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I diari delle streghe. La maledizione

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I diari delle streghe. La maledizione
570
Titolo originale: The Secret Circle. The
Divide
© 2012 by Alloy Entertainment and L. J.
Smith
Published by arrangement with Rights
People, London.
Traduzione dall’inglese di Maria Laura
Martini
Prima edizione ebook: settembre 2013
© 2013 Newton Compton editori s.r.l.
Roma, Casella postale 6214
ISBN 978-88-541-5907-5
www.newtoncompton.com
Realizzazione a cura di Librofficina
Grafica: Alessandro Tiburtini
Immagine di cover: © Trigger Images
Lisa Jane Smith
I DIARI DELLE
STREGHE
La maledizione
WWTT Original Ebook 155
Capitolo 1
Il calore dei loro respiri appannava i
finestrini della macchina di Adam. Era
una mite serata che volgeva al tramonto,
e l’aria profumava dei primi segnali
della primavera – la notte perfetta per
aprire i finestrini e baciarsi godendosi
la brezza. Ma Cassie aveva insistito che
restassero chiusi per avere un po’ di
privacy. Inoltre, le piaceva la sensazione
di sentirsi rinchiusa in uno spazio così
ristretto con Adam, isolati dal mondo
esterno dai vetri appannati. Sarebbero
arrivati tardi alla riunione, ma finché
stava all’interno di quella nuvola non le
importava.
«Dovremmo andare», disse con poca
convinzione.
«Ancora cinque minuti. Non è che
possono cominciare senza di te».
“Giusto”, pensò Cassie, “perché sono
una delle leader. Motivo in più per non
arrivare tardi solo perché me la sto
spassando con il mio fidanzato”.
Fidanzato. La parola le faceva venire
ancora le vertigini, anche dopo tutte
quelle settimane. Osservò il modo in cui
il sole al tramonto esaltava le sfumature
multicolore fra i capelli aggrovigliati di
Adam – tracce di rossastro e arancione
– e la scintilla cristallina nei suoi occhi
blu.
Si sporse verso di lei e le baciò il
collo proprio sotto l’orecchio. «Va
bene», disse lei. «Ancora tre minuti».
Il loro primo bacio come coppia aveva
cambiato tutto per Cassie. Aveva
significato qualcosa. Le labbra di Adam
sulle sue le erano sembrate determinate
e inesorabili come un accordo, e tutto il
corpo di Cassie aveva reagito con
consapevolezza. Si era resa conto che
quello era amore.
Cassie aveva dato per scontato che la
sensazione si sarebbe affievolita con il
passare dei giorni, che i loro baci
sarebbero diventati una routine, ma non
era così. Al contrario, diventavano
sempre più intensi. Parcheggiati appena
fuori il vecchio faro su Shore Road,
Cassie sapeva che dovevano smettere di
baciarsi, ma non ci riusciva. E non ci
riusciva nemmeno Adam. Lo rivelavano
il respiro accelerato e l’insistenza con
cui le stringeva i fianchi.
Ma non avrebbe fatto una buona
impressione arrivando in ritardo al suo
primo incontro in qualità di leader del
circolo. «Dobbiamo proprio entrare»,
disse, allontanandosi e posando la mano
sul petto di Adam per tenerlo fermo.
Lui trasse un profondo respiro e
sbuffò, cercando di calmare i bollenti
spiriti. «Lo so».
Con riluttanza, lasciò che Cassie si
districasse dal suo abbraccio e si
rendesse più presentabile. Dopo qualche
altra boccata d’aria e una veloce
sistemata ai capelli selvaggi, la seguì
all’interno.
Attraversando l’erba alta del prato che
conduceva al vecchio faro, Cassie non
poté fare a meno di restare colpita da
tanta rustica bellezza. Melanie aveva
detto loro che risaliva alla fine del XVIII
secolo, e la sua antichità era evidente
dall’aspetto decrepito.
La torre era costruita con pietre e
mattoni grigi che si elevavano per circa
trenta metri, alla cui base si trovava una
piccola casetta di legno fatiscente – la
dimora del guardiano del faro. Era stata
costruita per sua moglie e i suoi figli, in
modo che potessero stargli accanto
mentre svolgeva i suoi compiti in cima
alla torre.
Melanie raccontava che la casa era
stata tramandata di generazione in
generazione fino a quando il faro era
stato messo fuori uso all’inizio del XX
secolo. Da allora si era parlato di
convertirlo in museo, ma era rimasto
abbandonato per decenni.
Adam le sorrise, e il respiro le si
bloccò in gola. Aprì la porta della
casetta e fece un passo all’interno, con
Adam subito alle sue spalle. Con un
fruscio appena udibile, l’attenzione del
circolo si spostò sulla sua plateale
entrata ritardataria.
Fu subito chiaro che avevano fatto
aspettare il gruppo troppo a lungo, e che
tutti sapevano con esattezza cosa lei e
Adam stessero facendo. Cassie esaminò
i loro volti, ne recepì le diverse reazioni
e le accuse silenziose.
Il solito sguardo freddo di Melanie
esprimeva un’accesa impazienza, e
Laurel
ridacchiava
timidamente.
Deborah, seduta sul bordo di una panca
di legno in un angolo, sembrava pronta a
fare un commento malizioso, ma prima
che ne avesse la possibilità, Chris e
Doug Henderson, che stavano giocando
tirandosi una palla da tennis accanto alla
finestra, dissero all’unisono: «Alla
buon’ora!».
Nick, seduto sul pavimento con la
schiena appoggiata alla parete, rivolse a
Cassie uno sguardo di dolore malcelato
che la costrinse a guardare altrove.
«Adam», disse Faye con la sua voce
strascicata e roca, «hai il lucidalabbra
sbavato».
La stanza scoppiò in una risata
incontrollata, e Adam arrossì. Diana
abbassò lo sguardo, mortificata per loro,
o forse per se stessa. Era stata
magnanima nei confronti della relazione
tra Adam e Cassie, ma c’era un limite di
sopportazione.
«Forza, cominciamo», disse Diana,
riassumendo la propria posizione.
«Sedetevi tutti, per favore».
Diana parlò come se le risate si
fossero affievolite, ma erano ancora
forti e rumorose. «Il primo punto
all’ordine del giorno», continuò, «è cosa
fare degli Strumenti Supremi».
Bastarono quelle parole a far calmare
il gruppo. Gli Strumenti Supremi – il
diadema, il braccialetto d’argento e la
giarrettiera di pelle – erano appartenuti
alla prima congrega di Black John.
Erano stati nascosti per centinaia di anni
fino a quando Cassie aveva scoperto che
erano celati nel camino della cucina di
sua nonna. Il circolo aveva usato gli
Strumenti per sconfiggere Black John,
ma da allora avevano rimandato
qualunque decisione in proposito.
Quella sera, era giunta l’ora di
determinare il loro destino.
«Giusto», disse Cassie, unendosi a
Diana al centro della stanza. «Abbiamo
il vero potere adesso. E abbiamo
bisogno di…».
Cosa? Di cosa avevano bisogno?
Cassie si voltò verso Diana. Gli occhi
verdi e i capelli le risplendevano,
persino alla luce spettrale della lanterna
della vecchia casetta. Se c’era qualcuno
che sapeva cosa avrebbe dovuto fare il
circolo, quella era Diana.
«Penso che dovremmo distruggere il
potere degli Strumenti Supremi in
qualche modo», disse Diana con la sua
voce limpida e musicale. «Per far sì che
nessuno possa usarli».
Per un attimo, nessuno parlò. Erano
tutti troppo scioccati da quella proposta.
Poi Faye interruppe il silenzio. «Stai
scherzando», disse. «Tu e Adam avete
trascorso metà della vita a cercare di
trovarli».
«Lo so», disse Diana, «ma dopo tutto
quello che abbiamo passato, e adesso
che abbiamo sconfitto Black John, sento
che tutto quel potere non può essere
positivo per noi, o per chiunque altro».
Cassie era sorpresa quanto Faye.
Quelle parole non erano per niente da
Diana, o per lo meno non dalla Diana
che Cassie aveva conosciuto.
Anche Adam sembrava preso alla
sprovvista, ma rimase in silenzio. Le
leader parlavano per prime. Era quella
la regola.
Cassie sentì l’attenzione del gruppo
posarsi su di lei. Erano un triumvirato
adesso, il che significava che il suo
potere era uguale a quello di Diana e di
Faye. Voleva far buon uso della propria
autorità, dichiarare la sua opinione con
schiettezza e intelligenza, ma non voleva
opporsi a Diana.
«Cosa ti ha fatto cambiare idea?»,
chiese.
Diana incrociò le esili braccia sul
petto. «Le persone cambiano idea di
continuo, Cassie».
«Be’», disse Faye, concentrandosi su
Diana con i suoi occhi color ambra. «Io
non sono per niente d’accordo. Sarebbe
uno spreco non usare gli Strumenti. Se
non altro dovremmo testarli». Le sue
labbra si contrassero in un sorriso
crudele. «Non sei d’accordo, Cassie?»
«Ehm», disse. Era strano. Questa volta
era d’accordo con Faye, forse la prima
volta in cui si trovava d’accordo con lei
per qualche cosa. Non voleva schierarsi
con Faye contro Diana, ma come
potevano distruggere gli Strumenti di
punto in bianco? E se Black John fosse
tornato? Erano la loro unica arma di
difesa. Avrebbe voluto che Diana ne
avesse parlato prima con lei.
«Possiamo chiedere aiuto a Constance
per liberarci di loro», propose Diana.
«Se è questo che decideremo di fare».
Constance, la prozia di Melanie, aveva
aiutato il circolo a usare la magia. Da
quando aveva sfruttato i suoi poteri per
rimettere in sesto la madre di Cassie lo
scorso inverno, era diventata più
disponibile a condividere la sua antica
sapienza.
«Con ogni probabilità Constance
conosce un incantesimo che possiamo
usare», disse Diana. «E adesso che
Black John se n’è andato per sempre,
scommetto che sarà d’accordo sulla
necessità di mettere via gli Strumenti».
A Cassie era chiaro quanto Diana
tenesse alla sua posizione. Come Faye
alla sua – quella familiare rabbia
impetuosa si stava ormai manifestando.
«Dovremmo fare una votazione», disse
una voce decisa. Era Nick, che
raramente parlava durante gli incontri
del
circolo.
Sentirlo
esprimere
un’opinione
prese
Cassie
alla
sprovvista.
«Nick ha ragione», disse Melanie.
«Tutti noi dovremmo avere la possibilità
di dire la nostra per una faccenda così
importante».
Diana annuì. «A me sta bene».
Faye puntò le unghie rosse sul gruppo
con fare teatrale. «Votate allora», disse,
con la sicurezza di qualcuno che ha già
vinto.
Melanie si alzò e fece un passo verso
il centro della stanza. Era sempre lei a
presiedere le votazioni del circolo, si
accorse Cassie. «Tutti quelli a favore
della distruzione degli Strumenti
Supremi», disse, «alzino la mano».
La mano di Diana fu la prima a
sollevarsi, seguita da quella di Melanie,
poi Laurel. Dopo una pausa di un
secondo, Nick alzò la sua, e infine lo
fece anche Adam.
Cassie non poteva crederci. Adam
aveva votato per Diana, anche se lei
sapeva che avrebbe preferito testare gli
Strumenti.
«Tutti quelli a favore della
preservazione degli Strumenti», disse
Melanie, «alzino la…».
«Aspetta», la interruppe Cassie. Si era
distratta e aveva perso la possibilità di
scegliere la fazione di Diana.
Faye ridacchiò. «Chi dorme non piglia
pesci, Cassie. E un voto contro Diana è
un voto per me».
«Ti
sbagli»,
disse
Cassie,
sorprendendo perfino se stessa. «È un
voto per me».
Fece una pausa per guardare Adam e
lo vide sorridere con orgoglio.
«Propongo una terza opzione», disse.
«Teniamo gli Strumenti, in caso di
bisogno. Non distruggiamo il loro
potere, ma non lo usiamo nemmeno per
fare degli esperimenti».
«In questo caso», disse Faye, «sarò
felice di tenere gli Strumenti al sicuro
fino a quando non ne avremo bisogno».
«Neanche per sogno», disse Adam.
Cassie alzò la mano. «Non ho ancora
finito». Spostò lo sguardo da Faye a
Diana. «Propongo che ogni leader
nasconda una delle tre reliquie, in modo
che possano essere usate solo se l’intero
gruppo ne è a conoscenza».
Tutti rimasero in silenzio, mentre
riflettevano su quella nuova possibilità.
Era una buona idea, e Cassie lo
sapeva.
Quello che non sapeva era come
avesse fatto a venirle in mente di punto
in bianco. Quando aveva attirato
l’attenzione su di sé, non aveva avuto la
minima idea di ciò che avrebbe detto.
Diana parlò per prima. «Mi sembra un
compromesso equo», disse. «Melanie,
chiedo di ripetere la votazione».
«Appoggio la richiesta di una seconda
votazione», disse Nick con galanteria.
Melanie sollevò le sopracciglia. «Va
bene allora. Tutti quelli a favore…
dell’idea di Cassie, alzino la mano».
Alzarono tutti la mano, tranne
Deborah, Suzan e Faye.
«Allora è deciso», disse Melanie.
Faye rimase perfettamente immobile.
Non mosse un muscolo, ma un’ombra
scura le rabbuiò il volto.
Suzan saltellò giù dalla sedia. «Oh,
be’», disse. «Presumo sia tutto. Muoio
di fame. Possiamo andare a mangiare
adesso?»
«Sì, andiamo a prendere i tacos»,
disse Sean.
Uno per uno si alzarono tutti e
iniziarono a raccogliere le loro cose,
mettendosi d’accordo per incontrarsi a
casa della prozia Constance per
esercitarsi sulle evocazioni. Diana
spense le candele e le lanterne. Per tutto
il tempo, Faye rimase immobile.
«Tu», disse.
Cassie fece istintivamente un passo
indietro anche se Faye era dall’altra
parte della stanza.
«Non essere troppo orgogliosa di te
stessa». Avanzò verso Cassie e si sporse
verso di lei. Cassie poteva sentire il suo
profumo inebriante, che le fece venire un
capogiro. «Avrai anche vinto la
battaglia», disse Faye. «Ma… be’, lo
sai».
Cassie si allontanò dalla portata di
Faye. La paura la sopraffaceva ancora
ogni volta che Faye la minacciava. Che
Faye fosse davvero più forte di lei o
meno non importava. Aveva la
schiettezza mentale di un sociopatico e
una mancanza totale di coscienza. Con
Faye non si poteva ragionare, ed era
quello a renderla pericolosa.
«Siamo dalla stessa parte», disse
Cassie titubante. «Vogliamo la stessa
cosa».
Faye strinse gli occhi ambrati a
fessura. «Non proprio», disse. «Non
ancora, almeno».
Sembrava una minaccia, e Cassie
sapeva che le minacce di Faye non erano
mai vane.
Capitolo 2
Cassie e Adam si scambiarono a
malapena una parola per tutto il viaggio
di ritorno fino a casa di Cassie. Lei era
ancora scossa da quello che aveva detto
Faye, e Adam, avendolo percepito, le
teneva la mano in silenzio mentre
guidava.
Cassie accese la radio per distrarsi e
armeggiò con i pulsanti fino a trovare
una canzone che le piacesse. Non
riusciva a ricordare il titolo, ma quella
musica le fece venire nostalgia, le
ricordò un periodo in cui la sua vita era
molto più semplice. Era a New Salem
da meno di un anno, ma le sembrava di
viverci da sempre.
Invece di osservare la notte
primaverile che scorreva fuori dal
finestrino, Cassie chiuse gli occhi. Si
lasciò stordire dalla musica e cercò di
ricordare cosa si provasse a non essere
una strega, ma solo una ragazza.
Poi aprì gli occhi per sbirciare Adam.
Era bellissimo. Alla luce pallida della
luna, i suoi capelli apparivano ramati e i
suoi occhi si scurivano, diventando di un
blu intenso che richiamava il cielo
notturno. Come era possibile che quel
ragazzo fosse innamorato di lei, e solo
di lei? La Cassie dell’anno precedente
non ci avrebbe mai creduto.
Osservò il suo riflesso nello
specchietto retrovisore esterno della
macchina. Non assomigliava nemmeno
alla Cassie che era stata quando viveva
in California. All’epoca si era sempre
sentita così ordinaria. Altezza media,
corporatura media, banali capelli
castani. Ma ora si accorgeva delle loro
sfumature multicolore e di quanto
fossero grandi e rotondi i suoi occhi
grigi. E soprattutto, si rendeva conto di
quanto fosse maturata nell’usare i suoi
poteri. Si sentiva sicura in un modo che
non avrebbe mai potuto immaginare.
Quando si fermarono al numero
dodici, l’ultima casa sulla scogliera,
Cassie ricordò la prima volta che
l’aveva vista, quanto le fosse apparsa
spaventosa e vecchia, con quel tetto
spiovente e le pareti rivestite di pannelli
grigio spento. Era una cosa positiva che
ci si fosse abituata, così come si era
abituata a tutte le vecchie case di
Crowhaven Road? Tutto quello che
prima le era sembrato strano e
inquietante era diventato normale per lei
– adesso quella era la sua vita.
Adam spense il motore e si voltò
verso Cassie con sguardo ansioso.
«Ignorala e basta», disse.
«Chi?»
«Faye. Quello che ha detto a proposito
del fatto che tu hai vinto la battaglia ma
lei vincerà la guerra… non permettere
che ti turbi. Lo dice sempre per tutto. Se
ci fosse una bambola con le sue
sembianze, è esattamente questo che
direbbe quando si tira la cordicella per
farla parlare…». Fece una voce roca
come quella di Faye. «Vinci la battaglia,
perdi la guerra».
A quel punto Cassie si mise a ridere.
Adam le prese le mani fra le sue,
ovviamente felice di essere riuscito a
farla sorridere. «Ti è venuta in mente
un’ottima soluzione per gli Strumenti
Supremi», disse. «Come hai fatto?»
«Non lo so. È stato strano», disse
Cassie. «Un’idea apparsa dal nulla».
«Non dal nulla», disse Adam. «Da
qui». Indicò il suo cuore. «E qui», disse,
indicandole la testa. «Ecco perché ti
abbiamo votata come leader. Quando ti
ci abituerai, Cassie? Tu sei speciale».
In quel momento Cassie fu davvero
grata di aver Adam al proprio fianco.
Certo, prima aveva votato a favore di
Diana, ma quando lei aveva preso la
parola l’aveva supportata, ed era quella
la cosa importante. Si sporse per dargli
un bacio sulle labbra rosse e piene.
Non si stancava mai di baciarlo. Ma
lui interpretò quel singolo bacio della
buonanotte come un invito ad
amoreggiare ancora in macchina. Si
slacciò in fretta la cintura di sicurezza
gettandola di lato.
«No», disse Cassie. «Basta».
Adam sollevò le sopracciglia come un
cucciolo triste.
«C’è la luce accesa in sala da pranzo».
Cassie gli scompigliò i capelli e poi lo
spinse via. «Il che significa che
probabilmente mia madre ci sta
guardando».
Adam la afferrò giocosamente con uno
sguardo dispettoso negli occhi. «Un
giorno, amore mio, ti preoccuperai meno
di quello che pensa la gente».
Cassie gli diede un ultimo bacio sulla
guancia liscia e corse in casa prima di
cambiare idea.
Una volta dentro, Cassie trovò sua
madre seduta al grande tavolo in mogano
della sala da pranzo. La luce fioca della
stanza
trasmetteva
un
calore
rassicurante. Per una volta, Cassie
apprezzò l’antico impianto elettrico
opera di suo nonno, per quanto fosse
scadente. Le pareti color mais dorato
sarebbero apparse gialle alla spietata
luminosità delle luci moderne.
Sua madre, scuotendo la testa, si
ravviò i capelli scuri e fece un gran
sorriso per la sorpresa. A quanto pare
non li stava guardando mentre erano in
macchina, grazie al cielo.
«Cassie, non mi aspettavo tornassi a
casa così presto», le disse. «Ti va di
aiutarmi?».
Cassie scrutò i fasci disordinati di
carta velina colorata sparsi sul grande
tavolo. «E questi cosa sono?».
Sua madre sollevò entrambe le mani
come se la questione fosse oltre la sua
comprensione. «Giunchiglie e gru.
Decorazioni per la festa di primavera.
Mi sono offerta volontaria, ma non ho
idea del perché. Adesso sto affogando
nella carta velina».
Dopo aver visto la madre a letto
malata così a lungo, notte dopo notte, e
aver osservato la prozia Constance che
la nutriva di erbe mediche e le spalmava
tutta una serie di impiastri curativi,
Cassie pensò che era un piacere trovarla
tanto agitata per un compito così
insignificante. Ed era bello vederla così
coinvolta in un evento della comunità.
Cassie voleva che sua madre si sentisse
a casa lì a New Salem e che avesse
degli amici, soprattutto adesso che la
nonna se n’era andata.
«Da dove inizio?», le chiese Cassie
mentre si univa a lei al maestoso tavolo.
Radunò
fogli
gialli
e
verdi,
immaginando che le giunchiglie fossero
più facili da realizzare delle gru. Mentre
iniziava a piegare e arricciare i fogli
sottili a forma di petalo, pensò tra sé e
sé: “Con ogni probabilità esiste una
magia per velocizzare il processo”. Ma
era così felice e sollevata che sua madre
fosse tornata come prima che anche se ci
fosse voluta tutta la notte non le sarebbe
importato.
«Allora», disse sua madre, fissando
finalmente gli occhi su Cassie. «Come
va con Adam?».
Cassie sentì le guance che si
surriscaldavano. «Bene».
«E con i tuoi amici?»
«Bene anche con loro».
Lei abbassò la gru argentata su cui
stava armeggiando e studiò il volto di
Cassie.
«Sai, sono davvero orgogliosa di te»,
disse. «Ti sei ripresa così in fretta
dopo…». Fece una pausa.
«Dopo tutte le sciagure?»
«Sciagure, sì, penso che potremmo
chiamarle così». Cercò di sorridere.
Cassie esitò un solo istante, ma fu
sufficiente ad attirare l’attenzione di sua
madre. «C’è qualcosa che non va»,
disse. «Cosa c’è?».
Cassie sentì l’ansia che le invadeva lo
stomaco. Si stava godendo il tempo
passato insieme e non voleva rovinarlo,
ma sua madre sembrava sinceramente
disposta alla conversazione quella sera.
Per la prima volta nella vita di Cassie,
le sembrava che tutti i segreti fra loro
fossero finalmente allo scoperto, e la
loro relazione potesse ricominciare da
zero. “Un nuovo inizio”, pensò. Era
quello che stavano celebrando, giusto?
Ecco a cosa servivano tutte quelle
stupide gru e giunchiglie di carta,
dopotutto.
Cassie trasse un profondo respiro e
guardò con attenzione sua madre negli
occhi. «Stavo pensando a mio padre»,
disse.
Lei si irrigidì all’istante. Cassie si
accorse che aveva serrato la mascella, e
poi aveva bevuto un lungo sorso di tè.
La
tazza
le
tremò
quasi
impercettibilmente tra le mani. Cassie fu
subito dispiaciuta di aver affrontato
l’argomento. Ma quando sua madre posò
di nuovo la tazza di tè, sembrava essersi
ripresa dallo shock della domanda. O
almeno, questo avrebbe voluto farle
credere.
Quando infine aprì bocca, il tono era
innaturale, ma paziente e gentile. «Sarò
felice di dirti tutto quello che vuoi
sapere», disse. «Devi solo chiedere».
Cassie sentì le spalle sciogliersi per il
sollievo. Si rese conto di quanto tempo
fosse passato da quando aveva sepolto
le preoccupazioni e le domande dentro
di sé. Si costrinse a continuare a parlare.
«So che lui – voglio dire, Black John –
era malvagio», disse Cassie. «Ma è
parte di me. Ed è una parte che sento di
dover capire. C’è qualcosa che puoi
dirmi di lui?».
Ecco. L’aveva detto. Ormai non poteva
tirarsi indietro.
Sua madre si concentrò sulla gru di
carta che aveva in mano. «Hai
assolutamente ragione», disse, ma non
rispose alla domanda e non guardò
Cassie mentre parlava.
Cassie la osservò in un prudente
silenzio. Era fin troppo concentrata sulla
gru che stava reggendo, piegandola e
ripiegandola su se stessa.
«Il problema è che fanno questa carta
troppo sottile e inconsistente», disse.
«Si rompe appena la tocchi».
Come se niente fosse, sua madre aveva
completamente lasciato cadere la
questione. Ma Cassie era determinata a
non arrendersi e continuò a fissarla. Lei
dopo un po’ smise di ignorarla e sollevò
lo sguardo.
«C’è
qualcosa
che
vorresti
chiedermi?»,
chiese
con
finta
disinvoltura.
Lo sguardo negli occhi di sua madre
rivelò a Cassie una paura che non
vedeva in lei da quando si era ammalata.
Il suo volto si era fatto pallido e
spettrale, come se fosse invecchiata di
vent’anni in quei cinque secondi di
silenzio. E Cassie si accorse che il
foglio di velina argentata che reggeva in
mano si era spiegazzato e strappato a
causa della tensione delle sue dita: lo
stava stringendo come se ne dipendesse
la sua stessa esistenza.
Era più di quanto Cassie potesse
sopportare. Sua madre aveva appena
iniziato a stare meglio. Aveva appena
iniziato a prendere di nuovo parte alla
vita. Cassie non poteva permettersi di
rovinare tutto con le sue domande
egoiste. Aveva davanti una donna
fragile, molto più fragile di quanto
sarebbe mai stata lei.
«Non importa», disse. «Possiamo
parlarne un’altra volta. Abbiamo molto
da fare adesso».
Finiva sempre così. Cassie era quella
che doveva comportarsi da adulta nel
loro rapporto, quella che doveva tenersi
le domande per sé perché l’altra non
poteva sopportare le risposte – o la
verità. Era stata una stupida a pensare
che potesse andare diversamente.
Capitolo 3
«La primavera è nell’aria», disse
Melanie a Cassie e a Laurel, chiudendo
per un attimo gli occhi grigi e prendendo
un respiro profondo. «Si riesce quasi ad
annusarla, non è vero?».
Cassie chiuse l’armadietto con uno
schianto e inspirò, ma riuscì a sentire
solo il solito odore di sudore, carta e
ammoniaca del corridoio.
«È stato un inverno difficile», disse
Laurel. «Penso che questo c’entri
qualcosa». Quel mattino si era vestita a
tema con un abito a fiori stampati. «La
festa dell’equinozio di primavera di
quest’anno sarà fantastica».
Intorno a loro la frenesia era palpabile
– le voci sembravano più forti, i passi
più veloci, tutti erano più vivaci e
animati – erano tutti vittime della febbre
primaverile. Poi Cassie si ricordò che il
nuovo preside sarebbe stato presentato
all’assemblea di quella mattina. Forse
era quella la fonte di tutta la nuova
energia nell’aria? Era impaziente di
incontrare l’uomo che sarebbe stato
responsabile
della
loro
scuola,
soprattutto dopo che l’ultimo preside si
era rivelato essere Black John sotto
mentite spoglie. Ma con ogni probabilità
Melanie e Laurel avevano ragione – era
la festa di primavera di quel fine
settimana a mettere tutti in agitazione. I
loro compagni di scuola stavano tutti
programmando
cosa
avrebbero
indossato e discutendo su chi valeva la
pena invitare. A nessuno importava chi
fosse il nuovo preside.
«È un buon segno», disse Melanie.
«Una festa che celebri un nuovo inizio è
proprio ciò che serve a questa città».
Cassie voleva sentirsi emozionata
come tutti gli altri per l’arrivo della
primavera, ma sentiva il cuore pesante
nel petto. Il tentativo disastroso di
parlare con sua madre la notte
precedente la opprimeva ancora.
Proprio in quel momento Chris e Doug
Henderson sfrecciarono accanto a loro
sui rollerblade, ridendo mentre si
facevano strada lungo il corridoio
affollato. La spinta accelerata tirava
indietro i loro capelli biondi spettinati
allontanandoli dai loro identici occhi
verde-blu. Rallentavano solo per
porgere fiori a forma di stella a
qualunque bella ragazza di passaggio.
Suzan, che reggeva un cesto pieno di
fiori, correva dietro di loro per
rifornirli.
«Cosa diavolo sono?», chiese Cassie.
«Chionodoxa luciliae», disse Laurel.
Melanie le diede una spintarella.
«Nella nostra lingua».
«Scusate». Laurel sorrise. «Quei fiori
blu. Li chiamano gloria della neve. Sono
uno dei primi segni della primavera».
Cassie si rese conto che persino i
gemelli Henderson, che avevano perso
la sorella, Kori, solo lo scorso autunno,
stavano abbracciando la nuova stagione.
Avrebbe potuto impegnarsi un pochino
di più ad avere un atteggiamento
positivo. «Penso di aver già visto quei
fiori», disse. «Sono nel giardino dietro
la palestra».
«Ormai non più», disse Sean, ridendo
a crepapelle. Camminò verso di loro.
Reggeva un bouquet di fiori blu con la
mano ossuta e lo tese, esitante, verso
Cassie.
«Grazie, Sean», disse Cassie, ma
prima che potesse accettare il bouquet,
Faye si intromise e glielo strappò di
mano. Annusò i boccioli e poi lo spinse
sul petto di Sean. «Corri all’assemblea e
trova un’altra patetica ragazza a cui
darli», disse. Poi si voltò verso Cassie.
«Ho bisogno di parlare con te».
Faye era tutta vestita di nero, come
accadeva spesso, ma quel giorno i suoi
abiti erano più attillati e scollati del
solito. Cassie rivolse un cenno a
Melanie e Laurel. «Va bene», disse.
«Andate
avanti.
Ci
vediamo
all’auditorium».
Si era ripromessa di non mostrarsi
impaurita davanti a Faye, a tutti i costi.
Non poteva permettersi di aver paura di
restare da sola con lei, soprattutto a
scuola, dove era scontato che sarebbe
stata protetta da qualunque abuso Faye
intendesse infliggerle.
Faye, ovviamente, non perse tempo ad
arrivare al punto. «So che tutta la
faccenda di essere leader è nuova per
te», le disse. «Ma persino tu dovresti
renderti conto che non riuscirai a
giocare lealmente a lungo».
«Non so di cosa stai parlando».
Faye sbuffò, come se doversi spiegare
non fosse da lei. «Non fare l’innocente
con me, Cassie. Non funziona».
Cassie lanciò un’occhiata lungo il
corridoio vuoto e si mise le mani sui
fianchi. «Se hai davvero qualcosa da
dirmi, Faye, allora fallo. Ma se stai solo
cercando di intimidirmi, sappi che non
ce la farai».
«Bugiarda». Faye tese la mano per
spostare docilmente la ciocca di capelli
scivolata davanti agli occhi di Cassie, e
lei fece un balzo all’indietro.
Faye sorrise. «Ecco cosa ho da dirti. Il
potere crea sempre dei nemici. Divide
le persone in due categorie, buone e
cattive. Se vuoi davvero essere una
leader di questo circolo, allora dovrai
scegliere una fazione».
Cassie ricordò che una volta Diana le
aveva detto che il potere era solo potere
– non era buono o cattivo. «Solo il modo
in cui lo usiamo è buono o cattivo»,
aveva detto. Ma persino Diana aveva
cambiato opinione in proposito.
«Ho già scelto una fazione», disse
Cassie.
Il rubino stellato intorno al collo di
Faye scintillò. Era dello stesso colore
del suo rossetto. «No, invece», disse.
«In te c’è qualcosa che ti rende figlia del
tuo paparino. Puoi sentirlo dentro di te.
Un alone oscuro. So che puoi».
Cassie strinse con più forza i libri al
petto. «Tu non sai niente».
«Non è sfiancante impegnarsi così
tanto a imitare Diana quando in realtà
sei proprio come me?»
«No. Perché io non sono affatto come
te».
Faye emise una profonda, aspra risata
e fece un passo indietro. Era riuscita nel
suo intento. Cassie si era innervosita.
«Farai meglio a sbrigarti», disse.
«Non vorrai arrivare in ritardo
all’assemblea». Estrasse un tubetto di
rossetto dalla borsa e si applicò un altro
strato di colore scuro sulle labbra. «Ne
vuoi un po’?». Tese il tubetto rosso
sangue verso Cassie. «Secondo me
questo colore ti dona».
In un impeto di rabbia Cassie pensò di
scaraventare via il lucidalabbra dalla
mano di Faye. Ma avrebbe significato
darle proprio ciò che voleva. Stava
cercando di spingere Cassie ad
arrendersi ai suoi impulsi più bassi, a
comportarsi in modo aggressivo e
incauto come faceva lei.
Ma Cassie non lo avrebbe fatto. Non
avrebbe
dato
a
Faye
quella
soddisfazione. Invece, le voltò le spalle,
e facendolo si accorse di qualcuno che
prima non aveva notato. Un ragazzo.
Anche Faye si accorse di lui.
Lo guardarono insieme mentre
percorreva il corridoio. Era alto e
muscoloso con capelli castano chiaro, e
doveva aver appena finito di allenarsi,
perché indossava pantaloni e scarpe da
ginnastica. Portava una sacca da palestra
in una mano e una racchetta da lacrosse
nell’altra.
«Quel ragazzo è uno schianto». Faye
richiuse il rossetto e lo infilò nella
borsa. «Sai quanto mi piacciono i
fustacchioni sudati».
Cassie alzò gli occhi al cielo.
Faye si avvicinò subito al ragazzo per
rivendicarne la proprietà. «Ti sei
perso?», gli disse. «Posso darti delle
indicazioni».
La testa gli scattò in alto quando si
rese conto che qualcuno gli stava
rivolgendo la parola. Cassie vide che i
suoi occhi erano verdi come smeraldi,
belli quanto quelli di Diana.
«No, grazie», rispose, con un tono di
voce allo stesso tempo deciso e
impertinente. «Conosco la strada».
«Stai andando a quella noiosa
assemblea?». Faye non era intenzionata
ad arrendersi così presto. «In questo
caso, posso darti delle indicazioni
sbagliate».
La frase bastò a suscitargli un sorriso,
che però diresse a Cassie. «Ciao»,
disse. «Sono Max».
«Lei è Faye», disse Cassie,
rispondendo al sorriso di Max. «Ed è
lieta di conoscerti».
Max lasciò cadere la sacca da palestra
sul pavimento e strinse la mano di Faye
in un modo dal quale si capiva che era
abituato alle adulazioni delle ragazze.
«Cassie»,
disse
Faye,
ancora
stringendo la mano robusta di Max nella
sua. «Non credi che Adam ti stia
aspettando
all’assemblea?
Forse
dovresti andare».
Cassie annuì. «Hai ragione. Dovrei».
Quando si voltò, sentì Max che le
urlava: «Ci vediamo lì».
Cassie arrivò all’auditorium appena in
tempo per la cerimonia di benvenuto. Fu
sollevata di trovare Adam che le faceva
un cenno per indicarle il punto dove era
seduto, in ultima fila. L’auditorium era
più affollato che mai. C’erano gruppi di
studenti accalcati sul fondo e accanto
alle estremità di ogni fila. L’emozione
pulsante che Cassie aveva avvertito in
corridoio era stata portata fino a lì, dove
si accentuò come acqua trattenuta da una
diga. Ma una volta che Mr Humphries
diede qualche colpetto al microfono per
zittire la folla e fare un annuncio,
l’energia irrequieta si attenuò fino a una
noia silenziosa. Le assemblee erano
sempre divertenti fino a quando non
iniziavano.
Cassie scrutò la folla. Individuò Diana
fra le prime file, seduta con la sua classe
di inglese avanzato. Melanie e Laurel si
erano unite a Suzan, Sean e i fratelli
Henderson nelle file centrali. E Deborah
e Nick erano solo qualche fila dietro a
loro. Cassie si accorse che nessuno di
loro sembrava preoccupato. Avevano lo
stesso aspetto annoiato e apatico del
resto della scuola. Era lei l’unica a
risentire ancora dell’ultima assemblea in
cui avevano dovuto accogliere un
preside? Stavano tutti fingendo, nel
tentativo di mostrare il meglio di sé? O
erano davvero tutti più bravi di Cassie a
passare oltre?
Sally Waltman e Portia Bainbridge
erano sedute con il loro gruppetto di
cheerleader. I capelli color ruggine di
Sally si distinguevano da quelli biondi
di quasi tutto il resto delle sue amiche,
quindi fu facile individuarla fra loro.
Stava ridendo per qualcosa che aveva
detto Portia, probabilmente una battuta
ai danni di qualcuno, come faceva
sempre. Il circolo aveva raggiunto una
tregua turbolenta con Portia e i suoi
fratelli, ma a Cassie quella ragazza
ancora non piaceva.
«Stai bene?», le chiese Adam quando
prese posto. «Hai la faccia da mi-sonoappena-imbattuta-in-Faye».
«Sto bene. Faye mi stava infastidendo,
ma poi ci è passato accanto un tizio da
schianto,
e
si
è
dimenticata
completamente di me».
«Proprio la nostra Faye». Adam prese
la mano di Cassie nella sua e la strinse.
«Chi era il ragazzo?»
«Non lo so, uno nuovo. Si chiama
Max».
Cassie perlustrò l’auditorium in cerca
di Faye e la trovò in piedi in un angolo
che parlava con Max – o meglio parlava
a Max. Lui era appoggiato con entrambe
le mani alla racchetta da lacrosse, come
se potesse cadere dalla noia se non si
fosse aggrappato.
Cassie spostò l’attenzione sull’uomo
che dedusse essere il nuovo preside, in
attesa in un angolo. Indossava un
elegante completo scuro e aveva i
capelli brizzolati. Era alto, aveva le
spalle ampie, e teneva le mani incrociate
dietro la schiena. Era affascinante,
proprio come lo era stato Mr
Brunswick.
Un debole applauso lo accolse sul
palco.
«Grazie»,
disse,
mentre
sistemava il microfono. «Sono Mr
Boylan, e sono lieto di fare la vostra
conoscenza».
La sua voce era più profonda di quanto
si fosse aspettata Cassie. Il suo aspetto
esteriore era elegante e raffinato, ma
aveva la voce di un tagliaboschi – con
un tono duro, sabbioso, e la traccia di un
accento che non riusciva a identificare.
Le corse un brivido lungo la schiena.
“No”, pensò Cassie tra sé e sé. “Non
essere paranoica. Solo perché Mr
Brunswick si è rivelato malvagio non
significa che lo sarà anche Mr Boylan”.
Immaginò di essere vittima dei sintomi
di una specie di stress post traumatico,
come i soldati che tornano dalle guerre e
si spaventano al minimo rumore
improvviso e innocuo che sentono.
Ma mentre Mr Boylan continuava a
parlare, ogni muscolo del corpo di
Cassie si tese in atteggiamento
difensivo. Lanciò un’occhiata a Adam
per vedere se anche lui percepiva
qualcosa di strano nel preside, ma stava
guardando il palco con calma e senza la
minima traccia di preoccupazione.
«Vi ringrazio per il caloroso
benvenuto», disse Mr Boylan. «Spero
che accoglierete nello stesso modo
anche mio figlio, che verrà a studiare
qui». Indicò l’angolo più lontano, dove
Max era ancora appoggiato alla sua
racchetta da lacrosse e fissava dritto
davanti a sé.
Adam e Cassie si guardarono in
contemporanea. Non ci fu bisogno di
dire nulla.
Ovvio. Faye si era presa una cotta per
il figlio del preside.
Faye stava sorridendo con un ghigno
alle sue spalle, guardandogli fisso la
nuca, come se potesse perforargliela e
impiantargli nella testa il desiderio.
Quando si accorse che Cassie la
guardava, strinse le labbra e le mandò
un bacio. Poi tirò fuori la lingua,
fingendo di leccare la nuca di Max.
«Tutto questo non porterà a niente di
buono», disse Cassie.
Capitolo 4
Mentre tornava a casa da scuola quel
pomeriggio, Cassie ebbe finalmente un
momento di solitudine per pensare.
Diana e qualcuno degli altri erano andati
in città per comprare gli abiti per la
festa di primavera. «Ti serve un vestito
primaverile per la festa di primavera»,
aveva insistito Suzan quando le aveva
detto che era troppo stanca per fare
shopping. Ma Diana era intervenuta a
favore di Cassie, dicendo che se era
stanca avrebbe fatto meglio a riposare.
Significava che in realtà Diana non la
voleva lì? Cassie avrebbe voluto
sentirsi più sicura a proposito della sua
amicizia con Diana, ma sembrava che
qualcosa non quadrasse, come tutto il
resto in quel momento.
Decise di percorrere la strada più
lunga e panoramica per tornare a casa
lungo Cherry Hill Road, costeggiata da
file di ciliegi in procinto di sbocciare.
Era una tempestosa giornata di marzo, e
lei adorava il rumore del vento fra gli
alberi. Si fermò per un attimo per alzare
lo sguardo sulle foglie, per osservarle
ondeggiare e ballare sulla sua testa fino
a esserne stordita.
«Questo è il mio territorio», disse una
voce alle sue spalle.
Si guardò intorno e vide una giacca di
pelle nera e jeans scuri.
«Nick», disse. «Ho fatto questa strada
per restare sola, quindi forse sei tu a
essere nel mio territorio». Stava
cercando di assumere un tono sarcastico
e scherzoso. Poi lo rovinò subito
aggiungendo: «Ma mi fa davvero
piacere incontrarti».
Lo vide agitarsi a disagio a causa del
commento sdolcinato, ma dalla sua
bocca iniziarono a uscirne altri simili.
«È solo che… ultimamente abbiamo
avuto poche occasioni di parlare»,
aggiunse. «E non passiamo più del
tempo insieme».
L’espressione di Nick era fredda.
Nessun sorriso, nemmeno una minuscola
traccia. Era ovvio che non provasse la
stessa cosa. Allontanò lo sguardo e si
tastò la tasca della giacca in cerca delle
sigarette. Poi ricordò che aveva smesso,
quindi smise di tastare e rimase
immobile.
«Mi manchi, Nick». Cassie non riuscì
a trattenersi dal dirlo. E desiderò subito
che le sue parole non sembrassero
troppo patetiche.
Nick si era comportato in quel modo –
distaccato e riservato – da quando
Cassie e Adam si erano messi insieme.
La parte razionale del suo cervello
sapeva che la stava tenendo a distanza
perché era rimasto ferito, ma all’altra
parte, quella irrazionale, tutto ciò non
interessava e voleva solo che tornasse a
starle al fianco.
Posò la mano sulla pelle morbida
della sua giacca e chiese, con il tono più
innocente che le riuscì, «Non ti manco
per niente?».
Il volto di Nick fu attraversato da una
fitta di agonia, come se lo avesse
pugnalato allo stomaco con un coltello
affilato.
«Cassie», mormorò.
Stava per dirle qualcosa di importante.
Riusciva a capirlo dal tono gentile della
sua voce e da come si stava impegnando
per trovare le parole giuste. Era così
difficile per lui esprimere le sue
emozioni che guardarlo sforzarsi così
tanto le fece venire un tuffo al cuore.
Quello era il lato tenero di Nick, e non
erano in molti a conoscerlo.
«Cassie, ascolta», iniziò.
Ma proprio in quel momento arrivò
Adam in macchina, strombazzando.
«Ehi, voi due», gridò. «Volete un
passaggio?».
Accidenti.
Pessimo
tempismo.
Finalmente lei e Nick si stavano
chiarendo.
Ma il momento era passato. Il volto di
Nick, che si era aperto per un attimo, si
richiuse di nuovo, più sigillato e sicuro
di una cassaforte.
«Vuoi un passaggio fino a casa?», gli
chiese debolmente Cassie.
Vederla insieme a Adam era l’ultima
cosa di cui Nick aveva bisogno, e
Cassie lo sapeva. «Io passo», rispose,
con il tono più freddo che riuscì a
formulare. «Ma tu faresti meglio ad
andare», aggiunse, quando si accorse
dell’esitazione di Cassie. «La tua
carrozza ti aspetta».
Cassie era combattuta. Per un secondo
immaginò il loro futuro alternativo,
quello in cui Adam non li aveva
affiancati, dove lei e Nick avevano
parlato durante tutta la lunga strada fino
a casa sotto una tettoia di alberi. Non
voleva lasciar andare quella possibilità.
Ma sapeva di non dover insistere troppo
con Nick. Dopotutto, lei voleva Adam, e
lo avrebbe voluto per sempre.
Nick iniziò a trascinare i piedi nella
direzione opposta a casa. Cassie si
affrettò a raggiungerlo e gli sussurrò
all’orecchio. «Ti sarai anche guadagnato
il diritto a compiangerti per un po’»,
disse, «ma non ho intenzione di lasciarti
andare così facilmente».
Poi corse verso la macchina di Adam,
aprì la portiera e salì.
L’interno dell’auto di Adam aveva
sempre lo stesso odore. Era una
combinazione di muschio dolce, foglie e
benzina, pelle oliata e gomma, e non
smetteva mai di dare la carica a Cassie.
Adam la guardò, analizzando ogni
centimetro del suo volto con i suoi
penetranti occhi blu. «Pensavo fossi
andata a fare shopping con le ragazze».
«Non ne avevo voglia».
Le posò una mano calda sul ginocchio.
«Cassie, sei sicura che vada tutto
bene?».
