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La rappresentazione della donna nei media
Facoltà di Scienze Umanistiche Laurea triennale in “Mediazione Linguistico-Culturale” Tesi in Mediazione Inglese LA RAPPRESENTAZIONE DELLA DONNA NEI MEDIA Relatrice chiar.ma prof.ssa Iolanda Plescia laurenda Lalita Rose Balz matr. 1216095 ANNO ACCADEMICO 2009/2010 La rappresentazione della donna nei media Indice Premessa I 1. Introduzione. Il femminismo dall’inizio degli anni ’60 1 1.1. Femminismo e i media 1.2. Il ruolo del linguaggio 1.3. Gli anni ’90- cambia la tendenza 2. I media 23 2.1. Identità culturale e i media 2.2. Un esempio di media: la pubblicità e la bellezza come obbligo 2.3. Un approccio di analisi alla pubblicità: la semiotica 3. La donna nei media 38 3.1. La rappresentazione della donna nei media in passato 3.2. La rappresentazione della donna nei media contemporanei che cosa è cambiato? 3.3. Analisi 3.3.1. Analisi di pubblicità 4. I media vs. Femminismo: un rapporto difficile 72 4.1. Backlash oppure Retro- sexism? 4.2. Perfomance e Masquerade Conclusioni 87 Bibliografia 90 Premessa Il lavoro di tesi del quale mi sono occupata prende spunto dalla critica elaborata nei confronti dei media da parte del movimento delle donne negli anni ‘60-‘70 del Novecento. In particolare si affronterà il problema per cui la rappresentazione dei media del genere femminile sia fedele ai modelli reali di donne presenti nella società, e dove invece risulti evidente l’introduzione di illustrazioni di fatto stereotipate. Estrema attenzione sarà attribuita all’ aspetto linguistico e visivo, in quanto sia i linguaggi verbali e visivi che il linguaggio del corpo sono la matrice fondamentale per comprendere le strutture più profonde del significato associato alle rappresentazioni comunicate. Nel capitolo introduttivo della tesi, saranno prese in esame le origini dei numerosi e diversificati gender e women’s studies, scaturiti anche dalla necessità da parte di gruppi di donne di agire contro la forte disparità sociale comunicata dai media sia sotto forma di immagini per lo più stereotipate e degradanti, sia tramite un sistema linguistico che impregnava le varie rappresentazioni della donna di un significato falso e fuorviante della realtà. Partendo da questo presupposto, osserviamo, grazie agli studi condotti da Norman Fairclough1, che la presenza di potere all’interno di una società si manifesta appunto tramite l’affermazione di una corrente ideologica il cui pilastro fondamentale è il tipo di linguaggio utilizzato, asservito spesso “all’esigenza maschile”. E’ in questo contesto che si è fortemente sviluppato il senso riformatore del movimento femminista. Trattandosi di un lavoro in cui si analizza il ruolo dei mezzi di comunicazione, si è resa evidente la necessità di comprendere dettagliatamente l'impatto che i media stessi hanno nella formazione delle identità dei singoli individui. 1 Tra i suoi lavori più significativi possiamo citare: Language and Power, 1989, Discourse and Social Change, 1992, Media Discourse, 1995 e Critical Discourse Analysis, 1995. Il capitolo terzo sarà interamente dedicato all’analisi della rappresentazione della donna nei media, confrontando il periodo più critico in questione che comprende gli anni ’60, ’70, e ’80, per arrivare poi all’ epoca contemporanea e valutare se, e in quale modo siano avvenuti dei cambiamenti. Per di più, vedremo quali sono i modelli di donne creati dai media del passato che si sono prestati all’ identificazione di realtà femminili nella società e quali modelli, invece, sono stati abbandonati, modificati o creati ex novo nei media di oggi. In una parte di ricerca e analisi individuale ho potuto applicare le conoscenze linguistiche acquisite durante il mio percorso di studio della lingua inglese per analizzare delle pubblicità estratte da 3 women’s magazines statunitensi del contesto contemporaneo. In particolare ho potuto costatare che testi e immagini nei media contengono insieme una serie di informazioni talmente ben architettate che normalmente sfuggono ad una lettura veloce, ma che sono meccanismi essenziali dei media per raggiungere il potenziale cliente o target di lettore. Le strategie dei mezzi di comunicazione operano soprattutto con lo scopo di costruire dei segni di tipo verbale e visivo che devono essere comprensibili al lettore. Dimostrare il modo in cui il messaggio mediatico trasmesso opera per coinvolgere e fare effetto sul lettore significa interpretare un preciso codice manipolativo, utilizzato il più delle volte nelle pubblicità. Possiamo infatti notare come le donne vengano indotte ad avvicinarsi al prodotto pubblicizzato in modo quasi subliminale. In virtù di ciò ho posto attenzione ai metodi di avvicinamento più idonei all’analisi di immagini pubblicitarie e dei testi che esse contengono. Iniziando con l’ analisi della semiotica, è stato necessario in un secondo momento utilizzare l’ analisi di contenuto per approdare, in qualche caso, a una forma di (critical) discourse analysis. Capitolo 1 Introduzione. Il femminismo dall’ inizio degli anni sessanta Dalla fine degli anni sessanta lo scopo pragmatico del pensiero femminista, come movimento politico- culturale nel mondo occidentale, è stato quello di dare più visibilità alle donne nell’ambito pubblico e politico2. Tra gli anni ’60, ’70 e per buona parte anche degli anni ’80, il movimento femminista3 rivendicò un “punto di vista femminile” sul mondo attraverso la revisione di tutti i modelli culturali che venivano considerati legati al maschilismo: sia i movimenti politici e le organizzazioni tradizionali, nonché l'immagine convenzionale della donna proposta dalle culture tradizionali e dai media4. La partecipazione delle donne al movimento femminista occidentale - noto come la Women’s liberation nel mondo anglofono - è stata motivata, inizialmente, da una presa di coscienza e confronto da parte di tantissime giovani donne che lamentarono la necessità di adeguati spazi disponibili a ricevere e ascoltare le nuove esigenze proposte dalle donne nella politica e nella vita sociale. Il movimento statunitense è stato eclatante e scompaginò presto l’ agenda nazionale. Le donne protestarono con vigore in strada al fine di generare un 2 Mena Mitrano, Language and Public Culture, Edizioni Q, Roma, 2009, p. 139. Durante gli anni’60,’70 e ’80 si distingueva tra tre tipi di femminismo: il femminismo liberale, il femminismo radicale e il femminismo socialista. A grandi linee il femminismo liberale vedeva la vita della donna distorta da stereotipi di genere e da ruoli limitati nella società e rivendicò legislazioni e iniziative per aiutare le donne a raggiungere una parità in ambiti finora dominati dagli uomini. Il femminismo radicale invece sembrava essere meno speranzoso in una riforma del rapporto tra i generi. Secondo la sua prospettiva uomini e donne sarebbero fondamentalmente differenti (un fatto che veniva in gran parte attribuito alla capacità procreativa femminile) e il potere, la cultura e il godimento femminile erano visti come sistematicamente controllati e dominati dal maschile, che operava in istituzioni patriarcali quali medicina e militare. Il femminismo socialista respingeva sia l’essenzialismo del femminismo radicale che la superficialità del femminismo liberale e invece si concentrava sul rapporto tra la stratificazione sociale della società capitalistica e la subordinazione delle donne. Cfr. Rosalind Gill, Gender and the Media, Polity Press, Cambridge, 2007, p. 26. 4 Ilse Lenz, Michiko Mae, Karin Klose: Frauenbewegung weltweit, Leske+Budrich, Opladen, 2000, p.34. 3 quadro di necessaria consapevolezza in merito alla neonata democrazia e il principio di parità tra uomo e donna che non era affatto ciò che prometteva di essere, ovvero non rispecchiava la realtà delle donne. Ciò che si svolgeva in pubblico nelle strade, era in forte contrasto con l’immagine diffusa della donna in tv: giovane, perfettamente curata, sempre sorridente, che non si lamenta mai, modesta, e con l’ intento di compiacere sempre5. Al contrario, l’ immagine reale e caratterizzante di questo movimento era quella di donne furiose, che argomentavano, accusavano e battevano i pugni contro la stereotipizzazione delle donne nei media, poiché esse violavano alcuni aspetti preziosi che costituivano la nazione, ovvero l’ amore, la famiglia, e in particolare la femminilità. Rivendicavano, inoltre, il diritto all’ aborto, un tema che fino a quel momento non era stato considerato. Si scagliavano contro gli uomini, le istituzioni patriarcali e denunciavano la lingua americana di sessismo6. Nell’ ambito accademico, negli anni ’60, parteciparono al movimento degli “studenti americani per una società democratica in America”7 e denunciarono una posizione discriminante rispetto ai loro colleghi maschi nell’università. Codesta situazione era stata alimentata da un commento “infame” da parte di Stokely Carmichael, secondo cui “il ruolo delle donne nel movimento [era] secondario”8. Molte donne intanto avevano cominciato a riunirsi autonomamente, a confrontarsi, a discutere e dare vita a ciò che sarebbe diventato un importante movimento9. Al più tardi, negli anni ’70 era chiaro che il movimento femminile si era vitalizzato fino al punto tale da non poter essere più frenato. Venne denunciato il modus operandi di noti quotidiani, per esempio la Newsweek, accusata di adottare un comportamento discriminatorio sul posto di lavoro. Un numeroso gruppo di femministe, nel quadro della programmazione del Ladie’s Home Journal, presso la 5 Susan J. Douglas, Where the Girls Are, Growing up female with the mass media, Three Rivers Press. New York, New York, member of the Crown Publishing Group, 1995, p.166. 6 Si riteneva che termini come mankind e chairman, per nominare solo alcune parole, testimoniassero la disparità tra i sessi. Cfr. Douglas, p.166. 7 Trad. ingl.: American Students for a Democratic Society (SDS). 8 Margaret Walters, Feminism, A Very Short Introduction, Oxford University Press Inc., New York, 2005, p.104. 9 Antonella Cammarota, Femminismi da raccontare, Franco Angeli s.r.l., Milano, 2005, p. 53. NBC e la CBS, diffuse una serie di documenti e materiale audiovisivo inerente il movimento femminista; il Time pubblicò l’ articolo “La guerra al sessismo” e Susan Browmiller scrisse un lungo articolo in The New York Times sull’ intesa tra le donne; numerosi articoli rifletterono anche sugli esiti del diritto di parità tra i sessi, l’ Equal Rights Amendment, e sulla questione della differenza biologica tra uomini e donne10. Nel periodo in questione si possono identificare tre fasi caratterizzanti del movimento femminile: ciò che determina la sua prima fase è la separazione dall’ uomo. Si cerca una sintonia tra l’ io-donna, il collettivo, l’ universo delle donne e la natura femminile e la si contrappone al maschile, alle istituzioni, al sistema patriarcale e capitalistico11. Quindi la prospettiva di ottenere una parità con il sesso maschile prefiggeva la necessità che il movimento per l’emancipazione femminile parlasse in nome di un’ unità collettiva, quella delle “donne”12. Solo assumendo tale identità collettiva si potevano sviluppare interessi e idee condivise di un gruppo che mirava allo stesso scopo, quello di ottenere la gender equality- “an equal visibility, empowerment and participation of both sexes in all spheres of public and private life”13, un termine che implica quindi l’introduzione di una nuova cultura i cui valori, norme e pratiche sociali possano valorizzare l’ ampio potenziale di tutti i partecipanti di una società. Inoltre, il rapporto tra i due sessi, come aveva già osservato la filosofa e femminista francese Simone de Beauvoir14, non era certo paragonabile ad altre forme di disparità sociale, perché uomini e donne sono interdipendenti, e un vero cambiamento esige un’alterazione della loro relazione15. Il femminismo durante gli ultimi decenni è stato esposto a profondi cambiamenti all’interno del movimento, in cui si ristrutturano e riformulano le idee 10 Douglas, p.167. Cammarota, p.47. 12 Mitrano, p.139. 13 “Lenz, Mae, Klose, p.243. 14 Simone de Beauvoir (Parigi, 9 gennaio 1908 – Parigi, 14 aprile 1986) è stata un'insegnante, scrittrice, filosofa, romanziera e femminista francese ed è considerata la madre del movimento femminista, nato in occasione della contestazione studentesca del maggio 1968, che seguirà con partecipazione e simpatia. 15 Lenz, Mae, Klose, p.244. 11 sull’ identità e la differenza16. La seconda fase, dunque, quella della scoperta delle differenze, è dovuta per lo più a elaborazioni teoriche. Tutti i gruppi partono dalla contraddizione uomo-donna, ma solo alcuni la considerano fondamentale e scelgono quindi il separatismo. Altri invece la ritengono parallela a quella di classe e scelgono la doppia militanza. Emergono anche differenze legate all’ affiorare di alcuni elementi comportamentali maschili. E ancora differenze legate a diversità culturali, sociali e politiche17. Altre differenze, come quelle etniche hanno rilevanza soprattutto negli Stati Uniti, in quanto si diede sempre maggiore importanza alla storia e alla politica legata al postcolonialismo e all’ imperialismo. La seconda fase del femminismo fu incolpata di falso universalismo perche nata e condotta da un gruppo di donne privilegiate (dalla pelle bianca) provenienti dal ceto medio e da paesi industrializzati che pretendevano una condivisione universale dei problemi riguardanti la questione dell’ essere donna. Questa consapevolezza, è nata con il libro precursore di Betty Friedan, The Feminine Mystique (1963) che parlava del “problema senza nome”. Il problema, però, come si notò, riguardava la donna americana bianca e dei ceti medi. Friedan fu criticata perché suggeriva alle donne di mobilitarsi per il cambiamento della loro vita da domestica a professionale, ignorando però, con esso, la categoria di donne meno fortunate che dovevano disperatamente conciliare casa e lavoro, solitamente a basso reddito, per mantenere la loro famiglia. Più specificatamente, il femminismo fu accusato di ignorare in larga parte l’esperienza di donne di colore e di donne provenienti dal terzo mondo18. Una visione che esplicitò Bell Hooks19 quando argomentò che “white women adopted a condescending attitude towards me and other non white participants”20. Sostanzialmente, il criticismo al femminismo bianco, proveniente dal movimento delle donne nere, ha creato consapevolezza di una differenza tra le donne. In particolare, possiamo 16 Gill, p.26. Cammarota, p. 48. 18 Walters, p.106. 19 Nel suo libro Feminist Theory: From Margin to Centre (1984). Cfr. Walters, p.105. 20 Walters, p.105. 17 citare l’ etnicità, la classe sociale, l’ età e la disabilità, quest’ ultima ancor più ignorata21. Paradossalmente, all’ interno del movimento femminista si verificava esattamente quanto esso criticava all’ esterno, con la predominanza del patriarcato. Nel suddetto caso, quindi, il movimento fu alimentato dall’ esperienza di un gruppo privilegiato, le donne bianche22. La scelta del separatismo continua, ma per costruire rapporti diversi, una società diversa, occorre capire che cosa è il femminile. Il movimento femminista porta a livello di discussione nella collettività, quindi nella politica, questioni prima riservate alle analisi sociologiche o psicologiche- la crisi della famiglia, i problemi di coppia, la sessualitàdando visibilità a problematiche che fino a quel momento non erano trattate in pubblico. Si afferma la politicità del privato, si evidenzia il suo intreccio con il pubblico, la stretta dipendenza dell’ uno all’ altro: alla donna è riconosciuto un ruolo nel privato, all’ uomo nel pubblico23. Con la terza fase del femminismo, tra gli inizi degli anni ‘80 e gli anni ‘90, il movimento femminista sembra uscito di scena, ma è presente in tutta la società nella misura in cui ha inciso nel profondo sul modo di essere della donna. Sono nati molti gruppi di ricerca, associazioni, sono sorte riviste. Sono state fondate università da donne per donne. Le donne hanno messo in discussione i limiti posti dalla società rompendo quello fondamentale che delimitava il maschile dal femminile. Dopo aver rifiutato il vecchio modello di donna mogliemadre, diventa sempre più chiara la consapevolezza di non potere avere più modelli, perche è l’ idea stessa di modello che è stata messa in discussione24. Non è stata costruita un’ “altra” identità di un “altro” soggetto “donna”, ma è stata aperta la strada a tante possibili identità25. Si acquisisce sempre più chiaramente la consapevolezza che non esiste un’ unica identità, definita una volta per tutte, ma tante possibili identità i cui confini sono messi di volta in volta in discussione e con 21 Gill, p28. Gill, p.26. 23 Cammarota, p.49. 24 Cammarota, p.50. 25 Cammarota, p.53. 22 molteplici e contemporanei livelli di appartenenza: sesso, età, classe sociale, cittadinanza, appartenenza etnica. Si può ipotizzare che questa è la fase in cui le donne, i tanti differenti gruppi, stanno elaborando tante diverse identità con cui cominciano a confrontarsi. Con la consapevolezza che non è più possibile immaginare un unico modello di donna, né un unico modello di uomo, ma una situazione dinamica in cui identità e soggettività sono due dimensioni che costituiscono la vita di ognuno26. La trasformazione del mondo pubblico, e l’empowerment da parte delle donne nella professione, nella cultura, nell’educazione, nella politica e nella società sono risultati essenziali del movimento femminista27. I concetti ispiratori di tale movimento entrano quindi a far parte del dibattito pubblico e moderno fino a caratterizzare l’ attuale vita sociale. In questi ultimi decenni le istituzioni si sono interessate alla questione della differenza di genere, soprattutto in termini di discriminazioni e disuguaglianze. Le Nazioni Unite hanno organizzato incontri internazionali a città del Messico, Copenhagen, Nairobi, Pechino, fino ad arrivare a New York nel marzo 2005, con l’ intento di preparare una piattaforma di azioni volta a favorire una gender equality28. Nel 1995 la Commissione Europea ha istituito un gruppo di commissari con l’ obbiettivo di inserire misure per le pari opportunità nelle politiche generali dell’ Unione. Ciò ha portato alla stesura della Carta di Roma nel 1996 e al trattato di Amsterdam nel 1999, con i quali si afferma la necessità di creare all’ interno della U.E. una condizione di parità tra i due sessi29. 26 Cammarota, p.57. Lenz, Michiko Mae, Karin Klose, p. 244. 28 Feministisches Institut, Die großen UN- Konferenzen der 90er Jahre, Heinrich-Böll- Stiftung, 2004, p.5. 29 Cammarota, p.56. 27 1.1. La questione femminile e i media Le analisi femministe sui media degli ultimi decenni sono state animate dal desiderio di comprendere in che misura immagini e costruzioni culturali abbiano un impatto su modelli di disuguaglianza, dominazione e oppressione in un mondo contemporaneo che è sempre più influenzato dai media, dall’ informazione e dalle tecnologie di comunicazione. Questo campo di ricerca è caratterizzato da una pluralità di approcci e prospettive diverse, che tengono conto delle metodologie, delle teorie, della nozione di potere, del concetto del rapporto tra rappresentazione e realtà, e delle differenti visioni sul legame delle immagini dei media con la concezione di identità e soggettività dell’ individuo30. Una nuova concezione della donna, diffondendosi nell’occidente, ha dovuto sfidare un mondo dominato dai media, dove le rappresentazioni della donna, spesso dipinte come oggetto più che soggetto, e la relazione tra i sessi hanno invaso la vita quotidiana di ognuno, attraverso la tv, i film, le notizie, le riviste e i cartelloni pubblicitari31. Due ordini di motivi erano avvertiti come scandalo nel rapporto tra donne e mass media, che possono essere così sintetizzati: l’assenza quasi totale di informazioni di quello che le donne “pensano”, “fanno”, “propongono” oppure la loro sistematica distorsione, riduzione, banalizzazione e l’ esaltazione, la dilatazione abnorme solo di alcuni aspetti riguardanti la donna (violenza da una parte, spettacolo dall’ altra parte)32. I due aspetti sono complementari e attraverso assenze e presenze costituiscono una sacca di resistenza culturale alla nuova donna emergente che si avverte, più o meno consapevolmente, come non “compatibile” con la propria cultura di riferimento. Il risultato è una sistematica marginalità della presenza femminile, sia qualitativa 30 Gill, p.7-8. Douglas, p.166. 32 Cristofaro Longo, La disparità virtuale, p.18. 31 che quantitativa33. Non c’è da meravigliarsi, dunque, che i media siano diventati un campo di battaglia del femminismo. Diverse critiche e un appello ad andare contro il dogma dell’ immagine femminile nella società vennero soprattutto da donne provenienti dell’ambito accademico e dell’industria dei media. Così, le donne lavorando oppure studiando nell’ambito di nuove discipline come nella scienza della comunicazione e negli studi culturali, si lamentarono con sempre più urgenza della disparità tra donne e uomini che caratterizza questi campi34. La ricerca degli anni ’60 e ’70 ha studiato con un’ interesse particolare l’ ideologia dei media, ignorando però in genere questioni che interessavano il femminile, focalizzandosi invece su notizie che riguardavano altri temi sociali. La ricerca scientifica si concentrava raramente sulla relazione tra i generi, l’ etnia e la sessualità, mentre i discorsi sui conflitti sociali godevano di massima considerazione, riflettendo l’ influenza del marxismo. Le donne addette all’ ambito accademico, sia per motivi di lavoro oppure per motivi di studio, avvertivano una “egemonia della mascolinità” nelle università e percepivano quindi l’uomo in quell’ ambito come dominante e la donna nei suoi confronti spesso come essere completamente invisibile35 36. Una seconda ondata di critiche e rivendicazioni femminili venne da donne che lavoravano per i giornali, la televisione e la radio, che si preoccuparono della mancanza di parità e di sbocchi professionali per le donne nei media. La mancanza di ruoli attivi, l’ assenza di lettrici e la mera rappresentazione di donne in posizioni di maggiori responsabilità nei media, ebbe un impatto profondo su come le donne erano considerate nella società in generale. Organizzazioni come Women in Media e la Equality working Party of the National Union of Journalists in the UK ebbero un ruolo essenziale nel dare consapevolezza alla rappresentazione delle donne e nel promuovere idee su possibili 33 Cristofaro Longo, p.18. Gill, p.9. 35 Un problema sul quale già Virginia Woolf volle chiamare attenzione con la sua opera saggistica Una stanza tutta per se del 1929. 36 Gill, in CCCS Women’s Group 1978, p.23. 