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I diari delle streghe. La maledizione
570 Titolo originale: The Secret Circle. The Divide © 2012 by Alloy Entertainment and L. J. Smith Published by arrangement with Rights People, London. Traduzione dall’inglese di Maria Laura Martini Prima edizione ebook: settembre 2013 © 2013 Newton Compton editori s.r.l. Roma, Casella postale 6214 ISBN 978-88-541-5907-5 www.newtoncompton.com Realizzazione a cura di Librofficina Grafica: Alessandro Tiburtini Immagine di cover: © Trigger Images Lisa Jane Smith I DIARI DELLE STREGHE La maledizione WWTT Original Ebook 155 Capitolo 1 Il calore dei loro respiri appannava i finestrini della macchina di Adam. Era una mite serata che volgeva al tramonto, e l’aria profumava dei primi segnali della primavera – la notte perfetta per aprire i finestrini e baciarsi godendosi la brezza. Ma Cassie aveva insistito che restassero chiusi per avere un po’ di privacy. Inoltre, le piaceva la sensazione di sentirsi rinchiusa in uno spazio così ristretto con Adam, isolati dal mondo esterno dai vetri appannati. Sarebbero arrivati tardi alla riunione, ma finché stava all’interno di quella nuvola non le importava. «Dovremmo andare», disse con poca convinzione. «Ancora cinque minuti. Non è che possono cominciare senza di te». “Giusto”, pensò Cassie, “perché sono una delle leader. Motivo in più per non arrivare tardi solo perché me la sto spassando con il mio fidanzato”. Fidanzato. La parola le faceva venire ancora le vertigini, anche dopo tutte quelle settimane. Osservò il modo in cui il sole al tramonto esaltava le sfumature multicolore fra i capelli aggrovigliati di Adam – tracce di rossastro e arancione – e la scintilla cristallina nei suoi occhi blu. Si sporse verso di lei e le baciò il collo proprio sotto l’orecchio. «Va bene», disse lei. «Ancora tre minuti». Il loro primo bacio come coppia aveva cambiato tutto per Cassie. Aveva significato qualcosa. Le labbra di Adam sulle sue le erano sembrate determinate e inesorabili come un accordo, e tutto il corpo di Cassie aveva reagito con consapevolezza. Si era resa conto che quello era amore. Cassie aveva dato per scontato che la sensazione si sarebbe affievolita con il passare dei giorni, che i loro baci sarebbero diventati una routine, ma non era così. Al contrario, diventavano sempre più intensi. Parcheggiati appena fuori il vecchio faro su Shore Road, Cassie sapeva che dovevano smettere di baciarsi, ma non ci riusciva. E non ci riusciva nemmeno Adam. Lo rivelavano il respiro accelerato e l’insistenza con cui le stringeva i fianchi. Ma non avrebbe fatto una buona impressione arrivando in ritardo al suo primo incontro in qualità di leader del circolo. «Dobbiamo proprio entrare», disse, allontanandosi e posando la mano sul petto di Adam per tenerlo fermo. Lui trasse un profondo respiro e sbuffò, cercando di calmare i bollenti spiriti. «Lo so». Con riluttanza, lasciò che Cassie si districasse dal suo abbraccio e si rendesse più presentabile. Dopo qualche altra boccata d’aria e una veloce sistemata ai capelli selvaggi, la seguì all’interno. Attraversando l’erba alta del prato che conduceva al vecchio faro, Cassie non poté fare a meno di restare colpita da tanta rustica bellezza. Melanie aveva detto loro che risaliva alla fine del XVIII secolo, e la sua antichità era evidente dall’aspetto decrepito. La torre era costruita con pietre e mattoni grigi che si elevavano per circa trenta metri, alla cui base si trovava una piccola casetta di legno fatiscente – la dimora del guardiano del faro. Era stata costruita per sua moglie e i suoi figli, in modo che potessero stargli accanto mentre svolgeva i suoi compiti in cima alla torre. Melanie raccontava che la casa era stata tramandata di generazione in generazione fino a quando il faro era stato messo fuori uso all’inizio del XX secolo. Da allora si era parlato di convertirlo in museo, ma era rimasto abbandonato per decenni. Adam le sorrise, e il respiro le si bloccò in gola. Aprì la porta della casetta e fece un passo all’interno, con Adam subito alle sue spalle. Con un fruscio appena udibile, l’attenzione del circolo si spostò sulla sua plateale entrata ritardataria. Fu subito chiaro che avevano fatto aspettare il gruppo troppo a lungo, e che tutti sapevano con esattezza cosa lei e Adam stessero facendo. Cassie esaminò i loro volti, ne recepì le diverse reazioni e le accuse silenziose. Il solito sguardo freddo di Melanie esprimeva un’accesa impazienza, e Laurel ridacchiava timidamente. Deborah, seduta sul bordo di una panca di legno in un angolo, sembrava pronta a fare un commento malizioso, ma prima che ne avesse la possibilità, Chris e Doug Henderson, che stavano giocando tirandosi una palla da tennis accanto alla finestra, dissero all’unisono: «Alla buon’ora!». Nick, seduto sul pavimento con la schiena appoggiata alla parete, rivolse a Cassie uno sguardo di dolore malcelato che la costrinse a guardare altrove. «Adam», disse Faye con la sua voce strascicata e roca, «hai il lucidalabbra sbavato». La stanza scoppiò in una risata incontrollata, e Adam arrossì. Diana abbassò lo sguardo, mortificata per loro, o forse per se stessa. Era stata magnanima nei confronti della relazione tra Adam e Cassie, ma c’era un limite di sopportazione. «Forza, cominciamo», disse Diana, riassumendo la propria posizione. «Sedetevi tutti, per favore». Diana parlò come se le risate si fossero affievolite, ma erano ancora forti e rumorose. «Il primo punto all’ordine del giorno», continuò, «è cosa fare degli Strumenti Supremi». Bastarono quelle parole a far calmare il gruppo. Gli Strumenti Supremi – il diadema, il braccialetto d’argento e la giarrettiera di pelle – erano appartenuti alla prima congrega di Black John. Erano stati nascosti per centinaia di anni fino a quando Cassie aveva scoperto che erano celati nel camino della cucina di sua nonna. Il circolo aveva usato gli Strumenti per sconfiggere Black John, ma da allora avevano rimandato qualunque decisione in proposito. Quella sera, era giunta l’ora di determinare il loro destino. «Giusto», disse Cassie, unendosi a Diana al centro della stanza. «Abbiamo il vero potere adesso. E abbiamo bisogno di…». Cosa? Di cosa avevano bisogno? Cassie si voltò verso Diana. Gli occhi verdi e i capelli le risplendevano, persino alla luce spettrale della lanterna della vecchia casetta. Se c’era qualcuno che sapeva cosa avrebbe dovuto fare il circolo, quella era Diana. «Penso che dovremmo distruggere il potere degli Strumenti Supremi in qualche modo», disse Diana con la sua voce limpida e musicale. «Per far sì che nessuno possa usarli». Per un attimo, nessuno parlò. Erano tutti troppo scioccati da quella proposta. Poi Faye interruppe il silenzio. «Stai scherzando», disse. «Tu e Adam avete trascorso metà della vita a cercare di trovarli». «Lo so», disse Diana, «ma dopo tutto quello che abbiamo passato, e adesso che abbiamo sconfitto Black John, sento che tutto quel potere non può essere positivo per noi, o per chiunque altro». Cassie era sorpresa quanto Faye. Quelle parole non erano per niente da Diana, o per lo meno non dalla Diana che Cassie aveva conosciuto. Anche Adam sembrava preso alla sprovvista, ma rimase in silenzio. Le leader parlavano per prime. Era quella la regola. Cassie sentì l’attenzione del gruppo posarsi su di lei. Erano un triumvirato adesso, il che significava che il suo potere era uguale a quello di Diana e di Faye. Voleva far buon uso della propria autorità, dichiarare la sua opinione con schiettezza e intelligenza, ma non voleva opporsi a Diana. «Cosa ti ha fatto cambiare idea?», chiese. Diana incrociò le esili braccia sul petto. «Le persone cambiano idea di continuo, Cassie». «Be’», disse Faye, concentrandosi su Diana con i suoi occhi color ambra. «Io non sono per niente d’accordo. Sarebbe uno spreco non usare gli Strumenti. Se non altro dovremmo testarli». Le sue labbra si contrassero in un sorriso crudele. «Non sei d’accordo, Cassie?» «Ehm», disse. Era strano. Questa volta era d’accordo con Faye, forse la prima volta in cui si trovava d’accordo con lei per qualche cosa. Non voleva schierarsi con Faye contro Diana, ma come potevano distruggere gli Strumenti di punto in bianco? E se Black John fosse tornato? Erano la loro unica arma di difesa. Avrebbe voluto che Diana ne avesse parlato prima con lei. «Possiamo chiedere aiuto a Constance per liberarci di loro», propose Diana. «Se è questo che decideremo di fare». Constance, la prozia di Melanie, aveva aiutato il circolo a usare la magia. Da quando aveva sfruttato i suoi poteri per rimettere in sesto la madre di Cassie lo scorso inverno, era diventata più disponibile a condividere la sua antica sapienza. «Con ogni probabilità Constance conosce un incantesimo che possiamo usare», disse Diana. «E adesso che Black John se n’è andato per sempre, scommetto che sarà d’accordo sulla necessità di mettere via gli Strumenti». A Cassie era chiaro quanto Diana tenesse alla sua posizione. Come Faye alla sua – quella familiare rabbia impetuosa si stava ormai manifestando. «Dovremmo fare una votazione», disse una voce decisa. Era Nick, che raramente parlava durante gli incontri del circolo. Sentirlo esprimere un’opinione prese Cassie alla sprovvista. «Nick ha ragione», disse Melanie. «Tutti noi dovremmo avere la possibilità di dire la nostra per una faccenda così importante». Diana annuì. «A me sta bene». Faye puntò le unghie rosse sul gruppo con fare teatrale. «Votate allora», disse, con la sicurezza di qualcuno che ha già vinto. Melanie si alzò e fece un passo verso il centro della stanza. Era sempre lei a presiedere le votazioni del circolo, si accorse Cassie. «Tutti quelli a favore della distruzione degli Strumenti Supremi», disse, «alzino la mano». La mano di Diana fu la prima a sollevarsi, seguita da quella di Melanie, poi Laurel. Dopo una pausa di un secondo, Nick alzò la sua, e infine lo fece anche Adam. Cassie non poteva crederci. Adam aveva votato per Diana, anche se lei sapeva che avrebbe preferito testare gli Strumenti. «Tutti quelli a favore della preservazione degli Strumenti», disse Melanie, «alzino la…». «Aspetta», la interruppe Cassie. Si era distratta e aveva perso la possibilità di scegliere la fazione di Diana. Faye ridacchiò. «Chi dorme non piglia pesci, Cassie. E un voto contro Diana è un voto per me». «Ti sbagli», disse Cassie, sorprendendo perfino se stessa. «È un voto per me». Fece una pausa per guardare Adam e lo vide sorridere con orgoglio. «Propongo una terza opzione», disse. «Teniamo gli Strumenti, in caso di bisogno. Non distruggiamo il loro potere, ma non lo usiamo nemmeno per fare degli esperimenti». «In questo caso», disse Faye, «sarò felice di tenere gli Strumenti al sicuro fino a quando non ne avremo bisogno». «Neanche per sogno», disse Adam. Cassie alzò la mano. «Non ho ancora finito». Spostò lo sguardo da Faye a Diana. «Propongo che ogni leader nasconda una delle tre reliquie, in modo che possano essere usate solo se l’intero gruppo ne è a conoscenza». Tutti rimasero in silenzio, mentre riflettevano su quella nuova possibilità. Era una buona idea, e Cassie lo sapeva. Quello che non sapeva era come avesse fatto a venirle in mente di punto in bianco. Quando aveva attirato l’attenzione su di sé, non aveva avuto la minima idea di ciò che avrebbe detto. Diana parlò per prima. «Mi sembra un compromesso equo», disse. «Melanie, chiedo di ripetere la votazione». «Appoggio la richiesta di una seconda votazione», disse Nick con galanteria. Melanie sollevò le sopracciglia. «Va bene allora. Tutti quelli a favore… dell’idea di Cassie, alzino la mano». Alzarono tutti la mano, tranne Deborah, Suzan e Faye. «Allora è deciso», disse Melanie. Faye rimase perfettamente immobile. Non mosse un muscolo, ma un’ombra scura le rabbuiò il volto. Suzan saltellò giù dalla sedia. «Oh, be’», disse. «Presumo sia tutto. Muoio di fame. Possiamo andare a mangiare adesso?» «Sì, andiamo a prendere i tacos», disse Sean. Uno per uno si alzarono tutti e iniziarono a raccogliere le loro cose, mettendosi d’accordo per incontrarsi a casa della prozia Constance per esercitarsi sulle evocazioni. Diana spense le candele e le lanterne. Per tutto il tempo, Faye rimase immobile. «Tu», disse. Cassie fece istintivamente un passo indietro anche se Faye era dall’altra parte della stanza. «Non essere troppo orgogliosa di te stessa». Avanzò verso Cassie e si sporse verso di lei. Cassie poteva sentire il suo profumo inebriante, che le fece venire un capogiro. «Avrai anche vinto la battaglia», disse Faye. «Ma… be’, lo sai». Cassie si allontanò dalla portata di Faye. La paura la sopraffaceva ancora ogni volta che Faye la minacciava. Che Faye fosse davvero più forte di lei o meno non importava. Aveva la schiettezza mentale di un sociopatico e una mancanza totale di coscienza. Con Faye non si poteva ragionare, ed era quello a renderla pericolosa. «Siamo dalla stessa parte», disse Cassie titubante. «Vogliamo la stessa cosa». Faye strinse gli occhi ambrati a fessura. «Non proprio», disse. «Non ancora, almeno». Sembrava una minaccia, e Cassie sapeva che le minacce di Faye non erano mai vane. Capitolo 2 Cassie e Adam si scambiarono a malapena una parola per tutto il viaggio di ritorno fino a casa di Cassie. Lei era ancora scossa da quello che aveva detto Faye, e Adam, avendolo percepito, le teneva la mano in silenzio mentre guidava. Cassie accese la radio per distrarsi e armeggiò con i pulsanti fino a trovare una canzone che le piacesse. Non riusciva a ricordare il titolo, ma quella musica le fece venire nostalgia, le ricordò un periodo in cui la sua vita era molto più semplice. Era a New Salem da meno di un anno, ma le sembrava di viverci da sempre. Invece di osservare la notte primaverile che scorreva fuori dal finestrino, Cassie chiuse gli occhi. Si lasciò stordire dalla musica e cercò di ricordare cosa si provasse a non essere una strega, ma solo una ragazza. Poi aprì gli occhi per sbirciare Adam. Era bellissimo. Alla luce pallida della luna, i suoi capelli apparivano ramati e i suoi occhi si scurivano, diventando di un blu intenso che richiamava il cielo notturno. Come era possibile che quel ragazzo fosse innamorato di lei, e solo di lei? La Cassie dell’anno precedente non ci avrebbe mai creduto. Osservò il suo riflesso nello specchietto retrovisore esterno della macchina. Non assomigliava nemmeno alla Cassie che era stata quando viveva in California. All’epoca si era sempre sentita così ordinaria. Altezza media, corporatura media, banali capelli castani. Ma ora si accorgeva delle loro sfumature multicolore e di quanto fossero grandi e rotondi i suoi occhi grigi. E soprattutto, si rendeva conto di quanto fosse maturata nell’usare i suoi poteri. Si sentiva sicura in un modo che non avrebbe mai potuto immaginare. Quando si fermarono al numero dodici, l’ultima casa sulla scogliera, Cassie ricordò la prima volta che l’aveva vista, quanto le fosse apparsa spaventosa e vecchia, con quel tetto spiovente e le pareti rivestite di pannelli grigio spento. Era una cosa positiva che ci si fosse abituata, così come si era abituata a tutte le vecchie case di Crowhaven Road? Tutto quello che prima le era sembrato strano e inquietante era diventato normale per lei – adesso quella era la sua vita. Adam spense il motore e si voltò verso Cassie con sguardo ansioso. «Ignorala e basta», disse. «Chi?» «Faye. Quello che ha detto a proposito del fatto che tu hai vinto la battaglia ma lei vincerà la guerra… non permettere che ti turbi. Lo dice sempre per tutto. Se ci fosse una bambola con le sue sembianze, è esattamente questo che direbbe quando si tira la cordicella per farla parlare…». Fece una voce roca come quella di Faye. «Vinci la battaglia, perdi la guerra». A quel punto Cassie si mise a ridere. Adam le prese le mani fra le sue, ovviamente felice di essere riuscito a farla sorridere. «Ti è venuta in mente un’ottima soluzione per gli Strumenti Supremi», disse. «Come hai fatto?» «Non lo so. È stato strano», disse Cassie. «Un’idea apparsa dal nulla». «Non dal nulla», disse Adam. «Da qui». Indicò il suo cuore. «E qui», disse, indicandole la testa. «Ecco perché ti abbiamo votata come leader. Quando ti ci abituerai, Cassie? Tu sei speciale». In quel momento Cassie fu davvero grata di aver Adam al proprio fianco. Certo, prima aveva votato a favore di Diana, ma quando lei aveva preso la parola l’aveva supportata, ed era quella la cosa importante. Si sporse per dargli un bacio sulle labbra rosse e piene. Non si stancava mai di baciarlo. Ma lui interpretò quel singolo bacio della buonanotte come un invito ad amoreggiare ancora in macchina. Si slacciò in fretta la cintura di sicurezza gettandola di lato. «No», disse Cassie. «Basta». Adam sollevò le sopracciglia come un cucciolo triste. «C’è la luce accesa in sala da pranzo». Cassie gli scompigliò i capelli e poi lo spinse via. «Il che significa che probabilmente mia madre ci sta guardando». Adam la afferrò giocosamente con uno sguardo dispettoso negli occhi. «Un giorno, amore mio, ti preoccuperai meno di quello che pensa la gente». Cassie gli diede un ultimo bacio sulla guancia liscia e corse in casa prima di cambiare idea. Una volta dentro, Cassie trovò sua madre seduta al grande tavolo in mogano della sala da pranzo. La luce fioca della stanza trasmetteva un calore rassicurante. Per una volta, Cassie apprezzò l’antico impianto elettrico opera di suo nonno, per quanto fosse scadente. Le pareti color mais dorato sarebbero apparse gialle alla spietata luminosità delle luci moderne. Sua madre, scuotendo la testa, si ravviò i capelli scuri e fece un gran sorriso per la sorpresa. A quanto pare non li stava guardando mentre erano in macchina, grazie al cielo. «Cassie, non mi aspettavo tornassi a casa così presto», le disse. «Ti va di aiutarmi?». Cassie scrutò i fasci disordinati di carta velina colorata sparsi sul grande tavolo. «E questi cosa sono?». Sua madre sollevò entrambe le mani come se la questione fosse oltre la sua comprensione. «Giunchiglie e gru. Decorazioni per la festa di primavera. Mi sono offerta volontaria, ma non ho idea del perché. Adesso sto affogando nella carta velina». Dopo aver visto la madre a letto malata così a lungo, notte dopo notte, e aver osservato la prozia Constance che la nutriva di erbe mediche e le spalmava tutta una serie di impiastri curativi, Cassie pensò che era un piacere trovarla tanto agitata per un compito così insignificante. Ed era bello vederla così coinvolta in un evento della comunità. Cassie voleva che sua madre si sentisse a casa lì a New Salem e che avesse degli amici, soprattutto adesso che la nonna se n’era andata. «Da dove inizio?», le chiese Cassie mentre si univa a lei al maestoso tavolo. Radunò fogli gialli e verdi, immaginando che le giunchiglie fossero più facili da realizzare delle gru. Mentre iniziava a piegare e arricciare i fogli sottili a forma di petalo, pensò tra sé e sé: “Con ogni probabilità esiste una magia per velocizzare il processo”. Ma era così felice e sollevata che sua madre fosse tornata come prima che anche se ci fosse voluta tutta la notte non le sarebbe importato. «Allora», disse sua madre, fissando finalmente gli occhi su Cassie. «Come va con Adam?». Cassie sentì le guance che si surriscaldavano. «Bene». «E con i tuoi amici?» «Bene anche con loro». Lei abbassò la gru argentata su cui stava armeggiando e studiò il volto di Cassie. «Sai, sono davvero orgogliosa di te», disse. «Ti sei ripresa così in fretta dopo…». Fece una pausa. «Dopo tutte le sciagure?» «Sciagure, sì, penso che potremmo chiamarle così». Cercò di sorridere. Cassie esitò un solo istante, ma fu sufficiente ad attirare l’attenzione di sua madre. «C’è qualcosa che non va», disse. «Cosa c’è?». Cassie sentì l’ansia che le invadeva lo stomaco. Si stava godendo il tempo passato insieme e non voleva rovinarlo, ma sua madre sembrava sinceramente disposta alla conversazione quella sera. Per la prima volta nella vita di Cassie, le sembrava che tutti i segreti fra loro fossero finalmente allo scoperto, e la loro relazione potesse ricominciare da zero. “Un nuovo inizio”, pensò. Era quello che stavano celebrando, giusto? Ecco a cosa servivano tutte quelle stupide gru e giunchiglie di carta, dopotutto. Cassie trasse un profondo respiro e guardò con attenzione sua madre negli occhi. «Stavo pensando a mio padre», disse. Lei si irrigidì all’istante. Cassie si accorse che aveva serrato la mascella, e poi aveva bevuto un lungo sorso di tè. La tazza le tremò quasi impercettibilmente tra le mani. Cassie fu subito dispiaciuta di aver affrontato l’argomento. Ma quando sua madre posò di nuovo la tazza di tè, sembrava essersi ripresa dallo shock della domanda. O almeno, questo avrebbe voluto farle credere. Quando infine aprì bocca, il tono era innaturale, ma paziente e gentile. «Sarò felice di dirti tutto quello che vuoi sapere», disse. «Devi solo chiedere». Cassie sentì le spalle sciogliersi per il sollievo. Si rese conto di quanto tempo fosse passato da quando aveva sepolto le preoccupazioni e le domande dentro di sé. Si costrinse a continuare a parlare. «So che lui – voglio dire, Black John – era malvagio», disse Cassie. «Ma è parte di me. Ed è una parte che sento di dover capire. C’è qualcosa che puoi dirmi di lui?». Ecco. L’aveva detto. Ormai non poteva tirarsi indietro. Sua madre si concentrò sulla gru di carta che aveva in mano. «Hai assolutamente ragione», disse, ma non rispose alla domanda e non guardò Cassie mentre parlava. Cassie la osservò in un prudente silenzio. Era fin troppo concentrata sulla gru che stava reggendo, piegandola e ripiegandola su se stessa. «Il problema è che fanno questa carta troppo sottile e inconsistente», disse. «Si rompe appena la tocchi». Come se niente fosse, sua madre aveva completamente lasciato cadere la questione. Ma Cassie era determinata a non arrendersi e continuò a fissarla. Lei dopo un po’ smise di ignorarla e sollevò lo sguardo. «C’è qualcosa che vorresti chiedermi?», chiese con finta disinvoltura. Lo sguardo negli occhi di sua madre rivelò a Cassie una paura che non vedeva in lei da quando si era ammalata. Il suo volto si era fatto pallido e spettrale, come se fosse invecchiata di vent’anni in quei cinque secondi di silenzio. E Cassie si accorse che il foglio di velina argentata che reggeva in mano si era spiegazzato e strappato a causa della tensione delle sue dita: lo stava stringendo come se ne dipendesse la sua stessa esistenza. Era più di quanto Cassie potesse sopportare. Sua madre aveva appena iniziato a stare meglio. Aveva appena iniziato a prendere di nuovo parte alla vita. Cassie non poteva permettersi di rovinare tutto con le sue domande egoiste. Aveva davanti una donna fragile, molto più fragile di quanto sarebbe mai stata lei. «Non importa», disse. «Possiamo parlarne un’altra volta. Abbiamo molto da fare adesso». Finiva sempre così. Cassie era quella che doveva comportarsi da adulta nel loro rapporto, quella che doveva tenersi le domande per sé perché l’altra non poteva sopportare le risposte – o la verità. Era stata una stupida a pensare che potesse andare diversamente. Capitolo 3 «La primavera è nell’aria», disse Melanie a Cassie e a Laurel, chiudendo per un attimo gli occhi grigi e prendendo un respiro profondo. «Si riesce quasi ad annusarla, non è vero?». Cassie chiuse l’armadietto con uno schianto e inspirò, ma riuscì a sentire solo il solito odore di sudore, carta e ammoniaca del corridoio. «È stato un inverno difficile», disse Laurel. «Penso che questo c’entri qualcosa». Quel mattino si era vestita a tema con un abito a fiori stampati. «La festa dell’equinozio di primavera di quest’anno sarà fantastica». Intorno a loro la frenesia era palpabile – le voci sembravano più forti, i passi più veloci, tutti erano più vivaci e animati – erano tutti vittime della febbre primaverile. Poi Cassie si ricordò che il nuovo preside sarebbe stato presentato all’assemblea di quella mattina. Forse era quella la fonte di tutta la nuova energia nell’aria? Era impaziente di incontrare l’uomo che sarebbe stato responsabile della loro scuola, soprattutto dopo che l’ultimo preside si era rivelato essere Black John sotto mentite spoglie. Ma con ogni probabilità Melanie e Laurel avevano ragione – era la festa di primavera di quel fine settimana a mettere tutti in agitazione. I loro compagni di scuola stavano tutti programmando cosa avrebbero indossato e discutendo su chi valeva la pena invitare. A nessuno importava chi fosse il nuovo preside. «È un buon segno», disse Melanie. «Una festa che celebri un nuovo inizio è proprio ciò che serve a questa città». Cassie voleva sentirsi emozionata come tutti gli altri per l’arrivo della primavera, ma sentiva il cuore pesante nel petto. Il tentativo disastroso di parlare con sua madre la notte precedente la opprimeva ancora. Proprio in quel momento Chris e Doug Henderson sfrecciarono accanto a loro sui rollerblade, ridendo mentre si facevano strada lungo il corridoio affollato. La spinta accelerata tirava indietro i loro capelli biondi spettinati allontanandoli dai loro identici occhi verde-blu. Rallentavano solo per porgere fiori a forma di stella a qualunque bella ragazza di passaggio. Suzan, che reggeva un cesto pieno di fiori, correva dietro di loro per rifornirli. «Cosa diavolo sono?», chiese Cassie. «Chionodoxa luciliae», disse Laurel. Melanie le diede una spintarella. «Nella nostra lingua». «Scusate». Laurel sorrise. «Quei fiori blu. Li chiamano gloria della neve. Sono uno dei primi segni della primavera». Cassie si rese conto che persino i gemelli Henderson, che avevano perso la sorella, Kori, solo lo scorso autunno, stavano abbracciando la nuova stagione. Avrebbe potuto impegnarsi un pochino di più ad avere un atteggiamento positivo. «Penso di aver già visto quei fiori», disse. «Sono nel giardino dietro la palestra». «Ormai non più», disse Sean, ridendo a crepapelle. Camminò verso di loro. Reggeva un bouquet di fiori blu con la mano ossuta e lo tese, esitante, verso Cassie. «Grazie, Sean», disse Cassie, ma prima che potesse accettare il bouquet, Faye si intromise e glielo strappò di mano. Annusò i boccioli e poi lo spinse sul petto di Sean. «Corri all’assemblea e trova un’altra patetica ragazza a cui darli», disse. Poi si voltò verso Cassie. «Ho bisogno di parlare con te». Faye era tutta vestita di nero, come accadeva spesso, ma quel giorno i suoi abiti erano più attillati e scollati del solito. Cassie rivolse un cenno a Melanie e Laurel. «Va bene», disse. «Andate avanti. Ci vediamo all’auditorium». Si era ripromessa di non mostrarsi impaurita davanti a Faye, a tutti i costi. Non poteva permettersi di aver paura di restare da sola con lei, soprattutto a scuola, dove era scontato che sarebbe stata protetta da qualunque abuso Faye intendesse infliggerle. Faye, ovviamente, non perse tempo ad arrivare al punto. «So che tutta la faccenda di essere leader è nuova per te», le disse. «Ma persino tu dovresti renderti conto che non riuscirai a giocare lealmente a lungo». «Non so di cosa stai parlando». Faye sbuffò, come se doversi spiegare non fosse da lei. «Non fare l’innocente con me, Cassie. Non funziona». Cassie lanciò un’occhiata lungo il corridoio vuoto e si mise le mani sui fianchi. «Se hai davvero qualcosa da dirmi, Faye, allora fallo. Ma se stai solo cercando di intimidirmi, sappi che non ce la farai». «Bugiarda». Faye tese la mano per spostare docilmente la ciocca di capelli scivolata davanti agli occhi di Cassie, e lei fece un balzo all’indietro. Faye sorrise. «Ecco cosa ho da dirti. Il potere crea sempre dei nemici. Divide le persone in due categorie, buone e cattive. Se vuoi davvero essere una leader di questo circolo, allora dovrai scegliere una fazione». Cassie ricordò che una volta Diana le aveva detto che il potere era solo potere – non era buono o cattivo. «Solo il modo in cui lo usiamo è buono o cattivo», aveva detto. Ma persino Diana aveva cambiato opinione in proposito. «Ho già scelto una fazione», disse Cassie. Il rubino stellato intorno al collo di Faye scintillò. Era dello stesso colore del suo rossetto. «No, invece», disse. «In te c’è qualcosa che ti rende figlia del tuo paparino. Puoi sentirlo dentro di te. Un alone oscuro. So che puoi». Cassie strinse con più forza i libri al petto. «Tu non sai niente». «Non è sfiancante impegnarsi così tanto a imitare Diana quando in realtà sei proprio come me?» «No. Perché io non sono affatto come te». Faye emise una profonda, aspra risata e fece un passo indietro. Era riuscita nel suo intento. Cassie si era innervosita. «Farai meglio a sbrigarti», disse. «Non vorrai arrivare in ritardo all’assemblea». Estrasse un tubetto di rossetto dalla borsa e si applicò un altro strato di colore scuro sulle labbra. «Ne vuoi un po’?». Tese il tubetto rosso sangue verso Cassie. «Secondo me questo colore ti dona». In un impeto di rabbia Cassie pensò di scaraventare via il lucidalabbra dalla mano di Faye. Ma avrebbe significato darle proprio ciò che voleva. Stava cercando di spingere Cassie ad arrendersi ai suoi impulsi più bassi, a comportarsi in modo aggressivo e incauto come faceva lei. Ma Cassie non lo avrebbe fatto. Non avrebbe dato a Faye quella soddisfazione. Invece, le voltò le spalle, e facendolo si accorse di qualcuno che prima non aveva notato. Un ragazzo. Anche Faye si accorse di lui. Lo guardarono insieme mentre percorreva il corridoio. Era alto e muscoloso con capelli castano chiaro, e doveva aver appena finito di allenarsi, perché indossava pantaloni e scarpe da ginnastica. Portava una sacca da palestra in una mano e una racchetta da lacrosse nell’altra. «Quel ragazzo è uno schianto». Faye richiuse il rossetto e lo infilò nella borsa. «Sai quanto mi piacciono i fustacchioni sudati». Cassie alzò gli occhi al cielo. Faye si avvicinò subito al ragazzo per rivendicarne la proprietà. «Ti sei perso?», gli disse. «Posso darti delle indicazioni». La testa gli scattò in alto quando si rese conto che qualcuno gli stava rivolgendo la parola. Cassie vide che i suoi occhi erano verdi come smeraldi, belli quanto quelli di Diana. «No, grazie», rispose, con un tono di voce allo stesso tempo deciso e impertinente. «Conosco la strada». «Stai andando a quella noiosa assemblea?». Faye non era intenzionata ad arrendersi così presto. «In questo caso, posso darti delle indicazioni sbagliate». La frase bastò a suscitargli un sorriso, che però diresse a Cassie. «Ciao», disse. «Sono Max». «Lei è Faye», disse Cassie, rispondendo al sorriso di Max. «Ed è lieta di conoscerti». Max lasciò cadere la sacca da palestra sul pavimento e strinse la mano di Faye in un modo dal quale si capiva che era abituato alle adulazioni delle ragazze. «Cassie», disse Faye, ancora stringendo la mano robusta di Max nella sua. «Non credi che Adam ti stia aspettando all’assemblea? Forse dovresti andare». Cassie annuì. «Hai ragione. Dovrei». Quando si voltò, sentì Max che le urlava: «Ci vediamo lì». Cassie arrivò all’auditorium appena in tempo per la cerimonia di benvenuto. Fu sollevata di trovare Adam che le faceva un cenno per indicarle il punto dove era seduto, in ultima fila. L’auditorium era più affollato che mai. C’erano gruppi di studenti accalcati sul fondo e accanto alle estremità di ogni fila. L’emozione pulsante che Cassie aveva avvertito in corridoio era stata portata fino a lì, dove si accentuò come acqua trattenuta da una diga. Ma una volta che Mr Humphries diede qualche colpetto al microfono per zittire la folla e fare un annuncio, l’energia irrequieta si attenuò fino a una noia silenziosa. Le assemblee erano sempre divertenti fino a quando non iniziavano. Cassie scrutò la folla. Individuò Diana fra le prime file, seduta con la sua classe di inglese avanzato. Melanie e Laurel si erano unite a Suzan, Sean e i fratelli Henderson nelle file centrali. E Deborah e Nick erano solo qualche fila dietro a loro. Cassie si accorse che nessuno di loro sembrava preoccupato. Avevano lo stesso aspetto annoiato e apatico del resto della scuola. Era lei l’unica a risentire ancora dell’ultima assemblea in cui avevano dovuto accogliere un preside? Stavano tutti fingendo, nel tentativo di mostrare il meglio di sé? O erano davvero tutti più bravi di Cassie a passare oltre? Sally Waltman e Portia Bainbridge erano sedute con il loro gruppetto di cheerleader. I capelli color ruggine di Sally si distinguevano da quelli biondi di quasi tutto il resto delle sue amiche, quindi fu facile individuarla fra loro. Stava ridendo per qualcosa che aveva detto Portia, probabilmente una battuta ai danni di qualcuno, come faceva sempre. Il circolo aveva raggiunto una tregua turbolenta con Portia e i suoi fratelli, ma a Cassie quella ragazza ancora non piaceva. «Stai bene?», le chiese Adam quando prese posto. «Hai la faccia da mi-sonoappena-imbattuta-in-Faye». «Sto bene. Faye mi stava infastidendo, ma poi ci è passato accanto un tizio da schianto, e si è dimenticata completamente di me». «Proprio la nostra Faye». Adam prese la mano di Cassie nella sua e la strinse. «Chi era il ragazzo?» «Non lo so, uno nuovo. Si chiama Max». Cassie perlustrò l’auditorium in cerca di Faye e la trovò in piedi in un angolo che parlava con Max – o meglio parlava a Max. Lui era appoggiato con entrambe le mani alla racchetta da lacrosse, come se potesse cadere dalla noia se non si fosse aggrappato. Cassie spostò l’attenzione sull’uomo che dedusse essere il nuovo preside, in attesa in un angolo. Indossava un elegante completo scuro e aveva i capelli brizzolati. Era alto, aveva le spalle ampie, e teneva le mani incrociate dietro la schiena. Era affascinante, proprio come lo era stato Mr Brunswick. Un debole applauso lo accolse sul palco. «Grazie», disse, mentre sistemava il microfono. «Sono Mr Boylan, e sono lieto di fare la vostra conoscenza». La sua voce era più profonda di quanto si fosse aspettata Cassie. Il suo aspetto esteriore era elegante e raffinato, ma aveva la voce di un tagliaboschi – con un tono duro, sabbioso, e la traccia di un accento che non riusciva a identificare. Le corse un brivido lungo la schiena. “No”, pensò Cassie tra sé e sé. “Non essere paranoica. Solo perché Mr Brunswick si è rivelato malvagio non significa che lo sarà anche Mr Boylan”. Immaginò di essere vittima dei sintomi di una specie di stress post traumatico, come i soldati che tornano dalle guerre e si spaventano al minimo rumore improvviso e innocuo che sentono. Ma mentre Mr Boylan continuava a parlare, ogni muscolo del corpo di Cassie si tese in atteggiamento difensivo. Lanciò un’occhiata a Adam per vedere se anche lui percepiva qualcosa di strano nel preside, ma stava guardando il palco con calma e senza la minima traccia di preoccupazione. «Vi ringrazio per il caloroso benvenuto», disse Mr Boylan. «Spero che accoglierete nello stesso modo anche mio figlio, che verrà a studiare qui». Indicò l’angolo più lontano, dove Max era ancora appoggiato alla sua racchetta da lacrosse e fissava dritto davanti a sé. Adam e Cassie si guardarono in contemporanea. Non ci fu bisogno di dire nulla. Ovvio. Faye si era presa una cotta per il figlio del preside. Faye stava sorridendo con un ghigno alle sue spalle, guardandogli fisso la nuca, come se potesse perforargliela e impiantargli nella testa il desiderio. Quando si accorse che Cassie la guardava, strinse le labbra e le mandò un bacio. Poi tirò fuori la lingua, fingendo di leccare la nuca di Max. «Tutto questo non porterà a niente di buono», disse Cassie. Capitolo 4 Mentre tornava a casa da scuola quel pomeriggio, Cassie ebbe finalmente un momento di solitudine per pensare. Diana e qualcuno degli altri erano andati in città per comprare gli abiti per la festa di primavera. «Ti serve un vestito primaverile per la festa di primavera», aveva insistito Suzan quando le aveva detto che era troppo stanca per fare shopping. Ma Diana era intervenuta a favore di Cassie, dicendo che se era stanca avrebbe fatto meglio a riposare. Significava che in realtà Diana non la voleva lì? Cassie avrebbe voluto sentirsi più sicura a proposito della sua amicizia con Diana, ma sembrava che qualcosa non quadrasse, come tutto il resto in quel momento. Decise di percorrere la strada più lunga e panoramica per tornare a casa lungo Cherry Hill Road, costeggiata da file di ciliegi in procinto di sbocciare. Era una tempestosa giornata di marzo, e lei adorava il rumore del vento fra gli alberi. Si fermò per un attimo per alzare lo sguardo sulle foglie, per osservarle ondeggiare e ballare sulla sua testa fino a esserne stordita. «Questo è il mio territorio», disse una voce alle sue spalle. Si guardò intorno e vide una giacca di pelle nera e jeans scuri. «Nick», disse. «Ho fatto questa strada per restare sola, quindi forse sei tu a essere nel mio territorio». Stava cercando di assumere un tono sarcastico e scherzoso. Poi lo rovinò subito aggiungendo: «Ma mi fa davvero piacere incontrarti». Lo vide agitarsi a disagio a causa del commento sdolcinato, ma dalla sua bocca iniziarono a uscirne altri simili. «È solo che… ultimamente abbiamo avuto poche occasioni di parlare», aggiunse. «E non passiamo più del tempo insieme». L’espressione di Nick era fredda. Nessun sorriso, nemmeno una minuscola traccia. Era ovvio che non provasse la stessa cosa. Allontanò lo sguardo e si tastò la tasca della giacca in cerca delle sigarette. Poi ricordò che aveva smesso, quindi smise di tastare e rimase immobile. «Mi manchi, Nick». Cassie non riuscì a trattenersi dal dirlo. E desiderò subito che le sue parole non sembrassero troppo patetiche. Nick si era comportato in quel modo – distaccato e riservato – da quando Cassie e Adam si erano messi insieme. La parte razionale del suo cervello sapeva che la stava tenendo a distanza perché era rimasto ferito, ma all’altra parte, quella irrazionale, tutto ciò non interessava e voleva solo che tornasse a starle al fianco. Posò la mano sulla pelle morbida della sua giacca e chiese, con il tono più innocente che le riuscì, «Non ti manco per niente?». Il volto di Nick fu attraversato da una fitta di agonia, come se lo avesse pugnalato allo stomaco con un coltello affilato. «Cassie», mormorò. Stava per dirle qualcosa di importante. Riusciva a capirlo dal tono gentile della sua voce e da come si stava impegnando per trovare le parole giuste. Era così difficile per lui esprimere le sue emozioni che guardarlo sforzarsi così tanto le fece venire un tuffo al cuore. Quello era il lato tenero di Nick, e non erano in molti a conoscerlo. «Cassie, ascolta», iniziò. Ma proprio in quel momento arrivò Adam in macchina, strombazzando. «Ehi, voi due», gridò. «Volete un passaggio?». Accidenti. Pessimo tempismo. Finalmente lei e Nick si stavano chiarendo. Ma il momento era passato. Il volto di Nick, che si era aperto per un attimo, si richiuse di nuovo, più sigillato e sicuro di una cassaforte. «Vuoi un passaggio fino a casa?», gli chiese debolmente Cassie. Vederla insieme a Adam era l’ultima cosa di cui Nick aveva bisogno, e Cassie lo sapeva. «Io passo», rispose, con il tono più freddo che riuscì a formulare. «Ma tu faresti meglio ad andare», aggiunse, quando si accorse dell’esitazione di Cassie. «La tua carrozza ti aspetta». Cassie era combattuta. Per un secondo immaginò il loro futuro alternativo, quello in cui Adam non li aveva affiancati, dove lei e Nick avevano parlato durante tutta la lunga strada fino a casa sotto una tettoia di alberi. Non voleva lasciar andare quella possibilità. Ma sapeva di non dover insistere troppo con Nick. Dopotutto, lei voleva Adam, e lo avrebbe voluto per sempre. Nick iniziò a trascinare i piedi nella direzione opposta a casa. Cassie si affrettò a raggiungerlo e gli sussurrò all’orecchio. «Ti sarai anche guadagnato il diritto a compiangerti per un po’», disse, «ma non ho intenzione di lasciarti andare così facilmente». Poi corse verso la macchina di Adam, aprì la portiera e salì. L’interno dell’auto di Adam aveva sempre lo stesso odore. Era una combinazione di muschio dolce, foglie e