Lei guardò fuori dal finestrino e non
rispose.
«Nick ti stava infastidendo là fuori?»
«Cosa? No, certo che no. Per dirla
tutta ero io che stavo infastidendo lui,
cercando di convincerlo a essere di
nuovo mio amico».
Adam riappoggiò la mano sul volante
e lo strinse con tanta forza da far
sbiancare le nocche. «Ha bisogno di
tempo».
«Lo so».
Cassie guardò Crowhaven Road
scorrere fuori dal finestrino e decise di
cambiare argomento.
«Hai percepito qualcosa di strano nel
nuovo preside oggi?», chiese.
«No, perché? Tu sì?»
«Più o meno, ma non ne sono sicura»,
disse Cassie con sincerità. «Penso di
volerne parlare con Constance. Forse
conosce un incantesimo o qualcosa che
possa mostrarci la sua vera natura».
Adam cercò di trattenere un sorriso.
«Mi sa che sei un tantino paranoica,
Cassie. Ne hai tutte le ragioni, dopo
quello che hai passato. Ma onestamente,
l’unica cosa che mi sembra strana del
preside è che Faye sia interessata a suo
figlio».
«Lo so, con ogni probabilità hai
ragione». Cassie tornò a guardare fuori
dal finestrino. Si accorse che una berlina
nera li seguiva e si sforzò di capire se
apparteneva a uno dei loro amici. Non
c’erano molte macchine che avevano
motivo di svoltare a Crowhaven Road.
«Cassie», disse Adam. «Ascoltami.
Black John non ci sta più perseguitando.
Se n’è andato. Abbiamo vinto».
Nonostante tutta la delicatezza di
Adam, Cassie era infastidita dal suo
continuo sorvolare sul fatto che Black
John, per quanto malvagio, fosse suo
padre. Ogni volta che Adam lo
menzionava diceva: «Se n’è andato per
sempre», il che ovviamente era positivo,
tuttavia
avrebbe
almeno
potuto
riconoscere che la sua morte la
confondeva.
«Penso comunque che mi farebbe
piacere incontrare Constance», disse
Cassie. «Puoi lasciarmi da lei, per
favore?».
Adam si zittì, il che significava che
aveva capito di aver detto qualcosa che
l’aveva infastidita.
Erano quasi arrivati a casa di
Constance, quindi lasciò il pedale
dell’acceleratore e rallentò fino a
fermarsi. Cassie si accorse che anche la
macchina nera dietro la loro si era
fermata. Poi fece una brusca inversione
e tornò verso la strada principale.
“Strano”, pensò.
All’inizio non rispose nessuno quando
bussò, poi però Cassie vide la testa
grigia di Constance che appariva dalla
finestra anteriore. Le fece un cenno con
quella mano tanto simile a un artiglio e
aprì la porta.
«Sei qui per vedere Melanie?»,
chiese. «Non è ancora tornata da
scuola».
«Veramente, zia Constance, sono
venuta per parlare con te».
«Oh oh. Cosa c’è?». Accompagnò
Cassie
attraverso
l’immacolato
pavimento in legno massello fino al
salotto, dove fino a poco prima stava
bevendo il tè.
Cassie aveva imparato a sentirsi a suo
agio in quella casa dato che sua madre
era rimasta lì mentre era malata. Era
simile all’appartamento di Cassie, ma in
condizioni decisamente migliori. Le
pareti erano dipinte di fresco, gli argenti
lucidati fino a risplendere, e non c’era
nemmeno un granello di polvere. Il
salotto profumava del sapone oleoso
usato per pulire il legno.
Constance riempì di nuovo la sua tazza
da tè con un salice disegnato e ne versò
un po’ anche a Cassie. Poi si mise
comoda sulla sua grande sedia a
dondolo. «Cosa ti preoccupa?», chiese.
«Niente, in realtà», disse Cassie.
«Credo di essere venuta solo per
chiederti un consiglio».
«A proposito di che?». Constance era
esile e regale, ma sembrava quasi
infantile mentre dondolava avanti e
indietro sulla sua sedia.
«Ultimamente mi sono sentita un po’
strana», disse Cassie.
Constance smise di dondolare e
appoggiò i piedi al pavimento. «Dovrai
essere più precisa se vuoi un consiglio,
mia cara».
«Che tu ci creda o no, ci sto davvero
provando». Cassie posò la tazza.
«Credo che in parte dipenda dal fatto
che so che dovrei essere felice. Il
circolo ha sconfitto Black John e mia
madre sta di nuovo bene. E sto con
Adam, che mi ama molto».
«Ma?»
«Mi sembra di non riuscire a
rilassarmi». Cassie si sporse per
avvicinarsi a Constance e iniziò a
parlare a voce più bassa. «Come oggi,
quando è stato presentato il nostro nuovo
preside. Ho iniziato ad agitarmi, proprio
durante l’assemblea. So che non si
trattava di lui, ma come faccio a esserne
certa, o come faccio a dire… Oh, non lo
so».
«Come fai a distinguere tra istinto e
ansia?». Constance sorrise.
Cassie annuì.
«C’è solo un modo», disse Constance.
«Anni di pratica. È una delle sfide più
grandi di chi possiede il dono della
vista».
Si riaccomodò sulla sedia e parve
persa nei suoi pensieri per un attimo.
Poi le sue sottili labbra rosse formarono
un sorriso.
«Tua nonna era uguale», disse.
«Sempre così “nervosa”. Se solo
sapessi quante volte mi ha svegliata da
un sonno profondo, piangendo per un
infausto presagio che alla fine si è
rivelato una semplice indigestione».
Constance iniziò a ridere tanto che le
vennero le lacrime agli occhi. Prese un
fazzoletto e le tamponò prima di
proseguire. «Mi dispiace, non volevo
sminuire la situazione. Ma diventerà più
facile con il tempo, Cassie, puoi starne
certa».
«Quindi stai dicendo che non esiste
una magia per sapere con certezza chi è
buono e chi malvagio, nessun
incantesimo per testare la vera natura
del preside?».
Constance trattenne l’impulso di
scoppiare a ridere di nuovo. «Tesoro, se
un incantesimo simile esistesse, sarebbe
stato il primo che ti avrei mostrato».
Rivolse a Cassie uno sguardo affettuoso.
«Purtroppo, non c’è nessuna scorciatoia
per la tranquillità».
Quando Cassie non rispose, tra le
sopracciglia di Constance apparvero
delle rughe. «Esercitati con le
meditazioni
e
le
invocazioni
giornaliere»,
disse.
«Coltiva
la
tranquillità meglio che puoi».
Era un consiglio semplice, ma Cassie
lasciò casa di Constance sentendosi solo
un pochino meglio.
Capitolo 5
Quando Cassie arrivò all’Old Town
Hall, il sole brillava sui preparativi
mentre stand e tavoli venivano sistemati
per la festa della sera. Cercò sua madre
fra i volontari per aiutarla ad appendere
le decorazioni che avevano finalmente
finito di preparare la notte precedente.
L’Old Town Hall era uno dei primi
edifici municipali di New Salem.
Quando era ancora in uso, ospitava tutti
gli uffici federali della città. La zona
circostante era stata progettata per
essere un mercato all’aperto, ma in quei
giorni veniva usata principalmente come
spazio artistico pubblico, e soprattutto
come sede delle annuali feste di
primavera e d’autunno.
«Ehi, Cassie». Laurel apparve
trasportando una cassetta di tulipani
grande quasi il doppio di lei. La fece
cadere su un tavolo vicino e si spostò
qualche ciocca di capelli sudata dal
volto simile a quello di un folletto. «Sei
emozionata per la festa di stasera?»
«Certo», rispose Cassie con poca
convinzione.
«Be’, dovresti», disse Laurel.
«L’equinozio di primavera è importante
per noi streghe». Si guardò a destra e a
sinistra per essere sicura che nessuno
l’avesse sentita. E poi, proprio come si
aspettava Cassie, si lanciò in una
lezione di storia. Lezioni di storia e di
botanica erano quasi obbligatorie
quando si parlava con Laurel. Era uno di
quei motivi per cui o la si amava o si
provava l’impulso di tapparle la bocca,
tuttavia per il momento Cassie la
assecondò.
«Come molte delle tradizioni di New
Salem, l’origine della festa di primavera
affonda le sue radici nel paganesimo»,
disse Laurel. «La festa si chiamava
Festa di Ostara ed era una celebrazione
del risveglio della dea dal suo sonno
invernale. Era un momento in cui i nostri
antenati onoravano l’equilibrio di tutte
le cose, fisiche e spirituali. Secondo i
libri antichi era il periodo in cui
seminare in giardino, ma anche il
momento giusto per piantare i semi di
una manifestazione desiderata».
«Cosa significa?», chiese Cassie.
«Significa che è il momento migliore
per iniziare nuovi progetti e mettere in
pratica nuovi piani». Laurel sollevò la
sua cassetta, tirò su con il naso e iniziò
ad allontanarsi. «È qualcosa per cui vale
la pena emozionarsi», disse oltre la sua
spalla.
Cassie lasciò vagare lo sguardo sulla
piazza. In ogni stand c’era un
commerciante del posto che offriva
assaggi di cibo o bevande, oppure la
possibilità di fare delle offerte per gli
articoli all’asta. Gruppi locali stavano
predisponendo la loro attrezzatura su un
palcoscenico malandato. L’intero evento
era stato trasformato nello scenario
perfetto per celebrare l’inizio della
stagione turistica. Tuttavia, Cassie pensò
di dovervi prendere parte. C’era più di
un motivo per festeggiare, come aveva
detto Laurel.
Trovò sua madre sul lato più lontano
della piazza, ad allineare giunchiglie di
carta su un’asse di legno. Davanti a lei,
Cassie vide Melanie e Constance che
addobbavano il loro stand di gioielli. La
chioma di capelli lisci e castani di
Melanie era legata indietro con cura,
mentre quella grigia di Constance
svolazzava selvaggia al vento. Erano
una strana coppia. Melanie era alta,
bellissima e attraente, e Constance era
raggrinzita e ricurva, e urlava ordini
agitando l’indice rugoso. Ma l’amore
che nutrivano l’una per l’altra era
palpabile, e i gioielli che disegnavano
erano un prodotto fisico di quel
sentimento. Melanie aveva detto a
Cassie che gli abitanti della città non
capivano davvero i cristalli, ma non
importava. I loro gioielli erano un
argomento di discussione come un altro,
e a zia Constance non dispiacevano gli
introiti extra.
Cassie salutò Melanie da lontano e poi
individuò Diana. Era tutta vestita di
bianco e i capelli biondi le splendevano
al sole, tanto che sembravano anch’essi
quasi bianchi. “Mio Dio”, pensò Cassie,
“Diana sta letteralmente luccicando
come un angelo”. E difatti, quell’anno
stava aiutando con la lotteria di
beneficenza.
In
realtà,
l’aveva
organizzata. A volte Cassie si chiedeva
se ci fosse qualcosa che Diana non
sapesse fare.
Cassie fece un cenno a sua madre per
farle sapere dov’era e poi si diresse al
tavolo della lotteria per salutare Diana.
Si era sentita così distante da lei
nell’ultimo periodo che fermarsi a
chiacchierare un istante le sembrò un bel
gesto. Forse persino un primo passo per
sistemare le cose fra loro.
Cassie si rese conto che la distanza tra
lei e Diana dipendeva dal fatto che in
quei giorni trascorreva gran parte del
suo tempo libero con Adam. Come
poteva non essere strano, quando fino a
poco prima era Diana a stare con lui?
Ma nonostante tutto, quando Diana si
accorse che Cassie si stava avvicinando,
le rivolse il più cordiale dei saluti. Fece
cadere la sua cartellina sul tavolo e
corse attraverso la piazza per andarle
incontro.
«Sono così felice che tu sia qui»,
disse. «Le decorazioni di tua madre
sono fantastiche».
«Grazie», disse Cassie, poi esitò. Non
lo aveva pianificato, ma in quel
momento sentì che era giusto. «Possiamo
parlare?», chiese.
Senza aspettare una risposta strinse
forte la mano di Diana nella sua e la
condusse ai margini della piazza, dove
c’era una lunga panca di pietra su cui
potevano sedersi senza rischiare che
qualcuno
origliasse
la
loro
conversazione. «C’è una cosa che devo
dirti», iniziò Cassie.
Gli occhi verdi di Diana si strinsero
per la preoccupazione, ma si sedette
come le era stato detto. Cassie prese
posto accanto a lei, sfregando le dita con
fare ansioso sulla superficie di pietra
della panca.
«Mi sento così strana», disse. «A
disagio».
Diana fece un ampio sorriso. «Anche
adesso?»
«Sì». Cassie si sentì avvampare.
«Credo proprio di sentirmi a disagio. È
che so quanto eravate vicini tu e Adam,
il sacrificio che hai fatto, e…».
Diana interruppe Cassie a metà della
frase. «Cassie, lo so. Dico davvero. Ed
è stato difficile a volte, ma mi sa che ci
siamo tutti abituati a questa situazione
molto più in fretta di te». Mise le mani
sulle spalle di Cassie e la scosse
lievemente. «Nessun rancore. Davvero.
Sei tu che ti stai rendendo le cose
difficili».
Gli occhi di Cassie si riempirono di
lacrime, e si rese conto che Diana aveva
ragione. Aveva reso le cose inutilmente
difficili. Quello doveva essere un nuovo
inizio. Ovunque intorno a lei, le persone
abbracciavano il cambiamento mentre
lei si aggrappava a vecchie ferite e
timori legati al passato.
«Questo significa che possiamo
vederci più spesso?», chiese.
«Lo spero bene!». Diana la strinse a sé
per un abbraccio, e quando Cassie
chiuse gli occhi, sentì che ogni cosa era
andata a posto. “Un nuovo inizio”, pensò
di nuovo tra sé e sé. Ora sarebbe
davvero riuscita a godersi la festa.
Lei e Diana attraversarono insieme la
piazza, a braccetto, per tornare al tavolo
della lotteria. Cassie non voleva che la
loro rinnovata vicinanza finisse, ma
aveva del lavoro da fare.
«Farei meglio ad andare ad aiutare
mia madre», disse, e stava per
allontanarsi, quando una ragazza si
avvicinò a lei. Aveva lunghi capelli
ondulati tinti di un rosso acceso e
indossava alti stivali neri che le
sfioravano l’orlo del vestitino.
«Scusatemi», disse. «Sto cercando il
bed and breakfast che dovrebbe essere
da queste parti». Era alta più o meno
quanto Cassie, e i suoi occhi erano di un
marrone molto scuro, quasi neri.
Diana indicò a sinistra. «È circa due
minuti a piedi da quella parte».
La ragazza afferrò la maniglia della
sua valigia straripante e rimase a
fissarle, come se sperasse in qualcosa di
più. «Sono Scarlett», disse, offrendo la
mano libera a Diana.
Diana presentò lei e Cassie, poi
chiese: «Sei in visita da fuori città?»
«Non sono in visita. Mi sono appena
trasferita». Scarlett si morse l’unghia,
che era ricoperta di smalto nero
scheggiato. «Resterò per un po’ al bed
and breakfast, sempre che riesca a
trovarlo».
Diana sollevò le sopracciglia.
«Trasferirsi in una nuova città con una
sola valigia, è davvero sorprendente».
Scarlett rise, a disagio, come se non
fosse sicura se Diana la stesse
prendendo in giro o parlasse sul serio.
Nemmeno Cassie era del tutto sicura.
Conosceva Diana abbastanza bene da
sapere che quella forestiera l’aveva
messa in guardia.
«Andrai alla New Salem High?»,
chiese Diana.
Scarlett scosse la testa. «Mi sono
diplomata in anticipo. Lavorerò al porto
per l’estate».
«Capisco», disse Diana, in un tono che
trasudava giudizio.
A volte Diana si comportava in modo
strano con i forestieri. Cassie sapeva
che non voleva essere scortese; del
resto, con ogni probabilità non se ne
rendeva nemmeno conto. Era una sorta
di arroganza, dovuta al fatto che era una
ragazza speciale. Tuttavia Cassie sapeva
cosa significasse crescere come una
persona ordinaria, e anche lei era stata
una nuova arrivata in città. Capì quanto
dovesse sentirsi a disagio e spaesata
Scarlett in quel momento.
«Be’, grazie per le indicazioni», disse
Scarlett.
«È
stato
un piacere
incontrarvi».
«Aspetta». Cassie provò l’impulso
improvviso di rimediare all’accoglienza
inospitale di Diana. «Dovresti venire
alla festa stasera. È proprio qui, non
puoi sbagliare».
Scarlett ridacchiò in un modo che la
fece sembrare una bambina, e Cassie
non poté fare a meno di unirsi. C’era
qualcosa di rinfrancante in lei. «Ci
siamo appena incontrate e stai già
prendendo in giro il mio scarso senso
dell’orientamento?». Poi il suo volto si
riscaldò. «Mi piacerebbe venire,
grazie».
«Bene», disse Cassie. «Allora ci
vediamo dopo».
Cassie osservò Scarlett che si
allontanava, e Diana raccolse la sua
cartellina dal tavolo. «Ti sei comportata
da brava vicina di casa», disse.
«Cosa intendi?»
«Lo sai». Diana analizzò la sua lista di
cose da fare, sfogliando le numerose
pagine. «Premurosa, affabile».
«So cosa significa “da brava vicina”,
ma tu cosa volevi dire?».
Diana appoggiò la cartellina e
giocherellò con la penna mentre scrutava
l’espressione di Cassie. «Hai visto
qualcosa in lei, non è vero? Di cosa si
tratta?».
Cassie avrebbe dovuto sapere che a
Diana non sfuggiva niente. Era vero che
aveva visto qualcosa in Scarlett, ma non
era sicura di cosa.
Sentì un fremito che le percorreva la
schiena e le braccia, giù fino alle dita.
Era un’emozione che non riusciva a
spiegare. «Non ne sono davvero sicura.
Ma credo che sia qualcosa di positivo».
«Be’, una bella notizia per una volta»,
disse Diana.
«Non me ne parlare».
«Forse è stata la sua tinta per capelli a
intrigarti», disse Diana con malizia. «Mi
ha fatto venire voglia di bere un succo
alla ciliegia». Entrambe scoppiarono in
una risata fragorosa, come succedeva in
passato.
Capitolo 6
La luna sopra di loro era una falce
crescente, e il cielo era limpido. Cassie
e Adam erano in piedi accanto
all’albero della cuccagna mano nella
mano, e lei si sentiva radiosa nel vestito
giallo attillato che le sue amiche le
avevano scelto. Lo aveva trovato in sala
da pranzo quella mattina presto. Suzan
lo aveva lasciato insieme a un biglietto
scritto nella sua grafia tortuosa:
QUESTO
NOME!
VESTITO
URLAVA IL TUO
Suzan aveva anche comprato delle
cravatte per i ragazzi, che stavano tutti
bene, ma erano messi in ombra dalle
ragazze e dai loro abiti.
Melanie ne indossava uno di chiffon
verde e Laurel uno di cotone leggero
rosa garofano. Suzan, sensuale come
sempre, aveva scelto per sé un vestito a
tubino color rame che sfiorava il limite
dell’indecenza. Diana indossava una
discreta tunica di seta color avorio.
Deborah, che raramente indossava
abiti, si era vestita a modo suo. Portava
jeans bianchi attillati, una camicia
bianca e una giacca di pelle viola.
«Avete visto Faye?», chiese a Cassie e
Adam.
Adam scrollò le spalle, ma Sean
rispose: «È a caccia di Max».
Deborah sbuffò. «Non si è ancora
arresa? Lui la sta evitando da tutta la
settimana».
Sean scosse la testa. «Non c’è
pericolo», disse. «Faye non si arrende
mai così facilmente».
«E Nick?», chiese Cassie. «Lo avete
visto?».
Il volto di Deborah si indurì. Quando
si trattava di Cassie, era estremamente
protettiva nei confronti del cugino. «Non
credo che verrà».
«Perché no?», chiese Cassie.
«Perché no». Deborah cercò di far
abbassare gli occhi a Cassie, ma lei la
ignorò. Deborah pensava di fare la cosa
giusta, proteggendo Nick per evitare che
restasse più ferito di quanto già non
fosse, ma non capiva che le intenzioni di
Cassie erano buone. Dopo aver
sistemato le cose con Diana si era
sentita molto meglio. Aveva sperato di
fare la stessa cosa con Nick quella sera.
Diana rivolse a Deborah uno sguardo
accigliato che rivelava quanto capisse la
situazione difficile di Cassie. «Nick
potrebbe farsi vedere», disse. «Lo sai
quanto è imprevedibile».
Ci fu un attimo di silenzio mentre
Cassie percorreva l’albero della
cuccagna con lo sguardo. Ammirò le
ghirlande e i fiocchi multicolore che
pendevano dalla sua cima. Poi Diana
disse: «Ehi, Cassie, ma quella non è
Scarlett?».
Scarlett le aveva viste e si stava
facendo strada tra la folla verso di loro.
Indossava un abito a baby doll blu
fiordaliso e i suoi lunghi capelli rossi
erano infilati sotto una bombetta di feltro
marrone. Salutò con la mano quando i
suoi occhi incrociarono quelli di Cassie,
e accelerò il passo.
«Chi è quella?», chiese Adam.
Cassie notò una sfumatura di
affascinata curiosità nel suo tono.
«Ooh, mi piace quel cappello», disse
Suzan.
Deborah annuì. Apprezzava sempre
una ragazza con abbastanza stile da
riuscire
a
indossare
un capo
d’abbigliamento maschile. «Anche
quegli stivali sono una bomba», disse.
Scarlett era piena di sorrisi e molto
sicura di sé mentre Cassie la presentava
al resto del gruppo. I suoi occhi scuri si
soffermarono su ognuno dei presenti, e
salutò tutti con l’affetto riservato a un
amico di lunga data.
Cassie si accorse che non era solo il
modo in cui Scarlett si vestiva a essere
affascinante. Era la sua natura, si
trovava subito a suo agio con tutti quelli
che incontrava. Ed era bella. Sean aveva
praticamente la lingua di fuori mentre le
stringeva la mano.
Scarlett si liberò della presa di Sean
con una risatina e si voltò verso Diana.
«Mi fa piacere rivederti», disse.
«Sì», rispose Diana, in un modo che
fece rabbrividire Cassie. Ma Scarlett si
aprì in un sorriso splendente che
dimostrava che non aveva intenzione di
prendersi a cuore l’indifferenza di
Diana.
«Sta iniziando il lancio delle uova»,
disse Sean con tono emozionato,
cercando di riconquistare l’attenzione di
Scarlett. «Dovremmo andare a fare il
tifo per Chris e Doug. Il primo premio è
un buono da cinquecento dollari per il
negozio di dolci di Pete, e sono
determinati a vincerlo».
Scarlett posò lo sguardo sugli stand e
le bancarelle con il cibo. «In realtà»,
disse, «sto morendo di fame. E ho una
voglia matta di provare quegli spiedini
di chorizo».
«Vengo con te», disse Cassie. Era
ansiosa di sapere qualcosa di più sulla
nuova arrivata e, a ben pensarci, anche
lei aveva fame.
Il gruppo si divise: si diressero tutti al
prato del lancio delle uova tranne Adam
e Diana, che sarebbero andati a trovare
Melanie e Constance al loro stand dei
gioielli.
Cassie e Scarlett comprarono uno
spiedino a testa e cercarono di non
parlare con la bocca piena mentre
passeggiavano. «Allora stai al bed and
breakfast?», chiese Cassie, con il tono
più innocente possibile.
Scarlett annuì mentre masticava, poi
deglutì.
«Dove sono i tuoi genitori?»
«Mia madre è morta», disse Scarlett
all’improvviso, come se volesse
rivelare quell’informazione il più in
fretta possibile.
«Oh, mi dispiace».
«È cresciuta qui», continuò Scarlett.
«Ecco perché sono voluta venire a New
Salem, per ricongiungermi a lei e al mio
passato». A quel punto allontanò lo
sguardo, forse temendo che qualcuno
stesse origliando.
Cassie frugò nella mente in cerca della
cosa giusta da dire. «Penso sia
fantastico. Voglio dire, penso sia una
cosa molto coraggiosa da fare. Anche se
è doloroso».
Scarlett annuì. «Forse sto solo
cercando di ricominciare».
«So cosa vuoi dire», disse Cassie.
«Allora, dimmi qualcosa di te».
I pensieri di Cassie erano frenetici.
Voleva cambiare argomento, parlare di
qualcosa di meno pesante, ma si accorse
che tutto ciò che aveva da dire
coinvolgeva anche il circolo, quindi
rimase senza parole. Per la prima volta
da quando si era trasferita a New Salem,
capì perché essere amica di un’esterna
potesse essere così difficile.
«Be’», disse Cassie, «quella laggiù
che vende i biglietti della lotteria è mia
madre». Ma quando la indicò, scorse
anche Adam e Diana in un angolo, che
condividevano un cono gelato alla
vaniglia. Stavano ridendo perché Adam
si era sporcato di gelato sul naso e sul
mento, e più cercava di ripulirsi, più
gelato si spargeva.
Cassie sentì lo stomaco che
sprofondava. Ma perché? Era solo un
cono gelato. Uno spuntino condiviso fra
amici non era un valido motivo per
arrabbiarsi. Avrebbe solo dovuto unirsi
a loro. Condusse Scarlett in quella
direzione e poi si accorse di Faye che si
avvicinava dal lato opposto.
Faye indossava un vestito nero che la
strizzava come un corsetto. Pochi passi
dietro di lei c’era Max, che nonostante
la semplice polo, sembrava appena
uscito da un catalogo di Abercrombie.
Adam e Diana smisero di ridere e
ripresero il controllo della situazione
quando si accorsero di Cassie e degli
altri che si dirigevano verso di loro.
Faye presentò Max e poi squadrò
Scarlett. «Tu chi sei?», chiese.
«Lei è Scarlett», rispose Cassie. «È
nuova in città, proprio come te, Max».
Max rivolse un cenno a Scarlett, ma la
sua attenzione era tutta concentrata su
Diana. «Ti ho vista all’assemblea di
venerdì», disse. «Eri l’unica davvero
interessata al noioso discorso di mio
padre».
Diana parve agitata. «Mi hai vista?»,
disse, poi aggiunse: «Non era noioso».
«No? Sei sicura?». Max la fissò con
malizia fino a quando lei non cedette.
«E va bene, forse un pochino».
«Grazie per la tua sincerità». Max
prese la mano di Diana e la strinse fra le
sue grosse dita. «Adesso possiamo
essere amici».
Diana arrossì, e Cassie si accorse che
Adam sembrava a disagio.
«Mio padre è qui da qualche parte»,
disse Max, ancora rivolgendosi solo a
Diana. «Se lo trovi, dovresti fargli
sapere che lo ritieni un grande oratore».
Faye stava serrando la mascella così
forte che Cassie temeva potesse
esploderle la testa.
«Lo farò», disse Diana, «ma adesso,
se vuoi scusarmi, stavamo per andare a
tifare per i nostri amici». Indicò la gara
di lancio delle uova.
Max sembrò un pochino dispiaciuto.
«Sì, io dovrei andare a cercare mio
padre».
Faye fece per seguirlo, ma lui la
fermò. «Ci vediamo dopo», fece, poi
scomparve nella folla.
Adam, che era rimasto in silenzio fino
a quel momento, aveva un’espressione
disgustata. «Be’, questo sì che è stato
strano».
«Adam», lo sgridò Diana. «Stava solo
cercando di inserirsi. È quello che fanno
le persone quando sono nuove.
Farebbero di tutto per farsi notare».
Scarlett
abbassò
lo
sguardo,
deducendo che il commento fosse
rivolto a lei. Cassie aprì la bocca per
dire qualcosa, ma prima che riuscisse a
formulare anche solo una parola, Faye
se ne andò infuriata.
«Max non si stava impegnando così
tanto per farsi notare da lei», osservò
Adam.
«Faye non ha fatto altro che molestarlo
sessualmente da quando è arrivato qui»,
disse Diana alzando la voce. «Non deve
impegnarsi con lei».
Cassie avrebbe voluto che Scarlett non
assistesse a quello strano momento di
tensione. Era davvero imbarazzante, i
suoi amici dovevano apparirle meschini.
«Andiamo», disse a Scarlett. «Ci
raggiungeranno».
Attraversarono insieme la piazza.
«Diana e Adam non sono così di solito»,
disse Cassie. «Ti è solo capitato di
incontrarli in un brutto momento».
«Capisco». Scarlett sorride. «Le
coppie diventano gelose e litigano».
All’improvviso Cassie fu di nuovo in
preda alla nausea. «Adam sta con me»,
disse piano. «Non con Diana».
«Oh». Scarlett si morse il labbro.
«Sono stata una stupida, non mi sono
resa conto…».
«No, lascia perdere. Capisco perché
potresti pensarla così. È un po’
complicato».
Quando trovarono il resto del gruppo
radunato a una delle estremità dello
spazio riservato agli spettatori, Cassie
fu sollevata di avere un’occasione per
cambiare argomento. Erano rimasti in
gara solo Chris e Doug, e una squadra
composta da fratello e sorella che non
dovevano avere più di undici anni.
«A loro piacciono davvero le
caramelle», disse Cassie a Scarlett,
come se fosse una spiegazione
ragionevole.
«Posso capirli», disse Scarlett.
«Anche a me piacciono davvero tanto.
Una volta ho mangiato così tanti M&M’s
da starnutire arcobaleni per tre giorni».
Era una battuta stupida, ma Cassie la
riconobbe per ciò che era davvero.
Scarlett stava cercando di alleggerire la
situazione, di confortarla, e lei lo
apprezzò. Esterna o meno, quella
ragazza le piaceva.
Proprio in quel momento, sentirono un
grido di aiuto provenire dal lato
settentrionale della piazza, e l’attenzione
di tutti si spostò. Tutti gli occhi
cercarono l’origine di quel suono
agghiacciante, ma i ragazzi del gruppo
riconobbero subito la voce di Melanie.
Si precipitarono verso lo stand dei
gioielli. Persino Chris e Doug
lasciarono cadere le uova per correre in
aiuto.
Quando Cassie raggiunse lo stand, si
fece strada fra la folla fino a trovare la
prozia Constance accasciata a terra.
Melanie stava urlando di chiamare
un’ambulanza. Alcuni abitanti della città
che se ne intendevano di medicina si
inginocchiarono accanto a Constance,
controllandole
il
battito
e
la
respirazione, ordinando a tutti di stare
indietro e di lasciarle spazio. Uno di
loro stringeva Melanie, che si stava
dimenando per liberarsi fino a quando
Diana e Laurel non la presero per le
braccia e la trascinarono di lato.
Una donna che stava per comprare una
collana da Constance disse: «Un
secondo prima stava bene, poi le è
comparsa sul volto un’espressione
terrorizzata ed è crollata al suolo».
Adam scrutò la folla in cerca di
persone sospette. Cassie perlustrò la
marea di volti sconosciuti in cerca della
madre, ma non la trovò. Forse era andata
a cercare aiuto. O forse aver visto
Constance che cadeva al suolo era stato
troppo per lei. Nei momenti di crisi sua
madre tendeva a scoppiare a piangere
invece di farsi forza. Cassie non sarebbe
rimasta sorpresa se fosse corsa a casa.
I paramedici arrivarono, e Cassie
dovette distogliere lo sguardo mentre
praticavano il massaggio cardiaco al
corpo inerte di Constance. Il gruppo
abbracciò Melanie, mentre Adam strinse
forte Cassie. Lei seppellì il volto sulla
sua spalla.
Era impossibile sapere quanto tempo
fosse passato mentre i paramedici si
davano da fare con Constance. Cassie
continuava a pensare che dovesse essere
uno scherzo. “Ah ah, ci siete cascati”,
avrebbe esclamato a un certo punto la
prozia, mentre era ancora stesa a terra.
Constance cercava sempre di ricordare
loro la fragilità della vita e il delicato
equilibrio di tutte le cose. Forse quella
era solo un’altra lezione. Ma poi i
paramedici smisero di premere sul suo
petto e praticare la respirazione bocca a
bocca. Non c’erano più boccate d’aria
da dare o ricevere, non c’era più
speranza. Il capo della squadra si alzò in
piedi e mise fine ai loro sforzi in modo
definitivo. Dichiarò la morte della
prozia Constance. “Spirata” fu il termine
che usò, una parola che colpì Cassie per
la propria severità.
«Forse un aneurisma cerebrale», disse
al suo collega, poi espresse le sue
condoglianze a Melanie. «Abbiamo fatto
tutto il possibile, signorina», disse.
Cassie non aveva mai visto Melanie
perdere la testa come in quel momento.
Si era sempre fatta forza di fronte a ogni
difficoltà – soprattutto in pubblico. Ma
quello era troppo. Cadde in ginocchio e
iniziò a singhiozzare. “Alla faccia dei
nuovi inizi”, pensò Cassie.
Capitolo 7
«Tutti intorno a noi muoiono», disse
Cassie. «È un dato di fatto».
Continuava a rivivere la scena nella
mente – l’urlo di Melanie e l’immagine
di Constance a terra. Non riusciva a
smettere di tremare. Anche con tutte le
lanterne e le candele crepitanti che la
circondavano, aveva freddo nella casa
del faro.
Laurel voleva eseguire una cerimonia
per infondere forza a Melanie e aiutarla
a superare i giorni successivi. Avevano
radunato le erbe e i cristalli necessari,
ma quando stavano per iniziare, il
gruppo si rese conto di non essere in
grado di fare niente. Erano tutti persi nei
propri pensieri, traumatizzati.
Adam coprì le spalle di Cassie con
una coperta, ma anche quella le parve
fredda e umida sul corpo. Non riusciva a
smettere di tremare.
«Le serve qualcosa per calmarsi»,
disse Adam, e Diana iniziò subito a
frugare nel primo cassetto del grande
mobile di peltro che avevano riempito
di erbe e radici medicinali.
Estrasse una minuscola bottiglia di
vetro e un contagocce. «Questa è tintura
di valeriana», disse, sollevando il
contagocce all’altezza della bocca di
Cassie. «Ti aiuterà a distendere i nervi.
Dovremmo tutti prenderne un po’».
Faye strattonò via Cassie prima che le
gocce le raggiungessero la lingua. «Non
cercare di sedare la verità, Diana».
Cinse la vita di Cassie con un braccio.
«Ciò che ha detto è vero. Tutti intorno a
noi muoiono. E fa bene a perdere un po’
la calma al pensiero». Faye passò lo
sguardo su ogni membro del gruppo fino
a fermarsi su Diana. «Ma mi chiedo se
debba continuare a essere così».
Diana posò la bottiglietta sul tavolo.
«Cosa stai dicendo?»
«Penso che tu lo sappia». Faye si
mosse verso il centro della stanza.
«Adesso
abbiamo
gli
Strumenti
Supremi. Gli oggetti più potenti che una
strega possa avere. Potremmo riuscire a
portare indietro Constance».
Diana rimase in silenzio, ma Laurel
scattò in piedi dalla sedia. «Faye ha
ragione. Constance ci stava insegnando
così tanto sui nostri poteri, ed eravamo
ancora
solo
all’inizio
dell’addestramento. Abbiamo bisogno di
lei».
Deborah annuì. «Dovrebbe essere
facile riportare indietro una strega
potente come lei».
Il volto pallido di Diana sembrò
sbiancare ulteriormente. «Non saprei»,
disse. «Voglio salvare Constance, ma
liberare quel tipo di magia oscura
potrebbe essere pericoloso. Non
sappiamo quali ripercussioni potrebbero
esserci».
«Siete tutti impazziti?», chiese Cassie.
«Pensate davvero che possiamo
resuscitare i morti?»
«In realtà», disse Adam, «non è così
inverosimile. So che per te è tutto
nuovo, Cassie, ma la negromanzia è stata
usata fin dal III secolo».
«Ha un nome vero e proprio?», Cassie
riusciva a malapena a crederci.
«Deriva dal greco», disse Laurel. «Da
nekros, che significa morto, e manteia,
che significa predizione».
Cassie spostò lo sguardo su Diana per
avere una conferma, e lei annuì. «Ma per
i greci, la negromanzia equivaleva alla
discesa nell’Ade», disse Diana. «Era
usato come metodo per consultare i
defunti. L’intenzione non era riportarli
davvero nella sfera mortale».
«Ma», si intromise Adam, «sappiamo
per certo che era usata in quel modo dai
nostri antenati. Infatti, Diana, tu non…».
Gli occhi verdi di Diana si sgranarono
per zittire Adam. Ma Faye, sempre
all’erta, se ne accorse. «Diana, tu non
cosa?».
Diana posò entrambe le esili mani sul
tavolo pieghevole davanti a sé. Cassie
immaginò fosse per evitare di cadere in
avanti. Poi parlò con cautela. «C’è un
incantesimo di resurrezione nel mio
Libro delle ombre», disse. «Io e Adam
lo abbiamo scoperto qualche anno fa».
Faye emise un gemito di pura
soddisfazione. «Lo sapevo».
«Facciamolo»,
disse
Deborah.
«Abbiamo il potere e abbiamo
l’incantesimo».
Suzan era d’accordo. «Almeno
dobbiamo provarci».
Adam era silenzioso, ma Cassie
percepì un’eccitazione tremante al di là
di quella sua espressione indifferente.
Voleva farlo… per testare i limiti del
suo potere. Era un lato di Adam di cui
spesso Cassie dimenticava l’esistenza.
Dietro la sua facciata responsabile, in
fondo al cuore, era un avventuriero.
Diana, ancora con espressione cauta,
disse: «Suppongo valga la pena tentare.
Ma dobbiamo fare attenzione. E
dovremmo anche metterlo ai voti».
Laurel si unì a Faye al centro della
stanza. «Farò gli onori al posto di
Melanie», disse. «Tutti quelli a favore
dell’incantesimo per salvare Constance
alzino la mano».
Tutti alzarono la mano tranne Cassie.
Laurel la guardò, sorpresa che il voto
non fosse unanime.
«Voglio farlo», spiegò Cassie. «È
ovvio che voglio. È solo che… ho
paura».
«Non possiamo eseguire l’incantesimo
senza un circolo completo», disse
Diana. «O tutti o niente».
La voce di Laurel assunse un tono
implorante. «È della famiglia di Melanie
che stiamo parlando. È tutto ciò che ha».
Ma Diana era decisa. «Non possiamo
costringere Cassie a eseguire un
incantesimo di questa portata contro la
sua volontà».
Cassie sentì l’attenzione della stanza
che si concentrava su di lei. «Lo farò»,
disse prima che qualcun altro potesse
aggiungere qualcosa. «Non mi costringe
nessuno. Constance era di famiglia per
tutti noi, e voglio farlo».
Faye batté le mani e iniziò subito a
dare ordini. «Dobbiamo agire in fretta»,
disse. «E ci servono gli Strumenti. Vado
a prendere la giarrettiera».
Indicò Cassie e Diana. «Voi due tirate
fuori il braccialetto e il diadema da
dove li avete nascosti. E Diana, non
dimenticare il tuo Libro delle ombre.
Voi altri andate a prendere Melanie».
Fece una pausa. «E il corpo».
«Il corpo?», chiese Sean inorridito.
«Vuoi dire che dobbiamo portarlo qui?».
Faye gli diede una spinta. «Dove altro
pensi che potremmo resuscitarlo?
Adesso andate!».
Cassie raggiunse Diana che era ancora
seduta al tavolo, mentre gli altri
scattavano in azione.
«Il diadema è nascosto nella mia
stanza», disse Diana solennemente. «Ci
andiamo insieme?».
Cassie annuì. «Sembra che alla fine
Faye sia riuscita a fare a modo suo.
Voleva usare gli Strumenti, e ora lo
faremo».
Diana prese la borsa. «Puoi ancora
tirarti indietro se non te la senti».
«Tu vuoi farlo?», chiese Cassie.
«Voglio che Constance torni in vita»,
disse Diana. «E dopo aver finito con
l’incantesimo, ciascuna nasconderà di
nuovo la sua reliquia».
«Ma hai detto che potrebbero esserci
ripercussioni».
Diana rimase immobile per un
momento e poi parlò con cautela. «Tutta
la magia ha delle ripercussioni, Cassie.
Il potere comporta sempre delle
conseguenze».
Poi si voltò come se fosse
un’affermazione da niente e frugò nella
borsa in cerca delle chiavi. «Andiamo a
prendere gli Strumenti. Guido io».
Capitolo 8
La cucina era buia e silenziosa quando
Cassie entrò. Sua madre non era a casa,
e lei ne fu felice. Non voleva doverle
spiegare perché stava spostando i
mattoni del camino. All’inizio della
strada, Diana stava recuperando il
diadema e tutti gli altri materiali di cui
avevano bisogno per completare
l’incantesimo di resurrezione. E circa a
metà di Crowhaven Road, il resto del
gruppo stava in qualche modo cercando
di convincere Melanie a permettere loro
di portare il corpo della sua prozia al
faro. Prima di quell’anno, Cassie non
aveva mai nemmeno visto un vero
cadavere, e ora stava per metterci le
mani sopra per cercare di riportarlo in
vita.
Il camino non era un nascondiglio
molto originale per il braccialetto,
Cassie lo sapeva, ma aveva funzionato
così bene per tanti anni, perché avrebbe
dovuto pensare a un posto diverso?
Dentro la profonda apertura di pietra,
trovò la scatola d’argento proprio dove
l’aveva lasciata. E quando sollevò il
coperchio antico, il braccialetto brillò al
suo interno, come se stesse celebrando
l’improvvisa e sorprendente luce che lo
aveva illuminato.
Cassie si concesse di ammirare la
bellezza del braccialetto solo per un
secondo. Passò le dita sull’iscrizione
elaborata della superficie d’argento e lo
soppesò fra le mani. Ma poi Diana la
chiamò da fuori.
«Arrivo subito!», urlò, e corse di
sopra per cambiarsi in fretta e indossare
la veste cerimoniale bianca.
Una volta che fu pronta e vestita, trovò
Diana che la aspettava sulla panca del
porticato con una grande sacca di stoffa
al suo fianco. Anche lei aveva indossato
la sua veste cerimoniale, ma l’aspetto di
Diana aveva un contegno a cui Cassie
poteva solo aspirare. Persino in quella
situazione di stress, Diana non perdeva
il controllo.
Cassie la prese per mano, sperando
che una parte della forza di Diana si
trasferisse alla sua pelle. E in qualche
modo fu così. Dopo averla stretta per
qualche momento si sentì più calma.
«Stiamo facendo la cosa giusta», disse
Diana.
«Abbiamo
bisogno
di
Constance».
Cassie ricordò che Constance era stata
come un rifugio per lei da quando aveva
perso sua nonna. E tutti i pomeriggi
trascorsi nel suo salotto a imparare
nuovi incantesimi e studiare rituali
antichi… Constance era l’unico legame
del circolo con i metodi antichi.
«Lo so», disse Cassie con il suo tono
più coraggioso. «Sono pronta».
«Allora, iniziamo». Diana svuotò la
sacca di stoffa sul tavolo quando
arrivarono al faro e iniziò subito a
leggere le istruzioni sul suo Libro delle
ombre.
Cassie non era sorpresa del modo in
cui tutti si rivolgevano automaticamente
verso Diana in momenti come quello –
quando la situazione era davvero
importante. Sarebbe sempre stata la
leader migliore fra loro, non importava
cosa fosse successo.
«Il corpo dovrebbe essere interamente
ricoperto da due strati di tessuto
bianco», Diana lesse a voce alta in
direzione di Adam. «Con la testa e il
volto velati di tulle». Indicò una pila di
tessuto bianco sul tavolo.
Adam annuì. «Me ne occupo io»,
disse.
Nick, Chris e Doug spinsero tutti i
mobili verso le pareti della stanza.
Melanie si inginocchiò al centro accanto
al corpo coperto. Cassie aiutò Deborah
a foderare le finestre di drappi viola.
Diana si avvicinò a Faye con due
incensieri dorati. «Dobbiamo fumigare
la stanza con salvia e franchincenso»,
disse.
Faye si era cambiata nella sua veste
cerimoniale nera, e indossava già la
giarrettiera di pelle verde con le sette
fibbie d’argento. Accettò gli incensieri
che Diana le passò e chiamò Sean
perché se ne occupasse lui. «Dov’è il
diadema?», chiese.
Diana fece un cenno verso Melanie,
seduta solennemente con il diadema
sulla testa. «Sarà lei a indossare gli
Strumenti stasera», disse Diana. «Si
occuperà dell’evocazione. Noi siamo
solo di supporto».
Persino Faye non poteva negare che
dovesse essere Melanie a guidare
l’incantesimo, tuttavia si strappò la
giarrettiera dalla gamba con furia prima
di avvicinarsi a lei. Cassie la seguì da
vicino, togliendosi il braccialetto dal
polso mentre camminava.
In pochi minuti, la stanza era stata
preparata a dovere, e Diana diede inizio
al rituale.
«Faye e Cassie, potreste occuparvi di
tracciare il cerchio seguendo le mie
istruzioni? Perdonatemi se procederò
lentamente – questo testo è davvero
difficile da leggere – ma farò del mio
meglio. Tutti pronti?».
Cassie si guardò intorno nella stanza
fiocamente illuminata. Non era l’unica a
sembrare nervosa, ma nessuno si
sarebbe tirato indietro arrivati a quel
punto. Melanie sembrava in preda allo
stordimento, ma Cassie non l’aveva mai
vista più bella, con indosso gli
Strumenti Supremi.