34 cambiamenti delle tendenze37. Varie pubblicazioni in Inghilterra, tra cui una delle più note è The Female Eunuch (1979) di Germaine Greer, si ispirarono al movimento femminista, e allo stesso tempo incentivarono la sua rapida crescita in vari paesi europei, tra cui l’ Inghilterra, ma anche, ed in modo più cruciale, negli Stati Uniti. Protestatrici appartenenti ai “movimenti dei diritti civili”, al “movimento dei neri”, e al “movimento studentesco per una società democratica” lamentarono, tra altro, che troppo spesso la donna era posta nel ruolo di un’ oggetto sessuale. Nel novembre del 1968 e del 1969 si protestò ad Atlantic City contro il concorso di Miss America, argomentando che esso era simbolo dell’ oggettivazione e della riduzione all’ apparenza delle donne38. Seguirono molti studi e ricerche considerevoli. Uno dei più famosi studi di contenuti sulla rappresentazione delle donne nelle pubblicità statunitensi è stato realizzato nell’ inizio degli anni ‘70 dalla National Organization of Women (NOW) che dimostra attraverso l’ analisi di 1,200 pubblicità in un periodo dato di 18 mesi, che due terzi delle pubblicità rappresentavano le donne come casalinghe dipendenti dai loro mariti, oggetti decorativi, funzionali e addirittura non intelligenti; immagini diffuse in qualsiasi ambito culturale pubblico come in TV, in riviste, nelle pubblicità ecc. testimoniavano che le donne nei mass media erano assenti oppure banalizzate39, e fornirono materiale a numerosi studi che analizzano il contenuto dei media40. L’ esempio più conosciuto di gender analysis nei contenuti dei media sono i tre Global Media Monitoring Projects che si sono svolti negli anni 1995, 2000 e 2005 e che sono nati in preparazione della IV Conferenza Mondiale delle donne su: “Azione per uguaglianza, sviluppo e pace”41, organizzata dalle Nazioni Unite a 37 Gill, p. 11. Walters, p.108. 39 Gill, p.10. 40 L’analisi del contenuto significa contare la frequenza di certi tipi di rappresentazioni di uomini e donne, come ad esempio il numero relativo di donne contro quello degli uomini, oppure la frequenza di apparizione delle donne nella pubblicità mostrate in cucina oppure in camera da letto, per produrre una statistica da analizzare. I vantaggi di questo approccio sono risultati quantitativi rapidi, economici e affidabili. Cfr. Gill, p.12. 41 Cristofaro Longo, La disparità virtuale, p.9. 38 Beijing42, durante la quale si è avvertito l’urgenza di includere la questione dei media negli obiettivi strategici della piattaforma d’azione che erano da realizzare per “promuovere una rappresentazione di donne nei media più equilibrata e non- stereotipata”43. I media presi in esame in tutto il mondo sono stati: televisione, radio, giornali quotidiani44. Il paragrafo numero 236 della piattaforma d’azione delle Nazioni Unite dimostra chiaramente quanto sia urgente prendere delle misure contro certi contenuti mediatici: “The continued projection of negative and degrading images of women in media communications – electronic, print, visual and audio must be changed. Print and electronic media in most countries do not provide a balanced picture of women's diverse lives and contributions to society in a changing world. In addition, violent and degrading or pornographic media products are also negatively affecting women and their participation in society. Programming that reinforces women's traditional roles can be equally limiting. The world- wide trend towards consumerism has created a climate in which advertisements and commercial messages often portray women primarily as consumers and target girls and women of all ages inappropriately”45. Ben 71 paesi parteciparono al Global Media Monitoring Project46. Il significato di questo progetto di raccolta dati, secondo la testimone Margaret Gallagher, è stato enorme, e ha fornito alle donne uno strumento con cui analizzare i media in modo sistematico, oltre che un mezzo per documentare discriminazioni e esclusioni di gender. Gruppi di diversi paesi si sono riuniti condividendo la stessa preoccupazione, sulla rappresentazione della donna nei loro media nazionali. Esiste 42 Le Nazioni Unite avevano convocato la Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (le tre conferenze precedenti erano a Mexico City, nel 1975, a Copenhagen, nel 1980 e a Nairobi, nel 1985) dal 4-15 Settembre 1995 a Beijing in Cina per preparare una piattaforma di azioni per raggiungere uguaglianza e pari opportunità per donne. Cfr. Die großen UN Konferenzen der 90-er Jahre, p. 5. 43 http://www.un.org/womenwatch/daw/beijing/platform/media.htm. 44 Cristofaro Longo, p. 19. 45 http://www.un.org/womenwatch/daw/beijing/platform/media.htm. 46 Gill, p. 43. d’allora un livello di organizzazione delle donne, in ogni parte del mondo, che consente di armonizzare e concretizzare progetti comuni ritenuti importanti. L’atto di monitorare i loro media ha costituito una esperienza educativa e ha generato consapevolezza47. 1.2. Il ruolo del linguaggio Non tutti gli studi femministi si sono basati sull’analisi del contenuto delle immagini trasmesse dai media. Al contrario, alcuni studiosi hanno considerato questa forma d’analisi molto limitata, poiché basandosi solo sulla rappresentazione delle immagini, le analisi si limitavano ad approfondire il contenuto, anziché esaminare le strutture più profonde del significato delle rappresentazioni trasmesse. Il linguaggio verbale a sua volta è un mezzo di rappresentazione e crea una realtà, influenzando il modo in cui viviamo e pensiamo. Lo studio del linguaggio ci permette di assumere una distanza critica dai contenuti mediatici, aiutandoci a capire come le rappresentazioni operano sulla percezione che abbiamo su di noi e su altri48. Da Norman Fairclough sappiamo, inoltre, che esiste uno stretto legame tra l’ uso del linguaggio e la disparità sociale di potere. Lo studio critico del linguaggio, ci permette di esaminare il modo in cui il linguaggio contribuisce alla dominazione di alcune persone su altre, che è implicita nelle interazioni linguistiche (conversazioni) di cui gli individui non sono generalmente consapevoli. Un esempio tradizionale è la conversazione tra il medico e il paziente, in cui il rapporto autorevole o gerarchico è considerato normale. Il medico è nella posizione di decidere sull’andamento del trattamento, il paziente lo deve eseguire. E’ possibile trovare tali affermazioni inseriti nel linguaggio, che si chiamano 47 Gill, p.44. Deborah Cameron, Feminism& Linguistic Theory, Macmillan Press Ltd, Houndmills, Basingstoke, Hampshire, 1992, p.6. 48 “ideologie”. L’ ideologia è strettamente legata alla nozione di potere, perche il linguaggio è la manifestazione più comune dei rapporti sociali. Secondo Fairclough, la presenza di potere in una data società contemporanea si manifesta tramite l’ ideologia e più precisamente tramite il carattere ideologico del linguaggio49. In questo paragrafo vorrei soffermarmi su due approcci d’analisi rilevanti per gli studi femministi dei media: l’ analisi semiotica e l’analisi del discorso, che esaminano il modo in cui i testi operano nel produrre significati che potranno riflettere ideologie di genere50. Inoltre, dedicherò uno spazio alla riflessione, molto discussa tra filosofi e linguisti, sulla misura in cui i concetti culturali percepibili nella lingua sono influenzati dal mondo, e in quale misura la lingua delimita le caratteristiche del mondo che possiamo di fatto vedere. Nella seconda parte del ventesimo secolo, i mezzi di rappresentazione, quali ad esempio la tv, il cinema, e anche internet, comunemente conosciuti come i media, sono entrati a far parte di una rete di informazione, coinvolgendo un pubblico molto ampio e diversificato e producendo teorie innovative di significati che enfatizzano il rapporto tra mittente e destinatario e l’ effetto che il messaggio ha sul pubblico. Gli studi mediatici e letterari hanno conosciuto diversi approcci al materiale51. Negli anni ’60 lo studio della semiotica, originata dagli studi sul linguaggio, si è prestato all’ analisi di tutto ciò che trasmette significati, come ad esempio gesti e comunicazione nonverbale, che consistono entrambi nell’ esame dei significati che tutti noi produciamo quando operiamo con un testo52. Ferdinand de Saussure innovò la teoria linguistica introducendo un nuovo concetto secondo cui la semiologia dovrebbe essere intesa come una scienza dei segni linguistici. Il segno linguistico consisterebbe allora di significato e di significante. Il primo si riferisce ad un concetto, il secondo ad una 49 Norman Fairclough, Language and Power, Longman Group Limited, London e New York, 1ª ed. 1989, 9ª ed. 1995, p.1-2. 50 Rose Marie Beck, Frauen in den Medien, Köln : Verein Beitrag zur Feministischen Theorie und Praxis, 2002, p.45. 51 Mitrano, p. 134-137. 52 Gill, p. 46-47. forma sonora, o un'immagine uditiva. Per esempio, il segno linguistico “neve” consiste nel suono prodotto dalla parola (il significante) e il concetto che si riferisce al bianco, umido, che cade dal cielo (il significato). Tra significato e significante non esister, secondo Saussure, un rapporto naturale oppure inevitabile, ma si tratta di un rapporto puramente arbitrario. E’ importante da ricordare che il significato rappresenta il concetto legato ad un oggetto. L’ oggetto acquisisce il suo significato solo attraverso la sua distinzione da altri significati53. Lo studio della semiotica è importante per analisi di contenuti mediatici, come quelli della pubblicità, perché ci dimostra come funziona il suo sistema di costruzione dei segni, che possono essere decodificati attraverso l’ applicazione semiotica54. Il metodo sociosemiotico consente di “smontare” il testo pubblicitario e di formulare delle ipotesi sulle intenzioni dell’ emittente e sulle possibili decodifiche del destinatario, ma tali ipotesi non corrispondono necessariamente agli effettivi processi di comunicazione e di ricezione55. Raffinatosi negli anni successivi, l’approccio semiotico ha considerato, oltre la situazione comunicativa triangolare di emittente/messaggio/ destinatario, anche fattori sociali e psicologici che influiscono sul significato, specialmente quegli aspetti che sono intrecciati con l’ identità culturale e con le circostanze storiche del destinatario56. Dal canto suo l’ analisi del discorso- o discourse analysis- ha permesso di fare interessanti riflessioni sul modo di “usare” il linguaggio. Il termine discorso è riferito a tutte le forme orali e testuali e si interessa quindi al contenuto e l’ organizzazione dei testi. Un’ analisi del discorso implica che l’ utente del linguaggio afferra il senso di quello che legge nei testi, ed è in grado di capire quello che i parlanti 53 Gill, p.47. Una studiosa nota in questo campo è Judith Williamson, il cui libro Decoding Advertisements54 è un’importante riferimento nell’ analisi semiotica della pubblicità. Williamson si è concentrata sul modo in cui le pubblicità esprimono il significato di una cosa in termini di un’ altra cosa, nel senso che usano una struttura con la quale il linguaggio di un oggetto si trasforma in un linguaggio di emozioni. Così per esempio un diamante può “significare” affetto per noi. I significati acquisiscono un nuovo valore. Cfr. Gill, p.51. 55 Andrea Semprini, Lo sguardo socio semiotico, Comunicazione, marche, media, pubblicità, 1ª ed. 1989, Franco Angeli s.r.l. Milano, (5ª ed. 2003), p. 74. 56 Mitrano, p.134-137. 54 intendono, indipendentemente dalle parole che usano. Studiando i legami coesivi di un testo, possiamo comprendere il modo in cui i scriventi strutturano quello che vogliono dire57. Un secondo aspetto dell’ analisi del discorso è che il linguaggio è costruttivo. Il mondo ci si pone come una costruzione, in un modo molto reale. I testi di varie tipologie costruiscono il nostro mondo. E’ tuttavia necessario precisare la natura di questo mondo “reale”, problematica per definizione. Semprini suggerisce che “in un’ opzione radicalmente costruttivista, o radicalmente semiotica, la nozione di ‘mondo reale’ è letteralmente inaccettabile. Ogni realtà è allora o una rappresentazione della realtà, oppure una realtà costruita socialmente. Resta il fatto, che alcune rappresentazioni acquisiscono a un dato momento e in un dato contesto sociale un indiscutibile valore oggettivante”58. Norman Fairclough è forse il linguista più rappresentativo nell’ ambito dell’ analisi del discorso, e più specificamente della critical discourse analysis. Il termine critical intende di svelare certi aspetti e collegamenti che possono sfuggire alla percezione umana, come per esempio i legami tra il linguaggio, il potere, e l’ ideologia59. Possiamo stabilire un legame tra l’ analisi del discorso e il postmodernismo60 perche l’ ultimo consiste nella rottura del legame con i modelli tradizionali della lingua conformi al pensiero illuministico. Secondo esso la lingua funge come medium trasparente che semplicemente nomina o riflette il mondo che esiste al di fuori del 57 George Yule, (ed. orig.; The Study of Language, 1ª ed. 1985, 2ª ed. 1996, Cambridge University Press, Cambridge) ed. ital.: Introduzione alla linguistica, traduzione italiana a cura di Giuliano Bernini, il Mulino, 1ª ed. 1987, 2ª ed. 1997, p.157-159. 58 Andrea Semprini, Analizzare la comunicazione, come analizzare la pubblicità, le immagini, i media, Franco Angeli s.r.l., Milano, 1997, p.143. 59 La procedura per applicare l’ analisi critica del discorso ad un testo (verbale e scritto) si svolge in tre fasi: descrizione del testo (l’ immediato ambiente sociale in cui il discorso è collocato), interpretazione del rapporto tra testo e interazione (livello più ampio di condizione sociale), e spiegazione del rapporto tra interazione e contesto sociale (l’ intero complesso sociale). Queste condizioni sociali determinano la modalità interpretativa e produttiva che un individuo ha nel testo. Cfr. Fairclough, p.109. 60 Il termine postmodernismo ha delle multiple nozioni: si riferisce sia a un periodo storico o capitalistico (che inizia intorno agli anni ’70), sia al pensiero e alle forme di arte e cultura in questo nuovo periodo storico. I teorici che usano questo termine (molto controverso) suggeriscono che il mondo è cambiato radicalmente, rispetto a prima. Non per ultimo questa percezione avviene a causa dell’ avvento della globalizzazione tramite i nuovi media. Cfr. Cameron, p. 15. linguaggio ed è un modo per trasformare la realtà in consapevolezza. Il postmodernismo si discosta, quindi, da questo punto di vista61. Quale è allora esattamente il legame tra il postmodernismo e il linguaggio e il femminismo? La società postmoderna è ormai caratterizzata dalla produzione incessante di messaggi, immagini e segni. Per capire la società postmoderna bisogna imparare a leggere i suoi codici culturali, i suoi linguaggi. Il linguaggio verbale è una risorsa con cui il movimento femminista si è occupato intensamente, concentrandosi in buona parte su come la rappresentazione della donna sia avvenuta anche in termini linguistici tramite i media e nella società culturale. E’ dunque utile, a questo punto, fare riferimento all’ ipotesi formulata da Benjamin Whorf e Edward Sapir: “Gli esseri umani non vivono solo nel mondo oggettivo né solo nel mondo dell’ attività sociale come è ordinariamente intesa, ma dipendono in larga misura dalla lingua particolare che è diventata il mezzo d’ espressione della loro società. E’ una grossa illusione che ci si adegui alla realtà essenzialmente senza l’ uso della lingua e che la lingua sia solo un mezzo occasionale per risolvere specifici problemi di comunicazione o di riflessione. Il fatto è che il “mondo reale è in gran parte inconsciamente costruito sulle abitudini linguistiche del gruppo… Noi vediamo, udiamo e abbiamo esperienze sensibili così e non altrimenti perché le abitudini linguistiche della nostra società ci predispongono a certe scelte di interpretazione”.62 Esiste quindi una “realtà profonda [nel nesso] che Sapir ha visto tra la lingua, la cultura e la psicologia”63. L’ influenza che la lingua esercita sugli individui e le attività culturali, va cercata nel modo in cui essa organizza normalmente i dati e analizza i fenomeni. “La spiegazione di certi comportamenti è data dalle analogie cui dà origine la formula linguistica in cui la situazione è espressa e attraverso cui è in qualche misura analizzata, classificata e messa al suo posto in 61 Markus Bieswanger, Heiko Motschenbacher, Susanne Mühleisen, Language in its Socio-Cultural Context, Frankfurt am Main 2010, p.56. 62 Benjamin Lee Whorf, (ed. orig.: Language, Thought, and Reality, The M.I.I Press, Cambridge, Massachussets, 1956) ed. ital.: Linguaggio pensiero e realtà, a cura di John B.Carroll, traduzione italiana di Francesco Ciafaloni Boringhieri, Torino, 1970, in Edward Sapir, p.99. 63 Whorf, p.99. un mondo che ‘è in gran parte inconsciamente costruito sulle abitudini linguistiche del gruppo’. E noi riteniamo sempre che l’ analisi linguistica compiuta dal nostro gruppo rifletta la realtà meglio di quanto non faccia”.64 Analizzare delle configurazioni grammaticali è obbligatorio, se si vuole studiare l’ effetto del comportamento di questo materiale linguistico. Un’ influenza assai profonda deriva “dallo strutturarsi delle categorie grammaticali, [per esempio] come la pluralità, il genere, e classificazioni analoghe (animato, inanimato ecc.)”. L’ esperienza può essere “una” o “molte”, attraverso la suddivisione in una categoria come il numero (singolare o plurale)65. Dato che le donne si sentirono spesso escluse dall’ esperienza condivisa la critica femminista vorrà dunque esaminare la relazione del pensiero abituale col comportamento del linguaggio. Lo studio si estese al ambito dei media per capire in quale misura la nozione dei generi è costruita a partire dai contenuti mediatici della cultura popolare. Questo campo di studio si associa a quello delle immagini femminili, ma consiste in un quadro teorico diverso: si esamina lo status della lingua. Partendo dalla definizione illuminista della lingua come medium trasparente che nomina il mondo, un aspetto che corrisponde anche all’ idea saussuriana, secondo la quale la lingua è un processo che attribuisce ad ogni oggetto un nome, il movimento femminista della seconda ondata si interrogò nel quale punto di vista il mondo circondante era stato nominato: il punto di vista era evidentemente quello maschile66. Alcune scrittrici femministe, come Virginia Woolf, hanno sostenuto che la maggior parte dei linguaggi sono intrinsecamente “patriarcali” perche descrivono il mondo ignorando alcune esperienze femminili67. Ad esempio, prima che termini come “sessismo68” e “molestia sessuale” fossero coniati, le donne avevano delle difficoltà a parlare di alcune caratteristiche importanti che 64 Whorf, p.102. Whorf, p102. 66 Cameron, p.13. 67 Bieswanger, Motschenbacher, Mühleisen, p. 23. 68 Con sessismo si intende un modello di opressione e discriminazione di donne e interessi di donne in base al loro sesso. Un’ immagine femminile può essere definita sessista quando costruisce, afferma e trasporta nozioni di “particolarità”, d’“inferiorità”, e d’“insignificanza” di donne; Cfr. Gitta Mühlen Achs/ Bernd Schorb, Geschlecht und Medien, KoPäd Verlag, München, 1995, p. 16. 65 determinavano le loro esperienze. Betty Friedan si riferiva a questo fenomeno come al “problema senza nome” 69. La riflessione sulla lingua, come mezzo di rappresentazione, è stato uno degli elementi centrali del femminismo. Così negli anni ‘60, ‘70 e ‘80 ci si è concentrati sopratutto sullo sviluppo di un linguaggio opportuno che presentasse le donne in modo realistico e adeguato, necessario per stabilire una visibilità delle donne nella politica, nel lavoro e nella vita pubblica. Si voleva manifestare che il linguaggio era un possibile mezzo di una comunicazione attiva per conferire un ruolo più attivo alle donne70. Già agli inizi del ventesimo secolo scrittrici come appunto Virginia Woolf e Dorothy Richardson avevano riflettuto sulla “parola della donna” ricercando un linguaggio letterario in grado di dare voce alle esperienze femminili71. In effetti, dopo l’ imput del libro precursore di Robin Lakoff “Language and Woman’s Place” (1975), i linguistici degli anni ’70 hanno riflettuto sulla posizione sociale di donne e uomini e hanno visto nel rapporto tra il linguaggio e il gender un riflesso dello status femminile. La subordinazione di donne era ancorata anche al sistema linguistico, con particolare sguardo ai sostantivi personali, ai pronomi e ai generi maschili. Si giunse alla conclusione polemica che il linguaggio era “manmade”72, un assunto esplorato nel libro di Dale Spencer “Man Made Language”73. Molto interessante a questo punto, è il riferimento al celebre saggio di Virginia Woolf, A Room of One’s Own74 (1929), una delle opere più citate nel corso del movimento femminista. Così Woolf nel suo saggio riflette sul modo in qui i testi operavano, e fa scoprire alla sua protagonista una serie di testimonianze sull’inferiorità delle donne e sulla presunta superiorità degli uomini, sia nella letteratura sia nel linguaggio della stampa e illustra, che una donna con il dono di 69 Gill, in Spender, p. 46. Mitrano, p.139. 71 Cameron, p. 8. 72 Bieswanger, Motschenbacher, Mühleisen, p.24. 73 Cameron, p.17. 74 Trad. it.: Una stanza tutta per sé. 70 scrivere avrebbe visto negate tutte le opportunità a svillupare il talento solo perché esse erano chiuse alle donne 75. “Nobody in their senses could fail to detect the dominance of the professor. His was the power and the money and the influence. He was the proprietor of the paper and its editor and sub-editor. He was the Foreign Secretary and the Judge. He was the cricketer; he owned the racehorses and the yachts. He was the director of the company that pays two hundred per cent to its shareholders… 76. Woolf denuncia dunque l’ideologia del linguaggio denominato dal maschile in Inghilterra, che lei chiama “the rule of patriarchy”77. La ripetizione del pronome he serve proprio a enfatizzare questo aspetto. Non soffermandosi solo su questo aspetto, la Woolf lascia trasparire una concezione molto sfumata del problema e giunge anche all’ ipotesi, che la mente migliore sia quella che non distingue tra i sessi. Una mente “androgina”, quindi, che sa fecondare il meglio dei due emisferi, quello “maschile” e quello “femminile”78. La questione sul linguaggio venne ripreso, negli anni ‘60 e ’70, soprattutto dagli studi femministi e nel campo di ricerche sui gender, suscitando nuovamente polemiche. 75 Mitrano, p. 133. Virginia Woolf, A Room of one’s Own, Granada Publishing, London, 1977, p.34. 77 Woolf, p.34. 78 Woolf, p.93-94. 76 1.3. Gli anni ‘90- cambia la tendenza Se durante gli anni ‘70 e la prima parte degli anni ‘80 si è assistito ad un movimento femminile relativamente stabile, negli anni ’90 cambia la tendenza quando viene dichiarato la “morte” del femminismo79. Fatto sta che gli anni ’90 segnano un cambiamento importante nel femminismo, d’ora in poi noto come il postfemminismo. La visione di una divisione tradizionale tra i ruoli di genere si è in sostanza frammentata e da il via a una pluralità d’ identità di genere. La scomparsa del movimento femminista dalle piazze non ha segnato in realtà la sua fine, bensì una sua profonda trasformazione. “Si tratta di un femminismo che è diventato tanti femminismi e che si è riaffermato attraverso lo studio, la riflessione, un modo diverso di rapportarsi alla vita e alle istituzioni da parte di tante donne” 80. Le prospettive in cui si sono sviluppati questi studi sono state quello di genere, soprattutto nell’area anglo-sassone. Una delle ragioni che spiegano maggiore complessità del tardo femminismo sta in un cambiamento drastico del contenuto mediatico alla fine degli anni ’80: avendo offerto prima una nozione relativamente stabile ed univoca del femminismo, i media avevano ora ceduto la strada ad una pluralità di codici di gender. Si crea un “individualismo femminile”81 e una consapevolezza dei processi di costruzione di immagini nei media. Complessivamente, i contenuti mediatici sono diventati consapevoli della critica culturale, ed anche del femminismo82. Nasce un “nuovo femminismo popolare”83 che celebra l’individualità, non la collettività, che da spazio al piacere, non alla politica84, che viene trasmesso dunque soprattutto dai media: nella tv, nella pubblicità, nelle riviste ecc.. Il femminismo diventa una faccenda culturale e si nota una serie di cambiamenti nel rapporto tra donna e 79 Susan Faludi, Backlash, Die Männer schlagen zurück, ed. tedesca, Reinbek bei Hamburg, 1995, p.125. Cammarota, p.54. 