benzina, pelle oliata e gomma, e non smetteva mai di dare la carica a Cassie. Adam la guardò, analizzando ogni centimetro del suo volto con i suoi penetranti occhi blu. «Pensavo fossi andata a fare shopping con le ragazze». «Non ne avevo voglia». Le posò una mano calda sul ginocchio. «Cassie, sei sicura che vada tutto bene?». Lei guardò fuori dal finestrino e non rispose. «Nick ti stava infastidendo là fuori?» «Cosa? No, certo che no. Per dirla tutta ero io che stavo infastidendo lui, cercando di convincerlo a essere di nuovo mio amico». Adam riappoggiò la mano sul volante e lo strinse con tanta forza da far sbiancare le nocche. «Ha bisogno di tempo». «Lo so». Cassie guardò Crowhaven Road scorrere fuori dal finestrino e decise di cambiare argomento. «Hai percepito qualcosa di strano nel nuovo preside oggi?», chiese. «No, perché? Tu sì?» «Più o meno, ma non ne sono sicura», disse Cassie con sincerità. «Penso di volerne parlare con Constance. Forse conosce un incantesimo o qualcosa che possa mostrarci la sua vera natura». Adam cercò di trattenere un sorriso. «Mi sa che sei un tantino paranoica, Cassie. Ne hai tutte le ragioni, dopo quello che hai passato. Ma onestamente, l’unica cosa che mi sembra strana del preside è che Faye sia interessata a suo figlio». «Lo so, con ogni probabilità hai ragione». Cassie tornò a guardare fuori dal finestrino. Si accorse che una berlina nera li seguiva e si sforzò di capire se apparteneva a uno dei loro amici. Non c’erano molte macchine che avevano motivo di svoltare a Crowhaven Road. «Cassie», disse Adam. «Ascoltami. Black John non ci sta più perseguitando. Se n’è andato. Abbiamo vinto». Nonostante tutta la delicatezza di Adam, Cassie era infastidita dal suo continuo sorvolare sul fatto che Black John, per quanto malvagio, fosse suo padre. Ogni volta che Adam lo menzionava diceva: «Se n’è andato per sempre», il che ovviamente era positivo, tuttavia avrebbe almeno potuto riconoscere che la sua morte la confondeva. «Penso comunque che mi farebbe piacere incontrare Constance», disse Cassie. «Puoi lasciarmi da lei, per favore?». Adam si zittì, il che significava che aveva capito di aver detto qualcosa che l’aveva infastidita. Erano quasi arrivati a casa di Constance, quindi lasciò il pedale dell’acceleratore e rallentò fino a fermarsi. Cassie si accorse che anche la macchina nera dietro la loro si era fermata. Poi fece una brusca inversione e tornò verso la strada principale. “Strano”, pensò. All’inizio non rispose nessuno quando bussò, poi però Cassie vide la testa grigia di Constance che appariva dalla finestra anteriore. Le fece un cenno con quella mano tanto simile a un artiglio e aprì la porta. «Sei qui per vedere Melanie?», chiese. «Non è ancora tornata da scuola». «Veramente, zia Constance, sono venuta per parlare con te». «Oh oh. Cosa c’è?». Accompagnò Cassie attraverso l’immacolato pavimento in legno massello fino al salotto, dove fino a poco prima stava bevendo il tè. Cassie aveva imparato a sentirsi a suo agio in quella casa dato che sua madre era rimasta lì mentre era malata. Era simile all’appartamento di Cassie, ma in condizioni decisamente migliori. Le pareti erano dipinte di fresco, gli argenti lucidati fino a risplendere, e non c’era nemmeno un granello di polvere. Il salotto profumava del sapone oleoso usato per pulire il legno. Constance riempì di nuovo la sua tazza da tè con un salice disegnato e ne versò un po’ anche a Cassie. Poi si mise comoda sulla sua grande sedia a dondolo. «Cosa ti preoccupa?», chiese. «Niente, in realtà», disse Cassie. «Credo di essere venuta solo per chiederti un consiglio». «A proposito di che?». Constance era esile e regale, ma sembrava quasi infantile mentre dondolava avanti e indietro sulla sua sedia. «Ultimamente mi sono sentita un po’ strana», disse Cassie. Constance smise di dondolare e appoggiò i piedi al pavimento. «Dovrai essere più precisa se vuoi un consiglio, mia cara». «Che tu ci creda o no, ci sto davvero provando». Cassie posò la tazza. «Credo che in parte dipenda dal fatto che so che dovrei essere felice. Il circolo ha sconfitto Black John e mia madre sta di nuovo bene. E sto con Adam, che mi ama molto». «Ma?» «Mi sembra di non riuscire a rilassarmi». Cassie si sporse per avvicinarsi a Constance e iniziò a parlare a voce più bassa. «Come oggi, quando è stato presentato il nostro nuovo preside. Ho iniziato ad agitarmi, proprio durante l’assemblea. So che non si trattava di lui, ma come faccio a esserne certa, o come faccio a dire… Oh, non lo so». «Come fai a distinguere tra istinto e ansia?». Constance sorrise. Cassie annuì. «C’è solo un modo», disse Constance. «Anni di pratica. È una delle sfide più grandi di chi possiede il dono della vista». Si riaccomodò sulla sedia e parve persa nei suoi pensieri per un attimo. Poi le sue sottili labbra rosse formarono un sorriso. «Tua nonna era uguale», disse. «Sempre così “nervosa”. Se solo sapessi quante volte mi ha svegliata da un sonno profondo, piangendo per un infausto presagio che alla fine si è rivelato una semplice indigestione». Constance iniziò a ridere tanto che le vennero le lacrime agli occhi. Prese un fazzoletto e le tamponò prima di proseguire. «Mi dispiace, non volevo sminuire la situazione. Ma diventerà più facile con il tempo, Cassie, puoi starne certa». «Quindi stai dicendo che non esiste una magia per sapere con certezza chi è buono e chi malvagio, nessun incantesimo per testare la vera natura del preside?». Constance trattenne l’impulso di scoppiare a ridere di nuovo. «Tesoro, se un incantesimo simile esistesse, sarebbe stato il primo che ti avrei mostrato». Rivolse a Cassie uno sguardo affettuoso. «Purtroppo, non c’è nessuna scorciatoia per la tranquillità». Quando Cassie non rispose, tra le sopracciglia di Constance apparvero delle rughe. «Esercitati con le meditazioni e le invocazioni giornaliere», disse. «Coltiva la tranquillità meglio che puoi». Era un consiglio semplice, ma Cassie lasciò casa di Constance sentendosi solo un pochino meglio. Capitolo 5 Quando Cassie arrivò all’Old Town Hall, il sole brillava sui preparativi mentre stand e tavoli venivano sistemati per la festa della sera. Cercò sua madre fra i volontari per aiutarla ad appendere le decorazioni che avevano finalmente finito di preparare la notte precedente. L’Old Town Hall era uno dei primi edifici municipali di New Salem. Quando era ancora in uso, ospitava tutti gli uffici federali della città. La zona circostante era stata progettata per essere un mercato all’aperto, ma in quei giorni veniva usata principalmente come spazio artistico pubblico, e soprattutto come sede delle annuali feste di primavera e d’autunno. «Ehi, Cassie». Laurel apparve trasportando una cassetta di tulipani grande quasi il doppio di lei. La fece cadere su un tavolo vicino e si spostò qualche ciocca di capelli sudata dal volto simile a quello di un folletto. «Sei emozionata per la festa di stasera?» «Certo», rispose Cassie con poca convinzione. «Be’, dovresti», disse Laurel. «L’equinozio di primavera è importante per noi streghe». Si guardò a destra e a sinistra per essere sicura che nessuno l’avesse sentita. E poi, proprio come si aspettava Cassie, si lanciò in una lezione di storia. Lezioni di storia e di botanica erano quasi obbligatorie quando si parlava con Laurel. Era uno di quei motivi per cui o la si amava o si provava l’impulso di tapparle la bocca, tuttavia per il momento Cassie la assecondò. «Come molte delle tradizioni di New Salem, l’origine della festa di primavera affonda le sue radici nel paganesimo», disse Laurel. «La festa si chiamava Festa di Ostara ed era una celebrazione del risveglio della dea dal suo sonno invernale. Era un momento in cui i nostri antenati onoravano l’equilibrio di tutte le cose, fisiche e spirituali. Secondo i libri antichi era il periodo in cui seminare in giardino, ma anche il momento giusto per piantare i semi di una manifestazione desiderata». «Cosa significa?», chiese Cassie. «Significa che è il momento migliore per iniziare nuovi progetti e mettere in pratica nuovi piani». Laurel sollevò la sua cassetta, tirò su con il naso e iniziò ad allontanarsi. «È qualcosa per cui vale la pena emozionarsi», disse oltre la sua spalla. Cassie lasciò vagare lo sguardo sulla piazza. In ogni stand c’era un commerciante del posto che offriva assaggi di cibo o bevande, oppure la possibilità di fare delle offerte per gli articoli all’asta. Gruppi locali stavano predisponendo la loro attrezzatura su un palcoscenico malandato. L’intero evento era stato trasformato nello scenario perfetto per celebrare l’inizio della stagione turistica. Tuttavia, Cassie pensò di dovervi prendere parte. C’era più di un motivo per festeggiare, come aveva detto Laurel. Trovò sua madre sul lato più lontano della piazza, ad allineare giunchiglie di carta su un’asse di legno. Davanti a lei, Cassie vide Melanie e Constance che addobbavano il loro stand di gioielli. La chioma di capelli lisci e castani di Melanie era legata indietro con cura, mentre quella grigia di Constance svolazzava selvaggia al vento. Erano una strana coppia. Melanie era alta, bellissima e attraente, e Constance era raggrinzita e ricurva, e urlava ordini agitando l’indice rugoso. Ma l’amore che nutrivano l’una per l’altra era palpabile, e i gioielli che disegnavano erano un prodotto fisico di quel sentimento. Melanie aveva detto a Cassie che gli abitanti della città non capivano davvero i cristalli, ma non importava. I loro gioielli erano un argomento di discussione come un altro, e a zia Constance non dispiacevano gli introiti extra. Cassie salutò Melanie da lontano e poi individuò Diana. Era tutta vestita di bianco e i capelli biondi le splendevano al sole, tanto che sembravano anch’essi quasi bianchi. “Mio Dio”, pensò Cassie, “Diana sta letteralmente luccicando come un angelo”. E difatti, quell’anno stava aiutando con la lotteria di beneficenza. In realtà, l’aveva organizzata. A volte Cassie si chiedeva se ci fosse qualcosa che Diana non sapesse fare. Cassie fece un cenno a sua madre per farle sapere dov’era e poi si diresse al tavolo della lotteria per salutare Diana. Si era sentita così distante da lei nell’ultimo periodo che fermarsi a chiacchierare un istante le sembrò un bel gesto. Forse persino un primo passo per sistemare le cose fra loro. Cassie si rese conto che la distanza tra lei e Diana dipendeva dal fatto che in quei giorni trascorreva gran parte del suo tempo libero con Adam. Come poteva non essere strano, quando fino a poco prima era Diana a stare con lui? Ma nonostante tutto, quando Diana si accorse che Cassie si stava avvicinando, le rivolse il più cordiale dei saluti. Fece cadere la sua cartellina sul tavolo e corse attraverso la piazza per andarle incontro. «Sono così felice che tu sia qui», disse. «Le decorazioni di tua madre sono fantastiche». «Grazie», disse Cassie, poi esitò. Non lo aveva pianificato, ma in quel momento sentì che era giusto. «Possiamo parlare?», chiese. Senza aspettare una risposta strinse forte la mano di Diana nella sua e la condusse ai margini della piazza, dove c’era una lunga panca di pietra su cui potevano sedersi senza rischiare che qualcuno origliasse la loro conversazione. «C’è una cosa che devo dirti», iniziò Cassie. Gli occhi verdi di Diana si strinsero per la preoccupazione, ma si sedette come le era stato detto. Cassie prese posto accanto a lei, sfregando le dita con fare ansioso sulla superficie di pietra della panca. «Mi sento così strana», disse. «A disagio». Diana fece un ampio sorriso. «Anche adesso?» «Sì». Cassie si sentì avvampare. «Credo proprio di sentirmi a disagio. È che so quanto eravate vicini tu e Adam, il sacrificio che hai fatto, e…». Diana interruppe Cassie a metà della frase. «Cassie, lo so. Dico davvero. Ed è stato difficile a volte, ma mi sa che ci siamo tutti abituati a questa situazione molto più in fretta di te». Mise le mani sulle spalle di Cassie e la scosse lievemente. «Nessun rancore. Davvero. Sei tu che ti stai rendendo le cose difficili». Gli occhi di Cassie si riempirono di lacrime, e si rese conto che Diana aveva ragione. Aveva reso le cose inutilmente difficili. Quello doveva essere un nuovo inizio. Ovunque intorno a lei, le persone abbracciavano il cambiamento mentre lei si aggrappava a vecchie ferite e timori legati al passato. «Questo significa che possiamo vederci più spesso?», chiese. «Lo spero bene!». Diana la strinse a sé per un abbraccio, e quando Cassie chiuse gli occhi, sentì che ogni cosa era andata a posto. “Un nuovo inizio”, pensò di nuovo tra sé e sé. Ora sarebbe davvero riuscita a godersi la festa. Lei e Diana attraversarono insieme la piazza, a braccetto, per tornare al tavolo della lotteria. Cassie non voleva che la loro rinnovata vicinanza finisse, ma aveva del lavoro da fare. «Farei meglio ad andare ad aiutare mia madre», disse, e stava per allontanarsi, quando una ragazza si avvicinò a lei. Aveva lunghi capelli ondulati tinti di un rosso acceso e indossava alti stivali neri che le sfioravano l’orlo del vestitino. «Scusatemi», disse. «Sto cercando il bed and breakfast che dovrebbe essere da queste parti». Era alta più o meno quanto Cassie, e i suoi occhi erano di un marrone molto scuro, quasi neri. Diana indicò a sinistra. «È circa due minuti a piedi da quella parte». La ragazza afferrò la maniglia della sua valigia straripante e rimase a fissarle, come se sperasse in qualcosa di più. «Sono Scarlett», disse, offrendo la mano libera a Diana. Diana presentò lei e Cassie, poi chiese: «Sei in visita da fuori città?» «Non sono in visita. Mi sono appena trasferita». Scarlett si morse l’unghia, che era ricoperta di smalto nero scheggiato. «Resterò per un po’ al bed and breakfast, sempre che riesca a trovarlo». Diana sollevò le sopracciglia. «Trasferirsi in una nuova città con una sola valigia, è davvero sorprendente». Scarlett rise, a disagio, come se non fosse sicura se Diana la stesse prendendo in giro o parlasse sul serio. Nemmeno Cassie era del tutto sicura. Conosceva Diana abbastanza bene da sapere che quella forestiera l’aveva messa in guardia. «Andrai alla New Salem High?», chiese Diana. Scarlett scosse la testa. «Mi sono diplomata in anticipo. Lavorerò al porto per l’estate». «Capisco», disse Diana, in un tono che trasudava giudizio. A volte Diana si comportava in modo strano con i forestieri. Cassie sapeva che non voleva essere scortese; del resto, con ogni probabilità non se ne rendeva nemmeno conto. Era una sorta di arroganza, dovuta al fatto che era una ragazza speciale. Tuttavia Cassie sapeva cosa significasse crescere come una persona ordinaria, e anche lei era stata una nuova arrivata in città. Capì quanto dovesse sentirsi a disagio e spaesata Scarlett in quel momento. «Be’, grazie per le indicazioni», disse Scarlett. «È stato un piacere incontrarvi». «Aspetta». Cassie provò l’impulso improvviso di rimediare all’accoglienza inospitale di Diana. «Dovresti venire alla festa stasera. È proprio qui, non puoi sbagliare». Scarlett ridacchiò in un modo che la fece sembrare una bambina, e Cassie non poté fare a meno di unirsi. C’era qualcosa di rinfrancante in lei. «Ci siamo appena incontrate e stai già prendendo in giro il mio scarso senso dell’orientamento?». Poi il suo volto si riscaldò. «Mi piacerebbe venire, grazie». «Bene», disse Cassie. «Allora ci vediamo dopo». Cassie osservò Scarlett che si allontanava, e Diana raccolse la sua cartellina dal tavolo. «Ti sei comportata da brava vicina di casa», disse. «Cosa intendi?» «Lo sai». Diana analizzò la sua lista di cose da fare, sfogliando le numerose pagine. «Premurosa, affabile». «So cosa significa “da brava vicina”, ma tu cosa volevi dire?». Diana appoggiò la cartellina e giocherellò con la penna mentre scrutava l’espressione di Cassie. «Hai visto qualcosa in lei, non è vero? Di cosa si tratta?». Cassie avrebbe dovuto sapere che a Diana non sfuggiva niente. Era vero che aveva visto qualcosa in Scarlett, ma non era sicura di cosa. Sentì un fremito che le percorreva la schiena e le braccia, giù fino alle dita. Era un’emozione che non riusciva a spiegare. «Non ne sono davvero sicura. Ma credo che sia qualcosa di positivo». «Be’, una bella notizia per una volta», disse Diana. «Non me ne parlare». «Forse è stata la sua tinta per capelli a intrigarti», disse Diana con malizia. «Mi ha fatto venire voglia di bere un succo alla ciliegia». Entrambe scoppiarono in una risata fragorosa, come succedeva in passato. Capitolo 6 La luna sopra di loro era una falce crescente, e il cielo era limpido. Cassie e Adam erano in piedi accanto all’albero della cuccagna mano nella mano, e lei si sentiva radiosa nel vestito giallo attillato che le sue amiche le avevano scelto. Lo aveva trovato in sala da pranzo quella mattina presto. Suzan lo aveva lasciato insieme a un biglietto scritto nella sua grafia tortuosa: QUESTO NOME! VESTITO URLAVA IL TUO Suzan aveva anche comprato delle cravatte per i ragazzi, che stavano tutti bene, ma erano messi in ombra dalle ragazze e dai loro abiti. Melanie ne indossava uno di chiffon verde e Laurel uno di cotone leggero rosa garofano. Suzan, sensuale come sempre, aveva scelto per sé un vestito a tubino color rame che sfiorava il limite dell’indecenza. Diana indossava una discreta tunica di seta color avorio. Deborah, che raramente indossava abiti, si era vestita a modo suo. Portava jeans bianchi attillati, una camicia bianca e una giacca di pelle viola. «Avete visto Faye?», chiese a Cassie e Adam. Adam scrollò le spalle, ma Sean rispose: «È a caccia di Max». Deborah sbuffò. «Non si è ancora arresa? Lui la sta evitando da tutta la settimana». Sean scosse la testa. «Non c’è pericolo», disse. «Faye non si arrende mai così facilmente». «E Nick?», chiese Cassie. «Lo avete visto?». Il volto di Deborah si indurì. Quando si trattava di Cassie, era estremamente protettiva nei confronti del cugino. «Non credo che verrà». «Perché no?», chiese Cassie. «Perché no». Deborah cercò di far abbassare gli occhi a Cassie, ma lei la ignorò. Deborah pensava di fare la cosa giusta, proteggendo Nick per evitare che restasse più ferito di quanto già non fosse, ma non capiva che le intenzioni di Cassie erano buone. Dopo aver sistemato le cose con Diana si era sentita molto meglio. Aveva sperato di fare la stessa cosa con Nick quella sera. Diana rivolse a Deborah uno sguardo accigliato che rivelava quanto capisse la situazione difficile di Cassie. «Nick potrebbe farsi vedere», disse. «Lo sai quanto è imprevedibile». Ci fu un attimo di silenzio mentre Cassie percorreva l’albero della cuccagna con lo sguardo. Ammirò le ghirlande e i fiocchi multicolore che pendevano dalla sua cima. Poi Diana disse: «Ehi, Cassie, ma quella non è Scarlett?». Scarlett le aveva viste e si stava facendo strada tra la folla verso di loro. Indossava un abito a baby doll blu fiordaliso e i suoi lunghi capelli rossi erano infilati sotto una bombetta di feltro marrone. Salutò con la mano quando i suoi occhi incrociarono quelli di Cassie, e accelerò il passo. «Chi è quella?», chiese Adam. Cassie notò una sfumatura di affascinata curiosità nel suo tono. «Ooh, mi piace quel cappello», disse Suzan. Deborah annuì. Apprezzava sempre una ragazza con abbastanza stile da riuscire a indossare un capo d’abbigliamento maschile. «Anche quegli stivali sono una bomba», disse. Scarlett era piena di sorrisi e molto sicura di sé mentre Cassie la presentava al resto del gruppo. I suoi occhi scuri si soffermarono su ognuno dei presenti, e salutò tutti con l’affetto riservato a un amico di lunga data. Cassie si accorse che non era solo il modo in cui Scarlett si vestiva a essere affascinante. Era la sua natura, si trovava subito a suo agio con tutti quelli che incontrava. Ed era bella. Sean aveva praticamente la lingua di fuori mentre le stringeva la mano. Scarlett si liberò della presa di Sean con una risatina e si voltò verso Diana. «Mi fa piacere rivederti», disse. «Sì», rispose Diana, in un modo che fece rabbrividire Cassie. Ma Scarlett si aprì in un sorriso splendente che dimostrava che non aveva intenzione di prendersi a cuore l’indifferenza di Diana. «Sta iniziando il lancio delle uova», disse Sean con tono emozionato, cercando di riconquistare l’attenzione di Scarlett. «Dovremmo andare a fare il tifo per Chris e Doug. Il primo premio è un buono da cinquecento dollari per il negozio di dolci di Pete, e sono determinati a vincerlo». Scarlett posò lo sguardo sugli stand e le bancarelle con il cibo. «In realtà», disse, «sto morendo di fame. E ho una voglia matta di provare quegli spiedini di chorizo». «Vengo con te», disse Cassie. Era ansiosa di sapere qualcosa di più sulla nuova arrivata e, a ben pensarci, anche lei aveva fame. Il gruppo si divise: si diressero tutti al prato del lancio delle uova tranne Adam e Diana, che sarebbero andati a trovare Melanie e Constance al loro stand dei gioielli. Cassie e Scarlett comprarono uno spiedino a testa e cercarono di non parlare con la bocca piena mentre passeggiavano. «Allora stai al bed and breakfast?», chiese Cassie, con il tono più innocente possibile. Scarlett annuì mentre masticava, poi deglutì. «Dove sono i tuoi genitori?» «Mia madre è morta», disse Scarlett all’improvviso, come se volesse rivelare quell’informazione il più in fretta possibile. «Oh, mi dispiace». «È cresciuta qui», continuò Scarlett. «Ecco perché sono voluta venire a New Salem, per ricongiungermi a lei e al mio passato». A quel punto allontanò lo sguardo, forse temendo che qualcuno stesse origliando. Cassie frugò nella mente in cerca della cosa giusta da dire. «Penso sia fantastico. Voglio dire, penso sia una cosa molto coraggiosa da fare. Anche se è doloroso». Scarlett annuì. «Forse sto solo cercando di ricominciare». «So cosa vuoi dire», disse Cassie. «Allora, dimmi qualcosa di te». I pensieri di Cassie erano frenetici. Voleva cambiare argomento, parlare di qualcosa di meno pesante, ma si accorse che tutto ciò che aveva da dire coinvolgeva anche il circolo, quindi rimase senza parole. Per la prima volta da quando si era trasferita a New Salem, capì perché essere amica di un’esterna potesse essere così difficile. «Be’», disse Cassie, «quella laggiù che vende i biglietti della lotteria è mia madre». Ma quando la indicò, scorse anche Adam e Diana in un angolo, che condividevano un cono gelato alla vaniglia. Stavano ridendo perché Adam si era sporcato di gelato sul naso e sul mento, e più cercava di ripulirsi, più gelato si spargeva. Cassie sentì lo stomaco che sprofondava. Ma perché? Era solo un cono gelato. Uno spuntino condiviso fra amici non era un valido motivo per arrabbiarsi. Avrebbe solo dovuto unirsi a loro. Condusse Scarlett in quella direzione e poi si accorse di Faye che si avvicinava dal lato opposto. Faye indossava un vestito nero che la strizzava come un corsetto. Pochi passi dietro di lei c’era Max, che nonostante la semplice polo, sembrava appena uscito da un catalogo di Abercrombie. Adam e Diana smisero di ridere e ripresero il controllo della situazione quando si accorsero di Cassie e degli altri che si dirigevano verso di loro. Faye presentò Max e poi squadrò Scarlett. «Tu chi sei?», chiese. «Lei è Scarlett», rispose Cassie. «È nuova in città, proprio come te, Max». Max rivolse un cenno a Scarlett, ma la sua attenzione era tutta concentrata su Diana. «Ti ho vista all’assemblea di venerdì», disse. «Eri l’unica davvero interessata al noioso discorso di mio padre». Diana parve agitata. «Mi hai vista?», disse, poi aggiunse: «Non era noioso». «No? Sei sicura?». Max la fissò con malizia fino a quando lei non cedette. «E va bene, forse un pochino». «Grazie per la tua sincerità». Max prese la mano di Diana e la strinse fra le sue grosse dita. «Adesso possiamo essere amici». Diana arrossì, e Cassie si accorse che Adam sembrava a disagio. «Mio padre è qui da qualche parte», disse Max, ancora rivolgendosi solo a Diana. «Se lo trovi, dovresti fargli sapere che lo ritieni un grande oratore». Faye stava serrando la mascella così forte che Cassie temeva potesse esploderle la testa. «Lo farò», disse Diana, «ma adesso, se vuoi scusarmi, stavamo per andare a tifare per i nostri amici». Indicò la gara di lancio delle uova. Max sembrò un pochino dispiaciuto. «Sì, io dovrei andare a cercare mio padre». Faye fece per seguirlo, ma lui la fermò. «Ci vediamo dopo», fece, poi scomparve nella folla. Adam, che era rimasto in silenzio fino a quel momento, aveva un’espressione disgustata. «Be’, questo sì che è stato strano». «Adam», lo sgridò Diana. «Stava solo cercando di inserirsi. È quello che fanno le persone quando sono nuove. Farebbero di tutto per farsi notare». Scarlett abbassò lo sguardo, deducendo che il commento fosse rivolto a lei. Cassie aprì la bocca per dire qualcosa, ma prima che riuscisse a formulare anche solo una parola, Faye se ne andò infuriata. «Max non si stava impegnando così tanto per farsi notare da lei», osservò Adam. «Faye non ha fatto altro che molestarlo sessualmente da quando è arrivato qui», disse Diana alzando la voce. «Non deve impegnarsi con lei». Cassie avrebbe voluto che Scarlett non assistesse a quello strano momento di tensione. Era davvero imbarazzante, i suoi amici dovevano apparirle meschini. «Andiamo», disse a Scarlett. «Ci raggiungeranno». Attraversarono insieme la piazza. «Diana e Adam non sono così di solito», disse Cassie. «Ti è solo capitato di incontrarli in un brutto momento». «Capisco». Scarlett sorride. «Le coppie diventano gelose e litigano». All’improvviso Cassie fu di nuovo in preda alla nausea. «Adam sta con me», disse piano. «Non con Diana». «Oh». Scarlett si morse il labbro. «Sono stata una stupida, non mi sono resa conto…». «No, lascia perdere. Capisco perché potresti pensarla così. È un po’ complicato». Quando trovarono il resto del gruppo radunato a una delle estremità dello spazio riservato agli spettatori, Cassie fu sollevata di avere un’occasione per cambiare argomento. Erano rimasti in gara solo Chris e Doug, e una squadra composta da fratello e sorella che non dovevano avere più di undici anni. «A loro piacciono davvero le caramelle», disse Cassie a Scarlett, come se fosse una spiegazione ragionevole. «Posso capirli», disse Scarlett. «Anche a me piacciono davvero tanto. Una volta ho mangiato così tanti M&M’s da starnutire arcobaleni per tre giorni». Era una battuta stupida, ma Cassie la riconobbe per ciò che era davvero. Scarlett stava cercando di alleggerire la situazione, di confortarla, e lei lo apprezzò. Esterna o meno, quella ragazza le piaceva. Proprio in quel momento, sentirono un grido di aiuto provenire dal lato settentrionale della piazza, e l’attenzione di tutti si spostò. Tutti gli occhi cercarono l’origine di quel suono agghiacciante, ma i ragazzi del gruppo riconobbero subito la voce di Melanie. Si precipitarono verso lo stand dei gioielli. Persino Chris e Doug lasciarono cadere le uova per correre in aiuto. Quando Cassie raggiunse lo stand, si fece strada fra la folla fino a trovare la prozia Constance accasciata a terra. Melanie stava urlando di chiamare un’ambulanza. Alcuni abitanti della città che se ne intendevano di medicina si inginocchiarono accanto a Constance, controllandole il battito e la respirazione, ordinando a tutti di stare indietro e di lasciarle spazio. Uno di loro stringeva Melanie, che si stava dimenando per liberarsi fino a quando Diana e Laurel non la presero per le braccia e la trascinarono di lato. Una donna che stava per comprare una collana da Constance disse: «Un secondo prima stava bene, poi le è comparsa sul volto un’espressione terrorizzata ed è crollata al suolo». Adam scrutò la folla in cerca di persone sospette. Cassie perlustrò la marea di volti sconosciuti in cerca della madre, ma non la trovò. Forse era andata a cercare aiuto. O forse aver visto Constance che cadeva al suolo era stato troppo per lei. Nei momenti di crisi sua madre tendeva a scoppiare a piangere invece di farsi forza. Cassie non sarebbe rimasta sorpresa se fosse corsa a casa. I paramedici arrivarono, e Cassie dovette distogliere lo sguardo mentre praticavano il massaggio cardiaco al corpo inerte di Constance. Il gruppo abbracciò Melanie, mentre Adam strinse forte Cassie. Lei seppellì il volto sulla sua spalla. Era impossibile sapere quanto tempo fosse passato mentre i paramedici si davano da fare con Constance. Cassie continuava a pensare che dovesse essere uno scherzo. “Ah ah, ci siete cascati”, avrebbe esclamato a un certo punto la prozia, mentre era ancora stesa a terra. Constance cercava sempre di ricordare loro la fragilità della vita e il delicato equilibrio di tutte le cose. Forse quella era solo un’altra lezione. Ma poi i paramedici smisero di premere sul suo petto e praticare la respirazione bocca a bocca. Non c’erano più boccate d’aria da dare o ricevere, non c’era più speranza. Il capo della squadra si alzò in piedi e mise fine ai loro sforzi in modo definitivo. Dichiarò la morte della prozia Constance. “Spirata” fu il termine che usò, una parola che colpì Cassie per la propria severità. «Forse un aneurisma cerebrale», disse al suo collega, poi espresse le sue condoglianze a Melanie. «Abbiamo fatto tutto il possibile, signorina», disse. Cassie non aveva mai visto Melanie perdere la testa come in quel momento. Si era sempre fatta forza di fronte a ogni difficoltà – soprattutto in pubblico. Ma quello era troppo. Cadde in ginocchio e iniziò a singhiozzare. “Alla faccia dei nuovi inizi”, pensò Cassie. Capitolo 7 «Tutti intorno a noi muoiono», disse Cassie. «È un dato di fatto». Continuava a rivivere la scena nella mente – l’urlo di Melanie e l’immagine di Constance a terra. Non riusciva a smettere di tremare. Anche con tutte le lanterne e le candele crepitanti che la circondavano, aveva freddo nella casa del faro. Laurel voleva eseguire una cerimonia per infondere forza a Melanie e aiutarla a superare i giorni successivi. Avevano radunato le erbe e i cristalli necessari, ma quando stavano per iniziare, il gruppo si rese conto di non essere in grado di fare niente. Erano tutti persi nei propri pensieri, traumatizzati. Adam coprì le spalle di Cassie con una coperta, ma anche quella le parve fredda e umida sul corpo. Non riusciva a smettere di tremare. «Le serve qualcosa per calmarsi», disse Adam, e Diana iniziò subito a frugare nel primo cassetto del grande mobile di peltro che avevano riempito di erbe e radici medicinali. Estrasse una minuscola bottiglia di vetro e un contagocce. «Questa è tintura di valeriana», disse, sollevando il contagocce all’altezza della bocca di Cassie. «Ti aiuterà a distendere i nervi. Dovremmo tutti prenderne un po’». Faye strattonò via Cassie prima che le gocce le raggiungessero la lingua. «Non cercare di sedare la verità, Diana». Cinse la vita di Cassie con un braccio. «Ciò che ha detto è vero. Tutti intorno a noi muoiono. E fa bene a perdere un po’ la calma al pensiero». Faye passò lo sguardo su ogni membro del gruppo fino a fermarsi su Diana. «Ma mi chiedo se debba continuare a essere così». Diana posò la bottiglietta sul tavolo. «Cosa stai dicendo?» «Penso che tu lo sappia». Faye si mosse verso il centro della stanza. «Adesso abbiamo gli Strumenti Supremi. Gli oggetti più potenti che una strega possa avere. Potremmo riuscire a portare indietro Constance». Diana rimase in silenzio, ma Laurel scattò in piedi dalla sedia. «Faye ha ragione. Constance ci stava insegnando così tanto sui nostri poteri, ed eravamo ancora solo all’inizio dell’addestramento. Abbiamo bisogno di lei». Deborah annuì. «Dovrebbe essere facile riportare indietro una strega potente come lei». Il volto pallido di Diana sembrò sbiancare ulteriormente. «Non saprei», disse. «Voglio salvare Constance, ma liberare quel tipo di magia oscura potrebbe essere pericoloso. Non sappiamo quali ripercussioni potrebbero esserci». «Siete tutti impazziti?», chiese Cassie. «Pensate davvero che possiamo resuscitare i morti?» «In realtà», disse Adam, «non è così inverosimile. So che per te è tutto nuovo, Cassie, ma la negromanzia è stata usata fin dal III secolo». «Ha un nome vero e proprio?», Cassie riusciva a malapena a crederci. «Deriva dal greco», disse Laurel. «Da nekros, che significa morto, e manteia, che significa predizione». Cassie spostò lo sguardo su Diana per avere una conferma, e lei annuì. «Ma per i greci, la negromanzia equivaleva alla discesa nell’Ade», disse Diana. «Era usato come metodo per consultare i defunti. L’intenzione non era riportarli davvero nella sfera mortale». «Ma», si intromise Adam, «sappiamo per certo che era usata in quel modo dai nostri antenati. Infatti, Diana, tu non…». Gli occhi verdi di Diana si sgranarono per zittire Adam. Ma Faye, sempre all’erta, se ne accorse. «Diana, tu non cosa?». Diana posò entrambe le esili mani sul tavolo pieghevole davanti a sé. Cassie immaginò fosse per evitare di cadere in avanti. Poi parlò con cautela. «C’è un incantesimo di resurrezione nel mio Libro delle ombre», disse. «Io e Adam lo abbiamo scoperto qualche anno fa». Faye emise un gemito di pura soddisfazione. «Lo sapevo». «Facciamolo», disse Deborah. «Abbiamo il potere e abbiamo l’incantesimo». Suzan era d’accordo. «Almeno dobbiamo provarci». Adam era silenzioso, ma Cassie percepì un’eccitazione tremante al di là di quella sua espressione indifferente. Voleva farlo… per testare i limiti del suo potere. Era un lato di Adam di cui spesso Cassie dimenticava l’esistenza. Dietro la sua facciata responsabile, in fondo al cuore, era un avventuriero. Diana, ancora con espressione cauta, disse: «Suppongo valga la pena tentare. Ma dobbiamo fare attenzione. E dovremmo anche metterlo ai voti». Laurel si unì a Faye al centro della stanza. «Farò gli onori al posto di Melanie», disse. «Tutti quelli a favore dell’incantesimo per salvare Constance alzino la mano». Tutti alzarono la mano tranne Cassie. Laurel la guardò, sorpresa che il voto non fosse unanime. «Voglio farlo», spiegò Cassie. «È ovvio che voglio. È solo che… ho paura». «Non possiamo eseguire l’incantesimo senza un circolo completo», disse Diana. «O tutti o niente». La voce di Laurel assunse un tono implorante. «È della famiglia di Melanie che stiamo parlando. È tutto ciò che ha». Ma Diana era decisa. «Non possiamo costringere Cassie a eseguire un incantesimo di questa portata contro la sua volontà». Cassie sentì l’attenzione della stanza che si concentrava su di lei. «Lo farò», disse prima che qualcun altro potesse aggiungere qualcosa. «Non mi costringe nessuno. Constance era di famiglia per tutti noi, e voglio farlo». Faye batté le mani e iniziò subito a dare ordini. «Dobbiamo agire in fretta», disse. «E ci servono gli Strumenti. Vado a prendere la giarrettiera». Indicò Cassie e Diana. «Voi due tirate fuori il braccialetto e il diadema da dove li avete nascosti. E Diana, non dimenticare il tuo Libro delle ombre. Voi altri andate a prendere Melanie». Fece una pausa. «E il corpo». «Il corpo?», chiese Sean inorridito. «Vuoi dire che dobbiamo portarlo qui?». Faye gli diede una spinta. «Dove altro pensi che potremmo resuscitarlo? Adesso andate!». Cassie raggiunse Diana che era ancora seduta al tavolo, mentre gli altri scattavano in azione. «Il diadema è nascosto nella mia stanza», disse Diana solennemente. «Ci andiamo insieme?». Cassie annuì. «Sembra che alla fine Faye sia riuscita a fare a modo suo. Voleva usare gli Strumenti, e ora lo faremo». Diana prese la borsa. «Puoi ancora tirarti indietro se non te la senti». «Tu vuoi farlo?», chiese Cassie. «Voglio che Constance torni in vita», disse Diana. «E dopo aver finito con l’incantesimo, ciascuna nasconderà di nuovo la sua reliquia». «Ma hai detto che potrebbero esserci ripercussioni». Diana rimase immobile per un momento e poi parlò con cautela. «Tutta la magia ha delle ripercussioni, Cassie. Il potere comporta sempre delle conseguenze». Poi si voltò come se fosse un’affermazione da niente e frugò nella borsa in cerca delle chiavi. «Andiamo a prendere gli Strumenti. Guido io». Capitolo 8 La cucina era buia e silenziosa quando Cassie entrò. Sua madre non era a casa, e lei ne fu felice. Non voleva doverle spiegare perché stava spostando i mattoni del camino. All’inizio della strada, Diana stava recuperando il diadema e tutti gli altri materiali di cui avevano bisogno per completare l’incantesimo di resurrezione. E circa a metà di Crowhaven Road, il resto del gruppo stava in qualche modo cercando di convincere Melanie a permettere loro di portare il corpo della sua prozia al faro. Prima di quell’anno, Cassie non aveva mai nemmeno visto un vero cadavere, e ora stava per metterci le mani sopra per cercare di riportarlo in vita. Il camino non era un nascondiglio molto originale per il braccialetto, Cassie lo sapeva, ma aveva funzionato così bene per tanti anni, perché avrebbe dovuto pensare a un posto diverso? Dentro la profonda apertura di pietra, trovò la scatola d’argento proprio dove l’aveva lasciata. E quando sollevò il coperchio antico, il braccialetto brillò al suo interno, come se stesse celebrando l’improvvisa e sorprendente luce che lo aveva illuminato. Cassie si concesse di ammirare la bellezza del braccialetto solo per un secondo. Passò le dita sull’iscrizione elaborata della superficie d’argento e lo soppesò fra le mani. Ma poi Diana la chiamò da fuori. «Arrivo subito!», urlò, e corse di sopra per cambiarsi in fretta e indossare la veste cerimoniale bianca. Una volta che fu pronta e vestita, trovò Diana che la aspettava sulla panca del porticato con una grande sacca di stoffa al suo fianco. Anche lei aveva indossato la sua veste cerimoniale, ma l’aspetto di Diana aveva un contegno a cui Cassie poteva solo aspirare. Persino in quella situazione di stress, Diana non perdeva il controllo. Cassie la prese per mano, sperando che una parte della forza di Diana si trasferisse alla sua pelle. E in qualche modo fu così. Dopo averla stretta per qualche momento si sentì più calma. «Stiamo facendo la cosa giusta», disse Diana. «Abbiamo bisogno di Constance». Cassie ricordò che Constance era stata come un rifugio per lei da quando aveva perso sua nonna. E tutti i pomeriggi trascorsi nel suo salotto a imparare nuovi incantesimi e studiare rituali antichi… Constance era l’unico legame del circolo con i metodi antichi. «Lo so», disse Cassie con il suo tono più coraggioso. «Sono pronta». «Allora, iniziamo». Diana svuotò la sacca di stoffa sul tavolo quando arrivarono al faro e iniziò subito a leggere le istruzioni sul suo Libro delle ombre. Cassie non era sorpresa del modo in cui tutti si rivolgevano automaticamente verso Diana in momenti come quello – quando la situazione era davvero importante. Sarebbe sempre stata la leader migliore fra loro, non importava cosa fosse successo. «Il corpo dovrebbe essere interamente ricoperto da due strati di tessuto bianco», Diana lesse a voce alta in direzione di Adam. «Con la testa e il volto velati di tulle». Indicò una pila di tessuto bianco sul tavolo. Adam annuì. «Me ne occupo io», disse. Nick, Chris e Doug spinsero tutti i mobili verso le pareti della stanza. Melanie si inginocchiò al centro accanto al corpo coperto. Cassie aiutò Deborah a foderare le finestre di drappi viola. Diana si avvicinò a Faye con due incensieri dorati. «Dobbiamo fumigare la stanza con salvia e franchincenso», disse. Faye si era cambiata nella sua veste cerimoniale nera, e indossava già la giarrettiera di pelle verde con le sette fibbie d’argento. Accettò gli incensieri che Diana le passò e chiamò Sean perché se ne occupasse lui. «Dov’è il diadema?», chiese. Diana fece un cenno verso Melanie, seduta solennemente con il diadema sulla testa. «Sarà lei a indossare gli Strumenti stasera», disse Diana. «Si occuperà dell’evocazione. Noi siamo solo di supporto». Persino Faye non poteva negare che dovesse essere Melanie a guidare l’incantesimo, tuttavia si strappò la giarrettiera dalla gamba con furia prima di avvicinarsi a lei. Cassie la seguì da vicino, togliendosi il braccialetto dal polso mentre camminava. In pochi minuti, la stanza era