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L`Alta Tuscia... nel piatto!
i prodotti della nostra tradizione L’Alta Tuscia... nel piatto! Guida ai sapori e ai saperi dell’Alta Tuscia COMUNITà MONTANA ALTA TUSCIA LAZIALE Presentazione www.altatuscia.vt.it Toscana Chiusi Umbria SIENA-FIRENZE UMBRIA TOSCANA S.Casciano d. Bagni Acquapendente Lago di Bolsena Trevinano Riserva Naturale Monte Rufeno Viterbo Roma Fabro Abbadia S.S. LA Acquapendente Torre Alfina Proceno ZI O Onano Grotte di Castro S.S. 74 S.Lorenzo N. Riserva Naturale Selva del Lamone Farnese Lago di Bolsena Capodimonte Marta Orvieto Bolsena Gradoli Latera Valentano Ischia di Castro F. Paglia S.S. 71 A 1 Autosole Montefiascone Cellere Canino S.S. 2 Cassia Lazio Viterbo ROMA © Comunità Montana Alta Tuscia Laziale Coordinamento organizzativo: Giuseppe Franci - Assessore Turismo Coordinamento tecnico: Angelo Scipioni - Responsabile Tecnico Design grafico e impaginazione: Graphisphaera - Acquapendente (VT) Servizio fotografico: Cesare Goretti (Graphisphaera) - Acquapendente (VT) Elaborazione testi: Giuseppe Franci - Angelo Scipioni Testi tratti da: • “I prodotti agroalimentari tipici dell’Alta Tuscia”, 2001 (realizzato nell’ambito del programma di iniziativa comunitaria Leader II); • “Piccolo ricettario dell’Alta Tuscia, 2003 (© Comunità Montana Alta Tuscia Laziale) Altri contributi fotografici: Cesare Goretti (Graphisphaera) - Acquapendente; Foto Fit - Acquapendente; Associazioni Pro Loco di Valentano, di Latera, di Grotte di Castro, di Proceno, di Gradoli; L.B. Studio - San Lorenzo Nuovo; Archivio G. Franci Orte La Comunità Montana Alta Tuscia Laziale è una realtà attenta e sensibile alle necessità degli operatori del settore turistico ed agro-alimentare del comprensorio. Sono infatti in continuo aumento, anche nel nostro territorio, quelle imprese sempre alla ricerca di nuove possibilità di crescita e pronte ad utilizzare le più innovative forme di comunicazione per mettere in risalto la propria immagine imprenditoriale. La guida “L’Alta Tuscia… nel piatto”, oltre a fornire una serie di informazioni “pratico-turistiche”, ha inteso dedicare ampio spazio ai sapori e ai saperi della nostra tradizione gastronomica dove l’agricoltura, da tempo immemorabile, si esprime con colture che offrono prodotti di qualità. La cultura gastronomica, qui nell’Alta Tuscia, è indubbiamente sviluppata ma necessita di un’opera di divulgazione da parte di tutti noi, affinché venga data la giusta visibilità a tutti coloro che giornalmente operano nel settore della ristorazione nonché in quello agro-alimentare. Questa ultima pubblicazione, che mi onoro di presentare, auspico possa diventare uno strumento efficace per contribuire a valorizzare, oltre i confini regionali, questo territorio, poco conosciuto ma ricco di grandi attrattive. Una guida che intende proseguire una politica di riscoperta e valorizzazione delle tradizioni del territorio, con il fine di contribuire allo sviluppo sostenibile di tutti i comuni dell’Alta Tuscia, che di potenzialità ne hanno sicuramente da vendere! È con questo spirito che invito tutti i lettori a sfogliare “L’Alta Tuscia… nel piatto”. Colgo l’occasione per ringraziare i ristoratori che hanno collaborato, con i loro piatti tipici, alla realizzazione di questa iniziativa e tutti coloro che vorranno “propagandare” il messaggio trasmesso attraverso questa pubblicazione. Pietro Domenico Capozzi Presidente Comunità Montana Alta Tuscia Laziale Finito di stampare nel mese di aprile 2008 dalla Tipolitografia Ambrosini di Acquapendente (VT) 2 3 L’Alta Tuscia… nel piatto Guida ai sapori e ai saperi dell’Alta Tuscia Questa guida, edita, curata e finanziata dalla nostra Comunità Montana nasce con l’obiettivo di valorizzare e promuovere i prodotti tipici del nostro territorio, dando risalto alla tradizione e alla cultura culinaria locale. L’opera, ricca di indicazioni utili, segue la stessa formula adottata nella stesura della guida del Sentiero dei Briganti, pubblicata dal nostro Ente nel corso del 2006. Questa volta a fare da filo conduttore sono il gusto, i sapori e i prodotti tipici di cui la nostra terra è ricca in quantità e qualità ma anche i suoi luoghi magici, dove uomo e natura convivono da secoli nel rispetto di una tradizione che ha sempre riservato grande attenzione alla cura dei particolari. Un viaggio tra curiosità, aneddoti, racconti, ricette del passato e non, che ci riportano alle “radici del gusto”: un viaggio… ricco di sapori. Ma è anche un libro pieno di suggestioni, redatto con amore e competenza, che si lascia sicuramente leggere con piacere e che dà un “sapore in più” all’acquisto e alla degustazione di questi prodotti, la cui conoscenza è indispensabile per capire il territorio dell’Alta Tuscia. Un territorio che si prefigge di mostrare un paniere di offerte uniche; una montagna di cose buone a due passi da casa. C’è davvero di tutto: aria buona, paesaggi dolci, storia, tradizioni ma, soprattutto, tanti prodotti tipici, tutti da gustare. Ogni nostro “borgo” ha la propria peculiarità, ma anche tante caratteristiche in comune con gli altri: dai prodotti tipici alla gastronomia, dalla storia al ricco patrimonio paesaggistico e ambientale e si caratterizza per la cordialità dei propri abitanti e per le molteplici specialità gastronomiche. Visitare questi territori significa lasciarsi andare tra colline, boschi, laghi, immergersi in colori e sapori che rappresentano l’autenticità di un territorio ancora legato alle proprie origini. Tutti questi elementi riescono a trasmettere i forti valori della tradizione e i sapori antichi di prodotti rimasti inalterati nel tempo. Agli agricoltori, alle aziende che si occupano di trasformare e di portare sul mercato le nostre produzioni di qualità, agli operatori del settore, ma soprattutto a tutti coloro che hanno saputo conservare la memoria dei profumi e dei sapori genuini della nostra terra, intendiamo dedicare questa pubblicazione. I Prodotti Tipici dell’Alta Tuscia. 4 Giuseppe Franci Assessore al Turismo Comunità Montana Alta Tuscia Laziale 5 Marchio collettivo “Prodotti tipici Alta Tuscia” …per stare tranquilli Proteggere i produttori locali che con tanta fatica e dedizione si dedicavano alla coltivazione e garantire al consumatore la qualità e provenienza dei Prodotti Tipici dell’Alta Tuscia è stata una delle priorità che la Comunità Montana si è data. L’idea di creare un marchio collettivo, di proprietà dell’Ente e da assegnare solo a chi si sottoponeva a controlli e verifiche, fu la prima ad essere valutata; ma non bastava! è facile, per chi non ha scrupoli, acquistare piccole quantità da qualche produttore locale e trasformarle in grandi quantità con una sorta di moltiplicazione “truffaldina”. Con quali strumenti si poteva contrastare questo? La soluzione a quella che poteva diventare una grave minaccia per i nostri prodotti è venuta con l’impianto di lavorazione e confezionamento che la Comunità Montana ha realizzato nel comune di Onano. Grazie a questo diventava possibile per l’Ente controllare le quantità prodotte dai singoli coltivatori e seguirne in maniera precisa il percorso: dal prodotto “sporco/ lordo” in entrata a quello “pulito/netto” in uscita. Con questa logica dall’anno 2003 è stato creato un sistema di controllo delle produzioni gestito dall’Ente che consente l’utilizzo del marchio solo agli agricoltori che: • rispettano quanto stabilito nei disciplinari di produzione; • coltivano nelle aree maggiormente vocate individuate dall’Ente; • conferiscono i loro prodotti presso la struttura di lavorazione e confezionamento della Comunità Montana. In questo modo e da quel momento, un Ente Pubblico, la Comunità Montana, è stata in grado di garantire che, le confezioni di prodotti sulle quali veniva stampato il marchio collettivo “Prodotti Tipici Alta Tuscia”, contenevano esclusivamente legumi o farro prodotti in loco. In questo modo un marchio collettivo diventava uno strumento per garantire al consumatore la provenienza certa e la qualità. AL CONSUMATORE, UN SOLO CONSIGLIO: SULLE CONFEZIONI CERCARE IL MARCHIO COLLETTIVO “PRODOTTI TIPICI ALTA TUSCIA” …PER STARE TRANQUILLI. “Linea Verde” puntata del 5 novembre 2006 - Latera: “Briganti” tra le delizie gastronomiche dell’Alta Tuscia (Foto Fit - Acquapendente). 6 Angelo Scipioni Responsabile Tecnico Comunità Montana Alta Tuscia Laziale 7 I legumi I legumi appartengono alla terza famiglia in ordine di grandezza delle piante fiorifere (dopo la famiglia delle orchidee e quella delle compositae) e alla seconda in ordine di importanza per l’alimentazione umana, dopo le graminacee. Sono, da sempre, i protagonisti dell’alimentazione dell’uomo in ogni angolo del mondo. Gustosi e facili da conservare, sono con ogni probabilità, il primo cibo che l’uomo ha imparato a raccogliere. Dal punto di vista nutrizionale i loro semi contengono circa il doppio delle proteine rispetto ai cereali e sono particolarmente ricchi di ferro e vitamine del gruppo B. Molto significativo anche il loro apporto di carboidrati e fibre. Tutto questo li rende un alimento estremamente sostanzioso e nutriente, capace di sostituire la carne, certamente negli adulti, senza che il fisico ne risenta. Non a caso in passato erano considerati la carne dei poveri, che ne facevano grande uso in virtù del loro costo trascurabile rispetto a quello della carne. I legumi maggiormente diffusi nel nostro Paese sono: fagioli, lenticchie e ceci. Questi prodotti, infatti, sono parte della tradizione gastronomica italiana, appartenendo alla cosidetta “cucina povera”: povera solo perché gli ingredienti costano poco, non certamente perché miseri di gusto o di proprietà nutritive. Tuttavia è in associazione con i cereali che i legumi assumono le caratteristiche di un alimento perfettamente equilibrato dal punto di vista nutrizionale, grazie alla completezza degli apporti di amminoacidi, di micronutrienti e fibre. Grande è inoltre l’importanza dei legumi per il mantenimento della fertilità dei terreni agricoli. Queste piante sono in grado, infatti, attraverso batteri che vivono nelle loro radici, di catturare l’azoto presente nell’aria e concimare naturalmente il terreno. In cucina, consigliamo di pulire “al dito” i legumi, di passarli più volte sotto l’acqua corrente, di lasciarli in ammollo per il tempo prescritto (eccetto le lenticchie che non lo richiedono!), di metterli in acqua fredda e di procedere alla cottura. I legumi non devono essere salati nella bollitura perché la buccia si spaccherebbe e la polpa risulterebbe dura. Un po’ di storia Abbondano le notizie sulla loro coltivazione, preparazione e consumo: dalle tombe reali degli antichi Egizi all’Iliade di Omero nell’antica Grecia, e persino nell’Antico Testamento. L’uso dei legumi come alimento di base risale sicuramente a più di 20.000 anni fa in alcune culture orientali. Presso gli Egizi erano apprezzati ceci, lenticchie e piselli. Nel Medioevo e nel Rinascimento diventarono cibo prettamente contadino, quasi mai presente alla mensa dei signori, cultori e consumatori di carne d’ogni specie. 8 foto: C. Goretti - Graphisphaera 9 In seguito alla scoperta delle Americhe, grazie alla conoscenza di nuove ed esotiche varietà di fagioli, l’interesse per i legumi ritrovò ulteriore slancio. Fu infine con la Rivoluzione Francese che questi cibi salirono alla ribalta della gastronomia per la sovvertita graduatoria della cucina aristocratica. Digeribilità e tollerabilità: i legumi e i gas è nozione comune che il consumo di quantità rilevanti di legumi provochi sviluppo di gas intestinali detto flatulenza. Questo noto e fastidioso problema ha origine nella presenza di alcuni zuccheri, “oligosaccaridi”, che hanno la caratteristica di avere legami tra le singole unità di glucosio (componenti gli oligosaccaridi) non attaccabili dagli enzimi digestivi. A causa di ciò, questi zuccheri escono dall’intestino tenue in una forma che l’organismo non può assimilare, diventando così “preda” della flora batterica intestinale. Dall’attività di questa, derivano i tanto vituperati gas, primo fra tutti l’anidride carbonica, che così pesantemente influenzano la nostra vita di relazione. C’è chi dice che per ovviare a questo inconveniente basta scartare l’acqua dell’ammollo e unire un pizzico di semi di anice o di finocchio durante la cottura. Provare per credere! ciò che manca ai primi in termini di amminoacidi essenziali si trova in abbondanza nei secondi. Non a caso, molto prima che il mondo sapesse qualcosa su amminoacidi e nutrizione, molte culture avevano imparato ad usare questi prodotti alimentari in combinazione. In una combinazione che, alla luce di ciò che oggi abbiamo scoperto, si può definire perfetta. Quindi “pasta e faciole”, “pasta e cece”, “faciole e farro”, ”lenticchie e farro” non sono solo gustosi piatti tipici della tradizione gastronomica dell’Alta Tuscia, ma sono anche quanto di meglio si può fornire al nostro organismo per mantenersi sano e in perfetta forma! Pensiamo alla salute… La ricerca scientifica ha documentato che un uso regolare di legumi ha la capacità di abbassare il livello della colesterolemia, di rallentare e modulare la velocità di assorbimento di carboidrati e quindi di controllare i rischi di impennate troppo brusche della glicemia. è bene sapere che… Le proteine umane sono composte da diverse combinazioni di 20 differenti amminoacidi, di cui otto assolutamente necessari per la dieta degli adulti e nove/dieci per quella dei bambini in crescita. Gli altri amminoacidi sono prodotti direttamente dalle cellule che compongono il nostro organismo. La conseguenza di questo è che gli 8 per gli adulti e i 9/10 amminoacidi per i bambini in crescita, debbono assolutamente essere introdotti nell’organismo. Tutti i cibi di origine animale come carne, uova e latticini sono dotati di questi amminoacidi essenziali; cosa questa che non avviene invece per quelli di origine vegetale. In questo senso i legumi non fanno eccezione, sono ben dotati di alcuni amminoacidi essenziali ma carenti di altri! A questo punto però l’incompletezza dei legumi può essere compensata dai cereali. I legumi e i cereali sono infatti assolutamente complementari; 10 “Linea Verde” puntata del 5 novembre 2006 - Proceno: G. Vissani affascinato dai prodotti tipici dell’Alta Tuscia (Foto Fit - Acquapendente). 11 La Lenticchia (Lens culinaris medicus) lenticchia di onano La lenticchia, è sicuramente, tra le piante ad uso alimentare, quella di più antica utilizzazione da parte dell’uomo; i semi di questa pianta infatti, insieme a cariossidi di cereali, sono stati rinvenuti nel nord della Siria e in alcuni Paesi del Medio Oriente come Palestina, Giordania, Iran, all’interno di siti archeologici risalenti al Neolitico (circa 8500 anni fa). Questa leguminosa era nota anche agli Assiri, agli Egiziani ed agli stessi Greci: lenticchie e lupini sono stati ritrovati in tombe egizie della XII dinastia e sembra che questo popolo amasse consumarne insieme al pesce sotto sale, affumicato o seccato al sole, al formaggio, alla frutta e a molto pane di frumento o, più spesso, di orzo. Una tra le testimonianze più importanti resta comunque quella biblica, nel Libro della Genesi: Esaù infatti vendette la primogenitura a Giacobbe per un piatto di lenticchie (passo da cui è nata l’espressione: “vendita per un piatto di lenticchie”). L’origine geografica è compresa in un’area nel nord ovest della Turchia; l’origine botanica è fatta risalire alla specie selvatica Lens orientalis che tuttora, in alcune zone, è componente della flora selvatica. La lenticchia ha un elevato valore nutritivo; il contenuto in proteine può raggiungere il 30% così come è elevato il contenuto in vitamine, soprattutto quelle del gruppo B; buona anche la presenza di ferro. Per l’alimentazione umana i semi vengono usati tal quali o decorticati; in Italia, a parte qualche zona geografica specifica, non esiste una grande tradizione sull’uso abituale della lenticchia che viene invece consumata, praticamente da tutti, durante le festività di fine anno associata al tradizionale zampone. Attualmente nel mondo la lenticchia viene coltivata soprattutto in Asia, in Turchia, in Nord e Centro America e in Africa. L’Italia è un paese importatore di lenticchie essendo tale coltura notevolmente diminuita da quaranta anni a questa parte, anche se nell’ultimo decennio si è assistito ad una progressiva diffusione di questa coltura. Le regioni italiane maggiori produttrici di lenticchie sono: Puglia, Lazio, Campania, Abruzzo e Umbria. Pensiamo alla salute… Le lenticchie sono estremamente salutari e digeribili e in generale possono essere considerate un alimento-medicina ma vanno consumate con moderazione per l’alta concentrazione di principi nutritivi. Sono sicuramente un alimento completo, un vero piatto forte per chi svolge lavori pesanti; contengono i soflavoni, sostanze che puliscono l’organismo 12 foto: C. Goretti - Graphisphaera 13 con la loro azione antiossidante ed hanno una elevata concentrazione di ferro (rappresentando un valido aiuto per chi soffre di anemia o di stati di debolezza), potassio, fosforo, calcio e fibre che depurano l’organismo. Sono particolarmente utili per riequilibrare i disturbi dello zucchero ematico, perché evitano che lo zucchero del sangue cresca troppo rapidamente dopo un pasto. LA LENTICCHIA DI ONANO Denominazione e informazioni sul prodotto La Lenticchia di Onano è prodotta all’interno del Comune omonimo e vanta un’antichissima tradizione che trova riscontro già negli “Ordini, statuti, leggi municipali della comunità e popolo d’Onano” del 1561; agli inizi del 1800 Epifanio Giuliani in un proprio manoscritto ipotizza una maggiore produzione dei richiestissimi legumi di Onano da vendere nei paesi vicini e in Toscana, come soluzione per migliorare le condizioni economiche e di vita delle popolazioni locali. Altre testimonianze dell’apprezzamento e della diffusione di questo prodotto sono fornite da Giulio Andreotti che nel suo volume “La sciarada di Papa Mastai” ricorda come Papa Pio IX alla vigilia del 1871, in seguito alla perdita del potere temporale, fosse solito consolarsi gustando spesso un buon piatto di lenticchie omaggio del Cardinal Prospero Caterini, originario di Onano. Anche in tempi più recenti si ha riscontro di riconoscimenti che vanno ben al di là del mercato locale. Lo testimoniano i premi ricevuti alle varie esposizioni internazionali nel 1910 (Roma e Buenos Aires) e nel Una ricevuta d’acquisto della lenticchia del 1881 (2004, Lo spessore della Memoria, G. Franci). 1911 (Londra e Parigi). In quegli anni la lenticchia era conosciuta e commercializzata in molti paesi e l’azione di promozione veniva svolta soprattutto da alcune aziende locali che avevano già a disposizione particolari attrezzature per la preparazione e la sterilizzazione dei legumi. Già allora il confezionamento veniva curato con particolare attenzione. La 14 “La pulitura delle lenticchie”, Onano, 1910 (Ditta A. Alfonsi). Vediamo l’intera famiglia Alfonsi intenta nella pulitura “al dito” del prodotto. foto in alto, “La pulitura delle lenticchie”, diventata oggi il logo della lenticchia Onanese, è eloquente in tal senso. Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione Il prodotto, di forma appiattita, lenticolare o tondeggiante, delle dimensioni di 3/6 mm di diametro, presenta un colore variabile dal verde al piombo scuro al cinereo rosato ed è caratterizzato da una buccia tenera, resistente alla cottura, con elevata sapidità e tenerezza. Le caratteristiche qualitative che rendono peculiare la Lenticchia di Onano derivano dalla tipologia dei terreni che sono sciolti, dotati di ottima permeabilità, privi di zone con ristagni idrici, di origine vulcanica, situati ad un’altitudine media intorno ai 400/600 m.l.s. La preparazione del terreno prevede un lavoro d’aratura a profondità di circa 30 cm, con successivi interventi di affinamento per consentire l’ottenimento di un letto di semina ben livellato e libero da erbe infestanti ed un limitatissimo apporto di fertilizzanti, pena l’allettamento della coltura con conseguente perdita del prodotto. Per la semina, che viene effettuata a macchina o, più raramente a mano, sono impiegati da 80 a 100 kg/ha circa di seme: si tratta di ecotipi locali e varietà di più recente introduzione. La raccolta viene effettuata con mietitrebbia per cereali opportunamente adattata o più raramente a mano. Gran parte della produzione viene conferita, escluso l’autoconsumo familiare e il reimpiego per la semina successiva, alla locale cooperativa agricola che poi provvede alla commercializzazione, attraverso un consorzio di cooperative. Consistente è anche il numero di produttori che commercializzano con proprio marchio aziendale. 15 aneddoti e curiosità Gli antichi reputavano la lenticchia un alimento scarsamente digeribile. Questa volta però l’antica sapienza non è tanto sapiente! La lenticchia è uno dei legumi più digeribili ma forse deve questa cattiva fama ai condimenti utilizzati dai nostri nonni o agli abbinamenti alimentari (cotechini, zamponi di maiale), sicuramente gustosi ma non proprio dietetici e comunque impegnativi da un punto di vista digestivo. Si attribuivano alle lenticchie numerose proprietà terapeutiche e medicinali tanto che nel XIX secolo, un ciarlatano fece fortuna mettendo in vendita la farina di lenticchia, spac- ciandola per rimedio universale dal nome misterioso. A parte empirismo e curiosità storiche la lenticchia è uno dei legumi a più alto valore nutritivo: 100 gr di lenticchie equivalgono da un punto di vista calorico a 215 gr di carne o a 118 gr di pane integrale. La lenticchia è ricca di minerali come fosforo e ferro ed ha una biodisponibilità maggiore rispetto ad altri vegetali come gli spinaci. Questi legumi hanno anche un elevato contenuto di vitamine soprattutto del gruppo B. Per chi soffre di colite si suggerisce di consumare le lenticchie sotto forma di farina per evitare irritazioni del colon, dato l’elevato contenuto di fibra. in pillole • • • • Stand della “Sagra della Lenticchia” del 1966. 16 Parlando di lenticchie, la mente corre immediatamente al cenone di San Silvestro, durante il quale i commensali ingordi “trangugiano” questo legume solo pensando ai soldi; a tanti, tanti soldi che dovranno generare. Infatti, questa credenza rimanda ad un’antica usanza, che consisteva nel regalare, a fine anno, una “scarsella” (la borsa che conteneva monete) piena di lenticchie, con l’augurio che ogni chicco si trasformasse in moneta. lenticchie per farsi la minestra. Il filosofo Aristippo, che se la passava bene perché si era messo a corteggiare il re, gli disse sprezzante: “Se tu imparassi ad adulare il re, non dovresti contentarti di un piatto di lenticchie”. “E se tu avessi imparato a vivere di lenticchie” ribatté Diogene con altrettanto sprezzo “non avresti bisogno di adulare il re”. • Racconta Aristofane che un vecchio aveva sposato una donna giovane e bastò un piatto di lenticchie per riavere la potenza sessuale della gioventù. Catone nel “De Agricoltura” consigliava di mescolare le lenticchie nelle minestre insieme al grano, al farro e all’orzo. • “…a me sembra che il sapore delle lenticchie sia più delicato di quello de’ fagiuoli in genere, e che, quanto a minaccia di bombardite, esse sieno meno pericolose dei fagiuoli comuni ed eguali a quelli dall’occhio…” (Artusi 1800) Le lenticchie erano il tipo di cibo più diffuso tra la popolazione e gli schiavi nella Roma imperiale. Il loro consumo era talmente elevato che era necessario importarne continuamente dall’Egitto. • La parola latina “lens”, che significa lenticchia, è anche l’origine della parola lente, che indica un oggetto biconvesso, cioè a forma di lenticchia (il termine fu utilizzato per la prima volta nel diciassettesimo secolo). Il biografo latino Svetonio racconta che Diogene stava lavando delle Diploma di “Gran Premio y Medalla de Oro” conferito alla ditta Alfonsi in occasione dell’Esposizione Universale di Buenos Aires degli anni 1910-1911. 17 onano Suggestivo centro agricolo ricco di storia, sorge su di una collina lontano dalle grandi vie di comunicazione ed è famoso per la bontà della sua “Lenticchia”. Il nome Onano deriva probabilmente dalla dea etrusca Uni. Sebbene all’interno dell’abitato e nei dintorni siano state trovate numerose tombe etrusche, le più attendibili fonti storiche fanno risalire al primo Medioevo l’origine dell’odierno abitato, allorché quattro piccoli borghi che sorgevano in loco si fusero. Nel 1215 fu ceduto insieme a Latera al libero Comune di Orvieto e per un lungo periodo fu conteso fra la cittadina umbra, fedele al partito ghibellino, e il papato. Intorno al 1400 la famiglia dei Monaldeschi della Cervara, patrizi romani, avviò la costruzione del Castello omonimo, ancora oggi esistente, che divenne in seguito residenza per quattro generazioni di discendenti del cardinale Guido Ascanio Sforza, residenza estiva dei vescovi di Sovana e Acquapendente ed infine enfiteusi concessa dalla Camera Apostolica alla famiglia Denham-Bousquet. Il palazzo è stato usato come residenza estiva dalla famiglia Pacelli fino ai primi del Novecento quando cedettero la loro parte ai Bosquet, proprietari dell’altra parte dal 1800. Eugenio Pacelli, futuro Papa Pio XII, in gioventù veniva spesso, durante i mesi estivi, a respirare l’aria pura, il clima dolce del paese dei suoi antenati. Anche Lina Cavalieri “la donna più bella del mondo” aveva origini Onanesi per via della madre Teonilla Peconi. Onanese anche il suo primo agente Romeo Giuliani. SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra della Lenticchia Settimana di Ferragosto Medagliere della Lenticchia di Onano. Riconoscimenti tributati alla Ditta Alfonsi, produttrice di Lenticchia, per l’alta qualità del prodotto nelle varie esposizioni internazionali: Roma e Buonos Aires nel 1910, Londra nel 1911 e infine Parigi, ancora nel 1911, in occasione della 3a Esposizione Internazionale del Progresso Moderno. 18 19 Il Fagiolo (Phaseolus vulgaris) fagiolo del purgatorio di gradoli fagiolo secondo o della stoppia di san lorenzo nuovo I fagioli (phaseolus vulgaris) sono noti da tempo immemorabile. Originari dell’America, sono stati coltivati fin dai tempi più antichi: vasi contenenti fagioli sono stati trovati in Perù nelle tombe del periodo pre-Inca; furono introdotti in Europa nel XVI secolo in seguito alle spedizioni spagnole nelle Americhe. In ogni tempo questo legume ha costituto il piatto forte sulle mense dei ceti meno abbienti, tanto da meritare l’appellativo di «carne dei poveri». I fagioli comprendono oltre 300 varietà, una sessantina delle quali commestibili. Ve ne sono di bianchi, rossi, neri, variegati, piccoli, grandi, tondeggianti, schiacciati: si passa, per esempio, dal fagiolo «messicano» (piccolo, nero e tondeggiante) al fagiolo “di Spagna” (grande, bianco e schiacciato). Del fagiolo si possono consumare sia i baccelli giovani e teneri (fagiolini) sia i semi, lasciati maturare e colti quando il baccello comincia ad ingiallire. I fagioli si possono consumare sia allo stato fresco che essiccati, sono un alimento di rilevante valore nutritivo. Il loro contenuto proteico medio va dal 2% dei fagiolini al 6,5% dei fagioli freschi fino al 23,5% dei fagioli secchi. Nei fagioli è inoltre discreto il contenuto in vitamine B1 e B2 e in niacina. Va però ricordato che la B1 viene in buona parte distrutta dalla prolungata cottura resa necessaria dalla particolare consistenza dei tegumenti esterni del fagiolo. I fagioli secchi rappresentano anche una buona fonte di calcio, potassio e ferro. Dato il gran numero di qualità disponibili, i fagioli si prestano a una notevole varietà di preparazioni (zuppe, minestre, passati, contorni, insalate) e sono digeriti lentamente, determinando quindi un prolungato senso di sazietà. La digeribilità gastrica migliora se vengono privati della buccia o se vengono consumati come passati, oppure dopo una cottura particolarmente prolungata. Pensiamo alla salute I fagioli sono legumi particolarmente ricchi di proteine di qualità e poveri di grassi. Contengono inoltre la lecitina, un fosfolipide che favorisce la riduzione del colesterolo, abbassano la pressione arteriosa, saziano senza far ingrassare e, consumati assieme a cereali, forniscono, così come gli altri legumi, gli amminoacidi necessari al nostro organismo. Grazie alla genisteina, contenente antiossidanti, aiutano ad attenuare i sintomi della menopausa, in più sono ricchi di fibra, di calcio, di ferro e di fosforo. I fagioli hanno proprietà depurative, emollienti e diuretiche, per la loro ricchezza di proteine, amido e sali minerali, sono usati come succedanei dell’insulina in caso di forme non gravi di diabete. Essendo, infine, ricchi di fibre sono indicati per la funzionalità del colon, aiutando a ridurre fenomeni di stitichezza, prevenendo così l’insorgenza di fastidiosi disturbi emorroidali e di problemi intestinali. 20 foto: C. Goretti - Graphisphaera 21 IL FAGIOLO DEL PURGATORIO DI GRADOLI Denominazione e informazioni generali sul prodotto Il Fagiolo del Purgatorio di Gradoli è un prodotto alimentare fresco, coltivato prevalentemente nel Comune omonimo (80%). Ad essere coltivata è una varietà locale seminata da tempo immemorabile, come testimonia il pranzo organizzato fin dal 1600 a Gradoli in occasione del Mercoledì delle Ceneri, denominato pranzo del Purgatorio, di cui il fagiolo costituisce il piatto fondamentale. Le caratteristiche peculiari del prodotto dipendono sia dalle tecniche di coltivazione tradizionali che dalla tipologia dei terreni. Questi ultimi, d’origine vulcanica, sciolti, freschi di buona fertilità, con scarso o nullo contenuto di calcio, ottima disponibilità di potassio rappresentano quanto di meglio si può richiedere per la loro coltivazione in quanto sono queste caratteristiche che conferiscono al prodotto grande sapidità e notevole velocità di cottura. Giovedì Grasso, Fratellanza del Purgatorio: la “questua” per anticipare le spese del Pranzo del Purgatorio. Pranzo del Purgatorio anni ‘50 (2007, Cronaca fotografica del Pranzo del Purgatorio, E. Agostini - L. Piccinetti). Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione Anche per questo prodotto, la Comunità Montana Alta Tuscia Laziale ha attivato nel tempo un programma volto al rilancio, nelle aree vocate, di questa coltura come alternativa a disposizione degli agricoltori. La varietà coltivata è un ecotipo locale, assimilabile alla varietà Cannellino, ad elevata produttività, caratterizzata da portamento eretto, con seme di colore bianco lucente, piccolo e tondeggiante. Date le caratteristiche varietali e quelle dell’areale di coltivazione, il tempo di cottura risulta ridotto a tutto vantaggio del gusto che mantiene a pieno le caratteristiche organolettiche del prodotto valorizzando i sapori del condimento. 22 La preparazione del terreno è effettuata con una aratura a media profondità (30/35 cm.) seguita da interventi di amminutamento del terreno (1/3 passaggi) fatti con erpice a dischi o con fresa; prima della semina il terreno viene livellato, affinato e liberato dalle erbe infestanti, in modo tale da garantire le migliori condizioni per lo sviluppo delle piantine. La semina è eseguita a mano o a macchina, utilizzando seminatrici preferibilmente pneumatiche, in ogni caso disponendo il seme in solchi, in quantità non inferiore a 70/80 Kg. per ettaro ed utilizzando esclusivamente l’ecotipo locale definito Fagiolo Bianco del Purgatorio di Gradoli, reperito in loco. La Comunità Montana, fra le condizioni imposte alle aziende che vogliono aderire al programma, pone l’obbligo di un minimo apporto di concimazioni per tutto il ciclo colturale e il controllo, preferibilmente meccanico, delle infestanti ottenuto con interventi di sarchiatura nell’interfila e di zappettature e rincalzatura lungo le file. La raccolta è effettuata esclusivamente a mano. IL FAGIOLO SECONDO (O DELLA STOPPIA) DI S. LORENZO N. Denominazione e informazioni generali sul prodotto Il Fagiolo Secondo (o della stoppia ) di San Lorenzo Nuovo è coltivato nella zona intorno al Lago di Bolsena. 23 Questo legume ha accompagnato da sempre l’alimentazione delle popolazioni residenti sul versante settentrionale del lago, in particolare quelle del comune di San Lorenzo Nuovo, per le quali costituiva la principale fonte di proteine vegetali. Ad essere coltivata è una varietà locale da ascrivere fra le tipologie di granella a portamento eretto. Anche nel caso di questa varietà le caratteristiche pedoclimatiche dell’area di coltivazione conferiscono al prodotto le migliori proprietà organolettiche. La semina del legume avveniva tassativamente nella terza decade di giugno, successivamente alla mietitura del frumento, per permetterne la maturazione intorno alla fine di agosto. Da qui derivano le denominazioni di “fagiolo secondo”, in quanto prodotto di secondo raccolto, o “fagiolo delle stoppie”, in quanto seminato sulle stoppie del frumento appena lavorate. Con il tempo, la produzione è andata diminuendo fin quasi a scomparire. Solo l’attaccamento di alcuni agricoltori alle antiche tradizioni ha permesso la conservazione di tale legume. Due sono le cause che, nel tempo, ne hanno limitato la coltivazione: l’introduzione della mietitrebbiatura che ha di fatto posticipato l’epoca di raccolta del frumento, ritardando così i tempi utili per la semina del legume, e l’uso massiccio dei fertilizzanti azotati di sintesi. Entrambe le cause non consentono, nel periodo estivo, la normale maturazione della pianta. Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione Anche per questo prodotto, che è stato aggiunto solo di recente nel paniere dei prodotti tipici del territorio, la Comunità Montana Alta Tuscia Laziale insieme al Comune di San Lorenzo Nuovo ha attivato, recentemente, un programma volto al rilancio, nelle aree vocate, di questa coltura come alternativa a disposizione degli agricoltori locali. La varietà coltivata è un ecotipo locale, con seme di colore giallo, di forma ovale e di dimensioni medio-piccole con occhio ben marcato. Per quanto concerne le tecniche di coltivazione e la raccolta di questo prodotto vale quanto descritto per il fagiolo del Purgatorio di Gradoli. Aneddoti e Curiosità Il fagiolo è in Italia uno dei legumi più consumati. Ne esistono diversi tipi e i più comuni sono i borlotti, i cannellini e i bianchi di Spagna. Il fagiolo è il protagonista di un simpatico aneddoto: un tempo le ragazze da marito, durante la prima notte dell’anno, interrogavano la sorte riguardo il futuro sposo con i fagioli. Prima di coricarsi la ragazza poneva sotto il cuscino tre fagioli, uno con il rivestimento del seme a simboleggiare uno sposo ricco, uno mezzo sbucciato a simboleggiare uno sposo agiato e infine a rappresentare lo sposo povero, un fagiolo privo di buccia. Durante la notte, al buio, gettava due dei tre fagioli e l’aspetto del fagiolo che rimaneva faceva presagire la condizione economica del futuro sposo. Fagioli e flatulenza vanno a braccetto, ma lo spiacevole ‘’inconveniente’’ non risiede solo nell’immaginario collettivo ma possiede solide basi scientifiche. Ad indagarle sono stati alcuni ricercatori venezuelani che hanno inoltre scoperto come creare il fagiolo ‘’no-gas’’. Secondo un team di scienziati, coordinato da Marisela Granito della Simon Bolivar University di Caracas, il rimedio contro la flatulenza indotta dai fagioli sarebbe infatti da ricercare in due batteri, il Lactobacillus casei ed il Lactobacillus plantarum. Come riportato sul Journal of the Science of Food and Agriculture, proprio questi batteri potrebbero presto venir aggiunti al legume e ridurre al minimo il ‘’pericolo gas’’. Le prove effettuate sui fagioli neri (Phaseolus vulgaris), ai quali sono stati aggiunti i due batteri prima della preparazione, hanno già dato esiti estremamente positivi. Il gas provocato dall’azione dei batteri che vivono nel nostro intestino si è infatti ridotto, in quanto la fermentazione dei fagioli neri con il Lactobacillus casei ed il Lactobacillus plantarum ha provocato una diminuzione di oltre il 60% del contenuto in fibre solubili ed un abbattimento dei livelli di raffinosio di ben l’88%. Proprio la riduzione del raffinosio rappresenta una conquista, perchè si tratta di un carboidrato particolarmente ostico per chi soffre di colite o meteorismo. Che i ricercatori venezuelani abbiano finalmente scoperto la ricetta del ‘’fagiolo magico’’? IN PILLOLE • Nell’antichità il Fagiolo simboleggiava l’immortalità per la sua proprietà di conservare a lungo la forza vitale e di riacquistare freschezza se immerso in acqua. Le fanciulle greche e le matrone romane indossavano collane o bracciali con ciondoli a forma di fagiolo. Si riteneva che questo piccolo oggetto fosse sufficiente per ottenere ricchezze e amore. • I dolori alle ginocchia fanno prevedere un imminente cambiamento di tempo? Per lenirli, versate in una pentola tre pugni di fagioli secchi e tre di sale grosso, coprite d’acqua e cocete a lungo, fino a ottenere una poltiglia densa. Applicate questo “medicamento” tutte le sere prima di coricarvi. Provare per credere! San Lorenzo Nuovo, scene di vita contadina, anni ‘30 (foto R. Ossorio). 24 25 GRADOLI La visita del centro storico ha inizio da piazza Vittorio Emanuele dove si può ammirare la Fontana a Fuso, con mascherone in pietra del 1926. Attraversando l’Arco di Ciuchini, sede dell’antica porta, si accede al borgo. Ci si trova immediatamente di fronte a muri solidi ed alti corrispondenti alle basi della chiesa principale (S. Maria Maddalena) e del campanile che, collegati con l’arco del Buon Consiglio ci introducono in via Cavour. L’assetto urbano del borgo è riconducibile al periodo rinascimentale e post-rinascimentale. L’unica area completamente trasformata è rappresentata dalle antiche piazze “alta e bassa” nate dalla ristrutturazione ed ampliamento della Chiesa di Santa Maria Maddalena e dalla successiva realizzazione delle rampe di collegamento. A destra sono gli antichi palazzi signorili, il primo di questi, oggi casa canonica, fu la sede comunale fino ai primi anni Venti; poco più avanti, la bella e semplice casa a due piani che sembra avesse accolto i Farnese durante l’edificazione della loro vera dimora: Palazzo Farnese, fatto erigere da Papa Paolo III per le nozze del figlio Pierluigi con Gerolama Orsini della vicina Pitigliano. Continuando sulla destra ci si imbatte in un edificio costruito in tufo e pietrame ed ornato da tre finestre rinascimentali in peperino. Pare sia stato donato dai Farnese al loro contabile il cui nome, Horatio Romano, si legge sopra l’antico portale. SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra dell’Olio e del Fagiolo del Purgatorio 1a decade di dicembre Aleatico in Festa fine luglio / 1a decade di agosto Prima sagra dell’Aleatico (foto Ass. Pro Loco Gradoli). 