81 Sue Thornham, Women, Feminism and Media, Edinburgh University Press, 2007, in Angela McRobbie, p.16. 82 Cameron, p.11. 83 Thornham, p.15. 84 Thornham, p.15. 80 media85: le categorie di donne non appartengono più a gruppi distinti, ma si assiste ad una più vasta fluidità ed eterogeneità dell’ identità femminile86. Nella pubblicità, soprattutto quella mirata ad un pubblico femminile, si offre un’ immagine di donne giovani, indipendenti, attraenti e normalmente rappresentazioni nei single, media in un coinvolgono ambiente urbano. ripetutamente Le discorsi femministi, ma in modo ironico, scherzoso, stilistico e in una maniera ambivalente. Tale questione è oggi ancora fortemente discussa negli ambiti femministi- di un lato avviene la rappresentazione di donne più autonome e con successo nel lavoro, ma dall’ altro si tratta di rappresentazioni ancora legate a stereotipi e molto unilaterali, appunto donne giovani, indipendenti, di successo, attraenti e single, oppure donne più anziane, casalinghe, con una tendenza alla mania per le pulizie. Pare anche che avere successo nel lavoro e allo stesso tempo avere un partner coniugale sia una combinazione incompatibile per una donna dal punto di vista di chi produce le pubblicità; lo stesso vale per l’immagine di una donna giovane e attraente e sposata.87 Anche se più di recente, e precisamente a partire dal nuovo millennio, questa divisione sta cedendo strada ad una combinazione di tutte quelle qualità definite “femminili”, per incorporare un nuovo genere di “super” donna che è: intelligente, affermata, generosamente bella, una madre perfetta che gestisce anche un lavoro professionale impegnativo88. Inoltre avviene da parte delle donne una nuova definizione di ciò che è il femminismo e quali sono i suoi scopi nell’ era contemporanea89. Si pone alla donna “postmoderna”, in modo approssimativo però, un nuovo modello d’identificazione: una posizione soggettiva invece di un oggettiva, caratterizzata da libertà e scelta. Questi nuovi cambiamenti non significano, appunto, che ci sia necessariamente anche un cambiamento nei rapporti di potere nella vita privata o pubblica, 85 Mitrano, p.141. “Le idee che costituiscono il femminismo cambiano costantemente in base alle critiche, a nuovo teorie, a nuovi elettorati, a nuove generazione e alla esperienza di nuove sfide e difficoltà.” Cfr. Gill, p.2. 87 Romy Fröhlich, Frauen und Medien, eine Synopse der deutschen Forschung, Westdeutscher Verlag GmbH, Opladen, Freiburg, 1995, p.209-210. 88 Gill, p.83. 89 Thornham, p. 15-17. 86 principalmente per quelle donne che non si inquadrano ancora nello schema delle donne postfemministe (donne anziane, donne della classe operaia, donne di colore o asiatiche). Malgrado la promessa di ampliare la gamma dell’ impostazione dei generi, i media non lasciano veramente molto spazio alla proclamata scelta delle donne per creare, sovvertire, e definire nuove categorie di donne e identità femminili90. Se il femminismo perde la sua funzione di creare dibattito, la categoria donna diventa un “identità fluttuante”91, il discorso del post- femminismo, nonostante la retorica che gira intorno alla nozione di scelta e di libertà, potrebbe portare in effetti a un’ altra forma di disciplina e silenzio. La celebrazione dei media della scelta e della libertà può essere un modo per coprire la “modalità di restrizione” con la quale essi operano tuttavia in molti casi92. Negli anni ‘90 cambia anche la tendenza degli studi sul femminismo e subiscono una sfida le categorie di donne femministe a causa di una mancanza d’ intesa su l’ essenza di ciò che costituisce il loro gruppo. Responsabile per questo cambiamento durante gli anni ‘90 fu la comparsa del movimento intellettuale chiamato post- strutturalismo. L’ impatto più evidente del post-strutturalismo è stato di aprire una pluralità di prospettive che rompe i fondamenti che mantenevano l’ immagine di una società divisa in due parti opposte93. Diversi filosofi, tra qui il più notevole Michel Foucault, hanno influenzato in modo nuovo le teorie recenti su linguaggio e gender. Si stabilisce la nozione che l’ individuo non possa ribellare contro certe norme sociali che determinano la sua identità. Prototipi definiti come normali o ideali di persone ne sono la conseguenza94. Con il post-strutturalismo il femminismo diventa un discorso sociale ed entra quindi a far parte di una faccenda culturale discussa ed accettata dai media. In conseguenza ai gender studies, che intende i generi come una costruzione culturale e sociale, l’ identità della donna 90 Thornman, p.17. Thornlam, p.17. 92 Thornman, in Angela McRobbie, p. 18. 93 Thornham, p. 17. 94 Mena Mitrano, p.144-145. 91 non è più vista come un’ identità biologicamente prestabilita95, ma le vengono date codici specifici definiti come “femminili” con i quali è rappresentata spesso in modo stereotipo dai media. 95 Bieswanger, Motschenbacher, Mühleisen, p.14-15. Capitolo 2 I media In ciò che segue esaminerò il termine “media” più da vicino per trovare una definizione adeguata sulla quale appoggiarmi nel presente lavoro. Inoltre illustrerò l’ impatto dei media sull’identità individuale nella cultura contemporanea per arrivare poi a una valutazione delle problematiche che si pongono per l’ immaginario e l’ identità culturale della donna nella società contemporanea attraverso le rappresentazioni nei media. Nella società post- industriale il ruolo e il posto dei media, che coinvolgono direttamente o indirettamente tutti gli ambiti sociali, sono talmente importanti e onnipresenti che questi diventano un indicatore molto sensibile e reattivo dei cambiamenti in atto nel contesto sociale96. Generalmente, si dedicano molte ore della settimana a guardare la tv, a leggere riviste e altre pubblicazioni, a contemplare cartelloni pubblicitari al cinema, e quindi si è esposti costantemente alla cultura popolare e alla pubblicità. Un esempio in questo caso è fornito da una statistica, secondo la quale le persone in Europa e negli Stati Uniti passerebbero circa 4 ore del giorno a guardare la tv97. E’ evidente quindi che gli individui sono sollecitati quotidianamente da un alto contenuto di informazioni, anche se spesso non fanno attenzione ai tipi di informazioni diversi98. I media ci mostrano delle situazioni e delle relazioni da un punto di vista diverso dal nostro- è addirittura affascinante vedere “come funziona il mondo”, al di là della propria esperienza. Impossibile immaginarsi che questo non abbia nessun impatto sul modo in cui l’ individuo si pone e sulle sue aspettative negli altri intorno a lui. Per esempio, riviste destinate a donne (come anche in 96 Andrea Semprini, La società di flusso, Franco Angeli s.r.l. Milano, 2003, p. 37. David Gauntlett, Media Gender and Identity; an introduction, Routledge, 2008. London, p.8. 98 Gauntlett, p.2. 97 numero crescente agli uomini), contengono numerosissimi consigli su come vivere, apparire, e agire. Anche se leggiamo queste informazioni con una rapida lettura, senza dubbio ci rimangono impresse. Inoltre, un’ altissimo numero d’ immagini di persone apparentemente perfette, come ad esempio nelle pubblicità, circolano nei media e possono alterare la percezione degli individui su se stessi99, un fatto che sarà affrontato nel paragrafo dedicato alla pubblicità, in cui esaminerò in che modo le immagini di donne idealizzate influiscono negativamente sulla percezione femminile. Ma che cosa si intende esattamente per “media”? Per realizzare un atto di comunicazione che va oltre il semplice contatto personale e che quindi si indirizza ad una massa di persone, serve uno strumento, un “medium”, per trasportare il messaggio. Tale azione può avvenire, di un lato, tramite un processo tecnico, che per essere ricevuto non necessita di un mezzo tecnico- libri, giornali, riviste, volantini ecc., oppure tramite un processo che implica l’ uso di un mezzo “tecnico” da parte del ricevente per essere ricevuto, e quindi una televisione, la radio, il cinema, il world wide web, ecc.. Particolarmente gli ultimi godono, nonostante la dipendenza di un mezzo di ricezione da parte dell’ utente, di una vasta popolarità, poiché i messaggi trasmessi hanno di solito un’ alto valore di intrattenimento. In esso sta il nesso basilare tra i diversi tipi di media: non si limitano a trasmettere solo codici comunicativi, ma comprendono sopratutto la realizzazione formale e contenutistica dell’ messaggio trasmesso per coinvolgere e catturare il destinatario100 in una forma di manipolazione mirata101. Poiché non si limitano mai semplicemente a esporre un contenuto, ma instaurano anche dei rapporti complessi con i destinatari, con la materia testuale o visiva e con le istanze che l’hanno generata, queste relazioni, che generalmente sono raggruppate sotto l’ etichetta di relazioni enunciative, possono svolgere un ruolo importante nella 99 Gauntlett, p.3. Peter Hunziker, Medien, Kommunikation und Gesellschaft, Wissenschaftliche Buchgesellschaft, Darmstadt, 1996, p.16-17. 101 Michael Jäckel, Manfred Mai, Medienmacht und Gesellschaft, Campus GmbH, Frankfurt/Main, 2008, p.34. 100 formazione del mondo possibile costruito dai media. Dato che la dimensione dei media coinvolge una massa, cioè una collettività ampia e poco strutturata si parla anche di “mass-media” e di un condizionamento collettivo102. Soprattutto le riviste, il cinema, la radio e la televisione103, le cosiddette “nuove forme” 104 mediatiche, fanno parte di quest’ ultima definizione, cosi come anche altre forme di comunicazione e produzione culturale mediatizzate che modellano lo spazio sociale contemporaneo, come ad esempio le pubblicità105. 2.1. Identità culturale e i media I media che hanno una tendenza alla produzione di un pensiero mondiale, di una cultura mondiale, sembrano poter catturare facilmente cuore e mente del pubblico, producendo consapevolezza e culture globali, sempre più omogenee106. Una grande parte della nostra vita quotidiana è pregna da informazioni e da mezzi tecnologici, sia in forma scritta o visiva, che trasmettono delle immagini. La rappresentazione di contenuti mediatici, ad esempio nelle pubblicità, nei giornali, o nelle riviste, crea un’ immagine della realtà (o per meglio 102 Hunziker, p.11. “Se la sottorappresentazione è un problema specifico delle donne, la “mala rappresentazione” della società non è un problema solo femminile: costituisce “un in più”, non certo di secondaria importanza, ad un dato generale che oggi è sotto gli occhi di tutti. La televisione, infatti, è senz’altro la grande scoperta del nostro secolo: è il mezzo più potente nelle nostre mani, che annulla distanze e consente a tutti di vivere in contemporanea eventi. Proprio, però, per le sue enormi capacità richiama necessariamente al massimo della responsabilità. Mentre negli primi anni della TV non c’ era la competizione, o per lo meno, ce n’ era molto poca, e la produzione poteva essere più “selettiva”, oggi il livello è sceso perché le stazioni televisive, per mantenere le loro audience, dovevano produrre sempre più materia scadente e sensazionale. Il punto essenziale è che difficilmente la materia sensazionale è “buona”. Il sesso, la violenza, il sensazionalismo sono per K.Popper gli ingredienti a cui la TV deve ricorrere, in modo sempre più massiccio per catturare l’ audience. Tutto ciò ha grande influenza nella costruzione del patrimonio culturale di riferimento di grandi e piccoli, ma soprattutto per i piccoli ed i giovani la situazione diventa sempre più drammatica”. Cfr. Gioia di Cristofaro Longo, La disparità virtuale, Armando Armando s.r.l., 1995, Roma, p.45. 104 Hunziker, p.13. 105 Semprini, p. 76. 106 Kevin Robins, Antonia Torchi, Geografia dei Media, Globalismo, localizzazione e identità culturale, Baskerville s.r.l., Bologna, Italia, 1993, p.38. 103 dire una rappresentazione della realtà) e determina, quindi, fortemente il nostro modo di vivere e di pensare107. Attraverso l’alto numero d’immagini di donne e uomini, e la trasmissione di codici di gender e di sessualità, che entrano a fare parte dei concetti di cultura, i media hanno un grande impatto sulla nostra identità. In questo senso è utile fare riferimento ai gender studies i quali si sono evoluti accanto agli studi femministi classici e descrittivi sull’ immagine della donna che ampliano le prospettive sulla nozione di gender e di identità. Essi studiano oltre all’ immagine femminile (femminilità) anche l’immagine corrispondente, quella del maschile (mascolinità), e la relazione specifica tra di loro nei contesti sociali, ma soprattutto nei processi mediali. Nel insieme rappresentano la categoria culturale di gender, che molti ritengono non essere una categoria sociale e relazionale108. Con l’esempio della messinscena della femminilità e della mascolinità diventa chiaro come attraverso dei codici corporali specifici attribuiti a ciascuno dei due, il mito della preminenza maschile è costruito simbolicamente e ancorato nella psiche individuale. La nostra cultura concepisce i generi come un sistema bi-classificato, rigido e vincolante. Secondo Hageman- White questo significa che a ogni individuo, sin dalla nascita è assegnato una delle due categorie di genere, la mascolinità o la femminilità che sono caratterizzati tramite degli attribuiti polari (come per esempio: attivo, passivo, forte, debole, coraggioso, pauroso ecc.) 109. Un’ efficace assegnazione di attributi di gender significa l’acquisizione di caratteristiche “femminili” per le donne, e “mascolini” per gli uomini. Entrambi si distinguono, in fine dei conti, come due esseri completamente diversi, in quanto alla loro apparenza, il loro comportamento, le loro sensazioni, le emozioni, la virtù, gli interessi, i requisiti e la loro funzione di esistenza110. Tale processi di polarizzazione hanno un’ estremo carattere di classificazione. E’ nel attribuzione di tali caratteristiche che si può 107 Mitrano, p.115-116. Hunziker, p.149. 109 Mühlen Achs/ Schorb, p.19. 110 Mühlen Achs/ Schorb, p.20. 108 costruire un ordine sociale fatto di disuguaglianze. Tale ordine sociale insiste nel sostenere che la disuguaglianza è biologicamente attribuita e quindi vincolante. Gitta Mühlen Sachs sostiene che l’origine “biologica” del genere è fondamentale per l’ attribuzione di determinate caratteristiche alle donne (come per esempio emozionalità, passività, previdenza) e le sue caratteristiche di contrapposizione per gli uomini (capacità d’imporsi, attività, razionalità, aggressività). Nel corso del processo della loro formazione di identità, uomini e donne devono sempre confrontarsi con il concetto di polarizzazione che attribuisce loro, da una parte, lo svolgimento di un ruolo determinato nella società, e, dall’ altra parte, una disparità nel loro status sociale. Secondo Mühlen Sachs si spiega cosi il rapporto sessista dei generi nei media, che creano la fantasia di una “superiorità maschile” 111. Possiamo dire che i media lavorano per una buona parte con delle immagini stereotipate nella rappresentazione della donna e dei sessi in generale. La maggior parte degli uomini e delle donne nei media corrispondono in comportamento e in funzione a stereotipi socialmente prestabiliti. Quanto all’ età e all’ apparenza esterna degli individui, alle donne si richiede in generale una realizzazione approssimativa all’ ideale uniforme di gioventù e bellezza, mentre agli uomini è concesso un margine di gioco più ampio. Di più, le donne in confronto agli uomini sono spesso caratterizzate da attributi di reticenza, subordinazione, gentilezza e veicolano la condizione dell’ essere indifeso. Le immagini sono un mezzo molto popolare di pubblicità. Essendo segni complessi con una qualità simbolica e iconica diretta, immediata ed emozionale, entrano, per usare un’ espressione idiomatica inglese, “under the skin” esercitando una forte influenza sull’ individuo112. Diamo quindi per scontati il potere e l’ influenza dei media. La questione realmente importante riguarda il funzionamento e l’ efficacia di tale potere. Quale è il tipo di rapporto tra comunicazione, cultura e identità? Esso è forse concepito in termini di “impatto” delle nuove 111 112 Mühlen Achs/ Schorb, p.29. Mühlen Achs/ Schorb, p.18-29. tecnologie della comunicazione sulla cultura e sulle identità culturali, come ci suggeriscono Kevin Robins e Antonia Torchi113. Essendo la loro funzione primaria quella di intrattenere e di diffondersi sempre di più, i mass-media vengono definiti dagli autorevoli Theodor Adorno114 e Max Horkheimer un’ “industria culturale”115 e sono quindi “a well-oiled machine producing entertainment products in order to make profit”. Poiché qui non si tratterebbe di una cultura creata dagli individui, bensì di una cultura di massa che è imposta da sopra, prodotta in grandi quantità- dall’ industria culturale.116 Tale sarebbe un “circolo di manipolazione” perche si ha solo la scelta tra una gamma di quello che ci si presenta: “The custode is not king, as the culture industry would have us believe, but its object”. Adorno parla addirittura di una “passività”117 che il pubblico crea consumando l’ output dei media, perche la cultura industriale impedirebbe lo sviluppo del individuo autonomo e indipendente che può giudicare e decidere consapevolmente per se stesso. Il pensiero critico dell’ individuo intrometterebbe quindi con la dimensione della cultura popolare prodotta dai mass-media118. Questa idea è simile al modello di comunicazione definito da James Carey, nel 1977, secondo cui le tecnologie della comunicazione rappresentano le forze attive e determinate, mentre la cultura e l’identità restano passive e reattive: le tecnologie della comunicazione come forze causali e le identità come effetti, modellati e modificati dall’“impatto” delle tecnologie119. 113 Robins, Torchi, p.34. Theodor Adorno (1903-1969) era membro della Frankfurt School for Social Research stabilita nel 1923 da un gruppo di intellettuali prevalentemente tedeschi ed ebrei che fuggirono a New York e Los Angeles durante il nazismo. 115 Gauntlett, p.27, in Theodor Adorno e Max Horkheimer, Dialektik der Aufklärung, Social Studies Association, Inc. New York, 1944, Fischer Verlag 1969, trad. ingl. Dialectic of Enlightment, Herder & Herder, New York, 1972. 116 Gauntlett, in Adorno e Horkheimer, p.20. 117 Gauntlett, in Adorno, p.22. 118 Gauntlett, in Adorno, p.22. 119 Robins, Torchi, p. 37. 114 2.2. Un esempio di media: la pubblicità e la bellezza come obbligo E’ evidente ormai che, dato l’ immenso successo nel soddisfare i bisogni comunicativi della massa, i media hanno il potere di influenzare le norme sociali in una società120. Per questo motivo esiste un interesse particolare da parte dei ricercatori a esaminare il ruolo che occupano nella nostra vita. Per comprendere meglio in quale misura possiamo dirci influenzati dai media e come essi alterano la nostra percezione, vorrei rivolgere la mia attenzione in questo paragrafo alla pubblicità, che, nella sua condizione attuale di mezzo di comunicazione globale, riveste un ruolo sociale sempre più cruciale121. Terrò pur sempre conto dell’ ruolo che assume la rappresentazione della donna (idealizzata) in questo contesto. La pubblicità ricopre un ruolo decisivo non soltanto all’ interno del vasto campo delle comunicazioni di massa, svolgendo una funzione insostituibile di supporto economico e di orientamento culturale, ma soprattutto all’ interno del sistema del consumo: quel ruolo attivo di mass media, insostituibile senza il quale ai segni e ai messaggi del consumo non sarebbe possibile circolare. La pubblicità, cioè, si caratterizza soprattutto perche cattura i messaggi e i significati già esistenti nell’ immaginario collettivo per immetterli direttamente nelle merci vendute sul mercato ai consumatori, affinché esse li ritrasmettano a questi ultimi. L’ importanza di questa funzione svolta dalla pubblicità richiede perciò un’ analisi più approfondita del suo ruolo e delle sue complesse dinamiche122. La tesi fondamentale di John Berger123, è che la pubblicità induce il desiderio del prodotto stimolando il destinatario a considerarsi inadeguato alla situazione in cui si trova in 120 Hunziker, p. 15. Vanni Codeluppi, Consumo e Comunicazione, Merci, messaggi e pubblicità nelle società contemporanee, Franco Angeli, Milano, 2002, p.109. 122 Codeluppi, p.108. 123 Storico dell’ arte inglese che pubblicò nel 1976 il libro (Ways of seeing) probabilmente più autorevole sull’ analisi della pubblicità nel mondo anglosassone. 121 quel momento e immaginandosi in un’ invidiabile condizione futura. Berger ha chiamato “glamour” questo invidiabile stato futuro. “Invidioso degli altri, il futuro consumatore crede di poter diventare lui stesso ‘glamourous’… In questo risiede essenzialmente il fascino della pubblicità. Berger proponeva una serie di semplici principi basilari della pubblicità che altri dopo lui avrebbero sviluppato. La pubblicità modifica l’ opinione che il destinatario ha di se stesso e lo proietta in uno stato di costante desiderio di essere un altro, un desiderio paradossale di essere qualcun altro, pur rimanendo se stesso”124: “Publicity is always about the buyer. It offers him an image of himself made glamourous by the product or opportunity it is trying to sell. The image then makes himself envious of himself as he might be. Yet what makes this self which might be enviable? The envy of others”125. I critici degli anni ’80 che pensavano che la pubblicità fosse una cosa positiva si erano fatti un’ idea di essa come di un veicolo di buona informazione e di aumento della possibilità di scelta. Al contrario, coloro che l’ avevano criticata lo facevano perché essa era ritenuta un oggetto di manipolazione, che dà informazioni false, e persino segreti messaggi subliminali126. Berger è stato il primo che pensava il concetto postmoderno secondo cui la pubblicità offre i valori nei quali il consumatore si identifica, piuttosto che dare semplicemente informazioni sul prodotto e sosteneva che la pubblicità sollecita le persone a pensarsi in modo diverso, a identificarsi con il prodotto, a immaginare come gli altri le considerano, e a riflettere su come le loro vite potrebbero essere grazie al prodotto127. Secondo Berger, la pubblicità non consiste tanto nel descrivere un mondo reale, ma piuttosto nel creare un modo di essere un soggetto, sollecitare una certa 124 Andrea Semprini, Lo sguardo socio semiotico, Comunicazione, marche, media, pubblicità, 1ª ed. 1989, Franco Angeli s.r.l. Milano, (5ª ed. 2003), p.139-140. 125 Andrea Semprini, p. 140, in John Berger, Ways of Seeing: based on the BBC television series with John P. Berger, British Broadcasting Corporation and Penguin Books, London, 1972, p.132. 126 Massimo Baldini, Le Fantaparole : il linguaggio della pubblicità, con scritti di M. L. Altieri Biagi, Armando, Roma, 1987, p.131. 