stata preparata a dovere, e Diana diede inizio al rituale. «Faye e Cassie, potreste occuparvi di tracciare il cerchio seguendo le mie istruzioni? Perdonatemi se procederò lentamente – questo testo è davvero difficile da leggere – ma farò del mio meglio. Tutti pronti?». Cassie si guardò intorno nella stanza fiocamente illuminata. Non era l’unica a sembrare nervosa, ma nessuno si sarebbe tirato indietro arrivati a quel punto. Melanie sembrava in preda allo stordimento, ma Cassie non l’aveva mai vista più bella, con indosso gli Strumenti Supremi. Diana si schiarì la gola e iniziò a leggere a voce alta. «È necessario tracciare un cerchio magico sul terreno con inchiostro di fuliggine e Porto. Un secondo cerchio deve essere tracciato quindici centimetri dentro al primo». Cassie e Faye tracciarono i cerchi intorno a Melanie e Constance, utilizzando il calice di inchiostro preparato da Diana. «Al loro interno», continuò Diana, «deve essere tracciato un triangolo, al cui centro saranno posizionati il defunto e l’evocatore primario». Cassie e Faye tracciarono il triangolo all’interno dei cerchi, circondando Melanie e Constance. «Entrate tutti dentro», disse Diana. «Poi chiuderò il cerchio esterno con i quattro strati di protezione». La congrega si sistemò in fretta, inginocchiandosi sul perimetro del cerchio esterno mentre Diana richiamava gli elementi. «Poteri dell’Aria, proteggeteci», invocò Diana. «Poteri del Fuoco, proteggeteci». Cassie chiuse gli occhi e ascoltò. «Poteri dell’Acqua, proteggeteci». Diana pronunciò ogni sillaba con precisione. «E infine», disse, «richiamo i poteri della Terra affinché ci proteggano». Poi Diana si unì al circolo accanto a Cassie e continuò a leggere dal suo Libro delle ombre. «Per iniziare, l’evocatore deve accendere una candela nera e passarla sul corpo sette volte, chiamando il nome dello spirito che intende risvegliare». Tutti gli occhi si spostarono su Melanie. Cassie si chiese se avesse la forza di farlo. Ma gli Strumenti brillarono, e la schiena di Melanie si raddrizzò mentre accendeva la candela e la passava sul lenzuolo bianco, invocando: «Prozia Constance, Constance Burke, ascoltaci». Diana continuò: «Poi è necessario cospargere il corpo e la zona circostante di fiori secchi di amaranto tratti da un calice dorato». Mentre Melanie eseguiva quanto era stato detto, Diana proseguì. «Melanie, ripeti dopo di me: Tu che sei l’oggetto del nostro lamento, osserva la natura di questo lutto». E Melanie ripeté: «Tu che sei l’oggetto del nostro lamento, osserva la natura di questo lutto». Cassie sentì gli occhi che si riempivano di lacrime mentre Diana intonava: Questo incantesimo noi intoniamo e carne e ossa risvegliamo, che tendini e vene la loro attività riprendano e gli occhi di Constance di nuovo si accendano. Si concentrarono tutti a fondo, imbrigliando i loro poteri come fossero uno. Cassie percepiva l’energia che si intensificava nel triangolo centrale, trasferendosi ai membri del gruppo e collegandoli in un labirinto di luce. Diana lesse a voce alta. «Dopo un momento di silenzio e concentrazione, si deve scoprire il volto del defunto. Poi chiamare di nuovo lo spirito, con affetto. Dicendogli: “Benvenuto”». Con mani tremanti, Melanie scoprì con cura il volto di Constance. «Prozia Constance», disse. «Benvenuta». «Il corpo si muoverà», lesse Diana. «Gli occhi si apriranno e il risveglio auspicato avrà luogo». La stanza sfrigolava di energia. Cassie la sentiva vorticare intorno a sé, ma non era più spaventata. L’aria intorno a loro si riscaldò, e Cassie scorse la vita che si riaccendeva lentamente sul volto di Constance, come il sole che sorge. Poi qualcosa iniziò a prendere forma. Cassie si accorse all’inizio di un bagliore sulla fronte di Constance, che poi divenne più grande e luminoso fino a sembrare un livido iridescente. Senza dubbio era un simbolo, un marchio primordiale che assomigliava a due semicerchi storti iscritti in un esagono. Tutt’a un tratto piombò il buio. La luce che aveva illuminato il volto di Constance, il simbolo, le candele che rischiaravano l’ambiente – scomparve tutto, come se fosse stata calata una pesante coperta dal soffitto, soffocando la stanza fino alla morte. Diana accese la sua lanterna e la sollevò per illuminare il volto afflitto di Melanie. La prozia Constance era ancora morta. E adesso Melanie doveva provare di nuovo il dolore di averla persa. «L’incantesimo non ha funzionato», disse Laurel. «Ma stava funzionando». Gli occhi di Diana scrutarono frenetici la congrega. «Non lo avete sentito tutti?» «Sì, certo», rispose Adam. «Non capisco cosa sia andato storto». Faye era in silenzio ma sembrava confusa quanto gli altri. Adam parlò di nuovo. «C’è qualcos’altro a proposito dell’incantesimo, Diana? Il tuo libro dice qualcosa?». Diana strinse gli occhi per concentrarsi sul fondo della pagina che stava leggendo, poi voltò la successiva e tornò di nuovo alla precedente. «È quasi illeggibile», disse. «Ma c’è uno scarabocchio qui in fondo». Avvicinò la lanterna alla riga scritta in caratteri minuscoli. «Dice: “Se non dovesse funzionare, e la strega fosse stata…” e poi si interrompe. Qualunque cosa c’era scritta ormai è andata persa». «Persa?». Faye strappò il libro dalle mani di Diana per dare un’occhiata. «Come è possibile che una cosa così importante sia andata persa?» «È un libro vecchio di trecento anni», disse Adam in difesa di Diana. «Non è poi così difficile da credere». Cassie si chiese se fosse stata l’unica a vedere il simbolo apparire sulla fronte di Constance. O se lo era immaginato? Con l’eco dei singhiozzi di Melanie nelle orecchie, sapeva che non era il momento giusto per chiederlo. Avevano perso Constance per sempre. Era tardi quando Cassie tornò a casa, ma sua madre era sveglia, stesa sul divano in camicia da notte. Si tirò a sedere non appena Cassie mise piede in casa. «Stai bene?», chiese. «Sì», la rassicurò Cassie, chiudendo a chiave la porta dietro di sé. «Come sta Melanie?» «È stata meglio». Cassie si strinse la giacca addosso per non far vedere a sua madre che indossava la veste bianca. «E Constance?». Cassie esitò. Si rese conto che sua madre stava adocchiando il braccialetto al polso sinistro di Cassie. «Allora lo sai», disse Cassie. «Dell’incantesimo di resurrezione». Sua madre annuì e le fece segno di unirsi a lei sul divano. «L’ho immaginato», disse. «Ha funzionato?». All’inizio Cassie scosse solo la testa e si tolse la giacca. Ma voleva poter raccontare tutto a sua madre, persino del simbolo che aveva illuminato la fronte di Constance. E per una volta lo fece, senza tralasciare niente e senza preoccuparsi del benessere di sua madre. Lei la sorprese ascoltandola, quella volta per davvero. Non cambiò argomento né si lasciò sopraffare dalla paura, costringendo Cassie a preoccuparsi più per lei che per se stessa. Fino a quando non menzionò il simbolo che aveva visto apparire sulla fronte di Constance. «Il simbolo», disse Cassie, «sembrava primitivo. Come due semicerchi ricurvi dentro a un esagono». Cassie si accorse dell’espressione allarmata che aveva attraversato il volto di sua madre. «Cosa c’è?». Sua madre scosse la testa. «Non due semicerchi», disse. «Una S». Cassie non capiva cosa stesse dicendo. «S, come la S di Strega», disse sua madre. Cassie era senza fiato. Sua madre chiuse gli occhi per un attimo e quando li riaprì erano più tetri di due tizzoni scuri. «So cosa è andato storto con l’incantesimo», disse. «Esiste un modo per uccidere una strega ed evitare che venga resuscitata. Ma solo alcune persone possono metterlo in pratica». «Chi?», chiese Cassie. «Quali persone?» «I cacciatori di streghe», rispose sua madre. Capitolo 9 I cacciatori di streghe sono antichi quanto le streghe stesse. Proprio come Cassie discendeva da una lunga dinastia di potenti antenati, anche i cacciatori di streghe avevano la propria stirpe. Ecco cosa le raccontò sua madre mentre camminavano insieme lungo Crowhaven Road verso casa di Melanie. Camminavano fianco a fianco, sua madre portava una casseruola e Cassie reggeva delle erbe calmanti raccolte in giardino. Cassie sentì i capelli svolazzare a causa del vento salmastro proveniente dall’oceano, e guardò gli alberi gonfiarsi della stessa brezza. Gli uccellini che avevano fatto il nido fra i rami iniziarono a cantare e una strana calma la invase. «Il simbolo che hai visto sulla fronte di Constance era un simbolo antico che solo un vero cacciatore è in grado di tracciare», disse sua madre. «Qualcosa deve averli portati a New Salem». Cassie vide i piccoli germogli di croco che iniziavano a spuntare dal terreno accanto al marciapiede. “La primavera è ancora alle porte”, pensò, “anche se c’è qualcuno che ci sta dando la caccia e che vuole ucciderci”. «Spero che, qualunque cosa sia, adesso li spinga ad andarsene», disse. La casa di Melanie era così affollata quando arrivarono che riuscirono a malapena a superare la porta. Sembrava che tutte le persone presenti alla festa di primavera che avevano visto morire Constance fossero venute a presentare i propri rispetti all’anziana. Il primo volto familiare che Cassie individuò apparteneva a Sally Waltman. Cosa ci faceva lì? Era venuta con Portia? C’erano anche i fratelli di Portia, Jordan e Logan? La mente di Cassie fu attraversata da un milione di scenari catastrofici. Speravano di trasformare la veglia funebre di Constance in un’occasione per festeggiare? Jordan e Logan erano nemici di lunga data del circolo, e Cassie non sarebbe rimasta sorpresa di vederli gongolare in pubblico per la morte di una strega. Ma quando Sally incrociò il suo sguardo e si avvicinò con la mano tesa, lei si rese conto che era venuta da sola e animata da buone intenzioni. «Mi dispiace così tanto per la tua perdita e per Melanie», disse. Sembrava quasi nervosa di essere lì. Armeggiava con il vestito e giocherellava con i capelli color ruggine. «Grazie», disse Cassie, esitante. Sally continuò. «So che questo non è il mio posto», disse, «e che ai tuoi amici non piaccio nemmeno, ma Constance mi salutava sempre con affetto quando mi vedeva in città, era una signora gentile, e volevo passare a porgerle i miei rispetti». Sally trasse un respiro e Cassie le diede una pacca gentile sulla schiena. Era vero, ai membri del circolo Sally non piaceva molto, e forse lei e Cassie non avrebbero mai potuto essere davvero amiche, ma dallo scorso autunno, quando avevano messo da parte le loro differenze e avevano lavorato insieme per superare l’uragano Black John, avevano come un accordo. Sally era la cosa più vicina a un alleato esterno che avesse la congrega, e non era un fatto da prendere alla leggera. «Sei stata carina a venire», disse Cassie. «Davvero. È stato un bel gesto, e sono sicura che Melanie lo apprezzi». La frase sembrò calmare Sally. Il suo corpo esile e atletico si rilassò. «A proposito di Melanie», disse la madre di Cassie. «Faremmo meglio a cercarla». «Certo», disse Sally, e Cassie e sua madre si fecero strada fra la folla il più gentilmente possibile fino a quando non riuscirono a localizzare Melanie. La congrega l’aveva circondata come un esercito di agenti dei servizi segreti vestito di nero. Il più delle volte Cassie dimenticava quanto potesse apparire intimidatorio il circolo agli altri, e quanto apparissero superiori rispetto ai ragazzi normali della loro età. Non era solo l’aspetto fisico a renderli diversi, ma anche l’atteggiamento. “Insomma”, si chiese Cassie, “non si stancano mai di sforzarsi di apparire così esageratamente forti al mondo che li circonda?”. A volte sarebbe stato più appropriato mostrarsi vulnerabili, come in quel momento. Cassie fissò Adam negli occhi e sognò per un istante di scappare via con lui, lontano da tutto quello che stava succedendo. Lui ancora non sapeva nemmeno quanto fosse critica la situazione. Nessuno del circolo lo sapeva. Come avrebbero reagito quando lei avesse raccontato loro tutto ciò che aveva scoperto da sua madre a proposito dei cacciatori di streghe? Cassie si avvicinò a Adam per primo, solo per inspirare il suo odore e sentire le sue braccia forti intorno al corpo. Poi porse le proprie condoglianze e le erbe calmanti a Melanie. Diana le diede un colpetto sulla spalla e la strinse in un abbraccio. Abbracciare Diana era come abbracciare la luce del sole, e lei era quasi altrettanto onnipresente. Alta e solenne, si poteva sempre fare affidamento su di lei. «Come stai?», sussurrò all’orecchio di Cassie. Ma prima che lei potesse risponderle, Diana si distrasse. La sua attenzione fu catturata da qualcun altro che era appena entrato. «C’è Scarlett», disse. Fu una sorpresa vedere Scarlett che si faceva strada tra la folla, vestita con un sobrio abito nero e con i capelli selvaggi addomesticati in una coda ordinata. Mentre vagava attraverso la folla, Cassie si accorse che le persone si scansavano per lasciarla passare. “Che strano”, pensò Cassie, ma poi si accorse di quale dovesse essere il motivo: tutti quegli sconosciuti dovevano aver pensato che Scarlett facesse parte del gruppo. Aveva assunto un atteggiamento di appartenenza al luogo in cui si trovavano Melanie e il resto del circolo, quindi le persone erano convinte che fosse proprio così. Ma quando infine raggiunse Cassie e gli altri, parte della sua sicurezza scivolò via. «So di non conoscere davvero nessuno di voi», disse con lo sguardo basso, «ma volevo dire che mi dispiace». Diana squadrò Scarlett dall’alto in basso con i suoi taglienti occhi verdi e poi disse, con un tono di voce sgarbatamente artificiale: «Sei stata carina a venire». «Sì, grazie», aggiunse Melanie. Come Sally, Scarlett non doveva essere lì, ma si era presa il disturbo di dimostrare il suo supporto a Melanie e al gruppo. “Forse”, pensò Cassie, “se c’è qualcosa di buono che può nascere da questa crisi, è l’inizio di una relazione migliore con gli esterni”. Adam si fece avanti per intrattenere Scarlett, dando a Cassie l’opportunità di afferrare Diana e trascinarla in un angolo tranquillo. «Raduna gli altri», le disse a bassa voce. «Anche Melanie. So perché l’incantesimo di resurrezione non ha funzionato». Diana spalancò gli occhi. Fece un passo indietro per valutare l’espressione di Cassie e poi iniziò immediatamente a radunare il gruppo. Il garage di Constance era ricolmo di cianfrusaglie antiche e gingilli che potevano essere o meno autentiche reliquie magiche. Due spade di pietra erano appese a dei ganci alla parete, portagioie di bronzo e polverosi libri di famiglia erano impilati su scaffali storti, e uccelli impagliati di ogni colore erano attaccati in modo precario a fili che pendevano dal soffitto. Al centro della stanza c’era un tavolino con le gambe artigliate di fronte a un divano verde scolorito. Melanie sedette sul divano, ma tutti gli altri rimasero in piedi, sparsi fra le pile di scatole di cartone. Aspettarono in silenzio che Cassie iniziasse. Melanie la stava esaminando, chinata in avanti, impaziente di ascoltare ciò che sapeva. C’erano ombre scure sotto i suoi occhi di solito attenti, e tutta la vitalità era scivolata via dai suoi tratti. All’improvviso Cassie si preoccupò che la notizia potesse essere più di quanto fosse in grado di sopportare al momento. Guadagnò tempo e cercò di attutire il colpo spiegando, passo dopo passo, la conversazione avuta con sua madre la notte precedente. Proseguì con cautela, arrivando lentamente alla descrizione del simbolo che aveva visto sulla fronte di Constance prima che diventasse tutto buio durante l’incantesimo di resurrezione. «Nessuno di voi lo ha visto?», chiese. Scossero tutti la testa. «Come fai a sapere che non è stata solo un’allucinazione?», chiese Faye con un accenno di malizia. «O un frutto della tua fervida immaginazione?» «Perché Cassie ha la vista», disse Diana. «Dicci, Cassie, com’era esattamente il simbolo?» «Be’», Cassie rivolse un’occhiata veloce a Melanie prima di cominciare a parlare, «credevo che assomigliasse a un esagono con due semicerchi ricurvi all’interno. Ma mia madre mi ha corretta». «Era una S», disse Melanie, quasi a se stessa. «La prozia Constance è stata uccisa da un cacciatore di streghe». La stanza rabbrividì. «La faccenda è seria», disse Melanie scuotendo la testa. «Ho letto di quel simbolo». Adam si sedette accanto a Melanie sul divano. «Pensi significhi che qualcuno in città è sulle nostre tracce?». Melanie annuì, troppo intorpidita per piangere. «E non si tratta nemmeno di dilettanti come i membri della famiglia Bainbridge. Sono gli autentici discendenti di un antico clan di cacciatori». Adam serrò la mascella, affilando gli occhi a un blu intenso. «Il cacciatore potrebbe essere chiunque». «O i cacciatori», disse Diana. «Potrebbero essere più di uno». Laurel si sedette sul divano dall’altro lato di Melanie e la prese per mano. «Dobbiamo stare attenti». «Giusto», disse Adam, balzando in piedi per misurare la stanza, quasi sbattendo la testa sui vari uccelli penzolanti mentre marciava avanti e indietro. «E dobbiamo restare uniti. Ora più che mai. Capito?». Rimase immobile e osservò i membri del gruppo uno a uno. Poi il suo sguardo si fermò su Faye. Con grande sorpresa di Cassie, questa volta Faye non aveva nessun commento malizioso da fare. Annuì e basta. Ma quella risposta che non corrispondeva al suo carattere preoccupò Cassie ancor di più. Se Faye, di solito così inappropriata e detestabile, era spaventata, significava che erano in guai seri. Diana lanciò un’occhiata alla porta. Le persone all’interno della casa stavano diventando più rumorose, e una voce attutita chiedeva dove fosse Melanie. «Devo tornare dentro», disse Melanie. Diana annuì. «Dovresti. Melanie, mi dispiace andarmene, ma devo correre a casa. So di aver visto un incantesimo di protezione da qualche parte nel mio Libro delle ombre. Lo cercherò e vedrò cosa posso fare». «Buona idea», disse Melanie, alzandosi in piedi e tenendo ancora Laurel per mano. Con esitazione, iniziarono tutti a uscire in fila dal garage, ma Nick si attardò, e Cassie sfruttò l’occasione per restare a quattr’occhi con lui. Lo afferrò per il braccio e iniziò a parlare prima che lui potesse dire qualcosa. «So che stai evitando il gruppo a causa mia», disse. «E voglio che tu smetta di farlo». Nick si voltò, ma lei lo costrinse a guardarla. «Ascoltami. Dobbiamo restare uniti adesso. Siamo in serio pericolo». Lui strinse gli occhi color mogano verso di lei, come se fosse un oggetto sconosciuto. «Non voglio che tu stia male», disse Cassie con disperazione. «Per favore». «Be’, grazie per la tua preoccupazione». Lo disse in tono tagliente, come se volesse ferirla, ma Nick ricorreva sempre al sarcasmo quando iniziava a sentire qualcosa. Significava che era riuscita a farsi capire, almeno un po’. Per il momento si sarebbe accontentata. Capitolo 10 Quando Cassie si alzò, la luce del sole filtrava dalle finestre. La sua stanza era luminosa ma fredda, e l’aria mattutina di marzo era trasportata da una brezza gelata che scuoteva le finestre. Avrebbe fatto di tutto per poter restare sotto le coperte e nascondersi dal giorno, ma sapeva che non era possibile. Quindi si alzò, si avvolse nel suo accappatoio di spugna blu e si diresse verso la porta per prendere il giornale. Presumeva ci sarebbe stato un articolo di commento a proposito di Constance nella sezione dei necrologi. Non c’era nessun giornale sul porticato, ma Cassie trovò Adam, raggomitolato nella sua giacca e addormentato sul dondolo. Lo guardò per un attimo. Sembrava così tranquillo, ma non doveva stare comodo. Le braccia e le gambe erano ripiegate sulla panca del dondolo, ma in parte penzolavano fuori. Forse era rimasto lì tutta la notte. “Mi ama davvero”, pensò Cassie tra sé e sé, guardando dall’alto il suo bellissimo corpo scolpito, raggomitolato com’era nei confini della panca. “Forse mi ama persino troppo”. Tese la mano e gli carezzò la guancia con la punta delle dita. Lui le rivolse un sorriso sonnacchioso mentre si stiracchiava. «Cosa diavolo ci fai qui fuori?», chiese. Adam si guardò intorno velocemente e si massaggiò il collo intorpidito. «Ti proteggo». «Dai cacciatori di streghe?», sbottò Cassie. «E chi proteggeva te mentre sei rimasto qui fuori tutta la notte a proteggere me?» «Io», disse Adam, poi scoppiò a ridere. «Ma devo essermi appisolato». Cassie gli prese il volto fra le mani. «Cosa devo fare con te?». Lo baciò sulle labbra screpolate, un bacio lento e dolce. «Promettimi almeno che la prossima volta verrai dentro a dormire sul divano». Adam rispose con passione. La cinse con le braccia forti e la attirò a sé. Poteva sentire l’odore dell’oceano sui suoi vestiti e nella piega del suo collo. Lo baciò in quel punto aspettandosi di sentire il sapore del sale, ma invece era fresco e gelido come il ghiaccio. «Lo prometto», disse con un brivido. «Adesso ti va di entrare così posso riscaldarti?», suggerì con fare civettuolo. Lui batté le lunghe ciglia scure e la seguì con impazienza oltre la porta. «Dov’è Faye?», chiese Diana, ma sembrava che non lo sapesse nessuno. Diana aveva trovato un incantesimo di protezione nel suo Libro delle ombre, e voleva lanciarlo sul gruppo il prima possibile. Ma stavano aspettando in spiaggia da più di un’ora. «Faye è arrivata in ritardo a ogni incontro questa settimana», disse Diana. «È inaccettabile. Suzan, puoi chiamarla di nuovo?» «Non risponde», disse Suzan. «È proprio schizzata nell’ultimo periodo». Sean annuì. «Dovevamo uscire con lei ieri notte, ma ci ha dato buca». Se si fosse trattato di chiunque altro Cassie sarebbe stata preoccupata, ma sapeva che Faye si sarebbe fatta viva alla fine. Nel frattempo, si rallegrava di essere in spiaggia invece che al faro. Si sentiva al sicuro tra le lunghe strisce di sabbia, la ripetizione costante delle onde che si infrangevano e il vasto cielo infinito. Voleva godersi ogni secondo che avevano prima che con la stagione turistica la costa si riempisse di forestieri. Lo immaginava come un incubo: sdraio pieghevoli a perdita d’occhio, bagnanti dispettosi e surfisti spavaldi; il tutto condito da lattine di bibite gassate e bambini urlanti con le mani sporche di patatine. Preferiva di gran lunga una spiaggia fredda e abbandonata a una torrida e affollata. Pensò a Scarlett, a quanto le sarebbe piaciuto invitarla sulla spiaggia una sera di quella settimana. Forse potevano accendere un falò e mangiare marshmallow. Sarebbe stato un modo divertente per dimenticarsi delle questioni stressanti del circolo. Poi Faye apparve, risvegliando Cassie dal suo sogno a occhi aperti. «Sono in ritardo?», disse. «Mi dispiace». «Dove sei stata?», chiese Diana. «Fidati di me, non vuoi saperlo». Diana ignorò il suo commento. «Dobbiamo iniziare l’incantesimo di protezione prima che il sole tramonti». Cassie cercò di assumere il ruolo di leader mentre il gruppo si sistemava in un’ampia formazione circolare. Diana si inginocchiò davanti a un recipiente di pietra, mischiando uno scuro intruglio oleoso. «Il calderone contiene acqua salata dell’oceano mischiata a olio di mirtillo ed eucalipto», disse. Poi alzò lo sguardo su Faye e Cassie. «Voi due potreste usare il pugnale insieme e tracciare il cerchio intorno a me?». Faye sguainò il pugnale argentato nascosto sotto la sua gonna nera svolazzante e legato all’interno della sua coscia. Gli occhi le si affilarono, come succedeva ogni qualvolta lei tenesse in mano un oggetto tagliente. «Dammi la mano», disse a Cassie. Guidò le dita sottili di Cassie intorno al manico perlato del pugnale e le coprì con le proprie. Insieme, come fossero una persona sola, tracciarono il cerchio nella sabbia. Ogni membro del gruppo fece un passo all’interno mentre Melanie posizionava due candele a ogni lato del calderone che Diana stava mescolando. «Ecco due candele», annunciò Melanie secondo la cerimonia. «Una blu, per la protezione fisica, e l’altra viola, per il potere e la saggezza». Mentre si piegava per accendere le candele, recitò i versi tratti dal Libro delle ombre di Diana: «Sacre divinità, se il male dimora in questo luogo, costringetelo ad abbandonare il nostro spazio». Poi posizionò il libro a terra accanto a Diana e prese posto nel cerchio vicino a Laurel. Diana si mise in piedi al centro e sollevò il calderone. «Affinché funzioni», disse, «dovete tutti immaginare una luce bianca intorno a voi. Lasciate che circondi il vostro corpo mentre recito i versi». Tutti annuirono e chiusero gli occhi. Diana alzò il calderone e disse: «Per il potere della Fonte, che il male non ci tocchi». A quel punto anche Cassie chiuse gli occhi, e immaginò una luce bianca che la avvolgeva come un caldo cappotto invernale. La voce di Diana scese di un’ottava, e i versi le lasciarono la gola come un fulmine. Cacciatori psichici di notte, cacciatori psichici di giorno, non distruggete ciò che allevo, non distruggete ciò che ricevo. Ci fu qualche secondo di silenzio, inframmezzato solo dalle folate di vento e dalle onde che si infrangevano. Poi, Cassie sentì l’eco simile a una campana di Diana che mescolava la pozione nel calderone di pietra. Diana proseguì. Con questa pozione voglio il Circolo consacrare, affinché da voi sia protetto e non lo possiate toccare. Cassie aprì gli occhi e vide Diana che si spalmava la poltiglia bluastra sulla fronte con il pollice. Poi fece lo stesso con Faye, Cassie e tutti gli altri. Quando finì di consacrare il gruppo, Diana chiese a Cassie e a Faye di unirsi a lei al centro. Loro tre si presero per mano intorno al calderone e alle candele a occhi chiusi. Cassie iniziò a immaginare la luce bianca che circondava non solo il suo corpo, ma l’intero gruppo. Immaginò che li inglobasse in un enorme palloncino d’elio facendoli galleggiare nella sicurezza del cielo senza nubi. Diana finì l’incantesimo. Per il potere dell’oceano, vasto e profondo, per il potere del giorno, della notte e del numero tre, questo noi vogliamo e vi stiamo convocando! A poco a poco aprirono tutti gli occhi. «Ha funzionato?», chiese Sean, sollevando il dito alla macchia blu sulla fronte. «Per quanto dobbiamo andare in giro con questo intruglio addosso?», chiese Suzan. «Probabilmente causa delle eruzioni cutanee». «Possiamo andare a lavarci nell’oceano fra un minuto», disse Diana. «Quindi tutto qui?», chiese Faye, sollevando il pugnale dalla sabbia e rinfoderandolo sotto la sua gonna. «Adesso siamo invincibili? Perché non lo abbiamo fatto tempo fa?» «Ci sono delle condizioni», disse Diana. «Quali condizioni?», chiese Faye, scimmiottando il tono di voce misurato e compito di Diana. Diana non si arrabbiò per la presa in giro di Faye, forse perché ci era abituata. «Saremo al sicuro dalle ferite fisiche inferte dai cacciatori», disse, «ma l’incantesimo ci protegge solo sull’isola di New Salem. Se facciamo un passo al di fuori, siamo vulnerabili». «Quindi che nessuno lasci l’isola», disse Adam. «In nessun caso». Rivolse un’occhiata a Nick, che aveva preso l’abitudine di sparire per giorni interi, ma Nick lo ignorò. Diana scavò una buca profonda nella sabbia per rovesciare ciò che restava della pozione. «Non significa nemmeno che i cacciatori non ci troveranno. Quindi dovremo stare molto attenti. Dobbiamo fare tutto il possibile per non farci notare». Si alzò in piedi, si ripulì le mani dalla sabbia e guardò dritta verso Faye. «Non possiamo usare la magia. I cacciatori cercheranno indizi di attività fuori dalla norma per scoprire chi siamo». «Cosa?», Faye si scagliò contro Diana come se volesse scaraventarla al suolo. «La nostra magia è l’unico potere che abbiamo. In quale altro modo dovremmo difenderci da questi tizi se non possiamo usarla?». Diana raddrizzò le esili spalle in un’imitazione della postura di Faye e rispose al suo sguardo con uguale ferocia. «Li troviamo prima che trovino noi», disse. «Ecco come li sconfiggeremo». «Faye», disse Melanie, facendo un passo tra lei e Diana. «È degli assassini di mia zia che stiamo parlando. Terrai a freno la tua magia, perché se non lo fai metterai in pericolo l’intero gruppo. E non possiamo permettercelo». La razionale Melanie non aveva mai minacciato nessuno in tutta la sua vita, ma ora eccola lì, di pochi centimetri più alta di Faye e pronta a una lite. Adam si frappose fra loro prima che la situazione degenerasse. «Dobbiamo fare tutti un respiro profondo e calmarci», disse. «Non possiamo permetterci di litigare fra noi proprio adesso». «No», ribatté Melanie, spostando di lato la mano di Adam che voleva dividerle. «Quello che non ci possiamo permettere è che Faye non segua le regole del circolo quando è in gioco la nostra vita». «Per favore, Faye», Adam la stava praticamente implorando di cooperare. «Niente magia. Solo fino a quando non scopriamo chi sono i cacciatori. D’accordo?» «Va bene. Mio Dio, siete così noiosi». Faye iniziò ad allontanarsi verso l’oceano. «Non ho ancora finito», gridò Diana. «Dobbiamo anche stare attenti agli esterni che si avvicinano troppo. E a chiunque sia nuovo in città». Diana rivolse un’occhiata tagliente a Cassie. Non menzionò Scarlett in modo specifico, ma non ce n’era bisogno. Poi si voltò verso Faye. «Quindi devi togliere le mani di dosso a Max». Suzan ridacchiò. «Come fa a toglierle se lui non le ha nemmeno mai permesso di toccarlo?». Lo spirito battagliero di Faye evaporò in un istante. Era ovvio che fosse infastidita dal fatto che Max non fosse succube del suo fascino come ogni altro ragazzo a scuola. «Adesso hai finito?», chiese a Diana. Diana annuì. «Per il momento». Faye si voltò e marciò verso l’oceano per ripulirsi la fronte. La sua gonna e i capelli neri le svolazzavano dietro come un’ombra scura. La mattina seguente a scuola, Faye parcheggiò nel posto libero accanto a Cassie e Adam. «Diana è già arrivata?», chiese prima ancora di uscire dalla macchina. «Non ancora», disse Adam. «Cosa c’è?». Faye rivolse un’occhiata ansiosa al parcheggio della scuola, a Sally e Portia che radunavano i loro pon-pon e i libri, ad alcuni giocatori di lacrosse che si lanciavano la palla, e infine a Suzan che era seduta sul cofano della sua Corolla a mettersi il mascara. «Non posso sopportare questa faccenda del non usare la magia», disse Faye. «Ho dovuto aspettare che l’acqua bollisse stamattina. Riuscite a crederci? Otto minuti. Come se non avessi niente di meglio da fare con il mio tempo». «Sono d’accordo con Faye», disse Suzan da dietro lo specchietto. «Mi sento così ordinaria, così mediocre. È alienante». «E come se non fosse abbastanza, hai una macchia sulla camicia», disse Faye. «Lo so». Suzan grattò la macchiolina sul colletto. «Come fanno le persone normali a togliere il ketchup dagli abiti?». Diana infilò la sua Volvo nello spazio accanto a Faye e aprì lo sportello in fretta. Era meno in ordine del solito. Aveva i capelli scompigliati e selvaggi, e la giacca infilata a metà. Teneva una tazza di caffè in una mano e nell’altra una ciambella, che si cacciò in bocca per pescare i libri dal sedile posteriore. «Visto», disse Faye. «Persino Diana è un disastro. Non possiamo vivere così». Fino a quel momento Cassie non si era resa conto di quanto i suoi amici usassero la magia nella vita quotidiana. Adam aiutò Diana con i libri. «Non è facile per nessuno di noi», disse. «Ma dobbiamo resistere. È una cosa temporanea». Il resto del gruppo arrivò a poco a poco. Cassie non sapeva se fosse una cosa puramente psicologica o meno, ma si accorse che sembravano tutti più stressati senza magia – tranne Deborah, che fece il suo ingresso nel parcheggio su una ruota sola della sua motocicletta. Le macchine e le persone si scansarono dal suo percorso fino a quando non si abbassò sulla ruota anteriore, frenò stridendo e spense il motore. «Dov’è il casco?», chiese Diana quando Deborah si unì al resto del gruppo. Deborah alzò gli occhi al cielo. «Non ho intenzione di rovinarmi i capelli con un casco quando sono invincibile». «Sarai anche invincibile», disse Diana, «ma puoi ancora investire qualcuno per caso». «Allora forse dovrebbero essere gli altri a indossare il casco», disse Faye, guadagnandosi un’occhiata tagliente di Diana. «Per favore, non abusate dell’incantesimo di protezione», disse Diana. «Non è una scusa per diventare irresponsabili». «Lo dici a me?». Deborah si tolse uno dei guanti di pelle, poi l’altro, e infine indicò il cielo. «E loro invece?». Cassie si accorse che tutti i presenti nel parcheggio avevano smesso di fare quello che stavano facendo per concentrarsi su qualcosa sopra di loro. Seguì gli sguardi, proprio come fece Diana, fino a individuare Chris e Doug sul tetto dell’edificio scolastico. «Cosa fanno quei pazzi lassù?», urlò qualcuno. «Penso che stiano tirando di scherma», rispose un’altra voce. Diana dovette distogliere lo sguardo. «Per favore, ditemi che non hanno portato delle vere spade a scuola». «Tecnicamente non sono a scuola», disse Sean. «Ci sono sopra». Chris e Doug si sfidavano balzando avanti e indietro, rivolgendosi attacchi selvaggi, schivando e chinandosi. La folla emise un sospiro strozzato quando Doug ricevette un colpo alla spalla. Lanciò un grido, cadde al suolo, e del sangue finto iniziò a zampillare dal tetto come un irrigatore. I loro compagni di scuola iniziarono a urlare, ma poi Doug balzò di nuovo in piedi con un braccio nascosto sotto la manica e riprese la lotta. «Si stanno divertendo fin troppo con questa storia», disse Adam. Cassie osservò la folla di spettatori, chiedendosi se qualcuno di loro si fosse accorto del fatto che Chris e Doug erano impenetrabili alle lame affilate delle spade. Ma erano tutti così abituati alle stranezze dei gemelli che nessuno di loro sembrava farci caso. Persino Max, che era ancora al centro dei pettegolezzi della scuola, sembrava divertito dalla loro esibizione. Era in piedi con i suoi amici di lacrosse e la marea di belle ragazze che gli veleggiava intorno di continuo. Per una volta, anche loro avevano distolto l’attenzione da lui per osservare il tetto. Doug squarciò il petto di Chris, tagliando la sua maglia in diagonale. Svolazzò come una bandiera al vento. «Ti sta bene, fratello», urlò Chris. «Questa maglietta era una delle tue». La folla fu attraversata da un’ondata di risate. Max scosse la testa, si allontanò dal suo gruppo e si fece strada verso Diana. «Qualcuno dovrebbe fermare quei due», disse. «Prima che si ritrovino entrambi nudi». Cassie si accorse che le ammiratrici di Max emisero un sospiro visibile mentre lo guardavano parlare con Diana. Era ovvio che la considerassero una rivale. «Ma non posso essere io a fermarli», continuò Max chinandosi verso di lei. «Non puoi sfruttare una delle tue magie?». Diana si irrigidì per un secondo, ma a Cassie era chiaro che Max non aveva nessun secondo fine. Era concentrato sugli occhi di Diana. «Tutti i ragazzi della scuola sono a tua completa disposizione», le disse. «Presumo che se qualcuno riuscirà a farli scendere quella sarai tu». Diana emise un sospiro profondo e rise. Cercò di lisciarsi i capelli con imbarazzo, ma rimasero adorabilmente scompigliati. «Se solo fosse vero», disse. «Posso farli scendere io dal tetto», si offrì Faye, ma Max la ignorò. «È solo che se mio padre li trova lassù, non so cosa potrebbe fare», disse Max. «Non credo approverebbe che degli studenti portino delle armi a scuola». «Mi sembra comprensibile», rispose Diana annuendo. Ma prima che potesse riportare l’attenzione a Chris e Doug, Nick apparve sul tetto dietro di loro. «Lo spettacolo è finito», gridò, avvicinandosi ai due come se volesse torcergli il collo. Chris e Doug si guardarono e fecero cadere le spade. Sollevarono le mani in segno di resa e indietreggiarono da Nick, avvicinandosi sempre di più al bordo del tetto. La folla rimase in silenzio. Doveva essere una caduta di sei metri. Nick capì il loro gioco e rimase immobile. «Ora basta», disse. «Vi siete divertiti. Adesso venite giù senza fare storie». Chris e Doug diedero un’occhiata alla folla e poi si presero per mano. «Mai!», urlarono, e saltarono dal tetto, atterrando su un grande cassone per l’immondizia al di sotto. Le persone si coprirono la bocca e distolsero lo sguardo. Persino Max sussultò, voltandosi lievemente verso Diana. Ma i gemelli atterrarono con un salto sincronizzato. Senza un graffio, scesero e fecero un inchino. Capitolo 11 Cassie era in città a svolgere commissioni quando il denso aroma della caffetteria Witch’s Brew le invase i polmoni. “Caffè”, pensò. Che buona idea. Il Witch’s Brew era una trappola per turisti, pura e semplice, che sfruttava le storie sui processi delle streghe della città di Salem. Di notte accendeva luci stroboscopiche e appendeva ragnatele di cotone, ed era il posto preferito di chi veniva da fuori città in cerca di una bevanda sovrapprezzo dal nome gotico. Gli abitanti del luogo, e soprattutto gli amici di Cassie, lo evitavano per ovvi motivi. Ma alla luce del giorno, il Brew poteva quasi passare per una caffetteria normale, con i suoi tavolini all’esterno appena sistemati. Cassie immaginò che non sarebbe stato così male se avesse potuto sedersi all’aperto per sorseggiare un caffè alla luce del sole, quindi cercò una sedia libera. Fu a quel punto che scorse i familiari capelli rosso tinto di Scarlett. Era china su un libro, leggeva e mordicchiava sovrappensiero una matita. Il primo istinto di Cassie fu di andarsi a sedere con lei, ma poi ricordò la nuova regola. Per il momento ogni contatto con gli esterni era proibito. Non era giusto. Il circolo non avrebbe dovuto decidere con chi Cassie beveva il caffè. Ma persino Faye era disposta a rinunciare a parte della sua libertà personale per il bene del gruppo. E in ogni caso Cassie doveva andare al faro. Invece di praticare la magia, Melanie e Laurel erano ricorse all’erbologia per passare il tempo. Avevano chiesto a Cassie di portare i fiori di una pianta rara del suo giardino – la genziana di Plymouth. Cassie tastò il sacchetto di carta che conteneva i fiori, come per ricordarsi dell’importanza della sua commissione. Si voltò per andarsene proprio quando Scarlett si accorse di lei. «Cassie?», il volto di Scarlett si accese all’istante. «È così bello vederti», disse. «Vieni a sederti con me». «Non posso», rispose Cassie dando un’occhiata alla zona circostante. «Ho solo un minuto». «Allora siediti solo per un minuto». Scarlett chiuse il suo libro e lo spinse di lato. Scarlett sembrava così emarginata seduta lì da sola. Sarebbe stato crudele rifiutare. «Che fai oggi?», le chiese Cassie con indifferenza. Scarlett sollevò le mani e guardò a destra e a sinistra. «Questo», rispose. «Niente di che». Cassie le offrì una risata di cortesia. «Grazie ancora per essere venuta da Melanie l’altro giorno. Mi dispiace averti persa di vista e non essere riuscita a salutarti». Gli occhi di Scarlett irradiavano affetto. «Nessun problema», disse. Poi prese un lungo sorso del suo caffè freddo e sembrò che stesse riflettendo su qualcosa. Cassie si sentì sotto torchio, come se Scarlett si fosse messa a contare uno per uno i pori della sua pelle o le sue ciglia, ma la lasciò fare. Per qualche motivo, non la metteva in imbarazzo. Non sapeva perché, ma voleva che Scarlett la conoscesse e la vedesse per ciò che era davvero. Dopo un altro minuto, Scarlett disse: «Mi piacciono davvero i tuoi amici. E dato che non conosco nessuno sull’isola speravo di fare una buona impressione». Cassie sapeva che quello era il momento in cui, se fosse stata una ragazza normale senza un circolo a cui rendere conto, avrebbe chiesto a Scarlett di uscire insieme. Invece, le rivolse una patetica frase di consolazione. «Non molto tempo fa ero io la ragazza nuova. E so quanto possa essere brutale farsi nuovi amici in questa città». Le labbra piene e rosse di Scarlett si aprirono in un ampio sorriso. «Ecco perché ti farò sentire talmente in colpa da voler essere mia amica». Cassie scoppiò a ridere. Le piaceva la semplicità di Scarlett. Era proprio il tipo di ragazza con i piedi per terra con cui Cassie avrebbe fatto amicizia se fosse stata ancora in California. «Per esempio», disse Scarlett. «Ti ricorderò che mi sono trasferita qui con una misera valigia per convincerti a venire a fare shopping con me». Cassie ricordò il commento acido di Diana a proposito della valigia di Scarlett e fu di nuovo pervasa dall’imbarazzo. Guardò l’orologio. Aveva ancora due ore prima di dover raggiungere il faro. Che male poteva esserci a fare un giro per negozi per un’ora? «Per tua fortuna, fare shopping è uno dei miei passatempi preferiti», disse Cassie. «Significa che ci stai?», chiese Scarlett. «Perché no?». Cassie si alzò. «Le mie commissioni possono aspettare». Scarlett scattò in piedi. «Ha funzionato ancora meglio di quanto immaginassi». Fare shopping con Scarlett era il diversivo perfetto per tutti i problemi di Cassie. Dato che non poteva parlare di molte delle preoccupazioni del circolo, era stata costretta a cancellarle del tutto dalla mente. Era come diventare qualcun altro per un paio d’ore, qualcuno con problemi normali. Come per esempio: “Quaranta dollari sono troppi per un top anche se la stoffa è davvero morbida?”