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Il Piccolo 24 aprile 2016 Baruffa all`obitorio sullo scambio di salme

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Il Piccolo 24 aprile 2016 Baruffa all`obitorio sullo scambio di salme
Il Piccolo 24 aprile 2016 Trieste Baruffa all’obitorio sullo scambio di salme AcegasApsAmga si scusa ma chiama in causa la ditta di onoranze funebri La replica: «È l’ex municipalizzata a prelevare i corpi. Andremo da un legale» di Gianpaolo Sarti. L’AcegasApsAmga, la società che per conto del Comune gestisce i servizi cimiteriali, fa mea culpa e ammette l’errore, almeno parzialmente. È stato un loro addetto a incappare nel tragico equivoco tra i due cadaveri che avevano lo stesso cognome. L’operatore aveva prelevato dalla cella frigorifera il corpo della settantenne Vera Vidali, che poi è stata cremata con tanto di funerale, anziché quello di Nivea Vidali. Un clamoroso caso di macabra omonimia avvenuto nelle scorse settimane nell’obitorio di via Costalunga scoperto in questi giorni quando i familiari di Vera si stavano preparando per le esequie della propria cara. Ma la vicenda, per quanto tragica, si tinge di grottesco: all’obitorio avrebbero sbagliato non una, ma due volte. La prima quando si trattava di preparare la salma di Nivea Vidali per la cerimonia. In quella circostanza avevano preso Vera. Qualche giorno fa, quando era arrivato il momento del funerale della settantenne, hanno preso dal frigo Nivea. Certo, ormai la povera Vera non c’era più, era già stata cremata, ma gli operatori dell’AcegasApsAmga non si sarebbero accorti di avere davanti la salma sbagliata. L’inghippo sarebbe stato notato appena dopo dai dipendenti della ditta “Trieste onoranze e trasporti funebri” che hanno allertato la famiglia. Sulla triste sorte di Vera Vidali, tra l’altro, incombe anche un’indagine della Procura di Trieste interpellata dagli stessi familiari per fare luce sulle circostanze che avevano portato alla morte della parente la notte tra il 10 e l’11 marzo. L’anziana si era sentita male nella propria abitazione di via Pirandello ed era deceduta, come è stato accertato dall’autopsia, a causa di un problema cardiaco. Che, per i soccorritori del 118, era invece soltanto influenza. Ma il dramma è continuato anche dopo il trapasso con la stupefacente svista tra salme, le cui responsabilità sono state appurata ieri, nel tardo pomeriggio, dalla stessa AcegasApsAmga che ha passato al setaccio le registrazioni delle telecamere interne. Un abbaglio, per quanto imbarazzante, che sarebbe stato facilmente evitabile con il riconoscimento del corpo da parte dei parenti. Riconoscimento mai avvenuto perché il cadavere, che è stato un mese e mezzo in una cella frigorifera a disposizione della Procura, si presentava compromesso dall’autopsia. Di qui la decisione degli addetti cimiteriali di sigillare la bara. Ma la multiutility, che attraverso il proprio ufficio stampa rivolge profonde scuse per la triste vicenda, non si assume tutte le colpe: «È vero, abbiamo prelevato un altro corpo, da parte nostra c’è stata certamente una negligenza. Ma dalle immagini video è chiarissimo che gli addetti della ditta di onoranze funebri (l’Alabarda, ndr) che vengono a prelevare il corpo non hanno controllato il bracciale di riconoscimento confrontandolo con la documentazione. E hanno chiuso la cassa riportando un nome errato. Inoltre la signora Nivea aveva una corporatura molto esile, pesava 40 chili, mentre quella che è stata prelevata aveva una mole decisamente diversa. La responsabilità è dell’agenzia». Ieri è andato in scena uno scambio di accuse. La versione fornita da AcegasApsAmga è respinta categoricamente dalla ditta incaricata. «In nessun modo il mio dipendente poteva essere a conoscenza che in quel momento in obitorio c’erano due salme con lo stesso cognome» spiega Michele Semacchi, amministratore dell’Alabarda. «Il mio collaboratore si trova già i morti preparati. Ha trovato una barella con il sacco nero e il cartellino e ha preso il corpo. Se saremo giudicati responsabili ci metteremo la faccia, ma va chiarito che noi non avevamo modo di sbagliare: è l’AcegasApsAmga che preleva le salme dai frigoriferi. Per quale motivo il mio collaboratore doveva avere dubbi sul cadavere che si è trovato davanti?» incalza Semacchi. «Facciamo tra gli 800 e i 900 funerali l’anno, non è mai accaduto niente. Comunque lì all’obitorio avrebbero dovuto far capire, magari con un cartello, che in quel momento c’erano due persone con lo stesso cognome. Chiediamo pubblicamente 1 scusa per rispetto nei confronti