127 “Numerosi annunci pubblicitari dei nostri giorni sembrano essere un’ applicazione fedele d’ analisi di Berger. Il profumo di Gucci Envy suona come una citazione di Berger così come anche la campagna inglese di Wonderbra con il suo slogan, “Envy, a terrible thing”. Cfr. Semprini, p.143. idea di sé128. Tutto ciò non potrebbe realizzarsi però senza l’apporto fondamentale dei consumatori, che non assorbono semplicemente i significati e i valori immessi dalla pubblicità nelle merci, ma contribuiscono concretamente al funzionamento di questo meccanismo attraverso la funzione interpretativa che svolgono. Ne consegue che la pubblicità è meno potente di quello che si ritiene abitualmente e che, se è vero che oggi, grazie alla pubblicità, incomincia a manifestarsi un processo di estetizzazione crescente del sociale e del quotidiano, al quale mi riferirò nel seguito, è altrettanto vero che esso potrà realizzarsi completamente soltanto se si manterrà in sintonia con le esigenze reali dei consumatori. E se le “esigenze reali” dei consumatori fossero generate da un grande apparato chiamato marketing? Se la pubblicità non fosse uno specchio che riflette semplicemente i valori della società in cui opera, ma fosse piuttosto uno “specchio deformante”129 che riflette al tempo stesso tali valori pur operando contemporaneamente delle trasformazioni su di esse?130 Il fatto che immagini create nei media entrano facilmente a far parte della cultura popolare della massa, può risultare spesso dannoso e trasmettere valori sbagliati, specialmente a certe minoranze131. La pubblicità, come la vediamo nella tv oppure nelle riviste, ha allora come scopo primario quello di vendere prodotti. In realtà però succede molto di più: vengono trasmessi intenzionalmente anche valori, immagini, concetti di amore e sessualità, di successo e romanticismo, aspetti che creano ideali e definiscono quindi cosa siamo e cosa dovremo essere. Specialmente le donne sono colpite da questa penetrazione di concetti 128 venduti come “normali”. Le Semprini, p. 140. Codeluppi, p. 112. 130 Codeluppi, p.111-112. 131 Tamar Liebes and James Curran, Media, Ritual, Identity,Routledge, London, 1998 , p.203. 129 pubblicità ci circondano incessantemente con una finta rappresentazione della bellezza femminile che è “flawless”132. Cosi la donna già da ragazza impara che deve spendere un’immensa quantità di tempo, energia e soprattutto soldi sforzandosi per poter raggiungere questo ideale di donna, e vergognarsi quando invece non rappresenta o raggiunge questo ideale, come ci suggerisce Germaine Greer. Per esempio, l’ industria cosmetica inglese guadagna ogni anno in circa £8.9 miliardi (€10.7 miliardi)133 dai portafogli delle donne, e le riviste dell’ industria insegnano a ragazze giovani l’uso imperativo del trucco e creano cosi una dipendenza vitale dei prodotti di bellezza. “Not content with showing preeteens how to use foundations, concealers blushers, eye- powders, shadows, eye- liners, lip-liners, lipstick and lip gloss, the magazines identify problems of dryness, flakiness, blackheads, shininess, dullness, blemishes, puffiness, oiliness, spots, greasiness, that little girls are meant to treat with moisturisers, fresheners, masks, packs, washes, lotions, cleansers, toners, scrubs, astringents […]”134. I cosmetici destinati alle adolescenti sono ancora relativamente economici, ma nel giro di pochi anni le ragazze che avranno un aumento nel loro budget risponderanno a tattiche di marketing più sofisticate per persuaderle a comprare prodotti contenendo ingredienti che vanno dalla seta al cashmere, da perle e proteine alla pappa reale e quindi qualsiasi cosa che prometta di nascondere i primi segni del temuto invecchiamento della pelle135. Germaine Greer constata che “women who were unselfconscious and unmade- up thirty years ago, are now ‘infected’ with the need to conform 132 Jean Kilbourne, Killing us softly 3, Advertising’s Image of Women, Media Education Foundation, 2002, medium DVD. 133 Germaine Greer, The Whole Woman, A.A. Knopf, 1999, p.19. 134 Greer, p.23. 135 Greer, p.23. to certain images of beauty”136 e continua che l’ immenso successo del mercato della chirurgia plastica ci fa capire che l’ ideale di un prototipo di bellezza sembra esercitare una forte pressione sulla nostra concezione di ciò che sia bello137. Soprattutto ora che la tecnica del ritocco con il computer è diventata indispensabile, il problema si è intensificato. Le conseguenze che queste tecniche e la diffusione di rappresentazioni irreali portano sull’ individuo in generale, ma soprattutto sulle donne, sono, come già detto, inquietanti. In effetti, la pubblicità non è soltanto una guida al consumo di un prodotto, che produce un effetto globale di promozione e di legittimazione ideologica del consumo stesso, come stile di vita e come immaginario sociale138. Molte ricerche hanno dimostrato che le immagini di donne idealizzate non solo influiscono negativamente sull’ autostima femminile, ma influiscono anche sulla percezione che gli uomini hanno sulle donne. Cosi la donna nella pubblicità appare come un oggetto ed è trasformata in una proiezione del desiderio dell’uomo. Vorrei citare a questo punto le parole di John Berger: “Men look at women. Women watch themselves being looked at. This determines not only most relations between men and women but also the relation of women to themselves. The surveyor of woman in herself is male: the surveyed female. Thus she turns herself into an object – and most particularly an object of vision: a sight”139. Un punto di vista simile formulò Janice Winship, secondo la quale il godimento di forme culturali per le donne, come la stampa femminile, è sempre costruito in termini di fantasie e desideri maschili. Alcune volte immagini nella pubblicità esplicitano questo punto di vista mostrando donne semi-nude in posizioni lascivie ed erotiche. Più spesso però sono implicite. Basta guardare le coperture di alcune riviste di donne- visi femminili, spesso anonimi, che ci sorridono timidamente- per capire che quello che viene imposto come centrale, cioè discorsi di donne per donne, è allo stesso tempo definito in rapporto all’ uomo, al maschio 136 Greer, p.23-24. L 80% delle persone che consultano il chirurgo plastico sono donne (tratto da Norbert Kluge, Gisela Hippchen, Elisabeth Fischinger, Körper als soziale Leitbilder, Frankfurt am Main, 1999). 138 Codeluppi, p.112, in Lasch. 139 John Peter Berger, Ways of Seeing, Penguin Books, London, 1972, p.47. 137 assente. E’ il suo sguardo che assume importanza; la donna, nella sua perfezione, diventa “dell’uomo”140. Un aspetto che esaminerò con più profondità nel prossimo capitolo. Va tenuto conto che il problema della diffusione di rappresentazioni che corrispondono in realtà solo ad un 5% delle donne, e che quindi non rappresenta affatto la donna media, è in continuo aumento, dato che il mercato della pubblicità cresce sempre di più141. Nei Stati Uniti il giro d’ affari dell’ industria di pubblicità montava nel 1979 a $20 miliardi, mentre nel 2007 a $180 miliardi e a $385 miliardi in tutto il mondo142. Questi numeri sono una testimonianza del potere dei mass-media. 2.3. Un’ approccio di analisi alla pubblicità: la semiotica Un approccio molto utile allo studio della pubblicità è quello dell’analisi semiotica, che ci permette di capire “in che modo una società produce degli stereotipi, ossia degli eccessi di artificio, che essa poi consuma come dei sensi innati, ossia come degli eccessi di natura”143. Una delle figure più autorevoli nel campo dei Media and Cultural Studies, dopo Berger, è stata Judith Williamson che ha offerto a questo movimento una teoria e una metodologia analitica negli studi sulla pubblicità144. Nel suo libro “Decoding Advertisements” (1978), l’autrice studia “il processo di trasformazione del significato e del 140 Janice Winship, A Woman’s World, in Women’ s Study Group: Women Take Issue, Hutchinson, London, 1978, p.133. 141 Jean Killbourne in Killing Us Softly 3: Advertising’s Image of Women Media Education Foundation, 2002. 142 http://www.galbithink.org/ad-spending.htm. 143 Codeluppi, p. 117, in Roland Barthes. 144 Williamson, che faceva parte di un movimento accademico inglese basato sulla ricezione della teoria strutturalista francese, ha condiviso con Berger una profonda diffidenza verso la pubblicità come strumento di un certo capitalismo dispotico e sfruttatore. Alla Williamson interessava fornire una spiegazione dei meccanismi di produzione del senso negli annunci pubblicitari. Cfr. Semprini, Lo sguardo socio semiotico, p.143. significante”145, e seguendo Saussure, sosteneva che il significato degli annunci pubblicitari risiede nelle differenze che questi stabiliscono. La pubblicità è un sistema di comunicazione in cui si crea una differenza mettendo in giustapposizione immagini prese da contesti diversi. Giustapponendo le immagini si può trasferire il senso da un sistema di significazione a noi familiare (che lei chiama sistema referente o referent systems), a un altro sistema, quello del prodotto e della marca146. Per la Williamson l’idea chiave di ogni marca è la giustapposizione di due entità apparentemente incompatibili al fine di creare un terzo significato. Come esempio tipico ha preso la pubblicità di Chanel, che semplicemente giustapponeva una fotografia di Catherine Deneuve con un flacone di Chanel No.5. Il significato di Catherine Deneuve era semplicemente trasferito su Chanel No.5. Per capire fino pubblicitario, in il fondo lettore il messaggio “informato” deve riconoscere il fatto che Catherine Deneuve fa parte di un sistema di segni, che la segnalano come diversa da atre celebrità147. Il lettore è poi invitato a fare una connessione tra il significato della Deneuve (raffinatezza, femminilità, eleganza) e il significato del profumo. La sua immagine diventa un significante per il profumo. Lo spot invia a un sistema da cui il segno (il viso di Catherine Deneuve) è stato trasferito. Il segno può funzionare soltanto se lo si rimanda a questo sistema di differenze148. Il pensiero della Williamson considera le pubblicità come esempi di interpolazione: della formazione di soggetti all’ interno di un’ideologia, come l’ equivalente di ciò che Althusser chiamava apparato di uno stato ideologico. “Ads position us as consumers and as people who have a need or desire for certain products and the social meanings which these 145 Semprini, p.143, in Judith Williamson. Codeluppi, p. 118. 147 Semprini,p. 145. 148 Gill, p. 49. 146 products have. There is a subjective identity which ads require us to take on. Positioning the individual subject in such a way as to naturalise a dominant ideology of consumerism”149. Seguendo questo pensiero determinista, non solo il testo dà una collocazione allo spettatore, ma organizza anche il suo desiderio e di conseguenza la sua ideologia. Negli anni successivi allo studio della Williamson, la questione importante diventa in che misura il lettore è libero di associare una cosa a un’ altra. Secondo Stuart Hall, il pubblico/lettore non assorbe semplicemente una pubblicità e ne accetta il significato proposto dall’ideologia dominante. Alcuni ricettori potrebbero leggerla in maniera opposta. Comprendendo alcuni aspetti del significato ideologico, ma aggiungendo anche altri elementi nella negoziazione. A secondo dell’ambiente culturale e della classe sociale a cui appartengono, alcuni possono accettare la maggior parte dei messaggi veicolati dai media, mentre altri possono respingerli quasi interamente. Hall ha proposto un modello di codifica-decodifica dei testi dei media. Il significato di un testo, che si frappone tra chi lo produce e chi lo legge, è strutturato dal produttore in un certo modo, e il lettore decifra il messaggio del testo in maniera leggermente diversa, a secondo del suo background personale, e delle differenti situazioni culturali e sociali, e delle capacità di interpretazione150. Negli anni ’90 entrano in gioco delle rappresentazioni nelle pubblicità che possono essere lette con ironia oppure con una certa distanza critica. In ogni caso, anche l’ ironia sulla pubblicità può essere considerata seducente, il che ci riporta alla tesi della Williamson secondo cui la pubblicità può appropriarsi di qualsiasi cosa, anche della sua stessa critica. Cosi Bignell (1997) riteneva che uno spot di Wonderbra si appropriava della critica femminista per intensificare ulteriormente l’ idea di un lettore dotato di grande potere. “The wonderbra ad takes on a feminist ideological critique that would see women as sign of desirability and objectification and is ironic about this 149 Semprini, Lo sguardo sociosemiotico, p. 144, in J. Williamson, Decoding Advertisements: ideology and meaning in advertising, Marion Boyars, London, 1978, p.60. 150 Semprini.p. 146. critique. The wearer of a Wonderbra is offered two kinds of pleasure: both the pleasure of being a desired object, and the pleasure of refusing to be perceived as a desired object while being one. The Wonderbra ad becomes a sign of the women’s power over the way she is perceived”151. Per questo la pubblicità postmoderna degli anni ’90 lusinga il suo pubblico facendogli credere di poter scegliere la propria immagine e di costruirla da sé, un elemento al quale avevo già fatto riferimento nel primo capitolo parlando del nuovo modello di identificazione delle donne che assumono una posizione soggettiva invece di un’ oggettiva, caratterizzata da libertà e scelta152. L’ ironia, è un tema spesso ricorrente in questa tesi (vedi anche capitolo 1 e capitolo 4), perche è una forma che permette ai pubblicitari di difendersi, nel rappresentare immagini sessisti di donne, contro il criticismo femminista, pretendendo che si trattasse di un voluto e consapevole scherzo postfemminista, come vedremo nel quarto capitolo. 151 Semprini, Lo sguardo socio semiotico, p. 146, in J. Bignell, Media Semiotics, Manchester University Press, Manchester, p.56. 152 Codeluppi, p. 121. Capitolo 3 La donna nei media Molti studiosi come Gaye Tuchman, hanno analizzato l’ immagine della donna nei media che spesso si riteneva rappresentata come stereotipo. Il resoconto dell’ UNESCO del 1979 riassume chiaramente il concetto: “To the extent that television programming provides information about and mirrors real life sex roles, its depiction of women is inaccurate and distorted […] Entertainment programmes in all types of format emphasize the dual image of women as decorative object and as the home and marriage-oriented passive person, secondary to and dependent on men for financial, emotional and physical support”153. Perciò, si afferma, secondo numerosi studi femministi, il concetto che Simone de Beauvoir aveva già formulato in una frase nel 1949: “le donne sono anche qui [nei media] il secondo sesso, gli altri”154. Tuttavia le opinioni di autorevoli studiosi sembrano divergere in merito a quest’ ultimo aspetto evidenziato. Quali furono, dunque, le immagini delle donne diffuse dai massmedia durante gli anni ‘60, ’70 e ’80 che suscitarono tanta attenzione da parte degli studiosi del settore?155 E dove si rintracciano le prove di una critica femminista nei confronti della stereotipizzazione della donna? Ed inoltre, quale sarebbe l’ immagine dell’ uomo, in contrapposizione alla donna in questo contesto? 153 Sue Thornham, Women, Feminism and Media, Edinburgh University Press, 2007,p.22, in UNESCO, 1979, p.7-26. 154 Julia Neissl, Der, die Journalismus : Geschlechterperspektiven in den Medien, Innsbruck: StudienVerlag, 2002, in Simone de Beauvoir, p.45. 155 Poiché avrebbero influenzato e determinato in modo negativo il ruolo sociale della donna, fino al punto di renderle perfino “secondarie”, come denunciarono molte femministe, all’uomo. 3.1. La rappresentazione della donna nei media in passato Nel 1978 la pubblicazione dal titolo“The Simbolic Annihilation of Women by the Mass-Media” di Gaye Tuchman156 ha fornito un importante punto di riferimento per l’analisi di immagini di donne nei media statunitensi, in cui l’ autrice parte dal presupposto che i contenuti trasmessi dai media non sono fedeli alle idee e agli ideali esistenti nella società. Di conseguenza, l’ immagine della donna costruita dai mezzi di comunicazione si proietta nella società e nella vita pubblica influendo così sul “suo status”157. Quanto appena affermato è rintracciabile nel libro della Tuchman, la quale prende come esempio le serie televisive un’immagine statunitensi realistica della degli anni situazione ’50. Esse familiare non davano esistente in quell’epoca, che era cambiata parecchio in seguito alla seconda guerra mondiale. Ora la donna sposata, non più solo casalinga, è integrata più fortemente nel mondo lavorativo. Nonostante la realtà fosse cambiata i media presentavano il concetto di famiglia “ideale” costituita da una madre casalinga, un padre lavoratore e due bambini158. La Tuchman trovava conferma della sua ipotesi, secondo la quale la “donna era legata alla casa e l’ uomo al mondo”159, in altri studi dell’epoca. Nei media, alle donne erano dati solo pochi ruoli nei quali la possibilità di carriera, indipendentemente dal marito e dei figli, le era negata. A differenza degli uomini, le donne in tv erano sposate o stavano per sposarsi e trovavano riscontro nei mass-media solo in ruoli “tradizionali”, gestendo lo spazio domestico e provvedendo alla famiglia. Per dirla con Elisabeth Klaus, “la presenza di donne single nella tv era 156 Per ulteriori chiarimenti vedi Gaye Tuchman, “The Symbolic Annihilation of Women in the Media”, in Gaye Tuchman, Arlene Kaplan Daniels & James Benét, eds, Hearth and Home: Images of Women in the Mass Media, New York: Oxford University Press, 1978. 157 Elisabeth Klaus, Kommunikationswissenschaftliche Geschlechterforschung; zur Bedeutung der Frauen in den Massenmedien und im Journalismus, Lit Verlag, 2005, Wien, in Gaye Tuchman, p. 215. 158 Klaus, p. 51. 159 Klaus, p.215. automaticamente legata ad un contesto negativo”160. Per esempio, una scena tipica in tal senso era rappresentata da una situazione di lavoro in cui emergeva la loro incompetenza, oppure il loro destino di vittime senza speranze. A differenza della programmazione proposta dalla tv la carta stampata mostrava capacità di adattamento ai cambiamenti della realtà femminile, e una minore intensità delle donne erano generalmente riprendendo limitati quanto e considerati affermato affari dalla “curiosi”. Tuchman, che Si deduce, il dominio dell’assoluta stereotipizzazione femminile era dovuto all’ incessante “contributo” televisivo caratterizzato dalla diffusione universale di contenuti audio- visivi161. Secondo numerose ricerche americane negli anni ’70, il medium “film” era uno degli ambiti principali in cui si poteva osservare una rappresentazione stereotipa della donna162. Duby e Perrot affermano che il cinema classico rappresentava la donna come “oggetto” dello sguardo maschile. In questo senso attrici come Marilyn Monroe sono diventate “icone di sessualità, immagini statiche il cui fascino risiede nelle fantasie che vi vengono proiettate”163. Esistevano, però, anche delle eccezioni, pensando a alcuni personaggi femminili coraggiosi, bravi e ambiziosi, come quelli dei “Women’s film”. Le pellicole in oggetto, avevano come protagonista una donna e trattavano di questioni ed emozioni considerate “femminili”. Tuttavia, questi generi di film non erano, di certo, la regola164. L’ uomo era, quindi, spesso il protagonista principale, mentre la donna aveva un ruolo passivo e svolgeva la funzione di “ornamento” della scena165. Secondo Gitta Mühlen Achs e Bernd Schorb, il soggetto del film classico, durante gli anni ’70, era l’uomo borghese- patriarcale, che si prestava da modello di identificazione allo spettatore maschile, mentre il corpo femminile era 160 Klaus, p.216. Klaus, p.217. 162 Mühlen Achs/ Schorb, p. 24 163 Duby e Perrot, Storia delle donne, Il Novecento, Gius, Laterza Figli Spa, Roma-Bari, 1992, p.399. 164 Gauntlett, 2002, p. 56. 165 Mühlen Achs/ Schorb, p.50. 161 spesso inteso come “oggetto” erotico per lo sguardo dell’ uomo166. Laura Mulvey, un’ illustre studiosa britannica, in un suo articolo aveva teorizzato tre fasi d’ “egemonia della visione maschile” come elemento costruttivo dei film classici del cinema: 1. lo sguardo della telecamera, condotta da un uomo e quindi dal punto di vista maschile; 2. lo sguardo dei protagonisti maschili che vedono gli altri uomini come soggetti e le donne invece come oggetti; 3. lo sguardo dello spettatore che conferma la visione della telecamera e della trama167. Ovunque sembrava che il medium fosse prodotto da uomini per uomini. Questo fatto non è sorprendente, dato che, negli anni ’80, poche donne erano presenti in ruoli decisivi, e avevano poca, se non nessuna influenza su decisioni circa la programmazione e il contenuto. L’ immagine della donna nei media, che ha sollecitato, molti studi sul tema, era in realtà, l’immagine della donna secondo la proiezione maschile168. Secondo David Gauntlett, le riviste femminili insegnavano alle donne come compiacere alle loro famiglie, piuttosto che dare suggerimenti utili su come realizzare se stessi. “The Feminine Mystique” di Betty Friedan (1963) fu il primo tentativo di andare contro questo dogma “dell’ eroina casalinga” nelle riviste: “The image of woman that emerges from this big, pretty magazine is young and frivolous, almost childlike; fluffy and feminine; passive; gaily content in a world of bedroom and kitchen, sex, babies, and home. The magazine surely does not leave out sex; the only goal a women is permitted is the pursuit of a man. It is crammed full of food, clothing, cosmetics, furniture, and the physical bodies of young women, but where is the world of thought and ideas, the life of the mind and spirit?”169 Dalla citazione di Friedan si rileva, che le riviste focalizzavano, generalmente, su un’ identità femminile che si svolgeva tra le mura domestiche, ciò non esclude però che la donna non era apprezzata e celebrata per il suo ruolo sociale. Dopo il libro precursore di Friedan, riviste da donne per donne 166 Klaus, p.102. Mühlen Achs/ Schorb, p.50. 168 Rose Marie Beck, Frauen in den Medien, Verein Beitr. zur Feministischen Theorie und Praxis, Köln, 2002, p.34. 169 Gauntlett, 2002, p.51-52. 167 cominciarono ad essere ispirate dal movimento femminista e focalizzarono, con successo su temi quali la politica, la realizzazione delle donne nel lavoro, affari globali e questioni femministe170. Inoltre, lodavano i valori del miglioramento estetico, dell’ eterosessualità e del nucleo familiare, e incoraggiavano le loro lettrici ad esprimere la propria individualità e a amministrare in modo più efficiente le loro case171. Gli stereotipi nella pubblicità sono stati simili a quelli nelle riviste e in altre forme mediatiche, anche se nel corso del tempo rispondevano più lentamente a cambiamenti sociali, motivo per cui l’ industria della pubblicità è stata spesso accusata di un spirito conservatore, spesso in aperto conflitto con le esigenze del femminismo degli anni ’70 e ’80172. Immagini di belle donne come “accessori” decorativi avevano da lungo potenziato la pubblicità di stampa. Le pubblicità connotavano il corpo della donna, sin dalle prime illustrazioni, alla sessualità per promuovere dei prodotti, dei servizi o delle idee, e creavano così per il pubblico un mondo fatto di erotismo indiretto, promiscuità e di un stile di vita diverso dalla quotidianità. Appellarsi all’ istinto sessuale sembrava quindi essere più efficace che un discorso puramente tecnico sulla qualità del prodotto e il concetto di associare belle donne sia ai prodotti da vendere sia alla deferenza femminile nei confronti degli uomini pervadeva le immagini pubblicitarie173. Quanto affermato risulta evidente in esempi di pubblicità in cui la donna era appoggiata sulla macchina da vendere, oppure figurava, in abito elegante, accanto all’uomo, a sua volta in abito completo. La funzione in questo caso era di presentare una situazione, e nello stesso tempo la conseguenza logica per l’ acquirente del prodotto: “se compro una macchina come questa, potrò, anche io, avere una donna del genere”, oppure “se compro questo completo di alta moda posso conquistare, anche io, un partner simile a questa donna”174. 170 Gauntlett, 2002, p. 50-51. Duby e Perrot, p.402. 172 Gill, p.74. 173 Tom Reichert, Jacqueline Lambiase, Sex in Advertising, Perspectives on the erotic appeal, Lawrence Erlbaum Associates,Mahwah, NewJersey, London, 2003, p. 43. 