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hp07 06-07 Sentenze PC_hp01 14-19 News 04/07/11 10.46 Pagina 6 Testi Antonino Borzumati C’È DA SPOSTARE UNA MACCHINA FOTO PRIMOPIANO Un’infrazione spesso giudicata “veniale”, come il posteggio in divieto di sosta, può avere conseguenze anche gravi se si ostacola la circolazione. E in caso di incidente, il proprietario può addirittura essere chiamato in causa A volte il parcheggio in zona proibita è causa di pesanti responsabilità penali. Accade per esempio quando in un incrocio il veicolo intralcia o riduce la visibilità ai mezzi in marcia. In caso di sinistro con morti o feriti, se si ravvisa il nesso di causalità tra la sosta irregolare e l’incidente, per il proprietario scatta l’ipotesi di reato. on una sentenza del tribunale di Milano del 16 luglio 2009, la prima di questo genere in Italia, sono stati condannati tre automobilisti per aver provocato la morte di un motociclista: uno di questi tre era al volante di un’auto che non ha dato la precedenza al centauro, mentre gli altri due avevano posteggiato il proprio veicolo in corrispondenza e in prossimità dell’incrocio, impedendo una buona visuale ai mezzi in transito. Oltre a condannare il conducente che aveva travolto il motociclista, quindi, il tribunale ha inflitto sei mesi di reclusione alla proprietaria del veicolo che occultava la visibilità, per concorso in omicidio colposo. Si afferma così il principio secondo cui le auto in divieto di sosta possono rendere le strade meno sicure e si attribuisce al proprietario di C 6 hp un veicolo una responsabilità che va ben oltre la multa. Il pm ha chiesto la condanna anche di un altro automobilista rinviato a giudizio che, secondo le perizie ordinate dalla procura, aveva posteggiato in modo da impedire anch’esso la visuale all’incrocio. L automobilista che aveva causato l’incidente mortale per aver omesso la precedenza ha invece patteggiato nove mesi di reclusione con la condizionale per omicidio colposo. NON SEMPRE COLPEVOLI In altri casi i giudici, valutato attentamente il grado di pericolo e intralcio del mezzo in sosta, hanno escluso la responsabilità sia di natura penale che civilistica (risarcimento del danno) in capo al proprietario del veicolo. La Corte di Cassazione, sez. I civile, con sen- tenza del 23 luglio 2002 n. 10751, ha escluso specifiche responsabilità per la sosta di un camion in prossimità di un incrocio, nonostante il tribunale in primo grado gliele avesse attribuite, perché non occultava in modo pregiudizievole la visibilità ai veicoli in marcia. Il caso riguardava uno scontro tra un centauro con un passeggero e un autocarro del Comune di Albano adibito al servizio di nettezza urbana. In questo caso, però, i giudici hanno escluso l’esistenza del nesso di casualità perché, in considerazione della ampiezza delle due strade percorse dai veicoli scontratisi, hanno ritenuto che “ciascun conducente era in grado di avvistare, reciprocamente, il mezzo con cui si scontrò”, ragione per cui è stato escluso che la presenza del camion in sosta pur irregolare ma a quasi 10 metri dall’incrocio stesso “abbia concorso nella determinazione dell’incidente”. È mancato, quindi, quell’accertamento del concorso del veicolo nella causazione dello scontro che costituisce il presupposto per l’applicazione della presunzione prevista dal secondo comma dell’art. 2054. Ancora, il giudice delle indagini preliminari (gip) presso il Tribunale di Rieti, con ordiLUGLIO/AGOSTO 2011 hp07 06-07 Sentenze PC_hp01 14-19 News 04/07/11 10.46 Pagina 7 LUGLIO/AGOSTO 2011 regola fosse diretta ad evitare proprio il tipo di evento dannoso verificatosi. Di fatto per il giudice occorre verificare la cosiddetta “concretizzazione del rischio”, che si pone sul versante oggettivo della colpevolezza, come la prevedibilità dell’evento dannoso si pone più specificamente sul versante soggettivo. Per conseguenza, la valutazione delle responsabilità deve prendere in considerazione l’evento così come si è verificato in concreto, ovvero se l’auto in sosta vietata ha determinato, in tutto o in parte, la realizzazione dell’evento. Nella fattispecie, la norma cautelare violata (art. 150, d.p.r. 495/92) non aveva la finalità di impedire che i veicoli parcheggiati sull’area zebrata ostruissero la visibilità o l’intralcio ad altri veicoli, bensì quella di non sovraccaricare il margine della carreggiata e di evitare il possibile franamento della scarpata posta al lato della strada. Per l’organo giudicante, tale situazione non poteva essere sufficiente a fondare una responsabilità per colpa. Diverso, invece, sarebbe stato il caso di un urto contro un veicolo parcheggiato in doppia fila subito dopo una curva a gomito in orario notturno: in tale ipotesi il conducente del veicolo in divieto di sosta violerebbe, oltre alla norma specifica, anche quella di comune prudenza che vieta di