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GLI ALIMENTATORI SWITCHING (SMPS) (switch
GLI ALIMENTATORI SWITCHING (SMPS) (switch-mode power supply) TESTO PREPARATO DALL’ING. VITTORIO BUSSONI IK4CIE PER LA LEZIONE PRESSO LA SEZIONE A.R.I. DI PARMA DEL 03-12-2004 . Ogni apparecchiatura elettronica necessita di quell’importante parte che viene chiamata “alimentatore”, che fornisce le tensioni e le correnti di cui i circuiti necessitano per funzionare. L’ente per l’energia elettrica infatti ci porta in casa solo una tensione alternata a valore assegnato (220-230 volt in Europa , oppure 380), mentre i vari circuiti di un apparato necessitano di tensioni continue di vari valori. L’insieme che consente di trasformare i 220 volt alternati nelle giuste tensioni continue richieste è detto alimentatore. CENNO DI RICHIAMO SUGLI ALIMENTATORI LINEARI un alimentatore “lineare” è composto da un trasformatore, che trasforma la tensione di 220 volt in una tensione, sempre alternata, superiore di qualche volt alla tensione continua da ottenere; da un ponte di diodi più alcuni condensatori di filtro che la fanno diventare tensione continua; infine da un regolatore che impone una resistenza variabile tra i condensatori e il carico, e che riesce così a mantenere costante la tensione su quest’ultimo. La resistenza variabile è costituita da transistor che sono posti più o meno in conduzione da un circuito di controllo (vedi anche NOTA A). SVANTAGGI: peso del trasformatore bassa efficienza e quindi elevata potenza sprecata in calore VANTAGGI: semplicità di costruzione e riparazione alta affidabilità INTRODUZIONE AGLI ALIMENTATORI SWITCHING ogni alimentatore switching è fondamentalmente un CONVERTITORE DC-DC, cioè un sistema che converte una tensione continua in un’altra continua di valore diverso. Pertanto, anche per le alimentazioni provenienti dalla tensione 220 alternata, il primo passo è la loro conversione in tensione continua. I componenti che troviamo per primi sono dunque un classico ponte di diodi seguito da un condensatore di elevata capacità ( oltre 200 microfarad). Sul condensatore viene ad essere presente una tensione continua pari a 220 x 1,414 =311 volt, che sarà convertita ai valori necessari all’apparecchio da alimentare. SVANTAGGI complessità costruttiva una parte di circuito lavora sotto tensione di rete e superiore VANTAGGI: peso e dimensioni ridotti a circa ¼ del lineare elevata efficienza e quindi basso calore sviluppato NOTA A : un alimentatore può essere anche semi-switching, ossia mantenere il sistema lineare del grosso e pesante trasformatore, poi avere un regolatore di tipo switching per tenere costante la tensione sul carico. Il vantaggio di un siffatto sistema è quello di non lavorare su alte tensioni e di avere un regolatore ad alta efficienza. Lo svantaggio è la presenza comunque necessaria del pesante trasformatore. TIPOLOGIE DEI REGOLATORI DC-DC SWITCHING le tipologie dei regolatori switching sono le seguenti: • • • • • • • buck (detto anche STEP-DOWN) boost (detto anche STEP-UP) buck-boost (detto anche STEP-UP-DOWN) Cuk converter flyback flyback quasi-resonant forward I primi quattro dell’elenco sono utilizzati per convertire basse tensioni in altre basse tensioni, ad esempio da 24 volt a 12 volt, oppure da 12 volt a 5 volt (step-down), oppure da 3 a 12 volt (step-up) oppure sono usati per ottenere tensioni negative, ad esempio per ottenere -12 volt partendo da +12 volt (step-up-down oppure Cuk converter). L’uscita non è galvanicamente isolata dall’ingresso, quindi non sono utilizzabili per convertire dalla 220 direttamente al valore voluto. I sistemi flyback e forward invece sono usati quando la tensione d’ingresso sia molto diversa dalla tensione d’uscita da ottenere, sia in salita che in discesa, inoltre prevedono un piccolo trasformatore che isola galvanicamente la parte sotto alta tensione dall’uscita a bassa tensione. Sono le configurazioni usate per gli alimentatori dei computer, dei monitor e delle televisioni, e di qualche evoluto ricetrasmettitore radioamatoriale (FT-1000 MP, FT1000 MARK-V ad esempio); è semplice ottenere tensioni multiple in uscita, ad esempio nei computer servono le tensioni +12, -12, +5, -5. DETTAGLIO DELLE SINGOLE CONFIGURAZIONI vediamo ora il