Diana si schiarì la gola e iniziò a
leggere a voce alta. «È necessario
tracciare un cerchio magico sul terreno
con inchiostro di fuliggine e Porto. Un
secondo cerchio deve essere tracciato
quindici centimetri dentro al primo».
Cassie e Faye tracciarono i cerchi
intorno a Melanie e Constance,
utilizzando il calice di inchiostro
preparato da Diana.
«Al loro interno», continuò Diana,
«deve essere tracciato un triangolo, al
cui centro saranno posizionati il defunto
e l’evocatore primario».
Cassie e Faye tracciarono il triangolo
all’interno dei cerchi, circondando
Melanie e Constance.
«Entrate tutti dentro», disse Diana.
«Poi chiuderò il cerchio esterno con i
quattro strati di protezione».
La congrega si sistemò in fretta,
inginocchiandosi sul perimetro del
cerchio
esterno
mentre
Diana
richiamava gli elementi.
«Poteri
dell’Aria,
proteggeteci»,
invocò Diana. «Poteri del Fuoco,
proteggeteci».
Cassie chiuse gli occhi e ascoltò.
«Poteri dell’Acqua, proteggeteci».
Diana pronunciò ogni sillaba con
precisione. «E infine», disse, «richiamo
i poteri della Terra affinché ci
proteggano».
Poi Diana si unì al circolo accanto a
Cassie e continuò a leggere dal suo
Libro delle ombre. «Per iniziare,
l’evocatore deve accendere una candela
nera e passarla sul corpo sette volte,
chiamando il nome dello spirito che
intende risvegliare».
Tutti gli occhi si spostarono su
Melanie. Cassie si chiese se avesse la
forza di farlo. Ma gli Strumenti
brillarono, e la schiena di Melanie si
raddrizzò mentre accendeva la candela e
la passava sul lenzuolo bianco,
invocando:
«Prozia
Constance,
Constance Burke, ascoltaci».
Diana continuò: «Poi è necessario
cospargere il corpo e la zona circostante
di fiori secchi di amaranto tratti da un
calice dorato».
Mentre Melanie eseguiva quanto era
stato detto, Diana proseguì. «Melanie,
ripeti dopo di me: Tu che sei l’oggetto
del nostro lamento, osserva la natura di
questo lutto».
E Melanie ripeté: «Tu che sei l’oggetto
del nostro lamento, osserva la natura di
questo lutto».
Cassie sentì gli occhi che si
riempivano di lacrime mentre Diana
intonava:
Questo incantesimo noi intoniamo
e carne e ossa risvegliamo,
che tendini e vene la loro attività
riprendano
e gli occhi di Constance di nuovo si
accendano.
Si concentrarono tutti a fondo,
imbrigliando i loro poteri come fossero
uno. Cassie percepiva l’energia che si
intensificava nel triangolo centrale,
trasferendosi ai membri del gruppo e
collegandoli in un labirinto di luce.
Diana lesse a voce alta. «Dopo un
momento di silenzio e concentrazione, si
deve scoprire il volto del defunto. Poi
chiamare di nuovo lo spirito, con affetto.
Dicendogli: “Benvenuto”».
Con mani tremanti, Melanie scoprì con
cura il volto di Constance. «Prozia
Constance», disse. «Benvenuta».
«Il corpo si muoverà», lesse Diana.
«Gli occhi si apriranno e il risveglio
auspicato avrà luogo».
La stanza sfrigolava di energia. Cassie
la sentiva vorticare intorno a sé, ma non
era più spaventata. L’aria intorno a loro
si riscaldò, e Cassie scorse la vita che si
riaccendeva lentamente sul volto di
Constance, come il sole che sorge.
Poi qualcosa iniziò a prendere forma.
Cassie si accorse all’inizio di un
bagliore sulla fronte di Constance, che
poi divenne più grande e luminoso fino a
sembrare un livido iridescente. Senza
dubbio era un simbolo, un marchio
primordiale che assomigliava a due
semicerchi storti iscritti in un esagono.
Tutt’a un tratto piombò il buio. La luce
che aveva illuminato il volto di
Constance, il simbolo, le candele che
rischiaravano l’ambiente – scomparve
tutto, come se fosse stata calata una
pesante coperta dal soffitto, soffocando
la stanza fino alla morte.
Diana accese la sua lanterna e la
sollevò per illuminare il volto afflitto di
Melanie. La prozia Constance era
ancora morta. E adesso Melanie doveva
provare di nuovo il dolore di averla
persa.
«L’incantesimo non ha funzionato»,
disse Laurel.
«Ma stava funzionando». Gli occhi di
Diana scrutarono frenetici la congrega.
«Non lo avete sentito tutti?»
«Sì, certo», rispose Adam. «Non
capisco cosa sia andato storto».
Faye era in silenzio ma sembrava
confusa quanto gli altri.
Adam parlò di nuovo. «C’è
qualcos’altro
a
proposito
dell’incantesimo, Diana? Il tuo libro
dice qualcosa?».
Diana
strinse
gli
occhi
per
concentrarsi sul fondo della pagina che
stava leggendo, poi voltò la successiva e
tornò di nuovo alla precedente.
«È quasi illeggibile», disse. «Ma c’è
uno scarabocchio qui in fondo».
Avvicinò la lanterna alla riga scritta in
caratteri minuscoli.
«Dice: “Se non dovesse funzionare, e
la strega fosse stata…” e poi si
interrompe. Qualunque cosa c’era scritta
ormai è andata persa».
«Persa?». Faye strappò il libro dalle
mani di Diana per dare un’occhiata.
«Come è possibile che una cosa così
importante sia andata persa?»
«È un libro vecchio di trecento anni»,
disse Adam in difesa di Diana. «Non è
poi così difficile da credere».
Cassie si chiese se fosse stata l’unica
a vedere il simbolo apparire sulla fronte
di Constance. O se lo era immaginato?
Con l’eco dei singhiozzi di Melanie
nelle orecchie, sapeva che non era il
momento giusto per chiederlo. Avevano
perso Constance per sempre.
Era tardi quando Cassie tornò a casa,
ma sua madre era sveglia, stesa sul
divano in camicia da notte. Si tirò a
sedere non appena Cassie mise piede in
casa. «Stai bene?», chiese.
«Sì», la rassicurò Cassie, chiudendo a
chiave la porta dietro di sé.
«Come sta Melanie?»
«È stata meglio». Cassie si strinse la
giacca addosso per non far vedere a sua
madre che indossava la veste bianca.
«E Constance?».
Cassie esitò. Si rese conto che sua
madre stava adocchiando il braccialetto
al polso sinistro di Cassie. «Allora lo
sai», disse Cassie. «Dell’incantesimo di
resurrezione».
Sua madre annuì e le fece segno di
unirsi a lei sul divano. «L’ho
immaginato», disse. «Ha funzionato?».
All’inizio Cassie scosse solo la testa e
si tolse la giacca. Ma voleva poter
raccontare tutto a sua madre, persino del
simbolo che aveva illuminato la fronte
di Constance. E per una volta lo fece,
senza tralasciare niente e senza
preoccuparsi del benessere di sua
madre.
Lei la sorprese ascoltandola, quella
volta per davvero. Non cambiò
argomento né si lasciò sopraffare dalla
paura,
costringendo
Cassie
a
preoccuparsi più per lei che per se
stessa.
Fino a quando non menzionò il
simbolo che aveva visto apparire sulla
fronte di Constance.
«Il simbolo», disse Cassie, «sembrava
primitivo. Come due semicerchi ricurvi
dentro a un esagono». Cassie si accorse
dell’espressione allarmata che aveva
attraversato il volto di sua madre. «Cosa
c’è?».
Sua madre scosse la testa. «Non due
semicerchi», disse. «Una S».
Cassie non capiva cosa stesse
dicendo.
«S, come la S di Strega», disse sua
madre.
Cassie era senza fiato. Sua madre
chiuse gli occhi per un attimo e quando
li riaprì erano più tetri di due tizzoni
scuri.
«So cosa è andato storto con
l’incantesimo», disse. «Esiste un modo
per uccidere una strega ed evitare che
venga resuscitata. Ma solo alcune
persone possono metterlo in pratica».
«Chi?», chiese Cassie. «Quali
persone?»
«I cacciatori di streghe», rispose sua
madre.
Capitolo 9
I cacciatori di streghe sono antichi
quanto le streghe stesse. Proprio come
Cassie discendeva da una lunga dinastia
di potenti antenati, anche i cacciatori di
streghe avevano la propria stirpe. Ecco
cosa le raccontò sua madre mentre
camminavano insieme lungo Crowhaven
Road verso casa di Melanie.
Camminavano fianco a fianco, sua
madre portava una casseruola e Cassie
reggeva delle erbe calmanti raccolte in
giardino. Cassie sentì i capelli
svolazzare a causa del vento salmastro
proveniente dall’oceano, e guardò gli
alberi gonfiarsi della stessa brezza. Gli
uccellini che avevano fatto il nido fra i
rami iniziarono a cantare e una strana
calma la invase.
«Il simbolo che hai visto sulla fronte
di Constance era un simbolo antico che
solo un vero cacciatore è in grado di
tracciare», disse sua madre. «Qualcosa
deve averli portati a New Salem».
Cassie vide i piccoli germogli di
croco che iniziavano a spuntare dal
terreno accanto al marciapiede. “La
primavera è ancora alle porte”, pensò,
“anche se c’è qualcuno che ci sta dando
la caccia e che vuole ucciderci”. «Spero
che, qualunque cosa sia, adesso li spinga
ad andarsene», disse.
La casa di Melanie era così affollata
quando arrivarono che riuscirono a
malapena a superare la porta. Sembrava
che tutte le persone presenti alla festa di
primavera che avevano visto morire
Constance fossero venute a presentare i
propri rispetti all’anziana. Il primo volto
familiare
che
Cassie
individuò
apparteneva a Sally Waltman. Cosa ci
faceva lì? Era venuta con Portia?
C’erano anche i fratelli di Portia, Jordan
e Logan?
La mente di Cassie fu attraversata da
un milione di scenari catastrofici.
Speravano di trasformare la veglia
funebre di Constance in un’occasione
per festeggiare? Jordan e Logan erano
nemici di lunga data del circolo, e
Cassie non sarebbe rimasta sorpresa di
vederli gongolare in pubblico per la
morte di una strega. Ma quando Sally
incrociò il suo sguardo e si avvicinò con
la mano tesa, lei si rese conto che era
venuta da sola e animata da buone
intenzioni.
«Mi dispiace così tanto per la tua
perdita e per Melanie», disse. Sembrava
quasi nervosa di essere lì. Armeggiava
con il vestito e giocherellava con i
capelli color ruggine.
«Grazie», disse Cassie, esitante.
Sally continuò. «So che questo non è il
mio posto», disse, «e che ai tuoi amici
non piaccio nemmeno, ma Constance mi
salutava sempre con affetto quando mi
vedeva in città, era una signora gentile, e
volevo passare a porgerle i miei
rispetti».
Sally trasse un respiro e Cassie le
diede una pacca gentile sulla schiena.
Era vero, ai membri del circolo Sally
non piaceva molto, e forse lei e Cassie
non avrebbero mai potuto essere
davvero amiche, ma dallo scorso
autunno, quando avevano messo da parte
le loro differenze e avevano lavorato
insieme per superare l’uragano Black
John, avevano come un accordo. Sally
era la cosa più vicina a un alleato
esterno che avesse la congrega, e non
era un fatto da prendere alla leggera.
«Sei stata carina a venire», disse
Cassie. «Davvero. È stato un bel gesto,
e sono sicura che Melanie lo apprezzi».
La frase sembrò calmare Sally. Il suo
corpo esile e atletico si rilassò.
«A proposito di Melanie», disse la
madre di Cassie. «Faremmo meglio a
cercarla».
«Certo», disse Sally, e Cassie e sua
madre si fecero strada fra la folla il più
gentilmente possibile fino a quando non
riuscirono a localizzare Melanie.
La congrega l’aveva circondata come
un esercito di agenti dei servizi segreti
vestito di nero. Il più delle volte Cassie
dimenticava quanto potesse apparire
intimidatorio il circolo agli altri, e
quanto apparissero superiori rispetto ai
ragazzi normali della loro età. Non era
solo l’aspetto fisico a renderli diversi,
ma anche l’atteggiamento. “Insomma”, si
chiese Cassie, “non si stancano mai di
sforzarsi
di
apparire
così
esageratamente forti al mondo che li
circonda?”. A volte sarebbe stato più
appropriato mostrarsi vulnerabili, come
in quel momento.
Cassie fissò Adam negli occhi e sognò
per un istante di scappare via con lui,
lontano da tutto quello che stava
succedendo. Lui ancora non sapeva
nemmeno quanto fosse critica la
situazione. Nessuno del circolo lo
sapeva. Come avrebbero reagito quando
lei avesse raccontato loro tutto ciò che
aveva scoperto da sua madre a
proposito dei cacciatori di streghe?
Cassie si avvicinò a Adam per primo,
solo per inspirare il suo odore e sentire
le sue braccia forti intorno al corpo. Poi
porse le proprie condoglianze e le erbe
calmanti a Melanie.
Diana le diede un colpetto sulla spalla
e la strinse in un abbraccio. Abbracciare
Diana era come abbracciare la luce del
sole, e lei era quasi altrettanto
onnipresente. Alta e solenne, si poteva
sempre fare affidamento su di lei.
«Come stai?», sussurrò all’orecchio di
Cassie.
Ma prima che lei potesse risponderle,
Diana si distrasse. La sua attenzione fu
catturata da qualcun altro che era appena
entrato. «C’è Scarlett», disse.
Fu una sorpresa vedere Scarlett che si
faceva strada tra la folla, vestita con un
sobrio abito nero e con i capelli
selvaggi addomesticati in una coda
ordinata.
Mentre vagava attraverso la folla,
Cassie si accorse che le persone si
scansavano per lasciarla passare. “Che
strano”, pensò Cassie, ma poi si accorse
di quale dovesse essere il motivo: tutti
quegli sconosciuti dovevano aver
pensato che Scarlett facesse parte del
gruppo. Aveva assunto un atteggiamento
di appartenenza al luogo in cui si
trovavano Melanie e il resto del circolo,
quindi le persone erano convinte che
fosse proprio così.
Ma quando infine raggiunse Cassie e
gli altri, parte della sua sicurezza
scivolò via. «So di non conoscere
davvero nessuno di voi», disse con lo
sguardo basso, «ma volevo dire che mi
dispiace».
Diana squadrò Scarlett dall’alto in
basso con i suoi taglienti occhi verdi e
poi disse, con un tono di voce
sgarbatamente artificiale: «Sei stata
carina a venire».
«Sì, grazie», aggiunse Melanie.
Come Sally, Scarlett non doveva
essere lì, ma si era presa il disturbo di
dimostrare il suo supporto a Melanie e
al gruppo. “Forse”, pensò Cassie, “se
c’è qualcosa di buono che può nascere
da questa crisi, è l’inizio di una
relazione migliore con gli esterni”.
Adam si fece avanti per intrattenere
Scarlett, dando a Cassie l’opportunità di
afferrare Diana e trascinarla in un
angolo tranquillo. «Raduna gli altri», le
disse a bassa voce. «Anche Melanie. So
perché l’incantesimo di resurrezione non
ha funzionato».
Diana spalancò gli occhi. Fece un
passo indietro per valutare l’espressione
di Cassie e poi iniziò immediatamente a
radunare il gruppo.
Il garage di Constance era ricolmo di
cianfrusaglie antiche e gingilli che
potevano essere o meno autentiche
reliquie magiche. Due spade di pietra
erano appese a dei ganci alla parete,
portagioie di bronzo e polverosi libri di
famiglia erano impilati su scaffali storti,
e uccelli impagliati di ogni colore erano
attaccati in modo precario a fili che
pendevano dal soffitto. Al centro della
stanza c’era un tavolino con le gambe
artigliate di fronte a un divano verde
scolorito.
Melanie sedette sul divano, ma tutti gli
altri rimasero in piedi, sparsi fra le pile
di scatole di cartone. Aspettarono in
silenzio che Cassie iniziasse.
Melanie la stava esaminando, chinata
in avanti, impaziente di ascoltare ciò che
sapeva. C’erano ombre scure sotto i suoi
occhi di solito attenti, e tutta la vitalità
era scivolata via dai suoi tratti.
All’improvviso Cassie si preoccupò che
la notizia potesse essere più di quanto
fosse in grado di sopportare al momento.
Guadagnò tempo e cercò di attutire il
colpo spiegando, passo dopo passo, la
conversazione avuta con sua madre la
notte precedente. Proseguì con cautela,
arrivando lentamente alla descrizione
del simbolo che aveva visto sulla fronte
di Constance prima che diventasse tutto
buio
durante
l’incantesimo
di
resurrezione.
«Nessuno di voi lo ha visto?», chiese.
Scossero tutti la testa.
«Come fai a sapere che non è stata
solo un’allucinazione?», chiese Faye
con un accenno di malizia. «O un frutto
della tua fervida immaginazione?»
«Perché Cassie ha la vista», disse
Diana. «Dicci, Cassie, com’era
esattamente il simbolo?»
«Be’», Cassie rivolse un’occhiata
veloce a Melanie prima di cominciare a
parlare, «credevo che assomigliasse a
un esagono con due semicerchi ricurvi
all’interno. Ma mia madre mi ha
corretta».
«Era una S», disse Melanie, quasi a se
stessa. «La prozia Constance è stata
uccisa da un cacciatore di streghe».
La stanza rabbrividì.
«La faccenda è seria», disse Melanie
scuotendo la testa. «Ho letto di quel
simbolo».
Adam si sedette accanto a Melanie sul
divano. «Pensi significhi che qualcuno
in città è sulle nostre tracce?».
Melanie annuì, troppo intorpidita per
piangere. «E non si tratta nemmeno di
dilettanti come i membri della famiglia
Bainbridge.
Sono
gli
autentici
discendenti di un antico clan di
cacciatori».
Adam serrò la mascella, affilando gli
occhi a un blu intenso. «Il cacciatore
potrebbe essere chiunque».
«O i cacciatori», disse Diana.
«Potrebbero essere più di uno».
Laurel si sedette sul divano dall’altro
lato di Melanie e la prese per mano.
«Dobbiamo stare attenti».
«Giusto», disse Adam, balzando in
piedi per misurare la stanza, quasi
sbattendo la testa sui vari uccelli
penzolanti mentre marciava avanti e
indietro. «E dobbiamo restare uniti. Ora
più che mai. Capito?». Rimase immobile
e osservò i membri del gruppo uno a
uno.
Poi il suo sguardo si fermò su Faye.
Con grande sorpresa di Cassie, questa
volta Faye non aveva nessun commento
malizioso da fare. Annuì e basta. Ma
quella risposta che non corrispondeva al
suo carattere preoccupò Cassie ancor di
più. Se Faye, di solito così
inappropriata
e
detestabile,
era
spaventata, significava che erano in guai
seri.
Diana lanciò un’occhiata alla porta. Le
persone all’interno della casa stavano
diventando più rumorose, e una voce
attutita chiedeva dove fosse Melanie.
«Devo tornare dentro», disse Melanie.
Diana annuì. «Dovresti. Melanie, mi
dispiace andarmene, ma devo correre a
casa. So di aver visto un incantesimo di
protezione da qualche parte nel mio
Libro delle ombre. Lo cercherò e vedrò
cosa posso fare».
«Buona idea», disse Melanie,
alzandosi in piedi e tenendo ancora
Laurel per mano.
Con esitazione, iniziarono tutti a uscire
in fila dal garage, ma Nick si attardò, e
Cassie sfruttò l’occasione per restare a
quattr’occhi con lui. Lo afferrò per il
braccio e iniziò a parlare prima che lui
potesse dire qualcosa.
«So che stai evitando il gruppo a causa
mia», disse. «E voglio che tu smetta di
farlo».
Nick si voltò, ma lei lo costrinse a
guardarla.
«Ascoltami.
Dobbiamo
restare uniti adesso. Siamo in serio
pericolo».
Lui strinse gli occhi color mogano
verso di lei, come se fosse un oggetto
sconosciuto.
«Non voglio che tu stia male», disse
Cassie con disperazione. «Per favore».
«Be’,
grazie
per
la
tua
preoccupazione». Lo disse in tono
tagliente, come se volesse ferirla, ma
Nick ricorreva sempre al sarcasmo
quando iniziava a sentire qualcosa.
Significava che era riuscita a farsi
capire, almeno un po’. Per il momento si
sarebbe accontentata.
Capitolo 10
Quando Cassie si alzò, la luce del sole
filtrava dalle finestre. La sua stanza era
luminosa ma fredda, e l’aria mattutina di
marzo era trasportata da una brezza
gelata che scuoteva le finestre. Avrebbe
fatto di tutto per poter restare sotto le
coperte e nascondersi dal giorno, ma
sapeva che non era possibile. Quindi si
alzò, si avvolse nel suo accappatoio di
spugna blu e si diresse verso la porta
per prendere il giornale. Presumeva ci
sarebbe stato un articolo di commento a
proposito di Constance nella sezione dei
necrologi.
Non c’era nessun giornale sul
porticato, ma Cassie trovò Adam,
raggomitolato nella sua giacca e
addormentato sul dondolo. Lo guardò
per un attimo. Sembrava così tranquillo,
ma non doveva stare comodo. Le
braccia e le gambe erano ripiegate sulla
panca del dondolo, ma in parte
penzolavano fuori. Forse era rimasto lì
tutta la notte.
“Mi ama davvero”, pensò Cassie tra
sé e sé, guardando dall’alto il suo
bellissimo corpo scolpito, raggomitolato
com’era nei confini della panca. “Forse
mi ama persino troppo”.
Tese la mano e gli carezzò la guancia
con la punta delle dita.
Lui le rivolse un sorriso sonnacchioso
mentre si stiracchiava.
«Cosa diavolo ci fai qui fuori?»,
chiese.
Adam si guardò intorno velocemente e
si massaggiò il collo intorpidito. «Ti
proteggo».
«Dai cacciatori di streghe?», sbottò
Cassie. «E chi proteggeva te mentre sei
rimasto qui fuori tutta la notte a
proteggere me?»
«Io», disse Adam, poi scoppiò a
ridere. «Ma devo essermi appisolato».
Cassie gli prese il volto fra le mani.
«Cosa devo fare con te?». Lo baciò
sulle labbra screpolate, un bacio lento e
dolce. «Promettimi almeno che la
prossima volta verrai dentro a dormire
sul divano».
Adam rispose con passione. La cinse
con le braccia forti e la attirò a sé.
Poteva sentire l’odore dell’oceano sui
suoi vestiti e nella piega del suo collo.
Lo baciò in quel punto aspettandosi di
sentire il sapore del sale, ma invece era
fresco e gelido come il ghiaccio.
«Lo prometto», disse con un brivido.
«Adesso ti va di entrare così posso
riscaldarti?»,
suggerì
con
fare
civettuolo.
Lui batté le lunghe ciglia scure e la
seguì con impazienza oltre la porta.
«Dov’è Faye?», chiese Diana, ma
sembrava che non lo sapesse nessuno.
Diana aveva trovato un incantesimo di
protezione nel suo Libro delle ombre, e
voleva lanciarlo sul gruppo il prima
possibile. Ma stavano aspettando in
spiaggia da più di un’ora.
«Faye è arrivata in ritardo a ogni
incontro questa settimana», disse Diana.
«È inaccettabile. Suzan, puoi chiamarla
di nuovo?»
«Non risponde», disse Suzan. «È
proprio schizzata nell’ultimo periodo».
Sean annuì. «Dovevamo uscire con lei
ieri notte, ma ci ha dato buca».
Se si fosse trattato di chiunque altro
Cassie sarebbe stata preoccupata, ma
sapeva che Faye si sarebbe fatta viva
alla fine. Nel frattempo, si rallegrava di
essere in spiaggia invece che al faro. Si
sentiva al sicuro tra le lunghe strisce di
sabbia, la ripetizione costante delle
onde che si infrangevano e il vasto cielo
infinito. Voleva godersi ogni secondo
che avevano prima che con la stagione
turistica la costa si riempisse di
forestieri. Lo immaginava come un
incubo: sdraio pieghevoli a perdita
d’occhio, bagnanti dispettosi e surfisti
spavaldi; il tutto condito da lattine di
bibite gassate e bambini urlanti con le
mani sporche di patatine. Preferiva di
gran lunga una spiaggia fredda e
abbandonata a una torrida e affollata.
Pensò a Scarlett, a quanto le sarebbe
piaciuto invitarla sulla spiaggia una sera
di quella settimana. Forse potevano
accendere un falò e mangiare
marshmallow. Sarebbe stato un modo
divertente per dimenticarsi delle
questioni stressanti del circolo.
Poi Faye apparve, risvegliando Cassie
dal suo sogno a occhi aperti. «Sono in
ritardo?», disse. «Mi dispiace».
«Dove sei stata?», chiese Diana.
«Fidati di me, non vuoi saperlo».
Diana ignorò il suo commento.
«Dobbiamo iniziare l’incantesimo di
protezione prima che il sole tramonti».
Cassie cercò di assumere il ruolo di
leader mentre il gruppo si sistemava in
un’ampia formazione circolare. Diana si
inginocchiò davanti a un recipiente di
pietra, mischiando uno scuro intruglio
oleoso.
«Il calderone contiene acqua salata
dell’oceano mischiata a olio di mirtillo
ed eucalipto», disse. Poi alzò lo sguardo
su Faye e Cassie. «Voi due potreste
usare il pugnale insieme e tracciare il
cerchio intorno a me?».
Faye sguainò il pugnale argentato
nascosto sotto la sua gonna nera
svolazzante e legato all’interno della sua
coscia. Gli occhi le si affilarono, come
succedeva ogni qualvolta lei tenesse in
mano un oggetto tagliente.
«Dammi la mano», disse a Cassie.
Guidò le dita sottili di Cassie intorno al
manico perlato del pugnale e le coprì
con le proprie. Insieme, come fossero
una persona sola, tracciarono il cerchio
nella sabbia.
Ogni membro del gruppo fece un passo
all’interno mentre Melanie posizionava
due candele a ogni lato del calderone
che Diana stava mescolando.
«Ecco due candele», annunciò Melanie
secondo la cerimonia. «Una blu, per la
protezione fisica, e l’altra viola, per il
potere e la saggezza».
Mentre si piegava per accendere le
candele, recitò i versi tratti dal Libro
delle ombre di Diana: «Sacre divinità,
se il male dimora in questo luogo,
costringetelo ad abbandonare il nostro
spazio». Poi posizionò il libro a terra
accanto a Diana e prese posto nel
cerchio vicino a Laurel.
Diana si mise in piedi al centro e
sollevò
il
calderone.
«Affinché
funzioni»,
disse,
«dovete
tutti
immaginare una luce bianca intorno a
voi. Lasciate che circondi il vostro
corpo mentre recito i versi».
Tutti annuirono e chiusero gli occhi.
Diana alzò il calderone e disse: «Per il
potere della Fonte, che il male non ci
tocchi».
A quel punto anche Cassie chiuse gli
occhi, e immaginò una luce bianca che la
avvolgeva come un caldo cappotto
invernale. La voce di Diana scese di
un’ottava, e i versi le lasciarono la gola
come un fulmine.
Cacciatori psichici di notte,
cacciatori psichici di giorno,
non distruggete ciò che allevo,
non distruggete ciò che ricevo.
Ci fu qualche secondo di silenzio,
inframmezzato solo dalle folate di vento
e dalle onde che si infrangevano. Poi,
Cassie sentì l’eco simile a una campana
di Diana che mescolava la pozione nel
calderone di pietra.
Diana proseguì.
Con questa pozione voglio il Circolo
consacrare,
affinché da voi sia protetto e non lo
possiate toccare.
Cassie aprì gli occhi e vide Diana che
si spalmava la poltiglia bluastra sulla
fronte con il pollice. Poi fece lo stesso
con Faye, Cassie e tutti gli altri.
Quando finì di consacrare il gruppo,
Diana chiese a Cassie e a Faye di unirsi
a lei al centro. Loro tre si presero per
mano intorno al calderone e alle candele
a occhi chiusi. Cassie iniziò a
immaginare la luce bianca che
circondava non solo il suo corpo, ma
l’intero gruppo. Immaginò che li
inglobasse in un enorme palloncino
d’elio facendoli galleggiare nella
sicurezza del cielo senza nubi.
Diana finì l’incantesimo.
Per il potere dell’oceano, vasto e profondo,
per il potere del giorno, della notte e del
numero tre,
questo noi vogliamo e vi stiamo
convocando!
A poco a poco aprirono tutti gli occhi.
«Ha funzionato?», chiese Sean,
sollevando il dito alla macchia blu sulla
fronte.
«Per quanto dobbiamo andare in giro
con questo intruglio addosso?», chiese
Suzan. «Probabilmente causa delle
eruzioni cutanee».
«Possiamo
andare
a
lavarci
nell’oceano fra un minuto», disse Diana.
«Quindi tutto qui?», chiese Faye,
sollevando il pugnale dalla sabbia e
rinfoderandolo sotto la sua gonna.
«Adesso siamo invincibili? Perché non
lo abbiamo fatto tempo fa?»
«Ci sono delle condizioni», disse
Diana.
«Quali condizioni?», chiese Faye,
scimmiottando il tono di voce misurato e
compito di Diana.
Diana non si arrabbiò per la presa in
giro di Faye, forse perché ci era
abituata. «Saremo al sicuro dalle ferite
fisiche inferte dai cacciatori», disse,
«ma l’incantesimo ci protegge solo
sull’isola di New Salem. Se facciamo un
passo al di fuori, siamo vulnerabili».
«Quindi che nessuno lasci l’isola»,
disse Adam. «In nessun caso».
Rivolse un’occhiata a Nick, che aveva
preso l’abitudine di sparire per giorni
interi, ma Nick lo ignorò.
Diana scavò una buca profonda nella
sabbia per rovesciare ciò che restava
della pozione. «Non significa nemmeno
che i cacciatori non ci troveranno.
Quindi dovremo stare molto attenti.
Dobbiamo fare tutto il possibile per non
farci notare».
Si alzò in piedi, si ripulì le mani dalla
sabbia e guardò dritta verso Faye. «Non
possiamo usare la magia. I cacciatori
cercheranno indizi di attività fuori dalla
norma per scoprire chi siamo».
«Cosa?», Faye si scagliò contro Diana
come se volesse scaraventarla al suolo.
«La nostra magia è l’unico potere che
abbiamo. In quale altro modo dovremmo
difenderci da questi tizi se non possiamo
usarla?».
Diana raddrizzò le esili spalle in
un’imitazione della postura di Faye e
rispose al suo sguardo con uguale
ferocia. «Li troviamo prima che trovino
noi»,
disse.
«Ecco
come
li
sconfiggeremo».
«Faye», disse Melanie, facendo un
passo tra lei e Diana. «È degli assassini
di mia zia che stiamo parlando. Terrai a
freno la tua magia, perché se non lo fai
metterai in pericolo l’intero gruppo. E
non possiamo permettercelo».
La razionale Melanie non aveva mai
minacciato nessuno in tutta la sua vita,
ma ora eccola lì, di pochi centimetri più
alta di Faye e pronta a una lite.
Adam si frappose fra loro prima che la
situazione degenerasse. «Dobbiamo fare
tutti un respiro profondo e calmarci»,
disse. «Non possiamo permetterci di
litigare fra noi proprio adesso».
«No», ribatté Melanie, spostando di
lato la mano di Adam che voleva
dividerle. «Quello che non ci possiamo
permettere è che Faye non segua le
regole del circolo quando è in gioco la
nostra vita».
«Per favore, Faye», Adam la stava
praticamente implorando di cooperare.
«Niente magia. Solo fino a quando non
scopriamo chi sono i cacciatori.
D’accordo?»
«Va bene. Mio Dio, siete così noiosi».
Faye iniziò ad allontanarsi verso
l’oceano.
«Non ho ancora finito», gridò Diana.
«Dobbiamo anche stare attenti agli
esterni che si avvicinano troppo. E a
chiunque sia nuovo in città».
Diana rivolse un’occhiata tagliente a
Cassie. Non menzionò Scarlett in modo
specifico, ma non ce n’era bisogno. Poi
si voltò verso Faye. «Quindi devi
togliere le mani di dosso a Max».
Suzan ridacchiò. «Come fa a toglierle
se lui non le ha nemmeno mai permesso
di toccarlo?».
Lo spirito battagliero di Faye evaporò
in un istante. Era ovvio che fosse
infastidita dal fatto che Max non fosse
succube del suo fascino come ogni altro
ragazzo a scuola.
«Adesso hai finito?», chiese a Diana.
Diana annuì. «Per il momento».
Faye si voltò e marciò verso l’oceano
per ripulirsi la fronte. La sua gonna e i
capelli neri le svolazzavano dietro come
un’ombra scura.
La mattina seguente a scuola, Faye
parcheggiò nel posto libero accanto a
Cassie e Adam. «Diana è già arrivata?»,
chiese prima ancora di uscire dalla
macchina.
«Non ancora», disse Adam. «Cosa
c’è?».
Faye rivolse un’occhiata ansiosa al
parcheggio della scuola, a Sally e Portia
che radunavano i loro pon-pon e i libri,
ad alcuni giocatori di lacrosse che si
lanciavano la palla, e infine a Suzan che
era seduta sul cofano della sua Corolla a
mettersi il mascara.
«Non posso sopportare questa
faccenda del non usare la magia», disse
Faye. «Ho dovuto aspettare che l’acqua
bollisse stamattina. Riuscite a crederci?
Otto minuti. Come se non avessi niente
di meglio da fare con il mio tempo».
«Sono d’accordo con Faye», disse
Suzan da dietro lo specchietto. «Mi
sento così ordinaria, così mediocre. È
alienante».
«E come se non fosse abbastanza, hai
una macchia sulla camicia», disse Faye.
«Lo so». Suzan grattò la macchiolina
sul colletto. «Come fanno le persone
normali a togliere il ketchup dagli
abiti?».
Diana infilò la sua Volvo nello spazio
accanto a Faye e aprì lo sportello in
fretta. Era meno in ordine del solito.
Aveva i capelli scompigliati e selvaggi,
e la giacca infilata a metà. Teneva una
tazza di caffè in una mano e nell’altra
una ciambella, che si cacciò in bocca
per pescare i libri dal sedile posteriore.
«Visto», disse Faye. «Persino Diana è
un disastro. Non possiamo vivere così».
Fino a quel momento Cassie non si era
resa conto di quanto i suoi amici
usassero la magia nella vita quotidiana.
Adam aiutò Diana con i libri. «Non è
facile per nessuno di noi», disse. «Ma
dobbiamo resistere. È una cosa
temporanea».
Il resto del gruppo arrivò a poco a
poco. Cassie non sapeva se fosse una
cosa puramente psicologica o meno, ma
si accorse che sembravano tutti più
stressati senza magia – tranne Deborah,
che fece il suo ingresso nel parcheggio
su una ruota sola della sua motocicletta.
Le macchine e le persone si scansarono
dal suo percorso fino a quando non si
abbassò sulla ruota anteriore, frenò
stridendo e spense il motore.
«Dov’è il casco?», chiese Diana
quando Deborah si unì al resto del
gruppo.
Deborah alzò gli occhi al cielo. «Non
ho intenzione di rovinarmi i capelli con
un casco quando sono invincibile».
«Sarai anche invincibile», disse
Diana, «ma puoi ancora investire
qualcuno per caso».
«Allora forse dovrebbero essere gli
altri a indossare il casco», disse Faye,
guadagnandosi un’occhiata tagliente di
Diana.
«Per
favore,
non
abusate
dell’incantesimo di protezione», disse
Diana. «Non è una scusa per diventare
irresponsabili».
«Lo dici a me?». Deborah si tolse uno
dei guanti di pelle, poi l’altro, e infine
indicò il cielo. «E loro invece?».
Cassie si accorse che tutti i presenti
nel parcheggio avevano smesso di fare
quello che stavano facendo per
concentrarsi su qualcosa sopra di loro.
Seguì gli sguardi, proprio come fece
Diana, fino a individuare Chris e Doug
sul tetto dell’edificio scolastico.
«Cosa fanno quei pazzi lassù?», urlò
qualcuno.
«Penso che stiano tirando di scherma»,
rispose un’altra voce.
Diana dovette distogliere lo sguardo.
«Per favore, ditemi che non hanno
portato delle vere spade a scuola».
«Tecnicamente non sono a scuola»,
disse Sean. «Ci sono sopra».
Chris e Doug si sfidavano balzando
avanti e indietro, rivolgendosi attacchi
selvaggi, schivando e chinandosi. La
folla emise un sospiro strozzato quando
Doug ricevette un colpo alla spalla.
Lanciò un grido, cadde al suolo, e del
sangue finto iniziò a zampillare dal tetto
come un irrigatore. I loro compagni di
scuola iniziarono a urlare, ma poi Doug
balzò di nuovo in piedi con un braccio
nascosto sotto la manica e riprese la
lotta.
«Si stanno divertendo fin troppo con
questa storia», disse Adam.
Cassie osservò la folla di spettatori,
chiedendosi se qualcuno di loro si fosse
accorto del fatto che Chris e Doug erano
impenetrabili alle lame affilate delle
spade. Ma erano tutti così abituati alle
stranezze dei gemelli che nessuno di
loro sembrava farci caso.
Persino Max, che era ancora al centro
dei pettegolezzi della scuola, sembrava
divertito dalla loro esibizione. Era in
piedi con i suoi amici di lacrosse e la
marea di belle ragazze che gli
veleggiava intorno di continuo. Per una
volta, anche loro avevano distolto
l’attenzione da lui per osservare il tetto.
Doug squarciò il petto di Chris,
tagliando la sua maglia in diagonale.
Svolazzò come una bandiera al vento.
«Ti sta bene, fratello», urlò Chris.
«Questa maglietta era una delle tue».
La folla fu attraversata da un’ondata di
risate. Max scosse la testa, si allontanò
dal suo gruppo e si fece strada verso
Diana.
«Qualcuno dovrebbe fermare quei
due», disse. «Prima che si ritrovino
entrambi nudi».
Cassie si accorse che le ammiratrici di
Max emisero un sospiro visibile mentre
lo guardavano parlare con Diana. Era
ovvio che la considerassero una rivale.
«Ma non posso essere io a fermarli»,
continuò Max chinandosi verso di lei.
«Non puoi sfruttare una delle tue
magie?».
Diana si irrigidì per un secondo, ma a
Cassie era chiaro che Max non aveva
nessun secondo fine. Era concentrato
sugli occhi di Diana.
«Tutti i ragazzi della scuola sono a tua
completa disposizione», le disse.
«Presumo che se qualcuno riuscirà a
farli scendere quella sarai tu».
Diana emise un sospiro profondo e
rise. Cercò di lisciarsi i capelli con
imbarazzo, ma rimasero adorabilmente
scompigliati. «Se solo fosse vero»,
disse.
«Posso farli scendere io dal tetto», si
offrì Faye, ma Max la ignorò.
«È solo che se mio padre li trova
lassù, non so cosa potrebbe fare», disse
Max. «Non credo approverebbe che
degli studenti portino delle armi a
scuola».
«Mi sembra comprensibile», rispose
Diana annuendo. Ma prima che potesse
riportare l’attenzione a Chris e Doug,
Nick apparve sul tetto dietro di loro.
«Lo spettacolo è finito», gridò,
avvicinandosi ai due come se volesse
torcergli il collo.
Chris e Doug si guardarono e fecero
cadere le spade. Sollevarono le mani in
segno di resa e indietreggiarono da
Nick, avvicinandosi sempre di più al
bordo del tetto. La folla rimase in
silenzio. Doveva essere una caduta di
sei metri.
Nick capì il loro gioco e rimase
immobile. «Ora basta», disse. «Vi siete
divertiti. Adesso venite giù senza fare
storie».
Chris e Doug diedero un’occhiata alla
folla e poi si presero per mano. «Mai!»,
urlarono, e saltarono dal tetto, atterrando
su un grande cassone per l’immondizia
al di sotto.
Le persone si coprirono la bocca e
distolsero lo sguardo. Persino Max
sussultò, voltandosi lievemente verso
Diana. Ma i gemelli atterrarono con un
salto sincronizzato. Senza un graffio,
scesero e fecero un inchino.
Capitolo 11
Cassie era in città a svolgere
commissioni quando il denso aroma
della caffetteria Witch’s Brew le invase
i polmoni. “Caffè”, pensò. Che buona
idea.
Il Witch’s Brew era una trappola per
turisti, pura e semplice, che sfruttava le
storie sui processi delle streghe della
città di Salem. Di notte accendeva luci
stroboscopiche e appendeva ragnatele di
cotone, ed era il posto preferito di chi
veniva da fuori città in cerca di una
bevanda sovrapprezzo dal nome gotico.
Gli abitanti del luogo, e soprattutto gli
amici di Cassie, lo evitavano per ovvi
motivi. Ma alla luce del giorno, il Brew
poteva quasi passare per una caffetteria
normale, con i suoi tavolini all’esterno
appena sistemati. Cassie immaginò che
non sarebbe stato così male se avesse
potuto sedersi all’aperto per sorseggiare
un caffè alla luce del sole, quindi cercò
una sedia libera.
Fu a quel punto che scorse i familiari
capelli rosso tinto di Scarlett. Era china
su un libro, leggeva e mordicchiava
sovrappensiero una matita. Il primo
istinto di Cassie fu di andarsi a sedere
con lei, ma poi ricordò la nuova regola.
Per il momento ogni contatto con gli
esterni era proibito.
Non era giusto. Il circolo non avrebbe
dovuto decidere con chi Cassie beveva
il caffè. Ma persino Faye era disposta a
rinunciare a parte della sua libertà
personale per il bene del gruppo. E in
ogni caso Cassie doveva andare al faro.
Invece di praticare la magia, Melanie e
Laurel erano ricorse all’erbologia per
passare il tempo. Avevano chiesto a
Cassie di portare i fiori di una pianta
rara del suo giardino – la genziana di
Plymouth. Cassie tastò il sacchetto di
carta che conteneva i fiori, come per
ricordarsi dell’importanza della sua
commissione. Si voltò per andarsene
proprio quando Scarlett si accorse di
lei.
«Cassie?», il volto di Scarlett si
accese all’istante. «È così bello
vederti», disse. «Vieni a sederti con
me».
«Non posso», rispose Cassie dando
un’occhiata alla zona circostante. «Ho
solo un minuto».
«Allora siediti solo per un minuto».
Scarlett chiuse il suo libro e lo spinse di
lato.
Scarlett sembrava così emarginata
seduta lì da sola. Sarebbe stato crudele
rifiutare.
«Che fai oggi?», le chiese Cassie con
indifferenza.
Scarlett sollevò le mani e guardò a
destra e a sinistra. «Questo», rispose.
«Niente di che».
Cassie le offrì una risata di cortesia.
«Grazie ancora per essere venuta da
Melanie l’altro giorno. Mi dispiace
averti persa di vista e non essere
riuscita a salutarti».
Gli occhi di Scarlett irradiavano
affetto. «Nessun problema», disse. Poi
prese un lungo sorso del suo caffè
freddo e sembrò che stesse riflettendo su
qualcosa.
Cassie si sentì sotto torchio, come se
Scarlett si fosse messa a contare uno per
uno i pori della sua pelle o le sue ciglia,
ma la lasciò fare. Per qualche motivo,
non la metteva in imbarazzo. Non sapeva
perché, ma voleva che Scarlett la
conoscesse e la vedesse per ciò che era
davvero.
Dopo un altro minuto, Scarlett disse:
«Mi piacciono davvero i tuoi amici. E
dato che non conosco nessuno sull’isola
speravo di fare una buona impressione».
Cassie sapeva che quello era il
momento in cui, se fosse stata una
ragazza normale senza un circolo a cui
rendere conto, avrebbe chiesto a Scarlett
di uscire insieme. Invece, le rivolse una
patetica frase di consolazione. «Non
molto tempo fa ero io la ragazza nuova.
E so quanto possa essere brutale farsi
nuovi amici in questa città».
Le labbra piene e rosse di Scarlett si
aprirono in un ampio sorriso. «Ecco
perché ti farò sentire talmente in colpa
da voler essere mia amica».
Cassie scoppiò a ridere. Le piaceva la
semplicità di Scarlett. Era proprio il
tipo di ragazza con i piedi per terra con
cui Cassie avrebbe fatto amicizia se
fosse stata ancora in California.
«Per esempio», disse Scarlett. «Ti
ricorderò che mi sono trasferita qui con
una misera valigia per convincerti a
venire a fare shopping con me».
Cassie ricordò il commento acido di
Diana a proposito della valigia di
Scarlett e fu di nuovo pervasa
dall’imbarazzo. Guardò l’orologio.
Aveva ancora due ore prima di dover
raggiungere il faro. Che male poteva
esserci a fare un giro per negozi per
un’ora?
«Per tua fortuna, fare shopping è uno
dei miei passatempi preferiti», disse
Cassie.
«Significa che ci stai?», chiese
Scarlett.
«Perché no?». Cassie si alzò. «Le mie
commissioni possono aspettare».
Scarlett scattò in piedi. «Ha funzionato
ancora meglio di quanto immaginassi».