dei familiari, anche se non ci riteniamo i primi responsabili dell’accaduto. In ogni caso, a tutela del nostro nome, la questione sarà messa nella mani di un avvocato per fare chiarezza fino in fondo». Il nodo, insomma, è capire chi avrebbe dovuto fare cosa. Cioè se oltre al prelievo della salma dalla cella frigorifera, che spetta agli addetti AcegasApsAmga, i dipendenti delle aziende funerarie devono verificare a loro volta la corrispondenza esatta del cadavere. Il doppio funerale di Vera «offesa da viva e da morta» Ieri mattina la cerimonia bis davanti all’urna con le ceneri dell’ex professoressa Il figlio Davide chiede giustizia: «Siamo devastati dal dolore e dal disgusto» Vittima da viva di un ipotetico errore del 118 durante i soccorsi e, da morta, vittima di un clamoroso scambio di persona all’obitorio. La settantenne Vera Vidali, in passato docente di Lettere e Latino alle scuole medie e superiori, tra cui l’Oberdan, ha trovato pace soltanto ieri con il funerale. Le esequie si sono tenute in mattinata nella cappella del cimitero di via Costalunga. La cerimonia, officiata dal parroco di Melara don Davide Risicato, è stata celebrata davanti all’urna che conserva le ceneri della settantenne. Il suo corpo, infatti, era stato già cremato proprio a causa della kafkiana “svista” tra cadaveri avvenuta in via Costalunga. L’urna è stata deposta nella tomba di famiglia a Servola. La famiglia è devastata dal dolore e chiede giustizia, a maggior ragione a fronte del fatto che la morte dell’anziana signora è già al centro di un’indagine della Procura su come è stata soccorsa quando si è sentita male, lo scorso 10 marzo, nella sua abitazione. «Non c’è che dire -­‐ afferma Davide Cappelli, il figlio quarantenne, insegnante di professione -­‐ . Insultata da viva e anche da morta. Scambiandola per un’altra persona le è stato fatto il funerale e la cremazione è avvenuta già qualche giorno fa. Pertanto, invece della bara, c’è già l’urna. In queste sei settimane dalla morte abbiamo appreso troppe brutte cose sul pressapochismo e sulle inadeguatezze. Cose di cui avremmo fatto volentieri a meno». Il figlio si rivolge anche alla famiglia della donna con cui è avvenuto il tragico equivoco. «Un abbraccio all’altra famiglia -­‐ aggiunge Davide Cappelli -­‐ che ha pianto ed onorato la nostra cara pensando fosse la loro. E a cui sarebbe stato detto, in pratica, che le esequie fatte la scorsa settimana sono state solo una “prova generale” e che dovranno ripetere tutto». In questi giorni i familiari di Vera Vidali si rivolgeranno ai Carabinieri per denunciare la vicenda. «Per noi è una questione di principio, vogliamo verità. È evidente che gli addetti di AcegasApsAmga hanno le loro responsabilità -­‐ evidenzia ancora Cappelli -­‐ . Stiamo vivendo un grande dolore personale, al quale si somma un senso di disgusto su quanto è accaduto. Quello che è successo fa emergere questioni di banale prassi lavorativa su cui ci sono pesanti inefficienze. Siamo di fronte al massimo dell’incompetenza e dell’inadeguatezza. Non ci si può comportare così nei confronti delle salme delle persone. Dov’è il rispetto della dignità di un morto? Dov’è il rispetto dei parenti?». (g.s.) «Il decesso causato da una crisi cardiaca» L’esito dell’autopsia dell’Azienda ospedaliero-­‐sanitaria. I soccorritori del 118 pensavano a un’influenza La causa, che ha portato alla morte della settantenne Vera Vidali la notte tra il 10 e l'11 marzo, è con molta probabilità cardiaca. C'è l'autopsia dell'Azienda ospedaliero-­‐sanitaria a rilevarlo. Uno strumento che servirà alle indagini della Procura per attribuire eventuali responsabilità ai soccorritori del 118 che non avevano riconosciuto il problema. Avevano pensato a una banale influenza consigliando all'anziana di prendere una tachipirina, denunciano i familiari. La donna, già cardiopatica, era stata rinvenuta priva di vita nel letto di camera sua poche ore dopo. Il referto medico contiene un passaggio chiave: "Reni da shock", si legge nella diagnosi anatomo-­‐patologica: è la causa del decesso, verosimilmente, che si verifica quando la 2 pressione arteriosa si abbassa di molto. Prima va in sofferenza il cervello e poi i reni, proprio a causa di un'inadeguata circolazione sanguigna. Anche "l'edema cardiogeno dei polmoni", denota la stagnazione del sangue. Aveva il cuore che pompava poco. «Probabilmente, come si desume dal referto, mia mamma ha iniziato a sviluppare un'aritmia che se non viene bloccata da semplici farmaci va in fibrillazione ventricolare comportando un arresto cardiaco», spiega Davide Cappelli, il