. Inoltre Scarlett era un’esperta di shopping, riusciva a trovare il miglior articolo in sconto con uno spirito d’osservazione degno dell’invidia di una strega. In qualche modo convinse Cassie ad acquistare degli orecchini con piume turchesi. «Sono più nel tuo stile che nel mio», disse Cassie subito dopo averli comprati d’impulso. «Possiamo dividerli». Scarlett si aprì in un sorriso. «In realtà possiamo dividere quasi tutta questa roba. È il bello di avere la stessa taglia». Cassie le diede ragione e poi suggerì di posare tutte le borse nel baule della sua macchina prima di cercare un paio di perfette scarpe estive. Lei e Scarlett avevano fatto amicizia così facilmente che Cassie si era dimenticata di dover tenere le distanze. Quindi vedere Diana che usciva dalla sua Volvo dall’altro lato del parcheggio non sembrò a Cassie un motivo d’allarme. Il panico non calò su di lei fino a quando lo sguardo di Diana non incrociò il suo – prima pieno di gioia per l’incontro fortuito, poi di disapprovazione dolorosa. Cassie era stata colta in flagrante nell’atto di infrangere una promessa fatta al circolo. Diana si avvicinò a loro lentamente. Il suo «Ciao» suonò più come un affronto che come un saluto. «Vedo che voi due ve la state spassando», disse indicando le buste dello shopping. Scarlett, percependo la freddezza nella voce di Diana, sorrise con educazione ma non disse niente. «Ho incrociato Scarlett per caso», disse Cassie. Diana la schernì con lo sguardo. «Presumo che sia successo diverse volte oggi». Cassie si morse il labbro ma rimase in silenzio. Scarlett si agitò a disagio e disse: «Forse farei meglio ad andare». «No», disse Diana. «Me ne vado io». Le superò dirigendosi all’ingresso del centro commerciale. «Ci sentiamo dopo, Cassie». «Non le piaccio proprio», disse Scarlett non appena Diana non fu più a portata d’orecchio. Cassie non sapeva come difendere il comportamento di Diana. In fondo Scarlett non avrebbe potuto capire. «Non ha niente a che fare con te», disse Cassie. «Credimi. Però mi dispiace lo stesso». Scarlett ignorò le sue spiegazioni. «Potresti farti perdonare unendoti a me per cena». Cassie era combattuta. Sapeva che la cosa giusta da fare era separarsi da Scarlett e andare subito a riparare i danni con Diana, ma si stava divertendo così tanto, e rompere i ponti con Scarlett a quel punto avrebbe solo ferito i suoi sentimenti. «Che ne dici di un hamburger da Buffalo House?», chiese Scarlett. «Pago io». «Non dovrei proprio». Cassie tastò il sacchetto di erbe nella sua borsa e guardò l’orologio. Ma un cheeseburger con pancetta le sembrava il paradiso in quel momento. Una ragazza doveva pur sempre mangiare, giusto? «Va bene», disse Cassie alla fine. «Se vieni con me per una piccola commissione prima. È solo un favore veloce per un’amica. Poi possiamo andare a mangiare». Scarlett si illuminò. «Perfetto», disse. Ovviamente il circolo non avrebbe approvato che si fosse fatta accompagnare da Scarlett, ma Cassie fece attenzione. E Scarlett non fece nessuna domanda, nemmeno quando Cassie insisté che rimanesse in macchina mentre correva verso la casa del faro abbandonata con un sacchetto di carta sotto il braccio. E dato che Melanie e Laurel non erano ancora arrivate, dovette solo lasciare il sacchetto sul tavolo e andarsene. Ci volle meno di un minuto per entrare e uscire. E poi lei e Scarlett furono libere di andare da Buffalo House a mangiare un hamburger. Più tardi, Adam andò a casa di Cassie per una serata tranquilla all’insegna di film e popcorn. Sua madre era al piano di sopra, per lasciare loro un po’ di privacy in salotto, dove erano seduti sul divano morbido. Cassie sprofondava nei cuscini con la testa posata sulla spalla di Adam, inalando il suo odore. Avrebbe potuto ubriacarsi di quel profumo. Non stavano davvero guardando il film, o almeno non Cassie. Lei teneva gli occhi chiusi e si concentrava sulle gentili carezze di Adam, il modo in cui le faceva scivolare le soffici dita all’interno del braccio, iniziando dal polso e muovendosi fino al gomito, e viceversa. Avrebbe potuto continuare per tutta la notte, il film era solo un rumore di sottofondo. Ma poi Adam si chinò in avanti per controllare che fosse sveglia. «Stai dormendo», disse. Cassie aprì gli occhi. «Non sto dormendo, sto solo assaporando il momento». Gli occhi di Adam si fecero seri, e Cassie fu sicura che stesse per sporgersi verso di lei e baciarla. Di solito era quello che succedeva quando si trovavano sul divano a guardare un film. Ma quella volta, invece di baciarla, spense il televisore e si mise a sedere dritto. «C’è una cosa di cui ti volevo parlare», disse. Anche Cassie si raddrizzò e strinse le ginocchia al petto. Non riusciva a immaginare cosa stesse per dirle. Le passarono per la mente un milione di possibilità, una peggiore dell’altra. «Diana ha detto di averti vista fare shopping oggi pomeriggio», disse Adam. «Con Scarlett». Cassie si irrigidì. «Oh». «Pensa che tu e Scarlett stiate diventando troppo amiche». «Be’, grazie per avermi detto quello che pensa Diana», disse Cassie. Quel commento spinse Adam ad alzare la voce, cosa che non succedeva mai in presenza di Cassie. «Non credo di doverti ricordare che ti stai mettendo in pericolo passando così tanto tempo con un’esterna», disse. «Stai mettendo tutti noi in pericolo». «È davvero quello che pensi tu, oppure è quello che pensa Diana?». Adam balzò all’indietro come se Cassie lo avesse colpito. «Cosa vorresti dire?» «Perché stai dalla parte di Diana? Sei sempre stato il primo a correre in difesa degli esterni». «Cassie, cosa ti sta succedendo? Vieni qui». Adam cercò di stringerla, ma lei si allontanò. Cassie sapeva di star esagerando – insomma, era Adam, il ragazzo che era rimasto in piedi tutta la notte nel suo porticato solo per proteggerla. E Adam e Diana erano stati amici per tutta la vita, era ovvio che Diana andasse da lui per avere un consiglio. Tuttavia non voleva ancora essere toccata da lui. «Non sto dalla parte di nessuno», disse Adam. «Queste non sono circostanze normali. Lo sai». Ma in quel momento Cassie riusciva solo a sentire l’eco delle parole di Diana in quelle di Adam, e non poté fare a meno di sentirsi un po’ ferita. «Sento con tutto il mio essere che posso fidarmi di Scarlett», disse Cassie. Adam sembrò considerare di tendere di nuovo la mano verso di lei, ma ci ripensò. «Voglio solo che tu stia attenta», disse. «Sono sempre dalla tua parte. Lo sai». Si avvicinò a lei con cautela. «Mi dispiace aver alzato la voce. Ma è una cosa a cui tengo. Non abbiamo modo di sapere se Scarlett è una cacciatrice di streghe. È arrivata in città la stessa notte in cui è morta Constance». «Ti stai comportando in modo ridicolo», disse Cassie. «No, sei tu a essere ridicola. E testarda». Cassie prese un respiro profondo e cercò di calmarsi. «Lasciamo perdere e basta, va bene?». Ma Adam rifiutò. «Lo so che Scarlett ti piace davvero», disse. «E lo capisco. Sembra simpatica, divertente e carina. Piace a tutti noi, ma non è un buon momento per abbassare la guardia». «Non lo è mai quando si tratta di noi». «Lo dici come se non volessi far parte del gruppo, come se fosse una specie di maledizione». «Finiamo solo di guardare il film», disse Cassie. «Cassie, guardami». «Smetterò di uscire con lei, va bene?», urlò Cassie. «Ci siamo incontrate per caso, ma sono sicura che Diana non abbia menzionato questo piccolo dettaglio». Cassie riaccese la TV. Fissò dritto davanti a sé, e si sedette il più lontano possibile da Adam sul divano. Non aveva più niente da dire per quella notte. Capitolo 12 Cassie dormì fino a pomeriggio inoltrato il giorno seguente, cosa insolita per lei. Era abituata ad alzarsi presto, che lo volesse o meno. Ma doveva aver avuto bisogno di riposo, perché si svegliò sentendosi ristorata e con la mente più libera di quanto fosse stata la notte precedente. La discussione con Adam l’aveva lasciata confusa e turbata la notte prima, ma quello era un nuovo giorno. Ed era bellissimo e soleggiato, senza una nuvola in cielo. Dopo aver indossato i suoi jeans più comodi e il maglioncino blu che preferiva, Cassie decise di uscire per una passeggiata. Non era ancora pronta per parlare con Adam, o con chiunque altro in realtà, ma sperava che camminando le sarebbero venute le parole, e sarebbe tornata a casa sapendo esattamente cosa dire per aggiustare le cose. Cassie aveva bisogno di capire meglio i suoi stessi sentimenti. Non era una persona gelosa e non voleva esserlo. Ma non poteva nemmeno ignorare ciò che la infastidiva di Adam e Diana. Doveva la sua onestà a entrambi, e anche a se stessa. Sapeva di non poter competere con la storia che avevano avuto. Si allacciò le scarpe da ginnastica e uscì dalla porta sul retro. Camminò a fatica attraverso il labirinto del giardino medicinale di sua nonna e l’acro circostante di erba ondeggiante. Si fermò sopra una pila di foglie fradice lungo il sentiero di terra e sabbia che conduceva alla scogliera. Fu lì che trovò Nick accanto alla riva. Si era tolto la giacca di pelle e l’aveva gettata al suolo accanto a sé. Il vento proveniente dal mare gli gonfiava la maglietta bianca come se stesse volando e gli sollevava i capelli castano scuro dal volto serio. Guardare Nick quando le sue difese erano abbassate era come origliare un segreto. Cassie si sentiva speciale per la possibilità di esserne testimone, ma anche un po’ colpevole. Era uscita per stare da sola, ma in quel momento non voleva altro che stare con Nick. Non in senso romantico, ovviamente. Amava Adam, ma ciò non significava che lei e Nick non potessero essere amici. Quindi andò da lui, preparandosi durante tutta la strada all’idea che la sua compagnia fosse rifiutata. Ma sentiva di dover almeno provare. Certo, Nick era un tipo serio e pensieroso, anche un po’ imprevedibile, e la maggior parte dei giorni lo si poteva definire sgarbato – ma sotto tutta quell’apparenza c’era un centro solido, puro come il nucleo cristallino di una roccia. Cassie lo aveva visto, ed era determinata a far breccia oltre la sua scorza per raggiungerlo di nuovo. Le mancava la sua amicizia – anche se sapeva che per lui sarebbe stata una forzatura, visto che la loro rottura era ancora così fresca. «Ciao», lo chiamò a pochi passi di distanza da lui per non spaventarlo. Lui si voltò lentamente, affatto sorpreso di vederla, quasi come se la stesse aspettando. «Ciao», disse, saluto che Cassie considerò un invito sufficiente a raggiungerlo. «Come stai?», chiese Cassie. «Bene. E tu?» «Bene». Fu strano, poco ma sicuro, tuttavia, tenendo duro, riuscirono a poco a poco a riprendere il loro vecchio modo di fare. Nick la prendeva in giro fingendosi crudele, e Cassie assecondava le sue battute, ridendo a squarciagola. Lo aveva desiderato per così tanto che non voleva rovinare tutto, ma c’era una questione che non poteva lasciar perdere. «Posso chiederti una cosa?», disse quando ci fu una pausa nella loro conversazione. Nick annuì con la mascella tesa. «Puoi chiedermi quello che vuoi, ma non significa che ti risponderò». Cassie sorrise. «Sei venuto fino a qui sperando di incontrarmi?» «Accidenti, sei proprio presuntuosa». Nick scoppiò a ridere. «È un sì?». Nick smise di ridere e si limitò a un sorriso. Elargiva con tale parsimonia i suoi sorrisi a trentadue denti che Cassie aveva dimenticato quanto fossero belli e luminosi. Il fatto che fossero tanto rari li rendeva ancora più preziosi. «Forse il pensiero di trovarti qui mi ha vagamente attraversato la mente», disse Nick. «Mi mancavano le nostre chiacchierate». Finalmente. Quello era il Nick che conosceva. «Anche a me», disse Cassie. «Adesso tocca a me farti una domanda». Nick si esibì nel suo sorriso da cattivo ragazzo. «Adam ti ha già fatto diventare matta?» «Nick!». «È così. Lo so che è così. Non cercare nemmeno di negarlo». «No comment», disse Cassie ridendo. Ma poi aggiunse: «Presumo di dovermi ancora abituare a…». «Al fatto che sia così asfissiante?» «Alla sua bontà», lo rimproverò Cassie. «E adesso comportati bene». Nick all’improvviso apparve più allegro, più felice. Forse tutto quello che gli serviva per stare meglio era fare una battuta a proposito di Adam. Cassie osservò l’oceano. «Ti prometto che le cose torneranno normali», disse. «Per te e me. Per tutti noi». Ma proprio quando quelle parole le uscirono di bocca, davanti a loro si formarono delle nuvole scure, troppo rapide per essere naturali. Erano minacciose, come quelle che si vedono nei film sull’apocalisse. Nick afferrò la mano di Cassie e insieme fecero qualche passo indietro, allontanandosi dall’oceano. «Cosa succede?», chiese Cassie. «È un tornado? Arrivano anche da queste parti?» «Non so cosa sia». Nick perlustrò la zona circostante in cerca di un rifugio sicuro. «Dobbiamo andarcene da qui. Tutti quegli alberi. Dobbiamo andare a casa tua». Si misero a correre, ma avevano fatto solo pochi passi quando dei violenti fulmini iniziarono ad abbattersi tutt’intorno a loro, quasi come se volessero colpirli. «Continua a correre», urlò Nick. «E copriti la testa». Scendeva una pioggia gelida, fitta come una cascata di frecce appuntite. Il cielo era completamente nero fatta eccezione per i lampi che, quando cadevano, illuminavano il vento furioso fra gli alberi. La sabbia e il terriccio si sollevavano per il vento. Cassie si sforzò di tenere gli occhi chiusi per evitare la polvere, ma anche abbastanza aperti da seguire Nick lungo la via di fuga. «Non ce la faremo mai», urlò Cassie senza fiato. «Dovremmo provare un incantesimo per fermarlo». «No!», urlò Nick. «Niente magia. Continua a correre». Un lampo dopo l’altro, fulmini e tuoni ricordarono a Cassie dei fuochi d’artificio. «Sono loro, vero?», urlò Cassie. «I cacciatori». Nick smise di correre per un secondo, e anche Cassie si fermò, ansante. Il collo spesso di Nick pulsava e il suo petto si gonfiava. «Credo di sì», disse. «Potrebbe essere un trucco per costringerci a usare la magia». Poi un fulmine colpì un obiettivo disponibile – uno dei molti olmi nelle vicinanze. L’albero si scheggiò e si illuminò. Cassie si coprì gli occhi con la mano per ripararsi, guardando l’olmo che tremolava e fumava. «Sembra che abbiano già capito che siamo streghe, non pensi?». Poi un altro albero proprio accanto al primo fu colpito, e poi un altro, sempre più vicino al punto in cui si trovavano Cassie e Nick. Infine, un fulmine si abbatté al suolo proprio accanto al piede di Cassie. Lei urlò e Nick la spinse via, proteggendo il suo corpo con il proprio. Finirono entrambi a terra, lei sotto di lui. Il corpo muscoloso di Nick gravava su Cassie. «Stai bene?», le chiese. Le gocce di pioggia colavano dal volto di Nick sul suo. «Sì», disse Cassie. Dalla sua posizione sotto di lui osservò gli alberi che erano stati colpiti soccombere a fiamme arancioni e selvagge. Era l’incendio più impetuoso a cui avesse mai assistito, con volute di fumo nero che si innalzavano come fantasmi. “Avrei potuto essere io”, pensò Cassie dentro di sé. Se Nick non l’avesse spinta via sarebbe morta. Era uno spettacolo osservare quei grandi olmi scurirsi e diventare cenere così in fretta. La loro corteccia screpolata si scioglieva per il calore, come una barretta di cioccolato lasciata al sole. Qualunque cosa i cacciatori stessero cercando di provare, ci erano riusciti. Era chiaro che fossero potenti, ed erano pronti a uccidere. Non erano streghe, ma quel tipo di controllo sugli elementi a Cassie sembrava magia nera. Che razza di cacciatori di streghe usavano le stesse tattiche delle streghe malvagie? «Sono così vicini», disse Cassie. Nick sollevò parte del suo peso dal corpo tremante di Cassie. «E si avvicinano sempre più, ogni minuto che passa». A Cassie sembrava non ci fosse via di scampo. Lei e Nick avrebbero potuto continuare a correre, ma i fulmini e i tuoni li avrebbero seguiti a ogni passo fino a centrare l’obiettivo, colpendoli con una palla di fuoco che avrebbe bruciato e piegato le loro ossa come i fragili rami di un vecchio olmo. Oppure potevano restare stesi a terra, immobili, stringendosi e chiudendo gli occhi. Potevano abbandonarsi al loro destino piuttosto che cercare di opporsi. Morire al fianco di Nick era un’opzione migliore che essere abbattuta dalla tempesta di fulmini. E poi come se fosse stato tutto un sogno, la pioggia e i lampi si fermarono all’improvviso e le nuvole lasciarono spazio al sole. Tutto tornò misteriosamente come prima. Se gli alberi al loro fianco non avessero continuato a bruciare, riempiendo l’aria di denso fumo nero, Cassie avrebbe creduto di essersi immaginata tutta quella scena da incubo. «Presumo che abbiamo passato il test», disse Nick, alzandosi e ripulendosi i jeans. Si passò le dita fra i capelli fradici e poi tese la sua grande mano verso Cassie per aiutarla ad alzarsi. «In che modo?», chiese Cassie prendendo la sua mano. «Non morendo?» «Mi sembra un buon inizio». Nick posò il braccio robusto sulle spalle di Cassie, che aveva il maglioncino zuppo. «Ti accompagno a casa». Lei gli rivolse uno sguardo colmo di gratitudine. Non avrebbe mai dimenticato il modo in cui l’aveva protetta. Senza esitare un solo attimo sarebbe stato pronto a morire per lei. «Vado a casa solo se vieni con me», disse. «Be’, ti assicuro che non ho alcuna intenzione di restare qui», disse Nick in tono scherzoso, cercando di alleggerire la situazione. «Nick». Cassie rifiutò di fare un altro passo fino a quando lui non la guardò negli occhi. «Cosa?» «Grazie», gli disse. Lui scosse la testa e distolse di nuovo lo sguardo. «Non devi ringraziarmi». «Sì, invece». Nick iniziò a ridere, imbarazzato e nervoso. Il tipo di risata di quando si cerca di non piangere. Poi attirò Cassie a sé e la baciò con affetto sulla fronte, come farebbe un fratello maggiore. «Nessun problema», disse. Capitolo 13 Cassie e Nick sentirono i camion dei vigili del fuoco che si avvicinavano mentre camminavano verso casa di Cassie. Per spegnere gli incendi degli alberi, immaginò lei. Accelerarono il passo per non rischiare di essere accusati di incendio doloso. Non c’era modo di sapere che tattica avrebbero usato i cacciatori pur di distruggerli. Una volta al sicuro dentro casa di Cassie, Nick divenne frenetico. «Dovremmo dirlo agli altri», esordì. «Dovremmo farli venire tutti qui subito». I suoi vestiti erano zuppi a causa della pioggia e i capelli gli colavano bagnati sul volto. «Aspetta», disse Cassie, spostandosi dalla cucina al soggiorno. «C’è ancora tempo». Prese due grandi asciugamani dall’armadio della biancheria e ne gettò uno a Nick. «Asciugati», gli disse. Lui rise. «Mi sa che siamo un po’ bagnati». Con una mossa agile, si sfilò la maglietta dalla testa e la gettò nel lavello della cucina. Cassie rimase a bocca aperta davanti al suo torace muscoloso e distolse in fretta lo sguardo. «Vado a cambiarmi», disse, correndo in camera sua. «Torno subito». Quando rientrò in soggiorno, Nick sembrava abbastanza asciutto, e per fortuna si era rimesso la maglietta. Ma anche le scarpe, quindi Cassie capì che stava per andarsene. «Sai una cosa?», disse Nick avvicinandosi alla porta. «Vado a casa a farmi una doccia calda. Poi avvertirò gli altri di quello che è successo». Per quanto Cassie volesse che Nick restasse lì con lei, sapeva di doverlo lasciare andare. «Una doccia calda mi sembra una buona idea», disse. Nick si fermò con la mano sulla maniglia. «Presumo ti occuperai tu di avvertire Adam». Cassie annuì. Ma non appena Nick se ne andò, riuscì solo a sprofondare nel divano. Rimase seduta lì per un po’, non avrebbe saputo dire quanto, e quando sua madre tornò a casa sobbalzò come se si fosse appena risvegliata da un sogno. «È una giornata così bella», disse sua madre. «Dovresti andare a fare un giro in spiaggia». «No che non dovrei». Sua madre era appena stata al mercato. Scaricò borse cariche di frutta e verdura sul ripiano della cucina, ignara dell’umore di Cassie. «Hai fame?», le chiese. «Preparo il pranzo». «Mamma», disse Cassie, con un tono che richiedeva attenzione. «Cosa c’è?», le chiese sua madre, sedendosi accanto a lei sul divano. «Cosa è successo?» «Mi sono presa un bello spavento. Ma sono abbastanza sicura che siano stati i cacciatori». Il volto di sua madre impallidì. «Quindi non hanno intenzione di fermarsi con Constance». Cassie scosse la testa. «Temo di no. Ho bisogno che tu mi dica cosa sai di loro». Cassie si accorse che la stava supplicando. Sua madre era visibilmente a disagio. «Non so molto», replicò. «Ma quando ero più giovane…». Cassie inspirò facendo il minor rumore possibile. «Vai avanti». «Quando stavo con tuo padre». Cassie cercò di rimanere perfettamente immobile, di non fare il minimo rumore, nulla che avrebbe potuto interferire con il delicato equilibrio di quel momento – una storia a proposito di suo padre. «Eravamo in viaggio», disse sua madre fissando dritto davanti a sé. «Con alcuni amici. E ci siamo imbattuti in una famiglia di cacciatori. Una delle nostre amiche è stata marchiata con un antico simbolo». Cassie ripensò alla S che aveva visto sulla fronte di Constance. «La S nell’esagono», disse Cassie. «Sì», sua madre deglutì a fondo. «È il modo in cui i cacciatori segnano le loro vittime. Una volta ricevuto il marchio è quasi impossibile sfuggire alla morte». Cassie non reagì. Lasciò che sua madre continuasse. «Ma tuo padre salvò la mia amica. E scappammo tutti». «Quindi non era del tutto malvagio», disse Cassie. Lei cercò di sorridere. «Era potente. Le persone erano intimorite dalla sua forza, ma quando gli importava di qualcosa, la sua lealtà non aveva eguali». Le tremò la voce. «Ed era affascinante. Non sono riuscita a resistergli, amavo il fatto di essere tutta sua e che lui fosse tutto mio. Ero speciale ai suoi occhi. Ecco come sono riuscita a convincerlo a salvare la mia amica dai cacciatori di streghe. Lo ha fatto per me. Avrebbe fatto di tutto per me». Le scese una sola lacrima sulla guancia come un ruscello serpeggiante. Se l’asciugò in fretta con la punta del dito. «Alla fine ha messo i suoi desideri davanti a quelli di chiunque altro, ma se stavo con lui c’era un motivo». Era un lato totalmente nuovo del padre di Cassie, un lato che lei non aveva mai conosciuto e nemmeno preso in considerazione. E all’improvviso si rese conto di una cosa. Sua madre aveva davvero amato John Blake. Era stato vero amore. Lo stesso che Cassie provava per Adam. Il tipo di amore che non scompare solo perché ci si accorge che la persona che si ama è diversa da ciò che si pensava. Quando Cassie ci rifletté, capì perché per sua madre era così difficile parlare di lui. Non era né distante né riservata; stava ancora soffrendo. Cassie le gettò le braccia al collo e la strinse forte. «Grazie per avermene parlato», disse. «Di lui». Rimase seduta a pensare, cercando di metabolizzare ciò che aveva appena scoperto. Cercò di immaginare come fosse sua madre quando era felice e innamorata. E immaginò come sarebbe stato se i suoi genitori fossero stati ancora insieme. Ma in quell’immagine mentale suo padre era un uomo normale, un marito e un padre – non una forza del male. Era una mera illusione, di nessuna utilità in quel frangente. Che fosse mai stato buono o meno, Cassie doveva ricordarsi di quello che suo padre aveva fatto. «Vorrei sapere qualcosa di più utile sui cacciatori», disse sua madre. Le si velò lo sguardo per un istante, e Cassie dedusse che la loro conversazione fosse finita. Ma poi sua madre disse: «Possiamo andarcene sai, se vuoi. Non dobbiamo restare in questa città». «Non posso andarmene», disse Cassie, presa alla sprovvista. «E tu lo sai». «Anch’io la pensavo così in passato», disse sua madre. «Ma non è vero. Puoi sempre andartene». Cassie si mosse con attenzione verso sua madre. «Sei stata tu a portarmi qui, ricordi?» «E posso essere io a portarti via». Sua madre incrociò il suo sguardo con occhi taglienti. «Non scapperò», disse Cassie, con la voce rotta dall’emozione. «Non scapperai a causa di Adam». Sua madre lo disse come un’affermazione piuttosto che una domanda. Come se fosse una debolezza che conosceva fin troppo bene. «Non scapperò perché ho fatto un giuramento», precisò Cassie. Sua madre iniziò a piangere di nuovo, non solo una lacrima questa volta ma tante, come se una diga le si fosse rotta dentro. «Non ho mai voluto questo per te», disse. «È proprio quello da cui ho cercato di proteggerti per tutta la vita». «Lo so». Cassie si sforzò di suonare intrepida. «Ma il modo migliore in cui puoi proteggermi adesso è continuare a parlare con me, continuare a raccontarmi ciò che ho bisogno di sapere, anche se per te è difficile. Perché non ho nessun altro che possa parlarmene». Sua madre aprì le braccia e Cassie si lasciò abbracciare. «Te lo giuro, Cassie», le disse. «Tutto quello che voglio è che tu sia al sicuro». Piansero insieme per un po’, tenendosi strette. A Cassie sembrava che fossero in lutto, che piangessero per una morte, e forse in un certo senso era così. A essere morto era il silenzio che fino a quel momento le aveva protette. Era morta qualsiasi parvenza di normalità. Sua madre le accarezzò la schiena disegnando piccoli cerchi con le mani e le disse che sarebbe andato tutto bene, che ce l’avrebbero fatta, insieme. Per la prima volta, Cassie si sentì amata come una figlia. Più tardi quella sera, Cassie andò da Adam per parlargli dell’attacco dei cacciatori sulla spiaggia. Si incontravano di rado a casa sua e Cassie si rallegrò per il cambiamento di scenario. Amava stare in camera di Adam. Stesa sul suo letto, non poteva fare a meno di immaginarlo mentre dormiva, avvolto da quelle stesse lenzuola, con i tratti che si ammorbidivano mentre sognava. Si guardò intorno nella stanza e osservò le sue cose, gli oggetti quotidiani che non avrebbero avuto alcun significato per lei se non fossero stati suoi – i libri di scuola impilati sulla scrivania, le scarpe da ginnastica ammassate a caso nell’armadio e i jeans gettati sul pavimento. Riusciva quasi a vederlo tornare a casa da scuola, appoggiare i libri, calciare via le scarpe e togliersi i jeans per indossare qualcosa di più comodo. Provò un improvviso affetto per l’intera scena mentre la immaginava, e per ogni oggetto che toccava – per estensione, era tutto parte di lui. Adam tornò nella stanza con qualche spuntino e delle bibite in mano. Si chiuse la porta alle spalle. «Scusa per il disordine», disse. «Ho cercato di ripulire, ma…». «È perfetto così com’è», disse Cassie. Si sedette anche lui sul letto e Cassie provò all’improvviso l’impulso di iniziare a massaggiargli le spalle, baciarlo sul volto e sul collo – di dimenticare tutto della terribile tempesta sulla spiaggia. Il respiro di Adam rallentò, e Cassie poté sentire che stava pensando la stessa cosa. Le accarezzò la coscia. «Sei bellissima stasera», disse. «Ma ero preoccupato per te. Cosa è successo oggi?». La sua mano risalì dalla coscia all’anca, il posto in cui più amava toccarla. Cassie trasse un profondo respiro e si sedette. «Sono andata a fare una passeggiata sulla spiaggia e ho incontrato Nick», disse. Fece una pausa per valutare l’espressione di Adam, ma il suo volto rimase neutrale. «E sono stata felice di vederlo», continuò. «Sai quanto ho cercato di recuperare la mia amicizia con lui. Avevamo appena iniziato a parlare quando il cielo è diventato nero ed è iniziata una terribile tempesta. Abbiamo capito immediatamente che si trattava di qualcosa di sovrannaturale». «I cacciatori», disse Adam. Cassie annuì. «Non siamo riusciti ad andarcene abbastanza in fretta. I fulmini si abbattevano tutt’intorno a noi. Uno avrebbe potuto…». La voce le morì in gola. Cercò di deglutire per sciogliere il nodo che si era formato. «Nick ha rischiato la vita per salvarmi, Adam. Sarei stata colpita se non avesse agito così in fretta spingendomi via». Sulla fronte di Adam si formarono delle increspature, ma fissò dritto la coperta del letto davanti a sé. «Si è dimostrato un vero amico in quel momento», disse Cassie. «Per tutti e due. Non pensi?». Adam continuò a tenere gli occhi bassi per un attimo prima di sollevare lo sguardo e incrociare il suo. «Sì, hai ragione», disse, poi si spostò, a disagio. Cassie riuscì a capire dal modo in cui serrava la mascella quanto gli desse fastidio che fosse stato Nick a salvarla, anche se non lo avrebbe mai ammesso. «Avrei voluto essere lì, ma sono felice che tu stia bene». Adam le prese le mani e le strinse fra le sue. Se le portò alle labbra e le baciò. «Non so cosa avrei fatto se fossi rimasta ferita». Le baciò l’interno dei polsi e risalì lungo l’avambraccio. Cassie sapeva dove stava andando a parare. Per quanto difficile, si costrinse a liberare il braccio dalla sua presa. «C’è altro», disse. «Ho parlato con mia madre. Parlato davvero». Adam recuperò la concentrazione e si mise a sedere dritto. «E?» «Mi ha raccontato di mio padre. Sai che non era del tutto cattivo, Adam. Lei lo amava davvero». Adam non sembrava sicuro di come reagire. Black John era sempre un argomento delicato per loro. «So che è difficile», disse Cassie, «ma prova a immaginare. Amare qualcuno come ci amiamo noi, trovare il vero amore, e poi perdere quella persona per via del suo lato oscuro». Adam scosse la testa. «Non voglio immaginarlo». «Nemmeno io, quindi pensa a quanto deve essere stato terribile per la mia povera madre». Cassie poteva sentire i sentimenti che la sopraffacevano e trattenne l’impulso di cominciare a piangere. Adam le prese di nuovo le mani. «Riesco a malapena a pensare a qualcosa di peggio», disse. «Ma è un bene che tu lo sappia adesso. Sono felice che ci sia stata questa svolta con tua madre». Cassie lasciò vagare lo sguardo per la stanza di Adam. Per qualche motivo, in quel momento trovava difficile guardarlo. Invece, si concentrò sui poster attaccati alle pareti, di qualche band di cui non aveva mai sentito parlare. «Sono sicuro che fosse facile innamorarsi di tuo padre», disse Adam. «Era un uomo carismatico, un leader naturale. Tua madre è intelligente – non si sarebbe messa con lui se fosse stato diverso. Quello che è successo non è stata colpa sua». A volte Adam sapeva proprio dire la cosa giusta. Fu un cambiamento impercettibile nella mente di Cassie, ma all’improvviso si sentì a proprio agio. Se Adam non incolpava sua madre, in un certo senso significava che non incolpava nemmeno Cassie. Lo guardò negli occhi e tese la mano verso di lui. «La cosa importante è che tu stia bene», disse Adam, permettendole di attirarlo a sé. «E che noi stiamo insieme». Cassie si stese e Adam si accomodò accanto a lei, stringendola a sé. Lo amava così tanto da far quasi male. Sentiva che non ne avrebbe mai avuto abbastanza di lui. Adam la baciò con passione e poi si fermò per un istante. «Con tutto quello che sta succedendo», disse. «Sono solo sollevato…». Cassie gli posò le dita sulle labbra per zittirlo. «Basta parlare», disse, e lo attirò a sé. Capitolo 14 «Bene», disse Diana. «Non abbiamo molto tempo. Chi ha qualcosa da riferire?». Il circolo stava pranzando nel nuovo punto che aveva reclamato, un piccolo pezzetto di bosco accanto a uno degli stretti sentieri al margine della scuola – un rifugio verde ed erboso riparato da alte betulle e meli rigogliosi. Adam lo aveva suggerito come nuovo ritrovo dell’ora di pranzo per i mesi più caldi. Tutti gli sguardi si puntarono sui fratelli Henderson. Avevano ricevuto una missione quella mattina: lanciare una fialetta maleodorante durante la terza ora di matematica. Il piano era essere mandati insieme nell’ufficio del nuovo preside, dove avrebbero potuto far squadra e cercare delle prove. Il circolo stava indagando su chiunque fosse nuovo in città, ma il preside era il numero uno nella loro lista di potenziali cacciatori. «Non dovremmo aspettare Faye?», chiese Deborah mentre spacchettava il pranzo. «Ultimamente non facciamo altro che aspettare Faye», disse Melanie. «Se ha trovato un posto migliore dove stare, allora dovremmo fare a meno di lei». «Ti ho sentita», gridò Faye dall’inizio del sentiero. Si avvicinò a loro lentamente. «Come dicevo». Diana alzò la voce. «Chris, Doug, avete trovato qualcosa?». Faye arrivò in fondo al sentiero giusto in tempo per dare un colpetto alle costole di Doug con il suo stivale nero appuntito. «Vai avanti, dillo. Non avete trovato niente». «Non abbiamo trovato niente», disse Chris, mentre Doug restava in silenzio. «Ma non perché non ci abbiamo provato. Mr Boylan sembra un tipo a posto». «Non me la bevo», disse Nick. «Arriva in città e succede il pandemonio. Sarebbe troppo sperare in una coincidenza. Dovremmo interrogarlo, continuare con le ricerche». Cassie si accorse che Nick la stava guardando. «Non c’è bisogno di essere avventati», disse Diana. Nick scoppiò in una fragorosa risata. «Sì invece». Nick era completamente diverso da Adam, che era sempre così virtuoso. Persino le sue ricerche avventurose erano basate sulla devozione, mai, nemmeno per un attimo, si era trattato di una forma di rivolta. Mentre Cassie osservava Adam, si rese conto di come scattasse intorno al gruppo, sempre pronto ad agire da mediatore per cercare di mantenere la pace. Per lui l’unità del circolo significava più di ogni altra cosa. Ecco cos’era. La cosa che le strisciava in fondo alla mente da quando avevano litigato l’altra notte, la cosa che non era riuscita a identificare. Ma in quel momento capì e l’inconfutabile verità le risuonò nella mente: per Adam niente veniva prima del circolo. Nemmeno lei. Come se la sua discreta rivalità con Diana non fosse abbastanza, Cassie si rese conto che avrebbe dovuto lottare in eterno contro il circolo come se fosse un’altra donna – una donna a cui Adam era più leale che a lei. Come aveva fatto a non rendersene conto prima? Diana, che aveva a malapena toccato la sua insalata, rivolse un’occhiata a Adam e si schiarì la gola. «E avete tutti evitato gli esterni come avevamo deciso?». Cassie gettò il suo burro di noccioline e gelatina nel fazzoletto. «Non c’è bisogno di essere così vaghi, Diana, sappiamo tutti cosa intendi per esterni». Melanie e Laurel abbassarono lo sguardo sul loro pranzo. L’improvvisa e insolita insolenza di Cassie le metteva ovviamente a disagio. Suzan e Sean si guardarono a occhi sgranati e il volto di Deborah si irrigidì. Ma Cassie si accorse che Nick stava sorridendo, divertito dal suo scatto. «Rissa, rissa», gridò Faye sfregandosi i palmi. «Ricordate, ragazze, vietato tirarsi i capelli». Ma Diana rimase pacata come sempre e non si mise sulla difensiva. «Quella regola si applica indistintamente a tutti gli esterni, Cassie. Non si tratta solo della tua amicizia con Scarlett». Cassie sentì le guance arrossarsi e il collo che si surriscaldava. «Devi credermi», disse con voce tremante. «Non c’è niente di strano in Scarlett. Solo perché è un’esterna non significa che sia una nostra nemica». «No?», disse Faye con fare sardonico. «Non puoi esserne sicura», insisté Diana. «Non sappiamo quasi niente di lei». «Sì che posso». Cassie aveva alzato la voce. «So ciò che vedo quando la guardo. E mi fido della mia vista». Per Cassie era un colpo basso menzionare la sua vista – un modo per ricordare a Diana che era l’unica ad avere il dono delle visioni psichiche. «Attenzione», disse Faye. «Cassie ha tirato fuori l’artiglieria pesante». «La tua vista potrebbe essere annebbiata», disse Diana in tono rigido. Ma Cassie replicò all’istante. «Annebbiata da cosa?» «Dal fatto che sei stata ossessionata da lei dal secondo in cui vi siete incontrate», sbottò infine Diana, perdendo il sangue freddo. «Ah». Faye batté le mani. «Finalmente salta fuori la verità. Diana è gelosa che Cassie abbia trovato una nuova migliore amica!». Una serie di risatine attraversò il gruppo. Suzan e Deborah annuirono in segno di approvazione. «Un difetto nella perfetta superficie marmorea della nostra Diana», disse Faye. «Mi piace». «Non sono gelosa». Diana posò i suoi occhi verdi direttamente su Cassie. «Sì che lo sei», disse Cassie. Diana era rimasta senza parole dopo l’ultimo attacco, ma rifiutò di distogliere lo sguardo da Cassie. Nemmeno Cassie aveva intenzione di farlo. In quel momento tutta la frustrazione, la confusione e la rabbia che aveva provato perché Diana aveva rifiutato Scarlett ed era andata da Adam di nascosto sembrarono risbocciarle dentro. E di rimando le giungevano la delusione e l’indignazione di Diana per l’audacia che aveva dimostrato sfidando lei e il gruppo. Era uno stallo di volontà. Era a questo che erano arrivate? Uno scontro meschino. Nessuno si mosse o disse una parola, e per un attimo Cassie pensò potesse continuare per sempre. Ma poi ovviamente, Adam si intromise. «Andiamo avanti», disse. «Non abbiamo molto tempo e c’è ancora molto da discutere. Diana, Deborah, diteci che è successo quando avete seguito Max». Quando Max venne menzionato Faye urlò immediatamente per la rabbia. «Avete fatto cosa?». Ormai Diana aveva una nuova discussione di cui occuparsi, quindi reindirizzò tutte le sue energie verso Faye. «Non lo abbiamo ancora accusato di niente. Non c’è bisogno di reagire in maniera eccessiva». «Ho un sacco di motivi per reagire in maniera eccessiva. Me lo avete tenuto nascosto». «È un esterno ed è nuovo in città», disse Deborah. «Sapevi che era sulla nostra lista». «E lo abbiamo seguito dritto a casa tua», disse Diana, calma come un lago placido. Il gruppo, come fosse stato un muro compatto, venne attraversato da una scossa, che lo crepò dividendoli. Quell’incontro si stava rivelando molto più movimentato di quanto chiunque avesse immaginato. «Era a casa tua?», Melanie sgranò gli occhi grigi. «Quindi adesso siete in due ad aver infranto la regola che prevedeva di limitare i contatti con gli esterni», osservò Laurel con una punta di provocazione nella voce di solito pacifica. Suzan sbottò con la bocca mezza piena: «Ma Max non voleva avere niente a che fare con Faye. La evita da settimane». Deborah scosse la testa, incredula, «Be’, qualcosa è cambiato. Adesso le interessa. Ha lasciato perdere la sua facciata da “sono il più figo di tutti” e si è messo a scodinzolare dietro a Faye come un cucciolo bisognoso. Ha persino saltato gli allenamenti di lacrosse per andare da lei. Sembrava quasi vittima di un incantesimo…». Non appena Deborah pronunciò la parola “incantesimo”, tutti capirono all’istante. Adam fulminò Faye con i suoi occhi blu elettrico. «Non l’hai fatto», disse. «Dimmi che non l’hai fatto». Ma lo sapevano tutti. Ecco perché Faye era stata così impegnata, perché arrivava in ritardo agli incontri e manteneva il riserbo su quello che stava facendo. Faye aveva lanciato un incantesimo d’amore per conquistare la sua preda. «Avevi giurato», disse Adam. «Avevamo giurato tutti di non praticare nessuna magia». Faye agitò verso Adam le sue lunghe unghie rosse, come per cancellarlo dalla sua vista. «Non è niente. Un incantesimo d’amore può a malapena definirsi magia». Melanie si spostò di fianco a Adam. Era più arrabbiata di quanto Cassie l’avesse mai vista. «Adesso ci troveranno, sai. I cacciatori». «Rilassati». Faye rise. «Non sono cacciatori di cupido. Non se n’è accorto nessuno. E non succederà mai». «Ma basta una svista perché si accorgano