Fare shopping con Scarlett era il
diversivo perfetto per tutti i problemi di
Cassie. Dato che non poteva parlare di
molte delle preoccupazioni del circolo,
era stata costretta a cancellarle del tutto
dalla mente. Era come diventare qualcun
altro per un paio d’ore, qualcuno con
problemi normali. Come per esempio:
“Quaranta dollari sono troppi per un top
anche se la stoffa è davvero morbida?”.
Inoltre Scarlett era un’esperta di
shopping, riusciva a trovare il miglior
articolo in sconto con uno spirito
d’osservazione degno dell’invidia di
una strega. In qualche modo convinse
Cassie ad acquistare degli orecchini con
piume turchesi.
«Sono più nel tuo stile che nel mio»,
disse Cassie subito dopo averli
comprati d’impulso.
«Possiamo dividerli». Scarlett si aprì
in un sorriso. «In realtà possiamo
dividere quasi tutta questa roba. È il
bello di avere la stessa taglia».
Cassie le diede ragione e poi suggerì
di posare tutte le borse nel baule della
sua macchina prima di cercare un paio
di perfette scarpe estive. Lei e Scarlett
avevano fatto amicizia così facilmente
che Cassie si era dimenticata di dover
tenere le distanze. Quindi vedere Diana
che usciva dalla sua Volvo dall’altro
lato del parcheggio non sembrò a Cassie
un motivo d’allarme. Il panico non calò
su di lei fino a quando lo sguardo di
Diana non incrociò il suo – prima pieno
di gioia per l’incontro fortuito, poi di
disapprovazione dolorosa. Cassie era
stata colta in flagrante nell’atto di
infrangere una promessa fatta al circolo.
Diana si avvicinò a loro lentamente. Il
suo «Ciao» suonò più come un affronto
che come un saluto. «Vedo che voi due
ve la state spassando», disse indicando
le buste dello shopping.
Scarlett, percependo la freddezza nella
voce di Diana, sorrise con educazione
ma non disse niente.
«Ho incrociato Scarlett per caso»,
disse Cassie.
Diana la schernì con lo sguardo.
«Presumo che sia successo diverse volte
oggi».
Cassie si morse il labbro ma rimase in
silenzio.
Scarlett si agitò a disagio e disse:
«Forse farei meglio ad andare».
«No», disse Diana. «Me ne vado io».
Le superò dirigendosi all’ingresso del
centro commerciale. «Ci sentiamo dopo,
Cassie».
«Non le piaccio proprio», disse
Scarlett non appena Diana non fu più a
portata d’orecchio.
Cassie non sapeva come difendere il
comportamento di Diana. In fondo
Scarlett non avrebbe potuto capire.
«Non ha niente a che fare con te», disse
Cassie. «Credimi. Però mi dispiace lo
stesso».
Scarlett ignorò le sue spiegazioni.
«Potresti farti perdonare unendoti a me
per cena».
Cassie era combattuta. Sapeva che la
cosa giusta da fare era separarsi da
Scarlett e andare subito a riparare i
danni con Diana, ma si stava divertendo
così tanto, e rompere i ponti con Scarlett
a quel punto avrebbe solo ferito i suoi
sentimenti.
«Che ne dici di un hamburger da
Buffalo House?», chiese Scarlett. «Pago
io».
«Non dovrei proprio». Cassie tastò il
sacchetto di erbe nella sua borsa e
guardò l’orologio. Ma un cheeseburger
con pancetta le sembrava il paradiso in
quel momento. Una ragazza doveva pur
sempre mangiare, giusto?
«Va bene», disse Cassie alla fine. «Se
vieni con me per una piccola
commissione prima. È solo un favore
veloce per un’amica. Poi possiamo
andare a mangiare».
Scarlett si illuminò. «Perfetto», disse.
Ovviamente il circolo non avrebbe
approvato
che
si
fosse
fatta
accompagnare da Scarlett, ma Cassie
fece attenzione. E Scarlett non fece
nessuna domanda, nemmeno quando
Cassie insisté che rimanesse in
macchina mentre correva verso la casa
del faro abbandonata con un sacchetto di
carta sotto il braccio. E dato che
Melanie e Laurel non erano ancora
arrivate, dovette solo lasciare il
sacchetto sul tavolo e andarsene. Ci
volle meno di un minuto per entrare e
uscire. E poi lei e Scarlett furono libere
di andare da Buffalo House a mangiare
un hamburger.
Più tardi, Adam andò a casa di Cassie
per una serata tranquilla all’insegna di
film e popcorn. Sua madre era al piano
di sopra, per lasciare loro un po’ di
privacy in salotto, dove erano seduti sul
divano morbido. Cassie sprofondava nei
cuscini con la testa posata sulla spalla di
Adam, inalando il suo odore. Avrebbe
potuto ubriacarsi di quel profumo. Non
stavano davvero guardando il film, o
almeno non Cassie. Lei teneva gli occhi
chiusi e si concentrava sulle gentili
carezze di Adam, il modo in cui le
faceva scivolare le soffici dita
all’interno del braccio, iniziando dal
polso e muovendosi fino al gomito, e
viceversa. Avrebbe potuto continuare
per tutta la notte, il film era solo un
rumore di sottofondo. Ma poi Adam si
chinò in avanti per controllare che fosse
sveglia.
«Stai dormendo», disse.
Cassie aprì gli occhi. «Non sto
dormendo, sto solo assaporando il
momento».
Gli occhi di Adam si fecero seri, e
Cassie fu sicura che stesse per sporgersi
verso di lei e baciarla. Di solito era
quello che succedeva quando si
trovavano sul divano a guardare un film.
Ma quella volta, invece di baciarla,
spense il televisore e si mise a sedere
dritto.
«C’è una cosa di cui ti volevo
parlare», disse.
Anche Cassie si raddrizzò e strinse le
ginocchia al petto. Non riusciva a
immaginare cosa stesse per dirle. Le
passarono per la mente un milione di
possibilità, una peggiore dell’altra.
«Diana ha detto di averti vista fare
shopping oggi pomeriggio», disse Adam.
«Con Scarlett».
Cassie si irrigidì. «Oh».
«Pensa che tu e Scarlett stiate
diventando troppo amiche».
«Be’, grazie per avermi detto quello
che pensa Diana», disse Cassie.
Quel commento spinse Adam ad alzare
la voce, cosa che non succedeva mai in
presenza di Cassie. «Non credo di
doverti ricordare che ti stai mettendo in
pericolo passando così tanto tempo con
un’esterna», disse. «Stai mettendo tutti
noi in pericolo».
«È davvero quello che pensi tu,
oppure è quello che pensa Diana?».
Adam balzò all’indietro come se
Cassie lo avesse colpito. «Cosa vorresti
dire?»
«Perché stai dalla parte di Diana? Sei
sempre stato il primo a correre in difesa
degli esterni».
«Cassie, cosa ti sta succedendo? Vieni
qui». Adam cercò di stringerla, ma lei si
allontanò.
Cassie sapeva di star esagerando –
insomma, era Adam, il ragazzo che era
rimasto in piedi tutta la notte nel suo
porticato solo per proteggerla. E Adam
e Diana erano stati amici per tutta la
vita, era ovvio che Diana andasse da lui
per avere un consiglio. Tuttavia non
voleva ancora essere toccata da lui.
«Non sto dalla parte di nessuno»,
disse Adam. «Queste non sono
circostanze normali. Lo sai».
Ma in quel momento Cassie riusciva
solo a sentire l’eco delle parole di
Diana in quelle di Adam, e non poté fare
a meno di sentirsi un po’ ferita.
«Sento con tutto il mio essere che
posso fidarmi di Scarlett», disse Cassie.
Adam sembrò considerare di tendere
di nuovo la mano verso di lei, ma ci
ripensò. «Voglio solo che tu stia
attenta», disse. «Sono sempre dalla tua
parte. Lo sai».
Si avvicinò a lei con cautela. «Mi
dispiace aver alzato la voce. Ma è una
cosa a cui tengo. Non abbiamo modo di
sapere se Scarlett è una cacciatrice di
streghe. È arrivata in città la stessa notte
in cui è morta Constance».
«Ti stai comportando in modo
ridicolo», disse Cassie.
«No, sei tu a essere ridicola. E
testarda».
Cassie prese un respiro profondo e
cercò di calmarsi. «Lasciamo perdere e
basta, va bene?».
Ma Adam rifiutò. «Lo so che Scarlett
ti piace davvero», disse. «E lo capisco.
Sembra simpatica, divertente e carina.
Piace a tutti noi, ma non è un buon
momento per abbassare la guardia».
«Non lo è mai quando si tratta di noi».
«Lo dici come se non volessi far parte
del gruppo, come se fosse una specie di
maledizione».
«Finiamo solo di guardare il film»,
disse Cassie.
«Cassie, guardami».
«Smetterò di uscire con lei, va bene?»,
urlò Cassie. «Ci siamo incontrate per
caso, ma sono sicura che Diana non
abbia menzionato questo piccolo
dettaglio».
Cassie riaccese la TV. Fissò dritto
davanti a sé, e si sedette il più lontano
possibile da Adam sul divano. Non
aveva più niente da dire per quella
notte.
Capitolo 12
Cassie dormì fino a pomeriggio
inoltrato il giorno seguente, cosa insolita
per lei. Era abituata ad alzarsi presto,
che lo volesse o meno. Ma doveva aver
avuto bisogno di riposo, perché si
svegliò sentendosi ristorata e con la
mente più libera di quanto fosse stata la
notte precedente. La discussione con
Adam l’aveva lasciata confusa e turbata
la notte prima, ma quello era un nuovo
giorno. Ed era bellissimo e soleggiato,
senza una nuvola in cielo.
Dopo aver indossato i suoi jeans più
comodi e il maglioncino blu che
preferiva, Cassie decise di uscire per
una passeggiata. Non era ancora pronta
per parlare con Adam, o con chiunque
altro in realtà, ma sperava che
camminando le sarebbero venute le
parole, e sarebbe tornata a casa sapendo
esattamente cosa dire per aggiustare le
cose.
Cassie aveva bisogno di capire meglio
i suoi stessi sentimenti. Non era una
persona gelosa e non voleva esserlo. Ma
non poteva nemmeno ignorare ciò che la
infastidiva di Adam e Diana. Doveva la
sua onestà a entrambi, e anche a se
stessa. Sapeva di non poter competere
con la storia che avevano avuto.
Si allacciò le scarpe da ginnastica e
uscì dalla porta sul retro. Camminò a
fatica attraverso il labirinto del giardino
medicinale di sua nonna e l’acro
circostante di erba ondeggiante. Si
fermò sopra una pila di foglie fradice
lungo il sentiero di terra e sabbia che
conduceva alla scogliera.
Fu lì che trovò Nick accanto alla riva.
Si era tolto la giacca di pelle e l’aveva
gettata al suolo accanto a sé. Il vento
proveniente dal mare gli gonfiava la
maglietta bianca come se stesse volando
e gli sollevava i capelli castano scuro
dal volto serio. Guardare Nick quando
le sue difese erano abbassate era come
origliare un segreto. Cassie si sentiva
speciale per la possibilità di esserne
testimone, ma anche un po’ colpevole.
Era uscita per stare da sola, ma in quel
momento non voleva altro che stare con
Nick. Non in senso romantico,
ovviamente. Amava Adam, ma ciò non
significava che lei e Nick non potessero
essere amici. Quindi andò da lui,
preparandosi durante tutta la strada
all’idea che la sua compagnia fosse
rifiutata. Ma sentiva di dover almeno
provare. Certo, Nick era un tipo serio e
pensieroso, anche un po’ imprevedibile,
e la maggior parte dei giorni lo si poteva
definire sgarbato – ma sotto tutta
quell’apparenza c’era un centro solido,
puro come il nucleo cristallino di una
roccia. Cassie lo aveva visto, ed era
determinata a far breccia oltre la sua
scorza per raggiungerlo di nuovo. Le
mancava la sua amicizia – anche se
sapeva che per lui sarebbe stata una
forzatura, visto che la loro rottura era
ancora così fresca.
«Ciao», lo chiamò a pochi passi di
distanza da lui per non spaventarlo.
Lui si voltò lentamente, affatto
sorpreso di vederla, quasi come se la
stesse aspettando.
«Ciao», disse, saluto che Cassie
considerò un invito sufficiente a
raggiungerlo.
«Come stai?», chiese Cassie.
«Bene. E tu?»
«Bene».
Fu strano, poco ma sicuro, tuttavia,
tenendo duro, riuscirono a poco a poco a
riprendere il loro vecchio modo di fare.
Nick la prendeva in giro fingendosi
crudele, e Cassie assecondava le sue
battute, ridendo a squarciagola. Lo
aveva desiderato per così tanto che non
voleva rovinare tutto, ma c’era una
questione che non poteva lasciar
perdere.
«Posso chiederti una cosa?», disse
quando ci fu una pausa nella loro
conversazione.
Nick annuì con la mascella tesa. «Puoi
chiedermi quello che vuoi, ma non
significa che ti risponderò».
Cassie sorrise. «Sei venuto fino a qui
sperando di incontrarmi?»
«Accidenti, sei proprio presuntuosa».
Nick scoppiò a ridere.
«È un sì?».
Nick smise di ridere e si limitò a un
sorriso. Elargiva con tale parsimonia i
suoi sorrisi a trentadue denti che Cassie
aveva dimenticato quanto fossero belli e
luminosi. Il fatto che fossero tanto rari li
rendeva ancora più preziosi.
«Forse il pensiero di trovarti qui mi ha
vagamente attraversato la mente», disse
Nick. «Mi mancavano le nostre
chiacchierate».
Finalmente. Quello era il Nick che
conosceva.
«Anche a me», disse Cassie.
«Adesso tocca a me farti una
domanda». Nick si esibì nel suo sorriso
da cattivo ragazzo. «Adam ti ha già fatto
diventare matta?»
«Nick!».
«È così. Lo so che è così. Non cercare
nemmeno di negarlo».
«No comment», disse Cassie ridendo.
Ma poi aggiunse: «Presumo di dovermi
ancora abituare a…».
«Al fatto che sia così asfissiante?»
«Alla sua bontà», lo rimproverò
Cassie. «E adesso comportati bene».
Nick all’improvviso apparve più
allegro, più felice. Forse tutto quello che
gli serviva per stare meglio era fare una
battuta a proposito di Adam.
Cassie osservò l’oceano. «Ti prometto
che le cose torneranno normali», disse.
«Per te e me. Per tutti noi».
Ma proprio quando quelle parole le
uscirono di bocca, davanti a loro si
formarono delle nuvole scure, troppo
rapide per essere naturali. Erano
minacciose, come quelle che si vedono
nei film sull’apocalisse. Nick afferrò la
mano di Cassie e insieme fecero qualche
passo
indietro,
allontanandosi
dall’oceano.
«Cosa succede?», chiese Cassie. «È
un tornado? Arrivano anche da queste
parti?»
«Non so cosa sia». Nick perlustrò la
zona circostante in cerca di un rifugio
sicuro. «Dobbiamo andarcene da qui.
Tutti quegli alberi. Dobbiamo andare a
casa tua».
Si misero a correre, ma avevano fatto
solo pochi passi quando dei violenti
fulmini
iniziarono
ad
abbattersi
tutt’intorno a loro, quasi come se
volessero colpirli.
«Continua a correre», urlò Nick. «E
copriti la testa».
Scendeva una pioggia gelida, fitta
come una cascata di frecce appuntite. Il
cielo era completamente nero fatta
eccezione per i lampi che, quando
cadevano, illuminavano il vento furioso
fra gli alberi. La sabbia e il terriccio si
sollevavano per il vento.
Cassie si sforzò di tenere gli occhi
chiusi per evitare la polvere, ma anche
abbastanza aperti da seguire Nick lungo
la via di fuga.
«Non ce la faremo mai», urlò Cassie
senza fiato. «Dovremmo provare un
incantesimo per fermarlo».
«No!», urlò Nick. «Niente magia.
Continua a correre».
Un lampo dopo l’altro, fulmini e tuoni
ricordarono a Cassie dei fuochi
d’artificio.
«Sono loro, vero?», urlò Cassie. «I
cacciatori».
Nick smise di correre per un secondo,
e anche Cassie si fermò, ansante. Il collo
spesso di Nick pulsava e il suo petto si
gonfiava. «Credo di sì», disse.
«Potrebbe essere un trucco per
costringerci a usare la magia».
Poi un fulmine colpì un obiettivo
disponibile – uno dei molti olmi nelle
vicinanze. L’albero si scheggiò e si
illuminò.
Cassie si coprì gli occhi con la mano
per ripararsi, guardando l’olmo che
tremolava e fumava. «Sembra che
abbiano già capito che siamo streghe,
non pensi?».
Poi un altro albero proprio accanto al
primo fu colpito, e poi un altro, sempre
più vicino al punto in cui si trovavano
Cassie e Nick. Infine, un fulmine si
abbatté al suolo proprio accanto al
piede di Cassie. Lei urlò e Nick la
spinse via, proteggendo il suo corpo con
il proprio.
Finirono entrambi a terra, lei sotto di
lui. Il corpo muscoloso di Nick gravava
su Cassie.
«Stai bene?», le chiese. Le gocce di
pioggia colavano dal volto di Nick sul
suo.
«Sì», disse Cassie. Dalla sua
posizione sotto di lui osservò gli alberi
che erano stati colpiti soccombere a
fiamme arancioni e selvagge. Era
l’incendio più impetuoso a cui avesse
mai assistito, con volute di fumo nero
che si innalzavano come fantasmi.
“Avrei potuto essere io”, pensò Cassie
dentro di sé. Se Nick non l’avesse spinta
via sarebbe morta.
Era uno spettacolo osservare quei
grandi olmi scurirsi e diventare cenere
così in fretta. La loro corteccia
screpolata si scioglieva per il calore,
come una barretta di cioccolato lasciata
al sole.
Qualunque cosa i cacciatori stessero
cercando di provare, ci erano riusciti.
Era chiaro che fossero potenti, ed erano
pronti a uccidere. Non erano streghe, ma
quel tipo di controllo sugli elementi a
Cassie sembrava magia nera. Che razza
di cacciatori di streghe usavano le stesse
tattiche delle streghe malvagie?
«Sono così vicini», disse Cassie.
Nick sollevò parte del suo peso dal
corpo tremante di Cassie. «E si
avvicinano sempre più, ogni minuto che
passa».
A Cassie sembrava non ci fosse via di
scampo. Lei e Nick avrebbero potuto
continuare a correre, ma i fulmini e i
tuoni li avrebbero seguiti a ogni passo
fino a centrare l’obiettivo, colpendoli
con una palla di fuoco che avrebbe
bruciato e piegato le loro ossa come i
fragili rami di un vecchio olmo. Oppure
potevano restare stesi a terra, immobili,
stringendosi e chiudendo gli occhi.
Potevano abbandonarsi al loro destino
piuttosto che cercare di opporsi. Morire
al fianco di Nick era un’opzione
migliore che essere abbattuta dalla
tempesta di fulmini.
E poi come se fosse stato tutto un
sogno, la pioggia e i lampi si fermarono
all’improvviso e le nuvole lasciarono
spazio
al
sole.
Tutto
tornò
misteriosamente come prima. Se gli
alberi al loro fianco non avessero
continuato a bruciare, riempiendo l’aria
di denso fumo nero, Cassie avrebbe
creduto di essersi immaginata tutta
quella scena da incubo.
«Presumo che abbiamo passato il
test», disse Nick, alzandosi e
ripulendosi i jeans. Si passò le dita fra i
capelli fradici e poi tese la sua grande
mano verso Cassie per aiutarla ad
alzarsi.
«In che modo?», chiese Cassie
prendendo la sua mano. «Non
morendo?»
«Mi sembra un buon inizio». Nick
posò il braccio robusto sulle spalle di
Cassie, che aveva il maglioncino zuppo.
«Ti accompagno a casa».
Lei gli rivolse uno sguardo colmo di
gratitudine.
Non
avrebbe
mai
dimenticato il modo in cui l’aveva
protetta. Senza esitare un solo attimo
sarebbe stato pronto a morire per lei.
«Vado a casa solo se vieni con me»,
disse.
«Be’, ti assicuro che non ho alcuna
intenzione di restare qui», disse Nick in
tono scherzoso, cercando di alleggerire
la situazione.
«Nick». Cassie rifiutò di fare un altro
passo fino a quando lui non la guardò
negli occhi.
«Cosa?»
«Grazie», gli disse.
Lui scosse la testa e distolse di nuovo
lo sguardo. «Non devi ringraziarmi».
«Sì, invece».
Nick iniziò a ridere, imbarazzato e
nervoso. Il tipo di risata di quando si
cerca di non piangere. Poi attirò Cassie
a sé e la baciò con affetto sulla fronte,
come farebbe un fratello maggiore.
«Nessun problema», disse.
Capitolo 13
Cassie e Nick sentirono i camion dei
vigili del fuoco che si avvicinavano
mentre camminavano verso casa di
Cassie. Per spegnere gli incendi degli
alberi, immaginò lei. Accelerarono il
passo per non rischiare di essere
accusati di incendio doloso.
Non c’era modo di sapere che tattica
avrebbero usato i cacciatori pur di
distruggerli.
Una volta al sicuro dentro casa di
Cassie,
Nick divenne
frenetico.
«Dovremmo dirlo agli altri», esordì.
«Dovremmo farli venire tutti qui
subito».
I suoi vestiti erano zuppi a causa della
pioggia e i capelli gli colavano bagnati
sul volto.
«Aspetta», disse Cassie, spostandosi
dalla cucina al soggiorno. «C’è ancora
tempo». Prese due grandi asciugamani
dall’armadio della biancheria e ne gettò
uno a Nick. «Asciugati», gli disse.
Lui rise. «Mi sa che siamo un po’
bagnati». Con una mossa agile, si sfilò
la maglietta dalla testa e la gettò nel
lavello della cucina.
Cassie rimase a bocca aperta davanti
al suo torace muscoloso e distolse in
fretta lo sguardo. «Vado a cambiarmi»,
disse, correndo in camera sua. «Torno
subito».
Quando rientrò in soggiorno, Nick
sembrava abbastanza asciutto, e per
fortuna si era rimesso la maglietta. Ma
anche le scarpe, quindi Cassie capì che
stava per andarsene.
«Sai una cosa?», disse Nick
avvicinandosi alla porta. «Vado a casa a
farmi una doccia calda. Poi avvertirò gli
altri di quello che è successo».
Per quanto Cassie volesse che Nick
restasse lì con lei, sapeva di doverlo
lasciare andare. «Una doccia calda mi
sembra una buona idea», disse.
Nick si fermò con la mano sulla
maniglia. «Presumo ti occuperai tu di
avvertire Adam».
Cassie annuì. Ma non appena Nick se
ne andò, riuscì solo a sprofondare nel
divano. Rimase seduta lì per un po’, non
avrebbe saputo dire quanto, e quando
sua madre tornò a casa sobbalzò come
se si fosse appena risvegliata da un
sogno.
«È una giornata così bella», disse sua
madre. «Dovresti andare a fare un giro
in spiaggia».
«No che non dovrei».
Sua madre era appena stata al mercato.
Scaricò borse cariche di frutta e verdura
sul ripiano della cucina, ignara
dell’umore di Cassie. «Hai fame?», le
chiese. «Preparo il pranzo».
«Mamma», disse Cassie, con un tono
che richiedeva attenzione.
«Cosa c’è?», le chiese sua madre,
sedendosi accanto a lei sul divano.
«Cosa è successo?»
«Mi sono presa un bello spavento. Ma
sono abbastanza sicura che siano stati i
cacciatori».
Il volto di sua madre impallidì.
«Quindi non hanno intenzione di
fermarsi con Constance».
Cassie scosse la testa. «Temo di no.
Ho bisogno che tu mi dica cosa sai di
loro». Cassie si accorse che la stava
supplicando.
Sua madre era visibilmente a disagio.
«Non so molto», replicò. «Ma quando
ero più giovane…».
Cassie inspirò facendo il minor
rumore possibile. «Vai avanti».
«Quando stavo con tuo padre».
Cassie cercò di rimanere perfettamente
immobile, di non fare il minimo rumore,
nulla che avrebbe potuto interferire con
il delicato equilibrio di quel momento –
una storia a proposito di suo padre.
«Eravamo in viaggio», disse sua
madre fissando dritto davanti a sé. «Con
alcuni amici. E ci siamo imbattuti in una
famiglia di cacciatori. Una delle nostre
amiche è stata marchiata con un antico
simbolo».
Cassie ripensò alla S che aveva visto
sulla fronte di Constance. «La S
nell’esagono», disse Cassie.
«Sì», sua madre deglutì a fondo. «È il
modo in cui i cacciatori segnano le loro
vittime. Una volta ricevuto il marchio è
quasi impossibile sfuggire alla morte».
Cassie non reagì. Lasciò che sua
madre continuasse.
«Ma tuo padre salvò la mia amica. E
scappammo tutti».
«Quindi non era del tutto malvagio»,
disse Cassie.
Lei cercò di sorridere. «Era potente.
Le persone erano intimorite dalla sua
forza, ma quando gli importava di
qualcosa, la sua lealtà non aveva
eguali». Le tremò la voce. «Ed era
affascinante. Non sono riuscita a
resistergli, amavo il fatto di essere tutta
sua e che lui fosse tutto mio. Ero
speciale ai suoi occhi. Ecco come sono
riuscita a convincerlo a salvare la mia
amica dai cacciatori di streghe. Lo ha
fatto per me. Avrebbe fatto di tutto per
me».
Le scese una sola lacrima sulla
guancia come un ruscello serpeggiante.
Se l’asciugò in fretta con la punta del
dito. «Alla fine ha messo i suoi desideri
davanti a quelli di chiunque altro, ma se
stavo con lui c’era un motivo».
Era un lato totalmente nuovo del padre
di Cassie, un lato che lei non aveva mai
conosciuto e nemmeno preso in
considerazione. E all’improvviso si rese
conto di una cosa. Sua madre aveva
davvero amato John Blake. Era stato
vero amore. Lo stesso che Cassie
provava per Adam. Il tipo di amore che
non scompare solo perché ci si accorge
che la persona che si ama è diversa da
ciò che si pensava.
Quando Cassie ci rifletté, capì perché
per sua madre era così difficile parlare
di lui. Non era né distante né riservata;
stava ancora soffrendo.
Cassie le gettò le braccia al collo e la
strinse forte. «Grazie per avermene
parlato», disse. «Di lui».
Rimase seduta a pensare, cercando di
metabolizzare ciò che aveva appena
scoperto. Cercò di immaginare come
fosse sua madre quando era felice e
innamorata. E immaginò come sarebbe
stato se i suoi genitori fossero stati
ancora insieme. Ma in quell’immagine
mentale suo padre era un uomo normale,
un marito e un padre – non una forza del
male. Era una mera illusione, di nessuna
utilità in quel frangente. Che fosse mai
stato buono o meno, Cassie doveva
ricordarsi di quello che suo padre aveva
fatto.
«Vorrei sapere qualcosa di più utile
sui cacciatori», disse sua madre.
Le si velò lo sguardo per un istante, e
Cassie
dedusse
che
la
loro
conversazione fosse finita. Ma poi sua
madre disse: «Possiamo andarcene sai,
se vuoi. Non dobbiamo restare in questa
città».
«Non posso andarmene», disse Cassie,
presa alla sprovvista. «E tu lo sai».
«Anch’io la pensavo così in passato»,
disse sua madre. «Ma non è vero. Puoi
sempre andartene».
Cassie si mosse con attenzione verso
sua madre. «Sei stata tu a portarmi qui,
ricordi?»
«E posso essere io a portarti via». Sua
madre incrociò il suo sguardo con occhi
taglienti.
«Non scapperò», disse Cassie, con la
voce rotta dall’emozione.
«Non scapperai a causa di Adam».
Sua
madre
lo
disse
come
un’affermazione piuttosto che una
domanda. Come se fosse una debolezza
che conosceva fin troppo bene.
«Non scapperò perché ho fatto un
giuramento», precisò Cassie.
Sua madre iniziò a piangere di nuovo,
non solo una lacrima questa volta ma
tante, come se una diga le si fosse rotta
dentro.
«Non ho mai voluto questo per te»,
disse. «È proprio quello da cui ho
cercato di proteggerti per tutta la vita».
«Lo so». Cassie si sforzò di suonare
intrepida. «Ma il modo migliore in cui
puoi proteggermi adesso è continuare a
parlare con me, continuare a raccontarmi
ciò che ho bisogno di sapere, anche se
per te è difficile. Perché non ho nessun
altro che possa parlarmene».
Sua madre aprì le braccia e Cassie si
lasciò abbracciare.
«Te lo giuro, Cassie», le disse. «Tutto
quello che voglio è che tu sia al sicuro».
Piansero insieme per un po’, tenendosi
strette. A Cassie sembrava che fossero
in lutto, che piangessero per una morte, e
forse in un certo senso era così. A essere
morto era il silenzio che fino a quel
momento le aveva protette. Era morta
qualsiasi parvenza di normalità. Sua
madre le accarezzò la schiena
disegnando piccoli cerchi con le mani e
le disse che sarebbe andato tutto bene,
che ce l’avrebbero fatta, insieme. Per la
prima volta, Cassie si sentì amata come
una figlia.
Più tardi quella sera, Cassie andò da
Adam per parlargli dell’attacco dei
cacciatori
sulla
spiaggia.
Si
incontravano di rado a casa sua e Cassie
si rallegrò per il cambiamento di
scenario. Amava stare in camera di
Adam. Stesa sul suo letto, non poteva
fare a meno di immaginarlo mentre
dormiva, avvolto da quelle stesse
lenzuola, con i tratti che si
ammorbidivano mentre sognava. Si
guardò intorno nella stanza e osservò le
sue cose, gli oggetti quotidiani che non
avrebbero avuto alcun significato per lei
se non fossero stati suoi – i libri di
scuola impilati sulla scrivania, le scarpe
da ginnastica ammassate a caso
nell’armadio e i jeans gettati sul
pavimento. Riusciva quasi a vederlo
tornare a casa da scuola, appoggiare i
libri, calciare via le scarpe e togliersi i
jeans per indossare qualcosa di più
comodo. Provò un improvviso affetto
per l’intera scena mentre la immaginava,
e per ogni oggetto che toccava – per
estensione, era tutto parte di lui.
Adam tornò nella stanza con qualche
spuntino e delle bibite in mano. Si
chiuse la porta alle spalle.
«Scusa per il disordine», disse. «Ho
cercato di ripulire, ma…».
«È perfetto così com’è», disse Cassie.
Si sedette anche lui sul letto e Cassie
provò all’improvviso l’impulso di
iniziare a massaggiargli le spalle,
baciarlo sul volto e sul collo – di
dimenticare tutto della terribile tempesta
sulla spiaggia.
Il respiro di Adam rallentò, e Cassie
poté sentire che stava pensando la stessa
cosa. Le accarezzò la coscia.
«Sei bellissima stasera», disse. «Ma
ero preoccupato per te. Cosa è successo
oggi?». La sua mano risalì dalla coscia
all’anca, il posto in cui più amava
toccarla.
Cassie trasse un profondo respiro e si
sedette. «Sono andata a fare una
passeggiata sulla spiaggia e ho
incontrato Nick», disse. Fece una pausa
per valutare l’espressione di Adam, ma
il suo volto rimase neutrale.
«E sono stata felice di vederlo»,
continuò. «Sai quanto ho cercato di
recuperare la mia amicizia con lui.
Avevamo appena iniziato a parlare
quando il cielo è diventato nero ed è
iniziata una terribile tempesta. Abbiamo
capito immediatamente che si trattava di
qualcosa di sovrannaturale».
«I cacciatori», disse Adam.
Cassie annuì. «Non siamo riusciti ad
andarcene abbastanza in fretta. I fulmini
si abbattevano tutt’intorno a noi. Uno
avrebbe potuto…». La voce le morì in
gola. Cercò di deglutire per sciogliere il
nodo che si era formato. «Nick ha
rischiato la vita per salvarmi, Adam.
Sarei stata colpita se non avesse agito
così in fretta spingendomi via».
Sulla fronte di Adam si formarono
delle increspature, ma fissò dritto la
coperta del letto davanti a sé.
«Si è dimostrato un vero amico in quel
momento», disse Cassie. «Per tutti e
due. Non pensi?».
Adam continuò a tenere gli occhi bassi
per un attimo prima di sollevare lo
sguardo e incrociare il suo. «Sì, hai
ragione», disse, poi si spostò, a disagio.
Cassie riuscì a capire dal modo in cui
serrava la mascella quanto gli desse
fastidio che fosse stato Nick a salvarla,
anche se non lo avrebbe mai ammesso.
«Avrei voluto essere lì, ma sono felice
che tu stia bene». Adam le prese le mani
e le strinse fra le sue. Se le portò alle
labbra e le baciò. «Non so cosa avrei
fatto se fossi rimasta ferita». Le baciò
l’interno dei polsi e risalì lungo
l’avambraccio. Cassie sapeva dove
stava andando a parare. Per quanto
difficile, si costrinse a liberare il
braccio dalla sua presa.
«C’è altro», disse. «Ho parlato con
mia madre. Parlato davvero».
Adam recuperò la concentrazione e si
mise a sedere dritto. «E?»
«Mi ha raccontato di mio padre. Sai
che non era del tutto cattivo, Adam. Lei
lo amava davvero».
Adam non sembrava sicuro di come
reagire. Black John era sempre un
argomento delicato per loro.
«So che è difficile», disse Cassie, «ma
prova a immaginare. Amare qualcuno
come ci amiamo noi, trovare il vero
amore, e poi perdere quella persona per
via del suo lato oscuro».
Adam scosse la testa. «Non voglio
immaginarlo».
«Nemmeno io, quindi pensa a quanto
deve essere stato terribile per la mia
povera madre». Cassie poteva sentire i
sentimenti che la sopraffacevano e
trattenne l’impulso di cominciare a
piangere.
Adam le prese di nuovo le mani.
«Riesco a malapena a pensare a
qualcosa di peggio», disse. «Ma è un
bene che tu lo sappia adesso. Sono
felice che ci sia stata questa svolta con
tua madre».
Cassie lasciò vagare lo sguardo per la
stanza di Adam. Per qualche motivo, in
quel
momento
trovava
difficile
guardarlo. Invece, si concentrò sui
poster attaccati alle pareti, di qualche
band di cui non aveva mai sentito
parlare.
«Sono sicuro che fosse facile
innamorarsi di tuo padre», disse Adam.
«Era un uomo carismatico, un leader
naturale. Tua madre è intelligente – non
si sarebbe messa con lui se fosse stato
diverso. Quello che è successo non è
stata colpa sua».
A volte Adam sapeva proprio dire la
cosa giusta. Fu un cambiamento
impercettibile nella mente di Cassie, ma
all’improvviso si sentì a proprio agio.
Se Adam non incolpava sua madre, in un
certo senso significava che non
incolpava nemmeno Cassie. Lo guardò
negli occhi e tese la mano verso di lui.
«La cosa importante è che tu stia
bene», disse Adam, permettendole di
attirarlo a sé. «E che noi stiamo
insieme».
Cassie si stese e Adam si accomodò
accanto a lei, stringendola a sé. Lo
amava così tanto da far quasi male.
Sentiva che non ne avrebbe mai avuto
abbastanza di lui.
Adam la baciò con passione e poi si
fermò per un istante. «Con tutto quello
che sta succedendo», disse. «Sono solo
sollevato…».
Cassie gli posò le dita sulle labbra per
zittirlo. «Basta parlare», disse, e lo
attirò a sé.
Capitolo 14
«Bene», disse Diana. «Non abbiamo
molto tempo. Chi ha qualcosa da
riferire?».
Il circolo stava pranzando nel nuovo
punto che aveva reclamato, un piccolo
pezzetto di bosco accanto a uno degli
stretti sentieri al margine della scuola –
un rifugio verde ed erboso riparato da
alte betulle e meli rigogliosi. Adam lo
aveva suggerito come nuovo ritrovo
dell’ora di pranzo per i mesi più caldi.
Tutti gli sguardi si puntarono sui
fratelli Henderson. Avevano ricevuto
una missione quella mattina: lanciare
una fialetta maleodorante durante la
terza ora di matematica. Il piano era
essere mandati insieme nell’ufficio del
nuovo preside, dove avrebbero potuto
far squadra e cercare delle prove. Il
circolo stava indagando su chiunque
fosse nuovo in città, ma il preside era il
numero uno nella loro lista di potenziali
cacciatori.
«Non dovremmo aspettare Faye?»,
chiese Deborah mentre spacchettava il
pranzo.
«Ultimamente non facciamo altro che
aspettare Faye», disse Melanie. «Se ha
trovato un posto migliore dove stare,
allora dovremmo fare a meno di lei».
«Ti ho sentita», gridò Faye dall’inizio
del sentiero. Si avvicinò a loro
lentamente.
«Come dicevo». Diana alzò la voce.
«Chris, Doug, avete trovato qualcosa?».
Faye arrivò in fondo al sentiero giusto
in tempo per dare un colpetto alle
costole di Doug con il suo stivale nero
appuntito. «Vai avanti, dillo. Non avete
trovato niente».
«Non abbiamo trovato niente», disse
Chris, mentre Doug restava in silenzio.
«Ma non perché non ci abbiamo
provato. Mr Boylan sembra un tipo a
posto».
«Non me la bevo», disse Nick.
«Arriva in città e succede il
pandemonio. Sarebbe troppo sperare in
una
coincidenza.
Dovremmo
interrogarlo,
continuare
con
le
ricerche».
Cassie si accorse che Nick la stava
guardando.
«Non c’è bisogno di essere avventati»,
disse Diana.
Nick scoppiò in una fragorosa risata.
«Sì invece».
Nick era completamente diverso da
Adam, che era sempre così virtuoso.
Persino le sue ricerche avventurose
erano basate sulla devozione, mai,
nemmeno per un attimo, si era trattato di
una forma di rivolta.
Mentre Cassie osservava Adam, si
rese conto di come scattasse intorno al
gruppo, sempre pronto ad agire da
mediatore per cercare di mantenere la
pace. Per lui l’unità del circolo
significava più di ogni altra cosa.
Ecco cos’era. La cosa che le strisciava
in fondo alla mente da quando avevano
litigato l’altra notte, la cosa che non era
riuscita a identificare.
Ma in quel momento capì e
l’inconfutabile verità le risuonò nella
mente: per Adam niente veniva prima
del circolo. Nemmeno lei.
Come se la sua discreta rivalità con
Diana non fosse abbastanza, Cassie si
rese conto che avrebbe dovuto lottare in
eterno contro il circolo come se fosse
un’altra donna – una donna a cui Adam
era più leale che a lei. Come aveva fatto
a non rendersene conto prima?
Diana, che aveva a malapena toccato
la sua insalata, rivolse un’occhiata a
Adam e si schiarì la gola. «E avete tutti
evitato gli esterni come avevamo
deciso?».
Cassie gettò il suo burro di noccioline
e gelatina nel fazzoletto. «Non c’è
bisogno di essere così vaghi, Diana,
sappiamo tutti cosa intendi per esterni».
Melanie e Laurel abbassarono lo
sguardo sul loro pranzo. L’improvvisa e
insolita insolenza di Cassie le metteva
ovviamente a disagio. Suzan e Sean si
guardarono a occhi sgranati e il volto di
Deborah si irrigidì. Ma Cassie si
accorse che Nick stava sorridendo,
divertito dal suo scatto.
«Rissa, rissa», gridò Faye sfregandosi
i palmi. «Ricordate, ragazze, vietato
tirarsi i capelli».
Ma Diana rimase pacata come sempre
e non si mise sulla difensiva. «Quella
regola si applica indistintamente a tutti
gli esterni, Cassie. Non si tratta solo
della tua amicizia con Scarlett».
Cassie sentì le guance arrossarsi e il
collo che si surriscaldava. «Devi
credermi», disse con voce tremante.
«Non c’è niente di strano in Scarlett.
Solo perché è un’esterna non significa
che sia una nostra nemica».
«No?», disse Faye con fare sardonico.
«Non puoi esserne sicura», insisté
Diana. «Non sappiamo quasi niente di
lei».
«Sì che posso». Cassie aveva alzato la
voce. «So ciò che vedo quando la
guardo. E mi fido della mia vista».
Per Cassie era un colpo basso
menzionare la sua vista – un modo per
ricordare a Diana che era l’unica ad
avere il dono delle visioni psichiche.
«Attenzione», disse Faye. «Cassie ha
tirato fuori l’artiglieria pesante».
«La tua vista potrebbe essere
annebbiata», disse Diana in tono rigido.
Ma Cassie replicò all’istante.
«Annebbiata da cosa?»
«Dal fatto che sei stata ossessionata da
lei dal secondo in cui vi siete
incontrate», sbottò infine Diana,
perdendo il sangue freddo.
«Ah». Faye batté le mani. «Finalmente
salta fuori la verità. Diana è gelosa che
Cassie abbia trovato una nuova migliore
amica!».
Una serie di risatine attraversò il
gruppo. Suzan e Deborah annuirono in
segno di approvazione.
«Un difetto nella perfetta superficie
marmorea della nostra Diana», disse
Faye. «Mi piace».
«Non sono gelosa». Diana posò i suoi
occhi verdi direttamente su Cassie.
«Sì che lo sei», disse Cassie.
Diana era rimasta senza parole dopo
l’ultimo attacco, ma rifiutò di distogliere
lo sguardo da Cassie. Nemmeno Cassie
aveva intenzione di farlo. In quel
momento tutta la frustrazione, la
confusione e la rabbia che aveva
provato perché Diana aveva rifiutato
Scarlett ed era andata da Adam di
nascosto
sembrarono
risbocciarle
dentro. E di rimando le giungevano la
delusione e l’indignazione di Diana per
l’audacia che aveva dimostrato sfidando
lei e il gruppo. Era uno stallo di volontà.
Era a questo che erano arrivate? Uno
scontro meschino. Nessuno si mosse o
disse una parola, e per un attimo Cassie
pensò potesse continuare per sempre.
Ma poi ovviamente, Adam si
intromise. «Andiamo avanti», disse.
«Non abbiamo molto tempo e c’è ancora
molto da discutere. Diana, Deborah,
diteci che è successo quando avete
seguito Max».
Quando Max venne menzionato Faye
urlò immediatamente per la rabbia.
«Avete fatto cosa?».
Ormai Diana aveva una nuova
discussione di cui occuparsi, quindi
reindirizzò tutte le sue energie verso
Faye. «Non lo abbiamo ancora accusato
di niente. Non c’è bisogno di reagire in
maniera eccessiva».
«Ho un sacco di motivi per reagire in
maniera eccessiva. Me lo avete tenuto
nascosto».
«È un esterno ed è nuovo in città»,
disse Deborah. «Sapevi che era sulla
nostra lista».
«E lo abbiamo seguito dritto a casa
tua», disse Diana, calma come un lago
placido.
Il gruppo, come fosse stato un muro
compatto, venne attraversato da una
scossa, che lo crepò dividendoli.
Quell’incontro si stava rivelando molto
più movimentato di quanto chiunque
avesse immaginato.
«Era a casa tua?», Melanie sgranò gli
occhi grigi.
«Quindi adesso siete in due ad aver
infranto la regola che prevedeva di
limitare i contatti con gli esterni»,
osservò Laurel con una punta di
provocazione nella voce di solito
pacifica.
Suzan sbottò con la bocca mezza
piena: «Ma Max non voleva avere niente
a che fare con Faye. La evita da
settimane».
Deborah scosse la testa, incredula,
«Be’, qualcosa è cambiato. Adesso le
interessa. Ha lasciato perdere la sua
facciata da “sono il più figo di tutti” e si
è messo a scodinzolare dietro a Faye
come un cucciolo bisognoso. Ha persino
saltato gli allenamenti di lacrosse per
andare da lei. Sembrava quasi vittima di
un incantesimo…».
Non appena Deborah pronunciò la
parola “incantesimo”, tutti capirono
all’istante.
Adam fulminò Faye con i suoi occhi
blu elettrico. «Non l’hai fatto», disse.
«Dimmi che non l’hai fatto».
Ma lo sapevano tutti. Ecco perché
Faye era stata così impegnata, perché
arrivava in ritardo agli incontri e
manteneva il riserbo su quello che stava
facendo. Faye aveva lanciato un
incantesimo d’amore per conquistare la
sua preda.
«Avevi
giurato», disse Adam.
«Avevamo giurato tutti di non praticare
nessuna magia».
Faye agitò verso Adam le sue lunghe
unghie rosse, come per cancellarlo dalla
sua vista. «Non è niente. Un incantesimo
d’amore può a malapena definirsi
magia».
Melanie si spostò di fianco a Adam.
Era più arrabbiata di quanto Cassie
l’avesse mai vista. «Adesso ci
troveranno, sai. I cacciatori».
«Rilassati». Faye rise. «Non sono
cacciatori di cupido. Non se n’è accorto
nessuno. E non succederà mai».
«Ma basta una svista perché si
accorgano di noi», disse Nick. Aveva le
mani strette a pugno e il respiro pesante.
«Non possiamo permetterci di fare
errori».
Faye si voltò di scatto e si lanciò
verso Nick. «Perché non vai a dirlo a
Cassie?»
«Cassie non ha fatto niente di male. Tu
sì». Nick strinse ancora di più i pugni.