174 Reichert, Lambiase, p.54. 171 Gli stereotipi che Betty Friedan (1963) aveva rilevato dallo studio di riviste casalinghe, si incontravano lo stesso nelle pubblicità. Anche Gaye Tuchman nel suo libro famoso sull’ “annientamento simbolico delle donne nei mass media “ (1978) si basava in gran parte su analisi empiriche per giungere alla conclusione che la donna fino agli anni ’70 era raramente associata all’ ambito di un lavoro ben remunerato. Un posto tipico di lavoro era quello della segretaria sorridente, oppure quello della parrucchiera, come ci suggerisce Gauntlett175. Nonostante la lenta diminuzione di immagini di donne casalinghe dopo gli anni ’50, queste erano tuttavia molto diffuse negli anni ’60 e ’70. In analisi di contenuto della televisione degli anni ’70, si manifestava un’ estrema evidenza di stereotipizzazione: su un totale di pubblicità in cui raffiguravano donne, tre-quarti erano mirati a prodotti di cucina e bagno. Rispetto agli uomini, donne erano mostrate più che il doppio delle volte dentro della casa e se mostrate al posto di lavoro, erano di solito subordinate alla figura maschile176. Gli studi di fine anni ’70 e inizio anni ’80 hanno visto una continuazione nella tendenza, con uomini mostrati più spesso al lavoro e donne come casalinghe e madri. Nonostante ciò, era diventato più comune vedere anche uomini a casa, perfino nel ruolo del marito o del padre, e l’ occupazione della donna era cresciuta177. In uno studio compiuto da Scheibe (1979), che si occupava della questione su cosa si preoccupavano caratteri maschili e femminili nella televisione, si è dimostrato che la donna nelle pubblicità era più dedicata alla bellezza, pulizia, famiglia, mentre l’uomo al conseguimento dei propri obbiettivi e al divertimento. La differenza di autorità tra i sessi è stato dimostrato attraverso l’ esame di voice-overs178, in cui la voce maschile era presente nel 80-90% dei casi, mentre la voce femminile era diretta frequentemente a pubblicità con gatti, cani, neonati, bambini- piuttosto che alla popolazione in generale179. Altri studi ancora hanno trovato un sessismo particolare nelle pubblicità 175 Gauntlett, 2002, p. 55. Beck, p. 32. 177 Gauntlett, p.58. 178 Ital.: voce fuoricampo. 179 Gill, p.78. 176 destinate ai bambini180. Se è vero che le pubblicità televisive degli anni ’80 avevano iniziato di prendere in considerazione l’ immagine della donna professionalmente impegnata, secondo Rosalind Gill, è anche vero che allo stesso tempo ci si aspettava da lei di gestire anche lo spazio domestico a casa181. Insieme alla questione dell’ immagine femminile, è nata negli anni ’70 anche la discussione sul significato del linguaggio del corpo di uomini e donne nelle pubblicità. E’ stato il sociologo Erving Goffman a introdurre negli Stati Uniti, nel 1979, la sua analisi di Gender Advertisement, che testimonia, attraverso l’ analisi dei segni di comunicazione non-verbale, un rapporto di “gerarchizzazione” tra uomini e donne nelle immagini pubblicitarie. Goffman notò la frequenza della versione ritualizzata di un rapporto padre-figlio, in cui la donna assumeva largamente lo “status della bambina”182. Secondo l’ analisi di Goffman, quindi, la donna era tipicamente mostrata come più bassa e più piccola rispetto all’ uomo183. Considerando il codice vestiario, Goffman notò che l’ uomo era generalmente coperto, e abbottonato, mentre la donna, “per compire il suo obbligo di bellezza femminile”, era spesso presentata con un numero inferiore di indumenti. Per esempio, il decolleté scollato e femminile è, nella nostra cultura, un segno attribuito alla femminilità184. Inoltre, Goffman osservò delle nette differenze tra il modo in cui uomini e donne toccano i prodotti pubblicizzati. Mentre l’ approccio dell’uomo era funzionale e strumentale, prendendo semplicemente il prodotto, la mossa della donna era soave e carezzevole, sembrando spesso non corrispondere a una funzione specifica. Se il prodotto era per esempio uno shampoo, le 180 I media diretti ai bambini, come in questo caso disegni animati, lasciano trasparire una stereotipizzazione della femminilità, in termini di attributi di bellezza ormai noti, in modo molto evidente. Un elemento significativo della rappresentazione femminile è quella bambinesca: una testa relativamente grande in proporzione al viso e al corpo, occhi grandi e rotondi, una pelle immacolata e morbida, un naso molto piccolo, labbra morbide e polpose, e a volte l’ emissione di suoni acuti. La mascolinità, in contrapposizione, è dimostrata attraverso un’ evidenziazione grottesca di segni corporali che connotano forza fisica (muscoli estremamente elaborati). Il carattere femminile conferma la superiorità maschile tramite uno “sguardo ammirevole” verso il maschio. Cfr. Mühlen Achs/ Schorb, p.31. 181 Mühlen Achs/ Schorb, p.145. 182 Gill, p.79, in Erving Goffman, Gender Advertisements, Macmillan, London, 1979. 183 Gill, p. 78, in Goffman. 184 Mühlen Achs/ Schorb, p. 26. mosse dell’ uomo erano rapide e accurate, la donna invece era mostrata costantemente mentre faceva movimenti piccoli e carezzandosi la spalla. Generalmente nelle pubblicità la donna si toccava il viso ed era rappresentata movendo la mano tra un assortimento di prodotti185. Le ricerche di Goffman sul linguaggio del corpo nelle pubblicità sono state approfondite da molti altri studiosi, come dagli autorevoli Gillian Dyer (1982) e Rosalind Coward (1984) che hanno rivolto la loro attenzione al cosiddetto “cropping”, ovvero la strumentalizzazione di alcune parti del corpo, utilizzato in campagne pubblicitarie: il corpo della donna è frammentato in parti singole, cosicché l’ osservatore vede solo le labbra, o gli occhi, o il seno, o altre parti del corpo186. Questo succede molto spesso in contesti in cui il corpo della donna è presentato come componente di un problema, che necessita di un prodotto risolutivo187. Jean Kilbourne vede in questo modo di presentare solo alcuni parti del corpo perfino una tendenza verso la violenza contro le donne: “Adverts don’t directly cause violence […] But the violent images contribute to the state of terror […] Turning a human being into a Thing, an object, is almost always the first step towards justifying violence against that person […] This step is already taken with women. The violence, the abuse, is partly the chilling but logical result of the objectification”188. Molti pubblicitari utilizzano immagini di violenza o la connotazione di violenza per creare un “fremito di rischio e pericolo”, perche sono costretti a inventare sempre più strategie per competere con altre marche sul mercato delle pubblicità189. E’ interessante far notare che il “cropping”, in un primo momento metodo destinato solo alla rappresentazione del corpo femminile, ora coinvolge sempre più spesso anche il corpo maschile, mostrando solamente parti come petto e addominali scolpiti. 185 Gill, p.81. Gill, p.80, in Gillian Dyer, Advertising as Communication, Methuen, London, 1982; Rosalind Coward, Female Desire, Paladin, London,1984. 187 Per esempio cremi “anti- rughe”, o “anti-cellulite”. 188 Jean Kilbourne, Killing us softly 3, Advertising’s Image of Women, Media Education Foundation, 2002, medium: DVD. 189 Kilbourne, 2002. 186 3.2. La rappresentazione della donna nei media contemporanei- che cosa è cambiato? Essendo la pubblicità, secondo Leiss, Kline e Jhally, “la più consistente materia nei mass media”190 assume quindi un posto centrale nella nostra esistenza sociale, e costituisce forse il campo più adatto per osservare se, e in quale maniera, sono avvenuti dei cambiamenti nei contenuti dei media contemporanei. Tra numerosi fonti autorevoli, prezioso risulta anche il contributo di Mena Mitrano, la quale sostiene che sin dagli anni ’90 ci sono stati dei cambiamenti considerevoli che si manifestano in altre forme apparentemente più positive nella rappresentazione dei generi191. Uomini e donne sono spesso presentati mentre lavorano assieme, pari l’uno all’altro, nei diversi ambiti dei programmi televisivi. Produttori cinematografici hanno aperto la strada alla protagonista donna come eroina attiva della trama, eliminando i vecchi ruoli unilaterali del passato. Anche i pubblicitari si sono adeguati al mutare dei tempi, sostituendo l’ immagine della bella casalinga con un’ immagine femminile che affascina invece nel ambito lavorativo192. La causa di questo cambiamento è dovuta alla presa di coscienza per cui non era più vantaggioso rappresentare la donna solo nello spazio domestico, e alla crescente indipendenza economica delle donne. Lo stesso fatto si rileva anche da uno studio compiuto da Furnham e Skae, in Gran Bretagna nel 1997, secondo cui le donne sono presentate sempre più spesso al posto di lavoro, hanno più autorità e sono più indipendenti rispetto a alcuni decenni fa, anche se molti altri aspetti che riguardano la loro rappresentazione rimangono inalterati193. Secondo Gill i 190 Gill, p.73. Mitrano, p.145. 192 Gauntlett, 2002, p.57. 193 Gill, p.81, in A. Furnham e E. Skae, Changes in the Stereotyped portrayal of men and women in British Television. Sex Roles, 1997. 191 cambiamenti essenziali nella rappresentazione dei generi nella pubblicità contemporanea possono essere sintetizzati in dieci punti: “1) la riconciliazione con la rabbia delle donne, 2) l’ impiego di modelli più autentici, 3) il cambiamento da oggetto sessuale a soggetto sessuale, 4) la concentrazione sul essere sé stessi e piacere a sé stessi, 5) l’eloquenza del femminismo e della femminilità nelle diverse pubblicità, 6) l’erotizzazione di corpi maschili, 6) lo sviluppo di queer chic194, 8)l’inversione della funzione dei generi, 9) temi di vendetta e 10) l’intenzione di ri-erotizzare la differenza tra i generi195. Per la prima volta, in numerosi casi di pubblicità audio- visive, si vede l’ uomo impegnato in attività considerate femminili (vedi punto numero 8), come la preparazione del cibo, anche se, come ci suggerisce Gauntlett, l’azione si colloca sempre in un’ “occasione speciale”196, mentre la pubblicità tradizionale mostrava l’ attività della donna in cucina sempre come una routine. Si delinea perciò anche una situazione nella quale le donne caratterizzate da fascino, sicurezza, bellezza nonché dalla giovane età non rappresentano la realtà femminile nell’ ambito lavorativo197. Secondo alcuni studi europei il sessismo sta mutando dalla sua forma precedente a una forma più recente e, in sostanza, più sottile e mascherata rispetto a prima198. Esiste oggi quindi una forma più sottile di sessismo? Gill suggerisce che, in generale, l’ immagine di una donna che è ambiziosa e sicura di sé e che esprime la sua “libertà” tramite il consumo, sta via via sostituendo l’ immagine tradizionale della mogliemadre- casalinga. Se l’ immagine femminile come “oggetto sessuale” era una delle possibili rappresentazioni accanto a altri motivi nel passato, 194 “Queer” è spesso usato in riferimento all’ omosessualità, bisessualità e ai transgeneri. Secondo Stephen Epstein il termine“offers a comprehensive way of characterising all those wose sexuality places them in opposition to the current ‘normalising regime’. […]When you’re trying to describe the community, and you have to list gays, lesbians, bisexuals, drag queens, transsexuals it gets unwiedely. Queer says it all”. Gill, in Stephen Epstein, A queer Encounter: sociology and the study of sexuality. In S. Seidman, ed Queer/sociology. Blackwell, Oxford, p.150. 195 Gill, p.84. 196 Gauntlett, p.55. 197 Romy Fröhlich, Frauen und Medien, eine Synopse der deutschen Forschung, Westdeutscher Verlag GmbH, Opladen, Freiburg, 1995, p.212. 198 Gill, p.81, in Ullamaija Kivikuru, Women in the Media: report on existing research in the European Union, (available from author), 1997, Majda Hrzenjak, K.H.Vidmar, Z.Drglin, V.Vendramin, J.Legan, U.Skumarc, Making Her Up: women’s magazines in Slovenia, 2002. oggi, secondo Gill, la sessualizzazione di immagini è un leitmotiv in tutte le pubblicità che coinvolgono donne: “poco importa se sono al lavoro o nella casa, in cucina o nella macchina, se sono mogli, madri, dirigenti o adolescenti, le donne vengono presentate come essere sessuali affascinanti”199. La divisione che vi era una volta tra la figura femminile rassicurante, materna, protettiva ambientata nella casa, da un lato, e quella giovane, libera, carica di simbolismo seducente nell’ ambito professionale, dall’altro, ha aperto la strada ad una forma di rappresentazione contemporanea del femminile devono incorporare tutte quelle qualità. in cui tutte le donne Nasce il genere della “superwoman” che è, per dirla con Gill, “intelligente, determinata, generosamente bella, una madre perfetta che sa gestire allo stesso tempo anche un lavoro professionale impegnativo”200. Secondo Jean Kilbourne, l’ aspettativa alle donne, oltre quella di conciliare casa, lavoro e famiglia, sta nel seguire canoni di bellezza di perfezione fisica che si manifestano normalmente solo sulla passerella. Il fatto che i pubblicitari ci circondano incessantemente con immagini idealizzate ha un enorme impatto sull’ autostima femminile, come rileva da ricerche, e influenza il modo in cui donne e ragazze percepiscono il proprio corpo trasformato in un oggetto201. Questo fatto non sorprende per niente, considerato, per dirla con le parole di Lorella Zanardo, che “le immagini balzano dalla TV ed entrano nelle nostre case, alimentono le nostre fantasie, occupano gli occhi dei nostri figli, invadano il mondo”202. Fatto sta che nell’ epoca presente ci si offrono una pluralità di identità femminili, che testimoniano un cambiamento generale nei media, manifestandosi spesso in una rappresentazione più positiva e determinata della donna. Una sezione dei mass- media che si presta a osservazioni di questo tipo è la stampa, più precisamente, le riviste destinate a donne. 199 Gill, p.83. Gill, p.83. 201 Kilbourne, 2002. 202 Lorella Zanardo, http://www.ilcorpodelledonne.net/?page_id=89%20;%20Documentario. 200 3.3. Analisi Con l’ intento di comprendere meglio come operano i media nella situazione contemporanea, ho consultato tre riviste femminili statunitensi pubblicate nello stesso arco temporale: 1)Cosmopolitan203 2)Vogue204, 3)Good Housekeeping205. Attraverso lo studio mi è stato possibile accertare dei metodi di comunicazione assolutamente distinti per ciascuna delle tre riviste, ma ho potuto costatare allo stesso tempo un leitmotiv identico in tutti tre casi. Questo sembra suggerire che le donne, indipendentemente dalla loro età, abbiano, in molti casi, gli stessi interessi (al meno nelle menti dei pubblicitari). Una breve analisi dei contenuti mi ha permesso di paragonare le riviste e le tecniche pubblicitarie utilizzate per il target di riferimento specifico. Ho potuto rilevare il prototipo di donna creato dai pubblicitari che è stato, in generale, identico in tutte tre riviste, e quale tipo di donna invece è escluso. E’ stato allo stesso tempo interessante notare come ciascuna delle pubblicità prende in considerazione l’ interazione della donna con altre persone, ovvero il partner o la famiglia. In alcuni casi si è rinunciato perfino all’ immagine femminile, lasciando che il prodotto “parlasse per se stesso”. L’ uomo ha assunto in ciascuno dei tre casi un ruolo sempre diverso, talvolta era il fidanzato o l’ amante, altre volte il partner coniugale. Al contrario, solo in casi molto rari ho notato una sua oggettivazione sessuale. Cosmopolitan Una ragazza giovane, attraente, bionda e di pelle bianca ci sorride dalla copertina di Cosmopolitan, si tratta dell’ attrice Lauren Conrad. I suoi capelli sono lunghi, il decolleté del suo vestito corto è abbastanza scollato, tanto da poter individuare un seno prosperoso. Si direbbe un 203 Cosmopolitan, edizione Ottobre 2010, CMG 08233, Vol. 000, No.4. Vogue, edizione Ottobre 2010, CMG 08449, Vol. 200, No. 10. 205 Good Housekeeping, edizione Ottobre 2010, CMG, 08345, Vol. 251, No. 4. 204 tipo di ragazza che negli Stati Uniti viene spesso chiamato “American Darling”. Intorno a lei figurano i diversi titoli, ciascuno accentuato in maniera diversa, che fanno riferimento al contenuto della rivista. Questi sono un primo indice per poter individuare il pubblico della rivista e per trarre prime conclusioni sul profilo demografico delle lettrici. I temi variano tra riferimenti sessuali (“We Tell You Every Crazy, Dirty Thing You’re Dying to Know”), suggerimenti su come compiacere il proprio lui (“What Men secretly Want Right Before Blast Off”), su come trovare un uomo (“Win Anyone Over in 3 Minutes”) o il vero amore (“5 Signs He’s The One”), e parlano infine anche della moda e di bellezza (“25 Best New Beauty Buys”). Presumo che il target di Cosmopolitan sia la donna giovane, dalla fascia d’età che va dai 20 - 35 anni, la quale, a prima vista, si identifica (o vorrebbe identificarsi) con il prototipo veicolato dalla ragazza sulla copertina. La rivista è quindi diretta a donne che sono alla ricerca di svago, di cambiamento (fisico, sessuale, ecc.), di metodi per accontentare il partner, o donne single che sognano il “principe azzurro”. Presumo che la rivista voglia cogliere le visioni e i desideri delle lettrici di vedersi in un rapporto romantico, come per esempio la ragazza sulla copertina la quale, si dice, “finally lost the drama and found real love”. Anche il titolo “5 signs he’s the one” sembra di voler incoraggiare le lettrici nella ricerca del “vero amore”. Da una prima impressione sembra che la rivista tratti di temi molto audaci e che il piacere sessuale sia uno dei temi cui viene dato molto spazio. Temi intimi che nel passato non erano affrontati in questa maniera, soprattutto in altre riviste più tradizionali, suggeriscono alla donna di esprimersi liberamente e danno consigli su come comportarsi da single. Nonostante la promozione di una donna indipendente in Cosmopolitan ho notato che un elemento centrale nello svolgimento degli articoli e dei suggerimenti alla lettrice è molto spesso in riferimento allo sguardo assente dell’ uomo sulla donna, e il suo parere su di lei, sul modello “come possono donne giovani e indipendenti diventare ancora più attraenti e interessanti per catturare l’ uomo dei propri desideri?”, come sembra interrogarsi la rivista in continuazione. Ho trovato evidenza di tale punto di vista anche in alcuni slogan pubblicitari, come in quello che promuove la marca di tequila “Silver Patron”. Sull’ immagine (qui sotto) appare semplicemente la bottiglia con accanto un bicchiere riempito con la bevanda alcolica. Il testo “He wants to know what you’ re drinking. Perfect”206, è diretto al pubblico femminile. Iniziando con il pronome he, la pubblicità, presuppone subito l’approvazione dell’ uomo, anziché fare riferimento, in prima istanza, al gusto della donna. Il tono informale dato dal pronome personale you, e la contrazione verbale you’re è un aspetto tipico del linguaggio pubblicitario. E’ possibile rilevarne ancora di più dalla presente pubblicità, focalizzandosi su i suoi aspetti linguistici e come essi operano per creare la situazione senza dover ricorre a un’immagine. La pubblicità si basa, infatti, sulla battuta stereotipata e ben nota come tecnica di abbordaggio del modello “What are you drinking?”, di solito chiesto da un uomo a una donna. Possiamo, quindi, immaginare una situazione di approccio tra i due sessi. La descrizione del prodotto, quale “Hand- Selected 100% Weber Blue Agave. The World’s finest UltraPremium Tequila”, appena sotto l’ immagine, è riassunta in due frasi di sostantivi, o Noun Phrases. I modifiers “hand- selected” e “finest” enfatizzano gli attributi di qualità della tequila. Gli aspetti tipografici creano un collegamento immediato tra la qualità del prodotto e la situazione “perfetta” dell’ incontro, come vedremo in seguito. L’aggettivo “perfect” dal colore verde, segue la frase semplice “He wants to know what you’re drinking”, scritta in nero. E’ chiaro che la sua funzione primaria è quella di suggerire che la bevanda è una scelta “perfetta”. Ma in seconda istanza notiamo che l’ aggettivo nel suo aspetto e significato 206 Cosmopolitan, p. 245. è giustapposto allo slogan “simply perfect”, in basso all’ immagine, il quale riassume la qualità del prodotto in una adjective phrase. “Perfect” suona allora come la risposta della donna, carica delle caratteristiche del prodotto. Un altro esempio, simile al primo, è quello di “Altoids smalls”, che pubblicizza delle caramelle alla menta. Sull’immagine (qui sotto), in primo piano, figurano il dorso e il fondoschiena di una donna. In secondo piano, si vede appena un pezzo di un tavolo apparecchiato, presumibilmente per una cena romantica tra lei e il suo rendez-vous. La donna è rivolta verso il tavolo, nascondendo dietro la sua schiena un piccolo contenitore di caramelle “Altoids smalls”. Gli aspetti linguistici sono altrettanto ricchi di significato. Vediamo accanto del prodotto pubblicizzato il testo “When You Lean In Make Sure He Doesn’t Lean Out”207, espressione tipicamente colloquiale come generalmente si incontra nelle pubblicità e suggerisce di fare ricorso a “Altoids smalls” nel caso di alito cattivo, perché lui non si ritira al momento del bacio. Un significato dilettevole, quindi, che è evidenziato anche tramite la giustapposizione dei phrasal verbs “lean in” e “lean out”. L’ ultimo significa “sporgersi” piuttosto che “ritirasi” ed è stato adattato al concetto per creare l’ effetto desiderato del parallelismo, anch’esso atteggiamento innovativo e tipico della pubblicità208. Di più, è possibile interpretare il gioco di parole di “in” e“out” come parte integrante del modello “does and don’ts” spesso incontrabile nel linguaggio dei giovani americani. Per cui, usare “Altoids smalls” significa essere “in” al momento del bacio, rinunciarne invece comporta essere “out”. Le due frasi avverbiali dello slogan “Curiously 207 Cosmopolitan, p. 126. Sara Thorne, “The Language of Advertising”, Mastering Advanced English Language, Palgrave, New York, New York, 1997, p. 263. 208 Strong. Curiously Small” hanno una simile struttura parallela e presentano con le due parole “strong” e “small” le caratteristiche del prodotto. La ripetizione di “curiously”209 fa sì che lo slogan sia facile da ricordare. Sembra ancor una volta che il motivo pubblicitario sia l’intenzione di una donna di compiacere all’ uomo, sempre nominato con il pronome he. Da questo sorge l’impressione che la vita di tutti i giorni sia incentrata proprio solo su questo argomento, e ci si potrebbe domandare se le donne non abbiano nient’altro da chiedersi. Rubriche come “Things About Men”, “Gut Watch” e “Fashion and Beauty Now”, fanno trasparire la tendenza della rivista. Sembra che il mito del matrimonio per completare il ciclo vitale, sia oggigiorno ancora molto attuale. La Cosmopolitan provvede a dare consigli “utili” alle sue lettrici su come verificare se lui è la persona giusta per il matrimonio (“How Not To Marry The Wrong Guy”) e nel caso negativo, come comportarsi altrimenti (“Not Good Enough to be Your Groom? Toss Him back” 210). Altri, pochi spazi sono dedicati a temi di massima serietà, essendo diretti alle donne per generare consapevolezza su problemi come abusi sessuali (“How serial Rapist Target Their Victims”211). Investigando sul contenuto della rivista, ho trovato, tra l’ altro, una presenza esuberante di pubblicità su prodotti di bellezza. La giovane donna è “bombardata” da suggerimenti di diventare ancora più attraente, usando quei prodotti pubblicizzati, spesso appena lanciati sul mercato, per “salvarla” dai tanti “difetti” lesivi della propria bellezza. Dalla mia analisi di contenuto si rileva chiaramente quali sono le caratteristiche delle pubblicità che ho incontrato in Cosmopolitan: su 30 pubblicità, 20 promuovevano prodotti di bellezza (trucco, smalto, lozioni, ecc.), 7 erano correlati alla moda e 3 a profumi. Nelle pubblicità di bellezza, su 30 immagini femminili, solo tre donne erano di pelle nera. Inoltre, nessun’ altra etnicità era più rappresentata. La donna che promuoveva i prodotti era spesso seducente, a volte aveva un aspetto innocente, quasi fanciullesco, oppure era visibilmente provocante e 209 “Strange, unusual”, Cfr. Oxford English Dictionary for Students, Oxford Univesity Press, 2006. Cosmopolitan, p. 144-145. 