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Intervista ad Antoni Gaudì
Antoni Plàcid Guillem Gaudí i Cornet (Reus, 25 giugno 1852 – Barcellona, 10 giugno1926), è stato il massimo esponente del modernismo catalano, pur essendo la personalità meno organica a tale movimento artistico di cui comunque condivideva i presupposti ideologici e tematici, completandoli però con una ispirazione personale, basata principalmente su forme naturali, che giunse a degli esiti anticipatori dell‘espressionismo e di altre avanguardie, compreso il surrealismo. Per questo Gaudí è generalmente riconosciuto come uno dei maggiori architetti del XIX e XX secolo, anche se generalmente viene enfatizzato il suo ruolo di genio solitario, trascurando l'importante ruolo culturale. Sono nato nella provincia di Tarragona, nella Catalogna meridionale. I miei genitori erano artigiani calderai, a loro attribuisco la mia naturale sensibilità per i materiali. Per dieci anni ho frequentato il collegio dei Padri Scolopi di Reus.Non sono stato uno studente modello. Molte discipline mi annoiavano, soprattutto la geometria analitica, che, a mio parere, riduce le forme geometriche in formule algebriche, a discapito dell'architettura. All'età di ventidue anni sono stato ammesso alla Scuola di Architettura di Barcellona, la seconda in Spagna dopo quella di Madrid, che mi ha fornito una preparazione tecnica e storica, basata sull'analisi dei monumenti antichi. Nel 1878 ho vinto il concorso indetto dal municipio di Barcellona per la realizzazione dei lampioni in pietra e ghisa della plaça Real. Nello stesso anno, durante l’Esposizione Unversale, a Parigi, c’è stato l'incontro fondamentale, quello con l'industriale catalano Eusebi Güell Bacigalupi, con il quale è nata una lunga collaborazione. Il mio punto di partenza è stata la tradizione, sia dal punto di vista artistico che da quello culturale. Frequentando la bottega dei miei genitori ho sviluppato una certa dimestichezza con i materiali che ho coniugato con la valorizzazione della cultura catalana. La vera originalità consiste nel tornare alle origini. Io mi sono ispirato alle forme egizie, a quelle classiche, a quelle etrusche. La natura è opera del Creatore e senza la spiritualità l’architettura non riesce a superare i limiti della tecnica. Ho sempre cercato la mia ispirazione direttamente nella natura. E, in particolare, nella natura del Mediterraneo. Io osservo la natura in modo non intellettualistico ed è proprio questo tipo di osservazione la mia migliore fonte di ispirazione Vedendo la natura in questo modo, scoprendo la sua geometria e le sue leggi, ho potuto cogliere la sua funzionalità totale. La natura fa le cose con assoluta funzionalità: un animale, un albero, una montagna hanno la forma che devono avere e non ne possono avere un’altra. Io ho tentato di fare cose funzionali, perché ritengo che la forma più funzionale fosse anche la più bella. Quanto alla bellezza, certo, può essere una questione di gusto, e il gusto è una cosa delicatissima. È chiaro, se uno ha come modello di bellezza i dipinti di Piero della Francesca, la bellezza ideale neoplatonica, così distante dalla realtà... beh, la mia è un’altra cosa. È l’esplosione di un’arte diversa, che si pone umilmente «accanto» alla natura. Mi considero un «copiatore», non un creatore di forme, perché l’unico Creatore è Dio. Ho cercato le soluzioni nella natura e le ho trasferite in architettura. Questa è la natura della mia arte: la valorizzazione della creazione, della realtà come opera di Dio, l’idea di unire con un «filo d’oro» la creazione di Dio, la natura, all’architettura. La natura parla, offre soluzioni, io le prendo e le inserisco nella costruzione. Il femore è una magnifica colonna, che permette di camminare: se Dio avesse voluto fare questa colonna in una forma dorica, ionica o