità 93.
In questa direzione si è sviluppata nel tempo, tra riforme e controriforme, la
legislazione sulla dirigenza pubblica ed in particolare, la disciplina relativa agli incarichi
dirigenziali, che ha perseguito soprattutto la strada dello spoils system, in omaggio allo
“spirito del maggioritario”, nel tentativo di rafforzare la distinzione tra politica e
amministrazione, con esiti peraltro insoddisfacenti e, comunque, inidonei ad assicurare
realmente quell’obiettivo. Nel nostro Paese il sistema delle spoglie è stato, infatti,
stravolto, determinando una vera e propria situazione di servilismo della dirigenza al
politico di turno, con il conseguente aumento del clientelismo nell’amministrazione e
degli oneri a carico della finanza pubblica.
Tale meccanismo ha inizialmente avuto l’avallo della stessa Corte Costituzionale
che solo con la sentenza n. 103/2007 ha affermato alcuni principi fondamentali per
porre fine ad una eccessiva e distorta fidelizzazione della dirigenza al vertice politico e
garantire, invece, quella indipendenza funzionale al buon andamento e all’imparzialità
dell’azione amministrativa.
Molto articolato e complesso è stato l’iter giurisprudenziale costituzionale che
ha determinato parzialmente la bocciatura dello spoils system. Appare, quindi,
opportuno ripercorrere le tappe significative di tale percorso.
Con sentenza n. 313 del 25 luglio 1996, la Corte Costituzionale, nel rigettare le
censure avverso la privatizzazione del rapporto di lavoro dei dirigenti, ha escluso che la
Costituzione riservi ai dipendenti pubblici la garanzia di stabilità e inamovibilità
prevista per i magistrati, significando che la riforma di cui al D.Lgs. 29/1993 ha
realizzato un bilanciamento tra imparzialità e buon andamento dell’attività
amministrativa, in quanto risultano sottratti alla contrattazione gli aspetti ordinamentali
93
C. COLAPIETRO, op. cit. 170.
55
e funzionali della dirigenza, lasciando invece allo spazio negoziale solo il trattamento
economico 94.
Nel 2002 con ordinanza n. 11, la Corte Costituzionale, chiamata a giudicare
della legittimità dell’estensione della privatizzazione del rapporto di impiego ai dirigenti
generali, ha escluso la violazione dei principi di imparzialità e buon andamento,
rilevando come il conferimento e la revoca degli incarichi dei dirigenti generali siano
connotati da “specifiche garanzie”, mirate a presidiare il rapporto di impiego dei
dirigenti generali, la cui stabilità non implica necessariamente anche stabilità
dell’incarico, che, proprio al fine di assicurare il buon andamento e l’efficienza
dell’amministrazione pubblica, può essere soggetto alla verifica dell’azione svolta e dei
risultati perseguiti 95.
Successivamente, nel 2006, la Corte Costituzionale ha confermato la legittimità
del criterio dello spoils system, anche se in relazione alla dirigenza regionale, nella
forma della decadenza anticipata per gli incarichi dirigenziali apicali che implicano un
rapporto fiduciario, in quanto la scelta si fonda su valutazioni personali coerenti con
l’indirizzo politico regionale e, pertanto, tese a rafforzare la coesione tra politica ed
amministrazione 96.
In seguito, nel 2007, la Corte Costituzionale, nuovamente investita della
legittimità delle disposizioni concernenti lo spoils system, ritorna sui propri passi ed
effettua una netta inversione di tendenza.
Con la sentenza n. 103, infatti, la Corte Costituzionale ha dichiarato
l’illegittimità costituzionale dell’applicazione del sistema delle spoglie cd. “una
tantum”, introdotto dalla L. 145/2002, in quanto l’interruzione automatica del rapporto
di ufficio, prima della sua scadenza naturale ed in carenza di garanzie procedimentali,
94
Cfr. Sentenza n. 313 del 25 luglio 1996.
95
Cfr. Ordinanza della Corte Costituzionale n. 11 del 30 gennaio 2002.
96
Cfr. F. LOGIUDICE, G. NERI, op. cit. pag. 6.
56
viola il principio di continuità dell’azione amministrativa che è strettamente correlato a
quello di buon andamento dell’azione stessa, tutelato dagli artt. 97 e 98 Cost. 97.
L’incarico dirigenziale non può, pertanto, essere revocato automaticamente,
senza che vi sia stato un giusto procedimento all’interno del quale, nell’ambito di un
confronto dialettico, l’amministrazione è tenuta ad esternare le ragioni per le quali
ritiene di dover interrompere il rapporto prima della scadenza contrattuale, consentendo
al dirigente di prospettare i risultati delle proprie prestazioni e delle competenze
organizzative esercitate per il raggiungimento degli obiettivi posti dall’organo politico
ed individuati nel contratto a suo tempo stipulato.
La revoca di funzioni legittimamente conferite può essere, infatti, conseguenza
solo di un’accertata responsabilità dirigenziale, in presenza di determinati presupposti e
all’esito di un procedimento di garanzia puntualmente disciplinato, né, d’altro canto, è
configurabile in capo alla pubblica amministrazione il potere di recedere liberamente
dal rapporto, in quanto si verrebbe ad instaurare uno stretto legame fiduciario tra le
parti, che non consentirebbe ai dirigenti generali di svolgere in modo autonomo ed
imparziale la propria attività gestoria 98.
Sulla stessa linea si muove la successiva pronuncia n. 104 del 28 marzo 2007
con la quale la Corte Costituzionale – come si vedrà più dettagliatamente nel successivo
capitolo – ha dichiarato l’illegittimità di una legge regionale nella parte in cui prevedeva
che i Direttori generali delle AA.SS.LL. decadessero il novantesimo giorno successivo
alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse modalità
previste per la nomina. Secondo la Corte Costituzionale il rinnovo del Consiglio
regionale è un evento indipendente dal rapporto tra organo politico e una figura tecnicoprofessionale, una causa estranea alle vicende del rapporto stesso che comporta la
cessazione dell’incarico senza una valutazione dei risultati aziendali e del
97
Sul punto, cfr. N. DURANTE, Spoils system e dirigenza pubblica in Federalismi.it, pag. 9.
98
Cfr. C. SILVESTRO e F. SILERI, Dirigenti esterni e spoils system, in Giornale di diritto amministrativo,
n.1/2009, pag. 25.
57
raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute e di funzionamento dei servizi
conseguiti dal dirigente 99.
Successivamente, la Corte Costituzionale è stata nuovamente chiamata a
pronunciarsi sulla legittimità del D.L.30 ottobre 2006, n. 262, nella parte in cui
prevedeva un’ipotesi di cessazione anticipata-non automatica, bensì subordinata al
potere di conferma dell’organo politico, dall’incarico di dirigenti esterni dipendenti da
altre amministrazioni.
Anche in questo caso, è stata dichiarata l’incostituzionalità della norma, per
violazione dei principi di buon andamento ed imparzialità, sulla scorta del richiamo alle
motivazioni della pronuncia n. 103 del 2007.
Anche per i dirigenti esterni il rapporto di lavoro instaurato con
l’amministrazione che attribuisce l’incarico deve essere connotato da specifiche
garanzie, le quali presuppongono che esso sia regolato in modo tale da assicurare la
tendenziale continuità dell’azione amministrativa e la chiara distinzione funzionale tra i
compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di gestione.