di noi», disse Nick. Aveva le mani strette a pugno e il respiro pesante. «Non possiamo permetterci di fare errori». Faye si voltò di scatto e si lanciò verso Nick. «Perché non vai a dirlo a Cassie?» «Cassie non ha fatto niente di male. Tu sì». Nick strinse ancora di più i pugni. «Ne sei sicuro?». Faye spintonò Nick con forza. «Basta così», urlò Diana. «Questa discussione non ci sta portando a niente, e dobbiamo tornare in classe. Riprendiamo dopo». “Ma come?”, pensò Cassie. Come sarebbero riusciti a rimettere insieme tutti i pezzi? Ciascuno recuperò con lentezza le proprie cose e iniziò a tornare verso l’edificio scolastico, ma Faye rimase immobile. «Fate sul serio? Ve ne andate? Il divertimento era appena iniziato». Melanie le diede una gomitata, passandole accanto, ma Faye rimase imperturbabile. Si rivolse a Cassie in tono divertito. «La nuova versione arrabbiata di Melanie mi piace molto di più di quella vecchia, noiosa e ragionevole, tu che ne pensi?». Cassie la ignorò, cacciando i resti del suo sandwich nel sacchetto di carta. «Anche la nuova versione gelosa di Diana non è male», continuò Faye. «E la versione bugiarda di Cassie, be’, quella non è così nuova». Attirarla in una lite era proprio ciò che Faye voleva, ma Cassie non poteva più ignorarla. La fissò dritto negli occhi. «Non so di cosa tu stia parlando», disse. «E non mi interessa nemmeno». Faye tese la mano e afferrò il mento di Cassie con le sue dita forti. «Dovrebbe interessarti». Cassie trattenne l’impulso di allontanarsi. La pietra rossa che Faye portava al collo rifletteva la luce del sole negli occhi di Cassie, bruciandoli, ma lei sostenne il suo sguardo. «Non ho paura di te», disse, stretta nella presa di Faye. «Un altro dei tuoi molti stupidi errori». Faye strinse con più forza le dita sul mento di Cassie. «Ehi! Lasciala andare». Era stato Nick a parlare dall’inizio del sentiero. Ridendo, Faye la liberò. «Questa qui sa prendersi cura di sé, Nicholas. Non ha bisogno che tu la salvi. Non è vero, Cassie?». Cassie risalì il sentiero fino a raggiungere Nick mentre Faye urlava: «Non sarai mai Adam, Nicholas. Non importa quanto ci provi». Cassie percorse il sentiero con lo sguardo fino a Faye, sentendo il fuoco nelle viscere risalirle fino in gola. «Faye, sei patetica. E nel profondo sei debole, molto più di me. Non costringermi a provarlo». Faye si leccò le labbra rosso sangue e poi si passò la lingua sui denti con fare seducente. «Così si fa», disse. «Fammi vedere ancora il tuo lato oscuro, Cassandra. È quello che mi interessa». Capitolo 15 Ci volevano dieci minuti a piedi fino alla casa del faro, un tempo sufficiente perché Cassie regolasse il battito cardiaco e si riempisse i polmoni di aria fresca. Parte della tensione che fino a poco prima aveva impensierito i membri del gruppo si era dissipata. Cassie pensò che avessero perdonato Faye troppo in fretta per aver eseguito l’incantesimo d’amore, ma era troppo sollevata di vedere tutti andare di nuovo d’accordo per farlo presente. Inoltre, anche lei era stata perdonata per essere uscita con Scarlett. Era stata Diana a suggerire di andare tutti e dodici a piedi verso la casa del faro, e loro avevano accettato. Cassie pensò che anche guidare fin lì non sarebbe stato male, tuttavia camminare lungo la strada illuminata dalla luna insieme al gruppo dei suoi più cari amici era un’esperienza impareggiabile. La faceva sentire invincibile, e parte di qualcosa di molto più grande e importante di lei stessa. C’era la luna piena, e Laurel aveva portato con sé un sacchetto di biscotti appena sfornati. Era una vecchia ricetta di famiglia che lei variava, utilizzando delle foglie spezzettate di artemisia, un’erba che doveva essere raccolta e mangiata con la luna piena. Secondo Laurel i biscotti favorivano la divinazione, la chiaroveggenza e i poteri psichici, ma Cassie e gli altri se ne riempirono la bocca mentre camminavano perché erano squisiti. Tutte le altre caratteristiche costituivano solo un incentivo. Adam cercò la mano di Cassie, e quando la prese, lei non la tirò via. Era ovvio che nell’ultimo periodo Cassie fosse stata irritabile, ma in quel momento andava tutto bene e la sua connessione con Adam era forte. Quella stretta la rassicurava: nonostante tutto ciò che avevano da temere, non era sola, e insieme avrebbero potuto sopportare qualunque cosa. La notte era corroborante. Gli alberi sopra di loro profumavano di fiori e il terreno sotto le scarpe di Cassie era umido di rugiada. Mentre camminavano furono invasi da una rara spensieratezza. Non solo Cassie e Adam, ma tutto il gruppo. Strillarono lungo la strada, scherzando l’uno con l’altro e sbattendo contro i secchi della spazzatura. Chris sfidò Doug a correre per il resto del tragitto, ed entrambi si lanciarono subito in avanti per determinare il vincitore. Si fermarono di botto: erano rimasti tutti senza fiato. Sembrava impossibile. La casa del faro era stata data alle fiamme. Al suo posto c’era una pila di fuliggine e cenere. Cassie fu attraversata dal pensiero irrazionale di essere arrivata nel posto sbagliato. Come era possibile che un edificio così saldo e resistente, così costante nella sua vigilanza, fosse stato ridotto in quello stato? Ma la rabbia negli occhi di Adam la costrinse ad accettare la dura verità. Non solo la casa del faro era persa per sempre, ma qualcuno l’aveva distrutta di proposito. Melanie parlò per prima. «Era un edificio storico», disse. «Era lì da tipo trecento anni». «È a questo che stai pensando adesso?», disse Nick. «Che ne dici del fatto che i cacciatori sanno esattamente dove trovarci?». Diana posò la mano con gentilezza sulla spalla di Nick. «Aspetta, non dovremmo saltare a conclusioni sbagliate. Non sappiamo per certo che siano stati i cacciatori». Nick scrollò via la mano di Diana. «Questo è un messaggio, forte e chiaro. Quanto più chiari vorresti che fossero?». Diana si voltò verso Melanie e Laurel. «Voi due siete state le ultime a venire qui, giusto? Siete sicure di non aver lasciato per caso delle candele accese?». Melanie sgranò gli occhi. «Stai accusando noi di aver dato fuoco alla casa?» «Non sto accusando nessuno», disse Diana. «Solo chiedendo». Cassie non poteva sopportare di ascoltare altre discussioni. Si fece strada sull’erba, verso il punto in cui si era trovato l’ingresso della casa. Sentì Adam schierarsi al fianco di Diana contro Melanie e Laurel. «Sarebbe meglio per tutti se foste state voi a bruciarla», disse. «Almeno sapremmo per certo che si è trattato di un incidente e non di un atto di…». «Non è stato un incidente», gridò Cassie verso di loro. La sua voce echeggiò nello spazio che li separava come un’onda dell’oceano. Proprio dove prima si trovava l’ingresso alla casa del guardiano del faro c’era per terra un simbolo ridotto in cenere. Lo stesso che era apparso sulla fronte di Constance. Adam fu il primo a raggiungerla. «Il simbolo dei cacciatori», disse, un attimo prima che gli altri si mettessero in fila dietro di lui. Anche loro adesso lo vedevano. Non potevano non vederlo. «La congrega è stata marchiata», disse Cassie. «Faye, è tutta colpa tua», urlò Nick. «Perché non hai potuto fare a meno di usare la magia». Per una volta Adam era d’accordo con Nick. «Hanno seguito il tuo incantesimo d’amore». «Te l’avevo detto», disse Melanie. «Te l’avevo detto che sarebbe successo». «Basta così!», gli occhi di Faye si accesero di rabbia. «Perché siete così sicuri che sia stata colpa mia?». Indicò Diana con la sua lunga unghia rossa. «Sei sempre così attenta a non saltare a conclusioni affrettate. Fermati un attimo e pensa a chi potrebbe essere il vero responsabile». Poi Faye girò il collo per lanciare uno sguardo truce a Cassie, continuando a fronteggiare Diana. «Penso che sia ragionevole sospettare di Scarlett», disse. «Soprattutto considerando che Cassie l’ha portata qui proprio l’altro giorno». Cassie rimase in silenzio. «Ti ho vista», disse Faye. «Non cercare di scaricare la colpa su di me», sbottò Cassie, ma fu tutto ciò che poté dire. Non poteva negarlo. Adam e Diana la fissavano con identiche espressioni di incredulità. «È vero?», chiese Adam. «Hai portato Scarlett alla casa del faro?». Cassie abbassò gli occhi, fissando il terribile simbolo bruciato al suolo, con la sua S sinuosa e l’esagono dall’aspetto satanico. Quella non era opera di Scarlett. Ne era sicura. «Cassie, come hai potuto?». Diana non riuscì a contenere l’esasperazione. Cassie rivolse un’occhiata di supplica al volto infuriato di Diana. «Era con me quando sono passata a lasciare delle erbe per Melanie e Laurel», disse Cassie. «Ma non l’ho fatta entrare e non le ho detto niente. Te lo giuro, lei non c’entra con tutto questo». «Non avresti nemmeno dovuto essere con lei», disse Melanie. «E l’hai portata in un luogo sacro per noi». Faye si stava godendo il bagno di sangue che aveva innescato. Come era stato facile distogliere l’attenzione dal suo incantesimo d’amore. Si rivolse al gruppo. «Quello che ha fatto Cassie è imperdonabile», disse con cattiveria. «Ci ha traditi». «Anche tu ci hai traditi, Faye», disse Cassie. «E come hai fatto a sapere che ho portato Scarlett alla casa del faro? Mi stavi forse spiando?» «Non è questo il punto», si intromise Diana. «Sono d’accordo con Faye a questo proposito. Portare Scarlett alla casa del faro è stato un atto di tradimento. E adesso abbiamo bisogno di essere uniti più che mai. Non possiamo fidarci di nessun esterno, in nessun caso». Cassie perse il briciolo di controllo che le era rimasto. «Quindi fammi capire bene», disse. «La tua idea di unione è prendere le parti di Faye?». Adam rispose a nome di Diana. «È per il tuo stesso bene, Cassie. Scarlett non è una di noi. E in nessuna circostanza avrebbe dovuto avvicinarsi al nostro luogo d’incontro». «Forse sono io a non essere una di voi», sbottò Cassie prima di riuscire a fermarsi. Quella per Diana fu la goccia che fece traboccare il vaso. A quel punto urlò a un volume di cui Cassie non l’avrebbe mai ritenuta capace. «Ma certo che sei una di noi, Cassie. Sei più importante per questo circolo di chiunque altro. Credi che non ce ne rendiamo conto?». Poi si voltò verso Faye. «E tu non credere di passarla liscia. Cassie ha ragione quando dice che anche tu ci hai tradito. Max è off limits, proprio come la tua magia». «Altrimenti?», disse Faye. Diana non sbatté nemmeno le palpebre. «Altrimenti dovrai rinunciare ai tuoi privilegi di leader di questo circolo». Passò qualche secondo prima che Adam interrompesse il silenzio che seguì. «La congrega è stata marchiata», disse. «Ma i cacciatori sanno chi siamo, individualmente?» «Bella domanda», disse Melanie. «In ogni caso, dobbiamo trovare un modo per combatterli». «Giusto», disse Diana. La sua voce recuperò il timbro angelico. «Volevo condividere con voi una cosa molto importante stasera. Prima di tutte queste sorprese». Fissò prima Cassie e poi Faye, rimproverandole con lo sguardo. Poi frugò nella borsa ed estrasse il suo Libro delle ombre. «Ho trovato un incantesimo», disse. «Un incantesimo per distruggere i cacciatori di streghe». «Cosa?», chiese Adam. Sembrava si sentisse oltraggiato per essere stato tenuto all’oscuro di quella scoperta. «Perché non ci hai detto niente prima?» «Non ero sicura che fosse ciò che pensavo», disse Diana in sua difesa. «Il testo era per la maggior parte in latino ed era necessario tradurlo. Ma adesso sono sicura. Ecco perché volevo incontrarvi stasera, per dirlo a tutti contemporaneamente». «Eseguiamo l’incantesimo subito», disse Melanie, con un tono speranzoso, per la prima volta dopo diversi giorni. Diana scosse la testa. «Prima dobbiamo sapere con certezza chi sono i cacciatori». Nick rivolse un’occhiata a Chris e Doug. «Facciamolo sul preside. Siamo abbastanza sicuri». «No». Gli occhi verdi di Diana brillarono. «L’incantesimo funzionerà solo su un vero cacciatore. Se cerchiamo di provarlo su qualcuno che non lo è, non faremo altro che esporci. Per non parlare del fatto che faremmo del male a un innocente». «Wow, che novità», disse Faye. «Abbiamo un incantesimo che non possiamo usare». «Lo useremo». Adam rivolse un’ultima occhiata al simbolo bruciato al suolo. «Quando colpiranno di nuovo. A questo punto, credo possiamo star certi che accadrà». «Ma poi cosa succede?», chiese Melanie. «Se eseguiamo l’incantesimo. I cacciatori moriranno?». Diana esitò. «Non è molto chiaro. Il testo lascia molto spazio all’interpretazione, ma sembra che l’effetto dell’incantesimo dipenda dal cacciatore». «Quindi potrebbero morire», disse Melanie. «Fammi dare un’occhiata». Faye strappò il Libro delle ombre dalle mani di Diana e analizzò la pagina. Mentre i suoi occhi si muovevano avanti e indietro sulla pergamena antica, sembrò trattenere il respiro e indietreggiare incredula al cospetto di quelle parole. «Questo non è un incantesimo», disse Faye. «È una maledizione». Diana fissò lo sguardo a terra. «Sì», disse. «Tecnicamente è una maledizione». All’improvviso Faye fu intorbidita dall’eccitazione. «È simile a un incantesimo di deviazione per rispedire al mittente il potere del cacciatore, ma questo si affida a Ecate. Potrebbe essere…». Non riusciva a trovare la parola giusta. «Pericoloso», disse Diana. «Lo useremo solo come ultima risorsa». Capitolo 16 La pioggia era fine, e nonostante fosse notte, le strade erano piene di persone. Scarlett aveva invitato fuori Cassie quella sera. Ovviamente lei aveva rifiutato, ma desiderò non averlo fatto. Era proprio quello che le serviva per liberare la mente – aveva bisogno di vedere altra gente, qualcuno che non appartenesse al circolo. Decise di guidare fino in città. Anche se non poteva unirsi a gruppi di persone che conducevano le loro vite normali, poteva almeno guardarle da dentro la sua Volkswagen. Ma non era nemmeno arrivata a Bridge Street quando la pioggerellina si tramutò in un nubifragio. Tutti coloro che si trovavano in strada scapparono a rifugiarsi nei negozi e nei ristoranti, alcuni si ripararono sotto androni e nei sottopassaggi. Cassie era asciutta e al sicuro dentro la sua macchina, e si sentì come all’interno di una palla di vetro di quelle con la neve che qualcuno aveva appena agitato, sommersa dalla pioggia gelida da ogni lato ma allo stesso tempo inviolata. E poi all’improvviso si sentì privata di quella sicurezza. Il cuore iniziò a martellarle nel petto e cominciò a sudare. Sentiva di essere seguita, ma non vide nessuna macchina dietro di lei. Continuò a controllare lo specchietto retrovisore, ma non scorse altro che la scura umidità del suo stesso lunotto. Decise di fare comunque una deviazione nella speranza di scrollarsi di dosso quella sensazione. Girando con decisione il volante, si immise in Dodge Street, una strada isolata che l’avrebbe condotta di nuovo a quella principale. Dovette rallentare per affrontare le numerose curve serpeggianti, ma quando spinse sul pedale del freno, il piede esercitò pressione a vuoto. Provò di nuovo e ancora un’altra volta, ma non successe niente. I freni non funzionavano. All’improvviso le sembrò che la macchina accelerasse, un vascello furibondo che la conduceva alla morte. Non poteva fermarlo, e sollevare il piede dal pedale del gas non sarebbe servito a molto. Nel panico, afferrò il volante e cercò di deviare verso il margine della strada, dove forse l’erba avrebbe rallentato la macchina abbastanza da farla fermare. Ma non fu così. L’unica speranza di Cassie era saltare fuori mentre la macchina avanzava a tutta velocità. Afferrò la maniglia dello sportello in preda al terrore e lo aprì con una spinta. Tuttavia, prima che avesse la possibilità di gettarsi fuori, l’auto andò a schiantarsi contro una grande quercia dal tronco imponente. Perse conoscenza per un attimo, o forse più a lungo. Quando aprì gli occhi, vide che era stata sballottata fuori dalla macchina dal parabrezza. Controllò braccia e gambe per vedere se riusciva a muoverle e si tastò il volto in cerca di sangue. Incredibilmente, stava bene. L’auto però era distrutta. Guardandola attraverso la pioggia scura, a Cassie ricordò una lattina schiacciata che si adattava alla forma dell’albero. Era un miracolo che lei fosse illesa. Si alzò lentamente, continuando a guardarsi intorno: si rese conto che la presenza maligna era sparita. Qualunque creatura oscura l’avesse seguita adesso era scomparsa, ma Cassie non riuscì a scrollarsi di dosso la sensazione che quello non era stato un incidente. A quel punto le si riempirono gli occhi di lacrime. Non era un miracolo. Era stato l’incantesimo di protezione a salvarla. Cassie non voleva, ma sapeva di doverlo fare. Si controllò il corpo e i vestiti in cerca di quell’orribile simbolo antico. Le ricordò la ricerca delle tracce di un cervo dopo una giornata nei boschi, solo che in quel caso se avesse trovato ciò che cercava significava che sarebbe morta. Fu sollevata di non trovare nulla. Qualcuno aveva cercato di ucciderla, ma almeno non era stata marchiata. Cassie estrasse il cellulare con mani tremanti per chiamare aiuto. Ma lì fuori in mezzo al nulla il segnale non prendeva. Cadde in preda al panico. Era bloccata lì fuori, come un bersaglio immobile. Non sarebbe mai dovuta uscire da sola, senza dire a nessuno dove stava andando. Era stata ingenua a pensare che i cacciatori non l’avrebbero colpita di nuovo alla prima occasione. Non c’era modo di sfuggire. Cassie non riuscì a smettere di tremare mentre aspettava sotto la pioggia battente, nella speranza che un gentile sconosciuto passasse di lì. Tuttavia ogni suono e ogni ombra la mettevano in allerta, e, quando una macchina metallizzata rallentò per fermarsi davanti a lei, si irrigidì. Poi però riconobbe il volto all’interno. Era Scarlett. «Oh, mio Dio, stai bene?». Scarlett saltò fuori dalla macchina e corse verso Cassie, lasciando lo sportello aperto. «Sei ferita?» «Sto bene», disse Cassie, emettendo un sospiro di sollievo alla vista di un volto familiare. Scarlett la abbracciò, stupita quasi quanto era stata Cassie dopo aver visto la macchina distrutta. «Saresti potuta morire», disse. «E sei bagnata fradicia!». Corse verso il baule della macchina e recuperò un’enorme coperta di lana. La avvolse intorno a Cassie e le sfregò le braccia fino a quando non si riscaldarono. Cassie era troppo terrorizzata dall’incidente per resistere. «Va tutto bene», disse Scarlett, la sua voce era confortevole come la pesante coperta sulle spalle di Cassie. «Ti porto a casa». Il giorno successivo, a scuola parlavano tutti del recente incontro di Cassie con la morte. Per quanto macabro, era come se l’incidente le avesse fatto guadagnare popolarità. Persino Portia Bainbridge si fece strada attraverso il corridoio affollato per dare un’occhiata a Cassie davanti al suo armadietto. Alzò davanti a lei il naso affilato e ridusse a fessure i freddi occhi color nocciola. «Sono così felice che il tuo bel faccino non si sia rovinato quando sei volata fuori dal parabrezza», disse. Un pensiero attraversò la mente di Cassie: era stata Portia a manomettere i freni della macchina, o uno dei suoi testardi fratelli? Ma Portia aveva smesso di intromettersi nelle faccende del circolo dopo aver fallito miseramente l’autunno precedente. Da allora era stata distratta da un nuovo fidanzato e sembrava che pensasse a malapena a qualcos’altro. E i suoi fratelli, Jordan e Logan, erano entrambi al college. Cassie lo avrebbe saputo se fossero tornati sull’isola. In quel momento, Sally Waltman si mise al fianco di Cassie. Più bassa di Portia di tutta la testa, Sally incrociò comunque le braccia con tutta la ferocia di una persona più alta e forte. «Ne ha passate troppe, Portia», disse Sally. «Non ha bisogno anche delle tue molestie». Portia si accigliò. «Non dimenticare da che parte stai, Sally. Non vorrai essere confusa per una di loro, vero? Rischieresti di farti male». «Lascia perdere». Sally trascinò via Portia di forza per il braccio. «Andiamo, faremo tardi», disse, e gettò a Cassie un’occhiata di scuse da sopra la spalla. Che Sally si opponesse a Portia significava molto, soprattutto considerando che in passato era stata una delle più acerrime nemiche del circolo. Visto che la relazione del gruppo con Sally era tanto migliorata, Cassie non capiva perché non potessero accettare altri esterni ben disposti, come Scarlett. Non erano tutti spregevoli come Portia. Perché il circolo non riusciva a capirlo? A pranzo, il gruppo si radunò nel nuovo punto di incontro fra i boschi e mitragliò Cassie di domande. Lei raccontò loro della brutta sensazione che aveva avuto poco prima dell’incidente e del modo in cui i freni non andavano, ma tenne per sé qualche dettaglio. Era esausta, sia dal punto di vista fisico che emotivo, e non sarebbe riuscita a gestire la loro possibile reazione se avesse raccontato che era stata Scarlett ad apparire proprio dopo l’incidente. «Ma c’era qualche indizio su chi potessero essere i cacciatori che hanno fatto questo?», chiese Diana. «No», disse Cassie. «Nessuno». «Ho visto che Portia ti infastidiva davanti all’armadietto questa mattina», osservò Nick. «È stata fuori dal nostro radar troppo a lungo, non mi fido di lei». Diana sembrava dubbiosa. «Non è una cattiva idea considerare Portia e i suoi fratelli come possibili sospetti». «E Sally Waltman», disse Suzan. Diana scosse la testa. «Sally è sempre stata onesta con noi. Di tutti gli esterni, credo sia quella con minori intenzioni di farci del male». «Vi state facendo distrarre», disse Deborah. «Questi cacciatori sono forti. Chiunque siano, non erano mai stati in città prima, o ce ne saremmo accorti». Melanie era d’accordo. «Quel simbolo antico non è stato fatto da nessuno dei nostri compagni di scuola». Adam stava camminando avanti e indietro come faceva sempre quando era nervoso. Non si era calmato un attimo da quando aveva saputo dell’incidente. «Avrei preferito che mi avessi chiamato», disse a Cassie. «Come hai fatto a tornare a casa?». Cassie esitò. Era una domanda semplice. Non era necessaria una pausa così lunga per rispondere, e tutto il gruppo se ne accorse. Adam si irrigidì e si voltò verso Nick con fare accusatorio. «Ti ha chiamato? Sei stato tu ad accompagnarla a casa?». Nick parve colto alla sprovvista dall’accusa di Adam, ma replicò, mettendosi subito sulla difensiva. «No, non mi ha chiamato. Ma vorrei che lo avesse fatto», disse. «Smettetela, tutti e due». Cassie non aveva scelta. Doveva dire loro la verità. «Non ho dovuto chiamare nessuno per farmi venire a prendere». Fece una pausa, senza alcun desiderio di proseguire. Si guardò le scarpe. “Scappa”, pensò. “Scappa via da questo momento terribile”. Ma non c’era nessun posto dove fuggire, e lei lo sapeva. Con tono quasi inudibile disse: «Scarlett è passata di lì per caso con la macchina. È stata lei a portarmi a casa». Adam scosse la tesa e scansò Nick, che a sua volta aveva abbandonato la sua posa aggressiva. Diana si appoggiò all’albero più vicino in cerca di sostegno. Erano tutti senza parole, ma Faye aveva pronte quelle giuste per annunciare ciò che l’intero gruppo stava pensando. «Ma certo», disse. «Scarlett passava di lì per caso e ti ha trovata nel bel mezzo del nulla. Che coincidenza fortunata!». Cassie non poteva sopportarlo. L’ultima persona a cui doveva una spiegazione era Faye. Fece un passo verso di lei con audacia. «Perché avrebbe dovuto aiutarmi se stava cercando di farmi del male?» «Ti stai comportando da stupida», disse Deborah, senza trattenere una traccia di disgusto. «Non può essere stata una coincidenza». «Non si sta comportando da stupida», disse Diana. «Cassie è solo accecata. Vuole vedere il meglio in Scarlett». «Esatto. Che è una cosa stupida», insisté Deborah. «No», disse Cassie. «Scarlett è innocente, lo giuro». Diana corrugò le sopracciglia, compatendola. «Mi dispiace, Cassie. Ma il fatto che Scarlett sapesse dove trovarti la scorsa notte, dopo l’incidente, non può che insospettirci. È la prova che abbiamo cercato per tutto questo tempo». «È il preside», urlò Cassie. «Lo sento nelle ossa». Adam rispose a Cassie in tono cauto e gentile. «Non siamo riusciti a trovare un solo indizio sospetto a proposito del nuovo preside. È pulito, Cassie». Persino Adam non era disposto a prendere le sue parti. Avrebbe potuto cercare di ragionare con lui, con tutti loro, per l’intero pomeriggio, ma era inutile – avevano già deciso di non crederle. Cassie si voltò disperata verso Nick, pensando che se qualcuno avesse potuto sostenerla sarebbe stato lui. Ma il volto di Nick era impassibile, anche lui non aveva nessuna intenzione di opporsi allo stato delle cose. Faye si alzò e si posizionò al centro del gruppo. «Io dico di andare al porto dopo le lezioni e scambiare due parole con Scarlett». «Dovremmo provare la maledizione dei cacciatori su di lei», urlò Deborah. Diana andò al fianco di Faye, incrociò le braccia sul petto e annuì. «Sono d’accordo», disse. «Chi è con noi?». Un gran numero di mani si sollevarono. «Ma dovremmo essere al completo per eseguire l’incantesimo. Altrimenti potrebbe non essere abbastanza forte». Diana fissò Cassie negli occhi. «Quindi siamo al completo oppure no?». Cassie si voltò verso Adam. I suoi occhi erano colmi di amore e desiderio, la incitavano a fidarsi di loro, a fidarsi di lui. E lei voleva fidarsi di Adam, lo voleva davvero. «Cassie», disse Nick. «Se Scarlett non è una cacciatrice, l’incantesimo non funzionerà su di lei. Potrebbe essere la tua occasione per dimostrare che hai ragione». Sorrise con gentilezza, indicando con la testa Diana e Adam. «E che loro hanno torto». «È vero», disse Melanie a Diana. «Se lanciamo la maledizione su Scarlett e lei non è una cacciatrice, scoprirà cosa siamo». «Lo so», fece Diana in tono spavaldo. Cassie sollevò lo sguardo per incrociare quello di Diana. «Sei così sicura», disse, «da essere disposta a esporre il circolo a un’innocua esterna ben’intenzionata». «Sono così sicura». Diana sostenne lo sguardo di Cassie senza rabbia né odio, dimostrando la propria convinzione. «Allora sono con voi», disse Cassie sottovoce, quasi tra sé e sé. «Andremo al porto oggi dopo le lezioni». Capitolo 17 Il gruppo percorse la pittoresca strada lungo la riva di New Salem fino a raggiungere il porto dove lavorava Scarlett. Durante il tragitto, Diana aveva preso Cassie da parte e l’aveva ringraziata per essere andata con loro. Aveva detto che le dispiaceva per come erano andate le cose, ma ne andava della sicurezza del gruppo. Cassie si era costretta a mostrarsi favorevole e aveva detto di aver capito. A cosa serviva scontrarsi con Diana in quel momento? E inoltre, come aveva detto Nick, quell’incontro avrebbe potuto provare una volta per tutte che Scarlett era solo una ragazza normale senza nessuna intenzione di fare del male al circolo. Dopo di che Cassie sarebbe stata libera di essere sua amica. Ascoltando per caso della tregua apparente fra Cassie e Diana, Adam prese la mano di Cassie fra le sue. La stava ancora tenendo stretta quando Diana si rivolse al gruppo. «Il piano è chiaro per tutti?», chiese. I suoi capelli biondi luccicavano alla luce del sole, e il suo atteggiamento era quello di un comandante in capo. Gli occhi di Deborah baluginarono per il desiderio di combattere. «La attiriamo fuori, la circondiamo e poi lanciamo la maledizione dei cacciatori di streghe». «No», Adam corresse Deborah. «La circondiamo e cerchiamo di capire come stanno le cose». «Giusto», disse Diana. «Dovremmo cercare di racimolare più informazioni possibili da lei prima di lanciare la maledizione». Fece una pausa. «Soprattutto dato che non siamo del tutto sicuri di ciò che succederà dopo». Cassie non riusciva a pensare a quella parte. L’unico modo per andare fino in fondo era continuare a credere in Scarlett. «Eccola». Laurel indicò l’uscita laterale del bar Oyster. «Deve essere in pausa». «Perfetto», disse Faye. Era evidente che le ribollisse il sangue per l’eccitazione. Si slanciò in avanti a capo del gruppo, facendo strada. Scarlett li vide arrivare quasi subito. Una qualunque persona con un minimo di buon senso si sarebbe allarmata alla vista di un gruppetto furibondo di dodici membri in avvicinamento, ma Scarlett fece un ampio sorriso e cominciò a salutarli con la mano, agitando l’ossuto braccio a destra e a sinistra come se avesse bisogno di attirare la loro attenzione. «Sta fingendo», disse Faye mentre continuavano l’avanzata. «Non cascateci». Ma non c’era bisogno che Faye lo dicesse. Nessuno di loro esitò o rallentò il passo. Prima che Scarlett potesse anche solo dire “Ciao”, l’avevano circondata. Finalmente iniziò a capire che stava succedendo qualcosa di strano, che era nei guai. «Cosa succede?», chiese girandosi intorno, cercando di individuare Cassie in quel cerchio di corpi ansanti intorno a lei. La scena non avrebbe potuto svolgersi in modo migliore. Erano proprio a fianco del bar Oyster, una zona desolata fatta eccezione per il saltuario garzone diretto al cassone dell’immondizia. Scarlett era in trappola. Nessuno l’avrebbe nemmeno sentita urlare. Solo Cassie poteva salvarla. «Scarlett», disse. «Abbiamo bisogno che tu ci dica la verità, altrimenti potresti farti male. I miei amici pensano che tu abbia qualcosa a che fare con il mio incidente in macchina. Io non ci credo. Ma ho bisogno che tu dimostri loro di essere innocente». Gli occhi rotondi e scuri di Scarlett si ammorbidirono. «È di questo che si tratta? Ma è ovvio che io non c’entro niente». «Che ne dici della casa del faro?». La voce di Diana era severa. Sembrava più una minaccia che una domanda. «Cosa dovrei dire?», chiese Scarlett. «L’hai data alle fiamme», urlò Faye. «Io cosa?». Scarlett iniziò a perdere la calma. «Perché dovrei fare una cosa del genere?». Il suo istinto di sopravvivenza entrò in funzione e Cassie capì che il momento della verità non era lontano. Adam la sollecitò. «Con chi lavori?» «Al bar Oyster?». Scarlett aveva iniziato a tremare, come un gatto randagio messo all’angolo e pronto a colpire. «Rispondi alla domanda», disse Diana. «Con chi lavori?» «Non so di cosa stiate parlando», gridò Scarlett e corse verso Cassie in cerca di aiuto. Il circolo serrò i ranghi, bloccando ogni via di fuga. Ma Faye interpretò l’avvicinamento di Scarlett a Cassie come una minaccia diretta e reagì all’istante. Sollevò le mani e invocò: «Per i poteri di questo circolo, mi appello a Ecate!». Il tempo rallentò per Cassie in quel momento. Riusciva a vedere lo stupore sul volto di Scarlett e la furia negli occhi di Faye. Riusciva a sentire Diana che urlava: «No, non ancora!». Ma non c’era modo di fermare Faye. Sembrò assumere proporzioni gigantesche non appena fece appello a Ecate, come se avesse dato corpo all’oscura dea stessa. Sembrò diventare alta due metri, e i suoi occhi ambrati si annerirono come biglie. Pronunciò la prima parte della maledizione dei cacciatori di streghe con il potere del fulmine. Maledetto sia questo antico cacciatore che male vuole fare, indietro triplicati i tuoi atti maligni dovranno tornare! Il cielo sopra le mani tese di Faye divenne rosso e vorticò in una furibonda spirale di nuvole a forma di imbuto. Lei l’attirò a sé e la plasmò con un tocco delle dita incantate in una sfera di fuoco. Mentre la passava da una mano all’altra, il circolo intonava le parole latine che avevano memorizzato – parole oscure e incomprensibili che capivano a malapena – fino a quando Faye gettò la sfera verso Scarlett come fosse una pietra. Ma Scarlett li colse tutti alla sprovvista. Con un movimento fulmineo afferrò la sfera fiammante tra le mani e la fece esplodere. «Che sia vanificato!», urlò, il classico incantesimo di difesa. In pochi secondi, Faye tornò alla sua normale statura e fu scaraventata al suolo, sul ciglio della strada. L’apertura nel cielo si richiuse e la luce del giorno tornò normale. «Come conosci l’incantesimo di difesa?», chiese Cassie. Ma anche mentre la domanda lasciava le sue labbra, sapeva che c’era un’unica spiegazione possibile. Scarlett non era una cacciatrice. Era una strega, proprio come loro. Deborah e Suzan corsero da Faye per controllare che stesse bene. L’aiutarono a rialzarsi, ma Faye sembrava ancora intontita e tremante. Scarlett si voltò verso Cassie. I suoi occhi scuri erano ancora accesi per l’incantesimo. «Mi dispiace che tu abbia dovuto scoprirlo in questo modo», disse. Adam fece un passo in avanti, sbalordito. «Sei una strega?». Scarlett annuì e si voltò di nuovo verso Cassie. «Volevo dirtelo appena ci siamo incontrate». «Perché non l’hai fatto?», chiese Diana. «Aspettavo il momento giusto», disse Scarlett. «Sei una strega?», chiese Cassie, le stesse parole e lo stesso tono stupito di Adam. «Non sono solo una strega». Scarlett sorrise timidamente. «Sono la tua sorellastra». «Cosa?». Cassie riusciva a malapena a respirare. «Come?» «Abbiamo lo stesso padre», disse. «Black John». Scarlett osservò lo stupore su ciascuno dei loro volti. «Sono venuta in questa città per cercare di sfuggire ai cacciatori, proprio come state facendo voi adesso. A casa mia eravamo state trovate». Si voltò verso Diana, in qualche modo aveva capito che era lei la leader del circolo. «I cacciatori hanno ucciso mia madre», disse. «E mi hanno marchiata. Sono venuta qui per avere la vostra protezione». «Quindi sapevi di noi», disse Melanie. «Sì». Scarlett prese le mani di Cassie fra le sue. «Mia madre è cresciuta in questa città. Ho sempre saputo di avere una sorella e volevo incontrarla». Era quasi più di quanto Cassie potesse sopportare. Il mondo intero iniziò a girare e pensò di stare sognando, ma poi Diana parlò, strappandola al suo stordimento. «Quindi Cassie ha sempre avuto ragione», disse. Posò un’esile mano sulla spalla di Cassie e l’altra su quella di Scarlett. «Ti prego di accettare le mie scuse», fece. «Le nostre scuse. A entrambe. Avremmo dovuto avere più fiducia». «Le accetto», disse Scarlett sorridendo. Ma la voce roca di Faye infranse l’aura sentimentale di quel momento. A quanto pare aveva recuperato le forze. «Come facciamo a sapere che non stai mentendo, Scarlett? Che prove hai a sostegno delle tue affermazioni?». Deborah rispose a nome di Scarlett e del gruppo. «Il fatto che ti abbia mandata gambe all’aria respingendo la tua maledizione», disse, «è stata una prova sufficiente per me». «Anche per me», esclamò Suzan ridendo. Faye sorrise di sghembo. «Volevo dire, come facciamo a essere sicuri che è la sorellastra di Cassie?» «Dice la verità», dichiarò Cassie. «In fondo, penso di averlo sempre saputo». Diana si voltò verso Faye. «Dovremo fidarci di Cassie, mi sembra giunta l’ora. A quanto pare la sua vista non era affatto annebbiata». Uno alla volta, espressero tutti le proprie scuse a Scarlett. Persino Melanie, che aveva voluto credere così tanto che Scarlett fosse la cacciatrice responsabile dell’uccisione della prozia Constance, mise da parte il desiderio di vendetta e le strinse la mano. «Ti abbiamo giudicata male», disse Melanie. «Mi dispiace davvero». Non si poteva certo definire molto, considerato che avevano appena cercato di ucciderla, ma era tutto ciò che potevano dirle. Le scuse erano anche per Cassie. Tuttavia a lei non servivano – aveva avuto ragione. Sapeva che c’era qualcosa tra lei e Scarlett, lo sapeva e basta! Era un sollievo che alla fine la verità fosse venuta a galla. Adam sembrava più sollevato che mai. Si avvicinò a Cassie e la strinse fra le braccia. «Non avrei mai dovuto dubitare di te», disse. «Va tutto bene», fece Cassie. «Vale per la prossima volta». Rispose all’abbraccio di Adam e, nel frattempo, vide Nick che li guardava. Era stato l’unico a crederle quando tutti gli altri erano così sicuri che Scarlett fosse malvagia. Avrebbe dovuto ricordarsi di ringraziarlo più tardi, quando avessero avuto un momento per stare insieme da soli. Capitolo 18 Cassie aveva sempre sognato di avere una sorella, di avere qualcuno con cui confidarsi e condividere segreti, qualcuno che sarebbe sempre rimasto al suo fianco. Lei e Diana avevano promesso di essere come sorelle, dato che entrambe non ne avevano. Ma nell’ultimo periodo il loro accordo non stava funzionando così bene, o almeno non come avevano pensato. Ma adesso aveva una vera sorella. Be’, una sorellastra, ma insomma, Scarlett era reale. Cassie non era più figlia unica. Quella notte, Cassie invitò Scarlett a dormire a casa sua. Sentiva il bisogno di scoprire subito il più possibile su di lei. Non intendeva interrogarla su quanto sapeva di loro padre e dei cacciatori di streghe, anche se ovviamente erano argomenti importanti, voleva parlare di lei. In seguito Scarlett avrebbe avuto tutto il tempo di condividere con il circolo ciò che sapeva dei cacciatori. Ma quella notte era solo per loro. Se lo meritavano. La madre di Cassie era andata a far visita ad alcuni amici a Cape Cod, quindi le ragazze avevano l’intera casa per loro. Cassie era sollevata, perché non era ancora sicura di come affrontare l’argomento Scarlett con sua madre. Come si fa a iniziare una conversazione simile? «Mamma, sai, l’amore della tua vita, quello che poi si è scoperto che era un essere malvagio? Aveva anche un’altra figlia». Soprattutto con una madre come quella di Cassie, che preferiva sempre nascondersi dal passato e fingere che non esistesse. Sua madre avrebbe infilato la testa sotto la sabbia come uno struzzo e avrebbe continuato a vivere in quel modo per sempre se avesse potuto. Scoprire che Cassie aveva una sorellastra, e peggio ancora, che suo marito aveva avuto una figlia da un’altra donna, rischiava di essere più di quanto poteva sopportare. Ci sarebbero voluti ingenti lavori preliminari da parte di Cassie per preparare sua madre a uno shock simile. Ma per quella notte potevano essere solo sorelle. Cassie si sentì subito molto allegra, come se lei e Scarlett stessero cercando di recuperare l’infanzia che non avevano potuto condividere. Per le prime ore, fecero tutte le cose tipiche dei pigiama party. Ordinarono una pizza al salame piccante e risero a squarciagola. Si misero a vicenda uno smalto viola glitterato e ingurgitarono gelato al cioccolato fino a farsi venire il mal di stomaco. Poi si misero entrambe il pigiama, e Scarlett pettinò i capelli di Cassie in due trecce incrociate. Cassie pettinò le lunghe ciocche rosse e selvagge di Scarlett e non poté fare a meno di chiederle: «Se non ti tingessi i capelli, sarebbero del mio stesso colore?» «Sì», rispose Scarlett. «Guarda le nostre sopracciglia, sono della stessa sfumatura castana». «E i nostri nasi hanno la stessa forma». «È vero», disse Scarlett. «Abbiamo lo stesso perfetto naso a patata». «Odi i piselli?», chiese Cassie. «Sì, ma non credo sia genetico». «Ti sbagli». Cassie stava ridacchiando in modo incontrollabile. «Odio i piselli così tanto che di sicuro c’entra il mio DNA». Scarlett scoppiò a ridere. Dormire con Scarlett non era per niente come con Diana. Lei si comportava sempre come una adulta seria. Era raro che si lasciasse andare abbastanza da comportarsi in modo ridicolo. Ma per Scarlett non sembrava essere un problema. Anche se era una strega, non si comportava sempre come tale. E anche se aveva sofferto una tragedia e una perdita intollerabile, non era prigioniera del suo dolore. Per prima cosa, Scarlett era una ragazza che voleva divertirsi, e quella era proprio la ventata di aria fresca di cui Cassie aveva un disperato bisogno. Rimasero sveglie fino a tardi a parlare. Il mondo esterno divenne tranquillo, sonnolento e infine silenzioso, mentre Cassie e Scarlett restavano sveglie a condividere storie. E mentre le ore passavano, la conversazione si fece sempre più profonda. A bassa voce, Scarlett rivelò a Cassie molto a proposito della loro famiglia. «Ho sempre sentito di essere diversa», disse. «Anche prima di sapere di essere una strega». «So cosa vuoi dire, credimi». Cassie si portò le ginocchia al petto. «Non ho mai pensato di essere a casa da nessuna parte. Mi sono sempre sentita strana». «E i sogni e gli incubi», aggiunse Scarlett. Cassie annuì. «Gli incubi soprattutto». «E le cose strane che succedevano ogni volta che mi arrabbiavo». Scarlett sollevò di poco