26 27 ll Cece (Cicer arietinum) cece del solco dritto di valentano Anche il cece è una leguminosa da granella; si tratta di piante che l’uomo usa da millenni e che tuttora utilizza essendo importanti fonti di proteine e calorie. Non si hanno notizie certe circa l’origine botanica del cece. Si dà per certo comunque che i progenitori siano alcune forme selvatiche del genere Cicer; tra queste, secondo gli studiosi botanici, quelle più accreditate sono il Cicer echinospermum, ancora oggi presente nelle quercete e nelle formazioni steppiche dell’Anatolia, e il Cicer reticulatum. è proprio dalla domesticazione di quest’ultima specie che si sarebbe originato il Cicer arietinum. L’origine geografica dovrebbe essere la Turchia, a cui risalgono i primi reperti archeologici databili a 5000 anni fa. Altre tracce di coltivazione rinvenute in Iraq sono riferibili all’età del bronzo, 3000 a.C. circa; ulteriori testimonianze risalgono a ritrovamenti provenienti dalla Valle del Nilo, risalenti ad un periodo compreso tra il 1500 e il 1100 a.C. In Grecia il cece era consumato fin dai tempi di Omero ed era chiamato Erebinthos e Krios. Orazio inoltre riporta che a Roma i ceci venivano mangiati fritti in olio, usanza ancora attuale in alcune regioni dell’Italia Meridionale. In antichità al cece sono state attribuite proprietà medicinali: far produrre molto latte alle neo-mamme; utile, triturato e mescolato con mele ed orzo, contro la rogna; con un’azione diuretica e contro i calcoli, etc. Attualmente il cece, dopo soia e fagiolo, è la leguminosa più coltivata nel mondo; circa il 93% della produzione mondiale ricade in Asia dove è concentrata per i 4/5 in India e Pakistan. Altre zone di coltivazione sono l’Africa (Etiopia, Tanzania, Marocco), Nord e Centro America (Messico) ed Europa, dove la Spagna è la maggior produttrice. In Italia la superficie si è ridotta dai 110 mila ettari nel 1950 agli attuali (stimati) 9 mila tanto che attualmente il nostro Paese è un grosso importatore. Questo calo va attribuito a varie cause: basse rese, incostanza del prezzo di mercato, elevato costo colturale, difficoltà di reperimento della manodopera, ridotta richiesta del mercato per le mutate abitudini alimentari. In Italia viene coltivato soprattutto nelle regioni meridionali (Puglia, Campania, Calabria, Molise, Sicilia). Pensiamo alla salute… Energetici e più ricchi di acidi grassi rispetto agli altri legumi, i ceci sono utili per contrastare l’eccesso di colesterolo e di trigliceridi. Ricchi di triptofano e arginina, amminoacidi strettamente legati alla serotonina e quindi al buonumore, possono essere un valido aiuto per depurarsi, rinvigorendo e stimolando la funzionalità sia del sistema nervoso, sia dell’apparato digerente. 28 foto: C. Goretti - Graphisphaera 29 IL CECE DEL SOLCO DRITTO DI VALENTANO Denominazione e informazioni generali sul prodotto Il Cece del Solco Dritto di Valentano, leguminosa da granella destinata al consumo alimentare fresco, è caratterizzato da semi lisci di colore bianchiccio con peso variabile da 250 a 350 mg, ed è attualmente coltivato nell’intero territorio del comune di Valentano. Deve il suo nome ad una manifestazione della tradizione contadina locale “La tiratura del solco dritto” che si svolge il 14 agosto di ogni anno nella piana sottostante il paese. Dalla riuscita di questa operazione, il solco più o meno dritto, sono tratti gli auspici sull’annata agraria e sul raccolto dell’anno successivo. Pur vantando un’antica tradizione in queste zone (il cece era infatti una delle poche fonti di proteine degli agricoltori), solo recentemente si è ripresa la sua coltivazione grazie all’intervento della Comunità Montana. Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione Il Cece del Solco Dritto è ottenuto con tecniche agricole tradizionali, spesso da aziende che praticano la coltivazione biologica ai sensi del Reg. CEE 2092/91. L’area di coltivazione è caratterizzata da terreni di natura vulcanica, situati ad un’altitudine di 300-400 metri s.l.m., in un ambiente collinare caratterizzato da un clima temperato sub-litoraneo. Tutti i terreni interessati, ad elevato contenuto di potassio e con scarsa presenza di calcio, conferiscono al Cece del Solco Dritto caratteristiche organolettiche superiori, con particolare riferimento a sapidità e tempi di cottura. La preparazione del terreno è effettuata con un’aratura a media profondità seguita da interventi di amminutamento del terreno (1/3 passaggi) con erpice a dischi e con fresa; prima della semina il terreno è livellato, affinato e liberato dalle erbe infestanti, in modo tale da garantire le migliori condizioni per lo sviluppo delle piantine. La semina è eseguita con seminatrici opportunamente adattate, disponendo il seme in solchi in quantità non inferiore a 100 Kg. per ettaro ed utilizzando vecchie varietà locali e varietà più recenti, principalmente a seme medio e liscio. Anche nel caso del Cece del Solco Dritto non sono effettuate concimazioni né tantomeno operazioni di diserbo chimico; le tecniche di coltivazione non si discostano sostanzialmente da quelle eseguite in passato. La raccolta avviene, per la quasi totalità, con mietitrebbiatrici adattate e più raramente a mano. La “Tiratura del Solco Dritto” in un dipinto di G. Ciucci. 30 31 aneddoti e curiosità I CECI E IL VOTO Al fronte, durante la Seconda Guerra Mondiale, due amici di Valentano, ritrovandosi sotto il fuoco nemico, implorarono il Santissimo Crocifisso di Castro (una immagine venerata in un Santuario, sorto presso le rovine della ex capitale del Ducato farnesiano, distrutta nel 1649) distante da Valentano circa 25 Km. e meta di pellegrinaggi durante il mese di giugno. Dalla preghiera al voto il passo fu breve. Promisero solennemente che se fossero tornati a casa sani e salvi, si sarebbero recati a piedi al Santuario mettendo dentro le scarpe dei ceci in segno di ringraziamento e penitenza. Le vicende belliche si conclusero fortunatamente per i due amici che, tornati a Valentano, essendo ormai il mese di giugno, decisero di alzarsi presto una mattina e di sciogliere il voto recandosi a Castro con le modalità promesse. in pillole Di buonora si ritrovarono nella piazzetta principale delle Fontane, una piccola località di Valentano, e di lì si mossero verso Castro. Mentre uno dei due, fatto appena qualche chilometro, soffrendo chiaramente lo stato di disagio dei ceci dentro le scarpe, iniziava a lamentarsi per il dolore, l’altro, imperterrito, camminava con passo svelto e lieve senza alcun lamento. Al che il primo disse al secondo: “Ascolta, come fai a non lamentarti, io ho un dolore terribile ai piedi e credo che mi sarà difficile, pur con tutta la buona volontà, mantenere il voto fatto.” L’altro lo sta a sentire e poi: “Scusa, al fronte, il voto che abbiamo fatto si riferiva allo svolgimento del pellegrinaggio a Castro, mettendo dei ceci dentro alle scarpe. Io così ho fatto... Non avevo promesso mica di mettere dentro le scarpe i ceci crudi!” (fonte: Romualdo Luzi) • Si narra che in Sicilia, durante i Vespri siciliani, per riconoscere gli oppressori francesi che si nascondevano tra la folla, ai sospetti veniva chiesto di dire la parola RICIR (ceci), che i cugini d’Oltralpe non riuscivano a pronunciare. Così, per chi non riusciva a pronunciare perfettamente la parola, c’era la condanna a morte. • Proverbio: “Api, polli e ceci fanno più in un anno che in dieci!”. Il proverbio vuol significare che la produzione non è uguale tutti gli anni. • Sognare di comprare ceci indica che avrete difficoltà con il lavoro; sognare di mettere a bagno i ceci indica condotta imprudente; sognare di cucinare ceci indica forza e salute; sognare di mangiare ceci indica speranze che svaniscono; i ceci secchi indicano amici poco sinceri. • Ai tempi di Omero in Grecia questo legume era chiamato Krios con riferimento alla testa d’ariete: infatti il nome arietinum, usato per primo da Columella nelle sue classificazioni botaniche, è da attribuirsi alla forma del seme che sembra ricordare la testa d’ariete. • I ceci hanno avuto presso gli antichi romani un alto onore tanto che per Cicerone, il grande Arpinate, fu considerato un grande prestigio assumere come nome o cognome quello di una pianta così importante. • La leggenda secondo la quale il cece era un alimento capace di dare forza e potenza ha le sue radici nella verità. Si racconta che durante la battaglia della Meloria (1284) i pisani furono catturati dai genovesi e da questi furono trattenuti a lungo prigionieri nelle stive delle loro navi, rischiando di morire di fame. La fortuna volle però che proprio nelle stesse stive, sotto di loro, vi fossero ammucchiati sacchi di ceci intrisi d’acqua di mare. Per superare i terribili morsi della fame se ne cibarono scampando così alla morte. • La versatilità del cece è dimostrata dai molteplici usi che se ne possono fare: si possono lessare le cime verdi della pianta, come i normali spinaci, mentre dalle foglie si possono ottenere decotti rinfrescanti. Il cece può essere consumato tal quale sia quando è verde sia essiccato, oppure trasformato in farina. Interessante è notare come il cece germinato sia in grado di raddoppiare il suo contenuto di vitamina C rispetto ai ceci dormienti e quindi può essere impiegato nei casi di carenze vitaminiche. Buoi al lavoro durante la “Tiratura del Solco Dritto”. 32 33 valentano La scelta del sito su cui sorge oggi il paese avvenne nell’alto medioevo: le scorrerie gotiche del 572 costrinsero gli abitanti ad occupare un luogo elevato e difendibile. Quando i Farnese presero possesso di Valentano il borgo era ancora diviso nei due nuclei della Rocca e di Porta San Martino. L’irregolarità causata dalla ripa che divideva in due il paese fu colmata con opere di riempimento: con questi interventi si creò il tridente composto dalle strade di Santa Maria, di Mezzo e della Ripa con i vicoli che li collegano, ma inevitabilmente fu quasi cancellato l’impianto medievale del borgo. Dal XVII secolo in poi all’interno del borgo non si sono verificate particolari trasformazioni. Dopo il crollo dell’antico accesso fortificato edificato nel 1417 la nuova Porta Romana venne ricostruita nel 1779 su un precedente disegno del Vignola e per intervento di Papa Pio VI Braschi. Oggi il paese, proteso a forma di penisola al di sopra del sottostante piano, si presenta con i simboli antichi della sua storia: la torre ottagonale della Rocca Farnese e lo svettante campanile della chiesa collegiata. SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra del Cece del Solco Dritto seconda decade di luglio Ceniamo insieme terza decade di agosto La “Tiratura del Solco Dritto” che si svolge ogni anno il 14 agosto, nella piana di Valentano. Dalla riuscita di questa operazione, gli auspici per il raccolto dell’anno successivo (foto M. Rosati). 34 35 Filetto di maiale al lardo con il suo fegatello al finocchietto su insalatina di Lenticchie di Onano e riduzione alla liquirizia (foto a lato) Ingredienti per 4 persone Quattro filetti di maiale da 200 gr cadauno, quattro fette di lardo, quattro fegatelli con la rete, finocchietto selvatico, quattro foglie di alloro, un bicchiere di Porto, 200 gr di lenticchie d’Onano, due cipollotti freschi, due spicchi d’aglio rosso di Proceno, olio extra vergine di oliva di Gradoli, un cucchiaino di liquirizia in polvere, pepe nero al mulinello, mezzo cucchiaio di pane grattato. Preparazione Salate e pepate i filetti, saltateli in padella con un cucchiaio d’olio. Condite i fegatelli con sale pepe, pan grattato e finocchietto, avvolgeteli nella rete, fermateli con gli stuzzicadenti e cuoceteli in padella coperti con quattro foglie d’alloro e una tazzina di vino bianco per 8 minuti a fuoco moderato. Fate rosolare due spicchi d’aglio in due cucchiai d’olio e poi toglieteli; aggiungete le lenticchie con i cipollotti tagliati a pezzetti, coprite con acqua, salate, pepate e cuocete per circa mezz’ora. Fasciate i filetti con il lardo, fateli cuocere per un minuto da ambo i lati, mettete nel piatto le lenticchie e adagiatevi il filetto, il fegatello e fermate con uno stecco di rosmarino, aggiungete nel sugo dei filetti la liquirizia e un bicchiere di porto. Fate ridurre la salsa e condite. Ceci del Solco Dritto al tegame Ingredienti per 4 persone 300 gr di ceci del solco dritto, aglio rosso di Proceno, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, pomodori freschi maturi, rosmarino, (salvia), 100 gr di lardo o pancetta, farina, sale, pepe. Preparazione Tenete i ceci per una notte immersi in acqua salata con una puntina di bicarbonato, scolateli e metteteli a cuocere con poca acqua, 5 cucchiai d’olio, 2 cucchiai di farina, una puntina di pepe e, dopo un poco, aggiungetevi i pomodori freschi ben maturi tagliati a pezzi. In un tegamino a parte fate soffriggete un battuto fatto con lardo (o pancetta), aglio, sale, pepe, rosmarino (o salvia), unitelo ai ceci, continuando fino a cottura completa. RICETTA ELABORATA DA: Ristorante Al Pugnalone 36 P. A. Salimbeni tel. 0763.711252 Via ACQUAPENDENTE (VT) 37 foto: C. Goretti - Graphisphaera RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Ripetta Via Roma, 38 tel. 0761.456817 GRADOLI (VT) Baccalà bollito e Fagioli del Purgatorio (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 400 gr di baccalà, 200 gr di fagioli del purgatorio, prezzemolo, aglio rosso di Proceno, olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Mettete a bagno il baccalà per circa 48 ore, cambiando l’acqua 4 o 5 volte, poi fatelo bollire in acqua senza sale. Cuocete i fagioli del purgatorio, senza ammollo, impiattate il baccalà tagliato a quadri con un contorno di fagioli del purgatorio conditi con olio extra vergine d’oliva, aglio rosso a crudo e prezzemolo. Passato di Lenticchie di Onano con gamberi e vongole veraci Ingredienti per 4 persone 400 gr di code di gambero fresche, 400 gr di vongole veraci, 300 gr lenticchie di Onano, sedano, carota, scalogno, porro, prezzemolo, basilico, aglio rosso di Proceno, salvia, rosmarino, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, sale, pepe in grani. Preparazione Lavate le lenticchie in acqua corrente e lessatele quindi in abbondante acqua aromatizzata con aglio, salvia, cipolla, sedano, carota, infine scolatele, eliminate gli odori e passatele al passaverdura (o frullatele) aggiungendo qualche mestolo del loro brodo di cottura per ottenere un passato semidenso che condirete con 3 cucchiai d’olio extra vergine d’oliva già riscaldato con aglio, salvia, rosmarino e poi filtrato. Sgusciate le code di gambero. Lavate e fate aprire le vongole con un dito d’acqua, nella padella caldissima, poi sgusciatele e conservate il loro liquido filtrato. In una padella appassite uno scalogno tritato in 3 cucchiaiate d’olio e insaporitevi le code di gambero e le vongole; sfumate con un dito del liquido di cottura, completate l’intingolo con sale, pepe macinato, basilico e prezzemolo tritati, quindi versatelo sul passato di lenticchie caldo, già nei piatti individuali; irrorate con un filo d’olio extra vergine e servite. 38 39 foto: C. Goretti - Graphisphaera RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Ripetta Via Roma, 38 tel. 0761.456817 GRADOLI (VT) Fagioli del Purgatorio all’olio d’oliva (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 350 gr di fagioli del purgatorio di Gradoli, olio extra vergine d’oliva, sale, pepe, due cipollotti freschi. Preparazione Anche se l’uso di questi fagioli può essere esteso alle zuppe, alle minestre e alle preparazioni in umido, il piatto ideale è quello che viene usato nel famoso “Pranzo del Purgatorio, cioè conditi con olio extra vergine di oliva, sale e una puntina di pepe. In questa preparazione semplice si può apprezzare a pieno la bontà di questi fagioli, assimilabili ad una varietà di cannellino, che con il tempo ha sviluppato una sua particolarità che lo rende particolarmente gradito. Tagliatelle al nero di seppia con gamberetti su passatina di Ceci del Solco Dritto Ingredienti per 4 persone 120 gr di ceci del solco dritto, venti gamberi, 480 gr di tagliatelle al nero di seppia, aglio rosso di Proceno, peperoncino piccante, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, due filetti di acciughe, cipolla, una fetta di lardo, un bicchiere di vino bianco secco, un bicchiere di brodo vegetale, un ciuffo di prezzemolo. Preparazione Lessate i ceci precedentemente messi a bagno per 12 ore. Preparate un fondo di aglio, peperoncino, filetti di acciughe, poca cipolla e olio extra vergine d’oliva, unite al soffritto i gamberi sgusciati, alzate la fiamma e sfumate con vino bianco secco. Intanto fate un fondo con aglio e lardo, fate soffriggere e unite i ceci precedentemente cotti, lasciate insaporire, unite un bicchiere di brodo vegetale e lasciate in ebollizione per circa 5 minuti. Passate il tutto affinché risulti una crema liscia ed omogenea. Cuocete le tagliatelle, saltatele in padella con i gamberi e la passatina di ceci. Guarnite, il tutto, con il prezzemolo fresco. 40 foto: C. Goretti - Graphisphaera 41 RICETTA ELABORATA DA: Ristorante Bel Vedere S.S. 74, Km 71 tel. 0564.619249 Casone di PITIGLIANO (GR) Lenticchie di Onano con moscardini e polenta (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 300 gr di lenticchie di Onano, 250 gr di pomodori pelati, 500 gr di moscardini, aglio rosso di Proceno, sale, peperoncino, olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Fate soffriggere nell’olio extra vergine di oliva l’aglio rosso, i moscardini e il peperoncino; aggiungete quindi i pomodori pelati e fate cuocere a fuoco moderato. A parte lessate le lenticchie e contemporaneamente preparate le fette di polenta (rafferma!), non troppo sottili né troppo lunghe, che verranno grigliate al forno. Unite le lenticchie ai moscardini e lasciate insaporire per alcuni minuti. Disponete le fette di polenta nella ciotola, versate lenticchie e moscardini e irrorate con olio extra vergine d’oliva; lasciando riposare prima di servire. Le fette di polenta possono essere sostituite con fettine di pane bruscato. Zuppa di Lenticchie di Onano Ingredienti per 4 persone 400 gr di lenticchie di Onano, 300 gr di pomodori pelati, due carote, sedano, cipolla, aglio rosso di Poceno, una patata dell’Alto Viterbese, pane casereccio raffermo, sale, peperoncino, olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Fate un soffritto in olio di oliva con due spicchi di aglio, cipolla, carote, patata e i pomodori passati, lasciate insaporire per qualche minuto, quindi aggiungete alcune foglie di sedano tagliate a pezzi, acqua calda (o brodo di dado) e, a piacere, sale e peperoncino. Aggiungete le lenticchie e fate bollire a fuoco medio per circa un’ora rimestando di tanto in tanto. Disponete le fette di pane “bruscato” nella zuppiera, versate la zuppa e irrorate con olio extra vergine d’oliva; lasciate riposare prima di servire. 42 43 foto: C. Goretti - Graphisphaera RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Voltarella Via Solferino, 25 tel. 0761.422197 valentanO (vt) Minestra di Ceci del Solco Dritto (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 300 gr di ceci del solco dritto, 200 gr di pasta corta, passata di pomodoro, due spicchi d’aglio rosso di Proceno, sale, pepe, un rametto di rosmarino, due cucchiai di olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Tenete i ceci per una notte immersi in acqua salata con una puntina di bicarbonato, scolateli e metteteli a bollire con poca acqua per un paio di ore. Fate un fondo con olio, aglio rosso tritato, peperoncino e rosmarino, soffriggete e fate insaporire. Passate il tutto con il colino e versate nella pentola insieme ai ceci versando l’acqua necessaria per la minestra. A questo punto aggiungete qualche cucchiaio di passata di pomodoro, fate insaporire e unite la pasta (preferibilmente ditalini o spaghetti spezzati). Zuppa di cicorietta di campo con Fagioli Secondi Ingredienti per 4 persone 200 gr di fagioli secondi (o della stoppia), 200 gr di farro del Pungolo, una cipolletta fresca, 500 gr di cicorietta di campo, pomodorini, cubetti di pane tostato, sale, pepe, peperoncino piccante, olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Fate soffriggere la cipolletta, possibilmente fresca, e il peperoncino piccante. Unite al soffritto la cicorietta, precedentemente sbollentata, aggiungete poi i fagioli secondi, già bolliti in precedenza (senza metterli a bagno!); fate insaporire bene e completate con i pomodorini lasciando bollire il tutto per alcuni minuti. Aggiungete il farro, precedentemente messo a bagno e cotto in acqua bollente fino ad ultimare la cottura. Servite la zuppa ben calda accompagnata da cubetti di pane tostato. 