figlio. «I soccorritori, anziché pensare a un'influenza, avrebbero dovuto mettersi in allarme dopo aver rilevato la bassa ossigenazione del sangue». «Forse -­‐ continua -­‐ bastava fare un elettrocardiogramma con la strumentazione di bordo per rilevare l'aritmia cardiaca. Avrebbero così potuto portare in ospedale mia madre e sarebbe sopravvissuta». «La questione -­‐ prosegue il familiare della signora Vera -­‐ è capire se il problema è stato determinato dall'errore degli operatori dell'ambulanza o dall'assenza stessa di personale qualificato che è intervenuto quel giorno. E se le procedure previste dai protocolli sono state rispettate. Che mia mamma avrebbe potuto salvarsi è già stato sostanzialmente appurato». Il caso è nella mani della Procura di Trieste, al quale si è rivolto il marito di Vera, Mario Cappelli: se la ricostruzione dei parenti sarà confermata, il 118 avrebbe completamente trascurato i sintomi di un aggravamento della cardiopatia di cui soffriva la donna, obesa e fumatrice. Lo stato di semi-­‐incoscienza in cui è stata trovata, la bassa pressione e il sangue poco ossigenato avrebbero dovuto far capire agli operatori sanitari che l'anziana era in pericolo di vita. (g.s.) Lettere Sanità. Tutti paghino il dovuto In Regione Lombardia ci sono proposte di nuovi ticket su prestazoni sanitarie. A proposito dell’intenzione di introdurre nuovi ticket da far pagare anche a cittadini ora esenti per età, su prestazioni sanitarie in Lombardia, in base al reddito, si parla al di sopra, di 30 mila euro famigliari annuali. Vuoi vedere che vogliono farglielo pagare in particolare ai cittadini onesti, questi non solo già pagano il servizio sanitario nazionale per chi evade il fisco, per chi lavora in nero, per chi porta i soldi all’estero, per i corrotti, per i disonesti, ma in più gli onesti dovranno pagare anche il nuovo ticket sulle prestazioni sanitarie, anche se hanno più di 65 anni. Cari responsabili della sanità lombarda e nazionale, la strada per finanziare il Servizio sanitario nazionale è quella di far pagare a tutti i cittadini il dovuto, andando a risolvere una buona volta il problema diffuso dell’illegalità, li si troverebbero una montagna di soldi da far entrare nelle casse dello Stato, e non andare a colpire ancora chi con orgoglio e senso del dovere civile e sociale è onesto, porta avanti la cultura dei veri valori dell’onestà e solidarietà. Francesco Lena Cenate Sopra (Bergamo) Gorizia L’ambulanza non arriva Muore poche ore dopo La denuncia ai carabinieri del figlio della donna (68 anni): è stato lui a trasportarla con la propria auto in ospedale ma si è perso troppo tempo di Francesco Fain. «Mia madre sta malissimo. Potete intervenire?». «No. Non ci sono ambulanze». Quella risposta gli è rimasta impressa e rimbomba ancora nella sua mente. Perché la mamma, dopo essere stata portata in ospedale dal figlio con la propria auto e dopo essere stata sottoposta a tutte le cure del caso, è deceduta. «Forse, anche se fosse arrivata l’ambulanza, mia madre sarebbe morta ugualmente. Ma non c’è la controprova. Queste cose non possono, anzi non devono accadere in un paese civile. Pago le tasse e pretendo ci sia un’ambulanza». Un caso di malasanità? A raccontare questa triste storia è Luca Gregori, goriziano che ieri pomeriggio ha presentato denuncia ai carabinieri. «Mia madre, Bruna 3 Ferletic, 68 anni, era malata da tempo. Soffriva di una forma aggressiva di artrite reumatoide. Questo l’aveva portata ad assumere dosi massicce di cortisone: un medicinale che, mentre ha lenito i dolori dell’artrite, ha finito con il causare un’insufficienza renale. Dallo scorso mese di settembre, infatti, la mamma ha iniziato il ciclo della dialisi». Le cose, però, precipitano all’improvviso. Venerdì della scorsa settimana, la donna si sente male attorno a mezzogiorno. Poi, sembra riprendersi. Alle 19.30, dopo una giornata di lavoro, il figlio va dai genitori e constata che le condizioni della madre sono nuovamente peggiorate: accusa un atroce dolore allo stomaco. «La prima cosa che faccio è chiamare la dottoressa che ha in carico mia madre per la dialisi: sono preoccupato, non so come comportarmi. Due minuti più tardi, chiamo il 118. Ma la risposta che mi sento indirizzare mi lascia di sasso: non ci sono ambulanze». In quel momento, Luca Gregori non si mette a sindacare e a recriminare perché il suo unico obiettivo è quello di trasportare, al più presto e in sicurezza, la madre in ospedale. «Prendo l’auto e carico nell’abitacolo, non senza difficoltà, la mamma: abbasso anche il sedile in maniera che possa rimanere