«Ne sei sicuro?». Faye spintonò Nick
con forza.
«Basta così», urlò Diana. «Questa
discussione non ci sta portando a niente,
e dobbiamo tornare in classe.
Riprendiamo dopo».
“Ma come?”, pensò Cassie. Come
sarebbero riusciti a rimettere insieme
tutti i pezzi? Ciascuno recuperò con
lentezza le proprie cose e iniziò a
tornare verso l’edificio scolastico, ma
Faye rimase immobile. «Fate sul serio?
Ve ne andate? Il divertimento era appena
iniziato».
Melanie le diede una gomitata,
passandole accanto, ma Faye rimase
imperturbabile. Si rivolse a Cassie in
tono divertito. «La nuova versione
arrabbiata di Melanie mi piace molto di
più di quella vecchia, noiosa e
ragionevole, tu che ne pensi?».
Cassie la ignorò, cacciando i resti del
suo sandwich nel sacchetto di carta.
«Anche la nuova versione gelosa di
Diana non è male», continuò Faye. «E la
versione bugiarda di Cassie, be’, quella
non è così nuova».
Attirarla in una lite era proprio ciò che
Faye voleva, ma Cassie non poteva più
ignorarla. La fissò dritto negli occhi.
«Non so di cosa tu stia parlando», disse.
«E non mi interessa nemmeno».
Faye tese la mano e afferrò il mento di
Cassie con le sue dita forti. «Dovrebbe
interessarti».
Cassie
trattenne
l’impulso
di
allontanarsi. La pietra rossa che Faye
portava al collo rifletteva la luce del
sole negli occhi di Cassie, bruciandoli,
ma lei sostenne il suo sguardo. «Non ho
paura di te», disse, stretta nella presa di
Faye.
«Un altro dei tuoi molti stupidi
errori». Faye strinse con più forza le
dita sul mento di Cassie.
«Ehi! Lasciala andare». Era stato Nick
a parlare dall’inizio del sentiero.
Ridendo, Faye la liberò. «Questa qui
sa prendersi cura di sé, Nicholas. Non
ha bisogno che tu la salvi. Non è vero,
Cassie?».
Cassie risalì il sentiero fino a
raggiungere Nick mentre Faye urlava:
«Non sarai mai Adam, Nicholas. Non
importa quanto ci provi».
Cassie percorse il sentiero con lo
sguardo fino a Faye, sentendo il fuoco
nelle viscere risalirle fino in gola.
«Faye, sei patetica. E nel profondo sei
debole, molto più di me. Non
costringermi a provarlo».
Faye si leccò le labbra rosso sangue e
poi si passò la lingua sui denti con fare
seducente. «Così si fa», disse. «Fammi
vedere ancora il tuo lato oscuro,
Cassandra. È quello che mi interessa».
Capitolo 15
Ci volevano dieci minuti a piedi fino
alla casa del faro, un tempo sufficiente
perché Cassie regolasse il battito
cardiaco e si riempisse i polmoni di aria
fresca. Parte della tensione che fino a
poco prima aveva impensierito i membri
del gruppo si era dissipata. Cassie
pensò che avessero perdonato Faye
troppo in fretta per aver eseguito
l’incantesimo d’amore, ma era troppo
sollevata di vedere tutti andare di nuovo
d’accordo per farlo presente. Inoltre,
anche lei era stata perdonata per essere
uscita con Scarlett.
Era stata Diana a suggerire di andare
tutti e dodici a piedi verso la casa del
faro, e loro avevano accettato. Cassie
pensò che anche guidare fin lì non
sarebbe stato male, tuttavia camminare
lungo la strada illuminata dalla luna
insieme al gruppo dei suoi più cari
amici era un’esperienza impareggiabile.
La faceva sentire invincibile, e parte di
qualcosa di molto più grande e
importante di lei stessa.
C’era la luna piena, e Laurel aveva
portato con sé un sacchetto di biscotti
appena sfornati. Era una vecchia ricetta
di famiglia che lei variava, utilizzando
delle foglie spezzettate di artemisia,
un’erba che doveva essere raccolta e
mangiata con la luna piena. Secondo
Laurel i biscotti favorivano la
divinazione, la chiaroveggenza e i poteri
psichici, ma Cassie e gli altri se ne
riempirono
la
bocca
mentre
camminavano perché erano squisiti.
Tutte le altre caratteristiche costituivano
solo un incentivo.
Adam cercò la mano di Cassie, e
quando la prese, lei non la tirò via. Era
ovvio che nell’ultimo periodo Cassie
fosse stata irritabile, ma in quel
momento andava tutto bene e la sua
connessione con Adam era forte. Quella
stretta la rassicurava: nonostante tutto
ciò che avevano da temere, non era sola,
e insieme avrebbero potuto sopportare
qualunque cosa.
La notte era corroborante. Gli alberi
sopra di loro profumavano di fiori e il
terreno sotto le scarpe di Cassie era
umido di rugiada. Mentre camminavano
furono invasi da una rara spensieratezza.
Non solo Cassie e Adam, ma tutto il
gruppo. Strillarono lungo la strada,
scherzando l’uno con l’altro e sbattendo
contro i secchi della spazzatura. Chris
sfidò Doug a correre per il resto del
tragitto, ed entrambi si lanciarono subito
in avanti per determinare il vincitore. Si
fermarono di botto: erano rimasti tutti
senza fiato.
Sembrava impossibile. La casa del
faro era stata data alle fiamme. Al suo
posto c’era una pila di fuliggine e
cenere.
Cassie fu attraversata dal pensiero
irrazionale di essere arrivata nel posto
sbagliato. Come era possibile che un
edificio così saldo e resistente, così
costante nella sua vigilanza, fosse stato
ridotto in quello stato? Ma la rabbia
negli occhi di Adam la costrinse ad
accettare la dura verità. Non solo la
casa del faro era persa per sempre, ma
qualcuno l’aveva distrutta di proposito.
Melanie parlò per prima. «Era un
edificio storico», disse. «Era lì da tipo
trecento anni».
«È a questo che stai pensando
adesso?», disse Nick. «Che ne dici del
fatto che i cacciatori sanno esattamente
dove trovarci?».
Diana posò la mano con gentilezza
sulla spalla di Nick. «Aspetta, non
dovremmo saltare a conclusioni
sbagliate. Non sappiamo per certo che
siano stati i cacciatori».
Nick scrollò via la mano di Diana.
«Questo è un messaggio, forte e chiaro.
Quanto più chiari vorresti che
fossero?».
Diana si voltò verso Melanie e Laurel.
«Voi due siete state le ultime a venire
qui, giusto? Siete sicure di non aver
lasciato per caso delle candele
accese?».
Melanie sgranò gli occhi. «Stai
accusando noi di aver dato fuoco alla
casa?»
«Non sto accusando nessuno», disse
Diana. «Solo chiedendo».
Cassie non poteva sopportare di
ascoltare altre discussioni. Si fece
strada sull’erba, verso il punto in cui si
era trovato l’ingresso della casa.
Sentì Adam schierarsi al fianco di
Diana contro Melanie e Laurel.
«Sarebbe meglio per tutti se foste state
voi a bruciarla», disse. «Almeno
sapremmo per certo che si è trattato di
un incidente e non di un atto di…».
«Non è stato un incidente», gridò
Cassie verso di loro. La sua voce
echeggiò nello spazio che li separava
come un’onda dell’oceano. Proprio
dove prima si trovava l’ingresso alla
casa del guardiano del faro c’era per
terra un simbolo ridotto in cenere. Lo
stesso che era apparso sulla fronte di
Constance.
Adam fu il primo a raggiungerla. «Il
simbolo dei cacciatori», disse, un attimo
prima che gli altri si mettessero in fila
dietro di lui. Anche loro adesso lo
vedevano. Non potevano non vederlo.
«La congrega è stata marchiata», disse
Cassie.
«Faye, è tutta colpa tua», urlò Nick.
«Perché non hai potuto fare a meno di
usare la magia».
Per una volta Adam era d’accordo con
Nick. «Hanno seguito il tuo incantesimo
d’amore».
«Te l’avevo detto», disse Melanie. «Te
l’avevo detto che sarebbe successo».
«Basta così!», gli occhi di Faye si
accesero di rabbia. «Perché siete così
sicuri che sia stata colpa mia?».
Indicò Diana con la sua lunga unghia
rossa. «Sei sempre così attenta a non
saltare a conclusioni affrettate. Fermati
un attimo e pensa a chi potrebbe essere
il vero responsabile».
Poi Faye girò il collo per lanciare uno
sguardo truce a Cassie, continuando a
fronteggiare Diana. «Penso che sia
ragionevole sospettare di Scarlett»,
disse. «Soprattutto considerando che
Cassie l’ha portata qui proprio l’altro
giorno».
Cassie rimase in silenzio.
«Ti ho vista», disse Faye.
«Non cercare di scaricare la colpa su
di me», sbottò Cassie, ma fu tutto ciò
che poté dire. Non poteva negarlo.
Adam e Diana la fissavano con
identiche espressioni di incredulità.
«È vero?», chiese Adam. «Hai portato
Scarlett alla casa del faro?».
Cassie abbassò gli occhi, fissando il
terribile simbolo bruciato al suolo, con
la sua S sinuosa e l’esagono dall’aspetto
satanico. Quella non era opera di
Scarlett. Ne era sicura.
«Cassie, come hai potuto?». Diana non
riuscì a contenere l’esasperazione.
Cassie rivolse un’occhiata di supplica
al volto infuriato di Diana. «Era con me
quando sono passata a lasciare delle
erbe per Melanie e Laurel», disse
Cassie. «Ma non l’ho fatta entrare e non
le ho detto niente. Te lo giuro, lei non
c’entra con tutto questo».
«Non avresti nemmeno dovuto essere
con lei», disse Melanie. «E l’hai portata
in un luogo sacro per noi».
Faye si stava godendo il bagno di
sangue che aveva innescato. Come era
stato facile distogliere l’attenzione dal
suo incantesimo d’amore. Si rivolse al
gruppo. «Quello che ha fatto Cassie è
imperdonabile», disse con cattiveria.
«Ci ha traditi».
«Anche tu ci hai traditi, Faye», disse
Cassie. «E come hai fatto a sapere che
ho portato Scarlett alla casa del faro?
Mi stavi forse spiando?»
«Non è questo il punto», si intromise
Diana. «Sono d’accordo con Faye a
questo proposito. Portare Scarlett alla
casa del faro è stato un atto di
tradimento. E adesso abbiamo bisogno
di essere uniti più che mai. Non
possiamo fidarci di nessun esterno, in
nessun caso».
Cassie perse il briciolo di controllo
che le era rimasto. «Quindi fammi
capire bene», disse. «La tua idea di
unione è prendere le parti di Faye?».
Adam rispose a nome di Diana. «È per
il tuo stesso bene, Cassie. Scarlett non è
una di noi. E in nessuna circostanza
avrebbe dovuto avvicinarsi al nostro
luogo d’incontro».
«Forse sono io a non essere una di
voi», sbottò Cassie prima di riuscire a
fermarsi.
Quella per Diana fu la goccia che fece
traboccare il vaso. A quel punto urlò a
un volume di cui Cassie non l’avrebbe
mai ritenuta capace. «Ma certo che sei
una di noi, Cassie. Sei più importante
per questo circolo di chiunque altro.
Credi che non ce ne rendiamo conto?».
Poi si voltò verso Faye. «E tu non
credere di passarla liscia. Cassie ha
ragione quando dice che anche tu ci hai
tradito. Max è off limits, proprio come
la tua magia».
«Altrimenti?», disse Faye.
Diana non sbatté nemmeno le
palpebre. «Altrimenti dovrai rinunciare
ai tuoi privilegi di leader di questo
circolo».
Passò qualche secondo prima che
Adam interrompesse il silenzio che
seguì. «La congrega è stata marchiata»,
disse. «Ma i cacciatori sanno chi siamo,
individualmente?»
«Bella domanda», disse Melanie. «In
ogni caso, dobbiamo trovare un modo
per combatterli».
«Giusto», disse Diana. La sua voce
recuperò il timbro angelico. «Volevo
condividere con voi una cosa molto
importante stasera. Prima di tutte queste
sorprese».
Fissò prima Cassie e poi Faye,
rimproverandole con lo sguardo. Poi
frugò nella borsa ed estrasse il suo
Libro delle ombre.
«Ho trovato un incantesimo», disse.
«Un incantesimo per distruggere i
cacciatori di streghe».
«Cosa?», chiese Adam. Sembrava si
sentisse oltraggiato per essere stato
tenuto all’oscuro di quella scoperta.
«Perché non ci hai detto niente prima?»
«Non ero sicura che fosse ciò che
pensavo», disse Diana in sua difesa. «Il
testo era per la maggior parte in latino
ed era necessario tradurlo. Ma adesso
sono sicura. Ecco perché volevo
incontrarvi stasera, per dirlo a tutti
contemporaneamente».
«Eseguiamo l’incantesimo subito»,
disse Melanie, con un tono speranzoso,
per la prima volta dopo diversi giorni.
Diana scosse la testa. «Prima
dobbiamo sapere con certezza chi sono i
cacciatori».
Nick rivolse un’occhiata a Chris e
Doug. «Facciamolo sul preside. Siamo
abbastanza sicuri».
«No». Gli occhi verdi di Diana
brillarono. «L’incantesimo funzionerà
solo su un vero cacciatore. Se
cerchiamo di provarlo su qualcuno che
non lo è, non faremo altro che esporci.
Per non parlare del fatto che faremmo
del male a un innocente».
«Wow, che novità», disse Faye.
«Abbiamo un incantesimo che non
possiamo usare».
«Lo useremo». Adam rivolse un’ultima
occhiata al simbolo bruciato al suolo.
«Quando colpiranno di nuovo. A questo
punto, credo possiamo star certi che
accadrà».
«Ma poi cosa succede?», chiese
Melanie. «Se eseguiamo l’incantesimo. I
cacciatori moriranno?».
Diana esitò. «Non è molto chiaro. Il
testo
lascia
molto
spazio
all’interpretazione, ma sembra che
l’effetto dell’incantesimo dipenda dal
cacciatore».
«Quindi potrebbero morire», disse
Melanie.
«Fammi dare un’occhiata». Faye
strappò il Libro delle ombre dalle mani
di Diana e analizzò la pagina. Mentre i
suoi occhi si muovevano avanti e
indietro sulla pergamena antica, sembrò
trattenere il respiro e indietreggiare
incredula al cospetto di quelle parole.
«Questo non è un incantesimo», disse
Faye. «È una maledizione».
Diana fissò lo sguardo a terra. «Sì»,
disse.
«Tecnicamente
è
una
maledizione».
All’improvviso Faye fu intorbidita
dall’eccitazione. «È simile a un
incantesimo di deviazione per rispedire
al mittente il potere del cacciatore, ma
questo si affida a Ecate. Potrebbe
essere…». Non riusciva a trovare la
parola giusta.
«Pericoloso», disse Diana. «Lo
useremo solo come ultima risorsa».
Capitolo 16
La pioggia era fine, e nonostante fosse
notte, le strade erano piene di persone.
Scarlett aveva invitato fuori Cassie
quella sera. Ovviamente lei aveva
rifiutato, ma desiderò non averlo fatto.
Era proprio quello che le serviva per
liberare la mente – aveva bisogno di
vedere altra gente, qualcuno che non
appartenesse al circolo. Decise di
guidare fino in città. Anche se non
poteva unirsi a gruppi di persone che
conducevano le loro vite normali,
poteva almeno guardarle da dentro la
sua Volkswagen.
Ma non era nemmeno arrivata a Bridge
Street quando la pioggerellina si tramutò
in un nubifragio. Tutti coloro che si
trovavano in strada scapparono a
rifugiarsi nei negozi e nei ristoranti,
alcuni si ripararono sotto androni e nei
sottopassaggi.
Cassie era asciutta e al sicuro dentro
la sua macchina, e si sentì come
all’interno di una palla di vetro di quelle
con la neve che qualcuno aveva appena
agitato, sommersa dalla pioggia gelida
da ogni lato ma allo stesso tempo
inviolata.
E poi all’improvviso si sentì privata
di quella sicurezza. Il cuore iniziò a
martellarle nel petto e cominciò a
sudare. Sentiva di essere seguita, ma non
vide nessuna macchina dietro di lei.
Continuò a controllare lo specchietto
retrovisore, ma non scorse altro che la
scura umidità del suo stesso lunotto.
Decise di fare comunque una deviazione
nella speranza di scrollarsi di dosso
quella sensazione.
Girando con decisione il volante, si
immise in Dodge Street, una strada
isolata che l’avrebbe condotta di nuovo
a quella principale. Dovette rallentare
per affrontare le numerose curve
serpeggianti, ma quando spinse sul
pedale del freno, il piede esercitò
pressione a vuoto.
Provò di nuovo e ancora un’altra
volta, ma non successe niente. I freni non
funzionavano.
All’improvviso le sembrò che la
macchina accelerasse, un vascello
furibondo che la conduceva alla morte.
Non poteva fermarlo, e sollevare il
piede dal pedale del gas non sarebbe
servito a molto. Nel panico, afferrò il
volante e cercò di deviare verso il
margine della strada, dove forse l’erba
avrebbe
rallentato
la
macchina
abbastanza da farla fermare.
Ma non fu così. L’unica speranza di
Cassie era saltare fuori mentre la
macchina avanzava a tutta velocità.
Afferrò la maniglia dello sportello in
preda al terrore e lo aprì con una spinta.
Tuttavia, prima che avesse la possibilità
di gettarsi fuori, l’auto andò a
schiantarsi contro una grande quercia
dal tronco imponente.
Perse conoscenza per un attimo, o
forse più a lungo. Quando aprì gli occhi,
vide che era stata sballottata fuori dalla
macchina dal parabrezza. Controllò
braccia e gambe per vedere se riusciva
a muoverle e si tastò il volto in cerca di
sangue. Incredibilmente, stava bene.
L’auto però era distrutta. Guardandola
attraverso la pioggia scura, a Cassie
ricordò una lattina schiacciata che si
adattava alla forma dell’albero. Era un
miracolo che lei fosse illesa.
Si alzò lentamente, continuando a
guardarsi intorno: si rese conto che la
presenza maligna era sparita. Qualunque
creatura oscura l’avesse seguita adesso
era scomparsa, ma Cassie non riuscì a
scrollarsi di dosso la sensazione che
quello non era stato un incidente.
A quel punto le si riempirono gli occhi
di lacrime. Non era un miracolo. Era
stato l’incantesimo di protezione a
salvarla.
Cassie non voleva, ma sapeva di
doverlo fare. Si controllò il corpo e i
vestiti in cerca di quell’orribile simbolo
antico. Le ricordò la ricerca delle tracce
di un cervo dopo una giornata nei
boschi, solo che in quel caso se avesse
trovato ciò che cercava significava che
sarebbe morta. Fu sollevata di non
trovare nulla. Qualcuno aveva cercato di
ucciderla, ma almeno non era stata
marchiata.
Cassie estrasse il cellulare con mani
tremanti per chiamare aiuto. Ma lì fuori
in mezzo al nulla il segnale non
prendeva. Cadde in preda al panico. Era
bloccata lì fuori, come un bersaglio
immobile.
Non sarebbe mai dovuta uscire da
sola, senza dire a nessuno dove stava
andando. Era stata ingenua a pensare che
i cacciatori non l’avrebbero colpita di
nuovo alla prima occasione. Non c’era
modo di sfuggire.
Cassie non riuscì a smettere di tremare
mentre aspettava sotto la pioggia
battente, nella speranza che un gentile
sconosciuto passasse di lì. Tuttavia ogni
suono e ogni ombra la mettevano in
allerta, e, quando una macchina
metallizzata rallentò per fermarsi
davanti a lei, si irrigidì. Poi però
riconobbe il volto all’interno. Era
Scarlett.
«Oh, mio Dio, stai bene?». Scarlett
saltò fuori dalla macchina e corse verso
Cassie, lasciando lo sportello aperto.
«Sei ferita?»
«Sto bene», disse Cassie, emettendo
un sospiro di sollievo alla vista di un
volto familiare.
Scarlett la abbracciò, stupita quasi
quanto era stata Cassie dopo aver visto
la macchina distrutta. «Saresti potuta
morire», disse. «E sei bagnata
fradicia!».
Corse verso il baule della macchina e
recuperò un’enorme coperta di lana. La
avvolse intorno a Cassie e le sfregò le
braccia fino a quando non si
riscaldarono.
Cassie era troppo terrorizzata
dall’incidente per resistere.
«Va tutto bene», disse Scarlett, la sua
voce era confortevole come la pesante
coperta sulle spalle di Cassie. «Ti porto
a casa».
Il giorno successivo, a scuola
parlavano tutti del recente incontro di
Cassie con la morte. Per quanto
macabro, era come se l’incidente le
avesse fatto guadagnare popolarità.
Persino Portia Bainbridge si fece strada
attraverso il corridoio affollato per dare
un’occhiata a Cassie davanti al suo
armadietto. Alzò davanti a lei il naso
affilato e ridusse a fessure i freddi occhi
color nocciola. «Sono così felice che il
tuo bel faccino non si sia rovinato
quando sei volata fuori dal parabrezza»,
disse.
Un pensiero attraversò la mente di
Cassie: era stata Portia a manomettere i
freni della macchina, o uno dei suoi
testardi fratelli?
Ma Portia aveva smesso di
intromettersi nelle faccende del circolo
dopo aver fallito miseramente l’autunno
precedente. Da allora era stata distratta
da un nuovo fidanzato e sembrava che
pensasse a malapena a qualcos’altro. E i
suoi fratelli, Jordan e Logan, erano
entrambi al college. Cassie lo avrebbe
saputo se fossero tornati sull’isola.
In quel momento, Sally Waltman si
mise al fianco di Cassie. Più bassa di
Portia di tutta la testa, Sally incrociò
comunque le braccia con tutta la ferocia
di una persona più alta e forte. «Ne ha
passate troppe, Portia», disse Sally.
«Non ha bisogno anche delle tue
molestie».
Portia si accigliò. «Non dimenticare
da che parte stai, Sally. Non vorrai
essere confusa per una di loro, vero?
Rischieresti di farti male».
«Lascia perdere». Sally trascinò via
Portia di forza per il braccio.
«Andiamo, faremo tardi», disse, e gettò
a Cassie un’occhiata di scuse da sopra
la spalla.
Che Sally si opponesse a Portia
significava
molto,
soprattutto
considerando che in passato era stata
una delle più acerrime nemiche del
circolo. Visto che la relazione del
gruppo con Sally era tanto migliorata,
Cassie non capiva perché non potessero
accettare altri esterni ben disposti, come
Scarlett. Non erano tutti spregevoli
come Portia. Perché il circolo non
riusciva a capirlo?
A pranzo, il gruppo si radunò nel
nuovo punto di incontro fra i boschi e
mitragliò Cassie di domande. Lei
raccontò loro della brutta sensazione che
aveva avuto poco prima dell’incidente e
del modo in cui i freni non andavano, ma
tenne per sé qualche dettaglio.
Era esausta, sia dal punto di vista
fisico che emotivo, e non sarebbe
riuscita a gestire la loro possibile
reazione se avesse raccontato che era
stata Scarlett ad apparire proprio dopo
l’incidente.
«Ma c’era qualche indizio su chi
potessero essere i cacciatori che hanno
fatto questo?», chiese Diana.
«No», disse Cassie. «Nessuno».
«Ho visto che Portia ti infastidiva
davanti all’armadietto questa mattina»,
osservò Nick. «È stata fuori dal nostro
radar troppo a lungo, non mi fido di lei».
Diana sembrava dubbiosa. «Non è una
cattiva idea considerare Portia e i suoi
fratelli come possibili sospetti».
«E Sally Waltman», disse Suzan.
Diana scosse la testa. «Sally è sempre
stata onesta con noi. Di tutti gli esterni,
credo sia quella con minori intenzioni di
farci del male».
«Vi state facendo distrarre», disse
Deborah. «Questi cacciatori sono forti.
Chiunque siano, non erano mai stati in
città prima, o ce ne saremmo accorti».
Melanie era d’accordo. «Quel simbolo
antico non è stato fatto da nessuno dei
nostri compagni di scuola».
Adam stava camminando avanti e
indietro come faceva sempre quando era
nervoso. Non si era calmato un attimo da
quando aveva saputo dell’incidente.
«Avrei preferito che mi avessi
chiamato», disse a Cassie. «Come hai
fatto a tornare a casa?».
Cassie esitò.
Era una domanda semplice. Non era
necessaria una pausa così lunga per
rispondere, e tutto il gruppo se ne
accorse.
Adam si irrigidì e si voltò verso Nick
con fare accusatorio. «Ti ha chiamato?
Sei stato tu ad accompagnarla a casa?».
Nick parve colto alla sprovvista
dall’accusa di Adam, ma replicò,
mettendosi subito sulla difensiva. «No,
non mi ha chiamato. Ma vorrei che lo
avesse fatto», disse.
«Smettetela, tutti e due». Cassie non
aveva scelta. Doveva dire loro la verità.
«Non ho dovuto chiamare nessuno per
farmi venire a prendere». Fece una
pausa, senza alcun desiderio di
proseguire. Si guardò le scarpe.
“Scappa”, pensò. “Scappa via da questo
momento terribile”. Ma non c’era nessun
posto dove fuggire, e lei lo sapeva. Con
tono quasi inudibile disse: «Scarlett è
passata di lì per caso con la macchina. È
stata lei a portarmi a casa».
Adam scosse la tesa e scansò Nick,
che a sua volta aveva abbandonato la
sua posa aggressiva. Diana si appoggiò
all’albero più vicino in cerca di
sostegno. Erano tutti senza parole, ma
Faye aveva pronte quelle giuste per
annunciare ciò che l’intero gruppo stava
pensando.
«Ma certo», disse. «Scarlett passava
di lì per caso e ti ha trovata nel bel mezzo del nulla. Che
coincidenza fortunata!».
Cassie non poteva sopportarlo.
L’ultima persona a cui doveva una
spiegazione era Faye. Fece un passo
verso di lei con audacia. «Perché
avrebbe dovuto aiutarmi se stava
cercando di farmi del male?»
«Ti stai comportando da stupida»,
disse Deborah, senza trattenere una
traccia di disgusto. «Non può essere
stata una coincidenza».
«Non si sta comportando da stupida»,
disse Diana. «Cassie è solo accecata.
Vuole vedere il meglio in Scarlett».
«Esatto. Che è una cosa stupida»,
insisté Deborah.
«No», disse Cassie. «Scarlett è
innocente, lo giuro».
Diana corrugò le sopracciglia,
compatendola. «Mi dispiace, Cassie.
Ma il fatto che Scarlett sapesse dove
trovarti la scorsa notte, dopo l’incidente,
non può che insospettirci. È la prova che
abbiamo cercato per tutto questo
tempo».
«È il preside», urlò Cassie. «Lo sento
nelle ossa».
Adam rispose a Cassie in tono cauto e
gentile. «Non siamo riusciti a trovare un
solo indizio sospetto a proposito del
nuovo preside. È pulito, Cassie».
Persino Adam non era disposto a
prendere le sue parti. Avrebbe potuto
cercare di ragionare con lui, con tutti
loro, per l’intero pomeriggio, ma era
inutile – avevano già deciso di non
crederle.
Cassie si voltò disperata verso Nick,
pensando che se qualcuno avesse potuto
sostenerla sarebbe stato lui. Ma il volto
di Nick era impassibile, anche lui non
aveva nessuna intenzione di opporsi allo
stato delle cose.
Faye si alzò e si posizionò al centro
del gruppo. «Io dico di andare al porto
dopo le lezioni e scambiare due parole
con Scarlett».
«Dovremmo provare la maledizione
dei cacciatori su di lei», urlò Deborah.
Diana andò al fianco di Faye, incrociò
le braccia sul petto e annuì. «Sono
d’accordo», disse. «Chi è con noi?».
Un gran numero di mani si
sollevarono.
«Ma dovremmo essere al completo per
eseguire
l’incantesimo.
Altrimenti
potrebbe non essere abbastanza forte».
Diana fissò Cassie negli occhi. «Quindi
siamo al completo oppure no?».
Cassie si voltò verso Adam. I suoi
occhi erano colmi di amore e desiderio,
la incitavano a fidarsi di loro, a fidarsi
di lui. E lei voleva fidarsi di Adam, lo
voleva davvero.
«Cassie», disse Nick. «Se Scarlett non
è una cacciatrice, l’incantesimo non
funzionerà su di lei. Potrebbe essere la
tua occasione per dimostrare che hai
ragione». Sorrise con gentilezza,
indicando con la testa Diana e Adam. «E
che loro hanno torto».
«È vero», disse Melanie a Diana. «Se
lanciamo la maledizione su Scarlett e lei
non è una cacciatrice, scoprirà cosa
siamo».
«Lo so», fece Diana in tono spavaldo.
Cassie sollevò lo sguardo per
incrociare quello di Diana. «Sei così
sicura», disse, «da essere disposta a
esporre il circolo a un’innocua esterna
ben’intenzionata».
«Sono così sicura». Diana sostenne lo
sguardo di Cassie senza rabbia né odio,
dimostrando la propria convinzione.
«Allora sono con voi», disse Cassie
sottovoce, quasi tra sé e sé. «Andremo
al porto oggi dopo le lezioni».
Capitolo 17
Il gruppo percorse la pittoresca strada
lungo la riva di New Salem fino a
raggiungere il porto dove lavorava
Scarlett. Durante il tragitto, Diana aveva
preso Cassie da parte e l’aveva
ringraziata per essere andata con loro.
Aveva detto che le dispiaceva per come
erano andate le cose, ma ne andava della
sicurezza del gruppo.
Cassie si era costretta a mostrarsi
favorevole e aveva detto di aver capito.
A cosa serviva scontrarsi con Diana in
quel momento? E inoltre, come aveva
detto Nick, quell’incontro avrebbe
potuto provare una volta per tutte che
Scarlett era solo una ragazza normale
senza nessuna intenzione di fare del
male al circolo. Dopo di che Cassie
sarebbe stata libera di essere sua amica.
Ascoltando per caso della tregua
apparente fra Cassie e Diana, Adam
prese la mano di Cassie fra le sue. La
stava ancora tenendo stretta quando
Diana si rivolse al gruppo.
«Il piano è chiaro per tutti?», chiese. I
suoi capelli biondi luccicavano alla luce
del sole, e il suo atteggiamento era
quello di un comandante in capo.
Gli occhi di Deborah baluginarono per
il desiderio di combattere. «La attiriamo
fuori, la circondiamo e poi lanciamo la
maledizione dei cacciatori di streghe».
«No», Adam corresse Deborah. «La
circondiamo e cerchiamo di capire come
stanno le cose».
«Giusto», disse Diana. «Dovremmo
cercare di racimolare più informazioni
possibili da lei prima di lanciare la
maledizione».
Fece
una
pausa.
«Soprattutto dato che non siamo del tutto
sicuri di ciò che succederà dopo».
Cassie non riusciva a pensare a quella
parte. L’unico modo per andare fino in
fondo era continuare a credere in
Scarlett.
«Eccola». Laurel indicò l’uscita
laterale del bar Oyster. «Deve essere in pausa».
«Perfetto», disse Faye. Era evidente
che le ribollisse il sangue per
l’eccitazione. Si slanciò in avanti a capo
del gruppo, facendo strada.
Scarlett li vide arrivare quasi subito.
Una qualunque persona con un minimo
di buon senso si sarebbe allarmata alla
vista di un gruppetto furibondo di dodici
membri in avvicinamento, ma Scarlett
fece un ampio sorriso e cominciò a
salutarli con la mano, agitando l’ossuto
braccio a destra e a sinistra come se
avesse bisogno di attirare la loro
attenzione.
«Sta fingendo», disse Faye mentre
continuavano
l’avanzata.
«Non
cascateci».
Ma non c’era bisogno che Faye lo
dicesse. Nessuno di loro esitò o rallentò
il passo. Prima che Scarlett potesse
anche solo dire “Ciao”, l’avevano
circondata.
Finalmente iniziò a capire che stava
succedendo qualcosa di strano, che era
nei guai. «Cosa succede?», chiese
girandosi
intorno,
cercando
di
individuare Cassie in quel cerchio di
corpi ansanti intorno a lei.
La scena non avrebbe potuto svolgersi
in modo migliore. Erano proprio a
fianco del bar Oyster, una zona desolata
fatta eccezione per il saltuario garzone
diretto al cassone dell’immondizia.
Scarlett era in trappola. Nessuno
l’avrebbe nemmeno sentita urlare.
Solo Cassie poteva salvarla.
«Scarlett», disse. «Abbiamo bisogno
che tu ci dica la verità, altrimenti
potresti farti male. I miei amici pensano
che tu abbia qualcosa a che fare con il
mio incidente in macchina. Io non ci
credo. Ma ho bisogno che tu dimostri
loro di essere innocente».
Gli occhi rotondi e scuri di Scarlett si
ammorbidirono. «È di questo che si
tratta? Ma è ovvio che io non c’entro
niente».
«Che ne dici della casa del faro?». La
voce di Diana era severa. Sembrava più
una minaccia che una domanda.
«Cosa dovrei dire?», chiese Scarlett.
«L’hai data alle fiamme», urlò Faye.
«Io cosa?». Scarlett iniziò a perdere la
calma. «Perché dovrei fare una cosa del
genere?». Il suo istinto di sopravvivenza
entrò in funzione e Cassie capì che il
momento della verità non era lontano.
Adam la sollecitò. «Con chi lavori?»
«Al bar Oyster?». Scarlett aveva
iniziato a tremare, come un gatto
randagio messo all’angolo e pronto a
colpire.
«Rispondi alla domanda», disse
Diana. «Con chi lavori?»
«Non so di cosa stiate parlando»,
gridò Scarlett e corse verso Cassie in
cerca di aiuto. Il circolo serrò i ranghi,
bloccando ogni via di fuga. Ma Faye
interpretò l’avvicinamento di Scarlett a
Cassie come una minaccia diretta e reagì
all’istante. Sollevò le mani e invocò:
«Per i poteri di questo circolo, mi
appello a Ecate!».
Il tempo rallentò per Cassie in quel
momento. Riusciva a vedere lo stupore
sul volto di Scarlett e la furia negli
occhi di Faye. Riusciva a sentire Diana
che urlava: «No, non ancora!».
Ma non c’era modo di fermare Faye.
Sembrò
assumere
proporzioni
gigantesche non appena fece appello a
Ecate, come se avesse dato corpo
all’oscura dea stessa. Sembrò diventare
alta due metri, e i suoi occhi ambrati si
annerirono come biglie. Pronunciò la
prima parte della maledizione dei
cacciatori di streghe con il potere del
fulmine.
Maledetto sia questo antico cacciatore che
male vuole fare,
indietro triplicati i tuoi atti maligni
dovranno tornare!
Il cielo sopra le mani tese di Faye
divenne rosso e vorticò in una furibonda
spirale di nuvole a forma di imbuto. Lei
l’attirò a sé e la plasmò con un tocco
delle dita incantate in una sfera di fuoco.
Mentre la passava da una mano all’altra,
il circolo intonava le parole latine che
avevano memorizzato – parole oscure e
incomprensibili
che
capivano
a
malapena – fino a quando Faye gettò la
sfera verso Scarlett come fosse una
pietra.
Ma Scarlett li colse tutti alla
sprovvista. Con un movimento fulmineo
afferrò la sfera fiammante tra le mani e
la fece esplodere. «Che sia vanificato!»,
urlò, il classico incantesimo di difesa.
In pochi secondi, Faye tornò alla sua
normale statura e fu scaraventata al
suolo, sul ciglio della strada. L’apertura
nel cielo si richiuse e la luce del giorno
tornò normale.
«Come conosci l’incantesimo di
difesa?», chiese Cassie.
Ma anche mentre la domanda lasciava
le sue labbra, sapeva che c’era un’unica
spiegazione possibile. Scarlett non era
una cacciatrice. Era una strega, proprio
come loro.
Deborah e Suzan corsero da Faye per
controllare che stesse bene. L’aiutarono
a rialzarsi, ma Faye sembrava ancora
intontita e tremante.
Scarlett si voltò verso Cassie. I suoi
occhi scuri erano ancora accesi per
l’incantesimo. «Mi dispiace che tu abbia
dovuto scoprirlo in questo modo», disse.
Adam fece un passo in avanti,
sbalordito. «Sei una strega?».
Scarlett annuì e si voltò di nuovo
verso Cassie. «Volevo dirtelo appena ci
siamo incontrate».
«Perché non l’hai fatto?», chiese
Diana.
«Aspettavo il momento giusto», disse
Scarlett.
«Sei una strega?», chiese Cassie, le
stesse parole e lo stesso tono stupito di
Adam.
«Non sono solo una strega». Scarlett
sorrise timidamente. «Sono la tua
sorellastra».
«Cosa?». Cassie riusciva a malapena a
respirare. «Come?»
«Abbiamo lo stesso padre», disse.
«Black John».
Scarlett osservò lo stupore su ciascuno
dei loro volti. «Sono venuta in questa
città per cercare di sfuggire ai
cacciatori, proprio come state facendo
voi adesso. A casa mia eravamo state
trovate».
Si voltò verso Diana, in qualche modo
aveva capito che era lei la leader del
circolo. «I cacciatori hanno ucciso mia
madre», disse. «E mi hanno marchiata.
Sono venuta qui per avere la vostra
protezione».
«Quindi sapevi di noi», disse Melanie.
«Sì». Scarlett prese le mani di Cassie
fra le sue. «Mia madre è cresciuta in
questa città. Ho sempre saputo di avere
una sorella e volevo incontrarla».
Era quasi più di quanto Cassie potesse
sopportare. Il mondo intero iniziò a
girare e pensò di stare sognando, ma poi
Diana parlò, strappandola al suo
stordimento. «Quindi Cassie ha sempre
avuto ragione», disse. Posò un’esile
mano sulla spalla di Cassie e l’altra su
quella di Scarlett. «Ti prego di accettare
le mie scuse», fece. «Le nostre scuse. A
entrambe. Avremmo dovuto avere più
fiducia».
«Le
accetto»,
disse
Scarlett
sorridendo.
Ma la voce roca di Faye infranse
l’aura sentimentale di quel momento. A
quanto pare aveva recuperato le forze.
«Come facciamo a sapere che non stai
mentendo, Scarlett? Che prove hai a
sostegno delle tue affermazioni?».
Deborah rispose a nome di Scarlett e
del gruppo. «Il fatto che ti abbia
mandata gambe all’aria respingendo la
tua maledizione», disse, «è stata una
prova sufficiente per me».
«Anche per me», esclamò Suzan
ridendo.
Faye sorrise di sghembo. «Volevo
dire, come facciamo a essere sicuri che
è la sorellastra di Cassie?»
«Dice la verità», dichiarò Cassie. «In
fondo, penso di averlo sempre saputo».
Diana si voltò verso Faye. «Dovremo
fidarci di Cassie, mi sembra giunta
l’ora. A quanto pare la sua vista non era
affatto annebbiata».
Uno alla volta, espressero tutti le
proprie scuse a Scarlett. Persino
Melanie, che aveva voluto credere così
tanto che Scarlett fosse la cacciatrice
responsabile dell’uccisione della prozia
Constance, mise da parte il desiderio di
vendetta e le strinse la mano.
«Ti abbiamo giudicata male», disse
Melanie. «Mi dispiace davvero».
Non si poteva certo definire molto,
considerato che avevano appena cercato
di ucciderla, ma era tutto ciò che
potevano dirle.
Le scuse erano anche per Cassie.
Tuttavia a lei non servivano – aveva
avuto ragione. Sapeva che c’era
qualcosa tra lei e Scarlett, lo sapeva e
basta! Era un sollievo che alla fine la
verità fosse venuta a galla.
Adam sembrava più sollevato che mai.
Si avvicinò a Cassie e la strinse fra le
braccia.
«Non avrei mai dovuto dubitare di te»,
disse.
«Va tutto bene», fece Cassie. «Vale per
la
prossima
volta».
Rispose
all’abbraccio di Adam e, nel frattempo,
vide Nick che li guardava. Era stato
l’unico a crederle quando tutti gli altri
erano così sicuri che Scarlett fosse
malvagia. Avrebbe dovuto ricordarsi di
ringraziarlo più tardi, quando avessero
avuto un momento per stare insieme da
soli.
Capitolo 18
Cassie aveva sempre sognato di avere
una sorella, di avere qualcuno con cui
confidarsi e condividere segreti,
qualcuno che sarebbe sempre rimasto al
suo fianco. Lei e Diana avevano
promesso di essere come sorelle, dato
che entrambe non ne avevano. Ma
nell’ultimo periodo il loro accordo non
stava funzionando così bene, o almeno
non come avevano pensato. Ma adesso
aveva una vera sorella. Be’, una
sorellastra, ma insomma, Scarlett era
reale. Cassie non era più figlia unica.
Quella notte, Cassie invitò Scarlett a
dormire a casa sua. Sentiva il bisogno di
scoprire subito il più possibile su di lei.
Non intendeva interrogarla su quanto
sapeva di loro padre e dei cacciatori di
streghe, anche se ovviamente erano
argomenti importanti, voleva parlare di
lei. In seguito Scarlett avrebbe avuto
tutto il tempo di condividere con il
circolo ciò che sapeva dei cacciatori.
Ma quella notte era solo per loro. Se lo
meritavano.
La madre di Cassie era andata a far
visita ad alcuni amici a Cape Cod,
quindi le ragazze avevano l’intera casa
per loro. Cassie era sollevata, perché
non era ancora sicura di come affrontare
l’argomento Scarlett con sua madre.
Come si fa a iniziare una conversazione
simile? «Mamma, sai, l’amore della tua
vita, quello che poi si è scoperto che era
un essere malvagio? Aveva anche
un’altra figlia». Soprattutto con una
madre come quella di Cassie, che
preferiva sempre nascondersi dal
passato e fingere che non esistesse.
Sua madre avrebbe infilato la testa
sotto la sabbia come uno struzzo e
avrebbe continuato a vivere in quel
modo per sempre se avesse potuto.
Scoprire che Cassie aveva una
sorellastra, e peggio ancora, che suo
marito aveva avuto una figlia da un’altra
donna, rischiava di essere più di quanto
poteva sopportare. Ci sarebbero voluti
ingenti lavori preliminari da parte di
Cassie per preparare sua madre a uno
shock simile.
Ma per quella notte potevano essere
solo sorelle. Cassie si sentì subito molto
allegra, come se lei e Scarlett stessero
cercando di recuperare l’infanzia che
non avevano potuto condividere. Per le
prime ore, fecero tutte le cose tipiche
dei pigiama party. Ordinarono una pizza
al salame piccante e risero a
squarciagola. Si misero a vicenda uno
smalto viola glitterato e ingurgitarono
gelato al cioccolato fino a farsi venire il
mal di stomaco.
Poi si misero entrambe il pigiama, e
Scarlett pettinò i capelli di Cassie in due
trecce incrociate. Cassie pettinò le
lunghe ciocche rosse e selvagge di
Scarlett e non poté fare a meno di
chiederle: «Se non ti tingessi i capelli,
sarebbero del mio stesso colore?»
«Sì», rispose Scarlett. «Guarda le
nostre sopracciglia, sono della stessa
sfumatura castana».
«E i nostri nasi hanno la stessa forma».
«È vero», disse Scarlett. «Abbiamo lo
stesso perfetto naso a patata».
«Odi i piselli?», chiese Cassie.
«Sì, ma non credo sia genetico».
«Ti sbagli». Cassie stava ridacchiando
in modo incontrollabile. «Odio i piselli
così tanto che di sicuro c’entra il mio
DNA».
Scarlett scoppiò a ridere.
Dormire con Scarlett non era per
niente come con Diana. Lei si
comportava sempre come una adulta
seria. Era raro che si lasciasse andare
abbastanza da comportarsi in modo
ridicolo. Ma per Scarlett non sembrava
essere un problema. Anche se era una
strega, non si comportava sempre come
tale. E anche se aveva sofferto una
tragedia e una perdita intollerabile, non
era prigioniera del suo dolore. Per
prima cosa, Scarlett era una ragazza che
voleva divertirsi, e quella era proprio la
ventata di aria fresca di cui Cassie
aveva un disperato bisogno.
Rimasero sveglie fino a tardi a
parlare. Il mondo esterno divenne
tranquillo,
sonnolento
e
infine
silenzioso, mentre Cassie e Scarlett
restavano sveglie a condividere storie.
E mentre le ore passavano, la
conversazione si fece sempre più
profonda. A bassa voce, Scarlett rivelò
a Cassie molto a proposito della loro
famiglia.
«Ho sempre sentito di essere diversa»,
disse. «Anche prima di sapere di essere
una strega».
«So cosa vuoi dire, credimi». Cassie
si portò le ginocchia al petto. «Non ho
mai pensato di essere a casa da nessuna
parte. Mi sono sempre sentita strana».
«E i sogni e gli incubi», aggiunse
Scarlett.
Cassie annuì. «Gli incubi soprattutto».
«E le cose strane che succedevano
ogni volta che mi arrabbiavo». Scarlett
sollevò di poco la voce. «È stata quella
la scintilla».
Cassie annuì con maggior foga. Le
somiglianze tra loro erano inspiegabili.