211 Cosmopolitan, p.194. 210 esprimeva sessualità. Queste caratteristiche si dividevano a secondo i prodotti pubblicizzati. Se l’ oggetto pubblicizzato era un rossetto, dal colore intenso, allora il look femminile corrispondente è stato il più delle volte sofisticato e elegante, e diventava sempre più giovanile con il chiarire del colore del rossetto. Per i profumi prevaleva l’ immagine della donna seducente, adulta, che sembrava essere consapevole del suo fascino. Nei casi in cui uomini e donne erano presentati assieme, lui sembrava sempre assumere il ruolo del corteggiatore di lei. In tutti i casi, entrambi erano presentati in una posizione corporale abbastanza stretta. Vogue La presente edizione di Vogue si differenzia per il suo aspetto e la sua organizzazione dalla rivista presa in esame in precedenza. Sulla copertina figura l’ immagine di una donna, presumibilmente dell’ età di trent’anni, che indossa un vestito accollato, elegante nel tessuto e nel dettaglio. I suoi capelli sono corti, ma non la privano della sua femminilità. Lo sguardo, che punta diretto all’obiettivo, e il suo portamento altero trasmettono forte sicurezza. Dalla copertina vediamo, che la rivista propone argomenti quali la moda (“Charming Looks for Fall”), la salute (“The healing Power of Food”), come migliorare il proprio corpo (“Looking Great at Your Age”), o il proprio life- style (“Perfect Weekend Style at a Surprising Price”). Suppongo che la rivista sia rivolta alla donna di un’età compresa tra i 30 – 50 anni, proveniente da una classe sociale media o alta, potendosi permettere un certo standard di vita divulgato dalla rivista, e che sia interessata alle continue proposte dell’ alta moda. La copertina di Vogue connota un aspetto serio, se consideriamo l’immagine femminile e gli argomenti tematici sulla copertina della rivista. Inoltre, essa sembra rivolgersi a un tipo di donna adulta, dall’ identità affermata, che, probabilmente svolgendo un’attività lavorativa fruttuosa, oppure vivendo uno standard di vita elevato, si vuole concedere oggetti di moda e di lusso. Questo prototipo di donna si ripete durante tutta l’ edizione. Le immagini di donne corrispondono in tutto ai prodotti di lusso pubblicizzati, quali sopratutto profumi, l’alta moda e gioielli, e rispecchiano per buona parte il target di lettrici che si presume Vogue voglia raggiungere. Sono rari i casi in cui il corpo di una donna è scoperto più del dovuto, ma prevalgono le immagini di donne che sembrano svolgere la funzione primaria della pubblicità, quella di promuovere il prodotto, non la donna. Con lo scopo di porre più enfasi sull’impatto del prodotto, ci sono alcuni casi in cui la donna è completamente svestita, la sua nudità non essendo però drammatizzata, non è connotata sessualmente e svolge un ruolo secondario nella pubblicità. Prevalgono i casi, come nelle pubblicità di moda, in cui si rinuncia quasi completamente al testo, affidando l’effetto della pubblicità al legame che lo sguardo dell’ osservatore riesce a trarre tra l’ immagine e il prodotto. Questa strategia poco esplicita l’osservatore può e comprensibile non il anche confondere rendere motivo molto pubblicitario. Inoltre, ho notato che sulle immagini nella presente edizione di Vogue si svolge molto sul livello interpersonale. Non solo si tematizza spesso il rapporto tra uomini e donne, ma in alcuni casi si fa perfino cenno all’omosessualità tra donne. Un esempio fornisce la pubblicità di “Leon Max”212 (qui sopra), che non è accompagnata da un testo e lascia quindi spazio alla fantasia. Vediamo in una stanza da letto spaziosa e molto nobile, una donna indossando un abito nero, che lascia scoperta la sua spalla sinistra. La sua gamba destra è appoggiata su un letto grande. Il suo sguardo e il suo corpo sono rivolti a una persona sdraiata sul letto, 212 Vogue, p.104-105. di cui possiamo vedere solo le gambe nude. Dalla sua fisicità e le scarpe con i tacchi possiamo constatare che si tratti di una donna… L’ esempio di “Givenchy”213 (immagine qui sotto) rende ancora più comprensibile l’argomento. Sei persone, divise in coppie, figurano sull’immagine. Sia a destra che a sinistra la coppia è formata da un uomo e da una donna, mentre al centro è formata da due donne. Esse si distinguono in maniera visibile dagli altri, non solo per l’intesa del colore (rosso) dei loro vestiti, ma anche perche simulano una situazione in cui si sta per compiere un bacio tra di loro. Sembra quindi, che si manifestino nei media come, appunto, nella pubblicità, una più vasta fluidità di identità sessuali. Tuttavia, bisogna sempre ricordare che questi casi non sono di certo la norma e che il prototipo di genere divulgato nei media è eterosessuale. Good Housekeeping Ancora un’ altra realtà di donne ci offre la rivista “Good Houskeeping”, la più tradizionale tra i tre casi presi in esame. Essa come si può dedurre dal nome, tematizza in primo piano la casa, tratta però anche altri temi, come la salute, l’ età e il benessere. Dall’immagine femminile che figura sulla copertina si può dedurre facilmente a quale fascia d’ età sia rivolta la rivista, anche perche l’ età presunta dei figli illustrati oscilla, tra quella del bambino e quella dello studente di college. Vediamo l’immagine sorridente dell’ attrice Jamie Lee Curtis, munita da un parapolvere. Lei, capelli grigi, intorno ai 55 anni, inquadra quindi il possibile target di lettrici mirato dalla rivista. “Look Your Youngest”, “Lower My Health- Care Bills” e “Speedy (Healthy) Suppers” sono alcuni dei titoli che figurano sulla copertina della rivista e che danno dei preziosi indizi sul profilo demografico delle lettrici: 213 Vogue, p.129. donne probabilmente dai 45 - 50 anni in su, non essendo necessariamente solo casalinghe, ma di certo preoccupate del benessere della famiglia e della casa, che pensano anche al proprio corpo e a come proteggerlo dai segni dell’ invecchiamento. Una delle prime e evidenti caratteristiche pubblicitarie che ho potuto constatare sono la presenza quantitativa di prodotti anti- aging che lusingano la lettrice verso la prospettiva di poter tornare ad un aspetto più giovanile e desiderabile tramite il prodotto promosso. Il tipo di donna scelto dai pubblicitari per promuovere tali prodotti era, in tutti casi consultati, una giovane donna, intorno ai 30 anni, ma che non superava mai quella fascia d’età. Dato che presumo che il target di lettrici sia la donna cinquantenne, penso che le pubblicità non rispecchino in tutto il pubblico al quale sono dirette. Immagini di donne visibilmente più giovani rispetto il presunto profilo demografico della lettrice non sono un’ eccezione, ma la regola. La pubblicità trasmette un ideale femminile che in realtà inquadra solo poche, fortunate donne. “Flawless Perfection” e “Age Rewind”214 sono quindi il motto delle pubblicità. Da un lato possiamo vedere donne che portano fiduciosamente capelli grigi, dall’ altro, esse non hanno, semmai pochi, segni di rughe. Donne di un’età avanzata sono solo presentate sotto aspetti che concernano l’ anzianità, come vediamo dalla pubblicità accanto), che “Senior però, è Care”215 trattata (qui come “problema” (“How do I choose between carying for her and caring for my family?”; “Instead of stress, there’s Home instead”). La donna che figura sulla pubblicità avrà probabilmente raggiunto l’ età di 65 anni, ha mantenuto un buon aspetto e potrebbe perfettamente anche rientrare nel target della rivista. 214 215 Good Houskeeping, p. 32-32. Good Housekeeping, p.163. Al contrario, la pubblicità è diretta chiaramente a sua figlia. Inoltre, le immagini che si basano sul supporto di un’ immagine femminile non dominano le pubblicità, come avevo notato, invece, nelle riviste analizzate in precedenza. Più specificatamente, dalla mia analisi di contenuto ho potuto rilevare, che su un numero totale di 142 pagine dedicate alla pubblicità, solo su 51 pagine figuravano donne (nelle pubblicità promuovendo prodotti di bellezza e profumi), in 5 casi anche insieme alla famiglia. In 86 casi pubblicitari, quali promuovendo cibo, alimento per animali domestici, medicine, istituti bancari, prodotti per la menopausa, e in pochi casi materiale per la pulizia, l’ approccio si basava sul prodotto, rinunciando ad un’immagine femminile. E’ evidente che Good Housekeeping include una vasta gamma di pubblicità diverse. I pubblicitari sembrano essere molto consapevoli del fatto che la maggioranza di donne odierne incorpora molte qualità insieme, dovendo conciliare la famiglia, la casa e il lavoro. La rivista deve quindi rispondere a queste esigenze, il che spiega anche la presenza esuberante di qualsiasi tipo di cibo, materiali per la casa, suggerimenti alla scelta dell’istituto bancario, o di una macchina che assicura la sicurezza dei figli. Inoltre, c’è una tendenza per cui, almeno ciò che riguarda la cucina, la donna non è ritenuta la sola “responsabile”, come sembra suggerire una madre nella pubblicità di “Stouffer’s”: “With our busy schedules, the only way we can share dinner as a family is if everyone pitches in. The youngest kids set the table, my daughter makes the salad and on Wednesday nights, the guys are in charge […]216. Una pubblicità di questo tipo, ancora alcuni decenni fa, non sarebbe stata immaginabile. Le pubblicità di moda sembrano promuovere la funzionalità, piuttosto che la caratteristica, come si direbbe in inglese, “up-to-date” dei abbigliamenti, come è il caso dei jeans, creati per lusingare le sue portatrici (“Slender Stretch- Instantly Slims You”; “Lee- Get What Fits”217). 216 217 Good Housekeeping, p.242. Good Housekeeping, p. 91+101. Conclusioni Dalla consultazione di Cosmopolitan, Vogue e Good Housekeeping, ho potuto notare sia alcune coincidenze, tra le riviste, sia constatare le principali differenze. Innanzitutto, il numero delle pagine dedicate alle pubblicità superava in tutti tre casi quelli dedicati ai temi di rubrica218. Da ciò si rileva l’importanza che è data al medium “pubblicità”, tramite cui possiamo avere delle informazioni utili sul genere delle riviste e il loro presunto target. E’ quindi essenziale prendere in esame il metodo con cui operano i pubblicitari per divulgare l’interesse del potenziale cliente, in questo caso le lettrici, al prodotto. Inoltre, sembra esserci una forte tendenza all’esclusione di realtà femminili che non appartengono all’ etnicità dalla pelle bianca, come se le pubblicità fossero dirette solo ad uno specifico pubblico di donne. Di più, se si usa l’ immagine di una donna dalla pelle nera, essa promuove spesso prodotti collocati in un ambiente esotico. Altre etnie, come quelli asiatiche, non erano mai presenti. Il tema della bellezza godeva in tutte le tre riviste di massima considerazione e occupava uno spazio maggiore. E’ soprattutto il caso delle creme contro l’invecchiamento della pelle. A ciascuna fascia d’ età veniva attribuito uno specifico “problema” di imperfezione della pelle, contro cui la lettrice poteva ancora ribellarsi se consultava il prodotto adatto. Più il “problema” delle rughe era avanzato (con l’aumento dell’età si intende), più “radicale” era il linguaggio impiegato per promuovere il prodotto. Per esempio, le pubblicità in Cosmopolitan, rivolto a giovani lettrici, parlavano spesso solo di “idratazione”219 della pelle, mentre in Vogue si intensificava la questione, volendo “dare una seconda chance alla pelle, […] rigenerandola e allineamenti” 218 220. addolcendo i suoi Un altro prodotto prometteva di fare “ringiovanire [la 1)Cosmopolitan: 268 pagine in totale; 123 pagine dedicate alle rubriche, contro 145 pagine di pubblicità. 2)Vogue: 340 pagine in totale; 152 pagine dedicate alle rubriche, contro 188 pagine di pubblicità. 3)Good Housekeeping: 264 pagine in totale; 122 pagine dedicate alle rubriche, contro 142 pagine di pubblicità. 219 Cosmopolitan, pubblicità di “Neutrogena”, p.51. 220 Vogue, pubblicità di “Clinique”, p.17. consumatrice] di 4 anni”221. Ancora, Good Housekeeping si riferiva a donne di età più adulta lusingandole di “eliminare” imperfezioni della pelle con prodotti come “Ageless Foundation”, promettendo di farla ringiovanire addirittura di “10 anni”222. Le principali differenze tra le riviste stanno nel modo di approccio alla lettrice e nella rappresentazione non solo di donne, ma anche di uomini. A mio avviso, Vogue si stacca più visibilmente da immagini tradizionali della donna ed è più all’ avanguardia nella rappresentazione del rapporto tra i generi rispetto alle altre due riviste. Più specificamente, ho notato che la donna in carriera è un motivo pubblicitario frequente, sia, per esempio, perché le donne promuovevano abbigliamenti professionali, sia perché erano illustrate assistendo ad eventi di moda per motivo di lavoro, il che si colloca perfettamente nel genere della Vogue. Anche il tema dell’omosessualità tra donne è una nuova questione, a cui avevo già fatto riferimento nell’analisi di Vogue. Inoltre, ho notato che gli uomini sono spesso in secondo piano, concedendo il dominio dell’immagine alle donne. In Good Housekeeping, la rivista più tradizionale tra le tre riviste, l’ enfasi rimaneva sulla casa e sulla famiglia, anche se è sottinteso che la realtà femminile contemporanea comprende molto più che solo questi due aspetti. Ho constatato la seguente contraddizione inCosmopolitan. Da un lato la rivista promuoveva un’ identità femminile che è determinata nell’ essere single e sexy, dall’ altro era romantica e sognava l’uomo giusto. In ogni caso, erano in tante le identità femminili nelle pubblicità delle riviste che sembravano essere sicure di sé e avere successo nel lavoro, essendo allo stesso tempo dolci e incredibilmente femminili. Donne, che apparentemente, per dirlo in inglese, “have it all”. 221 222 Vogue, pubblicità di “SK-II”, p.85. Good Housekeeping, pubblicità di “Roc”, p.16. 3.3.1. Analisi di pubblicità Analisi Nr. 1: “TOYOTA”, in Good Housekeeping, edizione Ottobre 2010, CMG, 08345, Vol. 251, No. 4. La presente pubblicità mostra in primo piano una donna, in piedi, che ha sul braccio un piccolo bambino. La sua immagine occupa l’ intero spazio sinistro della pubblicità. Vediamo che l’ intero spazio destro è dedicato alle caratteristiche tipografiche, divise in slogan, titolo e corpo del testo. In basso all’ immagine figura in grandi lettere la parola “safe”. La prima lettera è in grandi parti coperta dal corpo della donna, il suo significato è sottinteso. La donna, presumo che sia la madre del bambino illustrato insieme a lei, ha probabilmente tra i 30- 35 anni. Lei, a giudicare dal suo abbigliamento convenzionale, il suo fisico che rispecchia la donna media, e il suo portamento naturale, senza assumere una posa voluta per la foto, trasmette un’ immagine assolutamente reale e potrebbe rappresentare una “mamma” qualunque presa dalla vita quotidiana. Questo fatto non sorprende, dato che la pubblicità si colloca in un genere di rivista che si rivolge direttamente a un pubblico di donna con responsabilità famigliari. Con il braccio destro tiene il peso del bambino, la sua mano sinistra cinge il corpo del bimbo in un gesto protettivo. “Everyone deserves to be safe” leggiamo accanto alla donna lo slogan della pubblicità. Dato che l’ intento della marca pubblicitaria è quello di promuovere la sicurezza dei suoi prodotti, l’ immagine di una madre con il suo figlio sembra essere per il pubblicitario il mezzo più adatto per mediare questo concetto. Non esiste una connessione inerente tra madre e figlio di un lato, e il “Star Safety System” di “Toyota” dall’ altro. Ma il legame è creato da quello che l’immagine significa per noi, cioè protezione e sicurezza, che la madre ha nei confronti del figlio. La pubblicità cerca quindi di trasmettere lo stesso significato al suo cliente. Suppongo che l’ osservatore si identifichi con la marca, vedendosi in una situazione simile a quella trasmessa sull’immagine. La pubblicità non avrebbe probabilmente lo stesso effetto se mancasse il bimbo, se al posto della donna ci fosse un uomo, o semplicemente solo una macchina promovendo la marca. Mi sembra chiaro che la pubblicità è mirata al profilo demografico della lettrice di Good Housekeeping. Vediamo nuovamente, con lo slogan “everyone deserves to be safe”, che l’ approccio pubblicitario non è fatto in riferimento diretto ai prodotti della marca Toyota, cioè in senso tecnico, ma ad una necessità umana, quella di “sicurezza”. Il present simple “sempre valido” e incontroversibile sottolinea questo aspetto e fa della frase “everyone deserves to be save” una sorta di “legge generale”. Si nota, a mio avviso, l’approccio specifico della pubblicità alla donna. Dato che è culturalmente pensato, che un uomo possa essere più facilmente convinto offrendogli una quantità di informazioni tecniche, la donna sembra dare più valore a emozioni e impressioni. E’ più probabile quindi che lei risponda alla “questione morale” dello slogan che “tutti meritano la sicurezza” offerta dal prodotto. Il colore rosso, per la sua immediatezza, sembra svolgere la funzione di creare un ponte tra la marca, lo slogan, il concetto chiave di “safety”, il quale si manifesta più volte nella tipografia, sia come aggettivo, sia come nome, e il contatto di Toyota (sito web). Interessante è la giustapposizione dell’aggettivo “safe” come ultima parola dello slogan, con quello che sta in fondo alla pubblicità. Dato la ripetizione dell’ aggettivo, l’ effetto è quello di un eco, ed enfatizza il concetto. La pubblicità riprende l’ argomento dello slogan nella prima frase del corpo del testo, e aggiunge subito il ruolo che gioca Toyota per contribuire a questa ipotesi: “Which is why Toyota has made the Star Safety System standard on every new vehicle[…]”, (linea 2.3). Seguono due brevi frasi senza verbo, iniziando entrambe con la parola “every” della frase precedente. Sia la giustapposizione delle due frasi senza verbo (linea 3), sia il parallelismo di “every” è un modo per assicurare che la novità sia compresa. Anche il ripetuto uso del marchio “Star Safety System” fa sì, che la lettrice si familiarizzi con il nome. Ho notato anche il tentativo della pubblicità di stabilire un rapporto personale con la potenziale cliente. Nella frase “Because nothing is more important to you than your safety” (linea 5-6) ci sono due evidenze per questa ipotesi: primo, il pubblicitario pretende di conoscere i valori personali della cliente, secondo, evoca con l’ uso del pronome “you” l’ impressione di rivolgersi direttamente a lei223. 223 Sarah Thorne, “The Language of Advertising”, Mastering Advanced English Language, Palgrave, New York, New York, 1997, p.257-282. Analisi Nr. 2: “Flowerbomb”, di Victor & Rolf, in Vogue, edizione Ottobre 2010, CMG 08449, Vol. 200, No. 10. Nel seguente caso, si tratta di una pubblicità che non prevede alcuna forma di testo, tranne il nome del marchio e del prodotto, per cui si direbbe che siamo di fronte ad un’ immagine più ambigua e meno straightforward rispetto a quella analizzata in precedenza. Il pubblicitario si è affidato chiaramente all’eloquenza dell’immagine, che lascia molto spazio all’interpretazione ricca per ed il suo metaforismo vedremo è come in seguito. L’osservatore è invitato a decifrare il sistema visibile dei segni che compongono l’im-magine. Vediamo un torso femminile, nudo, e in posizione laterale rispetto allo sguardo dell’osser- vatore. Un nastro largo, girato volte leggermente attorno al due corpo, avvolge il suo seno. Un velo rosa copre il volto della donna, rivolto verso l’osservatore, e lascia solamente immaginare i lineamenti esatti del suo viso. Il suo sguardo molto intenso mira a raggiungere l’osservatore. Il velo, distendendosi sopra il volto, assume la forma di un fiore del colore rosa. Nella sua mano sinistra, sollevata in altezza del viso, la donna tiene il flacone del profumo “Flowerbomb”, che in virtù del suo nome e forma sembra rappresentare una piccola bomba a mano, o hand grenade in inglese, che la donna tiene pronta a sua difesa. Nel merito degli aspetti prettamente tipografici, osserviamo in alto che il nome del prodotto “Flowerbomb”, è composto da due sostantivi, o common Nouns, “flower” e “bomb”. In basso leggiamo che si tratta del primo profumo (”The first perfume by”) di Victor & Rolf. Il nome del marchio e del prodotto hanno lo stesso font e la stessa grandezza e creano un collegamento diretto tra prodotto e marchio, rispecchiando l’un l’altro nella sua forma. Tale semplicità funziona al fine di non interferire con i segni che compongono l’immagine. Tornando alla composizione del nome “Flowerbomb”, dato che non vi è la separazione tra i due sostantivi per mezzo di una congiunzione, notiamo che il sostantivo “flower” anticipando il sostantivo “bomb” diventa un aggettivo, e acquisisce una funzione descrittiva del sostantivo “bomb”. Rileviamo quindi dalla coniazione del nuovo termine, o concrete noun, che si tratta di una bomba dalle caratteristiche di un fiore. Le parole composte in “Flowerbomb” provengono, però, da due campi semantici assolutamente diversi, e addirittura opposti. La prima connotata alla delicatezza, seduzione, bellezza, alla vita, l’ altra alla durezza, distruzione, difesa e perfino alla morte. Vi è allora un incontro drammatico tra le categorie dell’ “amore” e della “guerra”, identificabile anche nel aspetto dell’immagine. E’ chiaro che la parola composta, o compound word, coniata dal pubblicitario a scopo innovativo, non fa parte del inglese fuori da questo contesto ed è priva di lessico significato224. Considerandola separatamente dell’immagine non rappresenterebbe, dunque, un modo convenzionale per riferirsi ad alcun tipo di oggetto. Al contrario, essa diviene perfettamente dotata di significato se considerata insieme all’immagine in cui effettivamente compare. Tra il nome del profumo e l’aspetto dell’ immagine c’è uno strettissimo nesso metaforico, l’ uno che identifica esattamente l’ altro. George Lakoff e Mark Johnson scoprirono che la maggior parte del nostro normale 224 “Because each new campaign must attract attention, advertising language is often innovative. Advertisers coin new words to make a brand more memorable”. Cfr, Sara Thorne, p.263. sistema concettuale è di natura metaforica225: “la metafora è diffusa ovunque nel linguaggio quotidiano, e non solo nel linguaggio ma anche nel pensiero e nell’azione”, ed è di questo sistema concettuale di natura metaforica che il pubblicitario fa uso per strutturare la pubblicità in termini linguistici e visivi. Tant’è vero che nel caso di queste pubblicità le parole da analizzare sono solo una, dalla quale però è possibile creare altre metafore concettuali a livello linguistico che riferiscono al concetto di guerra e amore o seduzione, comuni nell’ uso quotidiano della lingua inglese. Sebbene non vi sia evidenza di un conflitto vero e proprio, vi è tuttavia uno scontro verbale, di attacco e difesa, che si manifesta nelle metafore che pubblicità226. si rilevano dal codice linguistico e visivo della Per fare alcuni esempi essendo il prodotto “the first perfume” del marchio, possiamo giungere alla metafora linguistica della novità “esplosiva” che “comes as a real bombshell”, ovvero la novità del mercato identificata come una bomba (esplosiva). Rileva notare che “bombshell” nell’uso idiomatico inglese può significare anche “una donna molto attraente”, per cui ritroviamo il motivo della metafora nella donna (seduzione) e nel flacone del profumo dalla forma di una bomba a mano (guerra). Lo stesso vale per la metafora “arma di seduzione”, ovvero in inglese “weapon of seduction”, con il quale colei che lo utilizza potrà immediatamente fare “colpo” su qualcuno; anche qui l’espressione adottata in inglese fa parte del campo semantico della guerra: ”to make a hit with someone”. In esso vi è quindi il motivo della difesa, caratterizzato dal profumo come hand granade, pronto all’ uso. La donna “catturata” dal nastro avvolto intorno al suo busto personifica il nome composto del profumo, perché è fiore e bomba insieme e “appartiene” chiaramente al marchio Viktor & Rolf. Il suo status di “prigioniera” del marchio e la sua nudità, che a sua volta significa seduzione, sono evidenza del codice che soggiace alla pubblicità. Essi sono esempi che sembrano funzionare secondo il modello “All’s Fair in 225 Lakoff, George, Mark Johnson, Metafora e vita quotidiana, (ed. orig.:Metaphors We Live By), edizione italiana a cura di Patrizia Violi, 3ª ed., Strumenti Bompiani, Milano, 2007, p.22-31. 