A nulla rileva, poi, il potere di conferma dell’organo politico da esercitarsi entro
60 giorni, atteso che dalla mancata conferma la legge fa derivare la decadenza
automatica dell’incarico, senza alcuna possibilità di controllo giurisdizionale.
Nella decisione n. 351 del 24 ottobre 2008, la Corte Costituzionale – come si
puntualizzerà nel prossimo capitolo – ha osservato che forme di riparazione economica
non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela degli
interessi collettivi lesi da atti illegittimi di rimozione dei dirigenti amministrativi.
Il lungo iter costituzionale sullo spoils system è, poi, proseguito anche nel 2010
con la sentenza n. 81 del 5 marzo 2010, con la quale è stata dichiarata l’illegittimità
della decadenza automatica ex lege dagli incarichi dirigenziali conferiti a persone
99
Sul punto cfr. C. PINELLI, Il buon andamento dei pubblici uffici e la sua supposta tensione con l’imparzialità. Un’
indagine sulla recente giurisprudenza costituzionale, in scritti in onore di Alberto Romano, pag. 719.
58
estranee all’amministrazione, ai sensi del D.Lgs. 165/2011, perché in contrasto con gli
artt. 97 e 98 Cost.
Secondo la Corte Costituzionale, anche per questa tipologia di incarichi, il
rapporto di lavoro instaurato con l’amministrazione deve essere assistito da specifiche
garanzie in modo da assicurare la continuità dell’azione amministrativa e la chiara
distinzione funzionale tra i compiti di indirizzo politico-amministrativo e quelli di
gestione.
Da ultimo, la Corte Costituzionale, con sentenza del 25 luglio 2011, n. 246, ha
dichiarato l’illegittimità costituzionale anche del meccanismo “a regime”, previsto dal
decreto legge n. 262/2006, della cessazione anticipata del rapporto di ufficio, quale
effetto automatico del mutamento di governo, applicabile ad incarichi dirigenziali,
anche non apicali, conferiti a persone di particolare e comprovata qualificazione
professionale, non rinvenibile nei ruoli dell’amministrazione.
La Corte Costituzionale si è pronunciata anche sulla questione di legittimità
costituzionale della disposizione introdotta con l’art. 1 del D.L. 181/2006, riguardante la
decadenza degli incarichi di diretta collaborazione con il ministro (ccdd. Uffici di staff).
Con sentenza n. 304 del 28 ottobre 2010, è stata però dichiarata infondata la
questione, in quanto detti uffici realizzano un’attività strumentale rispetto a quella
esercitata dal ministro, collocandosi, sulla base di un rapporto strettamente fiduciario, in
un ambito organizzativo riservato all’attività politica, con compiti di supporto delle
stesse funzioni di governo e di raccordo tra queste e quelle amministrative di
competenza dei dirigenti.
4.4. Lo spoils system nella riforma Brunetta
In linea con le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, da ultimo sulla
materia, è intervenuta la cd. “riforma Brunetta” (L. 150/99), che ha procedimentalizzato
la revoca degli incarichi, vincolandola alla sola ipotesi di acclarato non raggiungimento
59
dei risultati da parte del dirigente e ha introdotto l’obbligo di congrua motivazione per il
caso di mancata conferma del medesimo 100.
Nel contempo, la richiamata legge ha ripristinato il meccanismo di automatica
cessazione degli incarichi dirigenziali di vertice (Segretario generale, Capo
Dipartimento ed equivalenti) decorsi 90 giorni dal voto sulla fiducia al Governo, in
ragione della stretta connessione con l’organo politico.
Al riguardo, autorevole dottrina sostiene che non è detto che tale sistema sia in
grado di resistere, nel futuro, al vaglio della Corte Costituzionale, tenuto conto dei
principi sanciti dalla citata giurisprudenza costituzionale, nonché dei possibili profili di
illegittimità della norma, per violazione dell’art. 3 della Costituzione, in quanto
verrebbe a configurarsi per la dirigenza apicale un trattamento giuridico deteriore
rispetto alle altre.
*
*
*
Alla luce delle citate sentenze della Corte Costituzionale si può parlare di un
riscatto della dirigenza pubblica da un ruolo troppo subalterno all’organo politico, a
garanzia dell’imparzialità della pubblica amministrazione, senza per questo prefigurare
il ripristino del vecchio modello dei megadirettori generali inamovibili, in grado di
contrastare le finalità dei ministri di turno. Il principio della distinzione tra politica ed
amministrazione assegna, comunque, ai politici, la cui legittimazione discende dai
meccanismi della rappresentanza democratica, il compito di dettare le direttive e di
valutare ex post, con tutte le garanzie del caso, i dirigenti in relazione ai risultati
effettivamente perseguiti.
Il principio della primazia della politica, rettamente inteso, non è in discussione.
Ciò che si vuole evitare è che all’interno di una Costituzione democratica, in
base alla quale al potere si alternano i partiti politici, l’amministrazione si trasformi in
“un’amministrazione di partiti” 101.
100
Sull’evoluzione della giurisprudenza della Corte Costituzionale sul tema dello spoils system, si veda anche V.
CERULLI IRELLI, Lineamenti del diritto amministrativo, pag. 185. N. DURANTE, op. cit. pag. 10.
60
Nel bilanciamento tra imparzialità e fiduciarietà nell’ambito della disciplina
degli incarichi dirigenziali, la giurisprudenza costituzionale è ormai consolidata, nel
ritenere che il sistema dello spoils system possa essere considerato conforme al dettato
costituzionale soltanto laddove sia riferito a posizioni dirigenziali apicali, di stretta
strumentalità rispetto al vertice politico e del cui supporto questi si avvale per svolgere
l’attività di indirizzo politico-amministrativo; viceversa, sono considerati illegittimi quei
meccanismi di spoils system relativi ad incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio
di funzioni amministrative e gestionali di esecuzione dell’indirizzo politico, i quali
richiedono piuttosto il rispetto del dovere di neutralità e devono essere connotati da
specifiche garanzie, in modo tale da assicurare una tendenziale continuità dell’azione
amministrativa ed una chiara distinzione funzionale di compiti e delle relative
responsabilità tra l’organo di governo e la dirigenza 102. Al fine di assicurare
l’imparzialità ed il buon andamento amministrativo, tenuto conto di quelle che sono le
indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale, risulta, pertanto, fondamentale il rispetto
di certe condizioni, quali:
-
la durata non irragionevolmente breve degli incarichi dirigenziali
-
la sottoposizione dei conferimenti e delle revoche degli incarichi al riscontro
della sussistenza di requisiti di professionalità e dei risultati ottenuti
-
l’osservanza delle regole sottese al principio del giusto procedimento.
In coerenza con tale impostazione, si può affermare che il meccanismo dello
spoils system, sotto il profilo oggettivo, vale a dire del tipo e livello di incarico
conferito, è illegittimo se riferito a incarichi dirigenziali che comportino l’esercizio di
compiti di gestione, cioè di funzioni amministrative di esecuzione dell’indirizzo
politico, mentre risulta costituzionalmente legittimo quando riferito a posizioni apicali
del cui supporto l’organo di governo si avvale per svolgere l’attività di indirizzo politico
amministrativo.