44 45 foto: C. Goretti - Graphisphaera RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Voltarella Via Solferino, 25 tel. 0761.422197 valentanO (vt) Ceci del Solco Dritto e baccalà (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 800 gr filetti di baccalà, 250 gr di ceci del solco dritto, passata di pomodoro, due spicchi d’aglio rosso di Proceno, sale, pepe, un rametto di rosmarino, due cucchiai di olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Tenete i ceci per una notte immersi in acqua salata con una puntina di bicarbonato e metteteli a bollire con acqua abbondante per un paio di ore. Mettete a bagno il baccalà per circa 48 ore, cambiando l’acqua 4 o 5 volte, poi fatelo bollire in acqua senza sale. Fate un fondo con olio, aglio rosso in camicia, peperoncino e rosmarino. Aggiungete un po’ di passata di pomodoro, soffriggete e fate insaporire. Unite il baccalà a pezzi, fate cuocere una decina di minuti e aggiungete quindi i ceci scolati. Fate insaporire per una decina di minuti. Zuppa con i Fagioli Secondi Ingredienti per 4 persone 300 gr di fagioli secondi di S. Lorenzo Nuovo, olio extra vergine di oliva di Gradoli, sale, 500 gr di finocchio selvatico fresco, aglio rosso di Proceno, peperoncino, 400 gr di polpa di pomodoro, pane casereccio raffermo. Preparazione Scegliete le parti più tenere delle foglioline di finocchio selvatico fresco, tagliatele a pezzi lunghi un dito e scottatele per due minuti in acqua bollente. In una pentola mettete a cuocere i fagioli in acqua salata non abbondante e, a parte, in un tegame fate un soffritto con olio di oliva e aglio, aggiungendovi la polpa di pomodoro, il finocchio, il sale, il peperoncino lasciando insaporire per una decina di minuti a fuoco basso. Versate il soffritto nella pentola dove stanno cuocendo i fagioli secondi, aggiungendo acqua calda (o brodo di dado) fino a cottura ultimata. Versate la zuppa sul pane e lasciatela riposare per qualche minuto. Tenete il piatto coperto, irrorando poi con olio extra vergine di oliva prima di iniziare a mangiare. 46 foto: C. Goretti - Graphisphaera 47 RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Piroga Via Acquapendente, 26 tel. 0763.727837 SAN LORENZO Nuovo (vt) Coregone del lago di Bolsena con Fagioli Secondi (foto a lato) Ingredienti per 4 persone Quattro coregoni del lago di Bolsena di circa 250 gr cadauno, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, sale, pepe, odori mediterranei, 350 gr di fagioli secondi (o della stoppia), una cipolla fresca. Preparazione Pulite accuratamente i coregoni all’esterno asportando scaglie e pinne; filettate ciascun coregone e condite con sale, pepe, olio extra vergine d’oliva e odori mediterranei. Cuocete a piacere sulla brace (piastra o forno) e servite ben caldo. Lessate a parte i fagioli secondi dopo un lungo ammollo e conditeli con olio extra vergine di oliva, sale, una puntina di pepe con l’aggiunta di cipolla fresca tagliata a fettine sottili. Crostini di Fagioli del Purgatorio con finocchietto fresco Ingredienti per 4 persone 200 gr di fagioli del purgatorio, peperoncino, finocchietto fresco, aglio rosso di Proceno, cubetti di pane tostato, olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Cuocete i fagioli del purgatorio in acqua fredda senza metterli a bagno. Preparate, a parte, un soffritto con aglio rosso e peperoncino; unitevi i fagioli con un po’ della loro acqua e fateli insaporire aggiungendo finocchietto fresco. Servite su pane tostato, leggermente “agliato”, ed irrorate con olio extra vergine di oliva a crudo. 48 foto: C. Goretti - Graphisphaera 49 ll Farro (Triticum spp.) Il farro, appartenente alla famiglia delle Graminacee, viene comunemente chiamato frumento “vestito” in quanto dopo la trebbiatura la cariosside (il seme) risulta ricoperto degli involucri protettivi (glume e glumelle) che invece, nel caso del grano, si staccano, da cui il nome frumento “nudo”. Il farro, quindi, per essere utilizzato, necessita di un processo di pulitura (sfarratura o sbramatura) per l’eliminazione delle glume e delle glumelle. Si tratta di un metodo antichissimo che consiste nel molire le spighette con una macina di pietra in modo da provocare la rottura ed il distacco delle varie parti. Con i chicchi interi del farro si preparano zuppe e minestre, con la semola pane, pasta o dolci. Il farro, per la sua elevata digeribilità e contenuto in vitamine, è sempre più apprezzato per soddisfare le esigenze crescenti di un’alimentazione “sana” e “naturale”. In Italia si coltivano tre specie: farro piccolo (Triticum monococcum), farro medio (Triticum dicoccum Schluber) e farro grande o spelta (Triticum Spelta L.), attualmente però sono quasi in disuso il farro piccolo e quello spelta. Si tratta di piante molto antiche; secondo alcuni reperti archeologici provenienti dalla Mesopotamia e dall’antico Egitto la coltivazione risalirebbe a circa 8000/7000 anni a.C. La pianta ha avuto origine in Medio Oriente: Mesopotamia, Siria, Palestina (zona del Mar Morto) ed Egitto. Gradualmente si è poi diffusa in Asia Minore e nell’area del Mediterraneo. Procedendo nel tempo se ne trova notizia in numerosi testi siriani e in diverse pergamene risalenti all’epoca dei Faraoni. Era proprio in Egitto infatti che si concentravano le più grandi produzioni di Farro di quel tempo, largamente esportato poi in buona parte del bacino mediterraneo. In Grecia il farro era noto fin dal III millennio a.C. In Europa la coltivazione si affermò a Nord seguendo il corso del Danubio e a Sud verso le isole del Mediterraneo. Nell’età classica era conosciuto con il nome “corno oliria o chondros (per la farina bianchissima)”. Di esso si hanno notizie in Erodoto (V secolo a.C.), Aristotele (IV secolo a.C.) e Galeno (II secolo d.C.). In Italia si è affermato soprattutto nelle colonie greche della Magna Grecia e della Sicilia nel secolo IV a.C. diffondendosi rapidamente nell’intera Penisola. Per parecchi secoli la coltura fu largamente praticata (Plinio chiama il farro “primus antiquis latio cibus”) poiché tale cereale costituiva la base della dieta degli antichi Romani. Durante l’Impero Romano il farro era dato quale ricompensa agli eroi e come simbolo di onore e di gloria, fu anche utilizzato in riti di propiziazione (soprattutto dalle Vestali). Durante le annate di carestia, per sopperire alla penuria di cereali necessari al vettovagliamento degli eserciti, il farro veniva importato dalle province d’Oltralpe, soprattutto dalla Gallia, ove si producevano piante con cariossidi lucide e di maggiori dimensioni. La sua ottima adattabilità ad ogni tipo farro del pungolo di acquapendente 50 51 foto: C. Goretti - Graphisphaera di terreno e temperatura ne ha fatto un cereale largamente diffuso fino alla metà del secolo scorso. Attualmente è coltivato in alcune regioni del nord Europa (Belgio, Svizzera, Austria e Germania). In Italia, fino a pochi anni fa, la coltivazione era limitata ad alcune zone della dorsale appenninica, soprattutto ad aree di alta collina o montagna, essendo stato soppiantato da cereali di più alta produttività. Oggi il farro è ritornato ad essere coltivato in modo piuttosto consistente soprattutto nel centro Italia, sposando perfettamente l’idea dell’agricoltura biologica. Le sue caratteristiche di rusticità e capacità di accestimento, unitamente alle ottime caratteristiche organolettiche e nutrizionali, lo rendono, infatti, estremamente competitivo in regime di agricoltura biologica sia in termini economici che in termini agronomici. Tecnica di coltivazione Nel dettaglio le tecniche di coltivazione prevedono un lavoro preparatorio, consistente in un’aratura a 30-40 cm di profondità, e successivi interventi di erpicatura finalizzati all’eliminazione delle infestanti e alla creazione di un ideale letto di semina. La semina, effettuata anche con seminatrici meccaniche normalmente utilizzate per i cereali, è piuttosto tardiva (dicembre-gennaio) e prevede un impiego di circa 200 kg. per ettaro di seme; vengono poi eseguiti successivi interventi meccanici (erpice strigliatore) per la lotta alle erbe infestanti. La raccolta è effettuata con la mietitrebbia ed è tempestivamente seguita dal lavoro di ripulitura delle cariossidi, prima dell’avvio del prodotto al confezionamento. Pensiamo alla salute… Il farro è particolarmente ricco di oligo-elementi come il ferro (utile per la sintesi dell’emoglobina) e il manganese (regolatore del metabolismo degli zuccheri, dei grassi, delle proteine e del funzionamento di fegato e reni). Si consiglia l’uso costante del farro integrale (sia in fiocchi, farina o pasta) per la prevenzione di tutti i problemi dell’apparato digerente. Nutrirsi con questo cereale aiuta infatti a prevenire i tumori intestinali che derivano dal ristagno nell’intestino di sostanze tossiche, assunte con gli alimenti. Va da sé che la sua ricchezza di fibre lo rende un alimento utilissimo per combattere la stitichezza. IL FARRO DEL PUNGOLO DI ACQUAPENDENTE Il Farro del Pungolo di Acquapendente viene coltivato in un’area ristretta, da poche aziende della zona, tutte ubicate nel territorio della Comunità Montana. Ad essere coltivata è una varietà locale seminata da tempo immemorabile, più recentemente sono state introdotte alcune nuove varietà di provenienza diversa al fine di valutarne la resa e l’adattamento alle condizioni locali e le caratteristiche organolettiche. Il prodotto che si ottiene localmente assume specifiche peculiarità determinate dalle condizioni pedoclimatiche dell’area e dalle tecniche di coltivazione che prevedono nulli o limitatissimi apporti di fertilizzanti. I terreni sui quali meglio si esalta questa coltura sono profondi, privi di scheletro, di media tessitura, a reazione neutra o subacida e di media permeabilità. Corrispondono quindi perfettamente a quelli in cui attualmente tale coltura è praticata, ubicati a circa 450 metri s.l.m., caratterizzati da precipitazioni annue che si aggirano tra gli 800 ed i 900 mm. 52 Il logo del Farro del Pungolo di Acquapendente (illustrazione di C. Goretti - Graphisphaera). 53 aneddoti e curiosità I Pugnaloni di Acquapendente, stupendi mosaici di petali di fiori e foglie, sono il principale elemento folcloristico della festa della Madonna del Fiore. L’origine di questa festa si fa risalire ad uno degli episodi principali della storia di Acquapendente: la liberazione, nel lontano 1166, dal giogo del tirannico governatore di Federico I Barbarossa. La fioritura miracolosa di un ciliegio ormai secco, preso a simbolo di oppressione dagli aquesiani, fu il segnale della protezione della Madonna. Il popolo insorse e cacciò il dominatore distruggendo il suo castello. A ricordo della sospirata liberazione la comunità decretò di fare una grande festa, ogni anno, a metà maggio. Oggi a più di otto secoli della sua origine si celebra la festa di Mezzomaggio in onore della Madonna del Fiore e il tema dell’antica liberazione è ricordato nei pugnaloni che, pur con i modi e gli stimoli del XXI secolo, vogliono rappresentare la libertà contro ogni forma di oppressione. Antenati degli attuali pugnaloni erano i “pungoli” (antichi arnesi agricoli) ornati di fiori che i contadini usavano portare nella processione a seguito della statua della Madonna del Fiore. La fantasia aquesiana li ha elaborati e col passare dei secoli sono nati gli odierni pugnaloni. in pillole • Gli antichi Romani usavano il farro nei cerimoniali e come offerta religiosa. Alle divinità contadine si offriva la “mola salsa” ovvero farro in chicchi o farina di farro miscelata con acqua e sale. Il solo farro, invece, si offriva a Ceres, personificazione della forza generatrice della terra, durante il periodo della semina ovvero delle “feriae sementivae”. • Le spose romane portavano in dono al loro sposo un dolce o del pane di farro da consumare insieme. Da questo gesto trae origine la parola “confarreatio” ovvero unione. La “confarreatio” era per i Romani una delle tre forme legali di matrimonio insieme con la “coemptio” (una sorta di compravendita) e l’”usus”. Nella “confarreatio” la sposa in casa dello sposo offriva una focaccia di farro a Giove e recitava parole sacramentali davanti a 10 testimoni, al pontefice e al flamine di Giove. • Sempre i Romani durante la festa che chiamavano “Fornacalia” in onore di Fornax, divinità domestica dea del forno, arrostivano il farro per liberarlo dalle glumelle che aderiscono al chicco. Si diffuse così la pratica di tostare il farro per preparare il “puls”, una polenta di farro di uso comune, pasto principale della povera gente e il “libum”, una focaccia fatta con farina di farro, latte e miele da offrire agli dei. • Santa Ildegarda Di Bingen affermava che: “Il farro è il migliore dei cereali... sostanzioso ma più facilmente digeribile rispetto agli altri. A chi lo mangia dona una giusta struttura muscolare e buon sangue. L’anima si rallegra e si riempie di serenità”. • Caduto in oblio nell’era moderna è stato riscoperto per le sue grandi qualità nutrizionali. Possiede un alto contenuto di proteine vegetali e vitamine B, D, E, K, PP e la provitamina A, oltre a fibre e sali minerali. Inoltre, per il basso contenuto in grassi e calorie, se ne consiglia l’assunzione nelle diete ipocaloriche. Gli attuali Pugnaloni, mosaici di petali di fiori e di foglie (foto C. Goretti Graphisphaera). 54 55 ACQUAPEnDEnte Sulle origini di Acquapendente non esistono notizie certe. Si ipotizza che qui anticamente sorgesse un centro etrusco, successivamente abitato dai romani e poi invaso e distrutto dalla furia dei longobardi. Dall’analisi documentaria, si rintraccia, invece, una più probabile nascita del nucleo urbano originato da un “Vico” di nome Arisa, formatosi tra il IX e X secolo lungo la via Francigena. Con la donazione da parte di Matilde di Canossa di tutti i suoi beni alla Chiesa, Acquapendente entrò a far parte del Patrimonio di San Pietro e fu posta sotto la diocesi di Orvieto. Il XIII secolo vide un susseguirsi di conflitti tra Papato ed Impero e tra Acquapendente ed Orvieto. Con il ritorno del Papa a Roma, dopo l’esilio ad Avignone, Acquapendente riacquistò i propri diritti di autogoverno. La città conobbe ancora periodi difficili, aggravati da nuovi conflitti nel 1641, con l’inizio della guerra di Castro, allorché Acquapendente fu dapprima saccheggiata delle truppe di Odoardo Farnese e successivamente dall’esercito del Papa. Dopo la pace stipulata tra Odoardo Farnese e Papa Urbano VIII la disputa riprese nel 1644 con il nuovo Papa Innocenzo X che ordinò l’assedio e la distruzione della città di Castro. A seguito di questo evento la sede vescovile fu trasferita ad Acquapendente e la basilica del Santo Sepolcro divenne cattedrale. Dopo la rivoluzione francese Acquapendente fu una tra le prime città ad instaurare un ordinamento repubblicano che rimase in atto fino al termine della Repubblica Romana nel 1799. SAGRE E MANIFESTAZIONI Viaggio nella civiltà contadina e artigiana 3° fine settimana di agosto La “trebbia a fermo”... d’altri tempi (elaborazione grafica C. Goretti - Graphisphaera). 56 57 RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Ripetta Via Roma, 38 tel. 0761.456817 GRADOLI (VT) Panzanella di Farro del Pungolo e filetti di Coregone del lago di Bolsena (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 200 gr di farro del pungolo, filetti di coregone del lago di Bolsena, cubetti di pane tostato, pomodorini, cipolla, sedano, basilico, sale, pepe, prezzemolo, lattuga, olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Mettete a bruscare il pane tagliato a cubetti, condite con sedano, pomodorini, cipolla, basilico, lattuga e olio extra vergine d’oliva, aggiungete il farro del pungolo precedentemente messo in ammollo e bollito. Amalgamate il tutto e disponetelo su un vassoio di portata. Aggiungete i filetti di persico sbollentati e condite leggermente con olio extra vergine d’oliva e prezzemolo. Minestra di Farro del Pungolo e Fagioli secondi Ingredienti per 4 persone 200 gr di farro del pungolo, 300 gr di fagioli secondi, 50 gr di cotenna di prosciutto accuratamente pulita, una costola di sedano, cipolla, aglio rosso di Proceno, qualche foglia di salvia, un rametto di rosmarino, 200 gr di polpa di pomodoro, noce moscata, un pizzico di cannella, tre chiodi di garofano, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, qualche chicco di pepe, sale. Preparazione Bollite i fagioli secondi con due cucchiai di olio, due spicchi di aglio, il rosmarino, la salvia e i chicchi di pepe. Passatene la metà al passaverdure e tenete da parte il resto, acqua di cottura compresa. Fate un soffritto con il sedano, uno spicchio di aglio e la cipolla, aggiungete i fagioli della stoppia lessati, passati e non, il pomodoro, il farro del pungolo e le cotenne. Cuocete a fuoco lentissimo per circa quaranta minuti, aggiungendo acqua bastante a raggiungere una consistenza cremosa della minestra. Insaporite con sale e pepe, speziando leggermente il piatto con la cannella, la noce moscata e i chiodi di garofano. Servite in piatti fondi individuali, con un filo di olio a crudo. In questa ricetta si ama seguire la tradizione medievale delle spezie, che rende la minestra più intrigante, dal gusto insolito e piacevolmente aromatico. 58 59 foto: C. Goretti - Graphisphaera RICETTA ELABORATA DA: Ristorante Al Pugnalone Via P. A. Salimbeni tel. 0763.711252 ACQUAPENDENTE (VT) Timballino di Farro del Pungolo al vino rosso di Monte Rufeno e tartufo nero su passatina di Fagioli del Purgatorio (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 400 gr di farro del Pungolo, un bicchiere di vino rosso di Monte Rufeno, 200 gr di porri, 200 gr di fagioli del Purgatorio, rosmarino, quattro gamberi, 100 gr di pecorino, brodo vegetale, sale e pepe, olio extra vergine di oliva di Gradoli. Preparazione Tagliate i porri a fettine sottili e fateli appassire in un tegame con un bicchierino d’olio extra vergine una volta appassiti metteteli da parte. Nello stesso tegame fate tostare il farro e cuocetelo a mo’ di risotto, aggiungendo poco alla volta il brodo, togliete dal fuoco ed aggiungete il formaggio, il tartufo nero e metteteli in 4 stampini, attendete qualche minuto e capovolgeteli sulla passatina di fagioli, guarnite con timo, gambero e olio extra vergine di oliva. Per la passatina di fagioli: lessate i fagioli con un rametto di rosmarino; toglietelo e passate il tutto al mixer. Per il brodo: un litro di acqua, una carota, una cipolla, sedano, due pomodori, mezzo litro di vino rosso, le teste dei gamberi, un dado, pepe nero a grani. Minestra di Farro del Pungolo e Lenticchie di Onano Ingredienti per 4 persone 200 gr farro del pungolo, 350 gr lenticchie di Onano, grasso di maiale, aglio rosso di Proceno, cipolla, olio extra vergine di oliva di Gradoli, sale, pomodoro, sedano, carota, pepe (pecorino). Preparazione Fate un battuto con grasso di maiale (pancetta), cipolla, aglio, prezzemolo, carota e sedano e mettetelo a soffriggere in un tegame con olio di oliva; poco dopo aggiungete i pomodori passati, acqua calda o brodo o acqua delle lenticchie e lasciate cuocere per 15 minuti. Unitevi il farro ammollato precedentemente, insieme con l’acqua delle lenticchie e continuate la cottura. Le lenticchie, cotte a parte, andranno aggiunte al farro a metà cottura, insieme con qualche cucchiaiata di lenticchie passate al passatutto, in modo da ottenere un brodo più denso. Servite la minestra calda, irrorandola sul piatto singolo con olio extra vergine di oliva. Al posto dell’olio, secondo i gusti, si può aggiungere del pecorino grattugiato. 