226 Lakoff e Johnson, p. 22-23. Love and War”, che combinano motivi di guerra, di amore o seduzione allo scopo di promuovere il profumo. Per rendere comprensibile il motivo del fiore e attribuire delle caratteristiche “femminili” al profumo, la pubblicità agisce sotto i seguenti aspetti. Il legame tra il profumo e una parte del suo significato, il fiore, è creato, tramite il volto della donna coperto dal velo rosa, perché anche se si possono ancora indovinare i suoi lineamenti più importanti, esso è reso anonimo. La donna sembra istantaneamente trasformare la sua intera fisicità in un fiore, e quindi in uno dei due oggetti pubblicitari principali per trasmettere il significato del profumo. Il fiore è un oggetto carico di simbolismo e trasmette eleganza, dolcezza, bellezza e femminilità. Essendo queste caratteristiche corrispondenti al profilo demografico della lettrice di Vogue, il pubblicitario avrà tenuto conto del fatto che queste funzionano per generare interesse nel prodotto. Anche perché potremo considerare la lettrice “esperta” è abbastanza sensibile sul campo tanto da non necessitare di altre spiegazioni. Mi sembra evidente, che la pubblicità sia basata sull’impressione che la donna ha del prodotto. Arte, creatività, dolcezza, e femminilità sono requisiti cui risponderà l’acutezza femminile. Presumo che un tale approccio funzioni solo in una rivista come Vogue, con un target specifico di donna, che sia interessato a uno standard di vita in cui lusso e finezza giocano un ruolo maggiore. Il fatto che le caratteristiche del profumo siano rappresentate con l’immagine del “fiore”, impersonificato dalla donna anonima, sembra suggerire che usando “Flowerbomb”, ogni donna potrà acquisire a sua volta quelle stesse caratteristiche e fare scena “immediata”, con il profumo “esplosivo”. Il concetto creativo del flacone come bomba a mano forma un netto contrasto con la personificazione del fiore ed è pienamente conforme alle caratteristiche, per certi aspetti, provocatorie e all’avanguardia della rivista Vogue. Inoltre, sembra definire il tipo di donna indivituato da Vogue: la donna femminile e dolce che allo stesso tempo è determinata e pronta alla sua difesa senza compromessi, un’altra forma del nuovo modello di donna che “has it all”. Il pubblicitario fa uso di una serie di metafore che normalmente utilizziamo senza consapevolezza. Secondo Lakoff e Johnson i “processi di pensiero umani sono largamente metaforici, perché […] il pensiero umano è strutturato e definito in termini metaforici. Le metafore come espressioni linguistiche [come visto in precedenza] sono possibili proprio in quanto nel sistema concettuale di ciascuno vi sono metafore”227. Tipicamente, la pubblicità impiega l’uso di giustapposizioni per enfatizzare il prodotto e il suo significato, operando solo con i due colori, rosa e nero, ciascuno rappresentativo per i compound words di “Flowerbomb”. Inoltre, la ripetizione del nome del profumo e del marchio è una comune strategia pubblicitaria in modo che essi siano più facili da ricordare. Avevo già fatto riferimento all’ oggettivazione della donna, ovvero, alla sua funzione del fiore. Il nastro, avvolto attorno al busto femminile, sembra enfatizzare questa osservazione, volendo sottolineare la donna (che riferisce al profumo) come “prodotto” con il nome del marchio. La nudità del busto femminile non sembra però rientrare nello schema della presunta oggettivazione del corpo femminile e non tende ad acquisire un significato negativo per il dispetto della donna. Al contrario, suppongo che sia inteso per non distrarre l’attenzione dal prodotto e per rappresentare l’ immagine della donna intesa come “fiore” in modo più “naturale” e affascinante possibile. 227 Lakoff e Johnson, p. 24. Analisi Nr. 3: “Love” di Express, in “Cosmopolitan”, edizione Ottobre 2010, CMG 08233, Vol. 000, No.4. L’immagine mostra al centro una donna e intorno a lei tre uomini a stretto contatto con il corpo di lei. In alto nella pubblicità figura in grandi lettere il nome del marchio pubblicizzato. In basso a destra vediamo il flacone del profumo. Anche nel caso presente l’approccio è basato sull’impatto dell’ immagine, poiché non è presentato nessuno tipo di testo significativo che accompagna pubblicità. La senza la donna è dubbio al centro dell‘attenzione, sia per lo sguardo che dell’ per osservatore gli uomini rappresentati intorno a lei. La sua posa esprime forte auto- determinismo sicurezza, e perfettamente sintetizzati dal colore molto intenso del suo vestito rosa fucsia. Quest’ultimo non è solo l’ eye-catcher della pubblicità, ma sottolinea, per di più, la femminilità della donna, un fatto che va assieme al colore del suo vestito culturalmente attribuito al “femminile”. Bianca di carnagione, bionda di capelli, la donna, a giudicare dal suo aspetto, si differenzia visibilmente dagli uomini, essendo questi di pelle più scura e anche di petto nudo. Lo sguardo seducente della donna e diretto verso l’osservatore, mentre due degli uomini, con gli occhi chiusi, sembrano godere della sua presenza. Il terzo uomo, in una posizione inclinata davanti a lei, la guarda desiderosamente. I segni visivi, abbastanza enunciativi dell’ immagine, chiedono all’osservatore a decifrarli. La pubblicità parla nel “linguaggio” che le è attribuito dal sistema dei segni per veicolare le caratteristiche del prodotto. La donna, il significante, trasmette seduzione e femminilità, il significato è il profumo228. Possiamo dedurre, quindi, che la sua funzione è di incorporare le caratteristiche del profumo, e di trasmetterle alla clientela mirata, illudendole di poter condividere la stessa situazione, avendo come la donna nella pubblicità un effetto seducente sugli uomini. Sembra che venga data più importanza all’immagine e il suo significato, che al prodotto stesso, che figura appena in basso a destra. Il nome del prodotto “Love” non sembra corrispondere anche al concetto trasmesso dall’immagine. Più che altro, non è evocata una situazione reciproca di “amore”, (nonostante gli uomini sembrano desiderare la donna), bensì l’ immagine è dominata dal narcisismo della donna. A mio avviso, la pubblicità in Cosmopolitan rispecchia perfettamente il target che si identifica con la rivista: la giovane donna, single, seducente, che è sicura di sé, anche nei confronti dell’ uomo. Soprattutto perche gli uomini sono spesso il focus della rivista, a volte come partner, più spesso, però, come riferimento sessuale, il pubblicitario avrà probabilmente ritenuto opportuno illustrare questa intesa tra i sessi. Tipico atteggiamento della rivista è anche la maniera in cui le persone sono presentate. Mentre il ruolo dell’ uomo in Cosmopolitan è spesso variabile, essendo lui l’ oggetto della discussione, la donna è sempre soggetto del piacere e le viene suggerito di comportarsi in modo da ottenere un vantaggio in rapporto con l’ uomo. Non solo l’immagine è il motivo principale disegnato dalla rivista in oggetto, ma è un tipo di illustrazione che possiamo incontrare sempre più spesso nelle pubblicità della nostra contemporaneità (almeno in 228 Williamson, Judith, Decoding Advertisements. Looking on: Images of Femininity in the Visual Arts and Media. Pandora, 1987, p.49-51. riviste destinate a donne). La tendenza è la donna come soggetto sessuale, corteggiata dall’ uomo. L’ immagine presente sottolinea questo aspetto in quanto i ruoli “tradizionali”, che erano attribuiti ai sessi dalla pubblicità (donna- oggetto, uomo- soggetto), sono invertiti. La donna vestita e dallo sguardo determinato ci suggerisce la sua posizione di monopolio della situazione, mentre gli uomini, a petto nudo, sono trasformati in oggetti sessuali sia per la donna, che per l’ osservatore(trice). Inoltre, vediamo l’ illustrazione di corpi e volti “perfetti”. La donna rappresenta ciò che si può chiamare nella nostra cultura un “ideale”, e anche l’ aspetto degli uomini veicola questo concetto che spesso, però, non corrisponde affatto alla realtà. La caratteristica tipica delle pubblicità di evocare valori sbagliati nell’ individuo, spinge soprattutto le donne ad identificarsi con dei modelli irraggiungibili, proprio perché sono perfezionati tramite mezzi moderni di ritocco. Bisogna quindi osservare questo tipo di immagine da una distanza oggettiva e essere consapevoli della manipolazione che sempre è presente. Capitolo 4 Media vs. Femminismo: un rapporto difficile L’idea dell’ “essere donna” è cambiata drasticamente nel corso degli ultimi decenni, così come le rappresentazioni femminili. Una delle cose che rende i media dei nostri giorni molto differenti dalla tv, dalle riviste, dalla radio e dalla stampa degli anni ’60, ’70, e in buona parte anche degli anni ’80, è l’elaborazione di temi e obbiettivi femministi nei contenuti mediatici. Mentre in precedenza molte volte non venivano affatto considerati, ora concetti femministi anche generici sono accettati come idee non controverse. Con Gill, potremmo dire che tale cambiamento si riferisce spesso al movimento del “postfemminismo”229. In riferimento alla rappresentazione femminile nella pubblicità, molti cambiamenti possono essere considerati una conseguenza della concezione femminista. L’ enfasi sul conseguimento individuale, il tono ottimista e assertivo e, per dirlo con Gill, la “quasi terapeutica ingiunzione di essere sé stessi e piacere a sé stessi sono la conseguenza dello straordinario potere culturale girato dal femminismo”230. In tutti e tre i casi esaminati in questa tesi l’attenzione è posta sul compiacimento della donna e sul suo benessere, non sulla sua funzione di compiacere a terzi (il marito, i figli ecc.). Il tono del discorso è prevalentemente ottimista e promuove una filosofia “can do” che mira ad incoraggiare le lettrici suggerendo la mancanza di vincoli nel raggiungere 229 l’obiettivo primario di riuscire a ottenere piena “For a number of writers, postfeminism represents an epistemological break within second-wave feminism and marks ‘the intersection of feminism with a number of other anti- foundationalist movements including post- modernism, post- structuralism and post- colonialism’ (Cfr. A. Brooks, Postfeminism: feminism, cultural theory and cultural forms, Routledge, London, 1997). [Postfeminism] is alleged to have arisen partly as a result of critiques from black and Third World feminists which destabilized dominant feminist theorizing and interrogated the right of (predominantly white Western (Northern) women to speak on behalf of all others”. Cfr. Gill, p.250. 230 Gill, p.94. realizzazione in ambito lavorativo avendo cura allo stesso tempo della propria famiglia. Come suggerisce Robert Goldman, le nuove forme di rappresentazione che lasciano intravedere un punto di vista femminista sono molteplici. Sicuramente un modo di proporre il femminismo è quello del look o stile nelle pubblicità. Più precisamente si potrebbe dire che vengono creati dei segni che connotano indipendenza, libertà e autonomia corporale per associarli alla conquista di prodotti. In particolare rileviamo oggetti che immediatamente mostrano la veridicità di quanto appena affermato, come portadocumenti, tailleur, macchine o la propria casa che sono associati a simboli di femminilità tradizionale (come capelli lunghi, makeup, fascino)231. Principalmente nella rivista Vogue molta enfasi è stata posta sulla posizione di donne fortemente associate ad un contesto lavorativo. L’ esempio più eclatante è la pubblicità di “Jones New York”, una casa di moda americana che disegna esclusivamente vestiti per la “donna professionale”. Il caso in questione illustra perfettamente la tendenza che vi è di proporre il femminismo come look nelle pubblicità. Nell’ immagine qui sotto, vediamo in primo piano, un gruppo di donne rivolte verso l’osservatore in una posizione molto rigida. Esse indossano un completo nero, molto formale ed hanno in mano una borsa nera, presumibilmente un porta-documenti. La loro espressione è seria e lo sguardo è determinato. Questi sono i segni che testimoniano la forte impronta femminista. Inoltre, rileva far notare che tutte le donne, eccetto una, scelgono un look con capelli lunghi e sciolti, connotato, questo, tradizionalmente associato al concetto di femminilità. Le collane d’oro molto vistose, 231 Gill, p.96. segno ancor una volta associato alla femminilità, sono il fattore di rottura della rigidità dell’ immagine e suggeriscono che successo e determinismo non escludono il fascino e la femminilità della donna. Lo slogan “Empowering your confidence” e il testo pubblicitario “women as half of all workers changes everything” suggeriscono chiaramente che vi è un cambiamento nel genere di pubblicità contemporanea, perlomeno in quella mirata a un pubblico femminile. Possiamo osservare che il soggetto “women”, declinato nella terza persona plurale, non concorda con la declinazione della terza persona singolare del verbo “changes”. Con ciò capiamo allora che l’ intera parte di frase “women as half of all workers” è trasformata in un soggetto unico della frase a cui si riferisce la declinazione della terza persona singolare. Il soggetto della frase, appena definito, è dunque inteso come il concetto (le donne come parte integrante del mondo del lavoro) che cambia tutto. Altre pubblicità sembrano egualmente suggerire che non vi è più divergenza nello stile di una donna di successo che può essere autorevole e seducente allo stesso tempo. Questo aspetto, come detto in precedenza, si manifesta nella rappresentazione di una “superwoman” che incorpora tutte quelle caratteristiche che rendono possibile a una donna svolgere una serie di diverse funzioni. Si rileva, quindi, sempre più spesso nelle pubblicità la volontà di combinati raggiungere degli magistralmente a obbiettivi considerati codici lettura di “femministi” “femminili”. Più precisamente è spesso impiegato l’ uso di un discorso (che suona) “femminista”, proponendo “a woman’s right to choose”232, come rilevato anche dallo slogan e dal testo pubblicitario a cui si è fatto riferimento nella pubblicità di “Jones New York”. Considerando la veridicità delle presentazioni femminili, i cambiamenti sono pochi o assenti dato che immagini di donne idealizzate prevalgono ancora nelle pubblicità come anche in altre forme mediatiche. Nonostante ciò, vi è la tendenza nei media a difendere la continua diffusione di corpi e volti perfetti. L’ importante contributo proposto da Gill mostra in effetti alcuni esempi di pubblicità che hanno 232 Gill, p.95. adottato questa strategia. Esemplare è il caso della pubblicità di“L’Oréal”, con lo slogan “Don’t hate me because I am beautiful”. Altre aziende, impegnate soprattutto nel campo della cosmesi, contrariamente alla prassi, hanno reagito sminuendo l’ importanza della bellezza. Possiamo citare in tal senso il caso emblematico della pubblicità di Elizabeth Arden, “My best feature is my big, beautiful, sexy brain”. Il testo pubblicitario figura accanto a una donna dall’ aspetto apparentemente impeccabile. Questa strategia di pubblicità sembra, secondo Gill, suggerire, che è sufficiente inserire un testo pubblicitario che sembra attribuire un posto secondario alla bellezza, per poter continuare la proiezione di modelli perfetti. Molte pubblicità del tipo, per citare le parole di Williamson, “unless you have a body like a beauty queen you’re not perfect”233, vengono sostituite con testi più coerenti con le realtà femminili che suggeriscono l’idea che le donne non dovrebbero essere giudicate solo dalla loro apparenza. Quanto affermato risulta ancor più evidente in una pubblicità nella quale ci sono sei donne (di cui una ha un neonato in braccio) che indossano solo un perizoma bianco e il cui slogan è “it’s not the shape you are, you’re in it’s the that shape matters”. L’intenzione della pubblicità è, quindi, quella di porre l’accento non tanto sull’aspetto fisico delle sei donne quanto su quello che indossano, quindi prescindendo dall’ideale classico della bellezza a tutti i costi. Ciò che Gill osserva è che in realtà le donne (che si differenziano leggermente per l’ altezza) sono tutte molto snelle, dalla pelle bianca, giovani, belle, e corrispondono totalmente all’ immagine di donna contro cui il testo si scaglia. Ho potuto constatare nella pubblicità di “Levi’s” (qui sopra), durante l’ analisi della rivista Vogue nel capitolo precedente 233 Gill, p.85, in Williamson, 1978. (3.3.), un fatto che si accosta all’ osservazione compiuta di Gill. La pubblicità osservata promuove una linea di jeans più “democratica”, diretta a donne di fisicità diverse, come del resto è specificato nel testo pubblicitario234 che accompagna l’ immagine. In realtà, le tre donne che dovrebbero rappresentare diverse fisicità sembrano differenziarsi solo per poco l’ una dall’ altra, e non rispecchiano il principio per cui le donne sono “all shapes and sizes”. Questi tipi di immagine vogliono rispondere alla critica femminista e trasmettere il significato “you are beautiful just the way you are”. In realtà, come si rileva da Gill, molti semiotici hanno affermato che il significato non risiede nel testo ma nell’ interazione tra il testo e il lettore: “we have to fill in, to do ‘advertising work’ to make this advert meaningful, and as we do so we may construct the desired meaning: that we feel this good about our body only if we buy [the product]”. L’ appello femminista è stato, quindi, considerato e utilizzato nelle pubblicità ma, come appena dimostrato da Gill, a condizione che si acquista l’ oggetto di consumo per raggiungere la stessa sensazione descritta dalla pubblicità e per piacersi nel proprio corpo235. In questo modo il traguardo femminista è svuotato dal suo significato politico e “rivenduto come scelta di consumo”. Questo è ciò che Goldman chiama “commodity feminism”236. 234 “All asses were not created equal. Bring us your skinny tomboys, your curvy girls, and all girls in between. We believe that hotness comes in all shapes and sizes. That we should be able to go into stores and find jeans that fit us instead of having to fit into jeans. And that every Tina, Tonya, Teresa, and Talia deserves jeans that make her curves look like a national treasure. It’s the new democracy of jeans! Finally jeans for us. Go forth.” In “Vogue”, edizione Ottobre 2010, CMG 08449, Vol. 200, No. 10, p.175. 235 Gill, p.86. 236 Robert Goldman, Reading Ads Socially, Routledge, London/ New York, 1992, p.109. 4.1. Backlash oppure Retro- Sexism? Le opinioni e i discorsi intorno al femminismo e allo status della donna nella società non si limitano a un discorso solo, ma a una moltitudine di esempi. In primis è molto frequente ascoltare affermazioni per cui il femminismo venga dichiarato morto, sia perché le donne hanno raggiunto ormai la parità e perciò non è più necessario237, sia perche il femminismo ha creato più problemi di quelli che effettivamente ha risolto238. Nonostante molti ragionamenti di stampo femminista siano ormai parte integrante del contesto culturale delle società odierne, la fama del movimento per le donne non è mai stata così profondamente ripudiata come oggi. Alcuni critici e in particolare Susan Faludi, vedono nella situazione poc’anzi evidenziata, l’ evidenza di un potente backlash nei confronti del femminismo. Secondo Germaine Greer, il femminismo nella cultura popolare contemporanea è certamente meno presente rispetto a trent’ anni fa239. Imelda Whelehan suggerisce inoltre che abbiamo raggiunto un’ era di retrosexism nella quale la rappresentazione della donna acquisisce spesso una connotazione ironica. Esempio esplicativo è la creazione della prima super-modella virtuale Webbie Tookay, da parte dello stilista Stephen Stahlberg, che nel 1999 in un articolo del quotidiano The Guardian 237 Angela McRobbie sostiene che “la ristrutturazione di un capitalismo globale e più flessibile ha ora bisogno della forza lavoro di donne giovani. Di conseguenza […] vi è un’ attiva ridefinizione del rapporto sociale tra uomini e donne e una sorta di abbandono di mascolinità patriarcali e egemoniali […]. E’ vero che le donne giovani hanno acquisito, da un lato, una posizione chiave sul mercato del nuovo contesto globale, dall’ altra parte però la loro apparizione comporta il retrocedere del femminismo e del movimento femminile: il luogo di dibattito più importante del femminismo per una parità tra i sessi si è spostato, a partir dalla Quarta Conferenza Mondiale sulle Donne (1995), verso il movimento critico della globalizzazione.” Cfr. Angela McRobbie, Top Girls, Feminismus und der Aufstieg des neoliberalen Geschlechterregimes, VS Verlag für Sozialwissenschaften, Springer Fachmedien, Wiesbaden, 2010, p. 88. 238 Susan Faludi cita varie fonti che criticano il risultato del movimento femminile americano: “Dietro il giubilo della vittoria delle donne americane, dietro la gioiosa, sempre ripetuta notizia che la battaglia per i diritti delle donne è vinta, spunta un’altra notizia. Può darsi che ora siete libere e pari, dice la notizia, ma siete più infelici che mai[…]”. Cosi donne che lavorono si sentirebbero “esaurite”, soffrono di “infertilità epidemica”. Donne single sono inquietate a causa della “carenza di uomini”, si dice. New York Times riporta, che le donne senza figli sono “depresse e confuse” e che il loro numero è in aumento. […] Libri di psicologia avvisano che la solitudine di donne emancipate significa oggi un “problema psicologico serio”. La stessa Betty Friedan scrive che le donne soffrono ora di una crisi di identità […]. Cfr. Susan Faludi, Backlash, Die Männer schlagen zurück, Reinbek bei Hamburg, 1995, p.9-10. 