la voce. «È stata quella la scintilla». Cassie annuì con maggior foga. Le somiglianze tra loro erano inspiegabili. Cassie voleva raccontare a Scarlett dell’oscurità che a volte percepiva dentro di sé. Non solo i sentimenti negativi innescati da certe persone, come per esempio il preside, ma quell’altra oscurità. Quella nel profondo del suo essere, la cui esistenza riusciva a malapena ad ammettere a se stessa. Anche Scarlett la percepiva? Temeva che ci fosse un pezzetto malvagio di Black John incastrato nella sua anima, che la infettava come i polmoni cancrenosi di un fumatore? Ma prima che Cassie potesse racimolare il coraggio di fare una domanda simile, il volto rotondo di Scarlett si fece mortalmente serio. «E quando ho toccato l’ematite per la prima volta», disse. «La sensazione nel petto è stata…». «Lo so!», urlò Cassie. «Anche per me!». «È la mia pietra», disse Scarlett. «Anche la mia», disse Cassie. Scarlett sorrise con un’espressione scaltra, come se lo avesse immaginato. «È davvero molto raro, sai. Avere l’ematite come pietra». Cassie si girò per un attimo, sentendosi in imbarazzo. Dovette ricordarsi che non era necessario provare vergogna per il suo legame con Black John, almeno non con Scarlett. Scarlett la osservò con pazienza. «Va tutto bene», disse. «So che è difficile da digerire». “Lo percepisce”, pensò Cassie. Scarlett capiva quanto Cassie fosse mortificata dai suoi segreti più profondi. Quella ragazza sopportava la stessa schiacciante oscurità che dimorava dentro di lei. L’atmosfera fra loro si placò per un attimo, e Cassie capì che quella era la sua occasione per chiedere di loro padre. «È a causa sua», disse. «Che l’ematite è la pietra di entrambe. Giusto?». Scarlett annuì. «Direi che è il motivo più probabile». «Lo conoscevi?», chiese Cassie, senza dover pronunciare il nome di suo padre. Scarlett scosse la testa. «No. Ma mia madre me ne ha parlato. La tua non l’ha fatto?». Cassie arrossì, imbarazzata per le mancanze di sua madre. «Non proprio». «Le nostre mamme sono cresciute insieme», disse Scarlett. «Lo sapevi?». Cassie frugò nella memoria in cerca di un ricordo in cui sua madre parlava di vecchie amiche, ma non trovò nulla. «No», rispose delusa. «Non so molto del passato di mia madre». «Be’, le nostre mamme erano migliori amiche», disse Scarlett come fosse un dato di fatto. «Fino a quando Black John non si è messo fra loro. Tua madre lo ha rubato a mia madre. Ecco perché mamma ha lasciato la città». «Non ne avevo idea». Cassie sentì il cuore che si appesantiva per quella nuova immagine di sua madre, ma anche perché le vennero in mente all’improvviso Diana e Nick, e il modo in cui lei e Adam si erano messi in mezzo. Le cose sarebbero mai tornate come prima? Oppure il loro destino sarebbe stato lo stesso? Scarlett si accorse del cambiamento nell’espressione di Cassie. «Ti ho turbata?», chiese. «Forse è troppo presto per parlare di queste cose». «No, non essere ridicola». Cassie si costrinse a rilassarsi e togliersi di testa Adam e gli altri, almeno per il momento. «Voglio sapere tutto. Non tralasciare niente, per favore». Scarlett strinse le labbra e osservò Cassie con fare scettico. «Abbiamo tutta la vita per conoscerci, sai. Non dobbiamo finire in una notte». Era un pensiero incredibilmente confortante. “Tutta la vita”. Potevano tornare a divertirsi e ridacchiare, per poi riprendere le conversazioni serie il giorno seguente. Ma Cassie aveva aspettato un’occasione simile troppo a lungo per aspettare ancora. Aveva bisogno di sapere la verità, a proposito di tutto. «Continua per favore», disse. «Posso farcela». «Va bene allora». Scarlett prese la mano di Cassie e la strinse, Cassie abbassò lo sguardo e guardò le loro dita intrecciate. Le sembrò quasi di vedere un filo che avvolgeva le loro mani, legandole. “Proprio come il legame tra Adam e me”, pensò Cassie. Lei e Scarlett erano legate. Erano destinate. Ecco spiegato tutto ciò che aveva sentito per lei dal primo momento in cui l’aveva vista, il modo in cui era stata disposta a opporsi all’intero circolo per difenderla e proteggerla. Anche se Scarlett lo vide, non ne fece parola. Continuò a parlare come prima, mentre massaggiava la mano di Cassie nella sua. «Non dimenticherò mai il giorno in cui mia madre mi ha detto che avevo una sorella», disse Scarlett. «Per me è cambiato tutto. Sapevo che un giorno ti avrei trovata. E infatti, avevo ragione». Aspettò un momento per leggere l’espressione di Cassie e poi aggiunse: «Non capisco perché tua madre non te l’abbia mai detto». All’improvviso Cassie si sentì strappata a un nuovo livello di consapevolezza. Tirò via la mano. «Aspetta un minuto. Mia madre sapeva di te?» «Certo che lo sapeva». La voce di Scarlett conteneva una debole traccia di sdegno. «Erano ancora tutti a New Salem quando siamo nate». Cassie ripensò alla conversazione avuta di recente con la madre. Come l’aveva guardata negli occhi giurando di aver detto a Cassie tutta la verità su suo padre. «Mi faceva impazzire il fatto di essere tutta sua, e che lui fosse tutto mio», aveva detto, ma era una bugia. Sua madre sapeva che stava con un’altra. «Come ha potuto non dirmi che avevo una sorella?», disse Cassie ad alta voce. Quella era una nuova barriera spuntata tra lei e sua madre, e al momento, sembrava insormontabile. Tutta la sua infanzia e l’adolescenza erano state intralciate da menzogne – la verità era venuta a galla quando si erano trasferite a New Salem, e Cassie aveva scoperto di essere una strega. Ma aveva accettato che sua madre l’avesse tenuta all’oscuro per proteggerla. Ora però si rendeva conto che anche la loro conversazione più recente era stata corrotta dall’inganno. In quello stesso momento, sua madre le stava ancora mentendo. Cassie non si era mai sentita più lontana da lei. «Avrebbe dovuto dirtelo», proseguì Scarlett. «Mi chiedo cos’altro ti abbia tenuto nascosto». Cassie si rese conto che Scarlett aveva assolutamente ragione. Se sua madre poteva mentirle a proposito dell’esistenza di una sorella, poteva mentire su tutto. E se le stava tenendo dei segreti, allora anche Cassie lo avrebbe fatto. In quel momento decise di non dirle nulla del suo incontro con Scarlett. Sua madre non meritava onestà. Non se l’era guadagnata. Per fortuna adesso Cassie aveva una sorella e sarebbe stato tutto diverso. Sarebbe stato tutto migliore. Se anche avessero dovuto affrontare il resto del mondo da sole, ce l’avrebbero fatta. Sarebbero state inseparabili, quella era l’unica cosa di cui Cassie poteva essere sicura al momento. «Scarlett», disse, sentendo il cuore che straripava di amore e affetto, «adesso che sei qui, mi sento finalmente a casa». «Anche io». Gli occhi scuri di Scarlett luccicarono. «Non sono mai stata più sicura di niente», disse. «Questo è il luogo a cui appartengo». Capitolo 19 «Vuoi un latte macchiato o un cappuccino?», le chiese Adam dall’inizio della fila al bancone del caffè. «Sorprendimi», disse Cassie, poi lo osservò interagire con il barista, fare il suo ordine e contare i soldi. Cassie finse di non conoscerlo per un attimo e immaginò che fosse uno sconosciuto incontrato per la prima volta. Osservò la mascella definita e le spalle larghe, i suoi ricci ramati. “Sì”, pensò tra sé e sé. Sarebbe amore a prima vista ancora una volta. Le cose tra Cassie e Adam avevano subito una svolta. Gli ultimi giorni dopo il confronto con Scarlett al porto erano stati romantici ed emozionanti, proprio come i primi della loro relazione. Quando lui la baciava, Cassie era attraversata da quel fremito familiare di piacere ed eccitazione, sentiva di provare per lui un amore assoluto, totale, e sapeva che per lui era lo stesso. Da quando avevano scoperto la verità su Scarlett, Adam era tornato a essere Adam, e Cassie era tornata a essere Cassie, ma più felice e sicura. Adam tornò al loro tavolo, posando un caffè freddo sormontato da panna montata e un gigantesco biscotto al cioccolato. «Avevi detto di sorprenderti», disse. «Stai cercando di drogarmi di zuccheri». «È così che ti preferisco». Infilò il dito nella panna montata per assaggiarla. Cassie lanciò un’occhiata alla porta, ma la ragazza che entrò non era Scarlett. Adam rise. «È solo in ritardo di qualche minuto, rilassati». «Lo so». Cassie ruppe un pezzetto di biscotto e se lo infilò in bocca, mentre Adam assaggiò di nuovo la panna montata. Lei distolse lo sguardo, perché non voleva essere beccata a fissarlo mentre se la leccava via dal dito. «Dovrei lasciarti solo con il mio caffè freddo?», chiese. Adam arrossì, spingendo la bevanda più vicino a Cassie e fuori dalla sua portata. Poi si pulì la bocca con un fazzoletto e cercò di essere serio. «Sono così felice per te», disse. «Scarlett è davvero fantastica. È evidente che siate imparentate». «Avevo cercato di dirtelo», disse Cassie. «Lo so. E non sono mai stato più felice di ammettere di essermi sbagliato». «Be’, puoi dirlo a Scarlett di persona, sempre che arrivi». Cassie lanciò di nuovo un’occhiata alla porta e poi bevve un sorso di caffè. «Inizio a preoccuparmi. Adesso la chiamo». Ma Scarlett non rispose al telefono, e Cassie iniziò a preoccuparsi ancora di più. «Ho una brutta sensazione», disse. Sapeva che se avesse usato quelle parole, Adam l’avrebbe presa sul serio. «Allora dovremmo andare al bed and breakfast e vedere se è lì». Adam si alzò in piedi senza perdere tempo. Era proprio quello che Cassie sperava che lui le suggerisse. A volte la sua prevedibilità era la cosa che preferiva. Il bed and breakfast dove alloggiava Scarlett era un edificio georgiano proprio dietro Old Town Square. Era uno dei bed and breakfast storici più belli di New Salem, gestito da un signore che Cassie conosceva di vista. Si era abituata a vederlo portare a spasso i suoi tre volpini in città. Qualche volta si era chinata per accarezzare uno dei cani, ma non aveva mai parlato più di tanto con quell’uomo. Fu lui a rispondere alla porta quando arrivarono, mentre i cani abbaiavano e gli saltavano intorno ai piedi. Cassie presentò lei e Adam mentre l’uomo ordinava ai cani di fare silenzio. Una volta dentro, indugiò un attimo prima di dire: «Mi dispiace disturbarla, ma mia sorella, Scarlett, ha una stanza qui. Ci chiedevamo se è in casa». Era la prima volta che Cassie pronunciava quelle parole, “mia sorella”. Era una sensazione inebriante, ma allo stesso tempo sconosciuta, come se stesse dicendo una bugia. L’uomo annuì e si sfregò la barba grigia e incolta sul mento. «Sì, sì, Scarlett, quella con i capelli strani», disse. «Allora è qui?», Cassie si sentì sollevata per un attimo. «No», rispose. «Non la vedo da ieri». Adam si accorse del panico nello sguardo di Cassie e insisté per avere altre informazioni. «Ne è sicuro? Non è tornata la notte scorsa, nemmeno per dormire?» «No, non è tornata», disse l’uomo, raddrizzando la postura. «Ma non sono affari vostri. Una ragazza ha diritto alla sua privacy». Il suo sguardo passò da Adam a Cassie, poi sollevò le sopracciglia bianche. «Mi dispiace, ma dovrò chiedervi di andarvene. Non posso fornire informazioni sui miei ospiti a due sconosciuti». «Ovviamente», disse Adam. «Capiamo. Grazie per il suo aiuto». Lasciò un numero di telefono dove avrebbe potuto avvisarli in caso Scarlett fosse tornata, o se avesse scoperto qualcosa dei suoi spostamenti. Tornati in macchina, Cassie si voltò verso di lui. «Adesso sono davvero preoccupata. Cosa dovremmo fare?». Adam si concentrò sulla guida. «Penso che dovremmo aspettare ancora un po’», disse con calma. «Non siamo sicuri che sia in pericolo. Potrebbe essere solo in giro». «In giro?», Cassie era spazientita. «Se fosse in giro, allora si sarebbe fatta vedere al caffè quando avrebbe dovuto, o almeno avrebbe risposto al telefono». «Cassie». Adam scelse le parole con cura. «Cerca di ricordare che non sappiamo poi molto di Scarlett. Potrebbe essere andata a trovare degli amici e aver dimenticato di chiamarti». «Quindi pensi che potrebbe dar buca alla sua nuova sorella?» «Non è quello che sto dicendo». «Pensi che sia una persona inaffidabile», disse Cassie. «Solo perché non è seriosa come tutti voi». «Come tutti voi?». Adam strinse il volante e frenò di botto. «Intendi noi, il circolo? Perché continui a insistere a considerarti diversa? Non capisco, Cassie». Cassie stava provando troppe emozioni in una volta per riuscire a comprenderle. Ma eccoli di nuovo lì, ad affrontare la stessa, infinita discussione. Era stufa del fatto che Adam cercasse sempre di analizzare in modo razionale i suoi veri sentimenti. «Non mi sto considerando diversa», disse. «Ma non so cos’altro ti serva per accettare del tutto Scarlett. È mia sorella, Adam». «Lo so», disse lui, proseguendo lungo Crowhaven Road verso casa di Cassie. «Non volevo dire niente suggerendo che potrebbe non essere nei guai. Hai visto quanto in fretta sei saltata a una simile conclusione?». Cassie non voleva ammetterlo, ma se ne era resa conto. Rimase in silenzio fino a quando non raggiunsero casa sua. «Presumo di essere solo scossa», disse infine. «Facciamo passare la notte», fece Adam. «Se non riesci a contattarla, ti prometto che convincerò il gruppo a cercarla domattina». «Va bene». Cassie si sporse per dare a Adam un bacio sulla guancia, ma non lo invitò a entrare. Quella notte Cassie fece un sogno. Un minuto prima era sulla spiaggia, ad abbronzarsi sotto il sole estivo mentre il rumore dei gabbiani e dell’oceano le riempiva le orecchie, e quello dopo sentì un urlo. Era un urlo agghiacciante, una richiesta d’aiuto, simile a quello di Melanie la notte in cui Constance era stata uccisa alla festa. Nel sogno, Cassie apriva gli occhi e scopriva di non essere più su una spiaggia soleggiata, ma in un campo o in una radura, di notte. E il cielo sopra di lei si era fatto fangoso, come un corso d’acqua inquinato. La richiesta di aiuto divenne più insistente. Cassie pensò che provenisse da una casa in lontananza. Era senza dubbio la voce di Scarlett, ma lei non poteva raggiungerla. In realtà, non poteva proprio muoversi. «Scarlett!», urlò Cassie, ancora nel sogno. «Riesco a sentirti!». Era tutto così vivido che era sicura fosse reale. «Il legame ha funzionato», rispose Scarlett, sollevata ma ancora terrorizzata. «Dove sei?», chiese Cassie. «Non lo so! I cacciatori mi tengono prigioniera. Mi stanno torturando per studiare i miei poteri. Aiutami, ti prego!». «Cerca di restare calma», disse Cassie. «Pensaci bene, c’è qualche indizio che possa farmi capire dove ti trovi?» «Aiutami, Cassie. Sbrigati, per favore. Credo che mi uccideranno presto». «No!». Cassie la stava perdendo. Il legame stava svanendo. «Scarlett, riesci a sentirmi? Ti prometto che ti troveremo in qualche modo. Scarlett? Ehi? Resisti. Ti salveremo!». Cassie si mise a sedere sul letto, stupefatta. Era completamente sveglia, nella sua camera da letto, da sola. I suoi mobili di mogano la guardavano. Riusciva a sentire sua madre che russava in fondo al corridoio. Era tutto come doveva essere. Erano le tre del mattino. Adam aveva detto di lasciar passare la notte. Ma se Scarlett non avesse resistito fino al mattino? Doveva chiamarlo. Tremando, compose il numero di Adam, e nel momento stesso in cui rispose, disse: «Scarlett è stata rapita». Adam aveva una voce impastata e confusa. «Cosa?» «L’ho sognato. Ma non era un sogno. È venuta da me, Adam. Abbiamo comunicato». «Ne sei sicura?» «Non sono mai stata più sicura in vita mia. Sono i cacciatori. L’hanno presa». «Va bene». Adam si schiarì la gola. «Chiamerò gli altri. Dove ci incontriamo?» «Dietro casa mia, sulla scogliera. Non possiamo rischiare di svegliare mia madre». «Ok. Arrivo subito». «Adam, ancora una cosa». Cassie riusciva a malapena a esprimere quanto gli fosse grata della sua presenza in un momento come quello. «Ti amo». Poteva quasi sentirlo sorridere. «Anch’io ti amo», le disse. Capitolo 20 Faye, Deborah e Suzan furono le ultime ad arrivare sulla scogliera. Barcollarono verso gli altri, scarmigliate e con lo sguardo offuscato, e decisamente vestite in modo inadeguato per il gelo che precedeva l’alba. «Erano fuori a divertirsi», disse Adam quando le vide arrivare. «E sembra che non abbiano avuto il tempo di riprendersi». «Allora qual è l’emergenza?», gridò Faye a voce troppo alta. «Spero proprio che sia grave. Avete idea di che ore sono?» «Cos’hai che non va?», chiese Melanie. Faye scoppiò a ridere e diede una pacca a Melanie sulla spalla. «Tu e Laurel non siete le uniche interessate all’erbologia». Estrasse un contagocce dalla tasca. «Vuoi provare? È tutto naturale». Il volto di Melanie si indurì. «Non è il momento», disse. «I cacciatori hanno preso Scarlett». Faye rimise il contagocce in tasca. «Allora presumo sia un no». Cassie scelse di ignorare Faye, Deborah e Suzan e si rivolse solo agli altri, che erano in grado di prestarle attenzione. «Scarlett non sa dove si trova», disse Cassie, «ma è terrorizzata e pensa che vogliano ucciderla». Continuò a descrivere il sogno nei minimi dettagli, il modo in cui i cacciatori tenevano Scarlett prigioniera, la torturavano e studiavano i suoi poteri, e il fatto che aveva implorato Cassie di andare a salvarla. «Cosa dovremmo fare?», Adam indirizzò la domanda a Diana, ma fu Cassie a rispondere. «Dobbiamo scoprire dove la tengono», disse. «Possiamo usare l’incantesimo di localizzazione che ci ha insegnato Constance». «Sì!», disse Faye, sollevando lo sguardo alla luna come se le stesse parlando. «Si torna a usare la magia!». «Non così in fretta». Diana strinse le labbra. «Dobbiamo pensarci attentamente». «Guastafeste», disse Faye. «Quello che abbiamo fatto al porto è stata un’eccezione», disse Diana in torno fermo. «Usare la magia ci mette ancora in pericolo. E se questo fosse un trucco per aiutare i cacciatori a capire chi siamo?» «Non mi interessa», sbottò Cassie. Tutti si voltarono nella sua direzione, sbalorditi dal suo scatto. «Mia sorella è in pericolo», continuò Cassie, rifiutando di sentirsi scoraggiata. «Ne vale la pena». Deborah fu la prima a interrompere il silenzio con una sonora risata. «Non sei tu a dover decidere, principessa». Cassie provò di nuovo l’istinto di urlare, ma si trattenne e disse semplicemente: «In qualità di una delle leader di questo circolo, in parte sono io a dover decidere». «Quando riuscirai a capirlo?», urlò Faye. «Non puoi mettere i tuoi capricci davanti al circolo». «Questo non è un capriccio, Faye», disse Cassie. «Stanno torturando Scarlett. Forse la uccideranno». «Ma a te sta bene se ci facciamo uccidere tutti mentre cerchiamo di salvarla». Faye voltò le spalle a Cassie con fare sprezzante, spostando con la mano i suoi capelli nero corvino. «Ti stai comportando da egoista». «Proprio tu parli di egoismo», ribatté Cassie. «C’è forse qualcuno più egoista di te?» «Va bene. Basta così». Diana alzò la sua voce cristallina e soverchiante esigendo silenzio. Adam posò la mano sulla schiena di Cassie per calmarla. «Deve esserci un modo per eseguire l’incantesimo di localizzazione senza che i cacciatori lo traccino». Rimasero tutti in silenzio per un attimo a pensare, ma Cassie non riusciva a capire tutto quel bisogno di riflettere. Fu invasa da una sensazione di calore, non dall’esterno – la scogliera era fresca e ventosa – ma dal profondo delle sue viscere, dove covava una furia ribollente. “Non c’è modo”, pensò tra sé e sé. Avrebbe dovuto trovare Scarlett da sola. Poi Adam balzò in piedi dal ciocco su cui era seduto. «Possiamo farlo in un posto affollato», disse. Non rispose nessuno, ma il volto di Adam era illuminato da un’espressione soddisfatta e aveva il respiro pesante. «Non capite?», disse. «Se lo facciamo dove ci sono tante persone, i cacciatori faranno più fatica a decifrare la fonte della magia». «Questa sì che è un’idea brillante, amico mio», disse Chris, battendo il cinque con Adam. Gli occhi grigi di Melanie si spalancarono. «Potrebbe funzionare. Potremmo farlo durante un evento scolastico». «Sotto gli spalti», gridò Laurel. «Durante la gara di atletica oggi, dopo la scuola». Cassie si gettò con slancio su Adam e lo strinse forte tra le braccia. «Ecco perché ti amo», disse. «Hai sempre le idee migliori». Gli occhi di Adam irradiavano un’affascinante luce blu. «È per questo?». Scoppiò a ridere. «Va bene, quindi questo è il piano. Eseguiremo l’incantesimo di localizzazione oggi pomeriggio». «Dovremmo comunque fare una votazione», disse Diana in tono brusco. Faye fece un sorrisetto. «Bel modo di rovinare il momento, cara Diana». «Mi sembra giusto che tutti dicano come la pensano», insisté Diana. «E dovremmo anche tenere a mente che localizzare Scarlett è solo metà del problema». Si fermò per guardare Cassie. «Quello che decideremo di fare da quel momento richiederà un’altra votazione». Cassie le urlò contro, incapace di fermarsi. «Non capisci che la uccideranno? Lei è la mia famiglia. Non significa niente per te?». Diana dischiuse le labbra, ma non ne uscì alcun suono. Scrutò Cassie negli occhi, come se stesse cercando qualcosa che aveva perso. La rabbia di Cassie non era indirizzata solo a Diana, anche se così pareva. Le aveva quasi urlato in faccia. Non era il modo di comportarsi, ma per come la vedeva Cassie, quello non era il momento di pensare a fredde statistiche e strategie meticolose. Non quando la vita di Scarlett era in pericolo. Diana fissò Cassie per un altro momento carico di sorpresa e silenzio prima di distogliere lo sguardo. «Stiamo pensando troppo», disse. «Non abbiamo nessuna garanzia che l’incantesimo di localizzazione funzioni». Adam si affiancò a Cassie e la cinse con il braccio. «Ma proveremo a usarlo. Siamo tutti d’accordo?». Tutti annuirono. Adam era così buono con lei, ed era già qualcosa che il gruppo fosse disposto a provare l’incantesimo, ma Cassie non si sentì del tutto consolata. Votazioni e strategie stavano facendo perdere loro troppo tempo. Di quel passo, non sarebbero mai arrivati in tempo da Scarlett. Capitolo 21 Cassie tornò a casa durante la pausa pranzo per ripassare tutti gli appunti dell’incantesimo di localizzazione che Constance aveva insegnato loro. Dato che non lo aveva mai davvero eseguito, i dettagli del funzionamento erano confusi nella sua memoria. Gli appunti erano contenuti in poche pagine, ma da quello che riusciva a capire Cassie, l’incantesimo era pensato per ritrovare oggetti smarriti. Non c’era scritto da nessuna parte che sarebbe stato possibile usare l’incantesimo per ritrovare una persona. Proprio in quel momento sentì qualcuno che bussava alla porta d’ingresso. Era Adam, avrebbe dovuto saperlo. «Immaginavo che ti avrei trovata qui», disse, seguendo Cassie in camera da letto. «Non sto evitando il circolo», disse. «Volevo fare qualche ricerca». «Lo so. E comunque sei fuori pericolo – sono tornati tutti a casa a radunare materiale per l’incantesimo». Si fece cadere sul letto di Cassie, facendole segno di raggiungerlo. Pensava davvero che fosse il momento giusto per pomiciare? Cassie si sedette accanto a lui, con gli appunti stretti in mano. «Questo incantesimo di localizzazione funzionerà davvero per una persona?», gli chiese. «Non mi ero resa conto che in realtà servisse per ritrovare cose come le chiavi della macchina». Adam tolse gli appunti dalle mani di Cassie e li posò sul comodino. «Potrebbe non funzionare», disse. «Ma magari funzionerà. Questi incantesimi possono essere usati per ritrovare le persone se le persone in questione vogliono davvero essere ritrovate». Cassie sentì le spalle che si rilassavano un poco. Non c’era dubbio che Scarlett volesse essere trovata. «Ma se i cacciatori non volessero farcela trovare?», chiese. Adam corrugò le sopracciglia con fare compassionevole. «Be’, potrebbe essere un problema. Ma secondo me i cacciatori vogliono essere trovati, perché vogliono che andiamo da loro». Poi i suoi occhi si riempirono di rimorso. «C’è un motivo se stanno tenendo Scarlett in vita, Cassie. Altrimenti l’avrebbero uccisa subito. La troveremo. Te lo prometto». Cassie sapeva che Adam aveva ragione. Gli diede un bacio leggero sulla guancia. «Non so come farei a sopportare tutto questo senza di te». «Per fortuna non devi», disse, mentre si sporgeva per un bacio. Solo per un momento, il mondo sembrò di nuovo avere un senso. Dopo la scuola quel pomeriggio, il circolo si riunì sotto gli spalti proprio prima che iniziassero le finali delle gare di atletica. Ma Faye non si trovava da nessuna parte. Perlustrando gli spalti per cercarla, Cassie e Laurel non furono sorprese di non trovarla sola. La folla aveva riempito gli spazi ai lati di Faye e Max, ma loro non se ne erano accorti. Max le stava baciando il collo, mentre lei gli faceva scorrere le unghie lungo il torace e gli strattonava i jeans come un animale famelico. «Altro che stargli alla larga», disse Laurel. «Ma presumo che dopo aver eseguito l’incantesimo d’amore non potesse essere altrimenti». Cassie annuì. «Ma Faye non è vittima dell’incantesimo, quindi qual è la sua scusa?» «Lei è Faye», disse Laurel. Cassie si accorse che Portia stava camminando verso di loro, o per meglio dire marciando verso di loro, con indosso una camicetta a collo alto dello stesso colore dei suoi capelli biondi. «Ecco che arrivano i guai», disse Cassie. «Potreste dire alla vostra disgustosa amica di trovarsi una stanza?», urlò Portia. «Questa è una gara di atletica, non un film a luci rosse». Laurel ridacchiò. «Portia ha ragione. Penso che stiano spaventando dei bambini innocenti». Si voltò verso Cassie. «Vuoi andare tu a risvegliarli con l’acqua fredda o ci penso io?». Portia fece un mezzo sorriso. «Grazie, Laurel. Ho sempre saputo che eri la più coscienziosa del vostro gruppetto». Poi rivolgendo un’occhiata a Cassie aggiunse: «Anche se gli standard sono piuttosto bassi». «Me ne occupo io», disse Cassie, che aveva già cominciato ad allontanarsi. Ogni scusa era buona per sfuggire a Portia. Laurel e Portia continuarono a parlare per qualche minuto, mentre Cassie faceva del suo meglio per staccare Faye da Max. «No», piagnucolò Max. «Dove la stai portando?». Tutto il sangue freddo gli era stato succhiato via. «Dille ciao, Max», insisté Cassie. «Adesso Faye deve andare». Faye si divincolò per tastarlo un’ultima volta prima di essere trascinata via. Gli passò le dita sul volto scolpito. «Fai il bravo e resta qui», disse. «E dopo sarai ricompensato». I tratti decisi di Max si ammorbidirono di gioia infantile. «Lo prometti?», chiese. Faye gli gettò un bacio in risposta mentre Cassie la trascinava lungo gli spalti. Quando furono a distanza di sicurezza da lui, Cassie scosse la testa. «Non riesco a credere che sia la stessa persona». Faye sorrise. «Se lo vedessi senza maglia addosso ci crederesti». Sotto gli spalti, il circolo aveva quasi finito di preparare l’incantesimo di localizzazione. Suzan e Sean conficcarono le candele al suolo: una a nord, una a sud, una a est e una a ovest. Nick accese gli stoppini con il suo accendino di ottone. Melanie diede un colpetto sulla spalla di Cassie. «Scusami», disse, facendola scansare di lato. «Devo accendere l’incenso». «Non sentiranno l’odore?», chiese Cassie, riferendosi agli spalti affollati sopra di loro. «No», rispose Melanie, mentre purificava l’energia del suolo. «È solo gelsomino. Al massimo penseranno che qualcuno stia fumando qualcosa». «Siamo tutti pronti a iniziare?», chiese Diana rivolgendo lo sguardo a Cassie. Aveva preso Cassie da parte dopo la lezione di chimica per chiarire la situazione. Aveva cercato di spiegarle la sua posizione, il fatto che volesse salvare Scarlett quanto lei, ma che doveva bilanciare quel desiderio con il senso di responsabilità nei confronti del circolo. «Non è una cosa personale», aveva detto. Cassie le aveva assicurato di aver capito. Ma era personale. Era quello che nessuno sembrava voler capire. Per Cassie la situazione era molto personale. Il rumore dei loro compagni di scuola che facevano il tifo dall’alto indicò l’inizio della gara di atletica. «Siamo pronti più che mai», disse Laurel. Il gruppo sedette in cerchio intorno alle candele come li istruì Diana. Poi quest’ultima posò un calice d’acqua all’interno. «Evocate tutti l’elemento dell’Acqua», disse. Cassie fissò il calice, immaginando che contenesse un oceano intero, così blu, freddo e profondo che se avesse cercato di toccarne il fondo con le dita non ci sarebbe mai riuscita. «Potere dell’Acqua, io ti invoco», disse Diana. E poi, tutti insieme ripeterono a bassa voce l’incantesimo per quattro volte. Ciò che è perso venga ritrovato, il luogo dove è nascosto sia rivelato. Fissarono il calice mentre Diana diceva: «Che l’acqua ci mostri la posizione di Scarlett». All’inizio non videro niente, solo normalissima acqua contenuta in un bel calice. La folla sopra di loro gridò e si alzò in piedi, e l’acqua si mosse. Ci volle qualche secondo prima che tornasse immobile, ma quando lo fece, Cassie si accorse che il suo stesso riflesso nell’acqua stava diventando più pronunciato. La forma del suo volto, gli occhi tondi e la bocca imbronciata assunsero una definizione cristallina. Quanto appariva spaventata e disperata persino a se stessa! Presto però quell’immagine svanì e ne emerse un’altra, di eguale definizione. Era una casa fatiscente – la stessa del suo sogno, con la differenza che adesso poteva davvero vederla e non solo percepirla. Si trattava di un cottage diroccato sulla spiaggia, in quello che Cassie riconobbe essere lo stile di Cape Cod. Era alla fine di una strada sabbiosa, lunga e desolata, con una vasta distesa d’acqua da una parte e paludi soggette a maree dall’altra. “Conosco questo posto”, pensò Cassie, ma nel momento successivo, il riflesso si trasformò in qualcos’altro. Cos’era? L’immagine si stava formando lentamente, ma lei avrebbe potuto giurare fosse una forma di pane. Poi la forma si separò in fette. Forse era solo affamata, perché con la stessa velocità con cui si era delineata, quella figura si plasmò in qualcos’altro: il volto di un uomo che sembrava appartenere al XIX secolo. Aveva sopracciglia cespugliose, folti baffi e indossava una camicia dal colletto alto. Cassie era sicura di conoscerlo, ma da dove veniva? E poi finalmente l’immagine cambiò un’ultima volta – e divenne un numero. Apparve solo per un secondo, quasi troppo in fretta per essere visto, ma era un 48. A Cassie apparve come una pallina bianca numerata estratta per la lotteria. Poi l’acqua si scurì e tornò immobile. «Credo che Scarlett sia a Cape Cod», disse Cassie, osservando gli altri per avere una conferma. «Sì», annuì Adam. «Nella città di Sandwich. Si trova al margine settentrionale di Cape Cod». Cassie rise tra sé e sé. Ovvio. Perché non ci aveva pensato? «Ma chi era quell’uomo?», chiese. «So di averlo già visto», disse Diana. E a quel punto fu Melanie a scoppiare a ridere. «Ho appena letto La lettera scarlatta», disse. «Quello era Nathaniel Hawthorne». «Forse era un indizio per il nome di una strada», suggerì Laurel. «Molte strade dei dintorni prendono il nome da vecchi scrittori». «Quarantotto», disse Adam, inserendo il numero nel cellulare. «Al numero 48 di Hawthorne Street», ecco dov’era. «Be’, cosa stiamo aspettando?», chiese Nick. «Andiamo a prenderla». «Non possiamo», disse Diana con decisione. «Cape Cod è fuori dalla portata dell’incantesimo di protezione. È troppo pericoloso». Melanie, percependo che Cassie stava per esplodere, diede man forte a Diana. «Ci serve tutto il potere di cui possiamo disporre se vogliamo sperare di sconfiggere i cacciatori», disse. «Dovremmo aspettare di combatterli a New Salem, al sicuro dell’incantesimo di protezione». «Sono stanca di aspettare», disse Cassie. «Non possiamo contare sul fatto che i cacciatori risparmino Scarlett ancora a lungo». Prima che chiunque avesse l’occasione di rispondere, dagli spalti sopra di loro provenne un urlo da gelare il sangue nelle vene. Si resero subito conto che non era il tipo di urlo che si sentiva di solito a una gara di atletica. Era un suono raccapricciante, di dolore, stupore e orrore combinati insieme. Era un suono carico di morte. Cassie e gli altri corsero fuori a vedere cosa era successo, ma quando emersero furono circondati dal caos totale. Si sforzarono di aguzzare la vista oltre la folla impazzita di studenti spaventati e genitori e insegnanti agitati. «C’è uno studente a terra sugli spalti», disse Adam. Cassie scorse una testa di capelli color paglia e capì subito chi era. Portia Bainbridge. E si trovava proprio sopra il punto in cui il circolo aveva eseguito l’incantesimo. «È caduta», disse qualcuno della squadra di atletica. Laurel sgomitò fra la folla per controllare che Portia fosse ancora viva. Si inginocchiò sul corpo chiamandola per nome e cercando il battito. Ma era inutile. Portia era morta – rigida al suolo e senza vita come era stata Constance la notte della festa di primavera. E ancor peggio, sebbene Cassie desiderasse più di ogni altra cosa non averlo visto, sulla camicia di Portia, proprio nel punto in cui il suo cuore avrebbe dovuto battere, brillava debole il simbolo dei cacciatori. Cassie non ebbe bisogno di chiedere agli altri se anche loro riuscivano a vederlo questa volta. Capì dai loro volti sconvolti che era così. «Dobbiamo andarcene di qui», disse Melanie con espressione spettrale. «Adesso», comandò Diana. «Tutti a casa mia». Sparpagliati nel soggiorno di Diana, i membri del circolo cercarono di riorganizzarsi. Ma erano ancora sbigottiti dalla sconvolgente morte di Portia. L’avevano scampata bella. Adam stava camminando avanti e indietro sul tappeto fatto all’uncinetto, mangiandosi le unghie. «Non capite cosa significa?», disse. «I cacciatori hanno ucciso un’esterna, pensando che la fonte della magia provenisse da lei. Quindi non sanno ancora chi sono le streghe». «Non sanno ancora che si tratta di noi», gli fece eco Faye dal punto del divano di Diana, su cui era seduta. «Dopo tutto questo tempo. Ve lo avevo detto». La sua voce celava una traccia di trionfo. Laurel rabbrividì per la mancanza di sensibilità di Faye. «Ma abbiamo pagato un prezzo enorme per scoprirlo, non trovate? Portia è morta». «Oh, sì, ci siamo sporcati le mani con altro sangue degli esterni», disse Faye in tono derisorio. Suzan scartò una barretta che aveva estratto dalla borsa e ne addentò un pezzo. «Stavo finalmente iniziando a non odiare Portia. E adesso è morta per colpa nostra», borbottò con la bocca piena. «Non è stata colpa nostra», disse Deborah. «Non avevamo modo di sapere che sarebbe successo». Melanie non era d’accordo. «Sapevamo che eseguire un incantesimo potente come quello era un rischio e abbiamo deciso di correrlo volontariamente. Portia sarebbe ancora viva se non lo avessimo fatto». Fino a quel momento Cassie era rimasta in silenzio. Era ovvio che si sentisse responsabile per ciò che era successo a Portia, ma in quel momento non c’era tempo di crogiolarsi nel dolore. Prese il controllo della situazione, sperando di indirizzare la paura e la rabbia del gruppo, persino la colpa, verso il compito che si prospettava davanti a loro. «Sono scossa quanto tutti voi», annunciò Cassie. «Ma questa è la prova che i cacciatori sono forti e si stanno avvicinando. E Scarlett è ancora prigioniera in una baracca di Cape Cod, e mentre parliamo subisce delle torture. Dobbiamo agire in fretta prima che lo stesso destino di Portia si abbatta su di lei». Diana iniziò a scuotere la testa ancor prima che Cassie avesse finito la frase. «Mi dispiace, Cassie, ma non possiamo correre il rischio. Troveremo un altro modo». Melanie balzò subito in aiuto di Diana per respingere la proposta di Cassie. «Non possiamo provocare questi cacciatori. Avete visto di cosa sono capaci». Sembrava che Faye si stesse divertendo un mondo. Cos’era a emozionarla? La perdita brutale di una vita umana, la divisione del gruppo, o il rifiuto totale della proposta di Cassie? Si mise a sedere dritta. «Potevi immaginarlo che non ci saremmo consegnati nelle mani dei cacciatori». Strinse gli occhi, che diventarono simili a quelli di un serpente. «Non con questo gruppo di codardi, almeno». Nick si alzò dalla sedia. «Non dovremmo metterla ai voti?» «No», rise Faye. «Si chiama potere di veto. Giusto, Diana?». Diana abbassò lo sguardo sulle sue esili mani. «Si chiama decisione esecutiva». «Non possiamo andare a cercare i cacciatori a Cape Cod», disse Adam. «E se cercassimo di attirarli di nuovo a New Salem?» «Non ne abbiamo il tempo!». Cassie perse la pazienza. Chris Henderson balzò in piedi e andò al fianco di Nick. «Dovremmo votare. Come facciamo sempre». «Sono d’accordo». Doug si unì a suo fratello e a Nick nella loro piccola insurrezione. «Da quando siete diventati tutti così fascisti? Io dico di andare a salvare Scarlett». Poi diretto a Cassie aggiunse: «Io so cosa significa perdere una sorella. E non voglio che tu lo scopra sulla tua pelle». «E io mi fido del giudizio di Cassie», dichiarò Nick. Aveva la mascella serrata ma gli occhi erano pieni di emozione. «Sono disposto a correre il rischio». Cassie era confusa. Come era possibile che la sua anima gemella non la capisse come a volte la capiva Nick? Adam adesso era in piedi, testardo e troppo protettivo, a scuotere la testa, mentre Nick era disposto a fare tutto il possibile per sostenere Cassie e salvare Scarlett. «Non succederà, ragazzi», disse Faye con malizia. «Abbiamo il diritto di votare per decidere», insisté Nick, mentre Chris e Doug si facevano sempre più agitati al suo fianco. Ma anche se avessero votato, era chiaro chi avrebbe vinto. Dopo tutto quello che avevano passato, per loro Scarlett era ancora un’esterna. Avrebbero fatto di tutto per salvare la prozia Constance, ma quando era la sorella di Cassie a essere in pericolo, anche se avevano modo di salvarla, rifiutavano di farlo. «Bene». Diana sembrava sconvolta e leggermente infastidita da quell’ammutinamento. «Voteremo. Ma la decisione sarà definitiva per il circolo. E lasciate che vi ricordi che…». «Risparmia la fatica». Cassie interruppe Diana. «Non ho bisogno del vostro voto. Non ho bisogno di nessuno di voi». Se ne andò, lasciando alle sue spalle una frattura nel circolo. Capitolo 22 Cassie era distesa a fissare la tenda che scendeva dal suo letto a baldacchino. Osservò il sole che si rifletteva sui candelabri di peltro sul camino e sull’orologio in ceramica appeso alla parete opposta. A volte si sentiva ancora un’estranea in quella stanza, come se fosse a un pigiama party prolungato a casa di qualche altra ragazza. Visto che non si era alzata dal letto alla solita ora, sua madre bussò gentilmente alla porta. «Farai tardi a scuola», le ricordò, entrando nella stanza illuminata. Cassie non si disturbò a dire che non stava bene. Non si disturbò nemmeno ad aprire bocca. In realtà, era quasi catatonica nel suo silenzio immobile. «Non hai un bell’aspetto», disse sua madre, osservandola con preoccupazione. «Stai male?». Cassie l’aveva evitata dalla notte in cui aveva scoperto di avere una sorella. Sapeva che se avesse affrontato l’argomento con lei, sua madre avrebbe solo cercato di cambiare le carte in tavola come faceva sempre. Quindi si era tenuta stretta quel segreto, come un’arma nascosta. Sua madre le toccò la fronte. Le esaminò gli occhi e il colorito. «Non credo che tu abbia la febbre», disse. I suoi lunghi capelli neri, tirati indietro, la facevano sembrare ancora più pallida e magra del solito, e Cassie si preoccupò che fosse lei in realtà a non star bene. Ma per quanto volesse aprirsi con sua madre e raccontarle tutto quello che stava succedendo, non ci riusciva. Non era ancora pronta a perdonarla. «Non vado a scuola oggi», le disse bruscamente, perché fosse chiaro che non le stava in alcun modo chiedendo il permesso di restare a casa. Ma sua madre non discusse. «Ti preparo una tazza di tè caldo», disse. «Non voglio il tè». «Va bene allora, niente tè». Tirò fuori un’altra coperta dal cassettone in mogano all’angolo, la aprì e la usò per coprire Cassie con affetto. «Va tutto bene, tesoro? Sei arrabbiata con me per qualcosa?». Cassie si voltò su un fianco per allontanarsi da sua madre. «Non sono arrabbiata», disse alla finestra. «Sono