101
Sul punto Cfr. M. CLARICH, op. cit.
102
Sul punto Cfr. C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 170.
61
Sotto il profilo soggettivo, cioè della provenienza del titolare dell’incarico, la
Corte Costituzionale ha precisato che “la natura esterna dell’incarico non costituisce un
elemento in grado di diversificare in senso fiduciario il rapporto di lavoro dirigenziale,
che deve rimanere caratterizzato, sul piano funzionale, da una netta e dichiarata
separazione tra attività di indirizzo politico-amministrativo e funzioni gestorie. Sotto il
profilo dell’efficacia nel tempo, il meccanismo deve operare a regime, essendo destinato
a trovare applicazione in occasione di ogni futuro avvicendamento di Governo” 103.
La Corte Costituzionale ha, dunque, tracciato delle linee ben marcate e precise
nel rapporto tra politica e amministrazione, sottolineando come i principi costituzionali
dell’imparzialità, del buon andamento e della continuità dell’azione amministrativa,
esigano, con riferimento agli incarichi dirigenziali, il rispetto di determinate condizioni,
quali l’attuazione di un sistema di revoca degli incarichi di tipo sanzionatorio, a fronte
di un’accertata responsabilità per il mancato conseguimento degli obiettivi prefissati,
nell’ambito di un giusto procedimento.
Sono aspetti questi che, comunque, richiedono un intervento legislativo volto ad
attualizzare, sotto il profilo normativo, quanto rimarcato dalla Corte Costituzionale,
attraverso un meccanismo strutturato di verifica oggettivo e funzionale e, soprattutto,
non lasciato alla mercé della politica, avendo come unico obiettivo quello di favorire
l’efficientismo nella gestione della cosa pubblica.
103
C. COLAPIETRO op. cit. pag. 171.
62
5. LO SPOILS SYSTEM ALLA LUCE DELLE SENTENZE DELLA CORTE
COSTITUZIONALE NELL’ORDINAMENTO REGIONALE
5.1 Cenni generali
La riforma del Titolo V della Costituzione 104
ha consentito al legislatore
regionale, sulla base della nuova attribuzione della competenza legislativa residuale, di
regolamentare in materia di ordinamento e organizzazione amministrativa,
come
sancito dal combinato disposto dei commi 2, 3 e 4 dell’art. 117 Cost.
Invertendo il precedente criterio di riparto, alle Regioni, competenti per tutte le
materie non espressamente riservate allo Stato, è stata riconosciuta una potestà di
autordinamento a mezzo di statuti e regolamenti (art.114, comma 2, e art. 117, comma
6, Cost.), rimanendo, invece, nell’esclusiva spettanza del legislatore statale solo la
disciplina dell’ordinamento e dell’organizzazione amministrativa dello Stato e degli
enti pubblici nazionali.
Le Regioni hanno così cominciato, sia in occasione dell’approvazione dei nuovi
Statuti, sia attraverso la propria attività legislativa ordinaria, a darsi un’autonoma
disciplina della propria dirigenza, prevedendo, per le nomine dei dirigenti posti alla
guida di enti o dei soggetti facenti parte della struttura amministrativa della Regione, il
presupposto dell’esistenza di un legame fiduciario tra essi e la Giunta o, comunque, il
vincolo, più o meno forte, dell’adeguamento all’indirizzo politico della Regione stessa.
Questo contesto normativo dà luogo alla “positivizzazione” di meccanismi di
spoils system, che prevedono la cessazione automatica dell’incarico dirigenziale affidato
in concomitanza del mutamento della compagine politica di maggioranza.
La contiguità o, per meglio dire, il vincolo fiduciario tra “politici” e “tecnici”,
valutato negativamente come espressione di clientelismo e asservimento della dirigenza
regionale alla parte politica pro-tempore al potere, ha posto dubbi sulla legittimità della
relativa normativa con riferimento ai principi dell’ordinamento ormai consolidati che
104
Legge costituzionale 18 ottobre 2001 n.3 .
63
richiedono, per tali nomine, selezioni comparative, sulla base di parametri oggettivi
improntati alla meritocrazia e, per altro verso, la separazione della guida politica dalla
gestione dell’amministrazione con la conseguente autonomia della dirigenza.
Si considera anche che con tale prassi si introduce nell’organizzazione
amministrativa un elemento di precarietà in contrasto con il sistema della durata
predeterminata dell’incarico e della revoca o conferma di esso unicamente in base alla
verifica del raggiungimento dei risultati da parte del dirigente.
L‘introduzione nell’ordinamento regionale dello spoils system è stata,
comunque, molto controversa, - come peraltro nella legislazione statale esaminata nel
precedente capitolo - in quanto lo specifico potere di autorganizzazione riconosciuto ha
dovuto trovare necessariamente una coerente collocazione all’interno del sistema
generale della pubblica amministrazione, come delineato dalla Costituzione nella parte
relativa a tale tema ordinamentale.
L’applicazione di quell’istituto non poteva che essere correlata al rispetto dei
principi di “buon andamento” e di “imparzialità” della pubblica amministrazione e di
continuità dell’azione amministrativa (artt. 97 e 98 Cost.), apparendo del tutto evidente
che, attraverso la previsione di nomine fidelizzate, o, anche solo, vincolate alle sorti
dell’esecutivo, potevano risultare minate tanto la continuità e l’efficacia quanto
l’autonomia dell’attività dirigenziale.
Ed è per questo che la previsione della decadenza automatica degli incarichi
dirigenziali, in deroga ai principi costituzionali
che connotano in via generale il
pubblico impiego, ha generato un ampio contenzioso, alimentato dai giudici di merito
che, in diverse occasioni, hanno sollevato questioni di legittimità costituzionale
relativamente a norme regionali che ne contenevano la disciplina.
Come si vedrà nel paragrafo che segue, dedicato all’esame di alcune delle più
significative pronunce della Corte Costituzionale sul tema, la Consulta è intervenuta per
enunciare i principi di carattere generale che costituiscono oggi le linee guida a cui il
legislatore regionale deve attenersi nel legiferare in materia per non incorrere in censure
di incostituzionalità.
64
5.2 La giurisprudenza costituzionale
La Corte costituzionale è stata più volte chiamata ad esaminare la complessa
problematica dello spoils system. La prima sentenza, la n. 233 del 16 giugno 2006,
costituisce una “pronuncia pilota” 105 per la giurisprudenza sul tema - che si consoliderà
successivamente - per aver messo in luce molte delle criticità connesse all’applicazione
dello spoils system alla dirigenza regionale.
All’origine del giudizio la questione di legittimità costituzionalità proposta dal
Presidente del Consiglio dei Ministri su alcune disposizioni contenute in due leggi della
Regione Calabria (la n. 12 del 3 giugno 2005 e la n. 13 del 17 agosto 2005) e su una
legge della Regione Abruzzo (la n. 27 del 12 agosto 2005), con le quali veniva
introdotto, a vario titolo, l’azzeramento automatico delle nomine di natura fiduciaria alla
data di proclamazione del nuovo Presidente della Giunta.