239 Gill, p.1. argomenta su questa particolare “novità”: “Like most men I wanted a woman who would be physical perfection without mental and verbal grief […] I must confess I tweaked the result to shave the chin or make the bosoms a tad larger. And she never talks back!”240. Questa affermazione dà conto del modo in cui il sessismo contemporaneo stia assumendo forme di espressione ironiche con le quali contrapporsi alla tradizionale critica femminista241, o per dirla con Gill, “irony means never having to say you are sorry”242. Nelle pubblicità contemporanee, secondo l’autorevole Gill, vi è la tendenza a ricorrere all’ ironia per poter presentare immagini sessiste di donne e giustificarle come uno scherzo postmoderno così definito: “That is not an objectified image of a halfnaked woman; it is an ironic comment on 1970’s advertising, or, more specifically a hilarious send-up of a dumb blonde stereotype!”243. Molto frequentemente l’ ironia è collegata alla nozione di retro-sessimo, termine che riferisce di un “periodo di stile”, normalmente gli anni ’50, ’60, o ’70 e che permette al sessismo di operare liberamente con il pretesto di voler colmare una nostalgia del passato. Per rendere più chiaro il concetto, citiamo le parole di Judith Williamson: “Retro- sexism is sexism with an alibi: it appears at once past and present, “innocent” and knowing, a conscious reference to another era, rather than an unconsciously driven part of our own”. Una nozione, quindi, che “allows troubling sexually objectifying images to be seen as cutting- edge and radical, rather than exploitative244. Al contrario di riviste destinate a un pubblico maschile in cui l’ ironia gioca un ruolo importante per intrattenere i lettori245, nelle riviste dedicate alle donne il “metodo ironico” non è utilizzato in quanto il concetto dell’ “essere donna” e la 240 Gill, p. 82, in Stephen Stahlberg, The Guardian, 27 Luglio 1999. Thornham, p.16 242 Gill, p.110. 243 Gill, p.110. 244 Gill, p.111, in J. Williamson, 2003. 245 Testi nella “FHM” possono essere del tipo: “Help! My woman is broken! Her sexual malfunctions and how to fix them”. Oppure donne sono comparate a machine: “Like the secondhand banger in your driveway, a few years down the road and the missus may begin to rust. FHM suggest some fine tuning”. Cfr. Gill, p.214. 241 femminilità sono temi troppi preziosi per sottostare a regole di puro mercato 246. Essendoci numerose contraddizioni in merito alla rappresentazione delle donne e del loro rapporto con gli uomini nella società contemporanea, risulta difficile analizzare l’azione di comunicazione compiuta dai media. Ad altere dichiarazioni di girl power sono contrapposti rapporti sull’anoressia e corpi sproporzionati; cronache su abusi sessuali poste accanto a pubblicità di nightclub e numeri telefonici di linee dirette erotiche; riviste che dichiarano la fine della “guerra tra i sessi” quando in realtà l’attenzione è posta su concorsi di bellezza creando sempre nuove e ironiche forme di sessismo. Il tema della sessualità è sempre stato, e lo è ancora, un punto critico nei numerosi dibattiti, nei quali però il rapporto tra il femminismo e i media è probabilmente la questione la più contestata in assoluto247. La “Quarta Conferenza Mondiale dell’ ONU sulle Donne” (1995), per quanto si è visto nel primo capitolo, è stata importante per stabilire nella sezione dedicata alle “donne e i media” dei criteri di valutazione dei contenuti mediatici, per poter misurare infrazioni contro la legittima rappresentazione di donne nei media. A distanza di questo evento sembra, però, che sia cambiato poco nel tipo di immagini trasmesse dai media248. Dal resoconto di “Woman Watch”249 del 1999 rileva che “across most regions and countries, most Working Group participants agreed that very little has changed in the portrayal of women in the media since 1995, whether in advertising or news media. Negative, stereotyped, inaccurate and violent images of women are pervasive. Some groups of women are simply invisible, including those from minority populations, women and girls of colour in some countries or women who are disabled. Women’s issues are circumscribed to features on home or beauty. Moreover, the increased commercialisation of every medium has 246 Gill, p.217. Gill, p. 217. 248 Gill, p.23. 249 WomenWatch is the central gateway to information and resources on the promotion of gender equality and the empowerment of women throughout the United Nations system, including the United Nations Secretariat, regional commissions, funds, programmes, specialized agencies and academic and research institutions. Cfr. http://www.un.org/womenwatch/about/. 247 intensified the visibility of negative images, from billboards to television to newspaper. New media such as the Internet are perpetuating and accentuating much that is negative despite growing numbers of women in business, of women parliamentarians and journalists”250. Nel 2010, a quindici anni dalla IV Conferenza sulle Donne a Beijing, la situazione rimane inalterata e ancora pochi cambiamenti verso una rappresentazione più positiva delle donne nei media sono stati constatati, come si rileva dal “Beijing+15 review process”, condotto dal dipartimento per le informazioni pubbliche delle Nazioni Unite (Febbraio 2010). Le opinioni di autorevoli partecipanti alla discussione sembrano divergere in merito a quest’ ultimo aspetto evidenziato. Per esempio, Maureen Isaacson, vice redattrice del Sunday Independent (Johannesburg, Sudafrica) costattò che “repeatedly we are told that sex, or the depiction of women as sex objects, is ‘what the readers want’. Stereotypes of the dancing, open‐mouthed female are given half a page of broadsheet, at least. We should accept this or suffer the consequences, which would be a world without news. There is no conclusive evidence that newspapers that do not display such demeaning stereotypes sink, but the status quo takes us back to pre‐feminist era and keeps us there”251. Isaacson costata chiaramente che vi è un atteggiamento di backlash contro il femminismo, scelto dai media come strategia di mercato. Al contrario, Anne Autio, editrice responsabile per il European Journalism Centre, suggerisce riguardando i media europei, che oggi prevale una forma particolare di parità: “All groups of people ‐ women and men, girls and boys, ethnic and religious minorities, the youth and the elderly, etc.‐are depicted in stereotypical ways”. Autio afferma, quindi, che oggigiorno non solo donne sono affette da una rappresentazione stereotipa che può essere interpretata come avvilente contro di loro e avere delle conseguenze negative sul loro ruolo sociale, ma che tutti gli esseri umani sono esposti ormai a una stereotipizzazione nei media. Effettivamente, immagini che connotano la 250 251 http://www.un.org/womenwatch/daw/csw/ecn6-2000-pc-crp1.pdf. http://www.un.org/womenwatch/beijing15/Women_and_the_media_preliminary_brief.pdf. sessualità di uomini sono aumentate rapidamente negli ultimi anni, e si collocano comunemente accanto a immagini di donne dello stesso genere252. Perciò Autio interpreta nella tendenza contemporanea una parità tra i sessi, piuttosto che un backlash contro il femminismo, il che sembra rendere il concetto del ruolo femminile nei media, da decenni contestato, meno preoccupante. La commissione dell’ ONU Women Watch costata che laddove vi è una partecipazione più immediata di donne nelle decisioni circa il contenuto dei media, possono aver luogo dei cambiamenti importanti. Effettivamente ci sono stati alcuni cambiamenti nella rappresentazione femminile nei media dovuti al fatto che più donne hanno acquisito un diploma universitario, investendole di maggiore responsabilità e autorità in strati di media che prima degli anni ’90 erano considerati di dominio maschile. Se pur è vero che oggigiorno ci sono dei casi esemplari di donne che hanno raggiunto delle posizioni decisive in giornali di grande stampo, nell’ ambito televisivo, nella radio e nei servizi di informazione, la percentuale di donne in posizioni decisive rimane ancora relativamente bassa. La maggioranza delle donne, come dichiararono tutti i partecipanti nel quadro del “Beijing+15 review process”, lavora nei livelli bassi o intermedi dei media. Anche Diane Sutter, presidente della ShootingStar TV americana, rapporta la stessa situazione per gli Stati Uniti, dove “they have made great strides towards getting more women into entry‐level and middle‐management roles in the broadcasting media over the last 25 years, though it has not been easy. Women have had the most success in the sales ranks, where they have shown great talent and have become the top billers in many radio and television stations. Having said that, the upper level ranks of CEOs and owners have not had the same level of growth”. A quanto appena rilevato da Diane Sutter, l’ industria dei media statunitense, considerata leader globale, non sembra essere molto favorevole a una politica orientata verso la gender equality nelle posizioni decisive dei media. Un cambiamento nella rappresentazione della donna, sembra allora difficile 252 http://www.un.org/womenwatch/beijing15/Women_and_the_media_preliminary_brief.pdf. verificarsi laddove l’ ambito mediatico non è dominato da donne, innanzitutto perché affettare il corpo della donna era da sempre e lo è ancora oggi una strategia lucrativa dei media. “It is 2010”, costata un partecipante al Beijing+15 review process, “It should no longer be a struggle for women to be in management positions. It should no longer be that a woman cannot change policies and practices of an organization to make it more inclusive of those ‘other than the boys club’…”253. 4.2. Performance e Masquerade La nozione di “femminilità”, secondo Gauntlett, non significa necessariamente “essere donna”, ma è percepito piuttosto come uno stereotipo dell’ immagine femminile del passato. Mentre molti uomini vogliono spesso identificarsi con lo schema della “mascolinità” a cui da sempre vengono attribuite caratteristiche positive, quali per esempio l’indipendenza, la “femminilità” per le donne contemporanee non è un aspetto centrale, ma soltanto una di tante performance che la donna può scegliere di svolgere, sia per piacimento, sia per raggiungere uno scopo particolare. Di certo, pensieri tradizionali sono ancora presenti nella società contemporanea, per esempio quando una donna è criticata per un suo “lack of femininity”, oppure quando la moda suggerisce di aggiungere “a dash of femininity” al proprio aspetto, ma numerosi fatti ci sembrano suggerire anche che la “femminilità tradizionale” (passività, reticenza, ecc.) sia diventata impopolare come ben rileva Gauntlett254. Al contrario, la maggioranza delle persone oggigiorno approva l’ immagine di una giovane donna che ha successo. In generale, sembra che la 253 http://www.un.org/womenwatch/beijing15/Women_and_the_media_preliminary_brief.pdf. Per esempio, Gauntlett constata che le ragazze hanno abbandonato oggigiorno i compiti nello spazio domestico per competere con ragazzi in tutti gli ambiti dell’ educazione sia nel Regno Unito che negli Stati Uniti (Gauntlett in Bailey e Campbell, 2000, Cassidy, 2001), e molte donne mostrate in riviste suggeriscono “girl power” e fungono da modelli per il pubblico femminile (Gauntlett in Moorhead, 2001). Cfr. Gauntlett, 2002, p.10. 254 “femminilità” rivesti tanti ruoli “opzionali”. Un esempio fornito da Gauntlett è proprio la cantante Madonna, che ha dimostrato che la femminilità è una “masquerade” oppure una “performance”. Dal canto suo Elizabeth Ann Kaplan, afferma che “[Madonna’s] image usefully adopts one mask after another to expose the fact that there is no ‘essential’ self and therefore no essential feminine but only cultural constructions255 e gioca quindi con l’ attribuzione del gender sign system nel quale la “femminilità” è solo una delle possibili manifestazioni. In effetti, il fatto per cui molte donne si mostrino seducenti e “femminili” al fine di ottenere privilegi e benefits nell’ambito lavorativo è un cliché a cui si è assistito da lungo in vari film e dimostra che la nozione della femminilità come performance non è una novità256. Questo fatto è anche spesso ripreso da riviste destinate a donne come la Cosmopolitan che suggeriscono alle sue lettrici come usufruire di trucchi considerati “femminili” per ottenere uno scopo da uomini ingenui. Beverly Skeggs ha elaborato in un suo studio sulle donne che esse tendevano, fra l’altro, a ricorre spesso al “capitale culturale” della femminilità per riuscire meglio economicamente, per esempio nella domanda di lavoro, ritiene però che la femminilità sia anche contraddittoria, essendo sia un piacere, che un problema per le donne257. La femminilità è, quindi, secondo quanto suggerito da Skeggs, una caratteristica acquisita e adoperata per il proprio piacere. Essendo la femminilità tradizionalmente caratterizzata da una connotazione patriarcale che attribuiva alle donne caratteristiche come la remissività e la reticenza, per la donna assennata dell’ epoca presente diventa sempre più irrilevante, ed è, semmai, una masquerade che utilizza per il raggiungimento dei suoi obiettivi. Vediamo anche in questo caso che i media non rispecchiano affatto il mondo reale e che sembrano voler perpetuare il mito della femminilità a tutti costi. Per approfondire questo 255 discorso e per comprendere meglio quanto diverge la Gauntlett, p.11 in E. Ann Kaplan, 1993. Gauntlett, 2002, p.11. 257 “Their forays into femininity were immensely contradictory. Femininity offered a space for hedonism, autonomy, camaraderie, pleasure and fun whilst simultaneously regulating and generating insecurities.” Cfr. Gauntlett, in Beverly Skeggs, 1997, p.11. 256 rappresentazione della donna nei media dalla realtà è utile riferirsi a Sherrie A. Innes258 che studiò un altro aspetto di performance, cioè la durezza e la severità nel comportamento che nella lingua inglese viene chiamato toughness. Innes notò nello studio di numerosi women’s magazines, nonostante posizioni lavorative decisionali sempre più incisive occupate dalle donne nella società contemporanea, la mera presenza di immagini di donne che rappresentano questa loro forte posizione sociale, e scoprì che soprattutto la stampa femminile opera per far perpetuare caratteristiche tradizionali di femminilità come glamour, bellezza, femminilità e eleganza come norma per la donna. La scarsità di donne che divergono da questi attributi è allora sconvolgente, come dichiara Innes, perché sembra suggerire che vi è un supporto minimo da parte dei media di donne che non sono apparentemente e caratterialmente conforme a questo standard femminile. Per capire quale è il ruolo che le riviste destinate a donne assumono nel perpetuare queste caratteristiche di femminilità come ideale per le donne, è utile rivolgersi al libro di Marjorie Ferguson “Forever Feminine: Women’s Magazines and the Cult of Femininity”259 in cui lei discute, simbolicamente, il rapporto tra il concetto di femminilità e i women’s magazines. Secondo la Ferguson “women’s magazines collectively comprise a social institution which fosters and maintains a cult of femininity. This cult is manifested both as a social group to which all those born female can belong, and as a set of practices and beliefs: rites and rituals, sacrifices and ceremonies, whose periodic performance reaffirms a common femininity and shared group membership”260. Questo “culto della femminilità”, come lo chiama Ferguson, è allora l’ esperienza condivisa da milioni di aderenti in cui i women’s magazines garantiscono l’ accesso “al mondo misterioso della femminilità”261. Le riviste di donne incrementano nelle loro lettrici il desiderio di essere una 258 Autrice del libro Tough Girls: Women Warriors and Wonder Women in Popular Culture, University of Pennsylvania Press, 1998. 259 Marjorie Ferguson, Forever Feminine: Women’s Magazines and the Cult of Femininity, London, Heinemann Educational Books, 1983. 260 Ferguson, p.184. 261 Ferguson, p.185. persona perfetta. Le donne, nella ricerca della perfezione, vengono incoraggiate all’acquisto sia dei prodotti promossi dalla rivista, sia la rivista stessa. Dato che la toughness è fortemente associata ad una mancanza di femminilità, immagini di tough girls significano una minaccia per questa struttura capitalista e devono perciò essere attentamente “controllate” dalle riviste in modo che non interferiscano con il “culto del femminile” che le riviste vogliono mantenere262. Cionondimeno ci possiamo domandare per quale motivo vi sono alcune rappresentazioni di tough women se l’ intenzione generale è quella di mantenere la norma della femminilità. Si potrebbe pensare che questi tipi di rappresentazioni concorrono con l’ ideale di femminilità proposto dalle riviste. Ferguson ci dimostra il contrario sostenendo che le riviste di donne usano toughness, tra l’ altro, perche promuovono più di una versione dell’ essere donna. Nell’epoca presente, probabilmente molto più che in passato, una sola rappresentazione femminile non è sufficiente per esprimere ciò che significa essere donne e le numerose riviste destinate alle donne possono trarne vantaggio: “The journal and fashion industries thriv[e] on the instability of the very idea of what a woman [is]: the “new” woman, the working woman, the sports woman, the family woman, the sexually liberated and educated woman [are] all as much created and exploited by the journals as by the advertising apparatus”263. Il mondo delle riviste destinate alle donne è sempre stato aperto a rappresentazioni di realtà femminili diverse, una strategia, come sostiene Innes, che permette la vendita delle riviste e dei prodotti che esse promuovono a un vasta gamma di lettrici. Le riviste, nel creare un’ immagine complessa e articolata di ciò che significa essere donne oggigiorno, danno ampio spazio a molte nuove immagini di donne a cui si unisce anche quella che enfatizza la toughness. Nonostante ciò, anche le immagini più svariate devono in qualche modo rientrare in uno schema predefinito secondo il quale la tough woman si rivela a 262 Ferguson, p.185. Sherrie A. Innes, in un capitolo di Cynthia Carter e Linda Steiner, Critical Readings: Media and Gender, Open University Press Maidenhead, Berkshire, England, 2004, p.128, in Griggers, Becoming Woman, University of Minnesota Press, Minneapolis, 1990, p.96. 263 condizione che sia bella e magra come una modella. Secondo Goia di Cristofaro Longo, questa è una diffusa stereotipizzazione che si evidenzia a fronte di una molteplice quantità di donne che appaiono in televisione in ruoli diversi: “la donna in carriera, la casalinga, la mamma, la soubrette. Ma quello che veramente è assente nella rappresentazione femminile è la diversità dei ruoli della vita reale, la complessità dell’immagine della donna e le tante sfacciature che il ruolo della donna oggi rappresenta, nel mondo del lavoro, nel sociale, nella famiglia”264. Esaminando immagini di tough girls, laddove presenti, Innes conclude affermando che le riviste presentano una “fantasia” di toughness: “they create a Never Never land where models can present a performance of toughness- but it is only performance”265. Questi tipi di immagini non pongono in nessun modo un “pericolo” al “culto del femminile” poiché tough women sono solo una minuziosa percentuale delle donne che appaiono effettivamente nelle riviste266. Inoltre, dalla lettura della versione femminile di toughness per cui “the women look (somewhat) tough, but it is clear that their image is only skin- deep” risulta che si tratta di una toughness superficiale, che altro non è che una masquerade267. 264 Gioia di Cristofaro Longo, La disparità virtuale, Armando, Roma, 1995, p.4. Innes, in Carter e Steiner, p.121-122. 266 Innes, in Carter e Steiner, p.129. 267 Innes in Carter e Steiner, p.129. 265 Conclusioni Il presente lavoro ha proposto un’analisi del ruolo e della rappresentazione della donna da parte dei mezzi di comunicazione in termini di linguaggi verbali e visivi. In via preliminare è stato necessario prendere le mosse da una breve introduzione della storia del femminismo concernente gli Stati Uniti e in parte anche l’Europa. Tale premessa si è rivelata necessaria per porre l’accento sulla necessità, da parte di molte donne, di creare una consapevolezza in merito al tipo di rappresentazione che la donna era costretta a subire dai media. Definita come degradante e distorsiva della realtà, durante gli anni ’60, ’70 e ’80, soprattutto questa incideva negativamente sui numerosi tentativi di molte donne di ottenere la “parità” con gli uomini tanto nel contesto sociale che in quello politico. Si è potuto osservare che il tema ha trovato profondo riscontro, tra l’ altro, alle Nazioni Unite, tanto che fu creata una Platform of Actions al fine di garantire in futuro una rappresentazione della donna che in primo luogo fosse fedele alla realtà ma che soprattutto non fosse lesiva dei suoi diritti . Data l’importanza dei media è sembrato indispensabile procedere ad una riflessione su come i mezzi di comunicazione influenzino l’individuo nella ricerca di una propria identità e possano essere ritenuti responsabili dell’affermazione di idee, pensieri e convinzioni che caratterizzano fortemente la società americana. La mia ricerca si è poi soffermata sul legame tra l’ utilizzo di un linguaggio specifico e la disparità sociale di potere che la donna per molti anni è stata costretta a subire. In particolare, vorrei sottolineare i metodi utilizzati per lo studio del linguaggio verbale e visivo dei media che ha permesso una specifica analisi individuale nel capitolo terzo: L’ analisi della semiotica, l’ analisi di contenuto e l’ analisi del discorso, o discourse analysis, con breve ricorso alla critical discourse analysis. Nella parte conclusiva del capitolo poc’anzi citato è sembrato utile riflettere in prima istanza su alcuni cambiamenti verificatisi a partire dagli anni ’90 nel movimento femminista, negli studi sui generi e nell’ identità femminile rappresentata dai media. L’importanza dell’ approccio semiotico come possibile metodo per decifrare il messaggio pubblicitario è stato possibile grazie agi studi condotti da Judith Williamson, autorevole studiosa della materia. L’obiettivo che mi sono posta con il terzo capitolo è stato, perciò, analizzare e dimostrare come effettivamente la rappresentazione della donna nei media statunitensi abbia subito delle importanti modifiche nell’ epoca contemporanea rispetto agli anni precedenti. La lettura di 3 riviste di donne quali Cosmopolitan, Vogue e Good Housekeeping, è stata fondamentale per osservare l’atteggiamento con il quale esse si rivolgono al pubblico femminile, quale ruolo assuma la donna nella rivista e come contribuiscano a formare le identità femminili nell’ epoca contemporanea. L’analisi specifica di tre pubblicità, all’interno di ognuna delle riviste, ha permesso di rilevare l’utilizzo, che potremmo definire prassi, di alcuni codici linguistici e visivi di cui le pubblicità fanno uso per rivolgersi ai diversi target di lettrici. Nell’ultimo capitolo mentre da una parte si è rivolta l’attenzione alla quantificazione dell’impatto dei temi femministici nei media statunitensi contemporanei, dall'atra l’ interesse si è soffermato sul cambiamento effettivamente verificatosi grazie all’azione del movimento femminista per quanto riguarda la rappresentazione della donna. Rosalind Gill afferma che “there have been huge shifts in representional practices in the last two decades, partly in response to feminist critique. Today’s media culture has a distinctive postfemminist sensibility organized around notions of choice, empowerment, self- surveillance, and sexual difference, and articulated in an ironic and knowing register in which feminism is simultaneously taken for granted and repudiated. The challenge now is to articulate the politics that can engage effectively with this new sensibility, and move forward to more open, equal, hopeful and generous gender relations”268. Per concludere, potremmo affermare che la “femminilità” è un’identità che si può manifestare oggi sotto aspetti diversi nei media, anziché svolgere una funzione unilaterale. 268 Gill, p.271. Bibliografia: Adorno, Theodor W., Max Horkheimer, Dialektik der Aufklärung, Social Studies Association, Inc. New York, 1944, Fischer Verlag 1969, trad. ingl. 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