principio di funzionamento delle singole configurazioni. La trattazione completa di tutte le formule che governano un convertitore switching esula da questa esposizione e trova applicazione solo presso i progettisti; per la mente “radioamatoriale” è sufficiente sapere con cosa si sta trattando per tentare qualche riparazione senza commettere errori madornali. Faccio notare anche che consideriamo come transistor sempre dei dispositivi MOSFET, ciò per la loro completa saturazione e interdizione, superiori in caratteristiche ai classici transistor BJT; anche nella pratica, l’utilizzo dei BJT negli alimentatori switching va scomparendo. CONFIGURAZIONE BUCK ---- STEP-DOWN CONVERTER La configurazione base del circuito usato nei buck converter è riportata in figura 1: Vediamo la tensione d’ingresso, un mosfet usato come interruttore, un diodo detto “di ricircolo”, una induttanza ed un condensatore in uscita. Il circuito di controllo genera un segnale che pone in conduzione o interdizione il mosfet, con frequenza fissa ma duty-cycle variabile ( PWM: pulse width modulation ) (vedi oltre). Descrizione del funzionamento: Quando Q1 è in conduzione, la corrente comincia a scorrere in L e su C, e nel carico. Il diodo non viene interessato in questa fase, essendo polarizzato inversamente. Il campo magnetico in L quindi cresce, immagazzinando energia nell’induttore, che si oppone alle brusche variazioni di corrente. Quando Q1 viene interdetto, l’induttanza L si oppone al calo della corrente entro sè, ai capi di essa si forma una FEM di segno opposto rispetto alla fase di Q1 in conduzione, così l’energia immagazzinata in L viene resa al carico e può circolare in quanto il diodo D1 ora è polarizzato in diretta e chiude il circuito. Senza scendere troppo nei particolari, si sappia che la tensione d’uscita è una frazione di quella in ingresso, e questa frazione è pressoché uguale al duty-cycle. Vout / Vin = D dove D= duty-cycle = Ton / T (tempo di Q1 on / periodo totale). Pertanto, possiamo ottenere in uscita tensioni da zero fino a Vin, ma non superiori; la tensione in uscita è monitorata dal circuito di controllo, che provvede a dosare il duty-cycle al fine di mantenerla costante sul valore stabilito. Interessante valutare le correnti; si ha la seguente relazione, valida nel caso di rendimento 100% (convertitore perfetto senza perdite) Iout/Iin = Vin/Vout Per esempio per un convertitore da 24 a 12 volt, se forniamo 10 ampere al carico, ne assorbiremo solo 5 a 24 volt (mentre sono sempre 10 nel caso di un regolatore lineare !). In pratica, il rendimento è circa del 80 – 90 %, quindi la corrente assorbita nel caso in esempio sarà circa 6 ampere, di cui 5 resi al carico e 1 trasformato in calore ( 1 ampere x 12 volt = 12 watt, contro i 120 watt sprecati in un trasformatore lineare). La regolazione del duty cycle in relazione alla tensione d’uscita che si vuole mantenere è fatta da un circuito come il sottostante (PWM classico, il circuito integrato LM3524 ne è una pietra miliare): CONFIGURAZIONE BOOST ---- STEP-UP CONVERTER I componenti sono gli stessi, ma collegati tra loro in modo differente da prima. Il funzionamento è ancora dato dall’apertura e chiusura di Q1, secondo un certo duty-cycle. Quando Q1 va in conduzione, la corrente scorre attraverso la bobina L la quale immagazzina energia. Non passa corrente attraverso il diodo D1 perché il circuito è chiuso da Q1. La corrente è fornita al carico dal condensatore C1. Quando Q1 viene interdetto, l’energia immagazzinata in L viene restituita, in maniera che la tensione ai capi dell’induttanza si somma a quella del generatore; la corrente ora scorre nel diodo D1 e sul carico, e ricarica C1. La tensione al carico è quindi maggiore della tensione del generatore, secondo la formula Vout/Vin = T/Toff Un raddoppio della tensione d’ingresso si ottiene con un duty-cycle del 50% (Ton=Toff). Se vogliamo Vout= 3Vin dobbiamo assumere Ton=2Toff , duty-cycle 66%. Riguardo le correnti, Iin/Iout = Vout/Vin , quindi in caso di raddoppio della tensione, la corrente richiesta al generatore sarà doppia di quella ceduta al carico. Questo nel caso ideale, mentre in realtà sarà un po’ maggiore del doppio. CONFIGURAZIONE BUCK-BOOST Sistemando i soliti componenti in modo ancora