In particolare, le prime due leggi richiamate vengono censurate in quanto
sanciscono una decadenza automatica delle nomine e degli incarichi dirigenziali apicali
senza alcuna previa valutazione tecnica circa la “qualità” dell’operato delle persone
precedentemente nominate e/o incaricate, mentre l’altra prevede la possibile
sostituzione di dirigenti anche non apicali delle Aziende ospedaliere e delle Aziende
Sanitarie Locali (responsabili dei Dipartimenti sanitari ed amministrativi e responsabili
dei Distretti sanitari territoriali), in concomitanza con la nomina dei nuovi Direttori
Generali delle stesse Aziende.
Vengono sollevati dubbi di costituzionalità sia rispetto agli artt. 3 (in ordine alla
ragionevolezza della norma) e 97 (in riferimento al principio del buon andamento della
pubblica amministrazione), sia in relazione all’art. 117, comma 2, lett. g (in riferimento
alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento e organizzazione
amministrativa dello Stato e degli enti pubblici nazionali”) e lett. l Cost. (facendo
riferimento alla potestà legislativa esclusiva dello Stato in materia di “ordinamento
civile”).
105
L. GRIMALDI, La controversa disciplina della dirigenza pubblica regionale nella più recente giurisprudenza
costituzionale sullo spoils system. Riv. Amministrazione in cammino, pag. 1.
65
La Corte Costituzionale, in questa “ prima fase” della sua giurisprudenza sul
tema, consente una applicazione parziale e alquanto estesa del “sistema delle spoglie”,
accogliendo solo in parte i rilievi di incostituzionalità sollevati: rigetta quelli relativi alla
meccanicità degli automatismi di revoca delle nomine in regime di spoils system
sostanzialmente sottratti ad ogni valutazione tecnica della professionalità e delle
competenze, limitandone l’estensione dell’applicazione ai responsabili ed ai dirigenti di
livello apicale.
La Corte conferma, dunque, la legittimità di alcune nomine effettuate dagli
organi rappresentativi della Regione, su base strettamente fiduciaria, nelle ipotesi in cui
la natura dell’incarico sia connotata intuitu personae, argomentando che tale vincolo
fiduciario è funzionale al rafforzamento della “coesione tra organo politico regionale e
organi di vertice dell’apparato burocratico”. La regola della decadenza automatica
all'atto dell'insediamento di nuovi organi politici mira a consentire a questi ultimi la
possibilità di scegliere nuovi soggetti idonei a garantire proprio l'efficienza e il buon
andamento dell'azione della nuova Giunta, per evitare che essa risulti condizionata dalle
nomine effettuate nella parte finale della legislatura precedente.
“La previsione di un meccanismo di valutazione tecnica della professionalità e
competenza dei nominati, prospettata come necessaria a tutelare l’imparzialità e il buon
andamento dell’amministrazione, non si configura, nella specie, come misura
costituzionalmente vincolata e del resto nemmeno si addice alla natura del rapporto
sotteso alla nomina”.
Sulla scia di tali argomentazioni, la Consulta ha dichiarato, invece, l’illegittimità
dell’art. 14, comma 3, della legge della Regione Calabria n. 13 del 2005, ritenendo che
la decadenza dalla carica di Direttore Generale della ASL non può produrre l’effetto
dell’automatica cessazione anche dell’incarico di responsabile dei dipartimenti sanitari e
amministrativi e dei distretti sanitari territoriali, poiché, in caso contrario, ciò
determinerebbe l’azzeramento automatico dell’intera dirigenza, pregiudicando, in tal
modo, il buon andamento dell’amministrazione.
Nel ricostruire, infine, il riparto di competenze tra Stato ed autonomie
territoriali, il Giudice delle Leggi ribadisce che “lo spoils system dei dirigenti regionali
66
attiene alla materia dell’organizzazione amministrativa delle regioni e, pertanto,
costituisce oggetto di competenza residuale. Le regioni devono, comunque, esercitare
tale potestà nel rispetto dei principi fondamentali di organizzazione e funzionamento
fissati dai rispettivi statuti, secondo quanto statuito dall’art. 123 Cost.” 106.
Di conseguenza, per la Corte non sono fondate le eccezioni di incostituzionalità
concernenti le differenze tra la normativa statale in materia di spoils system e le
analoghe disposizioni regionali, né si può configurare una lesione della competenza
esclusiva statale in tema di “ordinamento civile” perché le disposizioni censurate, 107
riguardanti la decadenza dell’incarico dirigenziale e le sue possibili ricadute sul
sottostante rapporto di lavoro, avrebbero ad oggetto solo gli effetti derivanti dalla
scadenza
della
durata
dell’incarico
medesimo.
Tali
effetti
rientrerebbero
“materialmente” nella competenza residuale delle Regioni a prescindere dalla natura
dell’incarico stesso.
La Corte è ritornata, poi, ad occuparsi del tema della dirigenza regionale con la
sentenza del 23 marzo 2007 n. 104, mettendo a fuoco alcuni passaggi interpretativi di
fondo che la precedente sentenza n. 233 del 2006 non aveva ben chiarito, soprattutto se
riletti alla luce della più ampia giurisprudenza costituzionale in tema di amministrazione
pubblica.
Il Giudice delle leggi, infatti, muovendo, ancora una volta, dall’esame della
compatibilità tra “il metodo di relazioni tra politica e amministrazione” sotteso ai
meccanismi di spoils system ed i principi di imparzialità e di buon andamento, giunge a
definire meglio e, per certi versi, a ridimensionare la legittima applicabilità del “sistema
delle spoglie”.
Oggetto dell’esame della Corte sono le questioni di legittimità costituzionale
relative a disposizioni legislative della Regione Lazio e della Regione Siciliana in
materia di regime della dirigenza nelle aziende sanitarie locali e nelle aziende
ospedaliere, nonché nell’amministrazione e negli enti regionali.
106
P. JORI , Lo spoils system nello Stato e nelle regioni secondo i principi formulati dalla giurisprudenza
costituzionale. LexItalia.it 2008, pag. 4.
107
di cui ai commi 6 e 7 della richiamata legge regionale n. 13/05.
67
In particolare, viene sollevata la questione di legittimità costituzionale del
«combinato disposto» dell’articolo 71, commi 1, 3 e 4, lettera a), della legge della
Regione Lazio 17 febbraio 2005, n. 9 108(42) e dell’articolo 55, comma 4, della legge
della Regione Lazio 11 novembre 2004, n. 1 109(43), nella parte in cui prevede che i
direttori generali delle AA.SS.LL. decadano dalla carica il novantesimo giorno
successivo alla prima seduta del Consiglio regionale, salvo conferma con le stesse
modalità previste per la nomina, in riferimento agli articoli 97, 117, terzo comma,
ultimo periodo, e 117, secondo comma, lettera l) Cost. e dell’art. 96 della legge della
Regione Siciliana 26 marzo 2002, n. 2 110, nella parte in cui prevede che gli incarichi, di
cui ai commi 5 e 6, già conferiti con contratto, possono essere revocati entro novanta
giorni dall'insediamento del dirigente generale nella struttura cui lo stesso è preposto,
ciò in riferimento all’art.97, 1 comma, Cost.