corinzia, l’avrebbe fatta. Invece l’ha fatta nella forma di un iperboloide, perché funziona meglio. E con questa forma ho disegnato le colonne della facciata della Passione nella Sagrada Familia. Si tratta di una modalità progettuale che mi ha permesso di costruire edifici come se fossero grandi organismi viventi, che si sviluppano senza la necessità di una pianta simmetrica. Ogni pilastro, arco e contrafforte è inclinato diversamente per essere differente dagli altri, unico, così come avviene in natura per i rami degli alberi. Per poter avere tale libertà costruttiva mi sono avvalso di un modello tridimensionale, in cui costruisco il sistema di scarico dei pesi di pilastri e archi simulandone la forma attraverso catenelle o corde a cui appendo piccoli pesi nei punti in cui voglio innestare un nuovo arco. Tutto l’edificio è costruito intorno a un grande salone centrale alto quanto i tre piani dell’abitazione. Una tra le difficoltà maggiori che ho dovuto affrontare è stata la (relativa) carenza di spazio, in pieno centro città. Alcune stanze sono quindi organizzate su più livelli, come il salone principale per ricevere gli ospiti dell’alta società: l’alto soffitto riccamente decorato presenta dei fori nei quali, di notte, vengono poste delle lanterne, così da farlo sembrare un cielo stellato. Il parco nasce nell’ambito di un ambizioso progetto residenziale voluto da Guell. Si tratta di un complesso alla periferia dalla città, costituito da abitazioni immerse nel verde, in armonia con la natura. Purtroppo il progetto decaduto per la mancanza di acquirenti. Nel 1922 è stato trasformato in parco cittadino. Ho cercato di conservare l'andamento naturale del terreno in rilievo, dando libero sfogo alla mia immaginazione, creando un’opera originale dal profilo sinuoso. Per la sua costruzione ho impiegato variopinte ceramiche di recupero e pezzi di vetro, utilizzati come tessere di mosaici colorati, assieme alle sculture in calcestruzzo, che rappresentano tutto un universo di animali fantastici. Volevo creare un’opera che si integrasse nella natura e che la riproducesse: la passeggiata coperta con delle colonne che hanno le forme dei tronchi degli alberi o delle stalattiti, le fontane e le arcate artificiali di roccia. Per quanto riguarda Casa Milà, il mio progetto iniziale prevedeva che l’edificio costituisse la base di una gigantesca scultura in pietra, metallo e cristallo, che raffigurasse la madonna del Rosario e due angeli. Inoltre avevo progettato una facciata completamente affrescata, con la fusione di elementi marini, vegetali e terrestri. Questo effetto smaterializzante avrebbe fatto sì che l’edificio si integrasse perfettamente con il paesaggio. Casa Milà sintetizza il mio credo architettonico: creare un organismo architettonico in cui tutto è strettamente in correlazione. Un organismo unitario, in continuità tra esterno e interno, grazie alle forme morbide e alle superfici curvilinee. Il nastro di ferro battuto dei davanzali ricorda i rami rampicanti di una pianta e le aperture delle finestre le grotti naturali scavate nelle rocce. Anche casa Battilò appare un gigantesco organismo che si sviluppa su quella che sembra essere la struttura ossea di un animale fantastico… Di fatti anche questo edificio è stato progettato in modo che si integrasse perfettamente con l’ambiente cirostante. L’effetto smaterializzante è reso dalla superficie ondeggiante della facciata, ricoperta di un mosaico in ceramica che vibra sotto la luce. L’unico elemento ortogonale dell’edificio è dato dalle finestre rettangolari. I balconi, realizzati in pietra levigata e ferro battuto, sono come mandibole di un animale fossile. Sul tetto, le tegole colorate, ricordano le scaglie di una corazza, così come la sommità curvilinea fanno assomigliare il tutto alla schiena di un drago gigantesco. Gli interni proseguono in