diverso, otteniamo la configurazione buck-boost, che permette di ottenere in uscita tensioni maggiori o minori di quella in ingresso, ma con polarità invertita. Quando Q1 conduce, L viene percorsa da corrente e immagazzina energia. La corrente del generatore non può raggiungere il carico perchè c’è di mezzo il diodo D1 polarizzato in inversa. Durante questa fase, solo il condensatore C1 può fornire corrente al carico. Quando Q1 si apre, l’energia immagazzinata in L viene restituita attraverso il carico e il diodo. Come sappiamo però l’induttanza L rende l’energia tramite una FEM di segno opposto rispetto alla fase Q1=ON, quindi la corrente fluirà nel circuito nel senso indicato in figura, cioè con segno opposto al generatore. In questa configurazione, il rapporto tra le tensioni è espresso dalla: Vout/Vin = -D / (1-D) ossia Vout/Vin = - Ton/Toff e ben si comprende che la tensione in uscita può essere minore, uguale o maggiore di quella del generatore, ma ricordiamoci che ha il segno invertito. Questa configurazione viene spesso usata come semplice invertitore per procurarsi tensioni negative da una fonte positiva. CONVERTITORE DI CUK Il signor Cuk, di origine Cecoslovacca, disegnò e descrisse il seguente circuito: Qui ci sono sempre i soliti componenti, ma ci sono una induttanza e un condensatore in più. Qui l’energia deve passare tutta attraverso C1, che quindi è un condensatore elettrolitico scelto di grande capacità, adatto ad alte correnti e con bassa resistenza-serie equivalente. L’uscita si presenta anche qui di segno invertito. Quando Q1 va ON, l’energia si immagazzina in L1. Quando Q1 si apre, la tensione su L1 si inverte di segno, e il condensatore C1 si carica. Quando Q1 va ancora ON, C1 si scarica attraverso L2 nel carico, con L2 e C2 che fanno da filtro sull’uscita. Nel frattempo, la bobina L1 si ricarica, pronta per il ciclo successivo. Vale la formula del convertitore buck-boost, cioè Vout/Vin = - Ton/Toff. Il vantaggio del convertitore di Cuk è dato dal fatto che progettando alla perfezione il circuito, è possibile trovare dei valori per i condensatori e le induttanze, tali da annullare completamente il ripple in uscita, che invece può rimanere significativo nella configurazione buck-boost. CONFIGURAZIONE FLYBACK: (RICORDARE IL BUCK-BOOST) Nelle applicazioni in cui sia richiesto l’isolamento galvanico tra ingresso e uscita, ovvero ove vi siano grandi differenze tra le tensioni di ingresso e uscita, si può usare la configurazione flyback; essa discende dalla buck-boost come si intuisce dalle tre figure seguenti: ! ! " # Funzionamento: quando il transistor va ON, la corrente scorre sul primario e si immagazzina energia nel campo magnetico del trasformatore. Quando il transistor si spegne, il trasformatore tenta di mantenere il flusso di corrente, quindi la tensione ai capi della bobina del primario si inverte in segno, generando un impulso di tensione detto “back-EMF flyback”. Questo impulso viene trasferito sul secondario, dove il diodo andrà in conduzione durante questo impulso alimentando il carico e caricando il condensatore d’uscita. La tensione che si ottiene in uscita ha un valore che dipende sia dal rapporto di spire tra primario e secondario, che dall’induttanza del primario, che dal duty-cycle applicato al transistor. I progettisti hanno il loro impegno nell’ottenere la configurazione migliore ai fini del funzionamento e del rendimento. I sistemi flyback sono molto impiegati nei monitor e nelle televisioni, ove si impiegano circuiti integrati studiati appositamente. FLYBACK QUASI RESONANT: tra i sistemi flyback si distinguono i “quasi resonant” che utilizzano una frequenza di commutazione non fissa, ma governata dallo stadio di potenza e non influenzata dal controller. Il nome di quasirisonante deriva dal fatto che viene inserito un condensatore di opportuno valore sul drain del mosfet, che in qualche modo crea con l’induttanza della bobina del trasformatore un circuito quasi risonante alla frequenza di switching. La frequenza varia in dipendenza dalla tensione d’ingresso e dalla potenza richiesta dal carico. Se la potenza richiesta aumenta, deve essere immagazzinata più energia nel trasformatore e per fare ciò occorre più tempo, la frequenza cala. Vedi figura: La frequenza