Partendo dal “caso Lazio” e dalle argomentazioni addotte dal Consiglio di Stato
nelle sei ordinanze di rimessione,
la Corte torna ad esaminare con particolare
attenzione, da un lato, il rispetto dei principi di imparzialità e di efficienza a cui è
sottoposta l’organizzazione e l’attività dei pubblici uffici dipendenti dalla Regione, e,
dall’altro, i rapporti tra legislazione statale e legislazione regionale relativamente alla
disciplina della dirigenza pubblica.
La Consulta coglie l’occasione per delimitare in modo più netto gli spazi,
lasciati nella disponibilità dell’esecutivo regionale, entro cui risulta legittima la
cosiddetta “politicizzazione” delle nomine dirigenziali, contribuendo, in tal modo, a
razionalizzare un ambito di normazione che risulta ancora incerto sotto il profilo della
compatibilità tra il quadro legislativo in materia ed i vincoli costituzionali vigenti.
Le argomentazioni del giudice costituzionale partono dall’inquadramento della
figura dirigenziale del direttore generale di ASL, qualificato come “una figura tecnicoprofessionale che ha il compito di perseguire, nell’adempimento di un’obbligazione di
108
Legge finanziaria regionale per l’esercizio 2005.
109
Nuovo Statuto della Regione Lazio.
110
Disposizioni programmatiche e finanziarie per l'anno 2002.
68
risultato, gli obiettivi gestionali e operativi definiti dal piano sanitario regionale, dagli
indirizzi della Giunta, dal provvedimento di nomina e dal contratto di lavoro con
l’amministrazione regionale”.
Con riguardo, poi, al requisito della scelta «fiduciaria», cioè effettuata sulla base
di valutazioni soggettive di consonanza “politica” con il titolare dell’organo che
nomina, la Corte chiarisce che il direttore generale di ASL viene nominato dal
Presidente della Regione fra persone in possesso di specifici requisiti culturali e
professionali.
Circa il requisito della apicalità, rileva, inoltre, che, nell’assetto organizzativo
della Regione Lazio, esiste «una molteplicità di livelli intermedi lungo la linea di
collegamento che unisce l’organo politico ai direttori generali delle Asl», per effetto
della quale «non vi è un rapporto istituzionale diretto e immediato fra organo politico e
direttori generali».
In questo contesto di relazioni fra il direttore generale di ASL e
l’amministrazione regionale del Lazio si inseriscono le norme censurate, che
introducono, in regime permanente, la decadenza automatica del direttore generale allo
scadere del novantesimo giorno dall’insediamento del Consiglio regionale.
La Corte evidenzia come tale “decadenza automatica non soddisfa l’esigenza di
preservare un rapporto diretto fra organo politico e direttore generale e, quindi, quella
«coesione tra l’organo politico regionale […] e gli organi di vertice dell’apparato
burocratico […]»111. Essa, infatti, interviene anche nel caso in cui la compagine di
governo regionale venga confermata dal risultato elettorale che ha portato all’elezione
del nuovo Consiglio. Né alla menzionata esigenza supplisce l’eventuale conferma del
direttore generale, non essendo previsto che essa sia preceduta da un’apposita
valutazione, né che sia motivata".
L’applicazione del sistema dello spoils system, a giudizio della Corte, non
rappresenta sempre un necessario (e, quindi, legittimo) strumento di coesione tra organo
politico e vertice burocratico, ma rischia di divenire un arbitrario ed ingiustificato
111
richiamato nella sentenza della Corte Costituzionale n. 233/06.
69
strumento di controllo da parte della maggioranza degli incarichi dirigenziali, ledendo,
così, il principio di distinzione tra sfera politica e sfera gestionale, nonché quelli di
regolarità e continuità dell’attività amministrativa, di buon andamento ed imparzialità
della stessa.
Essendo, infine, la decadenza automatica collegata al verificarsi di un evento –
il decorso termine di novanta giorni dall’insediamento del Consiglio regionale – essa è
sostanzialmente indipendente dal rapporto tra organo politico e direttori generali di Asl.
Dunque, il direttore generale viene fatto cessare dal rapporto con la Regione per una
causa estranea alle vicende del rapporto stesso, esulando da ogni valutazione
concernente i risultati aziendali o il raggiungimento degli obiettivi di tutela della salute
e di funzionamento dei servizi, o dipendente da una delle altre cause che
legittimerebbero la risoluzione per inadempimento del rapporto.
Diversamente da ciò che era sembrato emergere all’indomani della sent.
n.233/06, affinché il “sistema delle spoglie” possa risultare non in contrasto col quadro
costituzionale complessivo, il presupposto della natura della nomina, fondata o meno
intuitu personae del decisore politico, diviene una condizione necessaria, ma non
sufficiente, dovendo l’inderogabile tutela dell’interesse generale - fondamento e fine
ultimo dell’attività della pubblica amministrazione - coincidere prioritariamente con il
perseguimento di una coerenza tecnica e gestionale, prima ancora che politica,
dell’attività amministrativa stessa.
La novità della tecnica di argomentazione della Corte consiste, quindi, nella
diretta valutazione della conformità della disciplina regionale della dirigenza con i
principi costituzionali, in particolare con quelli sanciti dagli artt. 97 e 98. Tale
disciplina, anche se adottata nell’esercizio della competenza legislativa residuale (per le
regioni a statuto ordinario) o della competenza esclusiva prevista dagli statuti (per le
regioni a statuto speciale) deve, comunque, essere coerente, ai sensi dell’art. 117,
comma 1, Cost., con i principi della Costituzione in tema di amministrazione pubblica.
La Corte, partendo da un excursus della propria giurisprudenza in materia,
afferma che «il principio di imparzialità stabilito dall’art. 97 Cost. – unito quasi in
endiadi con quelli della legalità e del buon andamento dell'azione amministrativa –
70
costituisce un valore essenziale cui deve informarsi, in tutte le sue diverse articolazioni,
l’organizzazione dei pubblici uffici»112.
La Corte, poi, continua argomentando che gli artt. 97 e 98 Cost. sono corollari
dell’imparzialità, in cui si esprime la distinzione tra politica e amministrazione, tra
l’azione
del
governo
e
l’azione
dell’amministrazione,
che,
«nell’attuazione
dell’indirizzo politico della maggioranza, è vincolata invece ad agire senza distinzione
di parti politiche, al fine del perseguimento delle finalità pubbliche obbiettivate
dall’ordinamento».
Ne discende di conseguenza che la selezione dei pubblici funzionari non
ammette ingerenze di carattere politico, «espressione di interessi non riconducibili a
valori di carattere neutrale e distaccato» 113, con l’unica eccezione costituita
dall’esigenza che alcuni incarichi, ossia quelli dei diretti collaboratori dell’organo
politico, siano attribuiti a soggetti individuati intuitu personae, con una modalità che
mira a «rafforzare la coesione tra l’organo politico regionale e gli organi di vertice
dell’apparato burocratico per consentire il buon andamento dell’attività di direzione
dell’ente (art. 97 Cost.)» 114.