60 foto: C. Goretti - Graphisphaera 61 RICETTA ELABORATA DA: Osteria La Quintaluna Via Grotte d’Ambrogio, 1 tel. 0763.732142 Acquapendente (VT) Coda alla vaccinara su passatina di Ceci del Solco Dritto e polentina gialla con Farro del Pungolo ai porcini di Monte Rufeno (foto a lato) Ingredienti per 4 persone Per la coda: tre code di vitello, quattro coste di sedano, mezza cipolla, due carote, olio extra vergine di oliva di Gradoli, sale, pepe, pomodoro passato. Per la passatina: 200 gr di ceci del solco dritto, uno spicchio d’aglio rosso di Proceno, una fetta di lardo, un rametto di rosmarino. Per il farrotto: 200 gr di funghi porcini di Monte Rufeno, 300 gr di farro del pungolo (da mettere per 24 ore a bagno), aglio rosso di Proceno, cipolla, brodo vegetale q.b., burro, parmigiano, peperoncino. Preparazione Tagliate a julienne piuttosto grande tutti gli odori, fateli andare a fuoco vivo, aggiungete le code, (precedentemente tagliate a pezzi), fate rosolare, sfumate con vino rosso e aggiungete la passata di pomodoro e cuocete il tutto per circa due ore e mezza. Cuocete i ceci precedentemente messi a bagno per 24 ore. Una volta cotti fate un soffritto con aglio, rosmarino e lardo, aggiungete i ceci, fate insaporire per circa 15 minuti e passateli al setaccio. Fate il soffritto con cipolla aglio, olio e peperoncino, aggiungete i porcini tagliati a lamelle e fate cuocere per circa 10 minuti. Aggiungete il farro e procedete con la cottura aggiungendo il brodo vegetale affinché il farro non risulterà cotto. Mantecate con il burro e guarnite con prezzemolo fresco. Impiattate, accompagnando il tutto, con qualche cucchiaio di polentina gialla cremosa. 62 63 foto: C. Goretti - Graphisphaera La Patata (Solanum tuberosum) patata dell’alto viterbese (grotte di castro) La patata è una pianta diffusa in tutto il mondo ed in alcune popolazioni rappresenta l’alimento base sostituendo, a volte, anche il pane. Le proprietà nutrizionali della patata sono molto interessanti in quanto molto ricca di vitamina C, di amido e di sostanze minerali come fosforo, ferro e magnesio. Alcuni credono che le patate siano molto caloriche, tuttavia questo non corrisponde al vero. Cento grammi di patate forniscono circa 80 calorie e nello stesso tempo danno senso di sazietà. Duecento grammi di patate corrispondono a circa 50 grammi di pasta o a 75 grammi di pane. Per le sue proprietà, la patata è un alimento facilmente digeribile, adatto ai diabetici, a chi è in sovrappeso, a coloro i quali soffrono di insufficienza renale, gotta e ipertensione, per il suo basso contenuto di sodio. Ciò che rende le patate caloriche e meno digeribili sono in realtà i condimenti usati nella preparazione delle varie pietanze che la vedono protagonista: questo tubero, infatti, è caratterizzato da un’alta capacità di assorbire i grassi utilizzati per la cottura. A titolo di esempio le patate bollite con aggiunta di poco sale possono sostituire il pane nella dieta mentre le patate fritte, poiché tendono a impregnarsi di grassi e di olio durante la cottura, sono decisamente sconsigliate a chi segue una dieta ipocalorica. è un prodotto interessante oltre che per il consumo fresco anche per l’industria alimentare, più precisamente per la produzione di fecola, amido, destrina, glucosio, oltre che la per distillazione. Trova largo impiego anche nell’alimentazione zootecnica. La pianta coltivata appartiene alla specie Solanum tuberosum. Di questo genere si conoscono circa 160 specie spontanee, di cui 20 in grado di tuberificare. Sulla provenienza geografica della patata vi sono due opinioni: alcuni affermano che sia originaria delle regioni andine del Centro-Sud America ed in particolare in Venezuela, Colombia, Ecuador; alcuni botanici russi sostengono invece che l’origine sia da ricercare in Perù o in Bolivia, nei pressi del Lago Titicaca, dove è stato trovato il più alto numero di specie spontanee di questo tubero. Pensiamo alla salute… Sembra che la patata sia un ottimo rimedio per diminuire i dolori nevralgici. Basta applicare sulla parte dolorante una patata cotta al forno e mantenerla, con l’aiuto di una benda di cotone, a contatto con la parte infiammata per una quindicina di minuti. Una patata tagliata a metà e posta su una scottatura calma il dolore! Le patate che diventano verdi contengono sostanze naturali tossiche, per questo motivo è assolutamente indispensabile, in questi casi, pelare in profondità o meglio ancora gettare via il prodotto “inverdito”. 64 foto: C. Goretti - Graphisphaera 65 LA PATATA DELL’ALTO VITERBESE Denominazione e informazioni sul prodotto La Patata dell’Alto Viterbese, destinata prevalentemente al consumo fresco, viene prodotta nella zona ad Ovest del Lago di Bolsena, all’interno dei comuni di Grotte di Castro, San Lorenzo Nuovo, Gradoli, Latera, Bolsena, Onano e Valentano. La coltivazione, preponderante nel territorio di Grotte di Castro, vanta nell’area un’antica tradizione anche se la sua maggiore diffusione si è registrata negli ultimi 30 anni quando, a causa del forzato abbandono della coltivazione della fragola, determinato da insorgenze fitopatologiche, gli agricoltori hanno cercato una coltura da reddito sostitutiva. Nel corso del tempo la coltivazione della patata ha avuto un andamento altalenante sia in termini di superfici investite sia di produzioni, ma da diversi anni si sta assistendo ad un moderato incremento, anche grazie alle attività di assistenza tecnica e di controllo della qualità, nonché alla dotazione di impianti di conservazione e confezionamento, realizzati da vari soggetti del territorio. La Patata dell’Alto Viterbese trova in questo areale le condizioni ideali di sviluppo e grazie alla sua naturale predilezione per i terreni sciolti d’origine vulcanica, permeabili, poveri di calcare, ricchi in elementi nutritivi ed in particolar modo di potassio, ottiene alte rese produttive unitamente ad elevati standard qualitativi. Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione Il prodotto è un tubero di forma e pezzatura regolare, ovale o allungata, con buccia liscia ed occhi (gemme) superficiali. Grotte di Castro, 1968 - Lo sciopero delle patate (2000, Avvenimenti, tradizioni ed immagini di Grotte di Castro, A. Marziantonio). 66 Una raccolta di patate d’altri tempi (2000, Avvenimenti, tradizioni ed immagini di Grotte di Castro, A. Marziantonio). La parte edule consiste in una pasta gialla di colore chiaro, con notevole contenuto d’amido, di potassio e di vitamina C, anche se per alcune varietà la pasta può essere bianca o anche rossa. Il sapore è gradevole e bilanciato, per cui si presta ottimamente al consumo fresco. La sua naturale posizione all’interno di una rotazione (almeno biennale) è quella del rinnovo, avvicendata a cereali o a colture da sovescio (trifoglio incarnato, favetta ecc.). Questo accorgimento può limitare notevolmente gli attacchi parassitari ed i sintomi di sofferenza da “stanchezza” del terreno. Nel territorio dell’Alta Tuscia la coltivazione si svolge, di solito, in aziende a conduzione familiare di 2-3 ettari. Le varietà maggiormente utilizzate dagli agricoltori sono Agata, Monalisa, Liseta, Cicero Vivaldi e Caesar. Nell’ambito della tecnica di coltivazione, la preparazione del terreno, la concimazione di fondo, l’irrigazione e la geodisinfestazione risultano fondamentali per la qualità del prodotto. Dopo la raccolta, effettuata a completa maturazione e cioè quando il fogliame è completamente ingiallito o disseccato, il prodotto è movimentato e conferito agli stabilimenti nei quali si svolgono la pulizia, il lavaggio, l’asciugatura e la selezione; dopodiché il prodotto può essere confezionato per essere avviato ai mercati oppure conservato in celle frigorifere (condizionamento a 6- 8°C con U.R. all’88-93%). 67 aneddoti e curiosità Patata, cibo popolare Colombo nei suoi viaggi oltremare non incontrò personalmente la patata. Venne invece scoperta dagli spagnoli di Pizarro, sulla Cordigliera Andina, solo a metà Cinquecento. I primi europei che la degustarono ne rassomigliavano il gusto a quello della castagna. Quando nel 1565, Filippo II di Spagna inviò al papa un certo quantitativo di patate, queste vennero addirittura scambiate per un genere di tartufi dal sapore disgustoso. Sempre in quel periodo, non vennero comprese le qualità nutrizionali del tubero, ritenendo che la sua parte commestibile fossero le foglie. Giudicato un alimento malsano (la pianta contiene solanina), l’apostrofarono come cibo “capace di provocare effetti allucinogeni e di dare alle streghe il potere di volare”. Per l’introduzione della patata negli usi alimentari europei bisognerà attendere il Settecento, quando carestie e guerre, assieme ad una capillare propaganda fatta dai poteri pubblici, fecero accogliere nei campi e sulle tavole il “tartufo bianco”, nome con il quale era indicata la patata. Il tubero incontrò colui che l’avrebbe portato fuori dall’ambito militare, durante la guerra dei Setti anni (1756-1763), dove erano protagonisti anche gli eserciti prussiani e francesi. Si trattava del farmacista ed agronomo francese Parmentier AntoineAugustin, che durante la prigionia in Germania ne apprezzò il sapore, constatando la sua facilità di crescita in terreni relativamente poveri. Tornato in patria, qualche anno dopo Parmentier propose la “pomme de terre” (patata) ad un premio per nuovi cibi contro la carestia, presentando il tubero come un pane già fatto che non 68 richiedeva ne mugnaio ne fornaio. L’alimento suscitò grande interesse e fu così che, dopo la spaventosa carestia del 1785, Luigi XVI impartì l’ordine ai nobili di obbligare i propri contadini a coltivare la patata. I risultati non furono quelli sperati, perciò su consiglio di Parmentier, che orgogliosamente adornava il suo panciotto col fiore azzurro dalla pianta, il sovrano decise di dare seguito ad uno stratagemma. Si cominciò facendo coltivare delle patate al Campo di Marte, in un terreno guardato a vista dai soldati reali, per poi spargere la voce che lì si produceva una preziosità riservata al re. La cupidigia fece il suo corso. In molti si trasformarono in ladruncoli pur d’impossessarsi dei frutti proibiti, e, durante la rivoluzione del 1789, la patata era già un cibo popolare. In Italia il percorso di questo tubero fu altrettanto difficile, tanto che gli agronomi del Settecento come Giovanni Battarra, arrivarono a consigliarne l’uso per farne un surrogato della farina di grano nella preparazione del pane, per utilizzarlo nell’impasto degli gnocchi, per consumarlo alla stregua delle più tradizionali rape. All’inizio dell’ottocento la “plebea” patata trovò la sua consacrazione anche nella Haute Cuisine con le crocchette ideate da Antoin Caréme . Risale allo stesso periodo la definitiva diffusione del tubero in Italia ed uno dei suoi principali estimatori sembrerebbe sia stato Alessandro Volta. Ancora oggi all’illustre agronomo Parmentier sono intitolate molte ricette in cui le patate figurano come elemento centrale o guarnizione predominante. in pillole • Dalle povere mense contadine alle prestigiose sale dei musei: è il percorso compiuto dalla patata grazie all’arte dei pittori che, nel corso dei secoli, ne hanno fatto la protagonista principale dei loro dipinti. Il primo «ritratto» ufficiale della patata risale alla fine del 1500: un acquerello, oggi conservato al museo Plantin di Anversa, di cui un botanico olandese dell’epoca, Charles de Lécluse, si servì per redigere la prima descrizione scientifica dello sconosciuto alimento. Ma il dipinto più famoso lo si deve senza dubbio a Vincent Van Gogh (vedi foto in basso); nella tela «I mangiatori di patate» ha ritratto una cena contadina dove l’umile tubero diventa il simbolo della triste condizione dei lavoratori della terra. Dal 1885, si trova al museo Van Gogh di Amsterdam. • I colori della patata Esistono diverse varietà di patate, tuttavia possono essere classificate genericamente nelle seguenti categorie, tutte normalmente reperibili in commercio. Patate a pasta gialla - (Olandesi) il colore deriva dalla presenza di caroteni, la polpa si presenta ben compatta e sono apprezzate per la cottura al forno, per essere fritte sia a livello industriale sia a livello casalingo, e nella preparazione di insalate. Patate a pasta bianca: hanno una polpa chiara, farinosa che si sgretola facilmente durante la cottura, ideali nella preparazione di gnocchi e purè. Non sono adatte per essere fritte poiché essendo asciutte assorbono troppo olio e grassi. Patate novelle: sono raccolte quando la maturazione non è ancora totalmente completata e si riconoscono per la buccia sottile. L’ideale è mangiarle dopo averle bollite con la buccia. Poiché le loro qualità si deperiscono con il tempo, non sono adatte per la conservazione e vanno consumate prima possibile. Patate a buccia rossa: (King Edwards) caratterizzate dalla polpa soda, sono indicate nelle cotture intense, quali al cartoccio, al forno e fritte. Il gusto delle patate a buccia rossa dipende molto dalla qualità del terreno nel quale sono coltivate. Patata americana: detta anche “patata dolce” o “batata”, dalla buccia rossa, viola o bianca e dal tipico sapore dolciastro. 69 Grotte di castro Grotte di Castro è un caratteristico centro di origine etrusca, situato nei pressi del lago di Bolsena in buona posizione panoramica con vista sul lago. Il primo insediamento etrusco, Tiro, chiamato anche “Civita”, fu distrutto dai colpi dell’espansionismo romano, ma fu solo con l’invasione longobarda che l’altura della “Civita” venne abbandonata. I suoi abitanti si trasferirono su una rupe tufacea meno estesa ma più facilmente difendibile e furono costretti a trovare rifugio nelle grotte scavate nel tufo di cui la zona è ricca. Di qui il primitivo nome del paese: Castrum Criptarum, vale a dire “Castello delle Grotte”. Nel 774, grazie alla donazione della Tuscia al Papato da parte di Carlo Magno, il territorio delle Grotte entrò a far parte del patrimonio di San Pietro. Papa Paolo III Farnese, la acquistò per includerla nel Ducato di Castro ed affidarla al figlio Pier Luigi. Quando nel 1649 Castro venne distrutta, Grotte passò di nuovo al patrimonio della Chiesa da cui si affrancò soltanto nel 1870 con l’Unità d’Italia. SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra della PATATA Settimana di Ferragosto Locandina della “Sagra delle Patate” di Grotte di Castro. 70 71 SAN LORENZO NUOVO Fu interamente costruito nel 1774 per ordine di Papa Pio VI Braschi, in sostituzione del vecchio paese, le cui rovine sono tuttora visibili più a valle. San Lorenzo Vecchio, noto come San Lorenzo alle Grotte, era posto su un colle di tufo soggetto a gravi fenomeni di erosione per il cattivo drenaggio delle acque meteoriche; non meno importante a determinare lesioni del paese era l’aria malsana, che nasceva dalla vicina zona paludosa dove avveniva la macerazione della canapa. A nulla valsero i tentativi di sanare il paese. La necessità di offrire una sistemazione alla popolazione in ambiente salubre si inserì nel programma dello Stato Pontificio, e sotto la spinta del Cardinale Braschi, divenuto in seguito Papa Pio VI, si realizzò la costruzione ex novo di San Lorenzo. Il progetto di costruzione del nuovo San Lorenzo, dopo un primo avanzamento dei lavori fu abbandonato ed i lavori sospesi. Questi furono ripresi ancora sotto la guida di Pio VI con un progetto più moderno dell’Ing. Navone. San Lorenzo Nuovo, grazie al progetto del Navone, si distingue da tutti gli altri centri vicini per il taglio architettonico moderno, la simmetria delle vie e l’ampiezza delle piazze e degli spazi a disposizione. Gli antichissimi gnocchi Probabilmente lo gnocco è la prima forma di pasta usata dall’uomo. Risulta infatti spontaneo mescolare a freddo un po’ di farina, con poca acqua, farne delle palline e cuocerle in acqua bollente. Gnocco è un termine longobardo (knohha, cioè nodo, nocca), d’epoca medioevale, esso definisce qualunque impasto di forma tondeggiante. Nei secoli passati e anche oggi in alcune zone, la parola gnocco è sinonimo di maccherone. Nel XIV sec. il Boccaccio, quando nel Decamerone parla di: “maccheroni che rotolavano a valle di una montagna di formaggio grattugiato”, alludeva con ogni probabilità a una sorta di gnocchi. I primi erano a base di farina o di semolino, quelli con patate o mais vengono in uso solo verso verso la fine del ‘700. Con il passare del tempo la dimensione degli gnocchi si è andata riducendo: da gnocchi grossi come uova si è arrivati a gnocchetti piccolissimi a forma di conchigliette, arricciolati su se stessi per trattenere il condimento. Questo tipo di pasta si può trovare in numerose regioni d’Italia: canederli in Trentino, knodeln in Alto Adige, gnocchi cotti a vapore in Friuli Venezia Giulia, gnocchi di patate in Veneto, gnocchi alla bava in Piemonte, gnocchi alla lariana a Como, maccheroni di patate in Romagna, gnocchi alla romana nel Lazio. 72 SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra degli gnocchi Settimana di Ferragosto Sagra degli Gnocchi nella piazza centrale (foto L. B. Studio - San Lorenzo Nuovo). 73 RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Ripetta Via Roma, 38 tel. 0761.456817 GRADOLI (VT) Ravioli di baccalà e Patate dell’Alto Viterbese (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 200 gr di patate dell’Alto Viterbese, 100 gr di baccalà, quattro uova, 200 gr di farina, latte, parmigiano reggiano, cipollette, pomodorini, basilico. Preparazione Mettete a bagno il baccalà per circa 48 ore, cambiando l’acqua 4 o 5 volte. Preparate l’impasto di uova e farina. Farcitura Fate bollite il baccalà in acqua senza sale insieme alle patate; quindi frullate ed amalgamate il tutto con un po’ di latte e parmigiano. Stendete la pasta, riempitela e ricavatene dei ravioli con degli stampini a forma rotonda. Fate cuocere in acqua bollente i ravioli e condite con un sugo leggero a base di pomodorini, cipollette e basilico spadellando leggermente. Pasta e Patate dell’Alto Viterbese Ingredienti per 4 persone 400 gr di patate dell’Alto Viterbese, 250 gr di anellini rigati, cipolla, carota, basilico, sedano, 200 gr di pomodori, pecorino (facoltativo), 100 gr di guanciale o pancetta di maiale, olio extra vergine di oliva di Gradoli. Preparazione Fate un battuto con il guanciale e tutti gli odori (sedano, carota, cipolla, basilico) e mettetelo a soffriggere in un tegame contenente due cucchiai di olio extra vergine di oliva; quindi aggiungetevi le patate tagliate a tocchetti, altre foglie di sedano a pezzetti, il sale ed una quantità di acqua o brodo di dado sufficiente a cuocere la minestra. Durante la cottura aggiungete uno o due pomodori passati, lasciate insaporire ancora il brodo e verso la fine unitevi la pasta, completando la cottura. Facoltativa l’aggiunta di pecorino grattugiato. Questa era una delle minestre più semplici e più comuni della cucina contadina di un tempo; “mangiare pasta e patate” significava appunto nutrirsi di un cibo povero per antonomasia. 