distesa. Non vi racconto il viaggio: ho tenuto mia madre per mano per l’intero tragitto, cercando di rassicurarla. Stava veramente malissimo: si contorceva per il dolore». Il tragitto non è breve ed è particolarmente tortuoso: i genitori abitano a Doberdò del Lago, lungo la strada del Vallone. «Mantenendo la freddezza, arrivo a destinazione. Mi avvicino alla porta che dà accesso al deposito delle ambulanze. Parcheggio lì ma esce un operatore e mi dice, con grande fermezza, che devo assolutamente allontanarmi perché le ambulanze devono avere libero accesso. Obbedisco, sposto la macchina e corro al Pronto soccorso ma in accettazione non c’è nessuno, suono al campanello e non mi rispondono. Allora, busso alla porta della guardia medica ma, evidentemente, è fuori per una visita. Non so che pesci pigliare, mia madre è ancora in auto e continua a lamentarsi. Allora, torno con la vettura nel box delle ambulanze e inizio a suonare il campanello all’impazzata. Escono gli operatori». Racconto in presa diretta Sembra fatta. Ma, lì per lì, manca un lettino che poi viene individuato e recuperato in un altro reparto. «Alle 21 mia madre viene visitata. Nel frattempo non mi do pace per l’assenza di ambulanze. Un’operatrice mi dice: “Guardi che lei è la quarta persona che, oggi, viene con mezzi propri per portare qui un proprio caro infortunato”». Il tempo passa. Gregori rimane in ospedale accanto alla madre sino alle 24: poi, su consiglio degli stessi medici, torna a casa. Dichiara di aver ricevuto, nel corso della notte, due telefonate dall’ospedale che lo aggiornano dell’aggravamento della situazione: la mamma è ricoverata in rianimazione. «Alle 5.50 mi fiondo nuovamente al San Giovanni e mi spiegano che ormai c’è ben poco da fare. Mia madre ha l’intestino forato a causa dei cortisonici assunti quotidianamente per l’artrite reumatoide». Alle 9.55, Bruna Ferletic esala l’ultimo respiro. «Non ce l’ho con gli operatori sanitari che fanno quello che possono. Ce l’ho con un sistema che non funziona: questo è il prezzo dei tagli, dei ridimensionamenti. Ho vissuto per un periodo della mia vita alle Canarie e devo dire che, là, il settore sanitario funziona alla meraviglia. Non ho la preparazione necessaria e non sono nemmeno così avventato da dire che, se ci fosse stata l’ambulanza, oggi mia madre sarebbe viva. Ma manca la controprova». «Chiedo e mi chiedo: se non avessi avuto l’automobile, chi avrebbe portato in ospedale mia madre? È giusto che un cittadino, che ha sempre versato le tasse sino all’ultimo centesimo, si senta rispondere che non ci sono ambulanze?». Destinati 225mila euro per il “118” ma i mezzi non si vedono Dopo una lunga battaglia, Gorizia è riuscita a mantenere due autolettighe per coprire tutto il territorio E dire che l’Azienda sanitaria ha destinato recentemente duecentoventicinquemila euro che serviranno per il rinnovo dei mezzi del 118. Non è chiaro quanti nè quali, almeno in questa prima fase ma si era trattato di una notizia importante in un campo (quello dei mezzi d’emergenza) che aveva registrato pesanti polemiche soprattutto a Monfalcone, per il taglio 4 dell’automedica notturna. Per rimediare, almeno in parte, a questa decisione, dal 21 marzo, infatti, era stata istituita un’automedica notturna aggiuntiva con sede di partenza da Santa Croce «a seguito della riorganizzazione della Aas n.2 Isontina -­‐ aveva spiegato commissario straordinario dell'Azienda sanitaria di Trieste, Nicola Delli Quadri -­‐ a copertura delle chiamate di soccorso gravi della zona ovest dell'altopiano della provincia di Trieste». Una novità pensata in particolare per potenziare il soccorso in quell'area, oltre che a sostegno della copertura del monfalconese. Ma torniamo ai recenti investimenti effettuati dall’Azienda Sanitaria Bassa Friulana-­‐Isontina. Complessivamente, sul piatto ci sono quasi 3,7 milioni di euro. La fetta maggiore è di 2.697.000 euro (riportata nel grafico a lato), di cui 2.147.000 saranno destinati a «interventi -­‐ si legge nel decreto del direttore generale dell'Aas Bassa Friulana/Isontina Giovanni Pilati -­‐ di rilievo aziendale, sia per lavori di tipo edile/impiantistico e sia per l'acquisizione di beni mobili e tecnologici». Significativo, anche se si tratta di un "mini-­‐finanziamento" di 59.789 euro, il contributo per la realizzazione di interventi di manutenzione ordinaria e straordinaria di opere esistenti nelle aree verdi dell'ex Opp: a conferma che la riqualificazione del Parco Basaglia punta a restituire alla cittadinanza uno spazio oggi poco valorizzato per destinarlo ad attività