stanca. Chiudi la porta quando esci?». Sua madre rimase in silenzio per qualche secondo, ma Cassie riusciva a percepire il suo ragionamento: si stava chiedendo se spingere sua figlia a parlare con lei, visto che sapeva che c’era qualcosa che non andava, o se andarsene e darle lo spazio che chiedeva. «Per favore», disse Cassie per aiutarla a scegliere. «Puoi uscire e lasciarmi riposare?». Sua madre inspirò e poi espirò profondamente. Era il suono della rassegnazione. «Va bene», fece. «Fammi sapere se ti serve qualcosa. Più tardi ti preparo una zuppa per pranzo». Uscì dalla stanza senza dire altro. Cassie non avrebbe potuto sentirsi più sola quando la porta si chiuse. Sua madre era una sconosciuta per lei e, come se non bastasse, Adam si era schierato contro di lei all’ultimo incontro, e Diana sembrava più una nemica che un’amica. Cassie non aveva nessuno a cui rivolgersi. Uscì dal letto e andò alla finestra. La vista dell’acqua blu zaffiro la rilassava sempre, ma quel giorno le sembrava così fredda e solitaria. “Devo trovare un modo per salvare Scarlett”, pensò. “Non importa come”. A cosa serviva essere una strega se non poteva usare i suoi poteri? Tuttavia quanto potere avrebbe avuto senza l’intero circolo a sostenerla? Un brivido le percorse la schiena mentre fissava l’oceano, ma non trovò nessuna risposta. Percepiva l’ampiezza incommensurabile dell’acqua e delle sue onde, ma il suo ritmo interno non era sincronizzato al loro come al solito. Per una volta, non le sembrava che il cielo e il mare fossero in attesa, che la guardassero e la ascoltassero. Iniziò a sentirsi febbricitante, dolorante e sudaticcia. “Non sei davvero ammalata”, si disse, ma tornò lo stesso a letto e si seppellì sotto le coperte. Passò qualche minuto, forse un’ora, ma non riusciva a riposare. Ogni volta che chiudeva gli occhi e cominciava a prendere sonno, si svegliava di soprassalto. Come poteva permettersi di riposare in un momento come quello? Il suo Libro delle ombre era a portata di mano nel comodino. Lo tirò fuori e lo sfogliò, in cerca di qualche indizio o accenno di quello che avrebbe dovuto fare. Ma nel profondo sapeva che non c’erano scorciatoie magiche. Sarebbe dovuta andare a Cape Cod e avrebbe dovuto combattere i cacciatori da sola. Era l’unico modo. Rischiava di essere uccisa, e lo sapeva, ma non riusciva a immaginare un motivo migliore per morire. I suoi pensieri furono interrotti da qualcun altro che bussava alla porta della sua stanza, questa volta con più forza e meno gentilezza. «Mamma, sto dormendo», gridò. «Sono Adam», disse la voce dietro la porta. Cassie non gli disse di entrare, ma lui girò la maniglia e aprì la porta lo stesso. «Tua madre ha detto che non ti sentivi bene», fece, chiudendosi la porta alle spalle. Cassie lo osservò con indifferenza. «Sto bene», disse. Lui scalciò via le scarpe e si sedette sul letto accanto a lei. Qualcosa scintillò nel suo sguardo e fece capire a Cassie che avrebbe cercato di rabbonirla. «Non ricordo di averti detto di metterti comodo», disse. Lui non trasalì. «Ho capito, Cassie. Sei arrabbiata con me. Ma ascoltami per favore». Cassie non rispose. Adam lo prese come un invito a continuare. «Sai che sono sempre dalla tua parte», disse. «E voglio salvare Scarlett quanto te. Lo vogliamo tutti». «Allora non dovrebbero esserci problemi», disse Cassie. «Vogliamo tutti la stessa cosa». Adam corrugò le sopracciglia. «Non ho finito. Voglio salvare Scarlett, ma mi spaventa quello che potrebbe succedere. E non voglio che tu, o nessuno di noi, si faccia male». «Inizia a sembrare un disco rotto, Adam. Tutto quello che sapete dire è quanto sia pericoloso tutto quello che facciamo, che non possiamo usare la magia, che non possiamo sfidare i cacciatori. Sto cominciando a pensare che Faye abbia ragione. Questo circolo è composto da un branco di codardi». Adam si sporse leggermente in avanti, come se Cassie gli avesse dato un pugno nello stomaco. «Non sono un codardo», disse. “Provalo”, voleva dirgli lei, ma fu colta da uno spasmo di rimprovero verso se stessa. Litigare con Adam non l’avrebbe portata da nessuna parte. Non sarebbe riuscita a fargli vedere le cose a modo suo. «Non sono un codardo», ripeté Adam a denti stretti, e per un attimo Cassie vide qualcosa in lui che la spaventò. Un potere imponente che gli risiedeva dentro, latente. Se solo fosse riuscita a incanalare quel potere a suo favore invece che contro di lei. Cassie sapeva nel profondo della sua anima quanto fosse davvero potente il circolo quando lavorava all’unisono. Non avevano bisogno di fare affidamento su un incantesimo di protezione per essere al sicuro. Perché Adam non lo capiva? «Non posso parlare con te adesso», disse Cassie. «Ho bisogno di stare da sola. Per pensare». Adam si alzò. I suoi occhi si fecero scuri come il cielo durante una tempesta. «Ti amo», disse. «E se devi essere arrabbiata con me per dimostrarmi il tuo amore, va bene. Ma non sono disposto a perderti». Si mise le mani sui fianchi. Il sole che penetrava dalla finestra gli illuminava i capelli sottolineandone le mille sfumature, le tonalità lucenti di rosso mischiate al castano e al dorato. «Se è tempo che vuoi, d’accordo», disse. «Ci sarò quando sarai pronta. Ma ho una richiesta». Fece una pausa per assicurarsi che Cassie lo ascoltasse con attenzione. «Quale?», chiese, ancora senza rispondere al suo sguardo. «Non fare niente di avventato senza prima aver parlato con il circolo». Cassie trasalì. Non era giusto chiederle una cosa simile. «Promettilo», disse Adam. A quel punto Cassie fece l’errore di guardare negli occhi addolorati e adoranti il suo ragazzo. Non era un codardo. Era buono e coraggioso, e voleva sempre il meglio per tutti. «Per favore», disse. «Non fare niente di avventato». Cassie non era meno arrabbiata con lui di quando era arrivato, ma lo amava con tutto il cuore. Ed era impotente contro la necessità di rassicurarlo. «Lo prometto». Ma sapeva che probabilmente si trattava di una promessa che non poteva mantenere. Capitolo 23 Oscurità per miglia, ecco tutto ciò che Cassie riusciva a vedere. Un’oscurità bordata di rosso come l’interno delle sue stesse palpebre, anche se aveva gli occhi aperti. Percepiva la casa fatiscente in lontananza, nascosta nel buio della notte. Chiamò: «Scarlett!». Scarlett non incontrò Cassie in quel sogno – fu Cassie ad andare da lei. Si fece strada a forza nel buio assoluto della notte come fosse cieca e folle, gridando il nome di sua sorella. Era come viaggiare nello spazio in un universo senza stelle, ma con perseveranza Cassie trovò ciò che stava cercando. La casa. E oltre la porta pericolante, trovò Scarlett. Era legata ai polsi e alle caviglie a un palo di legno scheggiato, e stava urlando. La stavano frustando. Chiunque fossero. Cassie cercò di scorgere i volti dei cacciatori, ma non poteva. Erano privi di volto, erano nere entità senza forma, come fantasmi. Riusciva solo a percepire le loro oscure anime tremanti e la paura che li animava al punto da renderli brutali. Era la paura a guidarli, la paura dell’ignoto, del soprannaturale, della stregoneria. Come i soldati della guerra santa, la loro fede nella propria rettitudine era indistruttibile, e la loro capacità di ricorrere alla violenza contro i nemici era estrema. Continuarono a frustare Scarlett senza pietà, insensibili alle sue urla. Cassie si chiese perché i cacciatori non tappassero la bocca di Scarlett per farla smettere. A un tratto capì il motivo, come se fosse stato premuto un interruttore nella sua mente. I cacciatori volevano che Scarlett parlasse, che rivelasse loro informazioni – non solo i segreti della sua magia, si rese conto Cassie, ma anche segreti del circolo, chi erano e dove trovarli. Scarlett pianse, gridò e sputò ai cacciatori senza forma, ma non le uscì nemmeno una parola dalla bocca livida. Stava sopportando tutto quel dolore per proteggere il circolo? E per proteggere Cassie? Il suo corpo martoriato pendeva inerme dal palo di legno e avvizziva come un fiore morente. Il suo volto era sporco di sangue e terra, e uno degli occhi era talmente gonfio che non riusciva ad aprirlo. I capelli rossi e umidi le scendevano come sangue dalle spalle ossute. Le avevano tolto quasi tutti i vestiti di dosso, il torace e le gambe erano segnati dai graffi della frusta e da lividi purpurei. Quanto ancora sarebbe riuscita a sopportare un simile abuso? Come nell’ultimo sogno che aveva fatto, Cassie non riusciva a muoversi. I suoi piedi erano immobilizzati sulla soglia – da dove riusciva a vedere Scarlett, ma non era sicura di poter essere vista. Le parlò dal punto in cui si trovava. «Scarlett, so dove sei», disse. «E arriverò presto. Te lo prometto». A quel punto, si svegliò di scatto. “Mia sorella”, pensò Cassie, “la mia povera, cara sorella”. Avrebbe preferito che Scarlett desse ai cacciatori ciò che volevano, che dicesse loro tutta la verità a proposito del circolo, così forse l’avrebbero lasciata in vita. Meglio così, piuttosto che vederla morire per proteggerli. Scarlett era venuta a New Salem per cercare la protezione del circolo, non il contrario. Come era possibile che la situazione fosse degenerata fino a quel punto? Ma sua sorella era ancora viva, di quello Cassie era sicura. E fino a quando lo fosse stata, ci sarebbe stato tempo per salvarla. Forse se gli altri avessero capito che Scarlett veniva torturata proprio perché li stava proteggendo avrebbero preso in considerazione con più serietà l’idea di salvarla. Forse l’avrebbero finalmente accettata come una di loro. E poi Cassie udì un suono penetrante. Osservò il comodino e si rese conto che il suo cellulare stava suonando, ma chi poteva essere a chiamarla a quell’ora della notte? «Pronto?», rispose con cautela, quasi credendo che potesse esserci uno degli antichi cacciatori di streghe del suo sogno all’altro capo della linea. Ma la voce stridula che si scusava per averla svegliata apparteneva a Deborah. «Cos’è successo?». Cassie sapeva che se Deborah la stava chiamando nel bel mezzo della notte significava che qualcuno era stato ferito o era morto, forse entrambe le cose. «Qualcuno ha dato fuoco al prato di Laurel», disse Deborah. «Le fiamme avevano la forma del simbolo dei cacciatori». Se Cassie non si fosse appena svegliata da un incubo avrebbe giurato che quello era un brutto un sogno. «Laurel è stata marchiata», aggiunse Deborah, in caso Cassie non avesse compreso la portata della situazione. Cassie si sentì all’improvviso come se stesse soffocando, come se uno dei cacciatori del suo incubo l’avesse afferrata per il collo e stesse stringendo, per farla smettere di respirare. «Cassie?», chiese Deborah. «Stai bene?». Cassie tossì. Laurel. Di tutte le persone che potevano essere marchiate, avevano scelto la dolce e pacifica Laurel. Come era possibile che stesse succedendo una cosa simile? «Sono solo sotto shock», disse. «Continua». Deborah riprese a parlare nel suo stridulo sussurro. «Ci sarà un incontro del circolo domattina prima della scuola. Per decidere cosa fare». «Certo», disse Cassie. «Ci sarò». «Ci incontriamo da Diana. Alle sei e mezzo». «Va bene». Cassie si sentiva scossa e strana. La voce che le usciva di bocca non sembrava la sua. Quelle mani invisibili le stavano ancora stringendo la gola, rendendole difficile respirare. «Laurel sta bene?», riuscì a chiedere. Ma il telefono era muto. Deborah aveva già riattaccato. A Cassie sembrò strano che di tutti i membri del circolo che avrebbero potuto chiamarla per riferirle la notizia fosse stata proprio Deborah a farlo. Non Adam o Diana. Facendo attenzione a non svegliare sua madre, uscì dal letto, si mise le scarpe da ginnastica e si avvolse la giacca intorno alle spalle. Poi aprì la porta d’ingresso e scivolò furtiva ai margini della loro proprietà. Dall’alto della scogliera riusciva a vedere tutto il quartiere, ogni casa antica che si affacciava sulle curve di Crowhaven Road – quelle in buono stato, come anche quelle che sembravano in procinto di crollare tra schegge e travi alla prima folata di vento. Strinse gli occhi per vedere il più lontano possibile. Per prima cosa notò che l’incendio era stato spento, ma riusciva ancora a sentire nell’aria i residui di fumo ed erba bruciata. E poi si accorse di due figure che si muovevano nell’oscurità, lungo i margini del prato. Era difficile capire chi fossero attraverso il fumo residuo. Cassie ridusse gli occhi a fessure, ma non servì a niente. Prese in considerazione di camminare fino a lì. Doveva essere qualcuno del circolo. Ma poi le figure iniziarono ad avvicinarsi, e Cassie le riconobbe. Erano Adam e Diana. I lunghi capelli biondi di Diana luccicavano alla luce dei lampioni mentre camminava lentamente, accanto a Adam, verso casa sua. Cassie sentì una fitta di risentimento. Erano svegli e fuori casa, insieme. E nessuno dei due si era preso il disturbo di chiamarla. Come aveva fatto ad allontanarsi così tanto dalle due persone più importanti della sua vita? Cassie si voltò e tornò a casa con un senso di vuoto nello stomaco. Attraversò in punta di piedi il pavimento del soggiorno, tornò in camera sua e chiuse delicatamente la porta. Poi si tolse le scarpe scalciandole via e si arrampicò sul letto, dispiaciuta di aver avuto l’idea di lasciarlo poco prima. Poteva immaginare cosa stessero facendo. Stavano pianificando, pensando a strategie e organizzando l’incontro che ci sarebbe stato nel giro di poche ore. Era quello che avevano sempre fatto e che avrebbero fatto per sempre. Il cavaliere valoroso e l’alta sacerdotessa, sempre vigili. Erano loro la vera anima del gruppo, non importava chi venisse chiamato leader o indossasse gli Strumenti. Adam poteva pure essere il fidanzato di Cassie, ma il circolo ci sarebbe sempre stato. E a rappresentare il circolo ci sarebbe sempre stata Diana. Nemmeno per un secondo Cassie sospettò che Adam la stesse tradendo con lei. Non ne aveva bisogno. Quello che condivideva con Diana andava oltre il tradimento. Alzò lo sguardo al soffitto, insonne. Che pensassero pure a qualche strategia. Lei era stanca di aspettare in disparte. Sarebbe andata a salvare Scarlett da sola e avrebbe distrutto i cacciatori prima che marchiassero qualcun altro – e prima che avessero l’opportunità di uccidere Laurel. Ma Cassie sapeva di aver bisogno di due cose se aveva intenzione di combattere i cacciatori da sola: il diadema e la giarrettiera di Diana e Faye. Capitolo 24 Il mattino seguente, Cassie arrivò a casa di Diana con caffè e muffin appena sfornati. Diana parve quasi incerta mentre accettava il sacchetto di dolciumi, come se non sapesse interpretare quel gesto gentile. Dall’ultima volta in cui si erano trovate in disaccordo e Cassie era andata via infuriata dall’incontro del circolo, si erano evitate. Quindi era prevedibile che Diana fosse sospettosa di fronte a un cambiamento di atteggiamento così improvviso. «Ti unisci un attimo a me al tavolo della cucina prima che arrivino gli altri?», chiese Diana a Cassie. Cassie sedette, avvicinò a sé uno dei caffè e ascoltò. Diana mordicchiò un lato del muffin. «Sono stata sveglia tutta la notte in cerca di incantesimi che annullassero il marchio», disse. «Per salvare Laurel». «E?» «Non ho ancora trovato quello perfetto, ma sono sulla buona strada. Spero di trovare il modo di combinare un incantesimo di revoca con uno di guarigione». Cassie riusciva solo a pensare al diadema, ma si costrinse ad annuire verso Diana con fare incoraggiante. «Fammi sapere se posso fare qualcosa per aiutarti», le disse. Sapeva di dover aggiungere qualcosa per riconquistare la fiducia di Diana. «So di essere stata irascibile ultimamente», continuò, «e non sarei dovuta andare via dall’ultimo incontro in quel modo, visto che è importante restare uniti». Diana sollevò le sopracciglia, e Cassie riuscì a percepire il cuore che le si riempiva di speranza. «E voglio aiutare a tenere unito il circolo, in modo che sia più forte», concluse. «Insieme siamo abbastanza forti da sconfiggere i cacciatori, ne sono convinta». Diana inclinò il mento verso Cassie proprio mentre Adam appariva alla porta laterale. La vista di Cassie fece rilassare il suo volto teso e guardingo. Poi il suo sguardo incrociò brevemente quello di Diana, e tra loro passò un barlume di mutuo accordo. «Spero di non interrompere», disse Adam. «Ma devo ammettere che è bello vedervi parlare». Diana sorrise a Adam, convinta che la situazione tra lei e Cassie fosse stata chiarita. Lasciò andare il suo muffin e tese la mano verso quella di Cassie. «Sono così felice che ti sia ravveduta», disse. «Affronteremo quei cacciatori dal nostro stesso rifugio». I suoi occhi color smeraldo si riempirono di lacrime. «Ecco come farò a essere certa che mia sorella sia al sicuro». Adam le raggiunse al tavolo e afferrò un caffè, non volendo essere escluso dalla conversazione. «E ricorda, Cassie», disse. «Scarlett è una strega potente, almeno quanto te. Forse persino di più». Mescolò il caffè. «Devi fidarti che riesca a prendersi cura di sé». Presto il resto del gruppo iniziò ad arrivare. Deborah era con Melanie e una Laurel terrorizzata. Nick, con il suo aspetto freddo e affascinante, era dietro di loro. Erano seguiti da Chris e Doug, e da uno Sean furtivo e mezzo addormentato. Infine, Faye arrivò con Suzan, che per poco non la fece cadere scattando verso il piatto di muffin. Per qualche minuto, si affaccendarono tutti intorno al tavolo della cucina, bevendo e mangiando. La conversazione rumorosa del gruppo era diversa dal solito. Cassie sentiva provenire da loro una sorta di gelo, un nuovo tipo di paura. E sentiva qualcosa di oscuro dentro di sé, come se dopo l’ultima minaccia fosse stata spinta ancora di più ai margini del gruppo. Per Cassie fu facile allontanarsi senza farsi notare. Afferrò in fretta la borsa e si diresse in bagno senza che nessuno la degnasse di uno sguardo. Poi continuò a camminare. Sapeva che il diadema era nascosto in camera di Diana. Doveva solo riuscire a trovarlo. E la porta della camera di Diana era aperta, come se la stesse invitando a entrare. Si fermò sulla soglia. Una volta fatto un passo all’interno non sarebbe più potuta tornare indietro. Doveva essere sicura di essere disposta a sopportare le conseguenze. Ma ricordare i suoi incubi e il suono delle urla di Scarlett fu sufficiente a convincerla a compiere quel passo. Cassie aveva imparato ad abituarsi all’eleganza della stanza di Diana. In passato le era sembrata stranamente adulta per un’adolescente, ma ormai le sembrava perfetta per lei. Se fosse stata Diana, dove avrebbe nascosto il diadema? Cassie perlustrò la camera con lo sguardo e si soffermò su ogni mobile dall’aspetto antico. Osservò la panca sotto la finestra e i numerosi prismi appesi lì sopra. Il sole del mattino li colpiva in pieno, riflettendo minuscoli arcobaleni sul lato opposto della stanza. Sprazzi di luce multicolore oscillavano avanti e indietro sulle stampe delle dee sopra il letto di Diana. Cassie sorrise. Le stampe delle dee. Conosceva così bene Diana, la ragazza che aveva giurato di essere come una sorella; non aveva nemmeno bisogno di ricorrere alla magia per capire dove fosse nascosto esattamente il diadema. In tutto c’erano sei stampe. Cinque erano simili fra loro, in bianco e nero e leggermente all’antica. Erano Afrodite, dea dell’amore; Demetra, dea della fertilità; Era, regina degli dei; Atena, dea della saggezza; e Persefone, dea degli Inferi. Ma l’ultima stampa era diversa dalle altre. Era a colori, più grande e moderna. Rappresentava una giovane donna sotto un cielo stellato, con una luna crescente che splendeva sui lunghi capelli ondulati. Era la dea Diana. E indossava lo stesso indumento bianco che portava Diana agli incontri del circolo, come anche una giarrettiera sulla coscia destra e un braccialetto d’argento alla parte superiore del braccio. Cosa più importante, sulla testa portava uno stretto cerchietto con una luna crescente rivolta verso l’alto. Il diadema. “Ovviamente”, pensò Cassie. Era quasi troppo scontato. Cassie posò la mano sulla stampa, e poi la sollevò gentilmente dalla parete. Proprio come sospettava, nella parete dietro la cornice c’era una cavità, ed eccolo lì. All’interno di quel nascondiglio segreto di intonaco strappato e stucco c’era una scatola argentata. Cassie la prese con fare famelico e sollevò il coperchio. All’interno c’era il diadema scintillante, in tutta la sua gloria. In fretta, Cassie infilò il diadema nella borsa e rimise a posto la scatola nella parete. Riappese la stampa sopra la cavità e la raddrizzò, lasciandola come l’aveva trovata. L’intera terribile azione fu completata in meno di cinque minuti. I mobili antichi erano ancora al loro posto e i prismi lanciavano ancora arcobaleni colorati intorno alla stanza. Appariva tutto proprio come prima. Ma il diadema nella sua borsa sembrava carico – quasi vivo. Poteva sentirne il potere pulsare al suo fianco. Cassie tornò dal gruppo con aria innocente, rimettendo la borsa su una delle sedie della cucina e poi spingendola sotto al tavolo. La congrega si era spostata in salotto, dove erano tutti seduti comodi sul divano e per terra, intorno al tavolo centrale. Stavano guardando Cassie, ed erano stranamente in silenzio. Cassie trattenne il fiato. Forse ci aveva messo più di quanto avesse pensato. «Cos’è successo, sei caduta dentro alla tazza?», disse Doug Henderson, e tutti scoppiarono a ridere. «Scusate». Cassie fece un sospiro di sollievo. «Mi stavo sistemando il trucco». Adam rimproverò Doug con lo sguardo e poi invitò Cassie a sedere accanto a lui sul divano. L’incontro stava per iniziare. Cassie sorrise con fare inoffensivo e andò da Adam. Prese la sua mano calda e forte fra le proprie e aspettò che Diana si alzasse in piedi per parlare. Non provava più un briciolo di senso di colpa per ciò che aveva appena fatto. Non era da lei, ma sapeva che se fosse stata in pericolo, Scarlett avrebbe fatto la stessa cosa. Il gruppo avrebbe capito quando fosse tutto finito, quando avesse salvato Scarlett da sola e sconfitto i cacciatori con il potere degli Strumenti Supremi al suo comando. Avrebbero capito che aveva sempre avuto ragione, e che persino rubare gli Strumenti Supremi alle altre leader era un misfatto necessario. Un misfatto necessario, ecco un concetto a cui Cassie non aveva mai davvero pensato prima, ma che definiva al meglio la sua situazione attuale. Scoccò un’occhiata alla sua borsa in cucina e poté giurare che fosse circondata dall’energia, una forza bianca e vigorosa. Sperò che nessun altro se ne accorgesse. Ora non doveva fare altro che prendere la giarrettiera da Faye. Capitolo 25 Aggirarsi fuori dalla casa di Faye Chamberlain in piena notte significava quasi rischiare la morte. Ma Cassie ormai si era spinta troppo oltre per tirarsi indietro, e poi si era preparata. Aveva passato tutto il giorno a studiare il suo Libro delle ombre, memorizzando ogni incantesimo che riusciva a ricordare e che avrebbe potuto aiutarla a superare indenne quella missione segreta. Faye si divertiva fin troppo con gli incantesimi, quindi non c’era modo di sperare che la giarrettiera fosse priva di protezione. Che fosse tracciabile o meno, la magia era l’unico modo in cui Cassie sarebbe riuscita a mettere le mani sopra la preziosa reliquia. In ogni caso, prima doveva trovarla. Cassie sapeva come introdursi in casa di Faye attraverso la cantina. Doveva solo togliere la catenella della porta di legno dello scantinato che dava sul cortile sul retro e attraversare il pavimento di cemento al di sotto – la stessa cosa che faceva Faye quando voleva entrare e uscire a ogni ora della notte. Una volta all’interno, Cassie si guardò intorno. Lo scantinato era buio e stantio, pieno di scatole polverose e scatoloni umidi. A Cassie venne in mente che se Faye fosse sgattaiolata fuori quella notte e fosse tornata a casa attraverso la porta dietro di lei, l’avrebbe scoperta. Ed essere scoperti da Faye significava essere annientati. Cassie lanciò un’occhiata alla porta chiusa dietro di sé e poi scrutò con prudenza la stanza ammuffita. Doveva andare avanti, non poteva tirarsi indietro adesso, non importava il rischio che stava correndo. Prima di permettere alla sua paura di sopraffarla, decise di tentare un incantesimo per convocare la giarrettiera. Afferrando il pendente di quarzo rosa che portava intorno al collo, sussurrò l’incantesimo che aveva memorizzato dal suo Libro delle ombre, modificandolo per il suo scopo attuale. Ora è come persa, presto ti potrò trovare antica giarrettiera da me devi volare. All’inizio non successe niente, ma aspettò con pazienza circondando la stanza e ripetendo di nuovo quelle parole. Non ebbe fortuna. E non percepì niente. Quindi decise di provare qualcosa di più forte. Era un altro incantesimo di convocazione, ma il suo Libro delle ombre diceva che avrebbe potuto rintracciare l’energia di un oggetto invece di riguardare solo l’oggetto fisico in sé. Per quell’incantesimo Cassie dovette concentrarsi intensamente. Chiuse gli occhi e respirò a fondo fino a raggiungere uno stato meditativo. Ci volle qualche minuto, ma presto il suo respiro divenne ritmico come il battito cardiaco. Si lasciò immergere in quel ritmo fino a esserne sopraffatta, come se il pulsare stesso della vita fosse ai suoi ordini. Quando le vennero le parole, proruppero dal profondo delle sue viscere. Spiriti guida vi chiedo ausilio. Concedetemi chiarezza e il vostro consiglio. Antica giarrettiera io ti evoco, bianco e nero, luce e ombra, che la tua preziosa energia sorga dalla penombra. Cassie aprì gli occhi e scoprì una luce acquamarina scintillante davanti a sé. Galleggiava, aspettando di essere osservata da lei, poi si elevò in aria, lasciando dietro di sé una scia come quella delle comete. Ecco come Cassie aveva sempre immaginato che fosse la magia. Seguì la scia acquamarina intorno allo scantinato fino a quando non la condusse al ripostiglio sotto alle scale. Cassie era estasiata. Quello doveva essere il posto giusto. E poi sentì qualcosa… dei passi sopra la testa. Le mancò il respirò e tutto il corpo si irrigidì mentre ascoltava di nuovo quel rumore. Rimase perfettamente immobile, perlustrando gli angoli dello scantinato in cerca di possibili nascondigli. Sentì di nuovo lo stesso suono e si rese conto che era solo il vento che sbatteva sulla porta di legno. Era stato un falso allarme, per fortuna, ma le aveva comunque fatto perdere la concentrazione. La luce acquamarina crepitò. Lo spazio sotto le scale era basso, stretto e colmo di scatole. Cassie passò le mani su alcune delle superfici umide per controllare che ci fossero delle vibrazioni provenienti da una di loro. Attenta a non fare troppo rumore, le analizzò tutte fino a quando non si accorse di una scatola con un disegno sbiadito al lato – un ghirigoro simile a un nodo celtico. La aprì in fretta e guardò all’interno. Trovò un’altra scatola. Una scatola di acciaio. In preda all’agitazione, tese la mano senza pensare. La scatola scintillò al suo tocco, bruciandole le dita. Era ovvio che Faye l’avesse protetta. Cassie infilò la mano in tasca ed estrasse il cristallo di ossidiana che aveva portato da casa. Nera come lava e dai margini taglienti, la roccia era grande come la sua mano e poteva facilmente essere usata come arma. Ma Cassie l’aveva portata per la sua capacità di purificare la materia oscura. Fece scivolare il cristallo sulla scatola di acciaio per disattivare l’incantesimo di Faye mentre mormorava le parole che aveva memorizzato: «Si allontani l’oscurità, non serve alcuna barriera, che entri la purezza e rischiari l’atmosfera». E funzionò. Quando Cassie toccò la scatola una seconda volta per controllare che non reagisse, la trovò fredda. Con più sicurezza, ne aprì il coperchio di metallo. All’interno tuttavia non trovò la giarrettiera. C’era invece un bigliettino scarabocchiato in inchiostro rosso sangue che diceva BEL TENTATIVO. Cassie chiuse il coperchio della scatola con rabbia. Tipico di Faye. Doveva aguzzare l’ingegno se voleva avere successo. Doveva pensare come Faye. Faye era… cosa? Faye era… possessiva, per usare un eufemismo. Si sarebbe fidata solo di se stessa come sistema di sicurezza della giarrettiera. Doveva tenerla accanto a sé. In realtà, forse non la perdeva mai di vista. All’improvviso Cassie capì, senza alcuna ombra di dubbio, cosa avrebbe dovuto fare. Doveva andare nella stanza di Faye, dove lei stava dormendo. La giarrettiera era lì. Non poteva essere altrove, perché Faye doveva proteggerla anche durante il sonno. Cassie si ritrovò a desiderare che Faye fosse davvero sgattaiolata fuori quella notte, lasciando vuota la stanza. Ma sapeva che era il momento di agire, non di pensare. Un incantesimo silenziatore l’avrebbe aiutata a salire le scale senza fare rumore. «Dalla punta dei piedi al mento, cali un silenzio su cui fare affidamento». Cassie si passò le dita dai piedi, lungo gambe e braccia, per tutta la lunghezza del torace e sulla bocca, sentendo ogni centimetro del suo corpo diventare silenzioso al suo tocco. Quando fece un passo in avanti, la sensazione della scarpa che toccava il pavimento era la stessa, ma non fu accompagnata da un solo accenno di rumore. Anche quando saltò su e giù, il movimento non causò nessun suono. Incredibile. Come un abile ladro nella notte, si fece strada verso la scalinata principale, attraverso il sontuoso salotto, verso la camera da letto di Faye. Girò la maniglia e spinse la porta per aprirla con sicurezza. La stanza era come Cassie la ricordava, ma più buia. La luce della luna risplendeva attraverso la grande finestra, ma era difficile vedere, e Cassie non poteva rischiare di svegliare Faye con il fascio di luce della torcia. C’erano tante candele rosse sparse per la stanza, ma ovviamente erano tutte spente. Cassie aspettò qualche secondo perché i suoi occhi si abituassero, poi parole che fino a quel momento non sapeva nemmeno di conoscere le salirono alle labbra. Per il potere del sole, l’oscurità luce deve diventare e una vista notturna a me regalare. All’improvviso, poté vedere nell’oscurità come se avesse indossato un paio di occhiali a infrarossi. Ed ecco Faye, che dormiva russando leggermente. Per un istante, Cassie provò una sorta di tenerezza nei suoi confronti – senza dubbio era lo stato più pacifico in cui l’avesse mai vista. Sembrava quasi una bambina, raggomitolata al sicuro del letto enorme, circondata da cuscini morbidi e ricamati. I suoi capelli annodati e nero corvino ricadevano in lunghe ciocche morbide, incorniciandole il volto in un modo che fece quasi dimenticare a Cassie quanto quella ragazza fosse spaventosa da sveglia. Scosse la testa per allontanare quel pensiero. Sapeva di trovarsi in un luogo pericoloso e che Faye era come un drago dormiente che proteggeva un gioiello. Una sola mossa falsa, e Cassie avrebbe… Prima che potesse solo finire il pensiero, i lembi della coperta si mossero, e ne uscì la testolina di un gatto rosso, seguito da uno grigio. Cassie aveva dimenticato i gattini succhiasangue di Faye. Ormai erano adulti. Senza dubbio con denti e artigli più affilati dell’ultima volta che li aveva incontrati. Rimase immobile a osservare le creature che scivolavano fuori da sotto al letto. Sarà anche stata silenziosa, ma quelle bestiole potevano ancora vederla e sentire il suo odore. Le annusarono le dita dei piedi facendo le fusa. Il gatto rosso si appoggiò alla sua gamba per risalirle fino al ginocchio e poi sibilò. Quello grigio le artigliò il piede e le graffiò con cattiveria la pelle della caviglia. Con un’occhiata a Faye, Cassie scalciò il gatto grigio dal piede destro, mandandolo a rotolare sul tappeto. Quello rosso parve arrabbiarsi. Dal punto del ginocchio sinistro di Cassie in cui era appoggiato con entrambe le zampe anteriori, fece un balzo diretto al suo volto, indirizzando gli artigli affilati verso la guancia. “No!”, urlò Cassie, senza però produrre alcun suono. Con una rapida mossa difensiva, afferrò il gatto per la collottola. Le graffiò il polso con gli artigli e le morse la mano. Il sangue le colò dalle dita sul pavimento. Gettò il gatto rosso fuori dalla stanza, chiudendogli la porta in faccia prima che potesse balzare di nuovo verso di lei. Nel frattempo, il gatto grigio era saltato sul letto e mordicchiava il collo di Faye, cercando di svegliarla. «Ahi!», gridò Faye. E con la stessa velocità di un gatto, Cassie sfrecciò verso l’armadio di Faye, chiudendosi in silenzio all’interno prima che Faye potesse vederla. «Ehi… cosa ti è preso?». Faye, ormai completamente sveglia, sgridò il gatto grigio. Cassie trattenne il fiato per abitudine e chiuse gli occhi dentro all’armadio. Faye tornò silenziosa, ma Cassie poteva sentire il fruscio delle lenzuola. Era sicura che Faye si fosse accorta di qualcosa di strano. Spiegazioni e scuse le passarono per la mente a tutta velocità. Se solo avesse conosciuto un incantesimo per rendersi invisibile. Quella era l’unica cosa che avrebbe potuto salvarla se Faye avesse aperto l’anta dell’armadio. Ma poi Faye rise sovrappensiero. «Così va meglio», disse. «Adesso lascia che mammina si goda il suo sonno di bellezza. Puoi dormire qui con me stanotte se prometti di fare il bravo». Cassie fece un sospiro di sollievo. C’era mancato poco. Ma quando riaprì gli occhi, l’armadio sembrava diverso. Un’insolita luce acquamarina irradiava da un indumento appeso all’interno. L’incantesimo di localizzazione aveva funzionato! La luce scintillante galleggiava proprio all’interno della giacca di pelle preferita di Faye, quella che indossava ogni giorno nonostante la temperatura. Cassie passò le dita sulla pelle morbida e sul liscio raso rosso della fodera interna. Ovvio. Faye aveva cucito la giarrettiera dentro la fodera della giacca. Come aveva fatto a non pensarci prima? Cassie afferrò il raso rosso fino a strapparlo abbastanza da guardare all’interno. Ed eccola lì, in un letto di morbido raso rosso – la giarrettiera di pelle verde. Cassie stava per mettere la mano all’interno per prenderla quando ricordò il bagliore che le aveva bruciato le dita in precedenza. Recuperò ancora una volta il cristallo di ossidiana dalla tasca e lo fece passare più e più volte sulla giarrettiera per disattivare qualunque incantesimo Faye avesse impostato. Poi fu libera di tendere la mano e afferrarla. Finalmente. La giarrettiera le sembrava pesante sulla mano. La tenne stretta ammirandone le fibbie lucenti, non riusciva quasi a crederci. Ce l’aveva fatta davvero! Tuttavia non aveva tempo per festeggiare. Riusciva a sentire il gatto rosso che grattava la porta della camera, e doveva scappare prima che Faye si svegliasse di nuovo. In silenzio, cercò di rimettere a posto la fodera, ma senza ago e filo o l’incantesimo giusto sarebbe stato impossibile. Faye si sarebbe accorta della sua assenza al mattino – era inevitabile. Ma non aveva importanza. A quel punto Cassie sarebbe stata a Cape Cod, insieme al potere degli Strumenti Supremi. Lasciò la giacca appesa, una tomba violata, scivolò fuori dall’armadio e attraversò la camera da letto. Nel momento stesso in cui aprì la porta il gatto rosso saltò all’interno, ma Cassie aveva già sceso le scale e ripercorso la strada fatta in pochi secondi. Fu solo a quel punto che assorbì finalmente la realtà degli eventi. Ora possedeva tutti gli Strumenti Supremi e il potere di cui aveva bisogno per salvare Scarlett, anche senza l’aiuto del circolo. Capitolo 26 La mattina seguente Cassie si alzò alle cinque spaccate, senza bisogno della sveglia. Era come se il suo corpo fosse così impostato sulla missione del giorno che le tecnologie inventate dall’uomo per facilitarsi la vita, come gli orologi, non erano necessarie. Quella mattina si sentiva una cosa sola con gli elementi, non era più alla loro mercé. Si alzò dal letto e si vestì con movenze cerimoniali, come un guerriero spartano prima della battaglia. Indossò la veste bianca che le aveva regalato Diana e fece scattare il braccialetto sulla parte superiore del braccio, infilò la giarrettiera intorno alla coscia e si posò il diadema scintillante sulla testa. Era pronta per andare a salvare sua sorella. Scese le scale fino in cucina. Doveva prendere in prestito la macchina di sua madre, ma non poteva certo dirle che ne aveva bisogno per combattere i cacciatori di streghe e salvare la sorella di cui non le aveva mai parlato. Quindi avrebbe dovuto sottrargliela senza permesso. Sembrava il leitmotiv dell’intera missione: prendi ciò che ti serve e rimanda le spiegazioni. E lo avrebbe fatto. In seguito avrebbe spiegato ogni cosa, a sua madre, a Diana, Faye, Adam, tutti quanti. Per il momento, Cassie non poteva permettere a nessun tipo di senso di colpa di attanagliarla e distrarla – doveva concentrarsi solo su come arrivare a Cape Cod. Tuttavia, mentre si allontanava da Crowhaven Road e percorreva la strada che l’avrebbe condotta fuori da New Salem, una sensazione di nausea iniziò a crescerle dentro. Immaginò fosse una questione nervosa, e si disse che aveva ogni diritto di essere inquieta; quello che stava per fare era pericoloso. I cacciatori avevano la magia nera dalla loro parte. “Gli Strumenti Supremi non mi abbandoneranno nel momento del bisogno”, pensò Cassie. E bastò quello a ricordarle la rosa di calcedonio che aveva nascosto in tasca. Era un portafortuna che le aveva regalato Adam tempo prima nell’eventualità che si fosse trovata in pericolo e lei lo aveva portato con sé tanto per essere più tranquilla. Nonostante tutto quello che avevano passato e i disaccordi avuti nelle ultime settimane, Cassie credeva ancora in Adam e aveva fiducia nel loro legame. Avevano bisogno di un cristallo raro per essere connessi a quel punto della loro relazione? No, certo che no. Forse Cassie aveva portato il pezzo di calcedonio solo per superstizione, ma anche in quel caso trovava rilassante passare le dita sulla sua superficie irregolare. La pietra sembrava viva nella sua mano come quando Adam gliela aveva data la prima volta. «Stringila forte», le aveva detto, «e pensa a me». Lo fece in quel momento e sentì il suo coraggio che aumentava. Percorrendo l’autostrada della contea fino a Sandwich però, la paura di Cassie raggiunse un nuovo livello. Il cartello fatiscente che l’avvertì che era arrivata in città diceva che questa era stata FONDATA NEL 1639, ricordandole così le radici profonde di quel luogo. Gli Strumenti stessi sembrarono reagire da soli alla città. Cassie poteva giurare che le stessero riscaldando il corpo, diventando più caldi ogni secondo che passava, mentre si avvicinava a Hawthorne Street. Si rese conto che avrebbe dovuto stilare un piano d’attacco per quando avesse incontrato i cacciatori. Conosceva la maledizione dei cacciatori a memoria, e di sicuro gli Strumenti l’avrebbero aiutata, ma ora che la situazione si stava facendo sempre più chiara, iniziarono a formarsi delle domande nella mente di Cassie. Non sapeva quanti cacciatori ci sarebbero stati. C’era un limite a quanti avrebbe potuto neutralizzarne con una sola maledizione? E se quando fosse arrivata Scarlett fosse stata ancora peggio di come l’aveva vista Cassie in sogno? Nel profondo della mente di Cassie strisciava la paura che sua sorella potesse già essere stata uccisa. Cassie strinse di nuovo la rosa di calcedonio. Ma nonostante la rassicurazione del cristallo, quando vide la casa al numero 48 di Hawthorne Street, tutto il suo essere fu attraversato dalla paura. Era proprio come l’aveva immaginata nei suoi incubi, identica all’immagine che aveva visto durante l’incantesimo di localizzazione. Un cottage fatiscente sulla spiaggia con rifiniture di legno grigio, in fondo a una strada lunga, desolata e sabbiosa, con una grande distesa d’acqua da una parte e paludi dall’altra. Non si vedeva nessun’altra casa nei paraggi. La terribile sensazione nelle viscere di Cassie si intensificò. L’acido nello stomaco le risalì fino in gola, riempiendole la bocca di un gusto nauseante. Ogni centimetro del suo corpo la incitava a voltare la macchina e tornare a casa. Ma sapeva di non poter