74 75 foto: C. Goretti - Graphisphaera RICETTA ELABORATA DA: Ristorante Le Grotte Via V. Veneto, tel. 0763.796197 GrOTTE DI CASTRO (VT) Patate dell’Alto Viterbese “alla ghiotta” (foto a lato) Ingredienti per 4 persone Quattro patate dell’Alto Viterbese di media grandezza, dieci fette di pancetta, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, sale. Preparazione Le patate, lavate ed asciugate, vanno messe senza alcun condimento sulla piastra del forno ben caldo in modo che assumano il sapore veramente unico della “patate cotte nella cenere”. Nel frattempo prendete dieci fette di pancetta tagliata fine (già condita e un po’ secca!), mettete sulla griglia giusto il tempo di far friggere il grasso della stessa. Ultimata la cottura, spaccate la patate a metà nel senso della lunghezza o, se preferite, tagliatele a grosse fette; adagiatele su un piatto di portata, aggiungete un pizzico di sale e disponetevi sopra la pancetta. Servite il tutto ben caldo irrorando con un po’ di olio extra vergine di oliva. Spuntature di maiale in umido con purea di Patate dell’Alto Viterbese Ingredienti per 4 persone 500 gr di costarelle di maiale, 300 gr di patate dell’Alto Viterbese, peperoncino, passata di pomodoro, latte, parmigiano reggiano, cipolla. Preparazione Tagliate le costarelle di maiale in tre parti, mettetele poi a cuocere a fuoco lento in un soffritto di cipolla e peperoncino. Appena dorate aggiungete un po’ di passata di pomodoro e fate bollire il tutto. A parte portate ad ebollizione e passate le patate; condite con parmigiano reggiano e latte, ottenendo una purea che viene impiattata con le costarelle e il proprio sugo. 76 foto: C. Goretti - Graphisphaera 77 RICETTA ELABORATA DA: Ristorante Le Grotte Via V. Veneto, tel. 0763.796197 GrOTTE DI CASTRO (VT) Gnocchi al ragù (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 1,5 kg di patate dell’Alto Viterbese a pasta gialla, 300 gr di farina, 0,5 kg di pomodori pelati, una cipolla, aglio rosso di Proceno, 300 gr di macinato misto (manzo e maiale), 100 gr di pecorino romano, mezzo bicchiere di vino rosso secco. Preparazione degli gnocchi Fate cuocere le patate con tutta la buccia, e un pò di sale (non molto!). Quando le patate sono tenere e ben bollite (potete capirlo facendo la prova con una forchetta) toglietele dall’acqua e lasciatele raffreddare per 10 min. Una volta raffreddate le patate possono essere sbucciate molto facilmente e quindi schiacciatele con un passapatate da purè o semplicemente con una forchetta (l’importante è che non restino grumi più duri). Versate poi il passato su di una spianatoia di legno, dopo averla spolverata di farina, in maniera tale che il composto non si appiccichi. Lavorate questo impasto finché sarà divenuto elastico ed omogeneo; staccatene poi un pezzo per volta dalla grandezza di un pugno e lavoratelo col palmo delle mani in modo da ricavarne un bastoncino lungo e sottile come un dito. Tagliate questo bastoncino in pezzetti di circa 2,5 cm, ricordandovi sempre di aggiungere un pò di farina per non farli attaccare. Saranno cosi pronti i nostri gnocchi. Preparazione del ragù Fate un soffritto con aglio rosso e cipolla tritata; una volta imbiondita la cipolla togliete l’aglio e aggiungete il macinato misto. Lasciate cuocere il macinato e a fine cottura sfumate con mezzo bicchiere di vino rosso secco. Una volta sfumato il vino aggiungete i pelati e lasciate ritirare il sugo a fuoco lento finchè non acquisterà la consistenza e il sapore giusto. La cottura degli gnocchi è molto rapida; bisogna colarli delicatamente facendoli cadere dal panno su cui li avrete poggiati, in abbondante acqua salata, e quando saliranno a galla potrete cominciare ad alzarli con la schiumarola ed a condirli col sugo pochi per volta. 78 foto: C. Goretti - Graphisphaera 79 Il Coregone (C. Lavaretus) coregone del lago di bolsena Il Coregone del Lago di Bolsena, chiamato localmente “gorigone”, è un pesce che appartiene alla famiglia dei Salmonidi, sottofamiglia dei Coregonini, genere Coregonus (C. lavaretus), derivante dalla ibridazione del C. Wartmanni coeruleus e dal C. Schinzii helveticus, specie queste ultime provenienti dal laghi dell’europa nordorientale e del lago di Costanza. Nel 1861 fu introdotto nei laghi del Nord Italia e nel 1891 immesso nel Lago di Bolsena a seguito degli interventi di ripopolamento effettuati per conto del Ministero dell’Agricoltura con 60.000 avannotti, ottenuti da uova acquistate presso lo stabilimento imperiale di Huningen e provenienti dal Lago di Costanza ed incubate nella reale stazione di Roma. Presenta un corpo slanciato, schiacciato, protetto da grosse squame cicloidi, con una testa piccola dalla bocca leggermente obliqua. Ha una colorazione argentea sul dorso con riflessi, che variano a seconda dell’ambiente, dal grigio-verdastro al grigio-azzurrino, più argenteo sui fianchi, è quasi biancastro sul ventre. La taglia minima di cattura è di 30 cm., misurata dall’apice del muso all’estremità della pinna caudale. Questa dimensione è raggiunta mediamente alla metà del terzo anno di vita con un peso compreso fra i 200 e 250 gr. Vive nelle acque più profonde del lago, a 70-80 metri di profondità, dove l’acqua è più fredda, pulita ed ossigenata. Ha tempi di crescita molto rapidi rispetto ad altri pesci poiché raggiunge i 20 cm. e la maturità sessuale anche in un anno. La sua affermazione si deve alla grande disponibilità di alimenti, fornita dal zooplancton e alla notevole diminuzione dei predatori come il luccio. Si riproduce tra dicembre e gennaio, e depone, avvicinandosi a terra, circa 40.000 uova gelatinose per Kg. di peso vivo. Si pesca quando sale in superficie; le stagioni migliori sono: primavera e autunno. Coregone del Lago di Bolsena Il coregone è la specie ittica più diffusa nel lago, rappresentando quasi il 50% di tutto il pescato ed è il più apprezzato; non a caso è detto “spigola francese”, poiché la sua carne, pur essendo molto saporita, ha una particolare delicatezza che lo fa assomigliare a questo simbolo della raffinatezza gastronomica, che è appunto la spigola. Di norma la pesca dei coregoni è praticata dai pescatori 80 foto: C. Goretti - Graphisphaera 81 di professione che nel tardo pomeriggio calano sul fondo reti volanti, chiamate “retone” a Bolsena e “vollero” a Marta e Capodimonte, da recuperare all’alba. Tutto il pescato del lago è ovviamente “selvatico”, non deriva cioè da allevamenti, ed è freschissimo in quanto per il coregone non è conveniente adottare il surgelamento. Dal punto di vista nutrizionale il coregone, ancor più del pesce di mare, presenta caratteristiche di eccellenza come: alto contenuto proteico, composizione dei grassi polinsaturi, rapporto di questi con quelli saturi e contenuti di omega-3 ed omega-6. Se a questo si aggiunge il fatto che le acque dove vive questo pesce sono prive di inquinanti e di agenti patogeni, si comprende il grande valore del coregone del lago di Bolsena. Negli ultimi anni sono state iniziate importanti esperienze di trasformazione, con la produzione di filetti sottolio, marinati ed affumicati, che hanno raccolto consensi unanimi per le grandi qualità organolettiche e per il gusto che non ha niente da invidiare al salmone. Produzione, commercializzazione e promozione La quantità complessiva del pescato nel Lago di Bolsena, secondo i dati desunti dall’indagine realizzata dal Dipartimento di Economia Agroforestale e dell’ambiente rurale – DEAR, denominato “Promozione e ricerca di nuovi sbocchi per il pescato delle acque interne”- Responsabile scientifico Prof. Gabriele Dono, è stata nel 2004 pari a 470,9 tonnellate di cui il 59,1% rappresentata dal Coregone e il 33,5% dal latterino. Dal punto di vista economico questo quantitativo ha determinato un valore economico pari a € 927.000 distribuito in un numero decrescente di pescatori (circa 100 tra full time e part time). Questo dato però non appare sufficiente per definire la realtà produttiva del coregone in quanto non permette di delineare con chiarezza il rapporto tra questa specie ittica e il Lago di Bolsena. Molto più esaustivo appare invece il quantitativo di pescato per unità di superficie in quanto consente di verificare con un semplice confronto, la grande vocazione del lago per la produzione di pesce di grandissima qualità. Ritornando infatti ai dati contenuti nello studio sopra menzionato, e in particolare a quelli relativi ai quantitativi di coregone pescato per ettaro, il lago di Bolsena, con i suoi 24,52 Kg/ha, se confrontato ai laghi svizzeri (simili per tipologia di pescato e con un quantitativo medio pari a 12,39 Kg/ha), si distingue per la grande pescosità di coregone. Questo dato la dice lunga, oltre che sulle qualità delle acque del lago, anche sulla accorta gestione di questa specie ittica da parte dei pescatori e dell’Amministrazione Provinciale di Viterbo che negli anni hanno saputo ottimizzare al meglio prelievi ed immissioni. Per quel che concerne la struttura dei flussi di vendita del prodotto, ancora una volta ricorrendo ai dati contenuti nell’indagine DEAR, attraverso interviste a vari operatori di mercato e a diversi esperti del settore, è emerso che la gran parte del prodotto è avviato nei mercati del nord Italia 62,4%, il 16,2% è assorbito dalla ristorazione locale mentre un ulteriore 21,3% è assorbito dai consumi familiari. Tra le attività di promozione del prodotto ricordiamo la Sagra del Pesce che si svolge da otmai diversi anni nei pressi del porto turistico di Bolsena e che consiste nella degustazione di pesce, sia di mare sia di lago, fritto in una padella di 82 grandi dimensioni. Ma l’appuntamento gastronomico più importante si svolge a Capodimonte, generalmente nella seconda domenica di agosto, ed è dedicato esclusivamente al coregone, che viene offerto arrostito alla brace. Sulle acque del lago di Bolsena... Nel 1996 è stata conclusa la costruzione di un collettore circumlacuale per la raccolta dei reflui urbani dei comuni rivieraschi e di un depuratore per la successiva depurazione e scarico delle acque nell’immissario del lago, il fiume Marta. Questo ha comportato che, da quella data, grazie al Consorzio del Bacino del Lago di Bolsena (CO.BA.L.B.) che gestisce la struttura, nessun comune rivierasco riversa più i propri scarichi nel lago e quindi che, dal 1996 praticamente l’unica fonte di inquinamento del lago è stata completamente eliminata. Se a questo aggiungiamo il fatto che il lago è alimentato esclusivamente da acque di sorgenti sotterranee, possiamo ragionevolmente pensare che chi afferma che “…il lago di Bolsena è il lago più pulito d’Europa...” può continuare ad affermarlo con forza crescente ogni anno che passa. Per una sana alimentazione… Sulla base delle più recenti scoperte della scienza medica, il consumo alimentare del coregone, grazie al basso contenuto calorico e all’elevato apporto di proteine e di omega-3 ed omega-6, rappresenta quanto di meglio si possa consigliare per una dieta salutare. Gli omega-3 ed omega-6 incrementano l’ossidazione degli acidi grassi (il consumo di grassi) ed il metabolismo basale, abbassano il colesterolo e i trigliceridi, riducono la pressione sanguigna, migliorano la sensibilità all’insulina riducendo le possibilità di formazione di coaguli sanguigni e le possibilità di essere colpiti da ictus e da attacchi di cuore. Questi acidi grassi hanno inoltre effetti antidepressivi, alleviano i sintomi dell’artrite, hanno effetti benefici sull’osteoporosi, potenziano il sistema immunitario, le citochine antinfiammatorie. Lago di Bolsena (foto M. Pinna - Passeggiando per la Tuscia - Eyes Group). 83 Il LaGO DI BOLSENA Circa 400.000 anni fa, a seguito di una lunga serie di eruzioni vulcaniche in tutto il territorio, un’enorme superficie di 270 kmq sprofondò per alcune centinaia di metri; questa immensa voragine che i vulcanologi chiamano “caldera” cominciò lentamente ad allagarsi, grazie alle acque portate dalle piogge e dalle sorgenti. Così nacque il lago di Bolsena, il più grande lago di origine vulcanica d’Italia, che, 120.000 anni fa, venne ulteriormente arricchito da due splendide isolette, la Martana e la Bisentina, due crateri che si formarono e che esplosero all’interno del lago, segnando la fine del complesso vulcanico Volsino, che ancor oggi manifesta la sua trascorsa potenza attraverso le sorgenti termali di cui è ricco il territorio. Le sue acque sono limpide e trasparenti, risultato della mancanza di inquinamento, e la pesca costituisce l’attività economica prevalente, grazie alla varietà di specie ittiche; è circondato da colline in parte rigogliose di colture agricole (viti, ulivi, patate, legumi) e in parte ricoperte da boschi. Nel 1959 furono scoperti in località “Gran Carro” (km 108 della S.S.Cassia) i resti sommersi di un insediamento villanoviano dell’età del Ferro (IX - VIII secolo a.C.). Da questa area, nel corso di 23 anni di ricerche, sono stati recuperati moltissimi frammenti di vasellame, oggetti bronzei, litici, lignei e ossei, che sono stati raccolti nel Museo territoriale del lago di Bolsena, che ha sede nella omonima cittadina lacustre. Intorno al lago di Bolsena resistono ancora ampi tratti di territorio dove regna il tipico ambiente lacustre fatto di canne, salici e vegetazione acquatica. Alla ricchezza della fauna ittica, costituita oltre che dal coregone, anche da anguille, lucci, persici, lattarini, il lago aggiunge una grande varietà di uccelli, che nidificano fra i giunchi e i canneti. Gli amanti del birdwatching possono qui trovare un vero paradiso, popolato da germani reali, alzavole, aironi cinerini, martin pescatori, gallinelle d’acqua, cormorani e altre specie ancora. L’amante della natura che visita il lago, oltre alle presenze faunistiche e botaniche, potrà ammirare anche altre emergenze, come le “pietre lanciate” all’altezza del km 112 della SS Cassia, in prossimità di Bolsena. Si tratta di una fitta rete di fratture parallele che solca la parete rocciosa così da isolare blocchi di pietra (leucitite) a base pentagonale o esagonale che sembrano conficcate sulla scarpata. L’Isola Bisentina, fin dal 1200 di proprietà della Chiesa, fu per molto tempo residenza estiva dei Papi. Ha sette cappelline costruite tutte nel XVI secolo, un convento, ora residenza, una chiesa maggiore, la chiesa dei S.S. Giacomo e Cristoforo, dall’aspetto tipicamente rinascimentale che fu fatta costruire da Ranuccio Farnese e donata ai frati minori nel 1586. Gli arredi e le opere di valore vennero trafugate dalle armate di Napoleone, ma rimangono un bel tabernacolo e il dossale ligneo. Fu utilizzata dai Farnese come sacrario. L’isola è anche un paradiso naturale, con un bosco di lecci e un giardino all’italiana creato da Giovanni Fieschi Ravaschieri del Drago. Oggi è proprietà privata, ma può essere visitata con percorsi guidati con partenze da Capodimonte e da Bolsena. 84 L’isola Martana ha la forma di una mezzaluna; il suo borgo medievale è stato nel tempo abbandonato e l’isola è oggi disabitata. La località è legata alla triste storia di Amalasunta, figlia di Teodorico e regina degli Ostrogoti, che venne qui uccisa nel 584 per ordine del suo secondo marito e cugino Teodato, ansioso di regnare da solo. Per molti secoli si è cercato il tesoro di Amalasunta, che si dice la sovrana avesse portato con sé e sepolto prevedendo la sua triste fine. L’isola Bisentina (foto C. Goretti - Graphisphaera). 85 RICETTA ELABORATA DA: Ristorante Bel Vedere S.S. 74, Km 71 tel. 0564.619249 Casone di PITIGLIANO (GR) Coregone del Lago di Bolsena in salsa verde (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 1,5 kg di coregone del lago di Bolsena, aglio rosso di Proceno, prezzemolo, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, due acciughe, capperi, peperoncino, sale. Preparazione Pulite, lavate ed asciugate i coregoni. Lessate il pesce in acqua appena salata aggiungendo un mazzetto di odori a piacere. A cottura ultimata, spellate, spinate e quindi aprite delicatamente il coregone per poi disporlo su di un vassoio. Frullate olio, prezzemolo, aglio rosso, capperi, acciughe e peperoncino, fino ad ottenere una salsa omogenea e consistente. Aggiungete l’aceto e sale a piacere. Stendete la salsa verde sul coregone sino a ricoprirlo tutto. Mettete in frigo e servite dopo qualche ora. Coregone del Lago di Bolsena “alla bolsenese” Ingredienti per 4 persone 1,4 kg di coregone del lago di Bolsena, aceto, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, finocchio secco, aglio rosso di Proceno, salvia. Preparazione Scegliete un coregone grande o due più piccoli, puliteli accuratamente all’esterno portando via le scaglie, togliete le interiora, quindi apritelo delicatamente, dopo aver eliminato la testa e la spina centrale. Lavatelo per bene e disponetelo in una teglia da forno immerso nell’aceto insieme con 2-3 spicchi di aglio rosso interi, alcune foglie di salvia (o finocchio secco selvatico) il sale e il pepe. Infornate e lasciate cuocere fino ad esaurimento dell’aceto, quindi disponete il pesce su di un piatto da portata, conditelo con una giusta quantità di olio extra vergine d’oliva e servite. 86 87 foto: C. Goretti - Graphisphaera Acquacotta col pesce di lago (Sbroscia) Ingredienti per 4 persone Pesce di lago di piccola taglia (luccio, tinca, anguilla, scardola, pesce persico, coregone), due patate dell’Alto Viterbese a persona, mentuccia, sedanino di fiume, peperoncino, pane casereccio, olio extra vergine di oliva di Gradoli, pomodori, cipolla, sale. Preparazione Questo tipo di zuppa con il pesce di lago, detta “sbroscia”, può essere preparata in due modi differenti; una forma casalinga e una più tradizionale, tipo acquacotta, che veniva preparata dai pescatori stessi sul posto di lavoro. Vediamo la versione dei pescatori: in una pentola contenente acqua del lago, venivano messi a cuocere i pomodori raccolti negli orti presenti sulle rive del lago, la cipolla tagliata a fette, le patate tagliate a metà, il peperoncino e la mentuccia o il sedanino di fiume, dopo 10-15 minuti venivano aggiunti i pesci piccoli appena pescati che non erano idonei per essere commercializzati. Quando questi pesci erano cotti, si versavano, insieme con le verdure, sul pane raffermo disposto nel piatto e si irrorava il tutto con olio extra vergine di oliva. Minestra di riso del Purgatorio Ingredienti per 4 persone 300 gr di riso, 200 gr di pomodori pelati, uova e teste di luccio, 500 gr di tinca, carote, cipolla, sedano, alloro, olio extra vergine di oliva di Gradoli, aglio rosso di Proceno, sale, pepe. Preparazione Questa minestra, così chiamata perché fa parte del menu del caratteristico «pranzo del Purgatorio», si prepara facendo cuocere la tinca e le teste di luccio con l’aggiunta di vari odori (carote, sedano, cipolla, alloro). In un tegame fate un soffritto con olio e aglio rosso, poi unite le uova di luccio e un peperoncino, aggiungete il brodo di cottura della tinca, i pomodori passati, mezzo bicchiere di vino rosso e lasciate insaporire il tutto a fuoco basso per una mezz’ora. Aggiungete acqua calda, la tinca e le teste di luccio tritate, quindi portate di nuovo ad ebollizione il brodo per cuocervi il riso, facendolo restringere a mo’ di minestra. 