culturali, formative ed imprenditoriali-­‐cooperative. Nella fattispecie, 20mila euro serviranno per realizzare parcheggi nell'area del vecchio ospedale psichiatrico, 19.800 per la manutenzione della recinzione dello stesso ex Opp, 20mila per la manutenzione straordinaria delle alberature della medesima area verde. Poi, ci sono i 220mila euro destinati, appunto, ai mezzi del 118. PARLA L’AZIENDA SANITARIA BASSA FRIULANA-­‐ISONTINA «Faremo tutte le verifiche necessarie Dobbiamo capire cosa è accaduto» «Difficile fare delle verifiche di sabato. Posso, comunque, dire che effettueremo tutti gli approfondimenti del caso per capire cos’è successo. In questi casi, va fatta massima chiarezza. Lo dobbiamo, giustamente, alla famiglia. Lo dobbiamo, altrettanto giustamente, ai professionisti coinvolti». Al termine di una lunga mattinata e di metà pomeriggio passati ad “inseguire” vanamente un commento o una reazione da parte dei vertici dell’Azienda sanitaria Bassa Friulana-­‐Isontina, è il direttore sanitario “facente funzioni” Gianni Cavallini a rispondere al cellulare. È ignaro della vicenda raccontata da Luca Gregori, cui dedichiamo il servizio di apertura del giornale. La apprende, per sommi capi, dal nostro resoconto perché (almeno per ora) ancora non ci sono esposti o richieste di chiarimenti sulle scrivanie dell’Aas. «Non conoscendo la vicenda e non avendo alcuna carta in mano, è chiaro che non posso sbilanciarmi più di tanto -­‐ premette molto gentilmente -­‐. Il 118, nei suoi interventi, adotta tutta una serie di criteri che sono codificati. Bisogna capire cosa è realmente successo in questo caso. Il cittadino afferma che gli è stato risposto che “non ci sono ambulanze”? Verificheremo». Cavallini non lo specifica ma tutte le telefonate di richiesta d’aiuto e di soccorso vengono registrate: quindi, la prima verifica riguarderà, eventualmente, proprio la chiamata. Non solo. Il direttore sanitario ci lascia con la promessa che ci terrà aggiornati sulla questione. «Se dovessi sapere qualcosa già oggi, vi chiamo». Ma, di sabato, e per giunta con due giornate festive alle porte, è davvero difficile (se non impossibile) trovare tutte le persone per fare un’attenta verifica del caso. L’Azienda sanitaria, comunque, vuole vederci chiaro e da martedì farà tutte le valutazioni necessarie. Dall’altro lato, c’è un cittadino molto deluso per i troppi “contrattempi” che ha riscontrato nei soccorsi alla madre. «È chiaro che in questa situazione c’è da sperare di non avere mai bisogno di un’ambulanza... Ho voluto denunciare quanto mi è successo non certamente per voglia dsi protagonismo o per attaccare il sistema sanitario tanto per farlo. Ho voluto raccontare pubblicamente questo fattaccio, perché mi auguro che non si ripeta più». «Il mio -­‐ conclude Gregori -­‐ vuole essere un contributo affinché il sistema sanitario possa migliorare». Francesco Fain 5 «Ma quale sindrome, non esistono perizie» L’avvocato dei genitori a cui sono stati tolti i bambini critica l’operato della Procura: «Mamma e papà mai sentiti» di Francesco Fain. «Sindrome di Münchausen? Sindrome di Polle? Chi l’ha certificato? Dove sono le perizie? Mi diano documenti e nomi e cognomi degli esperti coinvolti nell’esame della vicenda» Francesco Miraglia, l’avvocato che tutela gli interessi della famiglia goriziana a cui sono stati tolti i figli, non molla e torna a contrattaccare la Procura della Repubblica. Ha letto le ultime dichiarazioni del procuratore capo Massimo Lia e risponde colpo su colpo. «Chiedo pubblicamente un incontro. Chiedo di essere convocato dalla Procura per spiegare i termini della vicenda. I genitori non sono mai stati chiamati, non si è mai ritenuto di sentire la loro voce. Perché questo atteggiamento? Sino a prova contraria, si tratta di patologie che sono state diagnosticate ai due bambini da medici esperti del settore e, come ho già detto in diverse occasioni, non sono frutto di autocertificazioni». Miraglia non le manda a dire. E ammonisce: «Prima o poi, qualcuno dovrà anche prendersi la responsabilità dei danni che si stanno causando ai bambini allontanati dalla famiglia. Si tratta di decisioni delicate che possono causare ulteriori contraccolpi. E poi, cosa vuole dire “eccesso di cure”? Ripeto: attraverso il vostro giornale, formulo una richiesta ufficiale e pubblica alla Procura della Repubblica affinché convochi i genitori e il sottoscritto». Dallo scorso novembre i due fratellini, la cui patologia è stata certificata da strutture sanitarie di eccellenza come il Besta di Milano e il Centro Regionale per le Malattie Rare, vivono in una