Cassie voleva raccontare a Scarlett
dell’oscurità che a volte percepiva
dentro di sé. Non solo i sentimenti
negativi innescati da certe persone,
come per esempio il preside, ma
quell’altra oscurità. Quella nel profondo
del suo essere, la cui esistenza riusciva
a malapena ad ammettere a se stessa.
Anche Scarlett la percepiva? Temeva
che ci fosse un pezzetto malvagio di
Black John incastrato nella sua anima,
che la infettava come i polmoni
cancrenosi di un fumatore? Ma prima
che Cassie potesse racimolare il
coraggio di fare una domanda simile, il
volto rotondo di Scarlett si fece
mortalmente serio.
«E quando ho toccato l’ematite per la
prima volta», disse. «La sensazione nel
petto è stata…».
«Lo so!», urlò Cassie. «Anche per
me!».
«È la mia pietra», disse Scarlett.
«Anche la mia», disse Cassie.
Scarlett sorrise con un’espressione
scaltra, come se lo avesse immaginato.
«È davvero molto raro, sai. Avere
l’ematite come pietra».
Cassie si girò per un attimo,
sentendosi in imbarazzo. Dovette
ricordarsi che non era necessario
provare vergogna per il suo legame con
Black John, almeno non con Scarlett.
Scarlett la osservò con pazienza. «Va
tutto bene», disse. «So che è difficile da
digerire».
“Lo percepisce”, pensò Cassie.
Scarlett capiva quanto Cassie fosse
mortificata dai suoi segreti più profondi.
Quella ragazza sopportava la stessa
schiacciante oscurità che dimorava
dentro di lei.
L’atmosfera fra loro si placò per un
attimo, e Cassie capì che quella era la
sua occasione per chiedere di loro
padre. «È a causa sua», disse. «Che
l’ematite è la pietra di entrambe.
Giusto?».
Scarlett annuì. «Direi che è il motivo
più probabile».
«Lo conoscevi?», chiese Cassie, senza
dover pronunciare il nome di suo padre.
Scarlett scosse la testa. «No. Ma mia
madre me ne ha parlato. La tua non l’ha
fatto?».
Cassie arrossì, imbarazzata per le
mancanze di sua madre. «Non proprio».
«Le nostre mamme sono cresciute
insieme», disse Scarlett. «Lo sapevi?».
Cassie frugò nella memoria in cerca di
un ricordo in cui sua madre parlava di
vecchie amiche, ma non trovò nulla.
«No», rispose delusa. «Non so molto
del passato di mia madre».
«Be’, le nostre mamme erano migliori
amiche», disse Scarlett come fosse un
dato di fatto. «Fino a quando Black John
non si è messo fra loro. Tua madre lo ha
rubato a mia madre. Ecco perché
mamma ha lasciato la città».
«Non ne avevo idea». Cassie sentì il
cuore che si appesantiva per quella
nuova immagine di sua madre, ma anche
perché
le
vennero
in
mente
all’improvviso Diana e Nick, e il modo
in cui lei e Adam si erano messi in
mezzo. Le cose sarebbero mai tornate
come prima? Oppure il loro destino
sarebbe stato lo stesso?
Scarlett si accorse del cambiamento
nell’espressione di Cassie. «Ti ho
turbata?», chiese. «Forse è troppo presto
per parlare di queste cose».
«No, non essere ridicola». Cassie si
costrinse a rilassarsi e togliersi di testa
Adam e gli altri, almeno per il momento.
«Voglio sapere tutto. Non tralasciare
niente, per favore».
Scarlett strinse le labbra e osservò
Cassie con fare scettico. «Abbiamo tutta
la vita per conoscerci, sai. Non
dobbiamo finire in una notte».
Era un pensiero incredibilmente
confortante. “Tutta la vita”. Potevano
tornare a divertirsi e ridacchiare, per
poi riprendere le conversazioni serie il
giorno seguente. Ma Cassie aveva
aspettato un’occasione simile troppo a
lungo per aspettare ancora. Aveva
bisogno di sapere la verità, a proposito
di tutto. «Continua per favore», disse.
«Posso farcela».
«Va bene allora». Scarlett prese la
mano di Cassie e la strinse, Cassie
abbassò lo sguardo e guardò le loro dita
intrecciate. Le sembrò quasi di vedere
un filo che avvolgeva le loro mani,
legandole. “Proprio come il legame tra
Adam e me”, pensò Cassie. Lei e
Scarlett erano legate. Erano destinate.
Ecco spiegato tutto ciò che aveva sentito
per lei dal primo momento in cui
l’aveva vista, il modo in cui era stata
disposta a opporsi all’intero circolo per
difenderla e proteggerla.
Anche se Scarlett lo vide, non ne fece
parola. Continuò a parlare come prima,
mentre massaggiava la mano di Cassie
nella sua.
«Non dimenticherò mai il giorno in cui
mia madre mi ha detto che avevo una
sorella», disse Scarlett. «Per me è
cambiato tutto. Sapevo che un giorno ti
avrei trovata. E infatti, avevo ragione».
Aspettò un momento per leggere
l’espressione di Cassie e poi aggiunse:
«Non capisco perché tua madre non te
l’abbia mai detto».
All’improvviso Cassie si sentì
strappata a un nuovo livello di
consapevolezza. Tirò via la mano.
«Aspetta un minuto. Mia madre sapeva
di te?»
«Certo che lo sapeva». La voce di
Scarlett conteneva una debole traccia di
sdegno. «Erano ancora tutti a New
Salem quando siamo nate».
Cassie ripensò alla conversazione
avuta di recente con la madre. Come
l’aveva guardata negli occhi giurando di
aver detto a Cassie tutta la verità su suo
padre. «Mi faceva impazzire il fatto di
essere tutta sua, e che lui fosse tutto
mio», aveva detto, ma era una bugia. Sua
madre sapeva che stava con un’altra.
«Come ha potuto non dirmi che avevo
una sorella?», disse Cassie ad alta voce.
Quella era una nuova barriera spuntata
tra lei e sua madre, e al momento,
sembrava insormontabile. Tutta la sua
infanzia e l’adolescenza erano state
intralciate da menzogne – la verità era
venuta a galla quando si erano trasferite
a New Salem, e Cassie aveva scoperto
di essere una strega. Ma aveva accettato
che sua madre l’avesse tenuta all’oscuro
per proteggerla. Ora però si rendeva
conto che anche la loro conversazione
più recente era stata corrotta
dall’inganno. In quello stesso momento,
sua madre le stava ancora mentendo.
Cassie non si era mai sentita più lontana
da lei.
«Avrebbe dovuto dirtelo», proseguì
Scarlett. «Mi chiedo cos’altro ti abbia
tenuto nascosto».
Cassie si rese conto che Scarlett aveva
assolutamente ragione. Se sua madre
poteva
mentirle
a
proposito
dell’esistenza di una sorella, poteva
mentire su tutto. E se le stava tenendo
dei segreti, allora anche Cassie lo
avrebbe fatto.
In quel momento decise di non dirle
nulla del suo incontro con Scarlett. Sua
madre non meritava onestà. Non se l’era
guadagnata.
Per fortuna adesso Cassie aveva una
sorella e sarebbe stato tutto diverso.
Sarebbe stato tutto migliore. Se anche
avessero dovuto affrontare il resto del
mondo da sole, ce l’avrebbero fatta.
Sarebbero state inseparabili, quella era
l’unica cosa di cui Cassie poteva essere
sicura al momento.
«Scarlett», disse, sentendo il cuore che
straripava di amore e affetto, «adesso
che sei qui, mi sento finalmente a casa».
«Anche io». Gli occhi scuri di Scarlett
luccicarono. «Non sono mai stata più
sicura di niente», disse. «Questo è il
luogo a cui appartengo».
Capitolo 19
«Vuoi un latte macchiato o un
cappuccino?»,
le
chiese
Adam
dall’inizio della fila al bancone del
caffè.
«Sorprendimi», disse Cassie, poi lo
osservò interagire con il barista, fare il
suo ordine e contare i soldi.
Cassie finse di non conoscerlo per un
attimo e immaginò che fosse uno
sconosciuto incontrato per la prima
volta. Osservò la mascella definita e le
spalle larghe, i suoi ricci ramati. “Sì”,
pensò tra sé e sé. Sarebbe amore a
prima vista ancora una volta.
Le cose tra Cassie e Adam avevano
subito una svolta. Gli ultimi giorni dopo
il confronto con Scarlett al porto erano
stati romantici ed emozionanti, proprio
come i primi della loro relazione.
Quando lui la baciava, Cassie era
attraversata da quel fremito familiare di
piacere ed eccitazione, sentiva di
provare per lui un amore assoluto,
totale, e sapeva che per lui era lo stesso.
Da quando avevano scoperto la verità
su Scarlett, Adam era tornato a essere
Adam, e Cassie era tornata a essere
Cassie, ma più felice e sicura.
Adam tornò al loro tavolo, posando un
caffè freddo sormontato da panna
montata e un gigantesco biscotto al
cioccolato.
«Avevi detto di sorprenderti», disse.
«Stai cercando di drogarmi di
zuccheri».
«È così che ti preferisco». Infilò il
dito nella panna montata per assaggiarla.
Cassie lanciò un’occhiata alla porta,
ma la ragazza che entrò non era Scarlett.
Adam rise. «È solo in ritardo di
qualche minuto, rilassati».
«Lo so». Cassie ruppe un pezzetto di
biscotto e se lo infilò in bocca, mentre
Adam assaggiò di nuovo la panna
montata. Lei distolse lo sguardo, perché
non voleva essere beccata a fissarlo
mentre se la leccava via dal dito.
«Dovrei lasciarti solo con il mio caffè
freddo?», chiese.
Adam arrossì, spingendo la bevanda
più vicino a Cassie e fuori dalla sua
portata. Poi si pulì la bocca con un
fazzoletto e cercò di essere serio. «Sono
così felice per te», disse. «Scarlett è
davvero fantastica. È evidente che siate
imparentate».
«Avevo cercato di dirtelo», disse
Cassie.
«Lo so. E non sono mai stato più felice
di ammettere di essermi sbagliato».
«Be’, puoi dirlo a Scarlett di persona,
sempre che arrivi». Cassie lanciò di
nuovo un’occhiata alla porta e poi bevve
un sorso di caffè. «Inizio a
preoccuparmi. Adesso la chiamo».
Ma Scarlett non rispose al telefono, e
Cassie iniziò a preoccuparsi ancora di
più.
«Ho una brutta sensazione», disse.
Sapeva che se avesse usato quelle
parole, Adam l’avrebbe presa sul serio.
«Allora dovremmo andare al bed and
breakfast e vedere se è lì». Adam si alzò
in piedi senza perdere tempo.
Era proprio quello che Cassie sperava
che lui le suggerisse. A volte la sua
prevedibilità era la cosa che preferiva.
Il bed and breakfast dove alloggiava
Scarlett era un edificio georgiano
proprio dietro Old Town Square. Era
uno dei bed and breakfast storici più
belli di New Salem, gestito da un
signore che Cassie conosceva di vista.
Si era abituata a vederlo portare a
spasso i suoi tre volpini in città.
Qualche volta si era chinata per
accarezzare uno dei cani, ma non aveva
mai parlato più di tanto con quell’uomo.
Fu lui a rispondere alla porta quando
arrivarono, mentre i cani abbaiavano e
gli saltavano intorno ai piedi.
Cassie presentò lei e Adam mentre
l’uomo ordinava ai cani di fare silenzio.
Una volta dentro, indugiò un attimo
prima di dire: «Mi dispiace disturbarla,
ma mia sorella, Scarlett, ha una stanza
qui. Ci chiedevamo se è in casa».
Era la prima volta che Cassie
pronunciava quelle parole, “mia
sorella”. Era una sensazione inebriante,
ma allo stesso tempo sconosciuta, come
se stesse dicendo una bugia.
L’uomo annuì e si sfregò la barba
grigia e incolta sul mento. «Sì, sì,
Scarlett, quella con i capelli strani»,
disse.
«Allora è qui?», Cassie si sentì
sollevata per un attimo.
«No», rispose. «Non la vedo da ieri».
Adam si accorse del panico nello
sguardo di Cassie e insisté per avere
altre informazioni. «Ne è sicuro? Non è
tornata la notte scorsa, nemmeno per
dormire?»
«No, non è tornata», disse l’uomo,
raddrizzando la postura. «Ma non sono
affari vostri. Una ragazza ha diritto alla
sua privacy». Il suo sguardo passò da
Adam a Cassie, poi sollevò le
sopracciglia bianche. «Mi dispiace, ma
dovrò chiedervi di andarvene. Non
posso fornire informazioni sui miei
ospiti a due sconosciuti».
«Ovviamente»,
disse
Adam.
«Capiamo. Grazie per il suo aiuto».
Lasciò un numero di telefono dove
avrebbe potuto avvisarli in caso Scarlett
fosse tornata, o se avesse scoperto
qualcosa dei suoi spostamenti.
Tornati in macchina, Cassie si voltò
verso di lui. «Adesso sono davvero
preoccupata. Cosa dovremmo fare?».
Adam si concentrò sulla guida. «Penso
che dovremmo aspettare ancora un po’»,
disse con calma. «Non siamo sicuri che
sia in pericolo. Potrebbe essere solo in
giro».
«In giro?», Cassie era spazientita. «Se
fosse in giro, allora si sarebbe fatta
vedere al caffè quando avrebbe dovuto,
o almeno avrebbe risposto al telefono».
«Cassie». Adam scelse le parole con
cura. «Cerca di ricordare che non
sappiamo poi molto di Scarlett.
Potrebbe essere andata a trovare degli
amici e aver dimenticato di chiamarti».
«Quindi pensi che potrebbe dar buca
alla sua nuova sorella?»
«Non è quello che sto dicendo».
«Pensi che sia una persona
inaffidabile», disse Cassie. «Solo
perché non è seriosa come tutti voi».
«Come tutti voi?». Adam strinse il
volante e frenò di botto. «Intendi noi, il
circolo? Perché continui a insistere a
considerarti diversa? Non capisco,
Cassie».
Cassie stava provando troppe
emozioni in una volta per riuscire a
comprenderle. Ma eccoli di nuovo lì, ad
affrontare la stessa, infinita discussione.
Era stufa del fatto che Adam cercasse
sempre di analizzare in modo razionale i
suoi veri sentimenti. «Non mi sto
considerando diversa», disse. «Ma non
so cos’altro ti serva per accettare del
tutto Scarlett. È mia sorella, Adam».
«Lo so», disse lui, proseguendo lungo
Crowhaven Road verso casa di Cassie.
«Non volevo dire niente suggerendo che
potrebbe non essere nei guai. Hai visto
quanto in fretta sei saltata a una simile
conclusione?».
Cassie non voleva ammetterlo, ma se
ne era resa conto. Rimase in silenzio
fino a quando non raggiunsero casa sua.
«Presumo di essere solo scossa», disse
infine.
«Facciamo passare la notte», fece
Adam. «Se non riesci a contattarla, ti
prometto che convincerò il gruppo a
cercarla domattina».
«Va bene». Cassie si sporse per dare a
Adam un bacio sulla guancia, ma non lo
invitò a entrare.
Quella notte Cassie fece un sogno. Un
minuto prima era sulla spiaggia, ad
abbronzarsi sotto il sole estivo mentre il
rumore dei gabbiani e dell’oceano le
riempiva le orecchie, e quello dopo
sentì un urlo. Era un urlo agghiacciante,
una richiesta d’aiuto, simile a quello di
Melanie la notte in cui Constance era
stata uccisa alla festa. Nel sogno, Cassie
apriva gli occhi e scopriva di non essere
più su una spiaggia soleggiata, ma in un
campo o in una radura, di notte. E il
cielo sopra di lei si era fatto fangoso,
come un corso d’acqua inquinato.
La richiesta di aiuto divenne più
insistente. Cassie pensò che provenisse
da una casa in lontananza. Era senza
dubbio la voce di Scarlett, ma lei non
poteva raggiungerla. In realtà, non
poteva proprio muoversi.
«Scarlett!», urlò Cassie, ancora nel
sogno. «Riesco a sentirti!».
Era tutto così vivido che era sicura
fosse reale.
«Il legame ha funzionato», rispose
Scarlett,
sollevata
ma
ancora
terrorizzata.
«Dove sei?», chiese Cassie.
«Non lo so! I cacciatori mi tengono
prigioniera. Mi stanno torturando per
studiare i miei poteri. Aiutami, ti
prego!».
«Cerca di restare calma», disse
Cassie. «Pensaci bene, c’è qualche
indizio che possa farmi capire dove ti
trovi?»
«Aiutami, Cassie. Sbrigati, per favore.
Credo che mi uccideranno presto».
«No!». Cassie la stava perdendo. Il
legame stava svanendo. «Scarlett, riesci
a sentirmi? Ti prometto che ti troveremo
in qualche modo. Scarlett? Ehi? Resisti.
Ti salveremo!».
Cassie si mise a sedere sul letto,
stupefatta. Era completamente sveglia,
nella sua camera da letto, da sola. I suoi
mobili di mogano la guardavano.
Riusciva a sentire sua madre che
russava in fondo al corridoio. Era tutto
come doveva essere.
Erano le tre del mattino. Adam aveva
detto di lasciar passare la notte. Ma se
Scarlett non avesse resistito fino al
mattino? Doveva chiamarlo.
Tremando, compose il numero di
Adam, e nel momento stesso in cui
rispose, disse: «Scarlett è stata rapita».
Adam aveva una voce impastata e
confusa. «Cosa?»
«L’ho sognato. Ma non era un sogno. È
venuta da me, Adam. Abbiamo
comunicato».
«Ne sei sicura?»
«Non sono mai stata più sicura in vita
mia. Sono i cacciatori. L’hanno presa».
«Va bene». Adam si schiarì la gola.
«Chiamerò gli
altri. Dove ci
incontriamo?»
«Dietro casa mia, sulla scogliera. Non
possiamo rischiare di svegliare mia
madre».
«Ok. Arrivo subito».
«Adam, ancora una cosa». Cassie
riusciva a malapena a esprimere quanto
gli fosse grata della sua presenza in un
momento come quello. «Ti amo».
Poteva quasi sentirlo sorridere.
«Anch’io ti amo», le disse.
Capitolo 20
Faye, Deborah e Suzan furono le
ultime ad arrivare sulla scogliera.
Barcollarono
verso
gli
altri,
scarmigliate e con lo sguardo offuscato,
e decisamente vestite in modo
inadeguato per il gelo che precedeva
l’alba. «Erano fuori a divertirsi», disse
Adam quando le vide arrivare. «E
sembra che non abbiano avuto il tempo
di riprendersi».
«Allora qual è l’emergenza?», gridò
Faye a voce troppo alta. «Spero proprio
che sia grave. Avete idea di che ore
sono?»
«Cos’hai che non va?», chiese
Melanie.
Faye scoppiò a ridere e diede una
pacca a Melanie sulla spalla. «Tu e
Laurel non siete le uniche interessate
all’erbologia». Estrasse un contagocce
dalla tasca. «Vuoi provare? È tutto
naturale».
Il volto di Melanie si indurì. «Non è il
momento», disse. «I cacciatori hanno
preso Scarlett».
Faye rimise il contagocce in tasca.
«Allora presumo sia un no».
Cassie scelse di ignorare Faye,
Deborah e Suzan e si rivolse solo agli
altri, che erano in grado di prestarle
attenzione.
«Scarlett non sa dove si trova», disse
Cassie, «ma è terrorizzata e pensa che
vogliano ucciderla».
Continuò a descrivere il sogno nei
minimi dettagli, il modo in cui i
cacciatori tenevano Scarlett prigioniera,
la torturavano e studiavano i suoi poteri,
e il fatto che aveva implorato Cassie di
andare a salvarla.
«Cosa dovremmo fare?», Adam
indirizzò la domanda a Diana, ma fu
Cassie a rispondere.
«Dobbiamo scoprire dove la tengono»,
disse. «Possiamo usare l’incantesimo di
localizzazione che ci ha insegnato
Constance».
«Sì!», disse Faye, sollevando lo
sguardo alla luna come se le stesse
parlando. «Si torna a usare la magia!».
«Non così in fretta». Diana strinse le
labbra.
«Dobbiamo
pensarci
attentamente».
«Guastafeste», disse Faye.
«Quello che abbiamo fatto al porto è
stata un’eccezione», disse Diana in torno
fermo. «Usare la magia ci mette ancora
in pericolo. E se questo fosse un trucco
per aiutare i cacciatori a capire chi
siamo?»
«Non mi interessa», sbottò Cassie.
Tutti si voltarono nella sua direzione,
sbalorditi dal suo scatto.
«Mia sorella è in pericolo», continuò
Cassie,
rifiutando
di
sentirsi
scoraggiata. «Ne vale la pena».
Deborah fu la prima a interrompere il
silenzio con una sonora risata. «Non sei
tu a dover decidere, principessa».
Cassie provò di nuovo l’istinto di
urlare, ma si trattenne e disse
semplicemente: «In qualità di una delle
leader di questo circolo, in parte sono io
a dover decidere».
«Quando riuscirai a capirlo?», urlò
Faye. «Non puoi mettere i tuoi capricci
davanti al circolo».
«Questo non è un capriccio, Faye»,
disse Cassie. «Stanno torturando
Scarlett. Forse la uccideranno».
«Ma a te sta bene se ci facciamo
uccidere tutti mentre cerchiamo di
salvarla». Faye voltò le spalle a Cassie
con fare sprezzante, spostando con la
mano i suoi capelli nero corvino. «Ti
stai comportando da egoista».
«Proprio tu parli di egoismo», ribatté
Cassie. «C’è forse qualcuno più egoista
di te?»
«Va bene. Basta così». Diana alzò la
sua voce cristallina e soverchiante
esigendo silenzio.
Adam posò la mano sulla schiena di
Cassie per calmarla. «Deve esserci un
modo per eseguire l’incantesimo di
localizzazione senza che i cacciatori lo
traccino».
Rimasero tutti in silenzio per un attimo
a pensare, ma Cassie non riusciva a
capire tutto quel bisogno di riflettere. Fu
invasa da una sensazione di calore, non
dall’esterno – la scogliera era fresca e
ventosa – ma dal profondo delle sue
viscere, dove covava una furia
ribollente.
“Non c’è modo”, pensò tra sé e sé.
Avrebbe dovuto trovare Scarlett da sola.
Poi Adam balzò in piedi dal ciocco su
cui era seduto. «Possiamo farlo in un
posto affollato», disse.
Non rispose nessuno, ma il volto di
Adam era illuminato da un’espressione
soddisfatta e aveva il respiro pesante.
«Non capite?», disse. «Se lo facciamo
dove ci sono tante persone, i cacciatori
faranno più fatica a decifrare la fonte
della
magia».
«Questa sì che è un’idea brillante,
amico mio», disse Chris, battendo il
cinque con Adam.
Gli occhi grigi di Melanie si
spalancarono. «Potrebbe funzionare.
Potremmo farlo durante un evento
scolastico».
«Sotto gli spalti», gridò Laurel.
«Durante la gara di atletica oggi, dopo
la scuola».
Cassie si gettò con slancio su Adam e
lo strinse forte tra le braccia. «Ecco
perché ti amo», disse. «Hai sempre le
idee migliori».
Gli occhi di Adam irradiavano
un’affascinante luce blu. «È per
questo?». Scoppiò a ridere. «Va bene,
quindi questo è il piano. Eseguiremo
l’incantesimo di localizzazione oggi
pomeriggio».
«Dovremmo comunque fare una
votazione», disse Diana in tono brusco.
Faye fece un sorrisetto. «Bel modo di
rovinare il momento, cara Diana».
«Mi sembra giusto che tutti dicano
come la pensano», insisté Diana. «E
dovremmo anche tenere a mente che
localizzare Scarlett è solo metà del
problema». Si fermò per guardare
Cassie. «Quello che decideremo di fare
da quel momento richiederà un’altra
votazione».
Cassie le urlò contro, incapace di
fermarsi. «Non capisci che la
uccideranno? Lei è la mia famiglia. Non
significa niente per te?».
Diana dischiuse le labbra, ma non ne
uscì alcun suono. Scrutò Cassie negli
occhi, come se stesse cercando qualcosa
che aveva perso.
La rabbia di Cassie non era indirizzata
solo a Diana, anche se così pareva. Le
aveva quasi urlato in faccia. Non era il
modo di comportarsi, ma per come la
vedeva Cassie, quello non era il
momento di pensare a fredde statistiche
e strategie meticolose. Non quando la
vita di Scarlett era in pericolo.
Diana fissò Cassie per un altro
momento carico di sorpresa e silenzio
prima di distogliere lo sguardo. «Stiamo
pensando troppo», disse. «Non abbiamo
nessuna garanzia che l’incantesimo di
localizzazione funzioni».
Adam si affiancò a Cassie e la cinse
con il braccio. «Ma proveremo a usarlo.
Siamo tutti d’accordo?».
Tutti annuirono.
Adam era così buono con lei, ed era
già qualcosa che il gruppo fosse
disposto a provare l’incantesimo, ma
Cassie non si sentì del tutto consolata.
Votazioni e strategie stavano facendo
perdere loro troppo tempo. Di quel
passo, non sarebbero mai arrivati in
tempo da Scarlett.
Capitolo 21
Cassie tornò a casa durante la pausa
pranzo per ripassare tutti gli appunti
dell’incantesimo di localizzazione che
Constance aveva insegnato loro. Dato
che non lo aveva mai davvero eseguito, i
dettagli del funzionamento erano confusi
nella sua memoria.
Gli appunti erano contenuti in poche
pagine, ma da quello che riusciva a
capire Cassie, l’incantesimo era pensato
per ritrovare oggetti smarriti. Non c’era
scritto da nessuna parte che sarebbe
stato possibile usare l’incantesimo per
ritrovare una persona.
Proprio in quel momento sentì
qualcuno che bussava alla porta
d’ingresso. Era Adam, avrebbe dovuto
saperlo.
«Immaginavo che ti avrei trovata qui»,
disse, seguendo Cassie in camera da
letto.
«Non sto evitando il circolo», disse.
«Volevo fare qualche ricerca».
«Lo so. E comunque sei fuori pericolo
– sono tornati tutti a casa a radunare
materiale per l’incantesimo». Si fece
cadere sul letto di Cassie, facendole
segno di raggiungerlo.
Pensava davvero che fosse il momento
giusto per pomiciare? Cassie si sedette
accanto a lui, con gli appunti stretti in
mano.
«Questo incantesimo di localizzazione
funzionerà davvero per una persona?»,
gli chiese. «Non mi ero resa conto che in
realtà servisse per ritrovare cose come
le chiavi della macchina».
Adam tolse gli appunti dalle mani di
Cassie e li posò sul comodino.
«Potrebbe non funzionare», disse. «Ma
magari funzionerà. Questi incantesimi
possono essere usati per ritrovare le
persone se le persone in questione
vogliono davvero essere ritrovate».
Cassie sentì le spalle che si
rilassavano un poco. Non c’era dubbio
che Scarlett volesse essere trovata. «Ma
se i cacciatori non volessero farcela
trovare?», chiese.
Adam corrugò le sopracciglia con fare
compassionevole. «Be’, potrebbe essere
un problema. Ma secondo me i
cacciatori vogliono essere trovati,
perché vogliono che andiamo da loro».
Poi i suoi occhi si riempirono di
rimorso. «C’è un motivo se stanno
tenendo Scarlett in vita, Cassie.
Altrimenti l’avrebbero uccisa subito. La
troveremo. Te lo prometto».
Cassie sapeva che Adam aveva
ragione. Gli diede un bacio leggero sulla
guancia. «Non so come farei a
sopportare tutto questo senza di te».
«Per fortuna non devi», disse, mentre
si sporgeva per un bacio. Solo per un
momento, il mondo sembrò di nuovo
avere un senso.
Dopo la scuola quel pomeriggio, il
circolo si riunì sotto gli spalti proprio
prima che iniziassero le finali delle gare
di atletica. Ma Faye non si trovava da
nessuna parte. Perlustrando gli spalti per
cercarla, Cassie e Laurel non furono
sorprese di non trovarla sola.
La folla aveva riempito gli spazi ai lati
di Faye e Max, ma loro non se ne erano
accorti. Max le stava baciando il collo,
mentre lei gli faceva scorrere le unghie
lungo il torace e gli strattonava i jeans
come un animale famelico.
«Altro che stargli alla larga», disse
Laurel. «Ma presumo che dopo aver
eseguito l’incantesimo d’amore non
potesse essere altrimenti».
Cassie annuì. «Ma Faye non è vittima
dell’incantesimo, quindi qual è la sua
scusa?»
«Lei è Faye», disse Laurel.
Cassie si accorse che Portia stava
camminando verso di loro, o per meglio
dire marciando verso di loro, con
indosso una camicetta a collo alto dello
stesso colore dei suoi capelli biondi.
«Ecco che arrivano i guai», disse
Cassie.
«Potreste dire alla vostra disgustosa
amica di trovarsi una stanza?», urlò
Portia. «Questa è una gara di atletica,
non un film a luci rosse».
Laurel ridacchiò. «Portia ha ragione.
Penso che stiano spaventando dei
bambini innocenti».
Si voltò verso Cassie. «Vuoi andare tu
a risvegliarli con l’acqua fredda o ci
penso io?».
Portia fece un mezzo sorriso. «Grazie,
Laurel. Ho sempre saputo che eri la più
coscienziosa del vostro gruppetto». Poi
rivolgendo un’occhiata a Cassie
aggiunse: «Anche se gli standard sono
piuttosto bassi».
«Me ne occupo io», disse Cassie, che
aveva già cominciato ad allontanarsi.
Ogni scusa era buona per sfuggire a
Portia.
Laurel e Portia continuarono a parlare
per qualche minuto, mentre Cassie
faceva del suo meglio per staccare Faye
da Max.
«No», piagnucolò Max. «Dove la stai
portando?». Tutto il sangue freddo gli
era stato succhiato via.
«Dille ciao, Max», insisté Cassie.
«Adesso Faye deve andare».
Faye si divincolò per tastarlo
un’ultima volta prima di essere
trascinata via. Gli passò le dita sul volto
scolpito. «Fai il bravo e resta qui»,
disse. «E dopo sarai ricompensato».
I tratti decisi di Max si ammorbidirono
di gioia infantile. «Lo prometti?»,
chiese.
Faye gli gettò un bacio in risposta
mentre Cassie la trascinava lungo gli
spalti.
Quando furono a distanza di sicurezza
da lui, Cassie scosse la testa. «Non
riesco a credere che sia la stessa
persona».
Faye sorrise. «Se lo vedessi senza
maglia addosso ci crederesti».
Sotto gli spalti, il circolo aveva quasi
finito di preparare l’incantesimo di
localizzazione.
Suzan
e
Sean
conficcarono le candele al suolo: una a
nord, una a sud, una a est e una a ovest.
Nick accese gli stoppini con il suo
accendino di ottone.
Melanie diede un colpetto sulla spalla
di Cassie. «Scusami», disse, facendola
scansare di lato. «Devo accendere
l’incenso».
«Non sentiranno l’odore?», chiese
Cassie, riferendosi agli spalti affollati
sopra di loro.
«No», rispose Melanie, mentre
purificava l’energia del suolo. «È solo
gelsomino. Al massimo penseranno che
qualcuno stia fumando qualcosa».
«Siamo tutti pronti a iniziare?», chiese
Diana rivolgendo lo sguardo a Cassie.
Aveva preso Cassie da parte dopo la
lezione di chimica per chiarire la
situazione. Aveva cercato di spiegarle la
sua posizione, il fatto che volesse
salvare Scarlett quanto lei, ma che
doveva bilanciare quel desiderio con il
senso di responsabilità nei confronti del
circolo. «Non è una cosa personale»,
aveva detto. Cassie le aveva assicurato
di aver capito. Ma era personale. Era
quello che nessuno sembrava voler
capire. Per Cassie la situazione era
molto personale.
Il rumore dei loro compagni di scuola
che facevano il tifo dall’alto indicò
l’inizio della gara di atletica.
«Siamo pronti più che mai», disse
Laurel.
Il gruppo sedette in cerchio intorno
alle candele come li istruì Diana. Poi
quest’ultima posò un calice d’acqua
all’interno.
«Evocate tutti l’elemento dell’Acqua»,
disse.
Cassie fissò il calice, immaginando
che contenesse un oceano intero, così
blu, freddo e profondo che se avesse
cercato di toccarne il fondo con le dita
non ci sarebbe mai riuscita.
«Potere dell’Acqua, io ti invoco»,
disse Diana. E poi, tutti insieme
ripeterono a bassa voce l’incantesimo
per quattro volte.
Ciò che è perso venga ritrovato,
il luogo dove è nascosto sia rivelato.
Fissarono il calice mentre Diana
diceva: «Che l’acqua ci mostri la
posizione di Scarlett».
All’inizio non videro niente, solo
normalissima acqua contenuta in un bel
calice. La folla sopra di loro gridò e si
alzò in piedi, e l’acqua si mosse. Ci
volle qualche secondo prima che
tornasse immobile, ma quando lo fece,
Cassie si accorse che il suo stesso
riflesso nell’acqua stava diventando più
pronunciato. La forma del suo volto, gli
occhi tondi e la bocca imbronciata
assunsero una definizione cristallina.
Quanto appariva spaventata e disperata
persino a se stessa! Presto però
quell’immagine svanì e ne emerse
un’altra, di eguale definizione. Era una
casa fatiscente – la stessa del suo sogno,
con la differenza che adesso poteva
davvero vederla e non solo percepirla.
Si trattava di un cottage diroccato sulla
spiaggia, in quello che Cassie riconobbe
essere lo stile di Cape Cod. Era alla fine
di una strada sabbiosa, lunga e desolata,
con una vasta distesa d’acqua da una
parte e paludi soggette a maree
dall’altra.
“Conosco questo posto”, pensò
Cassie, ma nel momento successivo, il
riflesso si trasformò in qualcos’altro.
Cos’era?
L’immagine si stava formando
lentamente, ma lei avrebbe potuto
giurare fosse una forma di pane. Poi la
forma si separò in fette. Forse era solo
affamata, perché con la stessa velocità
con cui si era delineata, quella figura si
plasmò in qualcos’altro: il volto di un
uomo che sembrava appartenere al XIX
secolo. Aveva sopracciglia cespugliose,
folti baffi e indossava una camicia dal
colletto alto. Cassie era sicura di
conoscerlo, ma da dove veniva?
E poi finalmente l’immagine cambiò
un’ultima volta – e divenne un numero.
Apparve solo per un secondo, quasi
troppo in fretta per essere visto, ma era
un 48. A Cassie apparve come una
pallina bianca numerata estratta per la
lotteria. Poi l’acqua si scurì e tornò
immobile.
«Credo che Scarlett sia a Cape Cod»,
disse Cassie, osservando gli altri per
avere una conferma.
«Sì», annuì Adam. «Nella città di
Sandwich. Si trova al margine
settentrionale di Cape Cod».
Cassie rise tra sé e sé. Ovvio. Perché
non ci aveva pensato? «Ma chi era
quell’uomo?», chiese.
«So di averlo già visto», disse Diana.
E a quel punto fu Melanie a scoppiare
a ridere. «Ho appena letto La lettera
scarlatta», disse. «Quello era Nathaniel
Hawthorne».
«Forse era un indizio per il nome di
una strada», suggerì Laurel. «Molte
strade dei dintorni prendono il nome da
vecchi scrittori».
«Quarantotto», disse Adam, inserendo
il numero nel cellulare. «Al numero 48
di Hawthorne Street», ecco dov’era.
«Be’, cosa stiamo aspettando?»,
chiese Nick. «Andiamo a prenderla».
«Non possiamo», disse Diana con
decisione. «Cape Cod è fuori dalla
portata dell’incantesimo di protezione. È
troppo pericoloso».
Melanie, percependo che Cassie stava
per esplodere, diede man forte a Diana.
«Ci serve tutto il potere di cui possiamo
disporre se vogliamo sperare di
sconfiggere i cacciatori», disse.
«Dovremmo aspettare di combatterli a
New Salem, al sicuro dell’incantesimo
di protezione».
«Sono stanca di aspettare», disse
Cassie. «Non possiamo contare sul fatto
che i cacciatori risparmino Scarlett
ancora a lungo».
Prima che chiunque avesse l’occasione
di rispondere, dagli spalti sopra di loro
provenne un urlo da gelare il sangue
nelle vene.
Si resero subito conto che non era il
tipo di urlo che si sentiva di solito a una
gara di atletica. Era un suono
raccapricciante, di dolore, stupore e
orrore combinati insieme. Era un suono
carico di morte.
Cassie e gli altri corsero fuori a
vedere cosa era successo, ma quando
emersero furono circondati dal caos
totale. Si sforzarono di aguzzare la vista
oltre la folla impazzita di studenti
spaventati e genitori e insegnanti agitati.
«C’è uno studente a terra sugli spalti»,
disse Adam.
Cassie scorse una testa di capelli
color paglia e capì subito chi era. Portia
Bainbridge. E si trovava proprio sopra
il punto in cui il circolo aveva eseguito
l’incantesimo.
«È caduta», disse qualcuno della
squadra di atletica.
Laurel sgomitò fra la folla per
controllare che Portia fosse ancora viva.
Si inginocchiò sul corpo chiamandola
per nome e cercando il battito. Ma era
inutile.
Portia era morta – rigida al suolo e
senza vita come era stata Constance la
notte della festa di primavera. E ancor
peggio, sebbene Cassie desiderasse più
di ogni altra cosa non averlo visto, sulla
camicia di Portia, proprio nel punto in
cui il suo cuore avrebbe dovuto battere,
brillava debole il simbolo dei
cacciatori. Cassie non ebbe bisogno di
chiedere agli altri se anche loro
riuscivano a vederlo questa volta. Capì
dai loro volti sconvolti che era così.
«Dobbiamo andarcene di qui», disse
Melanie con espressione spettrale.
«Adesso», comandò Diana. «Tutti a
casa mia».
Sparpagliati nel soggiorno di Diana, i
membri del circolo cercarono di
riorganizzarsi. Ma erano ancora
sbigottiti dalla sconvolgente morte di
Portia. L’avevano scampata bella.
Adam stava camminando avanti e
indietro sul tappeto fatto all’uncinetto,
mangiandosi le unghie. «Non capite cosa
significa?», disse. «I cacciatori hanno
ucciso un’esterna, pensando che la fonte
della magia provenisse da lei. Quindi
non sanno ancora chi sono le streghe».
«Non sanno ancora che si tratta di
noi», gli fece eco Faye dal punto del
divano di Diana, su cui era seduta.
«Dopo tutto questo tempo. Ve lo avevo
detto». La sua voce celava una traccia di
trionfo.
Laurel rabbrividì per la mancanza di
sensibilità di Faye. «Ma abbiamo pagato
un prezzo enorme per scoprirlo, non
trovate? Portia è morta».
«Oh, sì, ci siamo sporcati le mani con
altro sangue degli esterni», disse Faye in
tono derisorio.
Suzan scartò una barretta che aveva
estratto dalla borsa e ne addentò un
pezzo. «Stavo finalmente iniziando a non
odiare Portia. E adesso è morta per
colpa nostra», borbottò con la bocca
piena.
«Non è stata colpa nostra», disse
Deborah. «Non avevamo modo di
sapere che sarebbe successo».
Melanie
non
era
d’accordo.
«Sapevamo che eseguire un incantesimo
potente come quello era un rischio e
abbiamo
deciso
di
correrlo
volontariamente. Portia sarebbe ancora
viva se non lo avessimo fatto».
Fino a quel momento Cassie era
rimasta in silenzio. Era ovvio che si
sentisse responsabile per ciò che era
successo a Portia, ma in quel momento
non c’era tempo di crogiolarsi nel
dolore. Prese il controllo della
situazione, sperando di indirizzare la
paura e la rabbia del gruppo, persino la
colpa, verso il compito che si
prospettava davanti a loro.
«Sono scossa quanto tutti voi»,
annunciò Cassie. «Ma questa è la prova
che i cacciatori sono forti e si stanno
avvicinando. E Scarlett è ancora
prigioniera in una baracca di Cape Cod,
e mentre parliamo subisce delle torture.
Dobbiamo agire in fretta prima che lo
stesso destino di Portia si abbatta su di
lei».
Diana iniziò a scuotere la testa ancor
prima che Cassie avesse finito la frase.
«Mi dispiace, Cassie, ma non possiamo
correre il rischio. Troveremo un altro
modo».
Melanie balzò subito in aiuto di Diana
per respingere la proposta di Cassie.
«Non possiamo provocare questi
cacciatori. Avete visto di cosa sono
capaci».
Sembrava che Faye si stesse
divertendo un mondo. Cos’era a
emozionarla? La perdita brutale di una
vita umana, la divisione del gruppo, o il
rifiuto totale della proposta di Cassie?
Si mise a sedere dritta. «Potevi
immaginarlo che non ci saremmo
consegnati nelle mani dei cacciatori».
Strinse gli occhi, che diventarono simili
a quelli di un serpente. «Non con questo
gruppo di codardi, almeno».
Nick si alzò dalla sedia. «Non
dovremmo metterla ai voti?»
«No», rise Faye. «Si chiama potere di
veto. Giusto, Diana?».
Diana abbassò lo sguardo sulle sue
esili mani. «Si chiama decisione
esecutiva».
«Non possiamo andare a cercare i
cacciatori a Cape Cod», disse Adam. «E
se cercassimo di attirarli di nuovo a
New Salem?»
«Non ne abbiamo il tempo!». Cassie
perse la pazienza.
Chris Henderson balzò in piedi e andò
al fianco di Nick. «Dovremmo votare.
Come facciamo sempre».
«Sono d’accordo». Doug si unì a suo
fratello e a Nick nella loro piccola
insurrezione. «Da quando siete diventati
tutti così fascisti? Io dico di andare a
salvare Scarlett». Poi diretto a Cassie
aggiunse: «Io so cosa significa perdere
una sorella. E non voglio che tu lo
scopra sulla tua pelle».
«E io mi fido del giudizio di Cassie»,
dichiarò Nick. Aveva la mascella serrata
ma gli occhi erano pieni di emozione.
«Sono disposto a correre il rischio».
Cassie era confusa. Come era
possibile che la sua anima gemella non
la capisse come a volte la capiva Nick?
Adam adesso era in piedi, testardo e
troppo protettivo, a scuotere la testa,
mentre Nick era disposto a fare tutto il
possibile per sostenere Cassie e salvare
Scarlett.
«Non succederà, ragazzi», disse Faye
con malizia.
«Abbiamo il diritto di votare per
decidere», insisté Nick, mentre Chris e
Doug si facevano sempre più agitati al
suo fianco.
Ma anche se avessero votato, era
chiaro chi avrebbe vinto. Dopo tutto
quello che avevano passato, per loro
Scarlett
era
ancora
un’esterna.
Avrebbero fatto di tutto per salvare la
prozia Constance, ma quando era la
sorella di Cassie a essere in pericolo,
anche se avevano modo di salvarla,
rifiutavano di farlo.
«Bene». Diana sembrava sconvolta e
leggermente
infastidita
da
quell’ammutinamento. «Voteremo. Ma la
decisione sarà definitiva per il circolo.
E lasciate che vi ricordi che…».
«Risparmia
la
fatica».
Cassie
interruppe Diana. «Non ho bisogno del
vostro voto. Non ho bisogno di nessuno
di voi». Se ne andò, lasciando alle sue
spalle una frattura nel circolo.
Capitolo 22
Cassie era distesa a fissare la tenda
che scendeva dal suo letto a
baldacchino. Osservò il sole che si
rifletteva sui candelabri di peltro sul
camino e sull’orologio in ceramica
appeso alla parete opposta. A volte si
sentiva ancora un’estranea in quella
stanza, come se fosse a un pigiama party
prolungato a casa di qualche altra
ragazza.
Visto che non si era alzata dal letto
alla solita ora, sua madre bussò
gentilmente alla porta.
«Farai tardi a scuola», le ricordò,
entrando nella stanza illuminata.
Cassie non si disturbò a dire che non
stava bene. Non si disturbò nemmeno ad
aprire bocca. In realtà, era quasi
catatonica nel suo silenzio immobile.
«Non hai un bell’aspetto», disse sua
madre,
osservandola
con
preoccupazione. «Stai male?».
Cassie l’aveva evitata dalla notte in
cui aveva scoperto di avere una sorella.
Sapeva che se avesse affrontato
l’argomento con lei, sua madre avrebbe
solo cercato di cambiare le carte in
tavola come faceva sempre. Quindi si
era tenuta stretta quel segreto, come
un’arma nascosta.
Sua madre le toccò la fronte. Le
esaminò gli occhi e il colorito. «Non
credo che tu abbia la febbre», disse.
I suoi lunghi capelli neri, tirati
indietro, la facevano sembrare ancora
più pallida e magra del solito, e Cassie
si preoccupò che fosse lei in realtà a non
star bene.
Ma per quanto volesse aprirsi con sua
madre e raccontarle tutto quello che
stava succedendo, non ci riusciva. Non
era ancora pronta a perdonarla.
«Non vado a scuola oggi», le disse
bruscamente, perché fosse chiaro che
non le stava in alcun modo chiedendo il
permesso di restare a casa.
Ma sua madre non discusse. «Ti
preparo una tazza di tè caldo», disse.
«Non voglio il tè».