Riguardo alla figura dei dirigenti, la Corte chiarisce, in particolare, che la
disciplina privatistica del loro rapporto di lavoro non ha abbandonato le «esigenze del
perseguimento degli interessi generali»115; che, in questa logica, i dirigenti godono di
«specifiche garanzie» quanto alla verifica che gli incarichi siano assegnati «tenendo
conto, tra l’altro, delle attitudini e delle capacità professionali» e che la loro cessazione
anticipata dall’incarico avvenga in seguito all’accertamento dei risultati conseguiti116;
che il legislatore, proprio per porre i dirigenti (generali) «in condizione di svolgere le
112
Sentenza Corte Costituzionale n. 453 del 1990.
113
Sentenza Corte Costituzionale n. 333 del 1993.
114
Sentenza Corte Costituzionale n. 233 del 2006.
115
Sentenza Corte Costituzionale n. 275 del 2001.
116
Sentenza C.C. n. 193 del 2002; ordinanza n. 11 del 2002.
71
loro funzioni nel rispetto dei principi d’imparzialità e buon andamento della p.a. [...], ha
accentuato 117
il principio della distinzione tra funzione di indirizzo politico-
amministrativo degli organi di governo e funzione di gestione e attuazione
amministrativa dei dirigenti»118.
Agli stessi principi si riporta la disciplina del giusto procedimento, specie dopo
l’entrata in vigore della L. 7 agosto 1990, n. 241 119, come modificata dalla L. 11
febbraio 2005, n. 15, per cui il destinatario dell’atto deve essere informato dell’avvio del
procedimento, avere la possibilità di intervenire a propria difesa, ottenere un
provvedimento motivato, adire un giudice.
In conclusione, “la dipendenza funzionale del dirigente non può diventare
dipendenza politica. Egli è sottoposto alle direttive del vertice politico e al suo giudizio,
ed in seguito a questo può essere allontanato. Ma non può essere messo in condizioni di
“precarietà” che consentano la decadenza senza la garanzia del giusto procedimento”.
Tali argomentazioni hanno indotto la Corte a dichiarare l’illegittimità
costituzionale delle norme censurate contenute nelle leggi richiamate della Regione
Lazio.
Per quanto concerne l’altra fattispecie oggetto della pronuncia in esame, il
Tribunale di Palermo ha sollevato la questione di legittimità costituzionale della
richiamata disposizione contenuta nell’art. 96 della legge della Regione Sicilia 26 marzo
2002, n. 2 120, con riferimento all’art. 14 dello statuto speciale della Regione Siciliana121
e all’art.97, primo comma, Cost.
117
con il d.lgs. n. 80 del 1998.
118
Ordinanza n. 11 del 2002.
119
Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi.
120
Disposizioni programmatiche e finanziarie per l’anno 2002.
121
R.d.lgs. 15 maggio 1946, n. 455, convertito in legge costituzionale 26 febbraio 1948, n. 2.
72
Al riguardo, la Consulta, innanzitutto, esclude “l’applicabilità, nelle regioni a
statuto speciale, come in quelle ordinarie, dei principi della legge statale 122 concernenti
il regime dei dirigenti nelle amministrazioni dello Stato”.
In secondo luogo – con riferimento all’art. 97 Cost. – ribadisce che, “ mentre il
potere della Giunta regionale di conferire incarichi dirigenziali cosiddetti «apicali» a
soggetti individuati intuitu personae mira ad assicurare quel continuum fra organi
politici e dirigenti di vertice che giustifica, nei confronti di questi ultimi, la cessazione
degli incarichi loro conferiti dalla precedente Giunta regionale, invece «[a] tale schema
rimangono […] estranei gli incarichi dirigenziali di livello “non generale”, non conferiti
direttamente dal vertice politico e quindi non legati ad esso dallo stesso grado di
contiguità che connota gli incarichi apicali».
Si aggiunga che, nel caso di specie, l’avvicendamento dei titolari di incarichi
dirigenziali non di vertice è fatto dipendere dalla discrezionale volontà del direttore
generale, nominato dal nuovo Governo regionale, con ciò aggiungendo una ulteriore
causa di revoca – peraltro senza che sia previsto obbligo di valutazione e di motivazione
– a quelle di cui all’art. 10, comma 3, della legge regionale 15 maggio 2000, n. 10 123,
che sono connesse all’esito negativo della valutazione circa il conseguimento di risultati
e obiettivi da parte del dirigente. Ciò in violazione sia del principio di ragionevolezza
evocato dalla sentenza n. 233 del 2006, sia del principio del giusto procedimento di cui
s’è detto.
Anche in questa caso la Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art.
96 della legge della Regione Siciliana n. 2 del 2002, nella parte in cui prevede la revoca
degli incarichi predetti entro novanta giorni dall'insediamento del dirigente generale.
122
L. 145 del 2002, così come richiamato nella sentenza della Corte Costituzionale n.233/06.
123
( Norme sulla dirigenza e sui rapporti di impiego e di lavoro alle dipendenze della Regione siciliana. Conferimento
di funzioni e compiti agli enti locali. Istituzione dello Sportello unico per le attività produttive. Disposizioni in
materia di protezione civile. Norme in materia di pensionamento).
73
Con riferimento agli effetti prodotti dalle citate sentenze della Consulta, si rileva
che la Regione Lazio ha ritenuto di potersi conformare alla sentenza n. 104/2007, con
l’emanazione dell’art. 1 della legge regionale 13 giugno 2007, n. 8 124, che stabilisce:
«1. La Giunta regionale, nei confronti dei componenti di organi istituzionali
degli enti pubblici dipendenti, i quali siano decaduti dalla carica ai sensi di norme
legislative regionali dichiarate illegittime a seguito di sentenze della Corte
costituzionale, con conseguente risoluzione dei contratti di diritto privato disciplinanti i
relativi rapporti di lavoro, è autorizzata a deliberare in via alternativa: a) il reintegro
nelle cariche e il ripristino dei relativi rapporti di lavoro; b) un’offerta di equo
indennizzo. 2. La soluzione di cui al comma 1, lettera b), è comunque adottata qualora il
rapporto di lavoro sia stato interrotto, di fatto, per oltre sei mesi».
In applicazione della predetta disposizione, la Regione Lazio, asserendo che non
sia più possibile la reintegrazione a causa del decorso del periodo di sei mesi di
interruzione di fatto del rapporto, ha disposto, in favore degli istanti, la liquidazione di
un indennizzo pari a quindici mensilità.
Il provvedimento, gravato dinanzi alla Corte Costituzionale, ha dato luogo ad
una nuova questione di legittimità costituzionale, per violazione, tra l’altro, degli artt. 3,
97, e 117, secondo comma, lettera l), Cost. ed ad una nuova sentenza la n. 351 del 24
ottobre 2008.
La Consulta, nel trovarsi di fronte a ciò che sembra prospettarsi come un mero
tentativo di elusione degli effetti delle proprie declaratorie di illegittimità, non ha potuto
fare altro che ribadire importanti principi inerenti il rapporto tra dirigenti, P.A. e
Regione, attraverso una pronuncia che la dottrina ha considerato una sorta di “giudizio
di ottemperanza” 125 .
Ha, infatti, nuovamente rilevato come i principi costituzionali di imparzialità e
di buon andamento esigano che la posizione dei dirigenti debba essere circondata da
124
(Disposizioni concernenti cariche di organi di amministrazione di enti pubblici dipendenti decaduti ai sensi di
norme legislative regionali dichiarate illegittime dalla Corte costituzionale).