permettere alla sua paura di sopraffarla in quel momento. Non quando aveva fatto così tanta strada. Uscì dalla macchina con determinazione e si fece strada attraverso l’erba alta verso la casa, ma dopo pochi passi si immobilizzò. Cercò di procedere ma non ci riuscì. C’era un qualche tipo di barriera magica che proteggeva il perimetro della villa, simile a quella usata da Faye per proteggere la giarrettiera nascosta. Tuttavia, ora che indossava gli Strumenti, non avrebbe dovuto avere difficoltà. Toccò ciascuna delle reliquie una per una, mettendole a posto ed evocando nella mente il loro potere collettivo. Non era la sua immaginazione, gli Strumenti emanavano calore, ne era sicura. «Dissolviti, potente scudo!». La voce le uscì dalla gola con una tonalità bassa e stridula mentre inviava tutta la sua energia verso la casa. Si concentrò a fondo e ripeté le parole, questa volta facendo forza con la mente fino a sentire il potere degli Strumenti che defluiva da lei come un’ondata di calore rovente. L’incantesimo sembrò funzionare all’istante. La nuvola oscura che incombeva sulla casa si dissolse, e la forza protettiva intorno al perimetro della proprietà scomparve. “Le reliquie stanno davvero funzionando”, pensò Cassie. Era come se avesse già salvato Scarlett. Senza indugio, proseguì libera da ostacoli. Ripetendo la maledizione dei cacciatori nella mente, camminò piano e facendo attenzione in uno stato di profonda meditazione verso la casa. A pochi centimetri di distanza dalla porta principale, vide che era battuta dal vento e danneggiata dall’acqua, marcita fino a diventare molle come nessun legno dovrebbe. E le fondamenta scricchiolavano e tremolavano al vento, come se potessero crollare da un momento all’altro. A Cassie venne in mente di provare a evocare qualche tipo di incantesimo di protezione su di sé prima di entrare, o forse un altro incantesimo silenziatore che la aiutasse a introdursi in casa. Ma poi ci ripensò. Sarebbe semplicemente entrata, senza trucchetti codardi o stratagemmi. Gli Strumenti erano l’unico potere di cui aveva bisogno. Cassie rimase in ascolto in cerca di voci ma non ne sentì nessuna. In quell’inquietante silenzio, la paura che Scarlett potesse essere già stata uccisa le invase la mente. Un’immagine del suo corpo morto che ondeggiava dal soffitto, come la lancetta di un orologio – tic tac, tic tac – perseguitò Cassie. Ma doveva varcare quella porta senza la minima distrazione. Avrebbe avuto pochi secondi per lanciare l’incantesimo, forse ancora meno. Lanciare l’incantesimo, salvare Scarlett e andarsene di lì. Quello era il piano. Cassie posò con attenzione la mano sulla superficie marcita della porta. Con sua sorpresa non la trovò chiusa a chiave. In realtà, non sembrava nemmeno chiusa del tutto. Spinse la superficie umida con un tocco gentile del palmo della mano, e si aprì senza sforzo. Stava già intonando la maledizione dei cacciatori di streghe sottovoce, pronta a reagire a ogni attacco, ma quando fece un passo all’interno, la scena che si presentò davanti ai suoi occhi non assomigliava per niente a quella vista nei suoi sogni. La stanza principale era ampia e ordinata. Le pareti erano dipinte di un blu oceano e rifinite con una cornice da soffitto bianca. Il pavimento di legno era stato passato con la cera di recente, e l’aria all’interno della stanza era tiepida e profumava di cedro grazie al calore proveniente dal focolare acceso. Scarlett era lì, da sola, accomodata su un divano sbiadito davanti al camino. I suoi capelli rosso tinto le scendevano in ciocche ordinate sulle spalle, incorniciando il suo volto sorridente e le guance rosate. «Finalmente», disse. «Mi stavo annoiando così tanto ad aspettarti». Cassie capì immediatamente di aver fatto un terribile errore. Quella era una trappola. Capitolo 27 «Vieni a sederti accanto al fuoco», disse Scarlett. Stava sorridendo, anche se il suo volto sembrava contorto in un ghigno. Cassie cercò di correre fuori dalla porta, ma ancora una volta si ritrovò con i piedi piantati per terra, come le era successo fuori, ai margini della proprietà. «Cosa succede?», chiese. «Puoi avvicinarti, ma non puoi andartene». Il sorriso di Scarlett si illuminò. «Dove sono i cacciatori?», chiese Cassie. Scarlett scrollò le spalle. «Non lo so». «Ma almeno esistono?» «Oh, i cacciatori esistono davvero», disse Scarlett. «Hanno ucciso mia madre e mi hanno seguita qui. Però non mi hanno mai catturata». Diede un colpetto allo spazio libero sul divano accanto a lei, facendo cenno a Cassie di sedersi. «Il tuo circolo non ha idea di cosa li aspetti con i cacciatori. Ma mi hanno offerto la cornice ideale per esercitarmi con i miei incantesimi di invasione mentale». Quindi tutto quel tempo in cui Cassie aveva pensato di avere delle visioni, di comunicare attraverso lo spazio e il tempo con sua sorella, si era sbagliata: era stato solo un trucco. Il circolo aveva sempre avuto ragione. Cassie non aveva riflettuto a fondo. Non poteva voltarsi e scappare via, ma aveva ancora gli Strumenti, che stavano pulsando di energia. Poteva proteggersi. Toccò ogni reliquia e ne evocò il potere. Gli Strumenti divennero subito caldi, fin troppo caldi. Le ustionarono la pelle, come le se si fossero rivoltati contro. «Senti come bruciano?», chiese Scarlett. In qualche modo era riuscita a reindirizzarne il potere. Gli Strumenti si agitarono, infuriati e roventi per la violenza che stavano subendo. «Ci penso io a toglierteli di dosso», disse Scarlett. Senza alcuno sforzo, con un solo schiocco delle dita, gli Strumenti Supremi risposero al suo richiamo. Come metallo che risponde a un magnete, si staccarono dal corpo di Cassie e volarono fra le mani tese di Scarlett. Ma come? Come era possibile che Scarlett avesse così tanta influenza sugli Strumenti da poterli richiamare? Doveva essere una strega molto più potente di quanto Cassie avesse immaginato. «È davvero un peccato che non ti sia mai interessata alle arti oscure», disse Scarlett, percependo il suo stupore alla vista delle sue abilità. All’improvviso Cassie sentì freddo e le sembrò di essere nuda, senza nulla addosso tranne la veste bianca. Priva di poteri e stupefatta, fu percorsa da un brivido. «Chi sei?», chiese. «Sono la figlia di Black John. Non è ovvio?», disse Scarlett, indicando gli Strumenti Supremi. «Allora siamo davvero sorelle». «Oh, sì», disse Scarlett. «Quella parte era vera». Scarlett, con indosso gli Strumenti Supremi sulla maglietta nera e i jeans, tese la mano verso un attizzatoio accanto al camino. Cassie si irrigidì. Solo quando comprese che Scarlett si era sporta a prendere una busta di marshmallow, si rilassò. Ne infilzò uno con l’attizzatoio di metallo nero e lo tenne sospeso sulle fiamme. «Questi Strumenti sono stati pensati per me», disse Scarlett. «La tua intera vita è stata pensata per me». «Non ti credo», disse Cassie, facendo del suo meglio per sembrare forte e controllata. «Non ho motivo di credere a niente di ciò che dici». Scarlett rise. «E invece sì». Osservò il marshmallow che con riluttanza diventava marroncino sulla fiamma. Sembrava godere di quella lotta per mantenere il suo aspetto prima di soccombere al calore. «Dovevo essere io a far parte del circolo insieme agli altri», disse. «Sono nata a novembre, come loro. Tu no. Tutto quello che hai provato da quando sei arrivata a New Salem mi appartiene di diritto». «No», ribatté Cassie. Non poteva essere vero. «Sì. Tu sei stata solo un ripensamento, un piano di emergenza». Cassie era nauseata. E l’odore zuccheroso del marshmallow che si fondeva non la stava aiutando. Scarlett roteò l’attizzatoio fra le mani come uno spiedino. «E adesso sono venuta a rivendicare il posto che mi spetta nel circolo. Ma dovrò ucciderti per ottenerlo». Puntò gli occhi neri e luccicanti su Cassie. «Non è un peccato, sorellina?». Scarlett afferrò la sbarra di metallo con entrambe le mani, e Cassie si rese conto del pericolo in cui si trovava. Quella ragazza sembrava abbastanza pazza da ucciderla. Doveva cercare di parlare per distrarla. «Perché uccidermi», chiese Cassie, «quando potremmo guidare il circolo insieme?». Scarlett spalancò gli occhi. «Ma davvero?». La sua voce aveva un tono infantile. «Saresti disposta a farlo?». Cassie annuì con vigore. «Certo», disse, cercando di assumere un tono convincente. «Cacceremo fuori qualcun altro per farti posto come dodicesimo membro. Credimi, ci sono molti anelli deboli». Le labbra rosso scuro di Scarlett si arricciarono in un sorriso malevolo, e la risata le scosse tutto il corpo. «Sei davvero patetica», disse. «Magari non ne sai ancora molto, ma ormai dovresti aver capito che non funziona così». Estrasse l’attizzatoio dalle fiamme. Il marshmallow infilzato sulla punta aveva ormai preso fuoco e bruciava, rosso come un tizzone. «Qualcuno deve soccombere affinché il legame del circolo sia infranto», disse Scarlett. «E qualunque sia il membro che muore, viene subito sostituito da qualcuno della stessa stirpe». Spinse le punta infuocata dell’attizzatoio sotto il naso di Cassie. «Non lo sapevi? Oppure tu e i tuoi amichetti non siete ancora arrivati a questa lezione alla scuola di stregoneria? Tu eri un bersaglio davvero facile», continuò Scarlett. «Fino a quando quell’incantesimo di protezione non mi ha reso impossibile ucciderti a New Salem». «Sei stata tu a manomettere i freni», disse Cassie. Finalmente tutto iniziava ad avere senso. Scarlett ignorò l’accusa. «Ma adesso sei vulnerabile», disse. «Nessun incantesimo di protezione. E non c’è nemmeno il tuo prezioso circolo a salvarti». Cassie cercò di pensare a un incantesimo, uno qualunque, che la aiutasse a cavarsela, ma non gliene venne in mente nessuno. Era come se il suo cervello fosse stato resettato, come se fosse diventato una pagina bianca. In qualche modo Scarlett era riuscita a renderla del tutto indifesa. «E dato che mi hai portato gli Strumenti Supremi, ucciderti dovrebbe essere facile». Scarlett tenne l’attizzatoio dalla punta infuocata a un centimetro di distanza dal volto di Cassie. “Vuole bruciarmi”, pensò Cassie. “Vuole darmi alle fiamme”. «Non sprecare le tue energie cercando di evocare un incantesimo», disse Scarlett. «In questa casa funziona solo la magia nera». Magia nera. Ecco spiegato come stavano le cose. A Cassie mancavano le parole per evocare l’elemento Acqua, ma doveva fare qualcosa. In mancanza di altre opzioni, schivò con un gesto l’attizzatoio, ben sapendo che si sarebbe bruciata la mano; almeno si sarebbe messa in salvo. Strappò via l’arma dalle mani di Scarlett mandandola dall’altro lato della stanza. Il ferro arroventato atterrò con uno schianto sullo spesso tappeto. Cassie poteva definirsi orgogliosa di sé, ma Scarlett non sembrava affatto preoccupata di aver perso l’attizzatoio. «Bel lavoro», fece. «Non avrei saputo fare di meglio». Diresse l’attenzione di Cassie al fumo che saliva dal tappeto dove era atterrato l’attizzatoio. Poi il fumo fu sostituito da una piccola fiamma. Gli occhi scuri di Scarlett luccicarono, riflettendo l’argento del diadema, del braccialetto e delle fibbie della giarrettiera. Con un singolo cenno della mano, sospinse le fiamme attraverso tutto il pavimento e sulle quattro pareti del cottage, circondando Cassie in un tendone soffocante di calore e fiamme. “Sono una stupida”, pensò Cassie, “sono stata una stupida a fidarmi di lei”. Tremò alla vista dell’incendio. Non c’era modo di sfuggire a fiamme di quella portata. «Ti sei spinta troppo oltre», urlò. «Brucerai qui con me». Scarlett si alzò e iniziò a camminare tranquillamente fra le fiamme per raccogliere le sue cose. «Un’altra cosa che non sai», disse, togliendo i vestiti dall’armadio e infilandoli in una grande borsa di tela. «L’incantesimo di protezione dal fuoco. Era uno dei preferiti di papà». Il fumo riempì la stanza. Entrò nella gola di Cassie e le fece lacrimare gli occhi, ma Scarlett rimase impassibile. «No!», gridò Cassie, trascinandosi sul pavimento verso Scarlett, ma poteva muoversi solo di qualche centimetro in ogni direzione. Le fiamme bloccavano ogni via di fuga. In pochi minuti l’incendio l’avrebbe uccisa. «Per favore, Scarlett, siamo sorelle. Ti prego, non farlo!». Scarlett rimase immobile con le sue borse in mano. Le fiamme ardenti danzavano e le crepitavano intorno, mentre un fumo nero circondava il suo corpo come un tornado minaccioso. «Almeno vattene con un minimo di dignità, Cassie». Appoggiò le borse a terra e fece qualche passo verso di lei. Si chinò lentamente, come un serpente, per guardare Cassie negli occhi. «Nostro padre ha forse implorato pietà mentre lo uccidevi, Cassie? Scommetto di no». Scarlett aveva i suoi occhi, si rese conto Cassie. Occhi neri freddi come la morte, identici a quelli di Black John. Era sua figlia più di quanto lo fosse Cassie. Come aveva fatto a lasciarsi ingannare da lei? E poi Cassie ricordò le parole di sua madre a proposito di Black John. «Non era del tutto malvagio», aveva detto. «Non devi farlo», gridò Cassie, cercando di guardare Scarlett dritto negli occhi. «C’è una parte buona della tua anima, anche in questo momento. Puoi scegliere di non essere come lui». «Lo so». Scarlett diede un calcio a Cassie con il tacco del suo stivale nero per allontanarla. «Ma dove starebbe il divertimento?». Capitolo 28 Le fiamme rombavano e crepitavano minacciose, come se l’incendio avesse una volontà propria. Il calore bruciante mise Cassie in ginocchio. Stava tossendo e non riusciva a prendere fiato, presto si sarebbe dovuta arrendere a quel potere divorante. Scarlett le rivolse un ultimo sguardo. «Addio, Cassie», disse. «È stato bello conoscerti». Il volto di Cassie bruciava per il calore opprimente. Immaginò che fosse così che ci si sentiva all’inferno, torturati in eterno delle fiamme. Lontana da sua madre, dai suoi amici e da Adam, Cassie stava morendo da sola. C’era solo Scarlett con lei, la figlia più forte, la sorella cattiva, ed era il suo volto che Cassie avrebbe visto prima di morire. Ma non poteva arrendersi. Si costrinse a rimettersi in piedi e ad avvicinarsi a Scarlett per quanto consentito dalle fiamme. Gli Strumenti avevano assunto una sfumatura sinistra sul corpo di Scarlett. “Black John è dentro di lei”, pensò Cassie. “Ma è anche dentro di me”. Scarlett parve accorgersi di un cambiamento nello sguardo di Cassie. Bastò a farla indietreggiare. «Lui è dentro di me», disse Cassie, questa volta ad alta voce. Le si era acceso qualcosa dentro, come un generatore di emergenza che si attiva durante un blackout. Scarlett continuò a indietreggiare attraverso le fiamme, verso l’uscita. L’incantesimo di protezione dal fuoco stava ancora funzionando, ma all’improvviso era spaventata. “Il potere del fuoco”, pensò Cassie. “Il potere del fuoco è dentro di me”. E poi qualcosa si schiuse nel profondo del petto di Cassie, quello spazio oscuro che non aveva mai esplorato. Lo scoppio di energia che sentì non appena le parole lasciarono le sue labbra la spaventò. «Brucia!», comandò. E Scarlett lo fece. Era già a metà strada, diretta alla porta, quando urlò con la stessa brutalità che Cassie aveva sentito in sogno. Non era più protetta dal fuoco, non poteva più andarsene dalla casa in fiamme e raggiungere l’aria fresca all’esterno. Scarlett balzò indietro dalla porta, scacciando con foga le fiamme dai vestiti. Poi si voltò verso Cassie. «Pensavo che fossi buona», disse. Cassie si ergeva alimentata da una nuova energia. «Anche io». Poteva sentire qualcosa che le si dimenava nelle viscere. Le risalì la gola come una bile nera e le fuoriuscì di bocca come un urlo. Il rubinetto della cucina spruzzò acqua come un geyser. Poi le pareti tremarono e tutte le tubature esplosero, sputando getti diagonali di acqua fredda. Il fuoco si spense in pochi secondi. Scarlett indietreggiò, stupita dal susseguirsi degli eventi, ma aveva sempre i propri incantesimi a disposizione, nonché gli Strumenti Supremi, che aumentavano il suo potere. «Fragilis!», urlò, indirizzando i palmi aperti verso Cassie. Era un incantesimo in latino che Cassie non capì, ma la fece crollare al suolo come se tutte le sue energie fossero state prosciugate. Si sentì incredibilmente pesante e la stanza iniziò a girare. Non poteva nemmeno sollevare la testa. «Sentis infirma». Scarlett indirizzò le dita cariche di energia alla testa di Cassie poi al suo cuore. Cassie divenne così debole e stanca, quasi a un passo dallo svenimento. Era sicura di stare per morire. Era finita. Scarlett era troppo forte. Aveva perso. Desiderò poter vedere Adam in quel momento, che il suo fosse l’ultimo viso che avrebbe visto prima di consegnarsi alla morte. Ricordò la rosa di calcedonio che teneva in tasca e la cercò debolmente. Ci volle tutta l’energia che le era rimasta per prenderla in mano. La tenne stretta fra le dita con tutta la forza che aveva, e immaginò il volto forte e amorevole di Adam con tale concentrazione che quasi poteva giurare di vederlo davvero. Il fumo si dissipò, e i capelli ramati di Adam le sembrarono così vicini e reali che credette di poterne vedere ogni sfumatura. Era così che ci si doveva sentire morendo. Cassie era troppo debole per sorridere, ma era felice che il suo ultimo desiderio fosse stato realizzato. Le ci volle un secondo per rendersi conto che Adam era davvero lì, in piedi vicino a lei. Era davvero lui. Le prese il volto fra le mani e la chiamò per nome. Si sentì scivolare ai margini della coscienza. Come negli incubi e nelle visioni, aveva la vista allo stesso tempo offuscata e vivida, una confusione disordinata e ingannevole. Ma il legame tra lei e Adam in quel momento era davvero intenso. Il filo d’argento che sibilava fra loro si materializzò, più luminoso e visibile che mai. Era così vivo che poté giurare di riuscire a tendere la mano e toccarlo con le dita. Il petto le si riempì di amore mentre seguiva il percorso del filo dal cuore di Adam al suo. Tuttavia, guardando con più attenzione, si accorse di qualcosa di strano. C’erano due fili d’argento. Uno partiva da Adam verso di lei, e l’altro partiva da Adam e andava verso Scarlett. Con un lampo, entrambi i fili sparirono. All’improvviso. Cassie non era nemmeno sicura che Adam li avesse visti. Doveva essere stato un errore, un’allucinazione. Ormai era impossibile decifrare cosa fosse vero e cosa fosse frutto della sua immaginazione. «Cassie». Adam le stringeva ancora il volto fra le mani. «Resta con me, Cassie. Resta sveglia». Sbatté le palpebre per allontanare le lacrime che le riempivano gli occhi e si voltò per vedere che erano tutti lì, Diana e gli altri membri del circolo. Avevano circondato Scarlett. «Dacci gli Strumenti Supremi», disse Diana. «E non saremo costretti a farti del male». «Provate a prenderveli», rise Scarlett. Diana rimase immobile. Le ci volle un momento per rendersi conto che non poteva usare la magia, ma quando lo fece, Scarlett sollevò le mani verso di lei. «Praestrangulo», disse. Diana si afferrò la gola all’istante con entrambe le mani e cadde in ginocchio, sforzandosi di respirare. «Sta soffocando!». Adam balzò in piedi e Cassie gridò, ma era ancora troppo debole per fermarlo. Si lanciò verso Scarlett ripetendo: «Terra il mio corpo, acqua il mio sangue». Faye e gli altri ripeterono dietro di lui. «Terra il mio corpo, acqua il mio sangue, aria il mio respiro e fuoco il mio spirito!». Cassie urlò. «Non funzionerà!». Ma nessuno di loro la stava ascoltando, o forse il suo urlo non era altro che un sussurro. Non riusciva a capirlo. «Caecitas!». Scarlett passò il palmo sul gruppo. Adam gridò per primo. «Non ci vedo», disse. E poi, uno dopo l’altro, tutti urlarono e si coprirono gli occhi. Scarlett li aveva accecati. Diana si stava dimenando al suolo, era diventata blu e tossiva. Cassie non aveva le forze, ma doveva fare qualcosa. L’oscurità era come un’ombra dentro di lei, non doveva avere paura di attingerne. Anche se l’avesse uccisa, almeno avrebbe salvato i suoi amici. Le ci volle tutta la sua forza di volontà per alzarsi in piedi. Scarlett, vedendola tirarsi su, afferrò le sue borse e corse verso la porta. Cassie si fece forza e urlò: «Scarlett!». Perlustrò la sua anima alla ricerca delle parole giuste, l’incantesimo oscuro più debilitante che riuscisse a pensare, ma Scarlett era uscita dalla porta sparendo in pochi secondi. «Magicae negrae conversam», disse Cassie debolmente. Le parole le erano venute in mente dopo che Scarlett era fuggita. Diana annaspò e riprese fiato. Adam sbatté le palpebre e recuperò la vista. Lentamente tutti ripresero i sensi. Cassie riguadagnò le forze, andò da Adam e lo strinse forte. Si era graffiato il volto. «Hai davvero annullato gli incantesimi di Scarlett?», chiese. Cassie annuì, poi osservò i volti sporchi e sudati degli amici che avevano rischiato la vita per salvarla. L’avrebbero mai perdonata per quello che avevano passato a causa sua? «Mi sbagliavo sul conto di Scarlett», disse. «Ma immagino che ormai ve ne siate resi conto». La sfumatura bluastra del soffocamento non aveva ancora lasciato del tutto il volto di Diana. «Ma che cosa è successo?», chiese. «Scarlett era inattaccabile». «Avevi ragione a dire che era malvagia», disse Cassie, a malapena in grado di guardare Diana negli occhi. «Stava usando la magia nera. Ha detto che era l’unica magia che avrebbe funzionato qui dentro. Ecco perché nessuno di voi poteva lanciare incantesimi». «Ma allora come hai fatto…?». Diana si interruppe a metà della domanda, non appena si rese conto della risposta. Cassie abbassò lo sguardo. Poteva sentire Faye camminare in cerchio intorno alla stanza bruciata, con gli stivali che scricchiolavano sul pavimento a ogni passo. «L’ho sempre saputo», disse Faye. «Cassie può attingere alla magia nera che cova dentro di lei». Era vero. Non serviva a niente negarlo, per quanto Cassie volesse. Cassie scrutò il volto di Adam in cerca di una reazione, terrorizzata. Ma gli occhi di Adam si riempirono di lacrime. La abbracciò. «Sono così felice che tu stia bene», disse. Cassie non sentiva di meritare il suo conforto, e cercò di liberarsi dalla stretta. Adam la strinse con più forza. «Ci hai appena salvato la vita», disse. «Vi ho messi tutti in pericolo», disse Cassie, incapace di trattenere le lacrime. «È stata tutta colpa mia. Mi dispiace tantissimo». Diana posò la mano sulla schiena di Cassie. «Siamo stati coinvolti tutti», disse. «E stiamo bene. E questa è la cosa più importante». Cassie iniziò a singhiozzare nel petto di Adam. «Ma io voglio essere buona». «Tu sei buona». Diana abbracciò Cassie da dietro, stringendola tra sé stessa e Adam. «Non devi avere dubbi». «È Scarlett quella cattiva», disse Adam. «Non tu». Cassie apprezzava il loro supporto. Avevano le migliori intenzioni e lei lo sapeva, ma in realtà nessuno di loro poteva essere sicuro di cosa significasse per lei poter ricorrere alla magia nera. Faye le sorrise per la nuova scoperta. «Come ci si sente?», chiese. «Voglio solo andare a casa», rispose Cassie. Capitolo 29 Si ripresero tutti miracolosamente bene da quella battaglia. Un po’ di acqua e sapone, un cambio di vestiti, e ognuno di loro tornò più o meno a essere se stesso. Diana preparò un infuso in cucina e rientrò in salotto reggendo un vassoio. «Faye è arrivata?», chiese. Il circolo era impaziente di sentire cosa fosse successo a Cape Cod prima del loro arrivo e di colmare le lacune. C’erano delle cose che ancora non capivano. «Dovremmo iniziare senza di lei», disse Suzan tormentandosi le cuticole delle unghie. Diana lanciò un’occhiata preoccupata a Adam e chiese a Suzan: «Dov’è?» «Lo sappiamo tutti benissimo», disse Laurel. «Con Max». «Non sono stata io a dirlo», fece Suzan. «Forse dovremmo cominciare senza di lei», ripeté Cassie. Sapeva quanto fossero stati incredibilmente fortunati, visto che nessuno era rimasto ferito in modo grave, ed era impaziente di scusarsi per i propri errori. «Voglio essere sicura di non mettervi mai più in pericolo. Quindi ho molto da spiegarvi». Proprio in quel momento Faye varcò la soglia. Aveva negli occhi uno guardo strano. Le guance erano arrossate e le labbra così rosse e piene che sembravano quasi gonfie di sangue. «Scusate il ritardo», disse. «Devi smetterla di uscire con Max», disse Adam. «Quante volte devo dirtelo? Non sappiamo se possiamo fidarci di lui». Faye cercò con la mano un pendente nero che portava al collo, e Cassie scorse un’espressione insolita nel suo volto. «Ho detto che mi dispiace». Faye continuò a giocherellare con il pendente. Indossava sempre una collana con un rubino, ma quel pendente era nuovo. Era un opale nero e lucido. «È stato Max a dartelo?», chiese Cassie. Faye lasciò andare subito il pendente e lanciò a Cassie un’occhiata minacciosa, ma Cassie si accorse che era arrossita. All’improvviso, capì qual era la verità: i sentimenti di Faye per Max erano reali. Melanie fece un profondo sospiro. «Non abbiamo cose più importanti della vita amorosa di Faye di cui parlare?» «Sì, è così», disse Diana. «Cassie, perché non ci aggiorni su quello che ci siamo persi?». Cassie fece un passo e si posizionò al centro della stanza. «Per prima cosa, voglio scusarmi formalmente con tutti voi», disse. «Non avrei mai dovuto tradirvi. Soprattutto non avrei dovuto tradire le mie compagne leader, Diana e Faye». «Non è necessario che ti scusi», disse Nick dall’angolo in cui era seduto. Tutti annuirono. Faye sbuffò. «Non posso credere che gliela facciate passare liscia così facilmente, smidollati che non siete altro. Se fossi stata io ad aver rubato gli Strumenti Supremi, e per di più li avessi persi…». «Il circolo ti perdona, Cassie», disse Diana interrompendo Faye. «Ma in futuro ricordati che anche noi siamo la tua famiglia». «Adesso lo so», disse Cassie. «Lo sapevo anche prima, ma presumo me ne fossi dimenticata». Il cuore di Cassie le martellava nel petto. «Sei stata una sorella per me da quando sono arrivata qui», disse a Diana. «E sei l’unica sorella di cui avrò mai bisogno». Gli occhi di Diana si velarono di lacrime. «Grazie», disse. Melanie si schiarì la gola. «Mi dispiace interrompere questa parentesi sentimentale, ma forse Cassie potrebbe dirci cosa ha scoperto a proposito di Scarlett, così sapremo cosa ci aspetta». «Certo», disse Cassie. Continuò a spiegare che Scarlett pensava di essere la figlia di Black John che avrebbe dovuto far parte del circolo e che l’aveva ingannata per attirarla lontano dall’incantesimo di protezione. Nick le si avvicinò con passo solenne. «Quindi Scarlett vuole ucciderti». «Sì», disse Cassie. «Per poter prendere il mio posto nel circolo, perché apparteniamo alla stessa stirpe». «E i cacciatori di streghe?», chiese Melanie. «Chi ha ucciso la prozia Constance e Portia?» «E chi ha marchiato a fuoco il simbolo sul mio prato?», chiese Laurel, con la voce resa acuta dalla paura. Cassie trasse un profondo respiro. «I cacciatori sono reali e sono ancora là fuori. Ma Scarlett non ha niente a che fare con loro. Ha solo colto l’occasione e ha sfruttato il fatto che avessimo paura dei cacciatori contro di noi». «Siamo fottuti», disse Faye, e Cassie si accorse che cercava di nuovo il pendente con la mano. C’era qualcosa in quel ciondolo che attirava l’attenzione di Cassie, forse il modo in cui catturava la luce. «Posso vederlo da vicino?», chiese, tendendo la mano. Prima che Faye riuscisse a opporsi, Cassie prese in mano la pietra e ne studiò la superficie. Era quasi translucida, non completamente nera, piuttosto un insieme di sfumature verdi, blu e rosse. Mentre Cassie la rivoltava avanti e indietro, si accorse che rifrangeva la luce in gamme di colori sempre diverse. Appena lo vide, a Cassie si gelò il sangue nelle vene. Camuffato sotto l’affascinante superficie dell’opale c’era il simbolo dei cacciatori che risplendeva iridescente. «Oh, mio Dio», esclamò. «Faye, sei stata marchiata». Il resto del gruppo trattenne il respiro. «Non è possibile», disse Faye. Abbassò lo sguardo sulla collana. «No!», urlò, riconoscendo subito il simbolo. «Non avrebbe potuto!». Per qualche istante, nessuno parlò. Cassie si guardò intorno nella stanza posando lo sguardo su ciascuno dei suoi amici. L’energia della stanza si era riequilibrata in fretta. L’onnipotente Faye era crollata. Sembrava una persona diversa. Le sue ampie spalle erano ricurve in avanti e il colorito le era evaporato dal volto. Si sedette sul divano e iniziò a piangere, china in avanti. Era una scena che nessuno di loro avrebbe potuto prevedere. «Come?», chiese. Aveva gli occhi iniettati di sangue e il mascara nero le colava sulle guance. Era la prima volta che Cassie la vedeva piangere. «Non capisco come sia potuto succedere». «Max è un cacciatore di streghe», affermò Melanie. «È stato lui a dartelo». «E ciò significa che con ogni probabilità anche il preside è un cacciatore». Adam rivolse a Cassie uno sguardo significativo. «Proprio come sospettavi». Melanie annuì. «Tale padre, tale figlio». Cassie non poteva essere contenta di aver avuto ragione a proposito del preside, soprattutto in un momento come quello. Avrebbe preferito che si fosse trattato di una stupida paranoia. Diana si sedette accanto a Faye e le prese la mano con gentilezza. «So che sei sotto shock, Faye, ma abbiamo bisogno di sapere tutto quello che hai detto a Max». Faye sollevò la testa. Le sue lunghe ciglia erano bagnate di lacrime, era stravolta. «Non me lo ricordo nemmeno». Si slacciò la collana da dietro il collo e la fece cadere sul tavolo. «Pensavo di piacergli davvero», disse a bassa voce, quasi tra sé e sé. «Non volevo dirvelo, ma avevo annullato l’incantesimo tempo fa. Per scoprire se i suoi sentimenti erano…». Non riusciva nemmeno a trovare le parole. Diana la strinse fra le braccia e, incredibile a dirsi, Faye la lasciò fare. Cassie dovette distogliere lo sguardo. Vedere Faye con il cuore spezzato era brutale quasi quanto saperla marchiata. «Ma sembrava così sopraffatto dall’incantesimo», disse Laurel. «Forse per tutto questo tempo è stato immune alla magia, ma ha finto di stare al gioco per avvicinarsi a te», disse Adam. Cassie rivolse un’occhiata a Adam per zittirlo. Lui e Laurel stavano rimettendo a posto i tasselli mancanti, ma potevano benissimo farlo in un’altra stanza, dove Faye non avrebbe potuto sentirli. Non si rendevano conto dell’effetto che le loro parole avevano su di lei. Aveva persino cominciato a piangere più forte. Ma Cassie capiva. Quando Faye aveva annullato l’incantesimo d’amore e Max aveva continuato a comportarsi come se non potesse vivere senza di lei, aveva creduto che i suoi sentimenti fossero autentici. Melanie scosse la testa incredula. «Quindi i cacciatori sanno di due di noi», disse. «E senza gli Strumenti Supremi non siamo abbastanza forti da combatterli». «E Scarlett vuole ancora uccidere Cassie», aggiunse Nick. Diana continuava a stringere Faye fra le braccia. «Non abbiamo tempo di farci prendere dal panico», disse, ma le tremava la voce. «È giunto il momento di unire le nostre forze per supportarci e proteggerci a vicenda». Guardò Cassie dritto negli occhi. «Troveremo un modo», disse. «Lo troviamo sempre». Capitolo 30 Cassie riusciva a scorgere dalla veranda il riflesso bluastro della televisione che scintillava come una luce stroboscopica in una casa infestata. Sua madre la stava aspettando. «Dovrei entrare subito», disse Cassie afferrando la maniglia. «È sveglia». «Non ancora». Adam la prese per mano e strinse forte. «Con tutto quello che sta succedendo», disse, «e che abbiamo passato, voglio che tu sappia che ce la faremo». «Lo so», disse Cassie. «Ne sei sicura?». Si sporse in avanti per darle un bacio, ma si fermò a poca distanza dalle sue labbra. Cassie poteva sentire il suo respiro sulla pelle e il calore del suo corpo, così vicino a lei. Sostenne il suo sguardo con il cuore che le martellava nel petto. «Sono sicura». Lo attirò a sé, baciandolo appassionatamente. Con un abbandono selvaggio che aveva dimenticato, lei e Adam si fusero in una cosa sola, e lei si lasciò trascinare via. Continuarono a baciarsi fino a quando non furono entrambi accaldati e con il respiro affannoso. Cassie aspettò di riprendere fiato e di far rallentare il battito. Poi alzò lo sguardo su di lui, per un attimo affascinata dal legame che pulsava fra loro. Il filo d’argento, pensò, il vincolo misterioso che l’aveva collegata a lui fin dall’inizio e che avrebbe continuato a farlo per sempre. Era più forte che mai. Dopo tutte le intense emozioni che Cassie aveva provato nelle ultime settimane, una sola cosa era emersa, solida e luminosa. Si era resa davvero conto di quanto fosse fortunata ad avere Adam al proprio fianco. «Ti amo», disse. Il volto di lui si aprì in un sorriso luminoso. «E io amo te». Lo baciò ancora una volta, con tenerezza, e inspirò a fondo il suo odore. «Ti amo davvero», disse. I suoi occhi blu scintillarono e lui scoppiò a ridere. «Possiamo giocare a questo gioco per tutta la notte». «O per tutta la vita», disse Cassie sorridendo a sua volta. Scoprì di non riuscire a distogliere lo sguardo da lui. Si avvicinarono sempre di più. «O forse ancora più a lungo». Quando finalmente Cassie mise piede in casa, si chiuse la porta alle spalle e rimase in attesa. Sua madre aveva quasi l’aspetto di un fantasma e sembrava spaventata come se ne avesse visto uno. Cassie si sentì malissimo per averla fatta preoccupare così tanto. Quella donna aveva tutto il diritto di essere arrabbiata con lei. «Mamma», disse. «Mi dispiace tanto». Sua madre non rispose, e lei aggiunse: «Avevo bisogno di andare a Cape Cod, era un’emergenza. E poi…». «Lascia perdere la macchina», disse sua madre. «Stai bene?». Cassie annuì e lasciò cadere la borsa accanto alla porta. Quando raggiunse le braccia di sua madre, alzò lo sguardo su di lei, sperando di cogliere un segno di rimprovero nei suoi occhi. Ma invece il volto di sua madre fu attraversato da un’espressione triste, come una potente ondata di dolore. «Mamma?», chiese Cassie, senza sapere bene cosa dire. I grandi occhi neri di sua madre, circondati dalle occhiaie, si riempirono di lacrime. «Pensavo che fossi scappata via», disse. «E poi ho creduto che fossi morta. È stato come se potessi sentire il tuo dolore». Parlava in tono calmo e pieno di rimorso, e Cassie si rese conto che con ogni probabilità sua madre poteva percepire le sue sofferenze. Dopotutto erano legate, e lei era una strega. «Ho temuto che ti fossi allontanata da me, proprio quando pensavo che ci fossimo avvicinate», le disse. «Ho fatto o detto qualcosa che ti ha infastidita? Dimmelo». Quando Cassie aveva scoperto che sua madre non le aveva mai detto nulla di Scarlett, le era sembrato un tradimento imperdonabile, come se fosse stata tenuta all’oscuro del peggiore segreto del modo per tutta la vita. Ma in quel momento, osservando il volto fragile e pentito della madre, Cassie si rese conto che lo aveva fatto per proteggerla. Doveva aver saputo che Scarlett era malvagia. «Oh, mamma», disse Cassie. «Non ero arrabbiata, solo confusa. Ero confusa per così tante cose». Dopo tutto quello che era successo, Cassie si rese conto che era giunta l’ora di dirle la verità. «Ho così tante cose da raccontarti», disse Cassie. Non sapeva nemmeno da dove iniziare, ma fece del suo meglio per parlare con calma e non tralasciare niente. Si conficcò le unghie nei palmi e continuò a parlare senza interrompersi per un tempo che sembrò infinito. Poi sua madre trasse un debole respiro e chiuse gli occhi. Cassie sapeva che era il momento di restare in silenzio e lasciarla parlare. «Nemmeno la madre di Scarlett disdegnava il lato oscuro di Black John», disse. «Era stata bandita dal nostro circolo perché faceva uso della magia nera. Ma speravo che quei giorni fossero passati. Ecco perché non ti ho mai parlato di Scarlett». Cassie annuì e sua madre le prese il volto fra le mani. «Non te lo avrei mai tenuto nascosto se avessi pensato che fossi in pericolo». «Non è colpa tua», disse Cassie. «Avrei dovuto dirtelo appena l’ho scoperto». «Non è colpa di nessuno», disse sua madre. «Ma la situazione è questa». Sospirò e si alzò in piedi. «C’è una cosa che devo darti, ma ho aspettato fino a quando non fosse stato necessario», disse, criptica. «Adesso sembra che sia arrivato il momento». Il suo tono di voce la confondeva. «Cos’è?», chiese Cassie. «Torno subito». Sua madre uscì dalla stanza e rimase fuori più a lungo di quanto Cassie si aspettava. Ma proprio quando stava per andare a cercarla, tornò con un libro fra le mani. Era un diario rilegato in pelle sbiadita, con le pagine bordate d’oro. A Cassie sembrava una Bibbia antica. «Questo è il Libro delle ombre di tuo padre», disse sua madre, tendendolo verso di lei con entrambe le mani. Cassie rimase immobile, come paralizzata, e sentì il sangue che le defluiva dal volto. Il Libro delle ombre di Black John… il solo pensiero la faceva tremare. Sentiva che la magia nera era un territorio che avrebbe fatto meglio a lasciare inesplorato. Sua madre continuò a tenderle il libro. «Va tutto bene», disse. «Puoi toccarlo». Cassie lo prese con riluttanza dalle mani della madre. Il libro sembrava freddo e crudele al tocco… quasi vivo. «Come hai fatto ad averlo?», chiese Cassie. Sua madre di sedette di nuovo accanto a lei. «È una lunga storia. Ma è rimasto nascosto in questa casa per molto tempo. Devi capire che nelle mani sbagliate, questo libro potrebbe essere estremamente pericoloso». “Come gli Strumenti Supremi”, pensò Cassie. «E vuoi che sia io ad averlo?». Il volto di sua madre era serio. «Ne avrai bisogno se vuoi avere una possibilità di sconfiggere Scarlett». Il libro era più pesante di quanto sembrasse, come se il peso di ciò che vi era scritto fosse maggiore della semplice somma delle pagine. Era impossibile comprendere gli incantesimi oscuri e i segreti che conteneva. Cassie si accorse che la copertina di pelle nera non era del tutto liscia. Era goffrata con un simbolo sbiadito che a Cassie ricordò le iscrizioni sul braccialetto e sul diadema d’argento. C’erano anche dei graffi e delle cavità, come se qualcuno avesse passato le unghie sulla superficie. E l’angolo in alto a destra era così consumato che era diventato quasi del tutto grigio, come un timbro rovinato e ovale. Cassie si rese conto che quella era l’impronta di Black John. Allontanò lo sguardo dal punto ingrigito e le si strinse lo stomaco. Ne era intrigata, ma anche turbata. Si concentrò di nuovo sul simbolo goffrato, cercando di ricordare dove altro lo avesse visto. E poi le venne in mente: era identico all’iscrizione sull’anello di magnetite di Black John, quello usato per identificarlo come John Blake, e in seguito come John Brunswick. Tenere quel libro fra le mani era la cosa più simile all’avere Black John nella stanza con lei. Le sembrava che tutta l’oscurità del mondo potesse iniziare a riversarsi fuori dalle sue pagine da un momento all’altro. La madre di Cassie la guardò maneggiare il libro con apprensione. «So che ti sembra vivo», disse. «Ma è solo un libro, te lo prometto. E tu sei abbastanza forte da gestirlo». Il suo sguardo aveva una schiettezza che Cassie non aveva mai visto. Il libro tremò fra le mani di Cassie mentre lei cercava di calmarsi. Era solo carta e parole, ecco tutto. E le sue parole contenevano la chiave per sconfiggere Scarlett, salvare il circolo e recuperare gli Strumenti Supremi. Non poteva permettersi il lusso di fingere che non esistesse, per quanto le sembrasse malvagio e spaventoso. Non poteva semplicemente rimetterlo nel suo nascondiglio. Era sua responsabilità leggerlo, studiarlo e assimilarne i segreti fino a quando non fossero diventati parte di lei. Solo a quel punto sarebbe stata abbastanza forte da affrontare Scarlett. Sua madre la osservò in silenzio e sembrò capire esattamente a cosa stesse pensando. «Ricorda, Cassie», disse. «Sei una persona buona. C’è molta più luce che oscurità nella tua anima. Lo sai, vero?». Cassie annuì. «Penso di sì». «Ma ci sono cose in questo libro che per te non sarà facile leggere. Capisci cosa voglio dire?» «Sì», disse Cassie. «Se lo apri», la avvertì sua madre. «Non c’è modo di tornare indietro».