casa famiglia, in un’altra regione per di più, lontani dagli affetti dei loro genitori e privati degli insegnanti di sostegno, che potevano garantire loro il mantenimento, se non l’accrescimento, delle competenze fino ad allora ottenute. «Raramente ho visto tanto dispendio di tempo e risorse per delle indagini. Hanno utilizzato persino le intercettazioni telefoniche. Il neuropsichiatra dell’Aas Isontina che seguiva i bambini aveva trasmesso, dopo un dissidio con la famiglia, alla Procura le sue perplessità sulle reali condizioni di salute dei due bambini, la cui patologia è stata invece più volte certificata, anche dalla commissione medica per l'invalidità, sostenendo che fossero i genitori stessi a “causare” la patologia e che quindi non fosse di origine genetica. Ebbene, il Tribunale in prima analisi rigetta le istanze, considerando la coppia dei genitori affettuosi e premurosi». Bocche cucite dall’Azienda sanitaria, che non vuole commentare la vicenda. «È una questione -­‐ fa sapere la segreteria del direttore generale Giovanni Pilati -­‐ che non riguarda direttamente l’Aas. Pertanto, ci affidiamo a un “no comment”». Il legale della famiglia ha presentato istanza urgente al Tribunale dei minori di Trieste, chiedendo la revoca immediata del provvedimento di allontanamento dei due minori e di reintegro alla coppia la responsabilità genitoriale. LE REAZIONI DI CHI SI OCCUPA DI PSICHIATRIA E WELFARE «La priorità è di ricomporre al più presto il nucleo familiare» «Il caso dei bambini tolti ai genitori? I servizi sociali del Comune di Gorizia ne sono a conoscenza da tempo. È una questione che è stata affrontata con grande attenzione e puntiglio. Ma visto che in ballo ci sono minori, non posso dire molto». Silvana Romano, assessore comunale ai Servizi sociali e al Welfare, è persino imbarazzata. La vicenda, oltre che delicatissima, è talmente ingarbugliata che ogni parola “fuori posto” potrebbe causare ulteriori problemi. Insomma, è necessario il massimo equilibrio per parlarne. «È sempre difficile sopportare l’idea di vedersi portare via i propri bambini. Credo che il Tribunale dei minori abbia valutato bene a questione, prima di prendere la decisione». Conclude Romano: «Spero che la vicenda si risolva nel migliore dei modi». All’insegna della massima cautela anche le parole di Ilaria Cecot, assessore provinciale al Welfare. «Ho letto i vostri servizi dedicati alla vicenda. Che dire? Mi sento particolarmente vicina a quanto affermato da Mario 6 Brancati, presidente dell’Anfass. “Chi non lo vive sulla propria pelle non può sapere realmente cosa vuol dire la disabilità”, dice l’ex assessore regionale. Si tratta di parole condivisibili. Lui ha un figlio disabile e sta vivendo sulla sua pelle questa problematica. Ecco perché non posso che condividere quanto esprime». Entrando nello specifico della vicenda, Cecot evidenzia che è meglio non lasciarsi andare a giudizi e affermazioni avventate. «Non conosco la situazione. Non conosco nemmeno il provvedimento. Oggettivamente, esprimere un giudizio sulla vicenda è molto difficile». Aggiunge Cecot: «A livello umano, posso solamente dire che, secondo il mio parere, l’allontanamento di un figlio dalla sua famiglia deve essere l’ultima ratio. Si deve trattare di decisioni ben ponderate». E l’augurio dell’assessore provinciale al Welfare è proprio questo: ovvero che la decisione sia stata presa con tutte le attenzioni e le cautele del caso, visto che stiamo parlando di minori. «Con i minori eventi del genere possono lasciare conseguenze». Il dottor Franco Perazza considera il lato psicologico della vicenda dei bambini sottratti ai genitori “per eccesso di cure”, ma non entra nel merito del caso. Interpellato sulla delicata questione sollevata dal legale della famiglia goriziana che, suo malgrado, a novembre si è vista portare via i figli di 7 e 12 anni, il direttore del Dipartimento di salute mentale dell’Azienda sanitaria Bassa Friulana-­‐Isontino si limita a poche considerazioni e parla in termini volutamente generici perché, specifica, “non è una faccenda che è passata dai servizi di mia competenza”. «Conosco solo quello che ho letto sulla stampa», sottolinea Perazza invitando a non lasciarsi trasportare dall’istinto. «Posso solo dire che in questi casi il rischio è di dare giudizi affrettati su situazioni complesse con tanti risvolti di tipo giuridico e sanitario, ma soprattutto di tipo umano. Prima di commentare bisogna quindi conoscere tutti gli aspetti». «Personalmente – prosegue il direttore del Dsm – non ho mai avuto a che fare con situazioni di questa