continuità con la facciata e si snodano morbidamente. Non esistono pareti piane né angoli retti, tutte le superfici sono ondulate in modo che l’impressione sia quella di trovarsi dentro le viscere di un palazzo-drago. La scala interna è sottolineata da una balaustra a spina dorsale, mentre le aperture (porte, finestre, lucernari) si insinuano nelle pieghe delle pareti e del soffitto. La Sagrada Familia rappresenta la sintesi delle mie teorie costruttive e del mio sentimento religioso: una chiesa, unico edificio degno di rappresentare il sentimento di un popolo, dato che la religione è la cosa più elevata dell’uomo. L’interno della Sagrada Familia è come un bosco e nasce dalla struttura delle navate. I pilastri sono elicoidali perché tale forma è propria degli elementi a sostegno di carichi superiori, e inclinati perché la forma elicoidale è caratterizzata da una certa inclinazione, dovuta alle funicolari delle volte e delle coperture. Le forme elicoidali sono infinite e salgono incessantemente verso l’alto, come l’eternità e la vita spirituale delle anime che contemplano Dio, essere infinito. Così i pilastri della Sagrada Familia. Alcuni critici hanno detto che fuori della fede sarei incomprensibile, se non si ha la fede non si può capire la mia arte. Questa per me è un po’ un’esagerazione. Ho cercato solo di essere un buon cristiano e vivere la fede come il cardine della mia vita e del mio lavoro. Non m’interessava il denaro. Ho devoluto molte volte i miei compensi ai poveri. Non mi sono mai fatto pubblicità, non ha mai fatto conferenze. Non avevo tempo per spiegare tutto quello che usciva dalla mia testa. Le idee scaturivano nella mia testa come una cascata che mi permetteva di vedere le cose della natura e trasferirle in architettura. Alcune delle mie soluzioni architettoniche sono in realtà cose elementari, le porte di Casa Milà, per esempio, hanno maniglie di una forma particolare: un disegno molto originale. In realtà, si tratta semplicemente di una forma anatomica. Se si stringe con la mano un materiale duttile e poi si apre la mano, rimane quella forma. Così, le mie sedie hanno forme che sono «parallele» al corpo umano, perché vi si adattino e servano alla loro funzione. Il problema per me non è lo stile, ma la funzionalità. Se guardo a certe chiese di oggi, penso proprio di no. Ci sono cose che si possono fare con la tecnica, ma l’architettura non è soltanto tecnica. Penso di aver fatto architettura anche senza fare architettura. Nel Rosario monumentale che si trova a Montserrat, mi fu affidato di rappresentare il primo Mistero glorioso: la Risurrezione. Ho pensato di realizzare un buco nella montagna e di collocarvi davanti delle piante aromatiche. Pensai che il giorno di Pasqua, quelle piante sarebbero fiorite. Allora il primo raggio di sole sarebbe arrivato alla tomba di Cristo, vuota. In quell’ora, i passeri cantano più dolcemente e l’acqua messa sulle piante aromatiche evapora col primo sole. In quel momento si deve celebrare la Messa dell’aurora. Ho fatto architettura senza colonne, senza pilastri, senza pareti. Un buco nella montagna, e l’immagine di Cristo risuscitato. In tempi recenti ha preso corpo l'iniziativa - promossa da un comitato di 30 ecclesiastici, accademici, designer e architetti - di proporre l'architetto catalano per la beatificazione e la canonizzazione. L‘arcivescovo di Barcellona, ha avviato il processo di canonizzazione nel 1998, definendo Gaudì "un laico mistico". Il processo di beatificazione ha suscitato discussioni tra chi vorrebbe che Gaudì venisse ricordato essenzialmente per le sue opere e per la sua influenza artistica, e coloro che ricordano la sua vita austera e cristianamente coerente “Si potrà contestare Gaudì; si potrà criticare questo o quel particolare, ma non si potrà negare che era un uomo straordinario, vero genio creatore e