88 89 foto: C. Goretti - Graphisphaera Il Castagno (Castanea Sativa) marrone di latera Il castagno è un grande albero della famiglia delle Fagacee ed il suo nome deriva dal greco kàstanon divenuto poi in latino castanea. La sua origine si può far risalire ad oltre 60 milioni di anni fa, all’Era Cenozoica del periodo Terziario. Il genere “castanea” nel Miocene era diffuso in gran parte d’Europa come testimoniato dai ritrovamenti fossili di foglie, tronchi e frutti. Nell’ultima epoca glaciale, il castagno subì una notevole regressione e solo a seguito delle mutate condizioni climatiche vi fu una nuova espansione di questa pianta. La coltivazione fu introdotta nel bacino del mediterraneo probabilmente dall’Asia Minore e in epoca successiva i Romani lo diffusero al di fuori dell’areale naturale esportandolo fino in Germania e nella Svezia meridionale. Attualmente in Italia è presente in tutte le regioni, dalle isole alle aree prealpine, con una distribuzione altimetrica molto ampia che va dai 300 a oltre i 1.000 metri. è pianta longeva e secolare, può raggiungere anche i mille anni di età ed altezze di oltre 30 metri. Il suo legname duro e compatto è usato per le costruzioni e per il riscaldamento, ma trova impiego anche nella chimica per l’estrazione del tannino, sostanza utilizzata nella concia delle pelli e nella cosmesi (tinta per capelli). Ha sempre avuto un ruolo fondamentale nell’economia delle aree montane, tanto che il castagno veniva chiamato “l’albero del pane” e la castagna “il pane dei poveri”. Le varietà coltivate in Italia sono oltre trecento, ma per la produzione dei frutti, il marrone risulta essere il più apprezzato. Attualmente la produzione mondiale di castagne e marroni è pari a circa mezzo milione di tonnellate e proviene per la gran parte dall’Asia e dall’Europa. L’Italia concorre a questo risultato con circa il 15% e risulta essere il maggiore produttore europeo seguito da Spagna, Portogallo e Grecia. A livello nazionale, la coltivazione del castagno da frutto è concentrata soprattutto in Campania, Lazio, Calabria, Piemonte e Toscana e circa il 30% è destinato al consumo fresco, il 40% all’essiccamento ed il restante 30% all’industria di trasformazione e dolciaria. Pensiamo alla salute … Come i cereali e diversamente da gran parte degli altri frutti, le castagne, sono ricche di carboidrati complessi. La cottura trasforma parte dell’amido in zuccheri semplici. Da qui deriva il loro sapore tipicamente dolce e la controindicazione d’uso ai diabetici e ai soggetti in sovrappeso. Le caldarroste, infatti, sono meno digeribili delle castagne bollite o crude, a causa del tipo di cottura, che produce alterazioni dei glucidi e delle proteine (come la reazione di Maillard), alterazioni responsabili, come detto, del loro aroma tipico. Le foglie di castagno trovano indicazione sole o associate ad altre piante come l’eucalipto, il timo, e la drosera ecc. nel trattamento della pertosse o delle forme pertussoidi. Le gemme del castagno agiscono sui vasi linfatici esplicando 90 91 un’azione di drenaggio sulla circolazione linfatica delle gambe. Le foglie, inoltre, hanno una forte azione sedativa e antispasmodica nei confronti di tutti i malanni da raffreddamento, tipicamente autunnali. Agiscono anche come potente febbrifugo, a tal punto che in passato erano usate per curare la febbre malarica. Per il loro potere astringente sulle mucose di tutto il corpo, sono utilizzate contro il catarro, la diarrea, le emorroidi, le emorragie e come coadiuvanti nella terapia delle sindrome pre-varicose, flebiti e degli stati di fragilità capillare. L’erboristeria popolare utilizzava le foglie di castagno per arrestare le emorragie e per mitigare le perdite mestruali molto abbondanti. IL MARRONE DI LATERA Denominazione e informazioni generali sul prodotto Il territorio del comune di Latera, che si estende ad ovest del bacino del Lago di Bolsena ad un’altitudine di circa 500 m. e con alture che superano i 600 m., costituisce un habitat ideale per questo tipo di pianta che è presente in più di una varietà; i boschi di tale essenza forniscono sia legno da lavoro che frutti, di cui il più apprezzato e diffuso è il Marrone. La presenza e la coltivazione del castagno nell’areale risale a tempi remoti tanto che i Farnese, duchi di Latera, ne proibirono esplicitamente il taglio prevedendo per il trasgressore un’ammenda di uno scudo d’oro per ogni pianta abbattuta. Altre testimonianze storiche a riprova della diffusione del castagno nella zona ci pervengono dagli Statuti del comune di Gradoli del 1300. Gradoli, durante il Medioevo, condivideva lo stesso destino degli altri paesi della Valdilago (Bolsena, S. Lorenzo Vecchio e Latera) e i sunnominati documenti costituiscono un eloquente spaccato dell’economia agricola del tempo di tutta la zona. Inoltre, dai frammenti degli Statuti, ritrovati in epoca recente presso l’archivio comunale di Valentano, si evince l’importanza che i boschi di castagno avevano nella vita della collettività tanto che veniva fatto divieto di vendere al di fuori della municipalità pali tutori di tale essenza per sorreggere la vigna; come pure era soggetta a controllo la cessione di rami flessibili di castagno destinati alla realizzazione di cerchi in legno per serrare le doghe di botti, barili, bigonce e tini. Oltre a questi provvedimenti protezionistici di natura economica, volti a tutelare l’attività vitivinicola della zona garantendo un’utilizzazione in loco dei prodotti boschivi, negli Statuti, in una successiva rubrica, sono riportate le prescrizioni cui dovevano attenersi i contadini nel praticare la bruciatura ovvero il divieto di intraprenderla in determinati periodi dell’anno e l’obbligo di tirare almeno cinque solchi ai bordi di terreni attigui coltivati a vigna e a castagneti onde preservarli da eventuali incendi. L’importanza del castagno non è legata però alla sola utilizzazione del legname, ma anche e soprattutto alla produzione di marroni, che nel corso dei secoli hanno garantito la sopravvivenza alimentare specie in casi di carestia e pestilenze. 92 “Linea Verde” - puntata del 5 novembre 2006 - Latera: Vissani catturato dai “briganti dell’Alta Tuscia” (Foto Fit - Acquapendente). I boschi di Latera e dintorni sono anche stati rifugio di briganti e di quanti, per ragioni di diversa natura, decidevano di darsi alla macchia; per loro i boschi costituivano una barriera naturale di protezione ma al tempo stesso una fonte di sopravvivenza. La castagna infatti è caratterizzata da un altissimo contenuto di amidi, un discreto quantitativo di zuccheri; 100 gr. di prodotto commestibile forniscono un apporto di 200 calorie oltre a vitamine, potassio, calcio, fosforo e magnesio. Caratteristiche del prodotto e tecniche di coltivazione Il marrone di Latera deve le sue caratteristiche alla natura vulcanica dei terreni nonché alla loro altimetria. Questi risultano freschi, sciolti, di buona fertilità e poco calcarei, situati fra la collina e la montagna e caratterizzati da clima mite di tipo temperato-sublitoraneo. L’unicità di questi castagneti è data quindi dalla natura del terreno ma soprattutto dalla loro esposizione verso ponente e dalla loro localizzazione sul versante interno della caldera omonima. I marroni di Latera derivano dal clone “fiorentino” che ha analogo portamento e caratteristiche ma origina frutti normalmente di pezzatura più piccola. La tipicità deriva quindi dal complesso di eccezionali condizioni ambientali che questa varietà ha trovato e che hanno favorito lo sviluppo e l’accrescimento dei frutti. Questi castagni così longevi e vigorosi non necessitano di cure colturali da parte degli agricoltori se non limitatamente al controllo del sottobosco e solo in qualche caso di potature e/o spalcature; pertanto non sono previste né lavorazioni del terreno né l’impiego di prodotti fitosanitari. La raccolta avviene in ottobre e la si effettua manualmente a seguito dell’apertura spontanea del riccio, caduto al suolo; solo in una minima percentuale dei casi è necessario un intervento artificiale per estrarre la castagna (frutto o seme). All’interno di ogni riccio possono alloggiare anche due o tre semi e questo è funzione non solo della caratteristica varietale, ma anche dell’andamento climatico, più o meno favorevole nei momenti della fecondazione e dell’allegagione. Ogni marrone è rivestito da una buccia liscia e coriacea di colore marrone chiaro con striature longitudinali più scure ed ha una buona pezzatura il che rende il prodotto, unitamente alle buone caratteristiche organolettiche, molto ricercato dal mercato per la buona commerciabilità. 93 aneddoti e curiosità In passato, la castagna, ha avuto una grande importanza nell’alimentazione degli abitanti delle zone montane e sub-montane. L’apporto nutrizionale della castagna è di grande importanza tale da renderla paragonabile a quello del pane integrale. Le castagne possono essere consumate anche crude, ma sono più gradevoli al palato se bollite o preparate come caldarroste. Largo consumo ha avuto la farina di castagne, con la quale si preparavano: il castagnaccio, la polenta, il pane ed altre ricette che erano la base dell’apporto glucidico dell’alimentazione delle popolazioni montane. Le caldarroste, accompagnate da qualche sorso di vino novello, sono un pasto particolarmente gradevole. Le castagne, seccate e prive della buccia, venivano lessate e consumate scolate; l’acqua di scolatura era usata per bagnare il pane raffermo. La minestra di casta- gne è stata considerata, sino agli anni quaranta, una cena di tutto rispetto. Il pane e la polenta ottenuti dalla farina di castagne hanno un valore nutritivo maggiore di quelli ottenuti dalla farina di grano. Con la pastella di farina di castagne si ottengono ottime frittelle. Delle castagne non si scartava niente; le bucce erano bollite nel latte o nell’acqua come empirico antidiarroico o usate come fertilizzante nella coltivazione dei mirtilli. La castagna è un alimento molto indicato nella stagione invernale per il suo rilevante apporto calorico; può essere utilizzata nei casi di astenia, stress, atonie intestinali. La castagna dovrebbe entrare maggiormente nella nostra alimentazione quotidiana per l’elevato apporto di sostanze amidacee e per la presenza di buone quantità di proteine, vitamine ed alcuni sali minerali. in pillole • Le castagne sono da sempre apprezzate, sebbene molti antichi trattatisti ne abbiano messo in luce anche aspetti negativi, come ha fatto, per esempio, il Mattioli nel “Volgarizzamento di Dioscoride” (1563): “Sono le castagne frutto notissimo a tutta Italia ... mangiate abbondantemente ne i cibi, fanno dolere la testa; generano ventosità, stitticano il corpo e sono dure da digerire”. • Modi di dire: cavare le castagne dal fuoco e anche togliere le castagne dal fuoco (esporsi a un rischio, generalmente si dice di chi lo fa senza avere un proprio vantaggio); prendere in castagna (cogliere in fallo, sorprendere qualcuno mentre sta sbagliando); • Proverbio: “La castagna di fuori è bella e dentro ha la magagna (si dice di persona ipocrita). • Il primo forte impulso alla coltivazione vera e propria della casta- gna si ebbe nel medioevo, grazie alla contessa Matilde di Canossa. Nel 1700, sulle tavole dei nobili a Capodanno come segno di buon auspicio, arrivano i Marron glacè. A Parigi, sempre intorno al ‘700, il farmacista Bonneau produceva una cioccolata composta per metà da cacao e per metà di farina torrefatta di castagne secche. I nobili conservavano per tutto l’anno le castagne dopo averle bollite nel vino bianco. • Nel Parco dell’Etna nel comune di Sant’Alfio (CT) esiste “Il Castagno dei Cento Cavalli”, un albero di castagno plurimillenario. Considerato come il più famoso d’Italia, è stato studiato e visitato da molti personaggi illustri. Prenderebbe il nome dalla leggenda di una misteriosa regina e di cento cavalieri con i loro destrieri, che, si narra, vi trovarono riparo da un temporale. Oggi la circonferenza del tronco misura circa 22 mt ed è alto 22 mt! La castratura delle castagne è l’operazione con cui viene incisa la castagna, prima di fare le classiche caldarroste, per evitare che queste scoppino durante la cottura. Con un coltellino molto appuntito si applica un taglio sulla parte bombata della buccia dura (2 cm circa) in senso orizzontale, cercando di non intaccarne la polpa (vedi foto a lato). “Linea Verde” - puntata del 5 novembre 2006 - Latera: la raccolta dei “marroni” (Foto Fit Acquapendente). 94 95 LATERA L’origine del borgo, dall’aspetto tipicamente medioevale, si perde nel tempo: accanto ai reperti etruschi e romani sono infatti venuti alla luce numerosi resti provenienti dal periodo Neolitico. La parte più antica, si trova dietro i bastioni della porta settentrionale, dove un tempo c’era un ponte levatoio. Come molti altri paesi subì le scorrerie di romani e di longobardi, per finire poi, nel medioevo, al centro delle continue dispute tra la Chiesa, Orvieto ed i potenti feudatari. Da sempre sotto l’egida del comune di Orvieto, dovette piegarsi alla tirannia di prefetti di Vico, reinsediati dall’arcivescovo Visconti. Nel 1354 grazie all’opera svolta dal cardinale Egidio Albornoz che mirava a riconquistare i territori sottratti alla Camera Apostolica, Latera tornò di nuovo alla Chiesa. Fu poi la volta dei Farnese: il feudo di Latera insieme a quello di Farnese passò a Bartolomeo Farnese, il quale fece costruire un nobile palazzo che dominava tutta la valle. I Farnese tennero le redini della cittadina fino alla loro estinzione, nel 1668 quando il feudo tornò sotto il controllo della Chiesa. Visitando il centro storico ci si imbatte in un pittoresco labirinto di viuzze, scale, antiche volte e profferli dove in piccoli angoli suggestivi si avverte un semplice ritmo di vita tipicamente contadina. SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra del Marrone Ultimi due weekend di ottobre Sagra del Marrone (foto Ass. Pro Loco Latera). 96 97 RICETTA ELABORATA DA: Enoteca del Castello Corso Regina Margherita, 150 tel. 0763.710072 PROCENO (VT) Minestra di Lenticchie di Onano e Marroni di Latera (foto a lato) Ricetta portata in Francia da Caterina de’ Medici quando, ai primi di Settembre del 1553, salpò da Portovenere su una nave addobbata a festa che fece scalo a Nizza dove lo stesso Papa Clemente VII de’ Medici la accolse e la condusse ad incontrare a Marsiglia il suo promesso sposo, il Principe Enrico d’Orleans. Portare quasi a bollitura acqua di fonte e unire le lenticchie. La quantità varia a seconda del numero dei commensali. Aggiungere un po’ di sale durante la cottura. A parte preparare un soffritto con olio d’oliva, cipolle affettate dalla parte lunga, Prezzemolo, Timo e Basilico, sale e un po’ di Peperoncino tritato finemente. Nel frattempo avrete preparato dei marroni sbucciandoli una prima volta, quindi cuocendoli e togliendo anche la seconda buccia. La quantità dei marroni, una volta cotti, deve essere uguale a quella delle lenticchie cotte. Quando il soffritto citato precedentemente sarà pronto, aggiungere i marroni cotti, un po’ di Santoreggia e fiori di Finocchio selvatico. Fare insaporire qualche minuto ed unire questo preparato alle lenticchie portando tutto a cottura completa. Non saranno necessari più di 15 minuti. Si serve versando il tutto in adatto recipiente di servizio. Non sciupare lavoro e poesia offrendo formaggio grattugiato. Queste lenticchie unite ai marroni sono così buone, se preparate come indicato, che non meritano sformaggiate fuori luogo. 98 foto: C. Goretti - Graphisphaera 99 Filetto di maiale con rucola, Marroni di Latera e aceto balsamico (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 500 gr filetto di maiale, un mazzetto di rucola, aceto balsamico, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, 200 gr marroni di Latera, sale, pepe. Preparazione Salate, pepate e infarinate il filetto intero. Cuocete in una padella antiaderente tutti i lati della carne per circa 5-6 minuti. Nel frattempo lavate, tagliate e stendete la rucola su un piatto. Fate a fettine il filetto e adagiatelo sulla rucola (vedi foto ). Completate il piatto con una salsa ottenuta con olio extra vergine d’oliva e aceto balsamico ed infine cospargete con le castagne sbriciolate. Minestra di Ceci del Solco Dritto e Marroni di Latera al profumo di rosmarino RICETTA ELABORATA DA: 100 foto: Foto Fit Ristorante La Cantina del Mago Via F. Annibali, 5/a tel. 0761.459040 LATERA (VT) Ingredienti per 4 persone 200 gr di ceci del solco dritto, 200 gr di pasta gramigna, 30 gr di grasso di prosciutto crudo, otto marroni di Latera, 4 pomodori sbucciati, un l di brodo di carne, due spicchi d’aglio rosso di Proceno, sale, pepe, un rametto di rosmarino, peperoncino piccante, due cucchiai di olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Tenete i ceci del solco dritto per una notte immersi in acqua salata con una puntina di bicarbonato, scolateli e metteteli a bollire con poca acqua per un paio di ore; praticate un’incisione ai Marroni e fateli arrostire nell’apposita padella forata o in forno per circa 30 minuti, dopodiché verranno pelati e tritati. Sbucciate poi l’aglio rosso, lavate e asciugate il rametto di rosmarino e quindi staccate le foglioline. Preparate un trito con il grasso di prosciutto, l’aglio rosso e il rosmarino, e mettetelo in una casseruola insieme con l’olio extra vergine. Scolate i ceci, lasciando da parte qualche cucchiaio della loro acqua di cottura, e passatene metà al setaccio. Fate soffriggere il trito preparato e, quando sarà imbiondito, unite i ceci interi e passati, l’acqua di cottura messa da parte e le castagne tritate. Fate insaporire per 5 minuti e unite i pomodori spezzettati; dopo altri 5 minuti versate il brodo di carne, mescolando. Fate cuocere, a fuoco basso e a recipiente coperto, per 10 minuti. Regolate di sale, aggiungete la pasta e portate a cottura. 101 Porchetta di maiale ripiena con salsicce e Marroni di Latera (foto a lato) Ingredienti per 4 persone 1 Kg pancetta di maiale, quattro salsicce fresche, 200 gr marroni di Latera lessati, sale, pepe, farina q.b. Preparazione Lessate a parte le castagne, togliete la buccia e riducetele a pezzetti. Stendete la pancetta, battetela per renderla più morbida, spolverate con la farina, salate e pepate. Fate uno strato con le salsicce e sopra aggiungete le castagne. Arrotolate e legate la pancetta e mettete in forno a 180° finché la carne non risulterà ben cotta e la crosta croccante. Prima di servire fate raffreddare affinché le fette rimangano integre. Irrorate con un filo d’olio extra vergine e sbriciolate sopra le castagne. Ricoprire le due estremità della pancetta con della carta stagnola per evitare che l’impasto interno si bruci. Gnocchi di Marroni di Latera all’Aglio Rosso di Proceno Ingredienti per 4 persone 200 gr di farina di marroni di Latera, 150 gr di farina di frumento, 3 uova, 50 gr di burro, 4 spicchi di aglio rosso di Proceno, 1 cucchiaino di rosmarino tritato, 50 gr di parmigiano reggiano, sale, pepe q.b. Preparazione Disponete a fontana le due farine mescolate con un pizzico di sale, unite le uova, il pepe, quindi cominciate a batterle con una forchetta, unendo man mano le farine. Se necessario, unite dell’acqua fredda ed impastate fino ad ottenere una pasta liscia che lascerete riposare per circa 30 minuti. Dividetela in piccoli pezzi che lavorerete uno alla volta riducendoli in “spaghettoni” di circa 1 cm di spessore, da suddividere in cilindretti lunghi circa 1 cm. Premendolo con un dito, passate gli gnocchi sull’interno di una grattugia perché assumano la caratteristica forma e disponeteli sulla spianatoia infarinata. Fate sciogliere il burro a fuoco lento insieme all’aglio sbucciato e al rosmarino. Tenete in caldo un piatto da portata sopra una pentola di acqua bollente. Portate ad ebollizione abbondante acqua, salate e immergete gli gnocchi scuotendoli bene con un setaccio per eliminare la farina in eccesso, cuoceteli per almeno 7-8 minuti e scolateli disponendoli subito nel piatto da portata. Conditeli con il burro all’aglio, parmigiano e una spolverata di pepe, coprite il piatto con un coperchio per 2-3 minuti e servite. RICETTA ELABORATA DA: Ristorante La Cantina del Mago Via F. Annibali, 5/a tel. 0761.459040 102 LATERA (VT) foto: Foto Fit 103 L’Aglio Rosso (Allium sativum) L’aglio è una pianta erbacea della famiglia delle Liliacee. Il termine aglio deriverebbe dal celtico “all”, bruciante, piccante. L’aglio ha origine antichissime. La prima citazione sembra quella di un erborista cinese vissuto nel 4000 a.C.; altre testimonianze si riscontrano in Egitto nel 3000 a.C. e tra gli antichi Romani e Greci. Durante l’Impero Romano, l’aglio era un alimento dei soldati, dei marinai e degli atleti perché si riteneva aumentasse la forza, la resistenza, l’energia fisica ed il coraggio. Ogni spedizione romana era infatti accompagnata da grandi scorte di aglio e questo ne ha comportato di conseguenza una notevole diffusione in tutta Europa. In tempi più recenti, nel Medioevo, l’aglio viene utilizzato quale medicina contro la lebbra e come condimento dei pasti del ceto meno abbiente assumendo, col tempo, molte proprietà, sia “terapeutiche” che “magiche”; tra le prime la farmacologia popolare l’ha innalzato a ruolo di panacea per le sue notevoli capacità: bloccare la caduta dei capelli, ridurre i calli, possedere principi anticancerogeni, etc.; tra le seconde, la capacità di tenere lontani gli “spiriti maligni”. Da un punto di vista prettamente scientifico è invece provato che l’aglio contenga alcuni principi attivi con proprietà antibiotiche ed ipotensive. Il consumo maggiore di questo prodotto si riscontra in alcuni Paesi asiatici e latino americani. I principali produttori sono la Cina, l’India, la Corea del Sud, la Tailandia, la Spagna; in Europa, dopo la Spagna con 40.000 ettari, troviamo la Francia e poi l’Italia dove si coltivano circa 4.000 ettari principalmente in Campania, Abruzzo, Molise, Sicilia e Lazio. La sua notevole diffusione ha determinato molte variazioni alle caratteristiche originarie della pianta, soprattutto per mano degli agricoltori che hanno via via destinato alla moltiplicazione solo quei bulbi che rispondevano meglio alle esigenze locali ed ambientali. La coltivazione è svolta, al momento, prevalentemente a mano e questo rappresenta un grosso vincolo per una sua maggiore diffusione. L’Aglio Rosso si è conquistato a livello nazionale, rispetto a quello tradizionale, una buona fama presso i consumatori per le sue caratteristiche organolettiche e di serbevolezza per il suo sapore intenso e aroma pronunciato. aglio rosso di proceno Pensiamo alla salute … Molti sono gli usi medicinali attribuiti all’aglio. È stato affermato che può prevenire raffreddori, influenza, tubercolosi, bronchite, foruncoli e malattie cutanee. All’aglio è attribuita anche la proprietà di rafforzare in modo naturale il sistema immunitario; inoltre, può essere impiegato fresco per combattere i dolori reumatici, i catarri bronchiali, i vermi dei bambini. Esso si propone come regolatore del ritmo cardiaco in quanto è un ipotensivo. I ricercatori stanno scoprendo che la reputazione medicamentosa dell’aglio è una realtà sempre più suffragata da nuove scoperte scientifiche. 