natura. Quando ci sono stati dei problemi, siamo sempre riusciti a superarli prima. Ai miei operatori dico sempre di essere estremamente prudenti e di considerare tutti gli aspetti medici e legali, oltre che umani, prima di prendere delle decisioni. I provvedimenti dei giudici penso siano stati valutati, ma la priorità principale rimane sempre quella di ricomporre al più presto la situazione famigliare”. (fra. fa. e s.b.) Messaggero Veneto 24 aprile 2016 Lignano «In estate a Lignano sicurezza sanitaria da grande città» Telesca all’inaugurazione: potenziato il punto di primo soccorso Attesa la nuova sede. Rassicurazioni al comitato di Latisana LIGNANO. Sessanta giorni in più di apertura, da venerdì fino all’ultimo fine settimana di settembre; servizio disponibile continuativamente, 24 ore su 24, dal 10 giugno al 12 settembre; ore/medico che passano dalle 2.172 del 2015 alle 2.896 previste nell’estate di quest’anno, con aumento di un terzo (+724 ore/medico); presenza, da marzo, di una automedica all’ospedale di Latisana con copertura fino a Lignano Sabbiadoro. Sono le novità annunciate dall’assessore regionale alla salute, Maria Sandra Telesca, e dal sindaco di Lignano Sabbiadoro, Luca Fanotto, sul potenziamento del punto di primo soccorso stagionale della località balneare friulana dove è in via di completamento la costruzione di una nuova sede. «Il rafforzamento è legato alla consapevolezza – ha spiegato l’assessore Telesca – che lo sviluppo turistico è strettamente connesso alla presenza di adeguati servizi sanitari. Perché la scelta di dove trascorrere le vacanze, specie se in famiglia vi sono bambini, è spesso motivata dal sapere che, a pochi passi, c’è chi può far fronte a eventuali necessità». Il punto di primo soccorso di Lignano garantisce (dati delle scorse estati) 4 mila interventi tra maggio e giugno, 45-­‐50 al giorno nelle settimane più “calde”. Il personale medico e infermieristico risolve sul posto il 70% dei casi, se necessario si appoggia all’ospedale di Latisana, eventualmente a 7 quello di Udine. Sono disponibili due ambulanze e, dal 2016, anche un’automedica e, all’occorrenza, un’eliambulanza. Da venerdì al 26 settembre il punto di primo soccorso è aperto tutti i week-­‐end giorno e notte, che diventerà h 24 7 giorni la settimana dal 10 giugno al 12 settembre. Il servizio di medicalizzazione dei trasporti urgenti (con automedica) all’ospedale di Latisana, con copertura su Lignano, è stato attivato il 21 marzo, come previsto. Dal 10 giugno, in coincidenza con la fine dell’anno scolastico, al 12 settembre è anche prevista l’attivazione del servizio di pediatria h 24 all’ospedale di Latisana. Infine, da anni a Lignano vi sono una ventina di defibrillatori dislocati in spiaggia, nei campeggi, negli impianti sportivi e al punto di primo soccorso sono sempre a disposizione alcuni interpreti. «L’investimento di maggiori risorse sui servizi sanitari a Lignano consolida la capacità di attrazione della nostra prima località turistica», ha sottolineato l’assessore alla salute ieri nella località balneare. «Già molto efficiente – ha aggiunto Telesca –, la struttura lo sarà ancora di più dopo l’apertura della nuova sede, che garantirà nei mesi estivi prestazioni da grande città. Il punto primo intervento di Lignano, integrato da una rete di trasporti in emergenza e dal potenziamento dell’ospedale di Latisana con automedica e più personale di pronto soccorso, offre un ottimale sistema di sicurezza sanitaria per i cittadini e i turisti». Ai rappresentanti del comitato di Latisana, intervenuti a Lignano, che hanno nuovamente lamentato la chiusura di quel punto nascita e del reparto pediatria, l’assessore Telesca ha ribadito «l’impegno della Regione al rafforzamento dell’ospedale di Latisana per emergenze non solo pediatriche, ma anche per adulti e anziani. La presenza dei medici – ha precisato infine – è quotidiana per emergenze e per orario ambulatoriale, di notte e nei giorni festivi». Gorizia Congresso Fidas Diecimila donatori in città Oggi la sfilata in centro Dopo due intense giornate a Grado, il cinquantacinquesimo Congresso nazionale della Fidas si concluderà questa mattina a Gorizia, con un sfilata dove sono attese più di 10 mila persone da tutta Italia. L’auspicio è che la manifestazione dei donatori di sangue non risenta troppo per il maltempo, che secondo le previsioni è però purtroppo atteso. Il programma si snoda a partire alle 8.30 con il ritrovo al parco della Rimembranza, con l’ammassamento nelle vie Buonarroti e Canova. Dopo la deposizione di una corona d’alloro (9.15), partirà alle 9.30 