«Va bene allora, niente tè». Tirò fuori
un’altra coperta dal cassettone in
mogano all’angolo, la aprì e la usò per
coprire Cassie con affetto. «Va tutto
bene, tesoro? Sei arrabbiata con me per
qualcosa?».
Cassie si voltò su un fianco per
allontanarsi da sua madre. «Non sono
arrabbiata», disse alla finestra. «Sono
stanca. Chiudi la porta quando esci?».
Sua madre rimase in silenzio per
qualche secondo, ma Cassie riusciva a
percepire il suo ragionamento: si stava
chiedendo se spingere sua figlia a
parlare con lei, visto che sapeva che
c’era qualcosa che non andava, o se
andarsene e darle lo spazio che
chiedeva.
«Per favore», disse Cassie per aiutarla
a scegliere. «Puoi uscire e lasciarmi
riposare?».
Sua madre inspirò e poi espirò
profondamente. Era il suono della
rassegnazione. «Va bene», fece. «Fammi
sapere se ti serve qualcosa. Più tardi ti
preparo una zuppa per pranzo». Uscì
dalla stanza senza dire altro.
Cassie non avrebbe potuto sentirsi più
sola quando la porta si chiuse. Sua
madre era una sconosciuta per lei e,
come se non bastasse, Adam si era
schierato contro di lei all’ultimo
incontro, e Diana sembrava più una
nemica che un’amica. Cassie non aveva
nessuno a cui rivolgersi.
Uscì dal letto e andò alla finestra. La
vista dell’acqua blu zaffiro la rilassava
sempre, ma quel giorno le sembrava
così fredda e solitaria.
“Devo trovare un modo per salvare
Scarlett”, pensò. “Non importa come”.
A cosa serviva essere una strega se
non poteva usare i suoi poteri? Tuttavia
quanto potere avrebbe avuto senza
l’intero circolo a sostenerla?
Un brivido le percorse la schiena
mentre fissava l’oceano, ma non trovò
nessuna risposta. Percepiva l’ampiezza
incommensurabile dell’acqua e delle sue
onde, ma il suo ritmo interno non era
sincronizzato al loro come al solito. Per
una volta, non le sembrava che il cielo e
il mare fossero in attesa, che la
guardassero e la ascoltassero.
Iniziò
a
sentirsi
febbricitante,
dolorante e sudaticcia. “Non sei
davvero ammalata”, si disse, ma tornò
lo stesso a letto e si seppellì sotto le
coperte. Passò qualche minuto, forse
un’ora, ma non riusciva a riposare. Ogni
volta che chiudeva gli occhi e
cominciava a prendere sonno, si
svegliava di soprassalto. Come poteva
permettersi di riposare in un momento
come quello?
Il suo Libro delle ombre era a portata
di mano nel comodino. Lo tirò fuori e lo
sfogliò, in cerca di qualche indizio o
accenno di quello che avrebbe dovuto
fare. Ma nel profondo sapeva che non
c’erano scorciatoie magiche. Sarebbe
dovuta andare a Cape Cod e avrebbe
dovuto combattere i cacciatori da sola.
Era l’unico modo. Rischiava di essere
uccisa, e lo sapeva, ma non riusciva a
immaginare un motivo migliore per
morire.
I suoi pensieri furono interrotti da
qualcun altro che bussava alla porta
della sua stanza, questa volta con più
forza e meno gentilezza.
«Mamma, sto dormendo», gridò.
«Sono Adam», disse la voce dietro la
porta.
Cassie non gli disse di entrare, ma lui
girò la maniglia e aprì la porta lo stesso.
«Tua madre ha detto che non ti sentivi
bene», fece, chiudendosi la porta alle
spalle.
Cassie lo osservò con indifferenza.
«Sto bene», disse.
Lui scalciò via le scarpe e si sedette
sul letto accanto a lei. Qualcosa scintillò
nel suo sguardo e fece capire a Cassie
che avrebbe cercato di rabbonirla.
«Non ricordo di averti detto di metterti
comodo», disse.
Lui non trasalì. «Ho capito, Cassie.
Sei arrabbiata con me. Ma ascoltami per
favore».
Cassie non rispose.
Adam lo prese come un invito a
continuare. «Sai che sono sempre dalla
tua parte», disse. «E voglio salvare
Scarlett quanto te. Lo vogliamo tutti».
«Allora non dovrebbero esserci
problemi», disse Cassie. «Vogliamo tutti
la stessa cosa».
Adam corrugò le sopracciglia. «Non
ho finito. Voglio salvare Scarlett, ma mi
spaventa quello che potrebbe succedere.
E non voglio che tu, o nessuno di noi, si
faccia male».
«Inizia a sembrare un disco rotto,
Adam. Tutto quello che sapete dire è
quanto sia pericoloso tutto quello che
facciamo, che non possiamo usare la
magia, che non possiamo sfidare i
cacciatori. Sto cominciando a pensare
che Faye abbia ragione. Questo circolo
è composto da un branco di codardi».
Adam si sporse leggermente in avanti,
come se Cassie gli avesse dato un pugno
nello stomaco. «Non sono un codardo»,
disse.
“Provalo”, voleva dirgli lei, ma fu
colta da uno spasmo di rimprovero
verso se stessa. Litigare con Adam non
l’avrebbe portata da nessuna parte. Non
sarebbe riuscita a fargli vedere le cose a
modo suo.
«Non sono un codardo», ripeté Adam
a denti stretti, e per un attimo Cassie
vide qualcosa in lui che la spaventò. Un
potere imponente che gli risiedeva
dentro, latente. Se solo fosse riuscita a
incanalare quel potere a suo favore
invece che contro di lei.
Cassie sapeva nel profondo della sua
anima quanto fosse davvero potente il
circolo quando lavorava all’unisono.
Non avevano bisogno di fare
affidamento su un incantesimo di
protezione per essere al sicuro. Perché
Adam non lo capiva?
«Non posso parlare con te adesso»,
disse Cassie. «Ho bisogno di stare da
sola. Per pensare».
Adam si alzò. I suoi occhi si fecero
scuri come il cielo durante una tempesta.
«Ti amo», disse. «E se devi essere
arrabbiata con me per dimostrarmi il tuo
amore, va bene. Ma non sono disposto a
perderti».
Si mise le mani sui fianchi. Il sole che
penetrava dalla finestra gli illuminava i
capelli sottolineandone le mille
sfumature, le tonalità lucenti di rosso
mischiate al castano e al dorato.
«Se è tempo che vuoi, d’accordo»,
disse. «Ci sarò quando sarai pronta. Ma
ho una richiesta».
Fece una pausa per assicurarsi che
Cassie lo ascoltasse con attenzione.
«Quale?», chiese, ancora senza
rispondere al suo sguardo.
«Non fare niente di avventato senza
prima aver parlato con il circolo».
Cassie trasalì. Non era giusto
chiederle una cosa simile.
«Promettilo», disse Adam.
A quel punto Cassie fece l’errore di
guardare negli occhi addolorati e
adoranti il suo ragazzo. Non era un
codardo. Era buono e coraggioso, e
voleva sempre il meglio per tutti.
«Per favore», disse. «Non fare niente
di avventato».
Cassie non era meno arrabbiata con lui
di quando era arrivato, ma lo amava con
tutto il cuore. Ed era impotente contro la
necessità
di
rassicurarlo.
«Lo
prometto».
Ma sapeva che probabilmente si
trattava di una promessa che non poteva
mantenere.
Capitolo 23
Oscurità per miglia, ecco tutto ciò che
Cassie riusciva a vedere. Un’oscurità
bordata di rosso come l’interno delle
sue stesse palpebre, anche se aveva gli
occhi aperti. Percepiva la casa
fatiscente in lontananza, nascosta nel
buio della notte. Chiamò: «Scarlett!».
Scarlett non incontrò Cassie in quel
sogno – fu Cassie ad andare da lei. Si
fece strada a forza nel buio assoluto
della notte come fosse cieca e folle,
gridando il nome di sua sorella. Era
come viaggiare nello spazio in un
universo senza stelle, ma con
perseveranza Cassie trovò ciò che stava
cercando. La casa. E oltre la porta
pericolante, trovò Scarlett. Era legata ai
polsi e alle caviglie a un palo di legno
scheggiato, e stava urlando.
La stavano frustando. Chiunque
fossero. Cassie cercò di scorgere i volti
dei cacciatori, ma non poteva. Erano
privi di volto, erano nere entità senza
forma, come fantasmi. Riusciva solo a
percepire le loro oscure anime tremanti
e la paura che li animava al punto da
renderli brutali. Era la paura a guidarli,
la paura dell’ignoto, del soprannaturale,
della stregoneria. Come i soldati della
guerra santa, la loro fede nella propria
rettitudine era indistruttibile, e la loro
capacità di ricorrere alla violenza
contro
i
nemici
era
estrema.
Continuarono a frustare Scarlett senza
pietà, insensibili alle sue urla.
Cassie si chiese perché i cacciatori
non tappassero la bocca di Scarlett per
farla smettere. A un tratto capì il motivo,
come se fosse stato premuto un
interruttore nella sua mente. I cacciatori
volevano che Scarlett parlasse, che
rivelasse loro informazioni – non solo i
segreti della sua magia, si rese conto
Cassie, ma anche segreti del circolo, chi
erano e dove trovarli. Scarlett pianse,
gridò e sputò ai cacciatori senza forma,
ma non le uscì nemmeno una parola
dalla bocca livida. Stava sopportando
tutto quel dolore per proteggere il
circolo? E per proteggere Cassie?
Il suo corpo martoriato pendeva
inerme dal palo di legno e avvizziva
come un fiore morente. Il suo volto era
sporco di sangue e terra, e uno degli
occhi era talmente gonfio che non
riusciva ad aprirlo. I capelli rossi e
umidi le scendevano come sangue dalle
spalle ossute. Le avevano tolto quasi
tutti i vestiti di dosso, il torace e le
gambe erano segnati dai graffi della
frusta e da lividi purpurei. Quanto
ancora sarebbe riuscita a sopportare un
simile abuso?
Come nell’ultimo sogno che aveva
fatto, Cassie non riusciva a muoversi. I
suoi piedi erano immobilizzati sulla
soglia – da dove riusciva a vedere
Scarlett, ma non era sicura di poter
essere vista. Le parlò dal punto in cui si
trovava.
«Scarlett, so dove sei», disse. «E
arriverò presto. Te lo prometto».
A quel punto, si svegliò di scatto.
“Mia sorella”, pensò Cassie, “la mia
povera, cara sorella”. Avrebbe preferito
che Scarlett desse ai cacciatori ciò che
volevano, che dicesse loro tutta la verità
a proposito del circolo, così forse
l’avrebbero lasciata in vita. Meglio
così, piuttosto che vederla morire per
proteggerli. Scarlett era venuta a New
Salem per cercare la protezione del
circolo, non il contrario. Come era
possibile che la situazione fosse
degenerata fino a quel punto?
Ma sua sorella era ancora viva, di
quello Cassie era sicura. E fino a
quando lo fosse stata, ci sarebbe stato
tempo per salvarla.
Forse se gli altri avessero capito che
Scarlett veniva torturata proprio perché
li stava proteggendo avrebbero preso in
considerazione con più serietà l’idea di
salvarla. Forse l’avrebbero finalmente
accettata come una di loro.
E poi Cassie udì un suono penetrante.
Osservò il comodino e si rese conto che
il suo cellulare stava suonando, ma chi
poteva essere a chiamarla a quell’ora
della notte?
«Pronto?», rispose con cautela, quasi
credendo che potesse esserci uno degli
antichi cacciatori di streghe del suo
sogno all’altro capo della linea. Ma la
voce stridula che si scusava per averla
svegliata apparteneva a Deborah.
«Cos’è successo?». Cassie sapeva che
se Deborah la stava chiamando nel bel
mezzo della notte significava che
qualcuno era stato ferito o era morto,
forse entrambe le cose.
«Qualcuno ha dato fuoco al prato di
Laurel», disse Deborah. «Le fiamme
avevano la forma del simbolo dei
cacciatori».
Se Cassie non si fosse appena
svegliata da un incubo avrebbe giurato
che quello era un brutto un sogno.
«Laurel è stata marchiata», aggiunse
Deborah, in caso Cassie non avesse
compreso la portata della situazione.
Cassie si sentì all’improvviso come se
stesse soffocando, come se uno dei
cacciatori del suo incubo l’avesse
afferrata per il collo e stesse stringendo,
per farla smettere di respirare.
«Cassie?», chiese Deborah. «Stai
bene?».
Cassie tossì. Laurel. Di tutte le
persone che potevano essere marchiate,
avevano scelto la dolce e pacifica
Laurel. Come era possibile che stesse
succedendo una cosa simile?
«Sono solo sotto shock», disse.
«Continua».
Deborah riprese a parlare nel suo
stridulo sussurro. «Ci sarà un incontro
del circolo domattina prima della
scuola. Per decidere cosa fare».
«Certo», disse Cassie. «Ci sarò».
«Ci incontriamo da Diana. Alle sei e
mezzo».
«Va bene». Cassie si sentiva scossa e
strana. La voce che le usciva di bocca
non sembrava la sua. Quelle mani
invisibili le stavano ancora stringendo la
gola, rendendole difficile respirare.
«Laurel sta bene?», riuscì a chiedere.
Ma il telefono era muto. Deborah
aveva già riattaccato. A Cassie sembrò
strano che di tutti i membri del circolo
che avrebbero potuto chiamarla per
riferirle la notizia fosse stata proprio
Deborah a farlo. Non Adam o Diana.
Facendo attenzione a non svegliare sua
madre, uscì dal letto, si mise le scarpe
da ginnastica e si avvolse la giacca
intorno alle spalle. Poi aprì la porta
d’ingresso e scivolò furtiva ai margini
della loro proprietà. Dall’alto della
scogliera riusciva a vedere tutto il
quartiere, ogni casa antica che si
affacciava sulle curve di Crowhaven
Road – quelle in buono stato, come
anche quelle che sembravano in procinto
di crollare tra schegge e travi alla prima
folata di vento.
Strinse gli occhi per vedere il più
lontano possibile. Per prima cosa notò
che l’incendio era stato spento, ma
riusciva ancora a sentire nell’aria i
residui di fumo ed erba bruciata. E poi
si accorse di due figure che si
muovevano nell’oscurità, lungo i
margini del prato. Era difficile capire
chi fossero attraverso il fumo residuo.
Cassie ridusse gli occhi a fessure, ma
non servì a niente. Prese in
considerazione di camminare fino a lì.
Doveva essere qualcuno del circolo. Ma
poi le figure iniziarono ad avvicinarsi, e
Cassie le riconobbe. Erano Adam e
Diana.
I lunghi capelli biondi di Diana
luccicavano alla luce dei lampioni
mentre camminava lentamente, accanto a
Adam, verso casa sua.
Cassie sentì una fitta di risentimento.
Erano svegli e fuori casa, insieme. E
nessuno dei due si era preso il disturbo
di chiamarla.
Come aveva fatto ad allontanarsi così
tanto dalle due persone più importanti
della sua vita?
Cassie si voltò e tornò a casa con un
senso di vuoto nello stomaco. Attraversò
in punta di piedi il pavimento del
soggiorno, tornò in camera sua e chiuse
delicatamente la porta. Poi si tolse le
scarpe scalciandole via e si arrampicò
sul letto, dispiaciuta di aver avuto l’idea
di lasciarlo poco prima.
Poteva immaginare cosa stessero
facendo. Stavano pianificando, pensando
a strategie e organizzando l’incontro che
ci sarebbe stato nel giro di poche ore.
Era quello che avevano sempre fatto e
che avrebbero fatto per sempre. Il
cavaliere valoroso e l’alta sacerdotessa,
sempre vigili. Erano loro la vera anima
del gruppo, non importava chi venisse
chiamato leader o indossasse gli
Strumenti.
Adam poteva pure essere il fidanzato
di Cassie, ma il circolo ci sarebbe
sempre stato. E a rappresentare il
circolo ci sarebbe sempre stata Diana.
Nemmeno per un secondo Cassie
sospettò che Adam la stesse tradendo
con lei. Non ne aveva bisogno. Quello
che condivideva con Diana andava oltre
il tradimento.
Alzò lo sguardo al soffitto, insonne.
Che pensassero pure a qualche strategia.
Lei era stanca di aspettare in disparte.
Sarebbe andata a salvare Scarlett da
sola e avrebbe distrutto i cacciatori
prima che marchiassero qualcun altro –
e prima che avessero l’opportunità di
uccidere Laurel.
Ma Cassie sapeva di aver bisogno di
due cose se aveva intenzione di
combattere i cacciatori da sola: il
diadema e la giarrettiera di Diana e
Faye.
Capitolo 24
Il mattino seguente, Cassie arrivò a
casa di Diana con caffè e muffin appena
sfornati. Diana parve quasi incerta
mentre accettava il sacchetto di
dolciumi, come se non sapesse
interpretare
quel
gesto
gentile.
Dall’ultima volta in cui si erano trovate
in disaccordo e Cassie era andata via
infuriata dall’incontro del circolo, si
erano evitate. Quindi era prevedibile
che Diana fosse sospettosa di fronte a un
cambiamento di atteggiamento così
improvviso.
«Ti unisci un attimo a me al tavolo
della cucina prima che arrivino gli
altri?», chiese Diana a Cassie.
Cassie sedette, avvicinò a sé uno dei
caffè e ascoltò.
Diana mordicchiò un lato del muffin.
«Sono stata sveglia tutta la notte in cerca
di incantesimi che annullassero il
marchio», disse. «Per salvare Laurel».
«E?»
«Non ho ancora trovato quello
perfetto, ma sono sulla buona strada.
Spero di trovare il modo di combinare
un incantesimo di revoca con uno di
guarigione».
Cassie riusciva solo a pensare al
diadema, ma si costrinse ad annuire
verso Diana con fare incoraggiante.
«Fammi sapere se posso fare qualcosa
per aiutarti», le disse. Sapeva di dover
aggiungere qualcosa per riconquistare la
fiducia di Diana. «So di essere stata
irascibile ultimamente», continuò, «e
non sarei dovuta andare via dall’ultimo
incontro in quel modo, visto che è
importante restare uniti».
Diana sollevò le sopracciglia, e
Cassie riuscì a percepire il cuore che le
si riempiva di speranza.
«E voglio aiutare a tenere unito il
circolo, in modo che sia più forte»,
concluse. «Insieme siamo abbastanza
forti da sconfiggere i cacciatori, ne sono
convinta».
Diana inclinò il mento verso Cassie
proprio mentre Adam appariva alla
porta laterale.
La vista di Cassie fece rilassare il suo
volto teso e guardingo. Poi il suo
sguardo incrociò brevemente quello di
Diana, e tra loro passò un barlume di
mutuo accordo.
«Spero di non interrompere», disse
Adam. «Ma devo ammettere che è bello
vedervi parlare».
Diana sorrise a Adam, convinta che la
situazione tra lei e Cassie fosse stata
chiarita. Lasciò andare il suo muffin e
tese la mano verso quella di Cassie.
«Sono così felice che ti sia
ravveduta», disse. «Affronteremo quei
cacciatori dal nostro stesso rifugio». I
suoi occhi color smeraldo si riempirono
di lacrime. «Ecco come farò a essere
certa che mia sorella sia al sicuro».
Adam le raggiunse al tavolo e afferrò
un caffè, non volendo essere escluso
dalla conversazione. «E ricorda,
Cassie», disse. «Scarlett è una strega
potente, almeno quanto te. Forse persino
di più». Mescolò il caffè. «Devi fidarti
che riesca a prendersi cura di sé».
Presto il resto del gruppo iniziò ad
arrivare. Deborah era con Melanie e una
Laurel terrorizzata. Nick, con il suo
aspetto freddo e affascinante, era dietro
di loro. Erano seguiti da Chris e Doug, e
da uno Sean furtivo e mezzo
addormentato. Infine, Faye arrivò con
Suzan, che per poco non la fece cadere
scattando verso il piatto di muffin. Per
qualche minuto, si affaccendarono tutti
intorno al tavolo della cucina, bevendo e
mangiando.
La conversazione rumorosa del gruppo
era diversa dal solito. Cassie sentiva
provenire da loro una sorta di gelo, un
nuovo tipo di paura. E sentiva qualcosa
di oscuro dentro di sé, come se dopo
l’ultima minaccia fosse stata spinta
ancora di più ai margini del gruppo.
Per Cassie fu facile allontanarsi senza
farsi notare. Afferrò in fretta la borsa e
si diresse in bagno senza che nessuno la
degnasse di uno sguardo. Poi continuò a
camminare. Sapeva che il diadema era
nascosto in camera di Diana. Doveva
solo riuscire a trovarlo. E la porta della
camera di Diana era aperta, come se la
stesse invitando a entrare.
Si fermò sulla soglia. Una volta fatto
un passo all’interno non sarebbe più
potuta tornare indietro. Doveva essere
sicura di essere disposta a sopportare le
conseguenze. Ma ricordare i suoi incubi
e il suono delle urla di Scarlett fu
sufficiente a convincerla a compiere
quel passo.
Cassie aveva imparato ad abituarsi
all’eleganza della stanza di Diana. In
passato le era sembrata stranamente
adulta per un’adolescente, ma ormai le
sembrava perfetta per lei.
Se fosse stata Diana, dove avrebbe
nascosto il diadema?
Cassie perlustrò la camera con lo
sguardo e si soffermò su ogni mobile
dall’aspetto antico. Osservò la panca
sotto la finestra e i numerosi prismi
appesi lì sopra. Il sole del mattino li
colpiva in pieno, riflettendo minuscoli
arcobaleni sul lato opposto della stanza.
Sprazzi di luce multicolore oscillavano
avanti e indietro sulle stampe delle dee
sopra il letto di Diana.
Cassie sorrise. Le stampe delle dee.
Conosceva così bene Diana, la ragazza
che aveva giurato di essere come una
sorella; non aveva nemmeno bisogno di
ricorrere alla magia per capire dove
fosse nascosto esattamente il diadema.
In tutto c’erano sei stampe. Cinque
erano simili fra loro, in bianco e nero e
leggermente all’antica.
Erano Afrodite, dea dell’amore;
Demetra, dea della fertilità; Era, regina
degli dei; Atena, dea della saggezza; e
Persefone, dea degli Inferi. Ma l’ultima
stampa era diversa dalle altre. Era a
colori, più grande e moderna.
Rappresentava una giovane donna sotto
un cielo stellato, con una luna crescente
che splendeva sui lunghi capelli
ondulati. Era la dea Diana. E indossava
lo stesso indumento bianco che portava
Diana agli incontri del circolo, come
anche una giarrettiera sulla coscia destra
e un braccialetto d’argento alla parte
superiore del braccio. Cosa più
importante, sulla testa portava uno
stretto cerchietto con una luna crescente
rivolta verso l’alto. Il diadema.
“Ovviamente”, pensò Cassie. Era
quasi troppo scontato.
Cassie posò la mano sulla stampa, e
poi la sollevò gentilmente dalla parete.
Proprio come sospettava, nella parete
dietro la cornice c’era una cavità, ed
eccolo lì. All’interno di quel
nascondiglio segreto di intonaco
strappato e stucco c’era una scatola
argentata.
Cassie la prese con fare famelico e
sollevò il coperchio. All’interno c’era il
diadema scintillante, in tutta la sua
gloria.
In fretta, Cassie infilò il diadema nella
borsa e rimise a posto la scatola nella
parete. Riappese la stampa sopra la
cavità e la raddrizzò, lasciandola come
l’aveva trovata.
L’intera terribile azione fu completata
in meno di cinque minuti.
I mobili antichi erano ancora al loro
posto e i prismi lanciavano ancora
arcobaleni colorati intorno alla stanza.
Appariva tutto proprio come prima. Ma
il diadema nella sua borsa sembrava
carico – quasi vivo. Poteva sentirne il
potere pulsare al suo fianco.
Cassie tornò dal gruppo con aria
innocente, rimettendo la borsa su una
delle sedie della cucina e poi
spingendola sotto al tavolo. La congrega
si era spostata in salotto, dove erano
tutti seduti comodi sul divano e per
terra, intorno al tavolo centrale. Stavano
guardando Cassie, ed erano stranamente
in silenzio.
Cassie trattenne il fiato. Forse ci
aveva messo più di quanto avesse
pensato.
«Cos’è successo, sei caduta dentro
alla tazza?», disse Doug Henderson, e
tutti scoppiarono a ridere.
«Scusate». Cassie fece un sospiro di
sollievo. «Mi stavo sistemando il
trucco».
Adam rimproverò Doug con lo
sguardo e poi invitò Cassie a sedere
accanto a lui sul divano. L’incontro
stava per iniziare.
Cassie sorrise con fare inoffensivo e
andò da Adam. Prese la sua mano calda
e forte fra le proprie e aspettò che Diana
si alzasse in piedi per parlare.
Non provava più un briciolo di senso
di colpa per ciò che aveva appena fatto.
Non era da lei, ma sapeva che se fosse
stata in pericolo, Scarlett avrebbe fatto
la stessa cosa. Il gruppo avrebbe capito
quando fosse tutto finito, quando avesse
salvato Scarlett da sola e sconfitto i
cacciatori con il potere degli Strumenti
Supremi al suo comando. Avrebbero
capito che aveva sempre avuto ragione,
e che persino rubare gli Strumenti
Supremi alle altre leader era un misfatto
necessario. Un misfatto necessario,
ecco un concetto a cui Cassie non aveva
mai davvero pensato prima, ma che
definiva al meglio la sua situazione
attuale.
Scoccò un’occhiata alla sua borsa in
cucina e poté giurare che fosse
circondata dall’energia, una forza bianca
e vigorosa. Sperò che nessun altro se ne
accorgesse. Ora non doveva fare altro
che prendere la giarrettiera da Faye.
Capitolo 25
Aggirarsi fuori dalla casa di Faye
Chamberlain in piena notte significava
quasi rischiare la morte. Ma Cassie
ormai si era spinta troppo oltre per
tirarsi indietro, e poi si era preparata.
Aveva passato tutto il giorno a studiare
il suo Libro delle ombre, memorizzando
ogni incantesimo che riusciva a
ricordare e che avrebbe potuto aiutarla a
superare indenne quella missione
segreta.
Faye si divertiva fin troppo con gli
incantesimi, quindi non c’era modo di
sperare che la giarrettiera fosse priva di
protezione. Che fosse tracciabile o
meno, la magia era l’unico modo in cui
Cassie sarebbe riuscita a mettere le
mani sopra la preziosa reliquia. In ogni
caso, prima doveva trovarla.
Cassie sapeva come introdursi in casa
di Faye attraverso la cantina. Doveva
solo togliere la catenella della porta di
legno dello scantinato che dava sul
cortile sul retro e attraversare il
pavimento di cemento al di sotto – la
stessa cosa che faceva Faye quando
voleva entrare e uscire a ogni ora della
notte.
Una volta all’interno, Cassie si guardò
intorno. Lo scantinato era buio e stantio,
pieno di scatole polverose e scatoloni
umidi. A Cassie venne in mente che se
Faye fosse sgattaiolata fuori quella notte
e fosse tornata a casa attraverso la porta
dietro di lei, l’avrebbe scoperta. Ed
essere scoperti da Faye significava
essere
annientati.
Cassie
lanciò
un’occhiata alla porta chiusa dietro di sé
e poi scrutò con prudenza la stanza
ammuffita. Doveva andare avanti, non
poteva tirarsi indietro adesso, non
importava il rischio che stava correndo.
Prima di permettere alla sua paura di
sopraffarla, decise di tentare un
incantesimo
per
convocare
la
giarrettiera.
Afferrando il pendente di quarzo rosa
che portava intorno al collo, sussurrò
l’incantesimo che aveva memorizzato
dal
suo
Libro
delle
ombre,
modificandolo per il suo scopo attuale.
Ora è come persa,
presto ti potrò trovare
antica giarrettiera da me devi volare.
All’inizio non successe niente, ma
aspettò con pazienza circondando la
stanza e ripetendo di nuovo quelle
parole.
Non ebbe fortuna. E non percepì
niente. Quindi decise di provare
qualcosa di più forte. Era un altro
incantesimo di convocazione, ma il suo
Libro delle ombre diceva che avrebbe
potuto rintracciare l’energia di un
oggetto invece di riguardare solo
l’oggetto fisico in sé.
Per quell’incantesimo Cassie dovette
concentrarsi intensamente. Chiuse gli
occhi e respirò a fondo fino a
raggiungere uno stato meditativo. Ci
volle qualche minuto, ma presto il suo
respiro divenne ritmico come il battito
cardiaco. Si lasciò immergere in quel
ritmo fino a esserne sopraffatta, come se
il pulsare stesso della vita fosse ai suoi
ordini. Quando le vennero le parole,
proruppero dal profondo delle sue
viscere.
Spiriti guida vi chiedo ausilio.
Concedetemi chiarezza e il vostro consiglio.
Antica giarrettiera io ti evoco,
bianco e nero, luce e ombra,
che la tua preziosa energia sorga dalla
penombra.
Cassie aprì gli occhi e scoprì una luce
acquamarina scintillante davanti a sé.
Galleggiava, aspettando di essere
osservata da lei, poi si elevò in aria,
lasciando dietro di sé una scia come
quella delle comete.
Ecco come Cassie aveva sempre
immaginato che fosse la magia. Seguì la
scia acquamarina intorno allo scantinato
fino a quando non la condusse al
ripostiglio sotto alle scale.
Cassie era estasiata. Quello doveva
essere il posto giusto.
E poi sentì qualcosa… dei passi sopra
la testa. Le mancò il respirò e tutto il
corpo si irrigidì mentre ascoltava di
nuovo
quel
rumore.
Rimase
perfettamente immobile, perlustrando gli
angoli dello scantinato in cerca di
possibili nascondigli. Sentì di nuovo lo
stesso suono e si rese conto che era solo
il vento che sbatteva sulla porta di
legno.
Era stato un falso allarme, per fortuna,
ma le aveva comunque fatto perdere la
concentrazione. La luce acquamarina
crepitò.
Lo spazio sotto le scale era basso,
stretto e colmo di scatole. Cassie passò
le mani su alcune delle superfici umide
per controllare che ci fossero delle
vibrazioni provenienti da una di loro.
Attenta a non fare troppo rumore, le
analizzò tutte fino a quando non si
accorse di una scatola con un disegno
sbiadito al lato – un ghirigoro simile a
un nodo celtico. La aprì in fretta e
guardò all’interno. Trovò un’altra
scatola. Una scatola di acciaio. In preda
all’agitazione, tese la mano senza
pensare. La scatola scintillò al suo
tocco, bruciandole le dita.
Era ovvio che Faye l’avesse protetta.
Cassie infilò la mano in tasca ed
estrasse il cristallo di ossidiana che
aveva portato da casa. Nera come lava e
dai margini taglienti, la roccia era
grande come la sua mano e poteva
facilmente essere usata come arma. Ma
Cassie l’aveva portata per la sua
capacità di purificare la materia oscura.
Fece scivolare il cristallo sulla scatola
di acciaio per disattivare l’incantesimo
di Faye mentre mormorava le parole che
aveva memorizzato: «Si allontani
l’oscurità, non serve alcuna barriera,
che entri la purezza e rischiari
l’atmosfera».
E funzionò. Quando Cassie toccò la
scatola una seconda volta per
controllare che non reagisse, la trovò
fredda. Con più sicurezza, ne aprì il
coperchio di metallo.
All’interno tuttavia non trovò la
giarrettiera. C’era invece un bigliettino
scarabocchiato in inchiostro rosso
sangue che diceva BEL TENTATIVO.
Cassie chiuse il coperchio della
scatola con rabbia. Tipico di Faye.
Doveva aguzzare l’ingegno se voleva
avere successo. Doveva pensare come
Faye.
Faye era… cosa? Faye era…
possessiva, per usare un eufemismo. Si
sarebbe fidata solo di se stessa come
sistema di sicurezza della giarrettiera.
Doveva tenerla accanto a sé. In realtà,
forse non la perdeva mai di vista.
All’improvviso Cassie capì, senza
alcuna ombra di dubbio, cosa avrebbe
dovuto fare. Doveva andare nella stanza
di Faye, dove lei stava dormendo. La
giarrettiera era lì. Non poteva essere
altrove, perché Faye doveva proteggerla
anche durante il sonno.
Cassie si ritrovò a desiderare che
Faye fosse davvero sgattaiolata fuori
quella notte, lasciando vuota la stanza.
Ma sapeva che era il momento di agire,
non di pensare. Un incantesimo
silenziatore l’avrebbe aiutata a salire le
scale senza fare rumore.
«Dalla punta dei piedi al mento, cali
un silenzio su cui fare affidamento».
Cassie si passò le dita dai piedi, lungo
gambe e braccia, per tutta la lunghezza
del torace e sulla bocca, sentendo ogni
centimetro del suo corpo diventare
silenzioso al suo tocco. Quando fece un
passo in avanti, la sensazione della
scarpa che toccava il pavimento era la
stessa, ma non fu accompagnata da un
solo accenno di rumore. Anche quando
saltò su e giù, il movimento non causò
nessun suono. Incredibile.
Come un abile ladro nella notte, si
fece strada verso la scalinata principale,
attraverso il sontuoso salotto, verso la
camera da letto di Faye. Girò la
maniglia e spinse la porta per aprirla
con sicurezza.
La stanza era come Cassie la
ricordava, ma più buia. La luce della
luna risplendeva attraverso la grande
finestra, ma era difficile vedere, e
Cassie non poteva rischiare di svegliare
Faye con il fascio di luce della torcia.
C’erano tante candele rosse sparse per
la stanza, ma ovviamente erano tutte
spente. Cassie aspettò qualche secondo
perché i suoi occhi si abituassero, poi
parole che fino a quel momento non
sapeva nemmeno di conoscere le
salirono alle labbra.
Per il potere del sole, l’oscurità luce deve
diventare
e una vista notturna a me regalare.
All’improvviso,
poté
vedere
nell’oscurità come se avesse indossato
un paio di occhiali a infrarossi. Ed ecco
Faye,
che
dormiva
russando
leggermente.
Per un istante, Cassie provò una sorta
di tenerezza nei suoi confronti – senza
dubbio era lo stato più pacifico in cui
l’avesse mai vista. Sembrava quasi una
bambina, raggomitolata al sicuro del
letto enorme, circondata da cuscini
morbidi e ricamati. I suoi capelli
annodati e nero corvino ricadevano in
lunghe ciocche morbide, incorniciandole
il volto in un modo che fece quasi
dimenticare a Cassie quanto quella
ragazza fosse spaventosa da sveglia.
Scosse la testa per allontanare quel
pensiero. Sapeva di trovarsi in un luogo
pericoloso e che Faye era come un
drago dormiente che proteggeva un
gioiello. Una sola mossa falsa, e Cassie
avrebbe…
Prima che potesse solo finire il
pensiero, i lembi della coperta si
mossero, e ne uscì la testolina di un
gatto rosso, seguito da uno grigio.
Cassie aveva dimenticato i gattini
succhiasangue di Faye. Ormai erano
adulti. Senza dubbio con denti e artigli
più affilati dell’ultima volta che li aveva
incontrati. Rimase immobile a osservare
le creature che scivolavano fuori da
sotto al letto. Sarà anche stata
silenziosa, ma quelle bestiole potevano
ancora vederla e sentire il suo odore. Le
annusarono le dita dei piedi facendo le
fusa. Il gatto rosso si appoggiò alla sua
gamba per risalirle fino al ginocchio e
poi sibilò. Quello grigio le artigliò il
piede e le graffiò con cattiveria la pelle
della caviglia.
Con un’occhiata a Faye, Cassie
scalciò il gatto grigio dal piede destro,
mandandolo a rotolare sul tappeto.
Quello rosso parve arrabbiarsi. Dal
punto del ginocchio sinistro di Cassie in
cui era appoggiato con entrambe le
zampe anteriori, fece un balzo diretto al
suo volto, indirizzando gli artigli affilati
verso la guancia.
“No!”, urlò Cassie, senza però
produrre alcun suono. Con una rapida
mossa difensiva, afferrò il gatto per la
collottola. Le graffiò il polso con gli
artigli e le morse la mano. Il sangue le
colò dalle dita sul pavimento.
Gettò il gatto rosso fuori dalla stanza,
chiudendogli la porta in faccia prima
che potesse balzare di nuovo verso di
lei. Nel frattempo, il gatto grigio era
saltato sul letto e mordicchiava il collo
di Faye, cercando di svegliarla.
«Ahi!», gridò Faye.
E con la stessa velocità di un gatto,
Cassie sfrecciò verso l’armadio di Faye,
chiudendosi in silenzio all’interno prima
che Faye potesse vederla.
«Ehi… cosa ti è preso?». Faye, ormai
completamente sveglia, sgridò il gatto
grigio.
Cassie trattenne il fiato per abitudine e
chiuse gli occhi dentro all’armadio.
Faye tornò silenziosa, ma Cassie
poteva sentire il fruscio delle lenzuola.
Era sicura che Faye si fosse accorta di
qualcosa di strano. Spiegazioni e scuse
le passarono per la mente a tutta
velocità. Se solo avesse conosciuto un
incantesimo per rendersi invisibile.
Quella era l’unica cosa che avrebbe
potuto salvarla se Faye avesse aperto
l’anta dell’armadio.
Ma poi Faye rise sovrappensiero.
«Così va meglio», disse. «Adesso lascia
che mammina si goda il suo sonno di
bellezza. Puoi dormire qui con me
stanotte se prometti di fare il bravo».
Cassie fece un sospiro di sollievo.
C’era mancato poco. Ma quando riaprì
gli occhi, l’armadio sembrava diverso.
Un’insolita luce acquamarina irradiava
da un indumento appeso all’interno.
L’incantesimo di localizzazione aveva
funzionato!
La
luce
scintillante
galleggiava proprio all’interno della
giacca di pelle preferita di Faye, quella
che indossava ogni giorno nonostante la
temperatura. Cassie passò le dita sulla
pelle morbida e sul liscio raso rosso
della fodera interna.
Ovvio. Faye aveva cucito la
giarrettiera dentro la fodera della
giacca. Come aveva fatto a non pensarci
prima?
Cassie afferrò il raso rosso fino a
strapparlo abbastanza da guardare
all’interno.
Ed eccola lì, in un letto di morbido
raso rosso – la giarrettiera di pelle
verde. Cassie stava per mettere la mano
all’interno per prenderla quando ricordò
il bagliore che le aveva bruciato le dita
in precedenza. Recuperò ancora una
volta il cristallo di ossidiana dalla tasca
e lo fece passare più e più volte sulla
giarrettiera per disattivare qualunque
incantesimo Faye avesse impostato. Poi
fu libera di tendere la mano e afferrarla.
Finalmente.
La giarrettiera le sembrava pesante
sulla
mano.
La
tenne
stretta
ammirandone le fibbie lucenti, non
riusciva quasi a crederci. Ce l’aveva
fatta davvero! Tuttavia non aveva tempo
per festeggiare. Riusciva a sentire il
gatto rosso che grattava la porta della
camera, e doveva scappare prima che
Faye si svegliasse di nuovo.
In silenzio, cercò di rimettere a posto
la fodera, ma senza ago e filo o
l’incantesimo giusto sarebbe stato
impossibile. Faye si sarebbe accorta
della sua assenza al mattino – era
inevitabile. Ma non aveva importanza. A
quel punto Cassie sarebbe stata a Cape
Cod, insieme al potere degli Strumenti
Supremi.
Lasciò la giacca appesa, una tomba
violata, scivolò fuori dall’armadio e
attraversò la camera da letto. Nel
momento stesso in cui aprì la porta il
gatto rosso saltò all’interno, ma Cassie
aveva già sceso le scale e ripercorso la
strada fatta in pochi secondi.
Fu solo a quel punto che assorbì
finalmente la realtà degli eventi. Ora
possedeva tutti gli Strumenti Supremi e
il potere di cui aveva bisogno per
salvare Scarlett, anche senza l’aiuto del
circolo.
Capitolo 26
La mattina seguente Cassie si alzò alle
cinque spaccate, senza bisogno della
sveglia. Era come se il suo corpo fosse
così impostato sulla missione del giorno
che le tecnologie inventate dall’uomo
per facilitarsi la vita, come gli orologi,
non erano necessarie. Quella mattina si
sentiva una cosa sola con gli elementi,
non era più alla loro mercé.
Si alzò dal letto e si vestì con movenze
cerimoniali, come un guerriero spartano
prima della battaglia. Indossò la veste
bianca che le aveva regalato Diana e
fece scattare il braccialetto sulla parte
superiore del braccio, infilò la
giarrettiera intorno alla coscia e si posò
il diadema scintillante sulla testa. Era
pronta per andare a salvare sua sorella.
Scese le scale fino in cucina. Doveva
prendere in prestito la macchina di sua
madre, ma non poteva certo dirle che ne
aveva bisogno per combattere i
cacciatori di streghe e salvare la sorella
di cui non le aveva mai parlato. Quindi
avrebbe dovuto sottrargliela senza
permesso. Sembrava il leitmotiv
dell’intera missione: prendi ciò che ti
serve e rimanda le spiegazioni. E lo
avrebbe fatto. In seguito avrebbe
spiegato ogni cosa, a sua madre, a
Diana, Faye, Adam, tutti quanti. Per il
momento, Cassie non poteva permettere
a nessun tipo di senso di colpa di
attanagliarla e distrarla – doveva
concentrarsi solo su come arrivare a
Cape Cod.
Tuttavia, mentre si allontanava da
Crowhaven Road e percorreva la strada
che l’avrebbe condotta fuori da New
Salem, una sensazione di nausea iniziò a
crescerle dentro. Immaginò fosse una
questione nervosa, e si disse che aveva
ogni diritto di essere inquieta; quello
che stava per fare era pericoloso. I
cacciatori avevano la magia nera dalla
loro parte.
“Gli Strumenti Supremi non mi
abbandoneranno nel momento del
bisogno”, pensò Cassie. E bastò quello a
ricordarle la rosa di calcedonio che
aveva nascosto in tasca.
Era un portafortuna che le aveva
regalato
Adam
tempo
prima
nell’eventualità che si fosse trovata in
pericolo e lei lo aveva portato con sé
tanto per essere più tranquilla.
Nonostante tutto quello che avevano
passato e i disaccordi avuti nelle ultime
settimane, Cassie credeva ancora in
Adam e aveva fiducia nel loro legame.
Avevano bisogno di un cristallo raro per
essere connessi a quel punto della loro
relazione? No, certo che no. Forse
Cassie aveva portato il pezzo di
calcedonio solo per superstizione, ma
anche in quel caso trovava rilassante
passare le dita sulla sua superficie
irregolare. La pietra sembrava viva
nella sua mano come quando Adam
gliela aveva data la prima volta.
«Stringila forte», le aveva detto, «e
pensa a me». Lo fece in quel momento e
sentì il suo coraggio che aumentava.
Percorrendo l’autostrada della contea
fino a Sandwich però, la paura di Cassie
raggiunse un nuovo livello. Il cartello
fatiscente che l’avvertì che era arrivata
in città diceva che questa era stata
FONDATA NEL 1639, ricordandole così
le radici profonde di quel luogo. Gli
Strumenti stessi sembrarono reagire da
soli alla città. Cassie poteva giurare che
le stessero riscaldando il corpo,
diventando più caldi ogni secondo che
passava, mentre si avvicinava a
Hawthorne Street.
Si rese conto che avrebbe dovuto
stilare un piano d’attacco per quando
avesse
incontrato
i
cacciatori.
Conosceva la maledizione dei cacciatori
a memoria, e di sicuro gli Strumenti
l’avrebbero aiutata, ma ora che la
situazione si stava facendo sempre più
chiara, iniziarono a formarsi delle
domande nella mente di Cassie. Non
sapeva quanti cacciatori ci sarebbero
stati. C’era un limite a quanti avrebbe
potuto neutralizzarne con una sola
maledizione? E se quando fosse arrivata
Scarlett fosse stata ancora peggio di
come l’aveva vista Cassie in sogno? Nel
profondo della mente di Cassie
strisciava la paura che sua sorella
potesse già essere stata uccisa.
Cassie strinse di nuovo la rosa di
calcedonio.
Ma
nonostante
la
rassicurazione del cristallo, quando vide
la casa al numero 48 di Hawthorne
Street, tutto il suo essere fu attraversato
dalla paura. Era proprio come l’aveva
immaginata nei suoi incubi, identica
all’immagine che aveva visto durante
l’incantesimo di localizzazione. Un
cottage fatiscente sulla spiaggia con
rifiniture di legno grigio, in fondo a una
strada lunga, desolata e sabbiosa, con
una grande distesa d’acqua da una parte
e paludi dall’altra. Non si vedeva
nessun’altra casa nei paraggi.
La terribile sensazione nelle viscere di
Cassie si intensificò. L’acido nello
stomaco le risalì fino in gola,
riempiendole la bocca di un gusto
nauseante. Ogni centimetro del suo
corpo la incitava a voltare la macchina e
tornare a casa. Ma sapeva di non poter
permettere alla sua paura di sopraffarla
in quel momento. Non quando aveva
fatto così tanta strada.
Uscì
dalla
macchina
con
determinazione e si fece strada
attraverso l’erba alta verso la casa, ma
dopo pochi passi si immobilizzò. Cercò
di procedere ma non ci riuscì. C’era un
qualche tipo di barriera magica che
proteggeva il perimetro della villa,
simile a quella usata da Faye per
proteggere la giarrettiera nascosta.