lasciare i veicoli in posizione tale da rappresentare un pericolo per gli altri utenti della strada. In tal caso la violazione avrebbe ad oggetto una norma cautelare (di comune prudenza) volta proprio alla tutela dell’incolumità degli utenti della strada, cosicché il predetto conducente sarebbe chiamato a rispondere dell’evento lesivo eventualmente verificatosi. BLOCCARE GLI ALTRI È SOPRUSO Sostare con la propria auto in seconda fila, oltre la multa da 39 a 159 euro e la rimozione del veicolo, può comportare una condanna penale per violenza privata e il contestuale risarcimento danni. La decisione autorevole è della Corte di Cassazione, I sez. penale, che con sentenza n. 24614/2005, pubblicata lo scorso 28 febbraio, definisce reato parcheggiare in seconda fila se si crea danno a un terzo cittadino, con il rischio di un procedimento penale e il pagamento dei danni in sede civile. Il caso era stato trattato dalla Corte di Appello di Roma che, con sentenza del 9/2/2004, condannava un automobilista alla pena di giorni quindici di reclusione per il reato di cui all’art. 610 c.p.: “Chiunque, con violenza o minaccia, costringe altri a fare, tollerare od omettere qualche cosa è punito con la reclusione fino a quattro anni”. Già la Corte di Cassazione, a riguardo, aveva stabilito che il reato di cui all’art. 610 c.p. (Violenza privata) resta integrato ogni volta che la condotta dell’agente sia idonea a produrre una coazione personale del soggetto passivo, privandolo della libertà di determinarsi e di agire in piena autonomia. Il caso trattato dai giudici distrettuali in appello riguardava un soggetto che aveva parcheggiato la propria autovettura accanto ad un’altra, e che si era rifiutato all’invito dell’altro conducente di spostarla per potersi allontanare. Avverso la predetta sentenza viene proposto ricorso per Cassazione, la quale lo ritiene manifestamente infondato dichiarandolo inammissibile. Per i giudici della Suprema Corte la condotta tenuta dall’automobilista aveva comportato una coazione fisica alla parte offesa, ergo sussisteva il presupposto del reato. Infatti, i giudici distrettuali avevano scrupolosamente individuato sia la condotta attiva, costituita dall’avere parcheggiato la propria autovettura in modo da bloccare quella della parte offesa e nel rifiuto dell’invito a spostarla, sia la coazione fisica, perché l’altro automobilista era stato costretto ad un comportamento non liberamente voluto (cioè a restare fermo, come risulta dal capo di imputazione). Di qui la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di 500 euro alla cassa delle ammende. FOTO STUDIO CAMERA nanza del 1° marzo 2011, ha escluso la responsabilità del proprietario dell’auto in sosta vietata per la morte di un motociclista. Dagli atti d’indagine era emerso che verso le ore 23 del 29 marzo 2010 un giovane a bordo del motociclo Kawasaki 600 perdeva il controllo del mezzo e, dopo aver strisciato sull’asfalto per circa 22 metri, impattava violentemente con il casco contro lo pneumatico anteriore sinistro di un’autovettura Bmw in sosta sul margine sinistro della carreggiata, ov’era tracciata una zebratura per vietarne il parcheggio. Il motociclista decedeva sul posto a causa della frattura della base cranica. Il consulente tecnico del pubblico ministero accertava che il conducente del motociclo procedeva a una velocità non inferiore a 80 km/h, a fronte di un limite vigente di 50 km/h. Lo stesso consulente escludeva che la caduta potesse essere stata originata da un guasto meccanico (non rilevato) e ha ritenuto che la causa più probabile fosse stata la velocità non adeguata allo stato dei luoghi. Il perito ha illustrato, inoltre, che nel tratto di strada ove era parcheggiata la Bmw la sosta era vietata ai sensi dell’art. 150 del regolamento di esecuzione e attuazione del Codice della Strada, secondo cui, nelle zone contrassegnate da zebrature oblique, non sono consentiti il transito e la sosta dei veicoli. Lo stesso ha spiegato che poiché l’area zebrata era posta fra il margine della carreggiata e una scarpata erbosa discendente, verosimilmente la zebratura era finalizzata a evitare che i veicoli venissero parcheggiati su quel tratto di strada, sovraccaricandolo. Il pubblico ministero in data 30 agosto 2010 richiedeva l’archiviazione del procedimento in quanto non era dimostrato che la presenza del veicolo in divieto di sosta avesse costituito una concausa dell’evento, non potendosi escludere che, in assenza dell’autovettura, il centauro avrebbe impattato con uno dei numerosi ostacoli posti in quel tratto di carreggiata (tra cui anche un albero), che costeggiava una ripida scarpata. Secondo il giudice territoriale, insomma, per potere formalizzare l’addebito di un reato di natura colposa non è sufficiente verificare la violazione della regola di condotta (sosta vietata), essendo necessario accertare che tale hp 7