125
Cfr. F. CORTESE, Spoils system e illegittima rimozione di dirigenti pubblici:la Corte costituzionale afferma
l’inderogabilità della reintegrazione nel posto di lavoro, in Le Regioni, 2009, pag. 114.
74
garanzie, soprattutto in considerazione del fatto che, nel settore pubblico, tali garanzie
debbano essere previste “non solo e non tanto nell’interesse del soggetto da rimuovere,
ma anche e soprattutto a protezione di più generali interessi collettivi”.
Tale tutela, inoltre, non potrebbe nemmeno esaurirsi nella previsione di eventuali
forme di riparazione economica, quale il risarcimento del danno o altre indennità, le
quali “non possono rappresentare, nel settore pubblico, strumenti efficaci di tutela degli
interessi collettivi lesi da atti illegittimi di rimozione di dirigenti amministrativi” .
Il Giudice delle leggi coglie l’ occasione per aggiungere un ulteriore elemento in
merito allo spoils system: le forme previste di riparazione economica non solo non
risolvono il pregiudizio derivante dalla decadenza automatica del dirigente, ma, anzi, lo
aggravano prevedendo una “forma onerosa di spoils system” con ricadute finanziarie
negative su tutta la collettività . All’obbligo di corrispondere la retribuzione dei nuovi
dirigenti sanitari, nominati in sostituzione di quelli automaticamente decaduti, si
aggiunge, infatti, quello di corrispondere a questi ultimi un ristoro economico”.
Una decadenza automatica, analoga a quella dei direttori generali, è stata
prevista, nell’ordinamento della Regione Lazio, dall’art. 133, comma 5, della legge
regionale 28 aprile 2006, n. 4 126, con riferimento agli incarichi di componente del
collegio sindacale nelle aziende del sistema sanitario regionale, in dipendenza
dell’introduzione di un nuovo quadro normativo disciplinante tali organi delle aziende
sanitarie.
Nel corso di una conseguente vicenda contenziosa, la Sezione III-quater del
T.A.R. del Lazio ne ha investito la Corte Costituzionale, che si è pronunciata con
sentenza n. 390 del 28 novembre 2008, dichiarando l’illegittimità della norma, per
violazione degli articoli 3 e 97 Cost.
Con tale sentenza si aggiunge un ulteriore tassello al complessivo disegno con il
quale si sta delineando il modello di amministrazione pubblica conforme ai principi
costituzionali e funzionale all’attuazione dei principi di imparzialità e buon andamento
nell’attività amministrativa.
126
Legge finanziaria per l’esercizio 2006.
75
Per la Corte costituzionale “ si tratta di un meccanismo di decadenza automatica
dei comportamenti del collegio sindacale, che non contempla alcuna forma di
contraddittorio a garanzia dei componenti in carica” di modo che “la cessazione dalla
carica dei precedenti titolari non è quindi l’effetto di una scelta dell’amministrazione
riferita al rapporto di ufficio in corso e giustificata alla luce delle vicende di questo, ma
costituisce un effetto automatico che la disciplina legislativa ricollega alla semplice
designazione di un nuovo titolare”.
Il Supremo Organo Giurisdizionale rileva che “la decadenza automatica dagli
incarichi, contraddice il principio di distinzione tra funzioni di indirizzo politico
amministrativo e l’azione dell’amministrazione, la quale è vincolata […] ad agire […]
per il perseguimento delle finalità pubbliche obiettivate dall’ordinamento”.
“Tale esigenza di distinzione,
da tutelare con riferimento agli incarichi
dirigenziali, “ deve, a maggior ragione, riconoscersi in relazione all’organo di controllo
amministrativo e contabile della stessa azienda, i cui componenti, a differenza del
direttore generale, non sono chiamati ad attuare programmi e a realizzare obiettivi
definiti dall’organo politico regionale, ma svolgono, in posizione di neutralità, funzioni
attinenti al controllo del rispetto della legge e della regolare tenuta della contabilità”.
Ciò comporta che “in nessun caso, per i componenti di simili organi sono
ravvisabili quelle particolari esigenze di coesione con l’organo politico, che possono
giustificare, per le sole posizioni dirigenziali apicali di diretta collaborazione, un
rapporto fondato sull’intuitus personae”; da ciò consegue che appare più grave, con
riferimento ai componenti dei collegi sindacali, “la previsione di un meccanismo
automatico di decadenza e la conseguente violazione del principio del giusto
procedimento”. E ciò a maggior ragione se si considera che tale meccanismo viene
giustificato con l’introduzione di una nuova disciplina che comporta modifiche
complessivamente marginali.
Con successiva sentenza n. 34 del 5 febbraio 2010, la Corte costituzionale ha
dichiarato la parziale illegittimità dell’art. 1, comma 1 e 4, della legge regionale della
76
Calabria 3 giugno 2005, n. 12 127, nella parte in cui dispone la decadenza automatica,
alla data di proclamazione del Presidente della Giunta regionale, dei direttori generali
delle aziende sanitarie locali e del direttore generale dell’agenzia regionale per la
protezione dell’ambiente, nominati nei nove mesi antecedenti la data delle elezioni per
il rinnovo degli organi di indirizzo politico.
La Corte ha ritenuto che la legittimità costituzionale della disciplina censurata va
valutata alla luce della sua giurisprudenza consolidata sul tema. 128
Nel motivare la decisione osserva, tra l’altro, che la nomina dei predetti direttori
generali è subordinata al possesso di specifici requisiti di competenza e professionalità
e, in taluni casi, è anche preceduta da un avviso pubblico: “tali nomine, pertanto,
presuppongono una forma di selezione che, per quanto non abbia natura concorsuale in
senso stretto, è tuttavia comunque basata sull’apprezzamento oggettivo, ed
eventualmente anche comparativo, delle qualità professionali e del merito. Essa, quindi,
esclude che la scelta possa avvenire in base ad una mera valutazione soggettiva di
consentaneità politica e personale fra nominante e nominato.
Ciò, del resto, è strettamente collegato al tipo di funzioni che i titolari degli uffici
pubblici in questione sono chiamati ad esercitare. Essi non collaborano direttamente al
processo di formazione dell’indirizzo politico, ma ne devono garantire l’attuazione. A
tal fine, non è però necessaria, da parte del funzionario, la condivisione degli
orientamenti politici della persona fisica che riveste la carica politica o la fedeltà
personale nei suoi confronti. Si richiede, invece, il rispetto del dovere di neutralità, che
impone al funzionario la corretta e leale esecuzione delle direttive che provengono
dall’organo politico, quale che sia il titolare pro tempore di quest’ultimo”».
Ancora la disposizione di cui all’art. 15, comma 6, della legge della Regione
Lazio 16 giugno 1994, n. 18 che prevede che «il direttore amministrativo e il direttore
sanitario cessano dall’incarico entro tre mesi dalla data di nomina del nuovo direttore
127
Norme in materia di nomine e di personale della Regione Calabria.
128
Sentenze n.233/06, n.104/07 e nn. 351 e 390/08.
77
generale e possono essere riconfermati» è stata rimessa al vaglio di legittimità della
Corte costituzionale dalla Sezione lavoro del Tribunale ordinario di Roma, per
violazione degli articoli 97 e 98 Cost.