104 105 foto: C. Goretti - Graphisphaera L’AGLIO ROSSO DI PROCENO Denominazione e informazioni specifiche sul prodotto L’Aglio Rosso di Proceno è un ortaggio destinato al consumo fresco ed è coltivato all’interno del comune omonimo ed in una ristretta area del comune di Acquapendente con caratteristiche simili. La diffusione e le caratteristiche qualitative che rendono peculiare il prodotto dipendono dalla tipologia dei terreni situati a 400-500 metri d’altitudine s.l.m. (substrati del Pliocene, d’origine marina, fortemente argillosi), in un ambiente quindi collinare, caratterizzato da un clima mite di tipo temperatosublitoraneo. Caratteristiche del prodotto e tecnica di coltivazione Il prodotto si presenta come bulbo di medie dimensioni con bulbilli corti e tozzi e tunica con un caratteristico colore rosso. Ha un sapore forte, un profumo molto intenso e persistente e vanta buona digeribilità oltre ad una grande attitudine alla conservazione. Questa ultima peculiarità ha contribuito non poco alla diffusione e all’apprezzamento di questo aglio sui mercati, specie nei tempi passati, quando la conservazione del prodotto era uno dei problemi fondamentali della commercializzazione. Ancora oggi, data la carenza di idonee celle frigorifere atte alla conservazione, si confeziona esclusivamente in trecce, chiamate anche reste (intrecciatura). La preparazione del terreno viene effettuata con un’aratura a media profondità (30/40 cm.) e con successivi interventi di amminutamento del terreno (da “Intrecciatura” dell’aglio. 106 1 a 3 passaggi) effettuati con erpice a dischi e con fresa. Al momento della semina il terreno viene livellato, affinato e liberato da erbe infestanti in modo tale da garantire le migliori condizioni per lo sviluppo delle piantine. La semina è eseguita a mano o a macchina utilizzando seminatrici opportunamente predisposte; la quantità di seme utilizzato deve consentire un investimento di circa 20 piante al mq., ricorrendo esclusivamente all’ecotipo locale definito Aglio Rosso di Proceno. La Comunità Montana, che, come nel caso della Lenticchia di Onano, ha attivato in questi ultimi anni una serie di azioni sia a livello tecnico che di promozione del prodotto volte ad uno sviluppo più ampio della coltura, ammette solo concimazioni localizzate in fase di semina; il controllo delle piante infestanti è effettuato, di norma, eseguendo interventi di sarchiatura nelle interfila e di zappettature lungo le file. Allo scopo di garantire caratteristiche qualitative ottimali dell’aglio prodotto, viene eseguita, nel periodo maggio/giugno, l’eliminazione degli scapi fiorali (starlatura). La raccolta è effettuata manualmente o con macchine agevolatrici ed è normalmente compito del produttore procedere ad un corretto essiccamento dei bulbi e alla successiva caratteristica lavorazione in reste. Linea Verde - puntata del 5 novembre 2006 - Castello di Proceno (Foto Fit - Acquapendente). 107 aneddoti e curiosità Aglio storico corroborante Sembra che le proprietà dell’aglio siano state rilevate da Ermete Trismegisto, il grande egiziano considerato il padre di tutte le scienze e autore della famosa Tavola Smeraldina, che racchiude i segreti della grande conoscenza. I Faraoni lo facevano somministrare abbondantemente agli operai addetti alla costruzione delle Piramidi, sia per preservarli da malattie e infezioni intestinali, che per dare loro maggiore resistenza fisica, ed Erodoto segnala che sulla Piramide di Cheope venne scritto il costo dell’approvvigionamento di aglio sostenuto per la sua costruzione. La Bibbia riferisce che gli Ebrei, ai quali era proibito il consumo di questo alimento prima di mezzogiorno, sentirono fortemente la sua mancanza durante la traversata del deserto. Dall’Egitto, la coltivazione dell’aglio si estese poi a tutto il bacino del Mediterraneo. I Greci ne furono grandi consumatori, utilizzandolo sia come medicina che come condimento, arrivando addirittura ad aromatizzarci il pane. Sia Alessandro Magno che Giulio Cesare, dedicarono la pianta agli dei della guerra, ritenendo che in questo modo i soldati sarebbero diventati più valorosi. Aristofane (IV sec. a.C.) scrive: “Ora ingoiate questi spicchi d’aglio. Imbottiti d’aglio troverete maggiore ardore nel combattere”. Plinio il Vecchio ne indica con dovizia gli usi terapeutici, ma dobbiamo aspettare il 1858 e Pasteur, per definire con certezza le qualità antibiotiche della pianta. I proverbi popolari definivano l’aglio “il farmacista del contadino” o “la farmacia dei poveri”. Si usava applicarlo pestato sui calli per ammorbidirli e staccarli; si arrostiva sulla brace e ci si strofinavano i geloni; si applicava sulle punture di vespe; si ingeriva a pezzetti per abbassare la pressione sanguigna; si coceva nel latte che bevuto avrebbe guarito dalla tosse. L’aglio veniva addirittura usato come simbolo protettivo: appeso a porte e finestre per tenere lontano i 108 vampiri e gli spiriti maligni o cucito in un sacchetto da portare al collo contro i vermi e le malattie infettive. Questo ortaggio era anche collegato al culto di San Giovanni (24 giugno) e si pensava che comprandolo in questo giorno si sarebbe tenuta lontana la miseria. Ma lasciando da parte le credenze popolari, le proprietà dell’aglio non finiscono qui. C’è infatti chi sostiene che sia anche da inserire fra gli afrodisiaci, soprattutto per il sesso maschile. Come si può allora conciliare l’effetto virilizzante con il terribile rovescio della medaglia, costituito dall’odore non certo attraente che lascia nell’alito? Ecco qualche consiglio per ovviare al fastidioso inconveniente: - masticare foglioline di prezzemolo; - masticare lentamente qualche grano di caffè; - masticare qualche seme di anice; - mangiare lentamente una mela; - mangiare qualche cucchiaio di miele. Teodorico, re dell’aglio Uno dei più celebri re barbari fu l’ostrogoto Teodorico che fece di Ravenna la nuova capitale dell’Impero Romano d’Occidente. Da giovane era il tipico guerriero di quei tempi (V sec. d.C.): alto, muscoloso, capelli lunghi, biondi e riccioluti, sopracciglia folte, con un collo taurino e un paio di poderosi baffi, talmente folti che ogni mattina dovevano essere sfoltiti con uno speciale rasoio. Il conquistatore dell’Italia non aveva trascorso l’adolescenza tra le tende dell’Est, bensì nella ricca e raffinata Bisanzio come ostaggio, perciò parlava greco fluentemente, mostrandosi educato e galante, ma aveva abitudini culinarie dai gusti forti. Era ghiotto di cinghiale e lenticchie, che innaffiava generosamente di vino, e la sua passione principale era l’aglio, (nessuno gli faceva notare l’alito pesante!). Teodorico, come molti sovrani, utilizzò la tavola anche per scopi “politici”. è rimasto storico il banchetto di Un “tappeto” di Aglio Rosso di Proceno. riconciliazione che organizzò con i rivali Goti sconfitti, e durante il quale strangolò personalmente Odoacre assieme ai suoi familiari. Al re ostrogoto il robusto appetito rimase per tutta la vita, a settant’anni consumava ancora una “frugale” colazione di frutta fresca e carne arrostita, mentre a pranzo esigeva una mensa ben imbandita, con i piatti d’argento, le brocche d’oro e la tovaglia . Durante le pestilenze, i medici visitavano i malati tenendo nella maschera un tampone, imbevuto di soluzione agliacea. Ha scritto Anthony Burgess, uno dei più grandi autori inglese del Novecento: “Fate sfrigolare l’olio d’oliva in padella, metteteci qualche spicchio d’aglio, cuocetevi la carne o il pesce. Perché così facendo gustate veramente il mondo mediterraneo, che ci ha insegnato tutto quanto valeva la pena di sapere. L’aroma della poesia epica, quando non di sangue, è di puro aglio”. L’aglio è disponibile in tre varietà principali: bianco, violetto e rosso. Quello bianco ha il sapore più tenue, il violetto e un po’ più acuto e il rosso molto forte e robusto. Sono attualmente in commercio oltre 30 varietà. L’aglio si può trovare fresco solo nella tarda primavera e in estate; si consuma generalmente secco, conservato nelle caratteristiche trecce. Per l’uso in cucina è bene distinguere i diversi stadi di vegetazione. Quello non ancora giunto a maturazione ha un suo inconfondibile aroma e l’aglio fresco ha caratteristiche diverse da quello essiccato. Poco noti, ma squisiti, sono le gemme e i fiori da utilizzare per i soufflè. Recentemente alcune aziende locali hanno iniziato ad utilizzare gli scapi fiorali, eliminati in primavera, per confezionare salse e sottoli di grande qualità e delicatezza. 109 Proceno Proceno è costruita su un’altura e quindi il suo impianto urbanistico è intimamente legato ai rilievi del terreno. Il nucleo più antico è composto da tutte le costruzioni che hanno per confine quella linea immaginaria che va dalla Rocca, compresa la Porta, al Poggio, passando per la Pieve. Da questa linea scendendo fino al Bottino si trova la parte medioevale del paese, ben difesa appunto dalla Rocca e dall’imprendibile altura del “Poggio”. La parte rinascimentale è sorta intorno al Palazzo Sforza e si è estesa per la “Verdura”, sin quasi alla chiesa di San Martino, che può essere considerata un’isola rispetto all’abitato urbano. Infatti la chiesa ed il convento del secolo XI e XII erano fuori dell’abitato ben protette dal sottostante sperone. L’impianto urbanistico, quindi, è ancora quello medioevale e le varie aggiunte, intervenute nei secoli, non hanno granché trasformato l’originario tessuto. Negli ultimi decenni invece sono sorti intorno al nucleo storico nuovi e più moderni insediamenti che hanno trasformato l’aspetto generale pur non distruggendo del tutto il classico borgo trecentesco abbarbicato attorno al Castello che lo difendeva. SAGRE E MANIFESTAZIONI Sagra dell’Aglio Rosso dalla prima domenica di agosto al 14 dello stesso mese “Intrecciatura” dell’aglio (foto Ass. Pro Loco Proceno). 110 111 Aglio e cucina A partire dagli appetitosi spaghetti, ormai famosi, all’aglio, olio e peperoncino, in grado di risolvere un’improvvisata, innumerevoli sono le possibilità d’impiego di questo ingrediente in cucina. è usato nelle varie zuppe, sughi, bruschette e nel caratteristico bujone. Possiamo pertanto affermare, senza ombra di dubbio, che l’aglio rosso di Proceno è l’ingrediente fondamentale della cucina dell’Alta Tuscia. La bruschetta. Ha in sé tutto il sapore dei buoni cibi della tradizione popolare. Tipica dell’Italia centrale, genuina e appetitosa è semplicissima da preparare e può essere offerta e gustata come antipasto ma, arricchita con diversi ingredienti, può essere senza timore portata in tavola come un vero e proprio primo piatto e persino come pietanza. Eccola qua, la bruschetta, ricca di sapori semplici eppure così invitanti: il profumo del buon pane e l’aroma inimitabile dell’olio che contrasta quello dell’aglio. Ingredienti Pane raffermo a fette, uno spicchio d’aglio rosso di Proceno, sale, un cucchiaio di olio extra vergine d’oliva di Gradoli. Preparazione Tostate la fetta del pane al momento di servirla e quindi insaporitela sfregandola con uno spicchio di aglio rosso di Proceno, che poi potete infilare in qualche buco della fetta. Adagiate quindi la fetta in un piatto, bagnatela con olio extra vergine di oliva di Gradoli e salatela. Non siate avari con l’olio e, se vi pare il caso, abbondate rispetto al cucchiaio suggerito. Nel condimento finito nel piatto sarà un vero piacere intingervi del pane. Consigli: è ottima anche con l’aggiunta di basilico fresco e fette di pomodoro. Salsa a base di Aglio Rosso di Proceno Pestare l’aglio, aggiungere abbondante olio extra vergine d’oliva di Gradoli, sale e aceto. Lasciare riposare per qualche ora e quindi usare la salsa per accompagnare verdure lesse, pesci, carni oppure per “guarnire” crostini di pane. 112 113 foto: C. Goretti - Graphisphaera Bujone di maiale (Proceno) Ingredienti Carne di maiale a piccoli pezzi, conserva di pomodoro, olio extra vergine di oliva di Gradoli, aglio rosso di Proceno, sale, pepe, peperoncino, salvia, rosmarino, vino bianco. Preparazione Fate cuocere lentamente la carne in una pentola con olio extra vergine di oliva, sale, pepe e peperoncino. A metà cottura aggiungete rosmarino, salvia, una bella manciata di spicchi di aglio rosso non sbucciati, un po’ di vino e aceto, conserva di pomodoro. Continuate la cottura aggiungendo un po’ di acqua. Agnello a bujone (Valentano) Ingredienti Carne di agnello, pomodori pelati, olio extra vergine di oliva di Gradoli, aglio rosso di Proceno, sale, pepe, peperoncino, salvia, vino bianco. Preparazione Tagliate l’agnello a piccoli pezzi e togliete le parti grasse. Lavatelo accuratamente per eliminare il forte odore. Fate soffriggere aglio rosso, salvia, peperoncino nell’olio extra vergine di oliva e rosolate a fuoco medio la carne aggiungendo di tanto in tanto del vino bianco che va fatto evaporare. Quando la carne è ben rosolata aggiungete i pomodori pelati e due bicchieri di acqua calda. La cottura va fatta a pentola coperta e a fuoco basso, evitando che la carne si attacchi al fondo. 114 115 I Dolci Tradizionali dell’Alta Tuscia Cavallucci e pupe (Onano) La processione dell’Assunta del 14 Agosto è tutt’oggi l’elemento più originale della religiosità popolare onanese. Caratteristica la partecipazione dei bambini che, secondo un’antica tradizione, risalente al 1600, portano al collo cavallucci (maschietti) e pupe (femminucce), dolci di pasta dal gusto morbido e dall’aspetto invitante. Dopo la preparazione dell’impasto con farina, uova, zucchero, latte (o acqua) e l’aggiunta di lievito ed aromi, si procede ad una prima modellazione (a forma di birillo per la pupa, di rombo per il cavallo). Poi, si continua con il coltello: qualche ritaglio alla primitiva forma e, con poche aggiunte (applicazione di cuffia, mammelle, fiocco con fiore per la pupa; morso, sella, nodo e manico per il cavallo), vengono modellate le due figurine a mezzotondo. A modellazione terminata, si completano le decorazioni tagliuzzando con le forbici la pasta e applicando dei semi di lenticchia o di veccia per formare gli occhi e la bocca. (fonte: “La festa della Madonna Assunta di Onano” B. Mancini, 2005) Onano, 14 agosto - Processione dell’Assunta. 116 117 Biscotti di Sant’Antonio di Acquapendente Il Biscotto di Sant’Antonio è un pane dolce, a forma di grande treccia, ricavato attenendosi scrupolosamente a ricette antichissime tramandate oralmente di madre in figlia. La tradizione, legata alla festa dedicata al Santo (17 gennaio), risulta presente fin dal 1588, come leggiamo in un manoscritto di Biondi Pietro Paolo Cronache sulla terra di Acquapendente, in cui apprendiamo che un tempo, la stessa era organizzata dalla Confraternita di Sant’Antonio, oggi non più esistente e sostituita con il “Signore di Sant’Antonio”, eletto ogni anno fra gli allevatori aquesiani. La particolare forma di treccia del dolce, che ricorda un nodo, simboleggia la fedeltà, l’alleanza, pertanto il legame con il Santo venerato. Biscotto di Santa Maria Assunta di Valentano Lo statuto di Valentano, trascritto in volgare verso il 1557 da quello più antico vergato in latino del sec. XV, conserva la memoria della festa di Santa Maria Assunta indicandola come Sancta Maria d’Agosto. Questa celebrazione, di derivazione agricola, legata agli antichi riti del mondo religioso etrusco e romano della tracciatura di solchi sia per la fondazione delle città che per l’arte dell’aruspicina, è stata trasformata dalla religione cristiana e dedicata alla Vergine Assunta. Lo stesso rito della cerimonia d’offerta, con la presenza di ceri su cui sono appesi biscotti e grappoli d’uva, riporta proprio a cerimonie d’epoca romana. In un affresco del III sec. d. C., proveniente da una casa privata di Ostia, appare dipinto un corteggio di bambini in abiti festivi che recano doni alla dea Diana, con aste su cui appaiono appesi grappoli d’uva. In onore della Madonna, la sera della vigilia, il 14 Agosto, e, durante la messa solenne del giorno della festa, vengono offerti, come in un sacrificio di primizie, fragranti biscotti e grappoli d’uva, simboleggianti il pane e il vino, con una semplice cerimonia: “al rullar d’un tamburo ornato da un biscotto, si forma un pic118 119 foto: C. Goretti - Graphisphaera colo corteo che dalla casa del «Signore della festa» raggiunge la chiesa. Ai lati del tamburo due giovani portano ciascuno una lanterna a stelo (volgarmente detto «cero») sulla cui sommità è posto un biscotto e un grappolo d’uva. Due altri biscotti, legati a fasce di tessuto - una di colore rosa e l’altra celeste ad indicare l’universalità del dono (uomini e donne) - poste a mo’ di tracolla sulle spalle dei ceriferi, vanno a poggiarsi sulle reni degli stessi portatori. Per questo, i ragazzi, hanno ribattezzato la festa come quella del «biscotto al cu’», cioè del biscotto sul sedere”. (fonte: Romualdo Luzi) Il Biscotto di Sant’Antonio (Acquapendente) e il Biscotto di Santa Maria Assunta (Valentano) pur avendo gli stessi ingredienti come base dell’impasto sono riconoscibili ed identificabili dalla diversa “intrecciatura”. I suddetti biscotti si caratterizzano per il sapore particolarmente determinato, dato dalla presenza di anice. Il peso è mediamente di 0,5 kg circa. Un consiglio: degustare con il vino Aleatico di Gradoli. Ingredienti Farina q.b., quattro uova, 900 gr zucchero, olio extra vergine d’oliva di Gradoli, tre bicchierini di marsala all’uovo, lievito naturale, 60 gr di lievito di birra, 70 gr di anice in semi, mezzo litro di latte, una bustina di vaniglia, buccia di limone grattugiato. Preparazione Unite insieme le uova, lo zucchero e gli altri ingredienti. Aggiungete il lievito, sciolto con il latte tiepido, e la farina quanto basta per ottenere una pasta che possa essere trattata con le mani. Il Biscotto ha una forma tipica, si deve “abbicare” fino ad ottenere una grande ciambella chiusa, che poi va intrecciata, per il Biscotto di Valentano, modellata a forma di otto per quello di Acquapendente. I dolci vanno poi disposti sulla teglia e, dopo aver lievitato, prima di essere infornati, vanno spennellati con un uovo. 120