può variare anche parecchio, da 25 KHz a pieno carico a 140 KHz a vuoto, ad esempio. Questi circuiti possono essere disegnati per accettare in ingresso tensioni da 85 a 260 volt di alternata, quindi sono di uso universale. Il circuito di controllo fa in modo che la commutazione tra gli stati ON e OFF del mosfet, e viceversa, avvenga negli istanti in cui la tensione ai capi del mosfet è zero (ZVS: zero-voltageswitching). Ciò riduce alquanto la dissipazione e dunque le perdite nel mosfet, potendosi così ottenere rendimenti che sfiorano il 95%: Un circuito integrato di controllo studiato appositamente e a cui si riferiscono queste misure è il Philips TEA1507 . Nei sistemi quasi-resonant sono anche più basse le emissioni di radio frequenza.. CONFIGURAZIONE FORWARD: Nella configurazione forward, il trasformatore lavora in maniera molto più tradizionale. I due transistor vengono messi in conduzione o interdetti alternativamente, ad una frequenza di qualche decina di kilohertz, cosa che provoca che il trasformatore “sente” una corrente alternata (ad onda quadra) e quindi la trasferisce al secondario secondo la nota legge del trasformatore: Vout = Vin (L3/L1) (si ricordi che L1 è uguale a L 2). La tensione alternata indotta sul secondario viene poi raddrizzata dall’antico sistema del ponte di diodi e condensatore, quindi il valore della tensione continua in uscita è pari a Vin(L3/L1) a meno della perdita nei diodi. La tensione in uscita è quindi determinata dal solo rapporto tra le spire del primario e quelle del secondario. Questo fatto, unito alla considerazione che il trasformatore è comunque di piccole dimensioni perché lavora ad una frequenza alta e quindi con alto rendimento, rende i sistemi forward adatti per applicazioni di alta potenza. Per la maggiore facilità di progetto rispetto ad un sistema flyback, il convertitore forward è molto usato negli alimentatori dei computer. ALCUNE NOTE SU VARI ASPETTI DEGLI ALIMENTATORI SWITCHING NOTA1: per ridurre al minimo le perdite nel raddrizzamento della tensione alternata che si presenta sul secondario, si usano diodi Schottky oppure, meglio ancora ove la situazione sia più estrema, i diodi vengono sostituiti con dei MOSFET che vengono messi in conduzione o interdizione negli istanti opportuni, pilotati da un circuito di controllo dedicato. NOTA2: le frequenze usate nei convertitori switching sono dell’ordine di decine/centinaia di kilohertz, in quanto a tali frequenze diviene utilizzabile la ferrite come nucleo dei trasformatori / induttanze, le quali a loro volte saranno più piccole che non se si usassero frequenze di qualche decina di hertz. NOTA3: esistono anche gli alimentatori basati sul concetto di ZCS, zero-current-switching, in cui il transistor commuta in condizioni di assenza di corrente in esso. Non trattiamo qui l’argomento, anche perché non molto sfruttato nella pratica. NOTA4: per controllare che la tensione d’uscita rimanga costante, si impiega di solito un fotoaccoppiatore il cui diodo emettitore è acceso dalla tensione d’uscita, e il cui fototransistore va a fornire la tensione di riferimento al piedino dedicato dell’integrato di controllo. Da notare che in caso di alimentatore multitensione, solo la tensione più importante viene monitorata, mentre le altre si presume che vadano bene....in quanto va bene la principale ! Negli alimentatori per computer ad esempio si controlla e stabilizza la tensione di 5 volt, mentre i + e – 12 non sono stabilizzati: se li misurerete, troverete sempre valori piuttosto “sballati”... da 11.6 a 12.5 volt. Nella figura che segue, lo schema a blocchi di un alimentatore switching con evidenziato il fotoaccoppiatore. NOTA5: gli alimentatori switching si prestano ad essere collegati in parallelo “brutale” purché le tensioni in uscita siano regolate (di solito c’è un trimmer) perfettamente uguali. NOTA6: alcuni alimentatori switching non lavorano se non hanno un carico minimo collegato all’uscita. Ciò perché senza carico, la tensione raggiunge subito il picco massimo e i circuiti di protezione da sovratensione intervengono bloccando il funzionamento. Spesso i costruttori inseriscono una resistenza sull’uscita, che funge da carico minimo facendo restare in funzione l’alimentatore anche senza carico esterno.