Anche in questo caso, con sentenza 24 giugno 2010, n. 224, la Corte ha
annullato la disposizione censurata, osservando, in particolare, che «la scelta fiduciaria
del direttore amministrativo – che deve essere effettuata con provvedimento, motivato,
ma pur sempre ampiamente discrezionale, del direttore generale, con particolare
riferimento alle capacità professionali del prescelto in relazione alle funzioni da
svolgere – non implica, infatti, che la interruzione del rapporto, che si instaura in
conseguenza di tale scelta, possa avvenire con il medesimo margine di apprezzamento
discrezionale che connota quest’ultima.
Una volta, infatti, instaurato il rapporto di lavoro, con la predeterminazione
contrattuale della sua durata, vengono in rilievo altri profili, connessi, da un lato, alle
esigenze dell’amministrazione ospedaliera concernenti l’espletamento con continuità
delle funzioni dirigenziali proprie del direttore amministrativo, e, dall’altro lato, alla
tutela
giudiziaria,
costituzionalmente
protetta,
delle
situazioni
soggettive
dell’interessato, inerenti alla carica.
E proprio la valutazione di tali esigenze determina il contrasto della disposizione
impugnata con il principio di buon andamento sancito dall’art. 97 Cost., in quanto la
disposizione stessa non àncora l’interruzione del rapporto di ufficio in corso a ragioni
“interne” a tale rapporto, che – legate alle modalità di svolgimento delle funzioni del
direttore amministrativo – siano idonee ad arrecare un vulnus ai principi di efficienza,
efficacia e continuità dell’azione amministrativa.
A ciò è da aggiungere che la norma censurata, prevedendo l’interruzione ante
tempus del rapporto, non consente alcuna valutazione qualitativa dell’operato del
direttore amministrativo, che sia effettuata con le garanzie del giusto procedimento.
Nell’ambito di tale procedimento il nuovo direttore generale sarebbe tenuto a
specificare le ragioni, connesse alle pregresse modalità di svolgimento delle funzioni
dirigenziali da parte dell’interessato, idonee a fare ritenere sussistenti comportamenti di
quest’ultimo suscettibili di integrare la violazione delle direttive ricevute o di
78
determinare risultati negativi nei servizi di competenza e giustificare, dunque, il venir
meno della necessaria consonanza di impostazione gestionale tra direttore generale e
direttore amministrativo. Soltanto nel rispetto delle predette modalità e condizioni il
nuovo direttore generale può, con provvedimento motivato, procedere alla rimozione
del direttore amministrativo prima della suddetta scadenza contrattuale».
Va rilevato, in conclusione, che le sopra esaminate considerazioni sono state
riprese nella più recente sentenza 22 luglio 2011 n. 228, che ha dichiarato l’illegittimità
costituzionale dell’art. 4, comma 1, della legge della Regione Abruzzo 23 giugno 2006,
n. 20, sempre in tema di spoils system degli incarichi di direttore amministrativo e
direttore sanitario delle Aziende della sanità regionale.
*
*
*
Il delineato quadro giurisprudenziale evidenzia il faticoso percorso della
Consulta nella definizione dei limiti, costituzionalmente accettabili, della codificazione
nel nostro ordinamento amministrativo della controversa pratica dello spoils system.
In una prima fase, con la “sentenza pilota” n.233/06, risultavano, forse, troppo
rimarcate le esigenze di coesione e di sintonia tra dirigenza apicale e Giunta regionale,
con la conseguente apertura a forme anche molto spinte di “fidelizzazione” e
“politicizzazione” delle nomine dirigenziali.
“Pesava”, evidentemente, su tale decisione, la riforma del titolo V della
Costituzione del 2001 con la nuova definizione della ripartizione delle competenze tra
Stato ed Enti territoriali nel solco profondamente tracciato di un forte decentramento di
tipo federale che aveva, all’epoca, larghissimo, se non unanime, consenso a livello
politico ed istituzionale.
Tra l’altro subiva un forte ridimensionamento il valore, faticosamente
conquistato, della separazione tra guida politica e gestione della attività amministrativa
degli enti territoriali e, più in generale, tra “sfera politica” e “sfera tecnicoamministrativa”. Non giovava a questa apprezzata causa la “precarizzazione” e
l’involuzione delle funzioni tecnico-gestionali per effetto della fidelizzazione di esse,
79
almeno nelle importanti espressioni apicali, al livello politico che, sostanzialmente, ne
metteva in discussione l’indipendenza, valore basilare per una efficiente ed affidabile
pubblica amministrazione.
Solo i successivi interventi sanzionatori della Corte hanno superato le iniziali
incertezze, puntualizzando i confini ed i limiti entro cui sia legittima e coerente con il
sotteso quadro costituzionale l’applicazione del sistema delle spoglie nell’ordinamento
regionale.
Si è fatta progressivamente esaustiva chiarezza sullo specifico potere delle
Regioni ponendo un freno ad un esercizio, talvolta anche smodato, che impattava
negativamente la cura dell’interesse generale nella misura in cui si privilegiava e si
sovrapponeva ad esso la coesione tra responsabili politici e dirigenti amministrativi. Ciò
anche in considerazione della carenza di percorsi lineari e trasparenti, a scapito della
meritocrazia, nelle nomine intuitu personae.
L’apprezzabile attenzione riservata alla materia dal Giudice delle leggi per
offrire risposte adeguate alle esigenze di armonizzazione tra centro e periferia, nonché
di razionalizzazione dell’intero ordinamento, non chiude, però, il discorso sul delicato
tema che si lega indissolubilmente a quello, attualmente all’ordine del giorno delle
istituzione e della politica, delle competenze dello Stato e delle Regioni .
Si attende ancora che le indicazioni fornite dalla Corte Costituzionale si
traducano in “coerenti e credibili attuazioni in sede legislativa” 129 regionale.
129
C. PINELLI, op. cit. pag. 723.Sull’argomento anche C. COLAPIETRO, op. cit. pag. 171.
80
CONCLUSIONI
Scopo di questo breve e non esaustivo lavoro è stato quello di mostrare l’attuale
sistema dei rapporti tra Politica ed Amministrazione.
Come risulta da quanto rilevato, tale rapporto è in continua evoluzione anche in virtù
dei rapidi mutamenti socio-economici che caratterizzano il contesto nazionale.
Nonostante ciò, pare possibile intravedere, in controluce, un rafforzamento del
ruolo dei
dirigenti pubblici, ai quali, oggi, viene richiesto non più soltanto di calare nella realtà
l’azione politica, ma anche di cogliere, dalla realtà medesima, le informazioni e gli
stimoli provenienti dai cittadini svolgendo, in tal modo, un ruolo propositivo nei
confronti del ceto politico.
Si tratta, pertanto, di un “circolo virtuoso” foriero di un’azione politica ed
amministrativa più armonica e più vicina ad una cittadinanza che, specie nell’attuale
momento storico, è dotata anche degli strumenti legislativi di tipo partecipativo per
interagire con la pubblica amministrazione e tramite la medesima, col il Governo.
Siamo di fronte ad una sfida che la nostra epoca chiede, ai dirigenti pubblici, di
raccogliere per continuare a costituire, sia pure in modo nuovo, l’ossatura essenziale del
Paese.
81
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