la sfilata dei donatori lungo corso Italia, corso Verdi, via Oberdan e piazza Vittoria. Qui alle 11 si terrà la messa celebrata dall’arcivescovo Carlo Roberto Maria Redaelli, accompagnata dalle corali del goriziano. Alle 12 sono previsti gli interventi delle autorità. Nei giorni scorsi, sempre nell’ambito della manifestazione, sono stati anche annunciati i vincitori del premio Fidas -­‐ Isabella Sturvi per i migliori articoli giornalistici sul tema del volontariato e della donazione di sangue, i quali sono stati premiati a Grado in apertura del congresso. Il primo classificato (sezione stampa/web) è Alberto Bobbio con “Fratelli di sangue”, articolo uscito su Famiglia Cristiana il 27 febbraio scorso e centrato su un grande raduno di donatori a Roma; la seconda classificata è Nicoletta Carbone, con un'intervista articolata al presidente nazionale Fidas Caligaris su Radio 24 e il terzo, Francesco Caielli, ha ottenuto invece una menzione per “Cuore e denari”, servizio che tratta della sua esperienza di donatore a contatto con i “riceventi”, uscito su “La provincia di Varese” il 21 giugno 2015. Ieri mattina i congressisti si sono confrontati sulle novità del sistema sangue a partire dal decreto del ministero della Salute del 2 novembre scorso presentato da Giancarlo Maria Liumbruno, direttore del Centro nazionale sangue, e sulla revisione dell’Accordo Stato-­‐Regioni 20 marzo 2008 relativo alla stipula di convenzioni tra Regioni, Provincie autonome e Associazioni e Federazioni di donatori di sangue presentato da Aldo Ozino Caligaris presidente nazionale Fidas. Il decreto, entrato in 8 vigore nel novembre scorso, definisce i criteri di qualità e sicurezza di sangue e emocomponenti raccolti da donazione volontaria e non remunerata. Prevede il cambiamento dei criteri di sospensione e introduce le procedure da adottare nei confronti di alcune patologie che hanno una maggior incidenza sulla popolazione, come ad esempio la malattia di Chagas e le specifiche indicazioni di valutazione in merito. (e.m.) Entro l’estate l’attivazione della trombolisi in ospedale E’ conto alla rovescia per l’attivazione della trombolisi all’ospedale di Gorizia. Si pensava addirittura che fosse ormai questione di giorni, ma la necessità di arrivare del tutto preparati alla partenza della procedura d’urgenza per i pazienti colpiti da ictus ha fatto sì che la tempistica sia slittata di qualche settimana: non più tardi, comunque, del mese di maggio, come del resto aveva promesso il direttore generale dell’Azienda sanitaria Giovanni Pilati. La fase propedeutica all’attivazione del servizio presuppone, infatti, uno stretto coordinamento fra i quattro reparti interessati (la Neurologia, attualmente diretta dalla dottoressa Loredana Cribari, la Terapia intensiva, della quale è a capo il dottor Luciano Silvestri, il Pronto soccorso, guidato dal dottor Alfredo Barillari, e la Radiologia diretta dal dottor Piero Pellegrini) e quindi un’adeguata formazione dei medici che ne fanno parte. Quando il servizio potrà finalmente partire, ciò avverrà a due anni esatti dalle dichiarazioni dell’ex dg dell’Ass2, Marco Bertoli, il quale, nel maggio del 2014, aveva annunciato che la Regione aveva dato il placet per l’attivazione. Per motivi mai chiariti fino in fondo, il progetto è rimasto invece chiuso in qualche cassetto fino ad oggi. E’ stato, nel frattempo, chiarito il protocollo terapeutico per i pazienti che saranno trattati. Dopo la trombolisi, a seconda della “risposta” del malato stesso al trattamento, e della gravità delle condizioni, i pazienti saranno trasferiti alle Stroke unit egli ospedali di Udine o di Trieste. Non potranno, insomma, essere gestiti dalla Neurologia di Gorizia come aveva sostenuto con forza l’ex primario Lucio Lazzarino. Nel reparto del San Giovanni di Dio potranno eventualmente tornare per una continuazione delle cure quando le loro condizioni si saranno stabilizzate. Probabilmente questa procedura non sarà del tutto gradita a chi, già a suo tempo, aveva sollevato delle polemiche (un’interrogazione era stata presentata in Regione dal consigliere Rodolfo Ziberna) rimarcando che la non-­‐permanenza a Gorizia avrebbe messo, tra l’altro, in cattiva luce la funzionalità e l’efficienza del reparto di Neurologia del San Giovanni di Dio. Ma tant’è: una stroke unit a Gorizia non è prevista e la notizia comunque positiva è che il servizio d’urgenza – cavallo di battaglia da anni del consigliere comunale di Sel Livio Bianchini – potrà una volta per tutte essere avviata. (vi.co.) 9 
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