Tuttavia, ora che indossava gli
Strumenti, non avrebbe dovuto avere
difficoltà. Toccò ciascuna delle reliquie
una per una, mettendole a posto ed
evocando nella mente il loro potere
collettivo.
Non
era
la
sua
immaginazione, gli Strumenti emanavano
calore, ne era sicura.
«Dissolviti, potente scudo!». La voce
le uscì dalla gola con una tonalità bassa
e stridula mentre inviava tutta la sua
energia verso la casa. Si concentrò a
fondo e ripeté le parole, questa volta
facendo forza con la mente fino a sentire
il potere degli Strumenti che defluiva da
lei come un’ondata di calore rovente.
L’incantesimo sembrò funzionare
all’istante. La nuvola oscura che
incombeva sulla casa si dissolse, e la
forza protettiva intorno al perimetro
della proprietà scomparve. “Le reliquie
stanno davvero funzionando”, pensò
Cassie. Era come se avesse già salvato
Scarlett.
Senza indugio, proseguì libera da
ostacoli. Ripetendo la maledizione dei
cacciatori nella mente, camminò piano e
facendo attenzione in uno stato di
profonda meditazione verso la casa.
A pochi centimetri di distanza dalla
porta principale, vide che era battuta dal
vento e danneggiata dall’acqua, marcita
fino a diventare molle come nessun
legno dovrebbe. E le fondamenta
scricchiolavano e tremolavano al vento,
come se potessero crollare da un
momento all’altro. A Cassie venne in
mente di provare a evocare qualche tipo
di incantesimo di protezione su di sé
prima di entrare, o forse un altro
incantesimo silenziatore che la aiutasse
a introdursi in casa. Ma poi ci ripensò.
Sarebbe semplicemente entrata, senza
trucchetti codardi o stratagemmi. Gli
Strumenti erano l’unico potere di cui
aveva bisogno.
Cassie rimase in ascolto in cerca di
voci ma non ne sentì nessuna. In
quell’inquietante silenzio, la paura che
Scarlett potesse essere già stata uccisa
le invase la mente. Un’immagine del suo
corpo morto che ondeggiava dal soffitto,
come la lancetta di un orologio – tic tac,
tic tac – perseguitò Cassie. Ma doveva
varcare quella porta senza la minima
distrazione. Avrebbe avuto pochi
secondi per lanciare l’incantesimo, forse
ancora meno. Lanciare l’incantesimo,
salvare Scarlett e andarsene di lì.
Quello era il piano.
Cassie posò con attenzione la mano
sulla superficie marcita della porta. Con
sua sorpresa non la trovò chiusa a
chiave. In realtà, non sembrava
nemmeno chiusa del tutto. Spinse la
superficie umida con un tocco gentile
del palmo della mano, e si aprì senza
sforzo.
Stava già intonando la maledizione dei
cacciatori di streghe sottovoce, pronta a
reagire a ogni attacco, ma quando fece
un passo all’interno, la scena che si
presentò davanti ai suoi occhi non
assomigliava per niente a quella vista
nei suoi sogni.
La stanza principale era ampia e
ordinata. Le pareti erano dipinte di un
blu oceano e rifinite con una cornice da
soffitto bianca. Il pavimento di legno era
stato passato con la cera di recente, e
l’aria all’interno della stanza era tiepida
e profumava di cedro grazie al calore
proveniente dal focolare acceso.
Scarlett era lì, da sola, accomodata su
un divano sbiadito davanti al camino. I
suoi capelli rosso tinto le scendevano in
ciocche
ordinate
sulle
spalle,
incorniciando il suo volto sorridente e le
guance rosate.
«Finalmente», disse. «Mi stavo
annoiando così tanto ad aspettarti».
Cassie capì immediatamente di aver
fatto un terribile errore. Quella era una
trappola.
Capitolo 27
«Vieni a sederti accanto al fuoco»,
disse Scarlett. Stava sorridendo, anche
se il suo volto sembrava contorto in un
ghigno.
Cassie cercò di correre fuori dalla
porta, ma ancora una volta si ritrovò con
i piedi piantati per terra, come le era
successo fuori, ai margini della
proprietà. «Cosa succede?», chiese.
«Puoi avvicinarti, ma non puoi
andartene». Il sorriso di Scarlett si
illuminò.
«Dove sono i cacciatori?», chiese
Cassie.
Scarlett scrollò le spalle. «Non lo so».
«Ma almeno esistono?»
«Oh, i cacciatori esistono davvero»,
disse Scarlett. «Hanno ucciso mia madre
e mi hanno seguita qui. Però non mi
hanno mai catturata».
Diede un colpetto allo spazio libero
sul divano accanto a lei, facendo cenno
a Cassie di sedersi. «Il tuo circolo non
ha idea di cosa li aspetti con i
cacciatori. Ma mi hanno offerto la
cornice ideale per esercitarmi con i miei
incantesimi di invasione mentale».
Quindi tutto quel tempo in cui Cassie
aveva pensato di avere delle visioni, di
comunicare attraverso lo spazio e il
tempo con sua sorella, si era sbagliata:
era stato solo un trucco. Il circolo aveva
sempre avuto ragione. Cassie non aveva
riflettuto a fondo.
Non poteva voltarsi e scappare via,
ma aveva ancora gli Strumenti, che
stavano pulsando di energia. Poteva
proteggersi.
Toccò ogni reliquia e ne evocò il
potere. Gli Strumenti divennero subito
caldi, fin troppo caldi. Le ustionarono la
pelle, come le se si fossero rivoltati
contro.
«Senti come bruciano?», chiese
Scarlett.
In qualche modo era riuscita a
reindirizzarne il potere. Gli Strumenti si
agitarono, infuriati e roventi per la
violenza che stavano subendo.
«Ci penso io a toglierteli di dosso»,
disse Scarlett.
Senza alcuno sforzo, con un solo
schiocco delle dita, gli Strumenti
Supremi risposero al suo richiamo.
Come metallo che risponde a un
magnete, si staccarono dal corpo di
Cassie e volarono fra le mani tese di
Scarlett.
Ma come? Come era possibile che
Scarlett avesse così tanta influenza sugli
Strumenti da poterli richiamare? Doveva
essere una strega molto più potente di
quanto Cassie avesse immaginato.
«È davvero un peccato che non ti sia
mai interessata alle arti oscure», disse
Scarlett, percependo il suo stupore alla
vista delle sue abilità.
All’improvviso Cassie sentì freddo e
le sembrò di essere nuda, senza nulla
addosso tranne la veste bianca. Priva di
poteri e stupefatta, fu percorsa da un
brivido.
«Chi sei?», chiese.
«Sono la figlia di Black John. Non è
ovvio?», disse Scarlett, indicando gli
Strumenti Supremi.
«Allora siamo davvero sorelle».
«Oh, sì», disse Scarlett. «Quella parte
era vera».
Scarlett, con indosso gli Strumenti
Supremi sulla maglietta nera e i jeans,
tese la mano verso un attizzatoio accanto
al camino. Cassie si irrigidì. Solo
quando comprese che Scarlett si era
sporta a prendere una busta di
marshmallow, si rilassò. Ne infilzò uno
con l’attizzatoio di metallo nero e lo
tenne sospeso sulle fiamme.
«Questi Strumenti sono stati pensati
per me», disse Scarlett. «La tua intera
vita è stata pensata per me».
«Non ti credo», disse Cassie, facendo
del suo meglio per sembrare forte e
controllata. «Non ho motivo di credere a
niente di ciò che dici».
Scarlett rise. «E invece sì». Osservò il
marshmallow che con riluttanza
diventava marroncino sulla fiamma.
Sembrava godere di quella lotta per
mantenere il suo aspetto prima di
soccombere al calore.
«Dovevo essere io a far parte del
circolo insieme agli altri», disse. «Sono
nata a novembre, come loro. Tu no. Tutto
quello che hai provato da quando sei
arrivata a New Salem mi appartiene di
diritto».
«No», ribatté Cassie. Non poteva
essere vero.
«Sì. Tu sei stata solo un ripensamento,
un piano di emergenza».
Cassie era nauseata. E l’odore
zuccheroso del marshmallow che si
fondeva non la stava aiutando.
Scarlett roteò l’attizzatoio fra le mani
come uno spiedino. «E adesso sono
venuta a rivendicare il posto che mi
spetta nel circolo. Ma dovrò ucciderti
per ottenerlo». Puntò gli occhi neri e
luccicanti su Cassie. «Non è un peccato,
sorellina?».
Scarlett afferrò la sbarra di metallo
con entrambe le mani, e Cassie si rese
conto del pericolo in cui si trovava.
Quella ragazza sembrava abbastanza
pazza da ucciderla. Doveva cercare di
parlare per distrarla.
«Perché uccidermi», chiese Cassie,
«quando potremmo guidare il circolo
insieme?».
Scarlett spalancò gli occhi. «Ma
davvero?». La sua voce aveva un tono
infantile. «Saresti disposta a farlo?».
Cassie annuì con vigore. «Certo»,
disse, cercando di assumere un tono
convincente. «Cacceremo fuori qualcun
altro per farti posto come dodicesimo
membro. Credimi, ci sono molti anelli
deboli».
Le labbra rosso scuro di Scarlett si
arricciarono in un sorriso malevolo, e la
risata le scosse tutto il corpo. «Sei
davvero patetica», disse. «Magari non
ne sai ancora molto, ma ormai dovresti
aver capito che non funziona così».
Estrasse l’attizzatoio dalle fiamme. Il
marshmallow infilzato sulla punta aveva
ormai preso fuoco e bruciava, rosso
come un tizzone.
«Qualcuno deve soccombere affinché
il legame del circolo sia infranto», disse
Scarlett. «E qualunque sia il membro
che muore, viene subito sostituito da
qualcuno della stessa stirpe».
Spinse
le
punta
infuocata
dell’attizzatoio sotto il naso di Cassie.
«Non lo sapevi? Oppure tu e i tuoi
amichetti non siete ancora arrivati a
questa lezione alla scuola di
stregoneria? Tu eri un bersaglio davvero
facile», continuò Scarlett. «Fino a
quando quell’incantesimo di protezione
non mi ha reso impossibile ucciderti a
New Salem».
«Sei stata tu a manomettere i freni»,
disse Cassie. Finalmente tutto iniziava
ad avere senso.
Scarlett ignorò l’accusa. «Ma adesso
sei vulnerabile», disse. «Nessun
incantesimo di protezione. E non c’è
nemmeno il tuo prezioso circolo a
salvarti».
Cassie cercò di pensare a un
incantesimo, uno qualunque, che la
aiutasse a cavarsela, ma non gliene
venne in mente nessuno. Era come se il
suo cervello fosse stato resettato, come
se fosse diventato una pagina bianca. In
qualche modo Scarlett era riuscita a
renderla del tutto indifesa.
«E dato che mi hai portato gli
Strumenti Supremi, ucciderti dovrebbe
essere
facile».
Scarlett
tenne
l’attizzatoio dalla punta infuocata a un
centimetro di distanza dal volto di
Cassie.
“Vuole bruciarmi”, pensò Cassie.
“Vuole darmi alle fiamme”.
«Non sprecare le tue energie cercando
di evocare un incantesimo», disse
Scarlett. «In questa casa funziona solo la
magia nera».
Magia nera. Ecco spiegato come
stavano le cose.
A Cassie mancavano le parole per
evocare l’elemento Acqua, ma doveva
fare qualcosa. In mancanza di altre
opzioni,
schivò
con un gesto
l’attizzatoio, ben sapendo che si sarebbe
bruciata la mano; almeno si sarebbe
messa in salvo. Strappò via l’arma dalle
mani di Scarlett mandandola dall’altro
lato della stanza. Il ferro arroventato
atterrò con uno schianto sullo spesso
tappeto.
Cassie poteva definirsi orgogliosa di
sé, ma Scarlett non sembrava affatto
preoccupata di aver perso l’attizzatoio.
«Bel lavoro», fece. «Non avrei saputo
fare di meglio». Diresse l’attenzione di
Cassie al fumo che saliva dal tappeto
dove era atterrato l’attizzatoio. Poi il
fumo fu sostituito da una piccola
fiamma.
Gli occhi scuri di Scarlett luccicarono,
riflettendo l’argento del diadema, del
braccialetto e delle fibbie della
giarrettiera. Con un singolo cenno della
mano, sospinse le fiamme attraverso
tutto il pavimento e sulle quattro pareti
del cottage, circondando Cassie in un
tendone soffocante di calore e fiamme.
“Sono una stupida”, pensò Cassie,
“sono stata una stupida a fidarmi di lei”.
Tremò alla vista dell’incendio. Non
c’era modo di sfuggire a fiamme di
quella portata. «Ti sei spinta troppo
oltre», urlò. «Brucerai qui con me».
Scarlett si alzò e iniziò a camminare
tranquillamente fra le fiamme per
raccogliere le sue cose. «Un’altra cosa
che non sai», disse, togliendo i vestiti
dall’armadio e infilandoli in una grande
borsa di tela. «L’incantesimo di
protezione dal fuoco. Era uno dei
preferiti di papà».
Il fumo riempì la stanza. Entrò nella
gola di Cassie e le fece lacrimare gli
occhi, ma Scarlett rimase impassibile.
«No!», gridò Cassie, trascinandosi sul
pavimento verso Scarlett, ma poteva
muoversi solo di qualche centimetro in
ogni direzione. Le fiamme bloccavano
ogni via di fuga. In pochi minuti
l’incendio l’avrebbe uccisa. «Per
favore, Scarlett, siamo sorelle. Ti prego,
non farlo!».
Scarlett rimase immobile con le sue
borse in mano. Le fiamme ardenti
danzavano e le crepitavano intorno,
mentre un fumo nero circondava il suo
corpo come un tornado minaccioso.
«Almeno vattene con un minimo di
dignità, Cassie».
Appoggiò le borse a terra e fece
qualche passo verso di lei. Si chinò
lentamente, come un serpente, per
guardare Cassie negli occhi. «Nostro
padre ha forse implorato pietà mentre lo
uccidevi, Cassie? Scommetto di no».
Scarlett aveva i suoi occhi, si rese
conto Cassie. Occhi neri freddi come la
morte, identici a quelli di Black John.
Era sua figlia più di quanto lo fosse
Cassie.
Come aveva fatto a lasciarsi ingannare
da lei?
E poi Cassie ricordò le parole di sua
madre a proposito di Black John. «Non
era del tutto malvagio», aveva detto.
«Non devi farlo», gridò Cassie,
cercando di guardare Scarlett dritto
negli occhi. «C’è una parte buona della
tua anima, anche in questo momento.
Puoi scegliere di non essere come lui».
«Lo so». Scarlett diede un calcio a
Cassie con il tacco del suo stivale nero
per allontanarla. «Ma dove starebbe il
divertimento?».
Capitolo 28
Le fiamme rombavano e crepitavano
minacciose, come se l’incendio avesse
una volontà propria. Il calore bruciante
mise Cassie in ginocchio. Stava
tossendo e non riusciva a prendere fiato,
presto si sarebbe dovuta arrendere a
quel potere divorante. Scarlett le rivolse
un ultimo sguardo.
«Addio, Cassie», disse. «È stato bello
conoscerti».
Il volto di Cassie bruciava per il
calore opprimente. Immaginò che fosse
così che ci si sentiva all’inferno,
torturati in eterno delle fiamme. Lontana
da sua madre, dai suoi amici e da Adam,
Cassie stava morendo da sola. C’era
solo Scarlett con lei, la figlia più forte,
la sorella cattiva, ed era il suo volto che
Cassie avrebbe visto prima di morire.
Ma non poteva arrendersi. Si costrinse
a rimettersi in piedi e ad avvicinarsi a
Scarlett per quanto consentito dalle
fiamme. Gli Strumenti avevano assunto
una sfumatura sinistra sul corpo di
Scarlett. “Black John è dentro di lei”,
pensò Cassie. “Ma è anche dentro di
me”.
Scarlett parve accorgersi di un
cambiamento nello sguardo di Cassie.
Bastò a farla indietreggiare.
«Lui è dentro di me», disse Cassie,
questa volta ad alta voce. Le si era
acceso qualcosa dentro, come un
generatore di emergenza che si attiva
durante un blackout.
Scarlett continuò a indietreggiare
attraverso le fiamme, verso l’uscita.
L’incantesimo di protezione dal fuoco
stava
ancora
funzionando,
ma
all’improvviso era spaventata.
“Il potere del fuoco”, pensò Cassie. “Il
potere del fuoco è dentro di me”.
E poi qualcosa si schiuse nel profondo
del petto di Cassie, quello spazio oscuro
che non aveva mai esplorato. Lo
scoppio di energia che sentì non appena
le parole lasciarono le sue labbra la
spaventò. «Brucia!», comandò.
E Scarlett lo fece. Era già a metà
strada, diretta alla porta, quando urlò
con la stessa brutalità che Cassie aveva
sentito in sogno. Non era più protetta dal
fuoco, non poteva più andarsene dalla
casa in fiamme e raggiungere l’aria
fresca all’esterno.
Scarlett balzò indietro dalla porta,
scacciando con foga le fiamme dai
vestiti. Poi si voltò verso Cassie.
«Pensavo che fossi buona», disse.
Cassie si ergeva alimentata da una
nuova energia. «Anche io». Poteva
sentire qualcosa che le si dimenava
nelle viscere. Le risalì la gola come una
bile nera e le fuoriuscì di bocca come un
urlo. Il rubinetto della cucina spruzzò
acqua come un geyser. Poi le pareti
tremarono e tutte le tubature esplosero,
sputando getti diagonali di acqua fredda.
Il fuoco si spense in pochi secondi.
Scarlett indietreggiò, stupita dal
susseguirsi degli eventi, ma aveva
sempre i propri incantesimi a
disposizione, nonché gli Strumenti
Supremi, che aumentavano il suo potere.
«Fragilis!», urlò, indirizzando i palmi
aperti verso Cassie.
Era un incantesimo in latino che
Cassie non capì, ma la fece crollare al
suolo come se tutte le sue energie
fossero state prosciugate. Si sentì
incredibilmente pesante e la stanza
iniziò a girare. Non poteva nemmeno
sollevare la testa.
«Sentis infirma». Scarlett indirizzò le
dita cariche di energia alla testa di
Cassie poi al suo cuore.
Cassie divenne così debole e stanca,
quasi a un passo dallo svenimento. Era
sicura di stare per morire.
Era finita. Scarlett era troppo forte.
Aveva perso.
Desiderò poter vedere Adam in quel
momento, che il suo fosse l’ultimo viso
che avrebbe visto prima di consegnarsi
alla morte. Ricordò la rosa di
calcedonio che teneva in tasca e la cercò
debolmente. Ci volle tutta l’energia che
le era rimasta per prenderla in mano. La
tenne stretta fra le dita con tutta la forza
che aveva, e immaginò il volto forte e
amorevole di
Adam con tale
concentrazione che quasi poteva giurare
di vederlo davvero. Il fumo si dissipò, e
i capelli ramati di Adam le sembrarono
così vicini e reali che credette di
poterne vedere ogni sfumatura. Era così
che ci si doveva sentire morendo.
Cassie era troppo debole per sorridere,
ma era felice che il suo ultimo desiderio
fosse stato realizzato.
Le ci volle un secondo per rendersi
conto che Adam era davvero lì, in piedi
vicino a lei. Era davvero lui. Le prese il
volto fra le mani e la chiamò per nome.
Si sentì scivolare ai margini della
coscienza. Come negli incubi e nelle
visioni, aveva la vista allo stesso tempo
offuscata e vivida, una confusione
disordinata e ingannevole. Ma il legame
tra lei e Adam in quel momento era
davvero intenso. Il filo d’argento che
sibilava fra loro si materializzò, più
luminoso e visibile che mai. Era così
vivo che poté giurare di riuscire a
tendere la mano e toccarlo con le dita. Il
petto le si riempì di amore mentre
seguiva il percorso del filo dal cuore di
Adam al suo. Tuttavia, guardando con
più attenzione, si accorse di qualcosa di
strano. C’erano due fili d’argento. Uno
partiva da Adam verso di lei, e l’altro
partiva da Adam e andava verso
Scarlett.
Con un lampo, entrambi i fili
sparirono. All’improvviso. Cassie non
era nemmeno sicura che Adam li avesse
visti.
Doveva essere stato un errore,
un’allucinazione. Ormai era impossibile
decifrare cosa fosse vero e cosa fosse
frutto della sua immaginazione.
«Cassie». Adam le stringeva ancora il
volto fra le mani. «Resta con me,
Cassie. Resta sveglia».
Sbatté le palpebre per allontanare le
lacrime che le riempivano gli occhi e si
voltò per vedere che erano tutti lì, Diana
e gli altri membri del circolo. Avevano
circondato Scarlett.
«Dacci gli Strumenti Supremi», disse
Diana. «E non saremo costretti a farti
del male».
«Provate a prenderveli», rise Scarlett.
Diana rimase immobile. Le ci volle un
momento per rendersi conto che non
poteva usare la magia, ma quando lo
fece, Scarlett sollevò le mani verso di
lei. «Praestrangulo», disse.
Diana si afferrò la gola all’istante con
entrambe le mani e cadde in ginocchio,
sforzandosi di respirare.
«Sta soffocando!». Adam balzò in
piedi e Cassie gridò, ma era ancora
troppo debole per fermarlo. Si lanciò
verso Scarlett ripetendo: «Terra il mio
corpo, acqua il mio sangue».
Faye e gli altri ripeterono dietro di lui.
«Terra il mio corpo, acqua il mio
sangue, aria il mio respiro e fuoco il mio
spirito!».
Cassie urlò. «Non funzionerà!». Ma
nessuno di loro la stava ascoltando, o
forse il suo urlo non era altro che un
sussurro. Non riusciva a capirlo.
«Caecitas!». Scarlett passò il palmo
sul gruppo.
Adam gridò per primo. «Non ci vedo»,
disse. E poi, uno dopo l’altro, tutti
urlarono e si coprirono gli occhi.
Scarlett li aveva accecati.
Diana si stava dimenando al suolo, era
diventata blu e tossiva. Cassie non
aveva le forze, ma doveva fare
qualcosa. L’oscurità era come un’ombra
dentro di lei, non doveva avere paura di
attingerne. Anche se l’avesse uccisa,
almeno avrebbe salvato i suoi amici.
Le ci volle tutta la sua forza di volontà
per alzarsi in piedi.
Scarlett, vedendola tirarsi su, afferrò
le sue borse e corse verso la porta.
Cassie si fece forza e urlò: «Scarlett!».
Perlustrò la sua anima alla ricerca
delle parole giuste, l’incantesimo oscuro
più debilitante che riuscisse a pensare,
ma Scarlett era uscita dalla porta
sparendo in pochi secondi.
«Magicae negrae conversam», disse
Cassie debolmente. Le parole le erano
venute in mente dopo che Scarlett era
fuggita.
Diana annaspò e riprese fiato. Adam
sbatté le palpebre e recuperò la vista.
Lentamente tutti ripresero i sensi. Cassie
riguadagnò le forze, andò da Adam e lo
strinse forte. Si era graffiato il volto.
«Hai davvero annullato gli incantesimi
di Scarlett?», chiese.
Cassie annuì, poi osservò i volti
sporchi e sudati degli amici che avevano
rischiato la vita per salvarla.
L’avrebbero mai perdonata per quello
che avevano passato a causa sua?
«Mi sbagliavo sul conto di Scarlett»,
disse. «Ma immagino che ormai ve ne
siate resi conto».
La sfumatura bluastra del soffocamento
non aveva ancora lasciato del tutto il
volto di Diana. «Ma che cosa è
successo?», chiese. «Scarlett era
inattaccabile».
«Avevi ragione a dire che era
malvagia», disse Cassie, a malapena in
grado di guardare Diana negli occhi.
«Stava usando la magia nera. Ha detto
che era l’unica magia che avrebbe
funzionato qui dentro. Ecco perché
nessuno di voi poteva lanciare
incantesimi».
«Ma allora come hai fatto…?». Diana
si interruppe a metà della domanda, non
appena si rese conto della risposta.
Cassie abbassò lo sguardo. Poteva
sentire Faye camminare in cerchio
intorno alla stanza bruciata, con gli
stivali
che
scricchiolavano
sul
pavimento a ogni passo.
«L’ho sempre saputo», disse Faye.
«Cassie può attingere alla magia nera
che cova dentro di lei».
Era vero. Non serviva a niente
negarlo, per quanto Cassie volesse.
Cassie scrutò il volto di Adam in
cerca di una reazione, terrorizzata.
Ma gli occhi di Adam si riempirono di
lacrime. La abbracciò. «Sono così felice
che tu stia bene», disse.
Cassie non sentiva di meritare il suo
conforto, e cercò di liberarsi dalla
stretta.
Adam la strinse con più forza. «Ci hai
appena salvato la vita», disse.
«Vi ho messi tutti in pericolo», disse
Cassie, incapace di trattenere le lacrime.
«È stata tutta colpa mia. Mi dispiace
tantissimo».
Diana posò la mano sulla schiena di
Cassie. «Siamo stati coinvolti tutti»,
disse. «E stiamo bene. E questa è la
cosa più importante».
Cassie iniziò a singhiozzare nel petto
di Adam. «Ma io voglio essere buona».
«Tu sei buona». Diana abbracciò
Cassie da dietro, stringendola tra sé
stessa e Adam. «Non devi avere dubbi».
«È Scarlett quella cattiva», disse
Adam. «Non tu».
Cassie apprezzava il loro supporto.
Avevano le migliori intenzioni e lei lo
sapeva, ma in realtà nessuno di loro
poteva essere sicuro di cosa significasse
per lei poter ricorrere alla magia nera.
Faye le sorrise per la nuova scoperta.
«Come ci si sente?», chiese.
«Voglio solo andare a casa», rispose
Cassie.
Capitolo 29
Si ripresero tutti miracolosamente
bene da quella battaglia. Un po’ di acqua
e sapone, un cambio di vestiti, e ognuno
di loro tornò più o meno a essere se
stesso.
Diana preparò un infuso in cucina e
rientrò in salotto reggendo un vassoio.
«Faye è arrivata?», chiese.
Il circolo era impaziente di sentire
cosa fosse successo a Cape Cod prima
del loro arrivo e di colmare le lacune.
C’erano delle cose che ancora non
capivano.
«Dovremmo iniziare senza di lei»,
disse Suzan tormentandosi le cuticole
delle unghie.
Diana lanciò un’occhiata preoccupata
a Adam e chiese a Suzan: «Dov’è?»
«Lo sappiamo tutti benissimo», disse
Laurel. «Con Max».
«Non sono stata io a dirlo», fece
Suzan.
«Forse dovremmo cominciare senza di
lei», ripeté Cassie. Sapeva quanto
fossero stati incredibilmente fortunati,
visto che nessuno era rimasto ferito in
modo grave, ed era impaziente di
scusarsi per i propri errori. «Voglio
essere sicura di non mettervi mai più in
pericolo. Quindi ho molto da spiegarvi».
Proprio in quel momento Faye varcò la
soglia. Aveva negli occhi uno guardo
strano. Le guance erano arrossate e le
labbra così rosse e piene che
sembravano quasi gonfie di sangue.
«Scusate il ritardo», disse.
«Devi smetterla di uscire con Max»,
disse Adam. «Quante volte devo
dirtelo? Non sappiamo se possiamo
fidarci di lui».
Faye cercò con la mano un pendente
nero che portava al collo, e Cassie
scorse un’espressione insolita nel suo
volto.
«Ho detto che mi dispiace». Faye
continuò a giocherellare con il pendente.
Indossava sempre una collana con un
rubino, ma quel pendente era nuovo. Era
un opale nero e lucido.
«È stato Max a dartelo?», chiese
Cassie.
Faye lasciò andare subito il pendente e
lanciò a Cassie un’occhiata minacciosa,
ma Cassie si accorse che era arrossita.
All’improvviso, capì qual era la verità:
i sentimenti di Faye per Max erano reali.
Melanie fece un profondo sospiro.
«Non abbiamo cose più importanti della
vita amorosa di Faye di cui parlare?»
«Sì, è così», disse Diana. «Cassie,
perché non ci aggiorni su quello che ci
siamo persi?».
Cassie fece un passo e si posizionò al
centro della stanza. «Per prima cosa,
voglio scusarmi formalmente con tutti
voi», disse. «Non avrei mai dovuto
tradirvi. Soprattutto non avrei dovuto
tradire le mie compagne leader, Diana e
Faye».
«Non è necessario che ti scusi», disse
Nick dall’angolo in cui era seduto.
Tutti annuirono.
Faye sbuffò. «Non posso credere che
gliela facciate passare liscia così
facilmente, smidollati che non siete
altro. Se fossi stata io ad aver rubato gli
Strumenti Supremi, e per di più li avessi
persi…».
«Il circolo ti perdona, Cassie», disse
Diana interrompendo Faye. «Ma in
futuro ricordati che anche noi siamo la
tua famiglia».
«Adesso lo so», disse Cassie. «Lo
sapevo anche prima, ma presumo me ne
fossi dimenticata».
Il cuore di Cassie le martellava nel
petto. «Sei stata una sorella per me da
quando sono arrivata qui», disse a
Diana. «E sei l’unica sorella di cui avrò
mai bisogno».
Gli occhi di Diana si velarono di
lacrime. «Grazie», disse.
Melanie si schiarì la gola. «Mi
dispiace interrompere questa parentesi
sentimentale, ma forse Cassie potrebbe
dirci cosa ha scoperto a proposito di
Scarlett, così sapremo cosa ci aspetta».
«Certo», disse Cassie. Continuò a
spiegare che Scarlett pensava di essere
la figlia di Black John che avrebbe
dovuto far parte del circolo e che
l’aveva ingannata per attirarla lontano
dall’incantesimo di protezione. Nick le
si avvicinò con passo solenne. «Quindi
Scarlett vuole ucciderti».
«Sì», disse Cassie. «Per poter
prendere il mio posto nel circolo,
perché apparteniamo alla stessa stirpe».
«E i cacciatori di streghe?», chiese
Melanie. «Chi ha ucciso la prozia
Constance e Portia?»
«E chi ha marchiato a fuoco il simbolo
sul mio prato?», chiese Laurel, con la
voce resa acuta dalla paura.
Cassie trasse un profondo respiro. «I
cacciatori sono reali e sono ancora là
fuori. Ma Scarlett non ha niente a che
fare con loro. Ha solo colto l’occasione
e ha sfruttato il fatto che avessimo paura
dei cacciatori contro di noi».
«Siamo fottuti», disse Faye, e Cassie
si accorse che cercava di nuovo il
pendente con la mano. C’era qualcosa in
quel ciondolo che attirava l’attenzione
di Cassie, forse il modo in cui catturava
la luce.
«Posso vederlo da vicino?», chiese,
tendendo la mano. Prima che Faye
riuscisse a opporsi, Cassie prese in
mano la pietra e ne studiò la superficie.
Era
quasi
translucida,
non
completamente nera, piuttosto un
insieme di sfumature verdi, blu e rosse.
Mentre Cassie la rivoltava avanti e
indietro, si accorse che rifrangeva la
luce in gamme di colori sempre diverse.
Appena lo vide, a Cassie si gelò il
sangue nelle vene. Camuffato sotto
l’affascinante superficie dell’opale
c’era il simbolo dei cacciatori che
risplendeva iridescente.
«Oh, mio Dio», esclamò. «Faye, sei
stata marchiata».
Il resto del gruppo trattenne il respiro.
«Non è possibile», disse Faye.
Abbassò lo sguardo sulla collana.
«No!», urlò, riconoscendo subito il
simbolo. «Non avrebbe potuto!».
Per qualche istante, nessuno parlò.
Cassie si guardò intorno nella stanza
posando lo sguardo su ciascuno dei suoi
amici. L’energia della stanza si era
riequilibrata in fretta. L’onnipotente
Faye era crollata.
Sembrava una persona diversa. Le sue
ampie spalle erano ricurve in avanti e il
colorito le era evaporato dal volto. Si
sedette sul divano e iniziò a piangere,
china in avanti. Era una scena che
nessuno di loro avrebbe potuto
prevedere.
«Come?», chiese. Aveva gli occhi
iniettati di sangue e il mascara nero le
colava sulle guance. Era la prima volta
che Cassie la vedeva piangere. «Non
capisco come sia potuto succedere».
«Max è un cacciatore di streghe»,
affermò Melanie. «È stato lui a dartelo».
«E ciò significa che con ogni
probabilità anche il preside è un
cacciatore». Adam rivolse a Cassie uno
sguardo significativo. «Proprio come
sospettavi».
Melanie annuì. «Tale padre, tale
figlio».
Cassie non poteva essere contenta di
aver avuto ragione a proposito del
preside, soprattutto in un momento come
quello. Avrebbe preferito che si fosse
trattato di una stupida paranoia.
Diana si sedette accanto a Faye e le
prese la mano con gentilezza. «So che
sei sotto shock, Faye, ma abbiamo
bisogno di sapere tutto quello che hai
detto a Max».
Faye sollevò la testa. Le sue lunghe
ciglia erano bagnate di lacrime, era
stravolta. «Non me lo ricordo
nemmeno».
Si slacciò la collana da dietro il collo
e la fece cadere sul tavolo. «Pensavo di
piacergli davvero», disse a bassa voce,
quasi tra sé e sé. «Non volevo dirvelo,
ma avevo annullato l’incantesimo tempo
fa. Per scoprire se i suoi sentimenti
erano…». Non riusciva nemmeno a
trovare le parole.
Diana la strinse fra le braccia e,
incredibile a dirsi, Faye la lasciò fare.
Cassie dovette distogliere lo sguardo.
Vedere Faye con il cuore spezzato era
brutale quasi quanto saperla marchiata.
«Ma sembrava così sopraffatto
dall’incantesimo», disse Laurel.
«Forse per tutto questo tempo è stato
immune alla magia, ma ha finto di stare
al gioco per avvicinarsi a te», disse
Adam.
Cassie rivolse un’occhiata a Adam per
zittirlo. Lui e Laurel stavano rimettendo
a posto i tasselli mancanti, ma potevano
benissimo farlo in un’altra stanza, dove
Faye non avrebbe potuto sentirli. Non si
rendevano conto dell’effetto che le loro
parole avevano su di lei. Aveva persino
cominciato a piangere più forte. Ma
Cassie capiva. Quando Faye aveva
annullato l’incantesimo d’amore e Max
aveva continuato a comportarsi come se
non potesse vivere senza di lei, aveva
creduto che i suoi sentimenti fossero
autentici.
Melanie scosse la testa incredula.
«Quindi i cacciatori sanno di due di
noi», disse. «E senza gli Strumenti
Supremi non siamo abbastanza forti da
combatterli».
«E Scarlett vuole ancora uccidere
Cassie», aggiunse Nick.
Diana continuava a stringere Faye fra
le braccia. «Non abbiamo tempo di farci
prendere dal panico», disse, ma le
tremava la voce. «È giunto il momento
di unire le nostre forze per supportarci e
proteggerci a vicenda».
Guardò Cassie dritto negli occhi.
«Troveremo un modo», disse. «Lo
troviamo sempre».
Capitolo 30
Cassie riusciva a scorgere dalla
veranda il riflesso bluastro della
televisione che scintillava come una
luce stroboscopica in una casa infestata.
Sua madre la stava aspettando.
«Dovrei entrare subito», disse Cassie
afferrando la maniglia. «È sveglia».
«Non ancora». Adam la prese per
mano e strinse forte. «Con tutto quello
che sta succedendo», disse, «e che
abbiamo passato, voglio che tu sappia
che ce la faremo».
«Lo so», disse Cassie.
«Ne sei sicura?». Si sporse in avanti
per darle un bacio, ma si fermò a poca
distanza dalle sue labbra.
Cassie poteva sentire il suo respiro
sulla pelle e il calore del suo corpo,
così vicino a lei. Sostenne il suo
sguardo con il cuore che le martellava
nel petto.
«Sono sicura». Lo attirò a sé,
baciandolo appassionatamente. Con un
abbandono selvaggio che aveva
dimenticato, lei e Adam si fusero in una
cosa sola, e lei si lasciò trascinare via.
Continuarono a baciarsi fino a quando
non furono entrambi accaldati e con il
respiro affannoso. Cassie aspettò di
riprendere fiato e di far rallentare il
battito. Poi alzò lo sguardo su di lui, per
un attimo affascinata dal legame che
pulsava fra loro. Il filo d’argento, pensò,
il vincolo misterioso che l’aveva
collegata a lui fin dall’inizio e che
avrebbe continuato a farlo per sempre.
Era più forte che mai. Dopo tutte le
intense emozioni che Cassie aveva
provato nelle ultime settimane, una sola
cosa era emersa, solida e luminosa. Si
era resa davvero conto di quanto fosse
fortunata ad avere Adam al proprio
fianco.
«Ti amo», disse.
Il volto di lui si aprì in un sorriso
luminoso. «E io amo te».
Lo baciò ancora una volta, con
tenerezza, e inspirò a fondo il suo odore.
«Ti amo davvero», disse.
I suoi occhi blu scintillarono e lui
scoppiò a ridere. «Possiamo giocare a
questo gioco per tutta la notte».
«O per tutta la vita», disse Cassie
sorridendo a sua volta. Scoprì di non
riuscire a distogliere lo sguardo da lui.
Si avvicinarono sempre di più.
«O forse ancora più a lungo».
Quando finalmente Cassie mise piede
in casa, si chiuse la porta alle spalle e
rimase in attesa. Sua madre aveva quasi
l’aspetto di un fantasma e sembrava
spaventata come se ne avesse visto uno.
Cassie si sentì malissimo per averla
fatta preoccupare così tanto. Quella
donna aveva tutto il diritto di essere
arrabbiata con lei.
«Mamma», disse. «Mi dispiace tanto».
Sua madre non rispose, e lei aggiunse:
«Avevo bisogno di andare a Cape Cod,
era un’emergenza. E poi…».
«Lascia perdere la macchina», disse
sua madre. «Stai bene?».
Cassie annuì e lasciò cadere la borsa
accanto alla porta. Quando raggiunse le
braccia di sua madre, alzò lo sguardo su
di lei, sperando di cogliere un segno di
rimprovero nei suoi occhi. Ma invece il
volto di sua madre fu attraversato da
un’espressione triste, come una potente
ondata di dolore.
«Mamma?», chiese Cassie, senza
sapere bene cosa dire.
I grandi occhi neri di sua madre,
circondati dalle occhiaie, si riempirono
di lacrime. «Pensavo che fossi scappata
via», disse. «E poi ho creduto che fossi
morta. È stato come se potessi sentire il
tuo dolore».
Parlava in tono calmo e pieno di
rimorso, e Cassie si rese conto che con
ogni probabilità sua madre poteva
percepire le sue sofferenze. Dopotutto
erano legate, e lei era una strega.
«Ho temuto che ti fossi allontanata da
me, proprio quando pensavo che ci
fossimo avvicinate», le disse. «Ho fatto
o detto qualcosa che ti ha infastidita?
Dimmelo».
Quando Cassie aveva scoperto che sua
madre non le aveva mai detto nulla di
Scarlett, le era sembrato un tradimento
imperdonabile, come se fosse stata
tenuta all’oscuro del peggiore segreto
del modo per tutta la vita. Ma in quel
momento, osservando il volto fragile e
pentito della madre, Cassie si rese conto
che lo aveva fatto per proteggerla.
Doveva aver saputo che Scarlett era
malvagia.
«Oh, mamma», disse Cassie. «Non ero
arrabbiata, solo confusa. Ero confusa
per così tante cose».
Dopo tutto quello che era successo,
Cassie si rese conto che era giunta l’ora
di dirle la verità.
«Ho così tante cose da raccontarti»,
disse Cassie.
Non sapeva nemmeno da dove
iniziare, ma fece del suo meglio per
parlare con calma e non tralasciare
niente. Si conficcò le unghie nei palmi e
continuò a parlare senza interrompersi
per un tempo che sembrò infinito. Poi
sua madre trasse un debole respiro e
chiuse gli occhi. Cassie sapeva che era
il momento di restare in silenzio e
lasciarla parlare.
«Nemmeno la madre di Scarlett
disdegnava il lato oscuro di Black
John», disse. «Era stata bandita dal
nostro circolo perché faceva uso della
magia nera. Ma speravo che quei giorni
fossero passati. Ecco perché non ti ho
mai parlato di Scarlett».
Cassie annuì e sua madre le prese il
volto fra le mani. «Non te lo avrei mai
tenuto nascosto se avessi pensato che
fossi in pericolo».
«Non è colpa tua», disse Cassie.
«Avrei dovuto dirtelo appena l’ho
scoperto».
«Non è colpa di nessuno», disse sua
madre. «Ma la situazione è questa».
Sospirò e si alzò in piedi.
«C’è una cosa che devo darti, ma ho
aspettato fino a quando non fosse stato
necessario», disse, criptica. «Adesso
sembra che sia arrivato il momento».
Il suo tono di voce la confondeva.
«Cos’è?», chiese Cassie.
«Torno subito».
Sua madre uscì dalla stanza e rimase
fuori più a lungo di quanto Cassie si
aspettava. Ma proprio quando stava per
andare a cercarla, tornò con un libro fra
le mani. Era un diario rilegato in pelle
sbiadita, con le pagine bordate d’oro. A
Cassie sembrava una Bibbia antica.
«Questo è il Libro delle ombre di tuo
padre», disse sua madre, tendendolo
verso di lei con entrambe le mani.
Cassie rimase immobile, come
paralizzata, e sentì il sangue che le
defluiva dal volto. Il Libro delle ombre
di Black John… il solo pensiero la
faceva tremare. Sentiva che la magia
nera era un territorio che avrebbe fatto
meglio a lasciare inesplorato.
Sua madre continuò a tenderle il libro.
«Va tutto bene», disse. «Puoi toccarlo».
Cassie lo prese con riluttanza dalle
mani della madre. Il libro sembrava
freddo e crudele al tocco… quasi vivo.
«Come hai fatto ad averlo?», chiese
Cassie.
Sua madre di sedette di nuovo accanto
a lei. «È una lunga storia. Ma è rimasto
nascosto in questa casa per molto tempo.
Devi capire che nelle mani sbagliate,
questo
libro
potrebbe
essere
estremamente pericoloso».
“Come gli Strumenti Supremi”, pensò
Cassie. «E vuoi che sia io ad averlo?».
Il volto di sua madre era serio. «Ne
avrai bisogno se vuoi avere una
possibilità di sconfiggere Scarlett».
Il libro era più pesante di quanto
sembrasse, come se il peso di ciò che vi
era scritto fosse maggiore della
semplice somma delle pagine. Era
impossibile comprendere gli incantesimi
oscuri e i segreti che conteneva. Cassie
si accorse che la copertina di pelle nera
non era del tutto liscia. Era goffrata con
un simbolo sbiadito che a Cassie
ricordò le iscrizioni sul braccialetto e
sul diadema d’argento. C’erano anche
dei graffi e delle cavità, come se
qualcuno avesse passato le unghie sulla
superficie. E l’angolo in alto a destra
era così consumato che era diventato
quasi del tutto grigio, come un timbro
rovinato e ovale.
Cassie si rese conto che quella era
l’impronta di Black John.
Allontanò lo sguardo dal punto
ingrigito e le si strinse lo stomaco. Ne
era intrigata, ma anche turbata.
Si concentrò di nuovo sul simbolo
goffrato, cercando di ricordare dove
altro lo avesse visto. E poi le venne in
mente: era identico all’iscrizione
sull’anello di magnetite di Black John,
quello usato per identificarlo come John
Blake, e in seguito come John
Brunswick.
Tenere quel libro fra le mani era la
cosa più simile all’avere Black John
nella stanza con lei. Le sembrava che
tutta l’oscurità del mondo potesse
iniziare a riversarsi fuori dalle sue
pagine da un momento all’altro.
La madre di Cassie la guardò
maneggiare il libro con apprensione.
«So che ti sembra vivo», disse. «Ma è
solo un libro, te lo prometto. E tu sei
abbastanza forte da gestirlo». Il suo
sguardo aveva una schiettezza che
Cassie non aveva mai visto.
Il libro tremò fra le mani di Cassie
mentre lei cercava di calmarsi. Era solo
carta e parole, ecco tutto. E le sue
parole contenevano la chiave per
sconfiggere Scarlett, salvare il circolo e
recuperare gli Strumenti Supremi. Non
poteva permettersi il lusso di fingere che
non esistesse, per quanto le sembrasse
malvagio e spaventoso. Non poteva
semplicemente rimetterlo nel suo
nascondiglio. Era sua responsabilità
leggerlo, studiarlo e assimilarne i
segreti fino a quando non fossero
diventati parte di lei. Solo a quel punto
sarebbe stata abbastanza forte da
affrontare Scarlett.
Sua madre la osservò in silenzio e
sembrò capire esattamente a cosa stesse
pensando.
«Ricorda, Cassie», disse. «Sei una
persona buona. C’è molta più luce che
oscurità nella tua anima. Lo sai, vero?».
Cassie annuì. «Penso di sì».
«Ma ci sono cose in questo libro che
per te non sarà facile leggere. Capisci
cosa voglio dire?»
«Sì», disse Cassie.
«Se lo apri», la avvertì sua madre.
«Non c’è modo di tornare indietro».
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